Voltax – No Retreat… You Surrender

La tradizione metallica del continente americano è una delle più importanti e gloriose, ma i Voltax devono ancora fare quel salto che permetta di entrare nella storia del metal classico d’oltreoceano.

Heavy metal old school dal lontano Messico, terra non certo ricettiva per i suoni tradizionali, dunque eccezione che conferma la regola con l’ultimo lavoro dei Voltax.

Attivo nella capitale da oltre dieci anni, il quintetto messicano non le manda certo a dire e sforna un buon lavoro di metal tradizionale, epico, melodico ed assolutamente legato all’heavy metal classico, diviso tra la tradizione europea e quella americana.
No Retreat… You Surrender è il quarto full length di una carriera che va a completare una discografia comprendente pure un live in quel di Wacken nel 2011, cosa non da poco per un gruppo underground sudamericano.
Chiariamo subito che l’album poteva essere prodotto meglio, che la copertina è bruttina e qualche brano ripete la stessa formula, ma è indubbio che la bravura del vocalist (Jerry) e le cavalcate maideniane che fanno capolino in molti dei brani, tengono l’opera ancorata ad un livello buono, anche se andrebbe maggiormente sviluppata la parte americana del sound (quella alla Metal Church, per intenderci), lasciando da parte certe soluzioni fin troppo abusate e prese in prestito dalla New Wave Of British Heavy Metal.
No Retreat… You Surrender si rivela così un lavoro tra alti e bassi, con qualche buon brano (This Void We Raid e The Hero su tutti) che ne avrebbero potuto dar vita ad un ottimo ep, ed alcune tracce che abbassano la media relegando l’album ad una sufficienza piena, ma non di più.
La tradizione metallica del continente americano è una delle più importanti e gloriose, ma i Voltax devono ancora fare quel salto che permetta di entrare nella storia del metal classico d’oltreoceano.

TRACKLIST
1.El fin
2.Broken World
3.This Void We Ride
4.Deadly Games
5.Go with Me
6.Starless Night
7.Night Lasts Forever
8.Explota
9.The Hero
10.25, 6 to 4 (Chicago cover)

LINE-UP
Ganso – Drums, Bass
Jerry – Vocals
Diego – Guitars
Mario “Boludo” – Drums
Ricardo Doval – Guitars

VOLTAX – Facebook

Mythra – Still Burning

Still Burning è un album che vi riporterà indietro fino a farvi perdere tra i vicoli nebbiosi di cittadine inglesi all’inizio degli anni ottanta: fate un giro su questa macchina del tempo, non ve ne pentirete.

Ci tuffiamo nel metallo classico e nella New Wave Of British Heavy Metal con i britannici Mythra ed il loro nuovo album, Still Burning.

Il gruppo ha avuto i suoi natali nel Regno Unito addirittura nella seconda metà degli anni settanta, purtroppo però la costanza nel rilasciare nuovi lavori non è stata pari a quella delle band più prolifiche, arrivando solo ora al terzo full length.
Lo storico The Death and Destiny EP, del 1979, non ha mai avuto particolare seguito, a parte due demo usciti negli anni ottanta, con il gruppo britannico ad esordire sulla lunga distanza solo nel 1998 e, di conseguenza, passando quasi inosservato in tempi nei quali i suoni old school non erano presi neppure in considerazione.
Quindi una band poco conosciuta ai più ma, alla luce di questo lavoro, gli amanti della vecchia scuola metallica potranno porre rimedio a questa lacuna, vista la verve e la grinta di questi vecchietti dell’heavy metal.
Metal classico che più non si può, quindi, con un sound che passa dalle ritmiche alla Saxon, alle chitarre che giocano con Judas Priest e Maiden, mentre il tutto è ricamato da una valanga di melodia, assecondata dalla voce da singer di razza di Vince High, che non risparmia toni aggressivi quando i toni si fanno grintosi e taglienti.
Esempi lampanti della vecchia scuola britannica, i Mythra non si lasciano affascinare da sfumature moderne, ma suonano come se fosse il 1984, così da risultare puri, assolutamente legati a suoni metallici vintage che affascinano non poco.
Un album per vecchi metallari, questo Still Burning, magari riuniti in raduni da bikers attempati, dove questi suoni nel nuovo millennio trovano ancora interesse, mentre i minuti passano tra cavalcate heavy, chorus melodici e solos forgiati sul monte dove Dave Murray e Dennis Stratton posarono le tavole della legge del chitarrista heavy metal.
That Special Feeling, seguita da Ride The Storm e  la spettacolare serie di assoli su Victory Song sono i momenti più alti di Still Burning, un album che vi riporterà indietro fino a farvi perdere tra i vicoli nebbiosi di cittadine inglesi all’inizio degli anni ottanta: fate un giro su questa macchina del tempo, non ve ne pentirete.

TRACKLIST
1. Still Burning
2. A Call To All
3. That Special Feeling
4. Ride The Storm
5. Survival
6. Battle Cry
7. Silence In The Sirens
8. Sands Of Time
9. Victory Song
10. We Belong
11. Fundamental Extreme

LINE-UP
Vince High – Vocals
John Roach – Guitars
Alex Perry – Guitars
Maurice Bates – Bass
Phil Davies – Drums

MYTHRA – Facebook

Metall – Metal Heads

Metal Heads è un album un po’ troppo scontato, che alterna buoni spunti a cadute rovinose: nel genere si può sicuramente fare meglio.

Nel metal classico e nel power è indubbio che la Pure Steel abbia in mano delle ottime realtà, in arrivo dal nuovo continente ma anche e soprattutto nella vecchia Europa.

Poi non contenta la label tedesca si permette di riesumare vecchi gruppi del passato dandogli una chance in questo nuovo millennio, per mezzo delle sue molte label che alla casa madre si appoggiano.
Una di queste è l’Iron Shield, specializzata in sonorità thrash, ma questa volta alle prese con il power heavy metal dei rinati Metall, gruppo tedesco nato addirittura nei primissimi anni ottanta, con un solo demo uscito nel 1987 e di fatto mai sciolti.
Quindi, il gruppo capitanato dal bassista Sven Rappoldt arriva al debutto sulla lunga distanza trentasette anni dopo la sua nascita, probabilmente un record nel genere, anche se alla fine questo Metal Heads non va più in là di un discreto lavoro incentrato su un heavy metal old school, irrobustito da soluzioni ritmiche power metal e qualche buona cavalcata in crescendo.
Il sound del quartetto berlinese si può riassumere come un ibrido metallico tra Accept, Black Sabbath e Judas Priest, non male scritto così, ma il risultato alla fine convince solo a tratti.
Buone la prove del gruppo nella power song  Crimson King, nella sabbathiana Riding On The Storm e nell’epica Imperium, mentre lascia il tempo che trova il controcanto in growl su Fly; il resto dell’album viaggia sui binari della sufficienza e del già sentito, troppo poco per un gruppo tornato dopo così tanto tempo con del nuovo materiale.
Metal Heads è un album un po’ troppo scontato, che alterna buoni spunti a cadute rovinose: nel genere si può sicuramente fare meglio per cui l’ascolto è consigliato solo ai fans più curiosi e legati indissolubilmente al genere.

TRACKLIST
1. Metalheads
2. Fly
3. Crimson King
4. The Gods Above The Sky
5. Riding On The Storm
6. Glory
7. Imperium
8. Wrath

LINE-UP
Joel Stieve Dawe – Vocals
Daniel Dokic – Guitars
Marco Thäle – Drums
Sven Rappoldt – Bass

http://www.metall-heavyband.de/

VV.AA. – Metal Pulse: A Tribute To Dale Huffman

Bellissimo e sentito tributo della scena metal cristiana a Dale Huffman, proprietario di Metal Pulse Radio.

E’ da sempre luogo comune associare il metal con influenze sataniche ed aberrazioni di ogni sorta, specialmente se della cultura che sta dietro alla nostra musica preferita non si è informati e ci si convince degli stereotipi creati dall’ignoranza mediatica, mentre il movimento invece, in tutte le sue forme è sempre pronto a sostenere o commemorare chi, per essa, ci ha speso una vita intera.

La scena metal underground statunitense di matrice cristiana, per esempio, si è attivata per questo tributo ad un suo membro e fratello, Dale Huffman, proprietario di Metal Pulse Radio, deceduto nel febbraio di quest’anno dopo aver combattuto contro il cancro per due anni.
Rottweiler Records e Roxx Records, due delle maggiori etichette che si occupano di metal cristiano, hanno chiamato a rapporto una buona fetta dei gruppi del genere dando vita a questo tributo che non è solo un modo per ricordare la memoria di un personaggio importante in quell’almbito, ma anche un’occasione per far conoscere al mondo metallico una serie di ottimi gruppi che dell’heavy metal ne fanno una missione.
Di tutte le band che hanno risposto all’ appello, una buona parte sono finite su questo cd il cui il ricavato andrà alla famiglia di Huffman, mentre chi farà sua questa compilation avrà una panoramica esauriente su una scena cristiana che, aldilà dell’oceano, è molto sentita.
La raccolta parla chiaro, il metal cristiano è vivo e vegeto, perciò non solo Stryper (il gruppo più famoso), ma ottime realtà come i BioGenesis, ed il loro metal orchestrale rappresentato dalla monumentale Tears Of God, i Grave Robber con Fill The Place With Blood e la loro passione per Ronnie James Dio ed i power thrashers Join The Dead, devastanti ed aggressivi con la dirompente Walking In Darkness.
Una raccolta di brani selezionati con cura lascia un’ottima sensazione sul valore di questa scena che spazia dal thrash metal, all’heavy, dall’hard rock dei Messenger, al mid tempo tastieristico alla Savatage dei notevoli Promise Land.
Sarebbero da menzionare tutti i gruppi raccolti in questo tributo, però vi ricordo ancora gli heavy metallers Saint e la bellissima ballad The Chosen Few dei Worldview, ciliegine sulla torta musicale di questa grande iniziativa.
Se amate il metal classico la raccolta di brani e delle band è di altissima qualità, la voglia di conoscere realtà nuove delle scene in giro per il mondo è tanta, ed onorare un uomo che tanto ha fatto per il metal è il minimo.
R.I.P Dale.

TRACKLIST
1. Metal Pulse Radio Intro / Ultimatum ‘Heart of Metal’
2. Dynasty ‘Metal Pulse’ (Previously Unreleased)
3. Promise Land ‘Christ In Us (CIU)’
4. Join The Dead ‘Waiting In Darkness’ (Previously Unreleased)
5. Rainforce ‘Shine A Light’ (Previously Unreleased)
6. BioGenesis ‘Tears Of God’ (Previously Unreleased)
7. Sunroad ‘In The Sand’ (Previously Unreleased)
8. Messenger ‘Christian Rocker’
9. Worldview ‘The Chosen Few’
10. Grave Robber ‘Fill This Place With Blood’
11. Sweet Crystal ‘Even Now’
12. Stairway ‘Across The Moon’
13. Shining Force ‘Holy of Holies’
14. The World Will Burn ‘Brand New Song’
15. Titanic ‘Freak Show’
16. Saint ‘In The Night’

ROXX RECORDS – Facebook

Vermilion Whiskey – Spirit Of Tradition

Spirit Of Tradition è quanto di più vero troverete ascoltando southern metal, d’altronde i Vermilion Whiskey provengono dalla Louisiana, terra di coccodrilli, whiskey e southern blues.

Prendete cinque metallari della Louisiana, precisamente da Lafayette, date loro da bere e fateli accomodare su un piccolo palco di qualche locale del Sud degli Stases.

Il blues , come d’incanto, sarà il demone che, posseduta l’anima dei musicisti farà suonare loro metal demonizzato dal sound del Mississippi, un southern rock che vi entra dentro come un serpente se avete la pessima idea di entrare nelle acque melmose del fiume, in prossimità dello stato dove i Vermillion Wiskey hanno registrato l’album, con una capatina in Texas tanto per non farci mancare quel tocco di atmosfera desertica tanto di moda in questi anni.
Mezz’ora, sei brani e Spirit Of Tradition è bell’e pronto, inattaccabile se parliamo di questo genere, suonato con sangue, sudore e gli attributi al proprio posto: d’altronde questa è gente dura, abituata a tanti fatti e poche parole, o al massimo tante sbronze, mentre riff pesanti come macigni (Monolith) si danno il cambio con sfumature bluesy e southern d’annata (l’opener Road King) mentre le esalazioni dell’whiskey si fanno insistenti.
Thaddeus Riordan e compagni ci sanno fare, perciò i fans del southern rock metal si cerchino questo spaccato di vita del sud, non se ne pentiranno.

TRACKLIST
1.Road King
2.The Past Is Dead
3.Come Find Me
4.Monolith
5.One Night
6.Loaded Up

LINE-UP
Thaddeus Riordan – Vocals
Ross Brown – Guitar
Carl Stevens – Guitar
Jeremy Foret – Bass
Buck Andrus – Drums

VERMILION WHISKEY – Facebook

Night Demon – Darkness Remains

Darkness Remains è vera goduria metallica, con un lotto di brani che hanno attraversato il tempo e sono arrivati nel nuovo millennio a ribadire che la musica metal non sarà mai obsoleta in qualsiasi anno e paese venga suonata.

Questo è heavy metal classico suonato con un’attitudine ottantiana commovente, sicuramente per molti un mostro uscito da una vecchia chiesa sconsacrata dimenticata dal tempo, vintage ed old school fino al midollo; ma se nel 1980 avevate quattordici anni, con uno spirito ribelle e la voglia di qualcosa in più che il solito rock e pop proposto alla radio, allora tirate fuori il chiodo, fatevi il riporto sulla testa ormai sgombra dalla criniera e dateci dentro con Darkness Remains, secondo album del trio americano unito sotto il monicker Night Demon.

Licenziato dalla SPV/Steamhammer, l’album è una vera goduria metallica, un lotto di brani che hanno attraversato il tempo e sono arrivati nel nuovo millennio a ribadire che la musica metal, non sarà mai obsoleta in qualsiasi anno e paese venga suonata.
La copertina rispecchia il sound del gruppo, dalla vena hard & heavy che non va oltre ai primi due o tre anni del decennio metallico per eccellenza, con un passo a ritroso negli anni settanta (si sente l’ispirazione sabbathiana in alcuni passaggi rallentati, tipiche dei gruppi dell’epoca) e poi tanto, tantissimo sound maideniano era Paul Di Anno e ritmiche saxoniane a mettere l’accento su un disco bellissimo.
Pronti via, ed il trio californiano (Dusty Squires alla batteria, Armand John Anthony alle chitarre e Jarvis Leatherby al basso ed alla voce) travolge con il suo concentrato di puro, ed entusiasmante heavy metal, oscuro quel tanto che basta per prenderlo sul serio, melodico e ritmicamente irresistibile come se non fossero passati quasi quarant’anni, con Prowler o Princess Of The Night che stanno riempiendo di note metalliche le stanze dei kids di tutto il mondo.
Nominare un brano diventa un’impresa, la qualità nel genere è altissima, i ricordi vivi più che mai nei vecchi rockers come il sottoscritto e la lezione per i più giovani è bell’e pronta e si chiama Darkness Remains, approfittatene.

TRACKLIST
01 – Welcome to The Night
02 – Hallowed Ground
03 – Maiden Hell
04 – Stranger In The Room
05 – Life On The Run
06 – Dawn Rider
07 – Black Widow
08 – On Your Own
09 – Flight Of The Manticore (Instrumental)
10 – Darkness Remains

LINE-UP
Dusty Squires – Drums
Armand John Anthony – Guitars
Jarvis Leatherby – Vocals, Bass

NIGHT DEMON – Facebook

Sunless Sky – Doppelgänger

Un album di power metal americano su cui svetta il talento della coppia formata dal cantante Juan Ricardo e dal chitarrista Curren Murphy.

Prendete un singer talentuoso come Juan Ricardo (Wretch, Dark Arena) ed un chitarrista come Curren Murphy dei magnifici Shatter Messiah, ed ex nientemeno che di Nevermore ed Annihilator, ed avrete un massiccio, aggressivo e melodico esempio di metal americano tripallico come il nuovo lavoro dei Sunless Sky, realtà proveniente da Cleveland all’arrembaggio con Doppelgänger, secondo album che ognuno che si professi amante del metal classico d’oltreoceano è obbligato ad amare.

Brani aggressivi, tra thrash e power in puro american style, un cantante che, già sentito sull’ultimo Wretch conferma il suo valore, e trame chitarristiche da guitar hero, supportate da una sezione ritmica potente come quella composta da Kevin Czarnecki al basso e Coltin Rady, fanno dell’album un capolavoro a livello underground.
La ricetta è semplice e già dall’opener Starfall si capisce che qui c’è da divertirsi, d’altronde la band non fa altro che prendere il thrash power metal dei Vicious Rumors, amalgamarlo con atmosfere oscure di chiara ispirazione Metal Church e la sciare che i due top player facciano il resto così che da semplice album di metal a stelle e strisce, Doppelgänger diventi un piccolo gioiello tutto potenza ed attitudine.
Ancora una volta è la Pure Steel a farsi da portavoce di quello che succede in campo metal classico aldilà dell’oceano, una scena quella statunitense che non è solo composta da vecchie glorie, ma si fa vedere con band dall’alto valore qualitativo come appunto i Sunless Sky o gli stessi Wretch, tanto per non andare oltre a quello che gravita intorno a questo gruppo di musicisti che ancora una volta regalano perle di power metal come Kingdom Of Sky, Lake Of Lost Soul, Inside The Monster e la conclusiva Black Symphony.
Album da avere senza se e senza ma , fosse solo per ascoltare ancora una volta uno dei cantanti più bravi della nuova generazione nata aldilà dell’oceano.

TRACKLIST
1. Starfall
2. Doppelgänger
3. Kingdom Of Sky
4. Stone Gods
5. Lake Of Lost Souls
6. Netherworld
7. Adrenaline Junkie
8. Inside The Monster
9. Heroin
10. Black Symphony

LINE-UP
Juan Ricardo-Vocals
Curran Murphy-Guitars
Kevin Czarnecki-Bass
Coltin Rady-Drums

SUNLESS SKY – Facebook

Dethonator – Dethonator

Dethonator è un lavoro che troverà qualche orecchio ben disposto ma anche tanto ostracismo da parte dei fans del metal classico ed estremo, difficili da convincere per una band che deve ancora decidere da quale parte stare.

La Killer Metal ci fa partecipi della proposta di questa band proveniente da Londra, attiva per qualche anno sotto il monicker Kaleb e dal 2009, dopo il cambio di nome in Dethonator , autrice di due full length ed un ep.

Questo album omonimo uscì come debutto del quartetto nel 2010 e viene rimasterizzato ed in parte nuovamente registrato a sei anni dalla sua pubblicazione.
Il sound del gruppo londinese è un heavy metal che accoglie nel proprio spartito elementi all’apparenza lontani tra loro, come qualche spunto estremo di taglio death (a tratti spunta un controcanto in growl), ritmiche thrash metal e clean vocals melodiche e molto moderne, troppo per una proposta che, di fatto, mantiene una sua forte connotazione classica.
Così succede che, tra solos maideniani, atmosfere old school di matrice NWOBHM e veloci ripartenze estreme, i cori alternative metal made in U.S.A. spezzano il cordone ombelicale che tiene legato il sound del gruppo al metal duro e puro.
Non che dispiacciano, ma se non si ha l’orecchio abituato a più di un genere si finisce con arricciare il naso al cospetto di chorus patinati in contrasto con l’energia che i Dethonator non risparmiano, per un impatto ritmico che rimane aggressivo e di matrice thrash per tutto il lavoro.
I Am Thunder God, uscito come singolo, e Shadows sono i brani più diretti e riusciti di un album che troverà qualche orecchio ben disposto ma anche tanto ostracismo da parte dei fans del metal classico ed estremo, difficili da convincere per una band che deve ancora decidere da che parte stare.

TRACKLIST
1. Wreckers
2. Harbringer
3. I Am Thunder God
4. Many Have Fallen
5. Shadows
6. Dethonator
7. Morbid Skies
8. Massive Demonic Killing Spree
9. In the Place of the Skull

LINE-UP
Tris Lineker – Vocals, Guitars
Henry Brooks – Guitars
Adz Lineker – Bass, Vocals
Johnny Mo – Drums

DETHONATOR

Alessio Secondini Morelli’s – Hyper-Urania

Se con questo lavoro il chitarrista voleva ribadire l’immortalità della musica heavy metal e la sua ottima salute anche nel nuovo millennio, direi che la missione è andata decisamente a buon fine.

Nuovo progetto per il chitarrista Alessio Secondini Morelli (Anno Mundi, Freddy & The Kruegers) volto a reinterpretare a suo modo le sonorità classiche dell’heavy metal.

Hyper-Urania è un ep di sei brani dove il chitarrista nostrano, aiutato da numerosi ospiti tra cui Francesco Lattes (New Disorder), Freddy Rising (Acting Out, Martiria, Bible Black) e Federica Garenna (Sailing To Nowhere, She Devil) alla voce, Daniele Zangara alla batteria, Emiliano Laglia (Aibhill Striga, Invaders, Blackened, Youthanasia) al basso, rivisita il metal classico e lo consegna ai giovani ascoltatori del nuovo millennio.
Sonorità ottantiane dunque, prendendo ispirazione sia dalla corrente britannica dei primissimi anni del decennio d’oro per la musica hard & heavy, sia da quella statunitense, con i primi Savatage, ad irrobustire un sound che pesca tanto dai Saxon quanto dai Judas Priest, lasciando in disparte, almeno per una volta, gli Iron Maiden.
Ottima prova dei cantanti, a loro agio anche con brani sicuramente più classici di quelli proposti con le loro band, e grande apertura con il riff di Arkam, notevole brano dove, oltre ad un’ottima performance di Federica Garenna al microfono, si evince la bravura tecnica di Alessio Secondini Morelli e la sanguigna passione che trabocca dall’assolo graffiante a metà brano.
Da segnalare anche la bellissima cover dal taglio progressivo di Veteran Of The Psychic Wars dei Blue Blue Öyster Cult; se con questo lavoro il chitarrista voleva ribadire l’immortalità della musica heavy metal e la sua ottima salute anche nel nuovo millennio, direi che la missione è andata a buon fine.

TRACKLIST
1.Arkam
2.Lord Of The Flies
3.Fuga In Mi Minore “Del Canto Delle Valchirie”
4.Scarlet Queen
5.Veteran Of The Psychic Wars
6.Steven Shark

LINE-UP
Alessio Secondini Morelli – Guitars
Daniele Zangara – Drums
Emiliano Laglia – Bass
Freddy Rising – Vocals
Federica Garenna – Vocals
Francesco Lattes – Vocals

ALESSIO SECONDINI MORELLI – Facebook

Cloven Hoof – Who Mourns For The Morning Star?

Who Mourns For The Morning Star? è un album straripante, dall’impatto di un asteroide in picchiata sulla Terra, una raccolta di canzoni che non dà tregua, piena di melodie vincenti, aggressività ed epicità.

Gruppo di culto della New Wave Of British Heavy Metal, i Cloven Hoof sono tornati a nuova vita all’inizio del nuovo millennio, dopo un lungo silenzio che li aveva tenuti lontani dalla scena per ben quindici anni.

Il gruppo di Wolverhampton, tra 1982 e il 1989, regalò ai fans dell’epoca un terzetto di full length che divennero  oggetto di culto, più un live (all’epoca obbligatorio nella discografia di una band) ed un paio di demo che conquistarono le preferenze degli appassionati e degli addetti ai lavori.
Lo stop subìto prima dell’esilio dell’heavy metal negli anni novanta, ed il ritorno nel nuovo millennio con un’altra serie di album di cui questo ultimo Who Mourns For The Morning Star?  è il quarto: questa ultima uscita non tradisce, con i Cloven Hoof a regalare ancora una volta grande musica heavy, esaltante, spettacolare e nobile, metallo che lascia senza fiato per intensità e freschezza.
Il lavoro si giova peraltro della prestazione eccellente George Call, arrivato alla corte di Lee Payne dopo il precedente Resist Or Serve ed ex Omen (tra gli altri), e di un songwriting incisivo che permette al gruppo di lasciare ai posteri altre nove perle metalliche contraddistinte da una sagacia tecnica non comune, con la chitarra di Luke Hatton che urla la sua nobile appartenenza alla leggenda dell’heavy metal con solos dalle fiammeggianti melodie, mentre Chriss Coss sfodera ritmiche una più esaltante dell’altra e Lee Payne e Danny White fanno male con le loro micidiali armi (basso e batteria).
Who Mourns For The Morning Star? è un album straripante, dall’impatto di un asteroide in picchiata sulla Terra, una raccolta di canzoni che non dà tregua, piena di melodie vincenti, aggressività ed epicità: la qualità è massimale in tutti i brani, ma dovendo scegliere menziono Star Rider, Song Of Orpheus e I Talk To The Dead, la semiballad Morning Star e i due epici crescendo conclusivi, Go Tell The Spartans e Bannockburn, brano dall’inizio folk medievaleggiante che si trasforma in un crescendo maideniano, con Call a toccare vette altissime, impresa degna appunto del miglior Dickinson.
Un album bellissimo, nel genere uno dei più trascinanti degli ultimi anni. La leggenda continua.

TRACKLIST
1. Star Rider
2. Song Of Orpheus
3. I Talk To The Dead
4. Neon Angels
5. Morning Star
6. Time To Burn
7. Mindmaster
8. Go Tell The Spartans
9. Bannockburn

LINE-UP
George Call – Lead Vocals
Lee Payne – Bass Guitar and Backing Vocals
Luke Hatton – Lead Guitar
Chris Coss – Rhythm Guitar
Danny White – Drums And Percussion

CLOVEN HOOF – Facebook

Axel Rudi Pell – The Ballads V

Si può discutere all’infinito sull’utilità di opere del genere, ma è indubbio che la qualità altissima della musica prodotta mette in secondo piano le critiche di chi pretende l’originalità a tutti i costi.

Per molti sono sempre state un riempitivo, per altri uno scotto da pagare in album dove smorzavano la tensione metallica, ma in tanti continuano ad amarle perché, in fondo, anche i metallari hanno un cuore e lacrime da spendere.

Stiamo parlando delle ballads, croce e delizia dei gruppi metal, da sempre suonate nei generi classici, dall’heavy, al power, fino al thrash.
Le luci si accendono ancora una volta per la band di Axel Rudi Pell, uno dei massimi esponenti delle super ballatone, arrivato con The Ballads V alla quinta raccolta di lenti dalle epiche o drammatiche atmosfere, pregne di quell’orgoglio metallico su cui si sono costruiti successi, ma anche rovinose cadute.
A prescindere da quanto possa piacere un’opera di questo tipo, bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare, ed allora è innegabile come anche questa ennesima collezione si avvalga di di brani bellissimi, dalle melodie che conquistano anime e spaccano cuori, suonate da un gruppo di musicisti che, nel genere, non sono certo secondi a nessuno.
Come d’abitudine Pell ci regala due inediti, la prima una perla di canzone (l’opener Love’s Holding On) con Bonnie Tayler splendida ospite a duettare con un Gioeli stratosferico e, ad anticipare la magnifica cover di Hey Hey My My di Neil Young, On The Edge Of Our Time vede la chitarra duettare con un Gioeli che sprizza epicità da tutti i pori, mentre il resto del gruppo asseconda la vena dei due protagonisti.
Circle Of The Oath, full length uscito nel 2012, è ottimamente rappresentato dalla superba Lived Our Lives Before, mentre When Truth Hurts, dal buon Into The Storm licenziato dal gruppo un paio di anni dopo, continua a dispensare emozionanti armonie chitarristiche su un tappeto di eroico ed elegante metal.
Certo, il trend di un lavoro come questo non cambia per tutta la sua durata, e le due tracce live lasciate a conclusione di un’opera mastodontica (si va oltre i settanta minuti) sono da considerare altre due chicche.
Si parla infatti di The Line, dal capolavoro The Masquerade Ball, e la sempre spettacolare Mistreated, enorme brano di casa Deep Purple era Coverdale con al microfono Doogie White, tratto dal concerto per il 25° anniversario della band in quel di Balingen nel 2014.
Si può discutere all’infinito sull’utilità di opere del genere, ma è indubbio che la qualità altissima della musica prodotta mette in secondo piano le critiche di chi pretende l’originalità a tutti i costi.

TRACKLIST
01. Love’s Holding On (new song feat. Bonnie Tyler)
02. I See Fire (new cover version, Ed Sheeran song)
03. On The Edge Of Our Time (new song)
04. Hey Hey My My
05. Lived Our Lives Before
06. When Truth Hurts
07. Forever Free
08. Lost In Love
09. The Line (live)
10. Mistreated (live)

LINE-UP
Johnny Gioeli – Lead and Backing Vocals
Axel Rudi Pell – Lead, Rhythm and Acoustic Guitars
Ferdy Doernberg – Keyboards
Volker Krawczak – Bass
Bobby Rondinelli – Drums

AXEL RUDI PELL – Facebook

Skeletoon – Ticking Clock

Siamo arrivati in fondo in un battito di ciglia e resta un piacevole senso di soddisfazione nell’ascoltare un album del genere firmato da una band italiana.

Che lo vogliate chiamare happy metal o nerd metal (termine forgiato dalla band) il sound dei nostrani Skeletoon è un notevole esempio di power metal teutonico, tra Helloween, Freedom Call ed Edguy, niente di più e niente di meno.

Il bello è che la band il suo mestiere lo sa fare alla grande ed anche questo Ticking Clock, secondo lavoro dopo il pur ottimo The Curse Of The Avenger, risulta un piacevole tuffo nelle melodie metalliche di estrazione power e dallo straordinario appeal.
Il gruppo del bravissimo singer Tomi Fooler (talento della scuola Sammet) continua per la sua strada e se il primo lavoro era una raccolta di brani power solari e divertenti, in Ticking Clock il tiro viene leggermente ritoccato per spostarsi verso un sound che, pur mantenendo le caratteristiche dell’album precedente, sprizza maturità e consapevolezza.
Tradotto, si scherza ma fino ad un certo punto, gli Skeletoon hanno indurito i suoni, fanno sempre divertire, ma sanno regalare sprazzi di musica più ragionata ed a tratti epica, proprio come il gruppo di Chris Bay (Chasing Time da questo lato è una bomba power devastante).
Curato nei minimi dettagli, l’album è molto vario nelle atmosfere che attraversano le diverse tracce, come se la solarità del power metal melodico fosse attraversata da nuvole oscure ed in alcuni casi, come nella splendida The Awakening, da venti progressivi.
Ottime le performance dei musicisti della band, con un accento sulle prove soliste dei due chitarristi (Andy “K” Cappellari e Davide Piletto) e di una coppia ritmica che non dà tregua quando la musica del gruppo parte come una formula allo spegnimento del semaforo rosso (Charlie Dho al basso ed Henry Sidoti alle pelli), tanto per ribadire che per suonare il genere è indispensabile il talento anche sotto l’aspetto tecnico.
Non mancano, come nel primo lavoro, ospiti che nobilitano e valorizzano alcuni dei brani presenti come Jonne Jarvela (Korpiklaani), Piet Sielck (Iron Savior) e Jens Ludwig (Edguy), mentre Guido Benedetti dei Trick Or Treat, oltre a suonare la sei corde, ha aiutato il gruppo nella fase compositiva.
Siamo arrivati in fondo in un battito di ciglia e resta un piacevole senso di soddisfazione nell’ascoltare un album del genere firmato da una band italiana.

TRACKLIST
1.Dreamland
2.Drowning Sleep
3.Night Ain’t Over
4.Watch over Me
5.Chasing Time
6.Ticking Clock
7.Mooncry
8.Falling into Darkness
9.Awakening

LINE-UP
Tomi Fooler – Vocals
Andy “K” Cappellari – Rhytm/Lead Guitar
Davide Piletto – Rhytm/Lead Guitar
Charlie Dho – Bass Guitar
Henry Sidoti – Drums

Featuring: GUIDO BENEDETTI from TRICK OR TREAT: Composer and guitars
JONNE JÄRVELÄ from KORPIKLAANI as “The Nightmare”
PIET SIELCK from IRON SAVIOR as “THE FATHER”
JENS LUDWIG from EDGUY as “THE TIME” T
OMIKA FULIDA from LUNAMANTIS as “THE LAST STAR SHINING”

SKELETOON – Facebook

Thunder and Lightning – The Ages Will Turn

The Ages Will Turn è un ottimo lavoro, assolutamente consigliato in particolare ai fans di Iced Earth e Blind Guardian, da parte di una band da rivalutare e conoscere più a fondo.

Superata la decina d’anni di attività, tornano sul mercato i berlinesi Thunder And Lightning con il quarto full length della loro carriera, iniziata nel 2004 e che vede, oltre ai primi due demo ed un ep, tre album usciti tra il 2008 e il 2013 (Purity, Dimension e In Charge of the Scythe).

Il genere proposto è un power metal melodico con qualche ottimo spunto heavy, oscuro e drammatico e pregno di mid tempo e cavalcate che nel loro già sentito rivelano una buona attitudine da parte di un gruppo che, pur se nato nel cuore dell’Europa, non mancano di inserire nel sound atmosfere metalliche statunitensi.
Prodotto dal chitarrista Marc Wüstenhagen, The Ages Will Turn vive di questo connubio tra le due scuole classiche e ne esce un buon lavoro che unisce l’aggressività tutta europea con le atmosfere e le sfumature del classico metal americano.
Così, dopo l’intro The Ravaging Overture, l’album entra subito nel vivo con Welcome To The Darkside, ottimo inizio e classica power metal song, anche se l’impronta melanconica e tragica si sente già dalle prime note.
Silent Watcher e Black Eyed Child continuano a dispensare power metal di ottima fattura e si comincia a sentire la forte ispirazione Iced Earth che il gruppo si porta dietro, sia nelle soluzioni melodiche che nei chorus.
E Columbia conferma le influenze della band berlinese, con un brano perfettamente in bilico tra la band di Jon Schaffer ed i Blind Guardian, mentre nella più potente One Blood compare come ospite alla sei corde Máté Bodor (Alestorm, Wisdom).
La title track continua a dispensare metallo oscuro e si arriva alla conclusiva Mary Celeste, brano dove troviamo il secondo ospite, Der Schulz degli Unzucht, ad accompagnare l’ottimo singer Norman Dittmar, per il brano top dell’album, splendidamente teatrale, sorretto da un chorus oscuro ed epico ed attraversato da una vena statunitense tra Iced Earth, Savatage e Metal Church.
The Ages Will Turn è un ottimo lavoro, assolutamente consigliato in particolare ai fans di Iced Earth e Blind Guardian, da parte di una band da rivalutare e conoscere più a fondo.

TRACKLIST

1.The Ravaging Overture
2.Welcome to the Darkside
3.Silent Watcher
4.Black Eyed Child
5.Eternally Awake
6.Columbia
7.One Blood
8.The Ages Will Turn
9.Hysteria
10.Mary Celeste

LINE-UP

Robert Rath – Bass
Steve Mittag – Drums
Benjamin Dämmrich – Guitars
Marc Wüstenhagen – Guitars, Vocals
Norman Dittmar – Vocals

THUNDER AND LIGHTNING – Facebook

Full Leather Jackets – Forgiveness Sould Out

Si respira aria old school nell’album o, quanto meno, la tradizione ha la sua importanza così come la voglia rabbiosa di suonare metal, fatto bene ma con pochi fronzoli e tanta sostanza.

Una bomba questo Forgiveness Sold Out, debutto dei veneti Full Leather Jackets, che colpiscono il bersaglio con un concentrato di hard & heavy tripallico irrobustito da veloci ripartenze thrash metal, il tutto eseguito con ottima perizia tecnica e un impatto roccioso venato da atmosfere che a tratti si fanno gloriosamente epiche.

Si respira aria old school nell’album o, quanto meno, la tradizione ha la sua importanza così come la voglia rabbiosa di suonare metal, fatto bene ma con pochi fronzoli e tanta sostanza.
Ed in effetti Forgiveness Sold Out è composto da nove schiaffi metallici, tra mid tempo potentissimi come la spettacolare Steel Pirates, brani che bombardano con una serie infinita di riff scolpiti nelle tavole della legge del metal e valorizzate da un cantante, Giovanni Svaluto, con la personalità di un veterano, potente, teatrale ed epico, in poche parole un guerriero metallico.
Lo accompagnano in questa avventura targata Full Leather Jackets, Ivan Tabacchi (chitarra), Giovanni Stefani (basso) e Matteo Panciera (batteria), formando un quartetto di devastatori di padiglioni auricolari a colpi di hard rock, heavy metal e thrash.
Il bello del sound forgiato dal quartetto sta nel mantenere i piedi ben saldi nel metal classico con i riferimenti che vanno dai Judas Priest agli Iron Maiden, dai Metallica (specialmente nella ballad No Way Out), senza rinunciare ad un tocco moderno, tradotto in groove da parte di una sezione ritmica solida come l’acciaio, che dà all’album quel pizzico di originalità che ne fa un gioiellino.
Russian Roulette, Murder In The First e White Robes concludono l’album con una ventina di minuti esaltanti che hanno nel thrash alla Testament della seconda l’apice distruttivo di Forgiveness Sould Out.
Se volete della musica che vi carichi prima di andare a procurar battaglia, quest’album dei Full Leather Jackets è sicuramente una potentissima botta d’adrenalina, provare per credere.

TRACKLIST
1.Purple Mud
2.Son of Morning Star
3.The Outcast
4.Steel Pirates
5.Mr Revenge
6.No Way Out
7.Russian Roulette
8.Murder in the First
9.White Robes

LINE-UP
Giovanni Svaluto – Guitar, Vocal
Ivan Tabacchi – Guitars
Giovanni Stefani – Bass
Matteo Panciera – Drums

FULL LEATHER JACKETS – Facebook

Bellathrix – Orion

Orion farà battere all’impazzata cuori metallici di vecchia data e sorprenderà i giovani più legati al power e poco avvezzi alle cavalcate heavy metal, tipiche degli anni d’oro del genere.

Con ancora nelle orecchie le splendide note dell’ultimo album degli Athlantis, mi ritrovo con in mano un’altra opera che coinvolge un gruppo di talenti musicali proveniente dalla provincia di Genova.

Pier Gonella e Steve Vawamas, chitarra e basso di Mastercastle e Athlantis, e poi separatamente in altre importanti realtà metalliche quali i Necrodeath per il primo e i Ruxt per il secondo, si ritrovano ancora una volta insieme in un ennesimo progetto, questa volta più orientato all’heavy metal tradizionale, ma non per questo meno riuscito.
I due, non contenti degli applausi a scena aperta conquistati nell’ultimo periodo, tornano con i Bellathrix, gruppo formato appena due anni fa e dal nucleo portante a trazione femminile (Lally Cretella alla chitarra, Stefy Prian alla voce ed Elisa Pilotti alla batteria), al primo passo discografico con questo ottimo esempio di heavy metal, al giorno d’oggi definito old school, ma che poi altro non è che hard & heavy di stampo classico e dai buoni spunti progressivi e folk.
Licenziato dalla storica label genovese Black Widow, Orion non mancherà di far battere all’impazzata cuori metallici di vecchia data, o di sorprendere giovani metallari legati al power e poco avvezzi alle cavalcate caratteristiche degli anni ruggenti.
Ogni volta che ho a che fare con Pier Gonella, mi ritrovo a lodare le gesta di questo numero uno della sei corde, sempre perfettamente a suo agio in ogni contesto: nei Bellathrix, assieme all’ottima Lally Cretella, va a costituire il fulcro del sound di Orion, con il sostegno della potente e precisa sezione ritmica e della voce assolutamente perfetta per il genere di Stefy Prian (dimenticatevi gorgheggi di stampo operistico, qui si fa heavy metal), personale e convincente.
Non poteva certo mancare una manciata di graditi ospiti e allora i Bellathrix lasciano a Tommy Massara il solo su The Ritual, cover della Strana Officina, e si avvalgono delle tastiere di Dave Garbarino, del violino di Federica Pelizzetti e del flauto del sempreverde Martin Grice, storico componente dei Delirium.
E come ormai ci hanno abituato questi bravissimi stakanovisti del metal nostrano, l’album convince a più riprese, risultando perfetto nel dosaggio tra l’irruenza tipica dell’heavy metal, le melodie di un hard rock evocato spesso dalle linee vocali della Prian (Fly In The Sky e le ritmiche funkizzate di My Revenge) e con l’asso calato a pulire il tavolo rappresentato dalle parti progressive e folk nella semiballad I Don’t Believe A Word; le reminiscenze space rock della pur grintosa title track ed il tuffo nel rock progressivo della bellissima King Of Camelot chiudono come meglio non si potrebbe questa prima uscita targata Bellathrix.
In attesa che (sicuramente tra non molto) si ripresenti l’opportunità di ascoltare altra musica prodotta o suonata da questi inesauribili musicisti, non rimane che consigliare caldamente di fare proprio quest’album.

TRACKLIST
1. The Road in the Night
2. Before the Storm
3. Fly in the Sky
4. My Revenge
5. I Don’t Believe a Word
6. The Ritual (Strana Officina cover)
7. Orion
8. King of Camelot

LINE-UP
Stefy Prian – Vocals
Elisa Pilotti – Drums
Steve Vawamas – Bass Guitar
Lally Cretella – Guitar
Pier Gonella – Guitar

BELLATHRIX – Facebook

Crawler – Hell Sweet Hell

Hell Sweet Hell è un lavoro mastodontico e bellissimo, consigliato a tutti gli amanti del genere e principalmente degli Edguy/Avantasia, principali fonti di ispirazione del gruppo.

Quindici anni di storia, un passato da cover band dei gruppi storici dell’heavy metal mondiale ed un secondo album di inediti pronto per conquistare i cuori del metallari duri e puri.

Tornano i Crawler, band di Cremona, a distanza di sei anni dal debutto sulla lunga distanza, quel Knight Of The Word che ha ottenuto ottimi riscontri.
Per Valery Records esce questo nuovo lavoro intitolato Hell Sweet Hell, un’ora abbondante su e giù per il metal classico degli ultimi venticinque anni, tra spunti progressivi, piglio epico orchestrale e più di uno sguardo sulla musica scritta da Tobias Sammet (Claudio Cesari, vocalist del gruppo lo si può senz’altro considerare il Sammet nostrano) sia con gli Avantasia che con gli Edguy, oltre ad un cordone ombelicale difficile da tagliare con Iron Maiden e Judas Priest.
Hell Sweet Hell è un album curato, prodotto molto bene con un lotto di brani trascinanti e dal taglio internazionale, assolutamente in grado di tenere botta con le opere provenienti da fuori confine grazie ad un songwriting sopra la media, un cantante davvero bravo e una varietà di atmosfere che offre ad ogni brano una sua identità.
Si passa così dal power metal melodico all’heavy metal tradizionale, dal symphonic power a canzoni dagli ottimi spunti progressivi, con un’altro richiamo importante come quello dei Symphony X.
Ricco di cambi di tempo ed atmosfere, Hell Sweet Hell si fa apprezzare nella sua interezza, non scendendo mai da un elevato ottimo e facendo focalizzare l’attenzione dell’ascoltatore sulla bontà della musica più ancora che sull’ottima tecnica strumentale dei bravissimi musicisti che formano il gruppo.
L’aggressiva e tagliente Dhampyre, la progressiva ed orchestrale The Power Of Magic, il power metal di Neverland e le chitarre hard rock di No Pain, che ricorda i brani più divertenti e pazzi degli Edguy, fanno risplendere la prima parte dell’album, mentre si torna alle atmosfere epiche con The Lair of the Smoking Dragon che precede l’heavy metal classico ed aggressivo della title track.
Drammatica, oscura e progressiva si rivela Akhenaton, degna conclusione dell’album, una traccia metallica e magniloquente che mette la parola fine si di un lavoro mastodontico e bellissimo, consigliato a tutti gli amanti del genere e principalmente degli Edguy/Avantasia, principali fonti di ispirazione del gruppo.
Niente di nuovo? Vero, ma che musica ragazzi!

TRACKLIST
1.Dracarys! (intro)
2.Winter is Coming
3.Dhampyre
4.The Power of Magic
5.Neverland
6.I wait for my Siren
7.No Pain
8.The Eyes and the Dark
9.The Lair of the Smoking Dragon
10.Hell sweet Hell
11.7 Days
12.Akhenaton

LINE-UP
Claudio Cesari – Vocals
Matteo Cattaneo – Guitars
Filippo Severgnini – Guitars
Daniele Mulatieri – Bass
Nicola Martiniello – Drums

CRAWLER – Facebook

Hell’s Crows – Hell’s Crows

Un album spettacolare di power heavy prog metal perfettamente in bilico tra la tradizione europea e quella americana.

Nel nostro paese si continua a fare grande musica metal, molte volte purtroppo poco considerata da fans e addetti ai lavori ma supportata dalle webzine di riferimento che, con volontà e passione, provano ogni giorno a cambiare questo trend tutto italiano.

Si perché una band come gli oscuri, potenti e melodici Hell’s Crows, in Germania (tanto per fare un esempio di terre metalliche) sarebbero sicuramente sulla bocca e nelle orecchie degli amanti dei suoni heavy power, di quelli ricamati come negli ultimi anni di parti progressive che non solo sottolineano la bravura dei musicisti ma donano un tocco nobile al sound dei gruppi.
Niente di nuovo, per carità, ma entusiasmante sì, specialmente quando si parla di schiacciare il pedale a tavoletta, partire sgommando con cavalcate heavy, colme di drammatica oscurità, mentre i corvi pasteggiano sui cadaveri dei più deboli di cuore.
Gli Hell’s Crows avevano già dato prova delle loro capacità nei primi due lavori , il demo licenziato nel 2008 e l’ep Screaming Death uscito due anni dopo, dunque sette anni sono passati prima che gli uccelli infernali tornassero a banchettare sulla terra, questa volta aiutati dalla Valery Records e da un album spettacolare: power heavy prog metal, perfettamente in bilico tra la tradizione europea e quella americana, un passato da band hard rock ed un futuro tra Symphony X, Iron Maiden e Judas Priest, mentre Back To The Future continua a girarmi nella testa, le atmosfere di drammatico metallo americano si alternano alle cavalcate maideniane e alle taglienti chitarre priestiane che animano brani come Fall Of The Divine e Nightmares.
Hanno vita facile gli Hell’s Crows, vista la qualità del songwriting, le intuitive parti progressive che tanto sanno di Symphony X, obbligata parentesi per entrare nei cuori dei defenders del nuovo millennio, ed un vocalist dal talento melodico sopra la media, senza perdere un grammo di quell’attitudine old school che mette d’accordo pure gli ascoltatori più avanti con gli anni (Across The Sea).
All’inno Hell’s Crows è lasciato il compito di concludere l’album e darci l’arrivederci sui palchi di un’estate calda, troppo calda, specialmente se gli uccelli di nero piumato si poseranno sul davanzale della vostra casa.

TRACKLIST
1.Prelude To Decadence
2.Fall Of The Divine
3.Back To The Future
4.Mechanical Quantum
5.Fist Of Steel
6.Sons Of The Wind
7.Nightmares
8.Executioner
9.Across The Sea
10.In The Eyes Of Raider
11.Hell’s Crows

LINE-UP
Randy Rush – Vocal, Guitar
Yuri Fetisov – Lead Guitar
Alan Johns – Bass
Johnny Pezzola – Drums

HELL’S CROWS – Facebook

Don’t Try This – Wireless Slaves

Un esordio che non passerà inosservato quello dei Don’t Try this: un perfetto connubio tra rabbia, potenza e melodia sorprenderà anche l’ascoltatore più esigente.

I Don’t Try This ci provano eccome, con questo disco d’esordio ricco di musica, pensieri ed energia.

Nonostante la band tedesca definisca la propria musica come “Modern-Metal”, devo dire che risulta davvero difficile inquadrarli in un qualche genere di sorta.
Proprio per questa ragione, ho pensato che potrebbe essere un po’ più utile fare una breve analisi delle songs che compongono questo intenso Wireless Slaves.
Il disco si apre con due pezzi molto potenti e diretti, nei quali screaming e growling si alternano a momenti di pura energia, ma anche di una strana quiete apparente (Suffocation e When They Rise); successivamente, i Don’t Try This ci fanno ascoltare qualcosa di più melodico, meno aggressivo grazie a Nothing Is Like Before e My Burden; il colpo di scena lo incontriamo con la piacevole e acustica Falling Deeper, di cui è presente anche la demo registrata nel 2013.
I momenti di melodia continuano attraverso The End of Everything, una delle tracce che ho apprezzato maggiormente per il suo ritornello e il cantato pulito; la potenza della band riprende con la collaborazione di Rudi Schwarzer in I Will Never Forget, di cui troveremo la Piano Version alla fine dell’album; Living A Lie mostra un lato più malinconico e introspettivo del gruppo, un pezzo che permette di tirare un pò il fiato, mentre I.W.N.E. vs. Polytox è un qualcosa di inspiegabile, sembra provenire dai Depeche Mode, molto intensa la presenza di componenti elettronici ad arricchire e “stranire” il sound, non so davvero se fosse necessaria questa canzone.
Wireless Slaves arriva alla fine con due brani (Falling Deeper e The Requiem) tratti dal demo del neanche troppo lontano 2013, utili per dimostrare il progresso generale di questi ragazzi, e I Will Never Forget eseguita magnificamente con il piano.
Ascoltando questo primo lavoro dei Don’t Try This , si nota molto chiaramente quanto la voglia di distinguersi sia tanta, ma anche quanto impegno e studio ci sia dietro tutto questo.
Non si tratta quindi di una decina di canzonette buttate lì solo per dire di aver “scritto un cd”, bensì di un qualcosa di ben strutturato e pensato razionalmente.
Considerando anche la giovane formazione, ritengo che Wireless Slaves si dimostri come una piacevole rivelazione e non posso che incoraggiare il talento dimostrato.
Dovrebbe partire a breve il loro tour, io non me li farei sfuggire se fossi amante del metal più forte, ma comunque ricercato e non solo urlato.

TRACKLIST
01 – Suffocation
02 – When They Rise
03 – Nothing Is Like Before
04 – My Burden
05 – Falling Deeper
06 – The End Of Everything
07 – I Will Never Forget (feat. Rudi Schwarzer)
08 – Living A Lie
09 – I.W.N.F. Vs. Polytox
10 – Falling Deeper (Demo 2013)
11 – The Requiem (Demo 2013) [feat. David Baßin]
12 – I Will Never Forget (Piano Version)

LINE-UP
Carlo Kasanya – voce
Markus Kopitzki – basso
Stephan Renner – chitarra
Philipp Müller – chitarra
René Wähler – batteria

DON’T TRY THIS – Facebook

Malacoda – Ritualis Aeterna

Il gruppo accontenterà gli appassionati del metal elegantemente sinfonico e dalle tinte dark, anche se per uscire dai confini dell’underground servirebbe un colpo d’ala, ma noi ci accontentiamo e promuoviamo i Malacoda.

Un altra band proveniente dal Canada nel mirino di MetalEyes, questa volta con sonorità power sinfoniche e dalle atmosfere gotiche.

Da Oakville (Ontario) arrivano i Malacoda, un quintetto che può annoverare tra le proprie fila il talento di Jonah Weingarten, tastierista dei prog metallers Pyramaze.
Ritualis Aeterna continua nella strada tracciata dal primo album pubblicato nel 2015, con un’affascinante copertina e buone orchestrazioni sinfoniche, viaggiando al ritmo di un gothic power metal dalle tinte horror, molto melodico e a suo modo teatrale, senza forzare troppo sull’aspetto estremo, così da mantenere un appeal discreto anche per chi non è fanatico delle sonorità dalle tinte dark.
Sinfonie di scuola power, molto comuni di questi tempi, si alleano con una forma di teatralità gotica e quindi ne esce un’opera a tratti sontuosa, anche se sviluppata nella durata di un mini cd, ma molte volte questo è più un bene che un male.
E, infatti, Ritualis Aeterna si lascia ascoltare senza patemi, assolutamente perfetto nel coniugare l’horror metal al power di scuola Rhapsody e Kamelot, dunque elegante il giusto e valido nel sostituire l’epicità del gruppo nostrano con atmosfere gotiche.
Penny Dreadful è l’opener perfetta in cui tutto il sound è riassunto in quasi sei minuti di ottima musica metal orchestrale, mentre I Got A Letter è più moderna e dark, quasi ottantiana nel suo amalgamare dark rock e metal classico.
Pandemonium è il brano top dell’ep, con l’alternanza di cori operistici e growl di estrazione death, The Wild Hunt è teatrale e drammatica e la sua atmosfera oscura valica il confine con la seguente Linger Here, ballad dark wave di respiro rock/pop.
Il gruppo accontenterà gli appassionati del metal elegantemente sinfonico e dalle tinte dark, anche se per uscire dai confini dell’underground servirebbe un colpo d’ala, ma noi ci accontentiamo e promuoviamo i Malacoda.

TRACKLIST
1.Penny Dreadful
2.I Got A Letter
3.Pandemonium
5.The Wild Hunt
6.Linger Here
7.There Will Always Be One

LINE-UP
Cooper Sheldon – Bass
Mike Harshaw – Drums
Brad Casarin – Guitars
Lucas Di Mascio – Guitars, Vocals
Jonah Weingarten – Keyboards, Orchestration

MALACODA – Facebook

True Strenght – Steel Evangelist

L’album non mancherà di soddisfare gli amanti del metal classico, tra power, heavy ed epic metal, mentre la battaglia tra gli angeli guerrieri e le forze del male si intensifica ad ogni passaggio.

Alziamo le mani al cielo e diamo il benvenuto sulle pagine di MetalEyes ai True Strenght, band statunitense di heavy power metal dalle tematiche cristiane.

Il christian metal torna a risplendere della luce divina con Steel Evangelist, secondo album del gruppo americano e successore del primo The Cross Will Always Prevail, licenziato nel 2014.
I True Strenght suonano heavy power metal dai natali statunitensi, dunque anche se il sound è meno oscuro si può senz’altro parlare di U.S. metal di qualità, a prescindere dal credo dei musicisti
Steel Evangelist è composto da dieci brani per settanta minuti di metal devoto a Gesù Cristo, e il trio capitanato da Ryan “The Archangel” Darnell (basso, voce e chitarra) mette sul piatto un album di metal epico, ricco di cavalcate dai crescendo maideniani e da un approccio old school.
Leggermente prolisso, l’album non mancherà di soddisfare gli amanti del metal classico, tra power, heavy ed epic metal, mentre la battaglia tra gli angeli guerrieri e le forze del male si intensifica ad ogni passaggio.
Josh Cirbo alla sei corde e Ryan Mey alle pelli aiutano il leader nella sua missione, mentre una alla volta Cilician Gates, l’inno maideniano Gabriel The Archangel e la lunga Blood Waters The Cedars Of schiudono all’ascolto il pensiero musicale del gruppo americano.
Licenziato dalla Roxx Records , l’album contiene buona musica metallica dai richiami classici e, quindi, per i fans dell’heavy metal americano un ascolto è senz’altro consigliato.

TRACKLIST
1.No Cheek Left to Turn
2.Steel Evangelist
3.Cilician Gates
4.Don’t Take the Mark of the Beast
5.The Fall of the Ripest Apple
6.Gabriel the Archangel
7.Woe to the Sons of Ishmael
8.Blood Waters the Cedars of Lebanon
9.Twenty-One Martyrs Clothed in Orange
10.The War We Fight

LINE-UP
Ryan “The Archangel” Darnell – Bass, Guitars (rhythm), Vocals (lead)
Ryan Mey – Drums
Josh Cirbo – Guitars (lead)

TRUE STRENGTH – Facebook