Athlantis – Chapter IV

Un album che si fa ascoltare dall’alto di una freschezza compositiva d’alto rango, ricco di suadenti linee vocali e composto di un lotto di brani che mantengono alta l’attenzione dell’ascoltatore

La scena metal ligure di stampo classico gira attorno ad una manciata di musicisti dal gran talento che, a distanza di poco tempo uno dall’altro, creano grande musica con progetti nuovi o ritorni di un certo spessore come gli Athlantis di Steve Vawamas, bassista di Mastercastle, Ruxt, Bellathrix, ed ex Shadows Of Steel.

Il gruppo nacque per volere del bassista nell’ormai lontano 2003, aiutato da un paio di nomi storici della scena come Roberto Tiranti e Pier Gonella con un debutto licenziato dalla Underground Symphony.
Nel corso degli anni il progetto si è avvalso delle performance di Trevor e Tommy Talamanca dei Sadist, oltre ad altri musicisti che hanno dato il loro contributo, arrivando così ai giorni nostri e alla realizzazione di un nuovo album, questo gioiellino power / hard dal titolo Chapter IV.
Insieme allo storico bassista e mente del progetto troviamo quella macchina da guerra che corrisponde al nome di Pier Gonella, infaticabile ed insostituibile guitar hero, il batterista degli Extrema Francesco La Rosa, Gianfranco Puggioni alla chitarra ed il bravissimo singer dei Lucid Dream Alessio Calandriello.
Ma le sorprese non finiscono qui, ed in qualità di ospiti Chapter IV si avvale delle performance di Roberto Tiranti, Dave (Drakkar) e Francesco Ciapica.
Registrato ai Music Art Studio di Pier Gonella e pubblicato dalla Diamonds Prod, l’album nulla aggiunge e nulla toglie alla qualità delle opere che questo gruppo di musicisti ha creato nel corso del tempo, aggiungendo un altro affresco di musica metallica raffinata e nobile, straordinariamente melodica ed assolutamente sopra la media.
La musica degli Athlantis a mio parere è quella che si avvicina di più a quella che porta la firma dei Labirynth, anche se sapientemente i musicisti la modellano con atmosfere hard rock e qualche spunto riconducibile al power metal melodico scandinavo di metà anni novanta.
Su Pier Gonella abbiamo sprecato inchiostro per tesserne le lodi relativamente ai numerosi progetti a cui ha partecipato, ma questa volta mi piace sottolineare, oltre all’ottimo songwriting, la prova di Calandriello, splendido interprete sugli album dei Lucid Dream e qui ancora una volta ispiratissimo, tanto da non sfigurare vicino a colleghi più famosi come per esempio Roberto Tiranti.
Un album che si fa ascoltare dall’alto di una freschezza compositiva d’alto rango, ricco  di suadenti linee vocali e composto di un lotto di brani che mantengono alta l’attenzione dell’ascoltatore, ancora una volta messo all’angolo dalla bravura di questi musicisti della riviera ligure.
Il singolo Master Of Fate, la successiva e trascinante Ronin, l’heavy metal classico che accompagna la cavalcata power The Endless Road, le chitarre hard rock di Reset sono gli attimi più avvincenti di un album bello e trascinante, un altro gioiello nato in riva al Mar Ligure.

TRACKLIST
01 – The Terror Begins
02 – Master Of My Fate
03 – Ronin
04 – Our Life
05 – The Endless Road
06 – Crock Of Moud
07 – Face Your Destiny
08 – Just Fantasy
09 – Reset
10 – The Final Scream

LINE-UP
Steve Vawamas – Bass
Pier Gonella – Guitars
Francesco La Rosa – Drums
Ginfranco Puggioni – Guitars
Alessio Calandriello – Vocals

ATHLANTIS – Facebook

Ironbite – Blood & Thunder

Un buon album, magari fuori tempo massimo e da consumare se avete qualche primavera in più, ma in tempi di valorizzazione dei suoni old school, anche il sound degli Ironbite troverà senz’altro degli estimatori.

Un’altra proposta interessante da parte della label tedesca STF, con il terzo album degli Ironbite, metal band attiva da quasi dieci anni e con due lavori autoprodotti alle spalle, No Fate (2009) e Rise And Fall” (2012).

Blood & Thunder segue l’ormai consolidato sound del gruppo, un hard & heavy classico, irrobustito da potenza power, old school nell’approccio e senza compromessi per piacere ai metallers duri e puri, sopravvissuti agli ultimi tre decenni di musica metal, con i piedi ben saldi negli anni ottanta.
Musica da motociclisti, metal on the road ed inni da raduni, Blood & Thunder è ricco di atmosfere che riconducono a questo stile di vita, ed il sound ripercorre le strade mangiate a ritmo di Accept, Saxon e qualche accenno maideniano, nei solos e in qualche riff, sparso per questo piccolo altare eretto per glorificare l’hard & heavy ignorante e diretto.
Il quintetto tedesco non si risparmia, e i brani colmi di attitudine da rockers navigati, sono l’emblema di un certo tipo di fare hard rock, tra metal e rock ‘n’ roll, meno punk di quello dei Motorhead e più vicino alla new wave of british heavy metal.
Tra le tracce, spiccano la cavalcata The Doomsayer, la seguente Moonshine Dynamite che ricorda i Thin Lizzy, il mid tempo su cui è strutturata la potente Hellride e la conclusiva Hammer Of Justice, dal riff sassone e orgogliosamente epica.
Un buon album, magari fuori tempo massimo e da consumare se avete qualche primavera in più, ma in tempi di valorizzazione dei suoni old school, anche il sound degli Ironbite troverà senz’altro degli estimatori.

TRACKLIST
1.A Glorious Mess
2.Keep the Rage
3.Unleashed
4.D.E.A.D.B.E.A.T
5.The Doomsayer
6.Moonshine Dynamite
7.When Blood Runs Cold
8.Behind the Mask of a Faceless Man
9.Hellride
10.Black Death
11.Hammer of Justice

LINE-UP
Lucas Schmidt – Guitar
Danilo Licht – Guitar
Niklas Litzrodt – Bass
Samuel Sachse – Drums
Sebastian Sachse – Vocals

IRONBITE – Facebook

Athrox – Are You Alive?

Una band che al primo album se ne esce con una tale bordata non può che essere seguita con estrema attenzione, e tra l’altro pare sembra che sia già pronto un nuovo lavoro … ne vedremo delle belle.

Si continua imperterriti a suonare heavy metal di ottima qualità nell’underground nostrano, una musica che ha mille modi per essere interpretata e vissuta, dagli Usa al Regno Unito, dall’Asia al centro del nostro bistrattato stivale (nella fattispecie Grosseto).

E’ appunto dalla città toscana che arrivano gli Athrox, giovane gruppo formato nel 2014 e che debutta per Red Cat con Are You Alive?, una mazzata di power thrash devastante, un ritorno al metal staunitense con la M maiuscola:
il quintetto si affaccia senza indugi sulla scena metallica, con un album davvero ispirato, una produzione che ne esalta la potenza, un singer di razza e chitarre che lanciano il loro drammatico grido di battaglia tra ritmiche thrash, solos fiammeggianti ed arpeggi acustici, che stemperano i watts ma non la tensione.
Non c’è tregua in Are You Alive?: i brani, uno dopo l’altro, sono mitragliate power thrash che non fanno prigionieri, mentre il meglio della scuola statunitense ci passa davanti come in una metallica passerella.
Gli argomenti trattati, tutti d’attualità e di denuncia verso i mali che affliggono il genere umano, sono accompagnati dalla devastante potenza drammatica ed oscura della scuola a stelle e strisce, e diventa difficile scegliere un brano piuttosto che un altro tanto è alto il livello di questo lavoro.
Frozen Here,  Warstorm e Gates Of Death sono il fantastico trittico iniziale, una bomba sonora che lascia senza fiato, con Crimson Glory, Metal Church e Vicious Rumors a rappresentare le fonti di ispirazione degli Athrox, mentre  End Of Days e la title track si elevano ad esempi fulgidi della qualità insita nel metal suonato dal gruppo.
Una band che al primo album se ne esce con una tale bordata non può che essere seguita con estrema attenzione, e tra l’altro pare sembra che sia già pronto un nuovo lavoro … ne vedremo delle belle.

TRACKLIST
1. Losing Your Gods
2. Frozen Here
3. Warstorm
4. Gates of Death
5. Remember the Loneliness
6. Pretend You
7. My Downfall
8. Waiting for the Eden
9. End of Days
10. Are You Alive?
11. Obsession

LINE-UP
Giancarlo Picchianti – Vocals
Sandro Seravalle – Guitars
Francesco Capitoni -Guitars
Andrea Capitani – Bass
Alessandro Brandi – Drums

ATHROX – Facebook

Heaven’s Guardian – Signs

Signs non va oltre la sufficienza, rimanendo un album confinato nel limbo dei lavori piacevoli ma facilmente dimenticabili, poco per un gruppo nato nel secolo scorso.

La Pure Steel si prende carico della distribuzione del nuovo album dei brasiliani Heaven’s Guardian prodotto dalla Megahard Records.

Il gruppo sudamericano non è certo di primo pelo nella scena power metal, la sua attività iniziata nel 1999 l’ ha portato ad incidere due full length nei primi anni del nuovo millennio, per poi finire nel limbo e tornare dopo più di dieci anni con Signs, album che porta con se una novità importante, l’ affiancamento di una voce femminile (Olivia Bayer) al singer Flavio Mendez ed una sterzata verso i lidi sinfonici tanto cari alle band attuali.
Dunque gli Heaven’s Guardian, con una line-up attuale composta da ben sette musicisti, tornano con questo nuovo lavoro che, pur con tutti i migliori propositi, non riesce ad uscire dall’anonimato.
Anche Signs infatti rimane imprigionato nel novero degli album discreti ma nulla più, scontati nelle soluzioni orchestrali ormai abusate da centinaia di band , poco incisivo e ripetitivo nelle ritmica e con un songwriting che non decolla.
I duetti tra le due voci non alzano l’ appeal dei brani che non vanno più in la del compitino, anche se almeno il suono esce pulito e qualche assolo riesce a rompere un po’ la monotonia del disco.
Peccato, e anche l’appoggio della Pure Steel non so quanto giovamento porterà al gruppo brasiliano: a mio parere l’album a tratti non risulta né carne né pesce, troppo spostato sui mid tempo per piacere ai fans del power, ma anche eccessivamente metallico per chi assaporava qualche spunto symphonic gothic in più ed invece deve attendere invano fin quasi allo scoccare dell’ora di durata.
Signs non va oltre la sufficienza, rimanendo un album confinato nel limbo dei lavori piacevoli ma facilmente dimenticabili, poco per un gruppo nato nel secolo scorso.

TRACKLIST
1. Religion
2. Time
3. Strength
4. Journey
5. Fantasy
6. Dream
7. Change
8. Passage
9. War
10. Silence

LINE-UP
Olivia Bayer – vocals (female)
Flávio Mendez – vocals
Luiz Maurício – guitars
Ericsson Marin – guitars
Everton Marin – keyboards
Murilo Ramos – bass
Arthur Albuquerque – drums

HEAVEN’S GUARDIAN – Facebook

Gravebreaker – Sacrifice

Il lotto di brani presentati convince a più riprese, specialmente quando l’heavy metal più diretto viene attraversato da riusciti interventi tastieristici dal piglio horror.

Se la missione delle tante webzine metal sparse per il mondo è quello di supportare quei gruppi che non troveranno mai spazio nelle pagine delle riviste più cool o sui canali satellitari, non si può prescindere dalla ormai consolidata (almeno nell’underground) corrente old school che, come un fiume in piena, sta attraversando questo ultimo periodo della storia metallica.

In tutti i generi, dal metal estremo a quello classico, sono sempre di più i gruppi che portano avanti un discorso musicale per pochi, ma appassionati cultori di queste storiche sonorità.
I risultati sono altalenanti, è giusto dirlo, ma non mancano le sorprese come questo Sacrifice, album di debutto degli svedesi Gravebreaker, trio di Goteborg che, in barba alla tradizione estrema della loro città, debuttano con questo gioiellino di heavy metal old school, oscuro, consolidato nella trazione ottantiana ma molto affascinante.
Sacrifice è un lavoro che non lascia dubbi sulla volontà del gruppo di riportare un certo tipo di suoni alle orecchie dei true metallers e, chi tra di voi ha superato abbondantemente gli anta, ritroverà tutte le caratteristiche che li hanno fatti innamorare del metal.
Troviamo quindi una produzione perfetta per assaporare le atmosfere horror che si fanno spazio tra l’heavy metal tradizionale, a metà strada tra Accept e Motorhead, un pizzico di sound sassone e sfumature Mercyful Fate/King Diamond, impreziosite da poche ma riuscite escursioni nel sound sabbathiano degli anni ottanta.
Il tutto va a comporre un’opera molto affascinante e il lotto di brani presentati convince a più riprese, specialmente quando l’heavy metal più diretto viene attraversato da riusciti interventi tastieristici dal piglio horror.
Bellissima per esempio la title track, dai toni che ricordano i Death SS, altra importantissima ispirazione per la band, e la conclusiva Messenger Of Death, picco creativo dei Gravebreaker che si lasciano impossessare dal demone del Re Diamante e sfornano una song eccellente.
Un album del quale nel nostro paese probabilmente se ne troveranno pochissime tracce, un motivo in più per seguirci in questa ricerca delle più nascoste perle dell’underground metallico.

TRACKLIST
1. Overdrive
2. Sacrifice
3. Gravebreaker
4. At The Gates Of Hell
5. Violent City
6. Kill And Kill Again
7. Road War 2000
8. Pray For Death
9. Spellbound
10. Messenger Of Death

LINE-UP
Nightmare – vocals
Fury – guitar , bass
Devastation – drums

GRAVEBREAKER – Facebook

Crohm – Humanity

Bersaglio centrato in pieno per la band valdostana con Humanity, che si rivela un buon esempio di metal vecchia scuola.

Attivi addirittura da metà anni ottanta, i Crohm sono uno dei gruppi storici nati in Valle d’Aosta ed uno dei primi in assoluto a suonare heavy metal nella splendida regione racchiusa tra le vetti più elevate delle Alpi.

Dopo un lungo silenzio ed il ritorno tre anni fa con Legend and Prophecy, album composto da brani storici
ri-arrangiati per l’occasione, il nuovo album intitolato Humanity rappresenta un nuovo inizio mantenendo sempre ben alta la bandiera dell’heavy metal, con l’aggiunta di un impatto dal groove micidiale.
L’album è stato registrato da Giulio Capone (Temperance), il quale si è anche occupato di mix e mastering, mentre il gruppo si è affidato ad una campagna di crowdfunding sulla piattaforma Musicraiser, dove amici e fans possono partecipare attivamente ai progetti di ciascuna band.
Humanity suona grezzo e aggressivo, con il suo hard & heavy alla massima potenza, il groove a portare un tocco leggermente moderno alle composizioni, assoli che nascono nella new wave of british heavy metal e alternanza ben congeniata tra brani diretti, e cavalcate maideniane che sono il fiore all’occhiello di questo lavoro (Insatiable).
I Crohm non sentono il perso degli anni, i tre rockers che diedero vita al progetto tanti anni fa (il singer Sergio Fiorani, il chitarrista Claudio Zanchetta ed il bassista Riccardo Taraglio), sono affiancati in questa avventura dal batterista Fabio Cannatà e dal chitarrista ritmico Diego Zambon: al grido di keep your dragon alive (KYDAH) ci investono con tutta la loro carica metallica, tra heavy metal classico e thrash, coinvolgendo non poco, merito di un lotto di brani potenti, onesti e carichi di passione per una musica immortale.
La band valdostana offre accelerate thrash e mid tempo ricchi di groove, con un sound tra Iron Maiden e Saxon, un gran lavoro chitarristico ed un cantante che sa il fatto suo, portandoci a spasso nel mondo dell’hard & heavy grazie a tracce come The Call, Lost Soul e l’eccellente Fields Painted Red.
I Crohm centrano in pieno il bersaglio con Humanity, un buon esempio di metal vecchia scuola da non perdere per alcun motivo.

TRACKLIST
1. Alien
2. The Call
3. The Dark Side
4. Nothing Else
5. Insatiable
6. Lost Soul
7. Fields Painted Red
8. The Noise of Silence
9. Run for your Life (The Escape)
10. Town after Town

LINE-UP
Sergio Fiorani – Lead vocal
Claudio Zac Zanchetta – Lead guitar, background vocal
Riccardo Taraglio – Bass, background vocal
Diego Zambon – Rythm guitar
Fabio Cannatà – Drums

CROHM – Facebook

Muro – El Cuarto Jinete

Il trono in Spagna è ancora di quei ragazzi che un giorno a Vallecas portarono musica veloce e che non si sono ancora fermati.

Nuovo disco dalla genesi tormentata per i pionieri spagnoli dell’heavy e speed metal.

I Muro nacquero nel 1981 nel quartiere di Vallecas, patria del Rayo Vallecano e dell’heavy metal, infatti i nostri con l’epico Acero Y Sangre, live album del 1986, fecero sentire uno dei primi prodotti di marca ispanica in campo heavy e speed. Il loro suono da quel tempo non è mutato di una virgola, anzi si è notevolmente potenziato, e i Muro su disco e dal vivo sono una macchina da guerra, di quelle che non fanno prigionieri. Negli anni i duemila si erano sciolti, ma per fortuna nel 2009 vi era stata la riunione della formazione originaria, e da lì le cose sono andate avanti. Nel 2013, con El Cuarto Jinete ultimato, lo storico cantante Silver ha scelto di dividere il suo destino da quello del gruppo, e gli spagnoli hanno preso con loro la validissima cantante Rosa, anche se nel disco la voce è ancora quella di Silver. A parte tutte le vicissitudini rimane la musica e El Cuarto Jinete è un disco molto bello di heavy metal e speeed metal, fatto con estrema passione, con una produzione che riesce a mettere in risalto la classe dei Muro, che anche grazie al loro cantato in spagnolo sono davvero unici. El Cuarto Jinete è una perfetta sintesi di ciò che dovrebbe essere un disco di heavv metal con una fortissima impronta speed, velocità, concretezza ed epicità, ma senza troppa retorica. Dalla prima all’ultima canzone non si vive un momento di calma o di abbassamento dell’elettricità, e i Muro fanno capire che non sono per nulla intenzionati a sparire, ma sono ben presenti anche più di prima, tant’è che sono anche andati in tour in America.
Il trono in Spagna è ancora di quei ragazzi che un giorno a Vallecas portarono musica veloce e che non si sono ancora fermati.

TRACKLIST
1. Apocalipsis 6,2
2. El Cuarto Jinete
3. Otra Batalla
4. Maldito Bastardo
5. Sobrevivir
6. En el Ojo del Huracán
7. La Voz
8. Hermanos de Sangre
9. Honorable
10. Muero por ti
11. Fratricidio
12. Kill the King (Rainbow cover)

LINE-UP
Lapi – Drums
Largo – Guitars
Julito – Bass
Silver – Vocals

MURO – Facebook

Angel Martyr – Black Book: Chapter One

Chapter One è consigliato ai defenders dai gusti tradizionali, che troveranno di che crogiolarsi tra le cavalcate fiere ed epiche create dal trio toscano.

Debutto sulla lunga distanza per gli speed/power metallers Angel Martyr, trio toscano che porta, tramite Iron Shield, una ventata di metallo classico, old school, fiero ed epico il giusto per inorgoglire i defenders di lunga data.

Il gruppo nasce dalle ceneri dei Wraith’sing, band attiva già dal 2006 dopo quattro anni di attività, purtroppo sempre condizionato dai numerosi cambi di line up: il trio dal nuovo monicker trova stabilità nel corso degli anni con il sempre presente Tiziano “Hammerhead” Sbaragli (ex Etrusgrave), chitarra e voce, il bassista Dario “Destroyer Rostix” Rosteni ed il batterista Francesco Taddei.
Black Book: Chapter One, segue di due anni l’ep Black Tales – Prelude e continua a raccontare di battaglie epiche e storie fantasy, mentre l’heavy metal ottantiano si potenzia di energia power e velocità speed, a tratti sostenuta anche se non mancano mid tempo e cavalcate di matrice maideniana.
Trame acustiche spezzano l’assalto sonoro ed il clima da battaglia delle canzoni, che portano con se tutta la fierezza del metal classico.
Il sound prodotto dal gruppo, che nell’album raggiunge l’apice nelle notevoli Eric The Conqueror e On The Divine Battlefield (che ricorda con il suo flavour scozzese le atmosfere di Tunes Of War, capolavoro dei Grave Digger), è di fatto un esempio di new wave of british heavy metal, dove non poca importanza hanno gli insegnamenti del maestro Steve Harris riletti in versione speed/power, quindi si sprecano tra lo spartito veloci cavalcate, ritmiche sparate, mid tempo di orgoglioso metallo pesante e tutta la serie di ingredienti per fare di un album heavy metal un manifesto di epica fierezza.
Iron Maiden, power metal di scuola tedesca, accenni all’epic metal classico e tanta attitudine e passione: se vi considerate veri defenders, Black Book: Chapter One è l’opera metallica che fa per voi.

TRACKLIST
1. Obsequies
2. They. … Among Us
3. Victims
4. Eric The Conqueror
5. Midnight Traveller
6. Turn On The Fire
7. Pirate Song
8. On The Divine Battlefield
9. Angel Martyr

LINE-UP
Francesco Taddei – drums
Dario Rosteni – bass
Tiziano Sbaragli – vocals, guitars

ANGEL MARTYR – Facebook

Vatican – March Of The Kings

March Of The Kings si rivela uno dei migliori motivi per amare ancora l’heavy metal di stampo classico.

La missione della Pure Steel Records nel riproporre gruppi nati negli anni ottanta e poi persi nei meandri dell’underground continua con il trio dei Vatican.

Come molte realtà portate all’attenzione dei fans del metal old school dalla label tedesca, il gruppo di Cleveland iniziò la sua attività proprio a metà degli anni d’oro per il metal classico, sia in Europa che nel nuovo continente, incidendo quattro demo tra il 1986 ed il 1990.
Poi il lungo letargo fino al 2014, anno del ritorno sul mercato con una compilation che serviva da preludio al nuovo album e prima vera prova sulla lunga distanza.
La line up vede il chitarrista Vince Vatican affiancato dal bassista e cantante Brain Mcnasty e dal batterista Vic Gribouski, così che March Of The Kings può sicuramente essere considerato un nuovo principio per le sorti metalliche dei Vatican, i quali risultano una più che ottima band di heavy metal dai rimandi classici, tra tradizione statunitense ed heavy britannico.
Tra queste due anime si sviluppa il sound del gruppo, con  il metal europeo che si unisce al power americano, facendone uscire dieci esplosivi brani dove il leader fa faville con la sei corde, ed il cantante passa con disinvoltura tra timbrica halfordiana e aggressività metallica.
Quaranta minuti circa ottimamente sfruttati, tanto che l’album non vede tregue qualitative, con una manciata di gioielli che alzano il livello di un lavoro suonato con la dovuta esperienza, magari con qualche soluzione di maniera frutto appunto della lunga militanza dei protagonisti sulla scena, ma perfetti per non perdere la bussola e mantenere l’attenzione dell’ascoltatore,
E così tra solos sferzanti, mid tempo dal taglio epico e tanta aggressività, le varie Alive To The Grave, Mean Steak e Waysted  continuano la tradizione dell’heavy metal classico, per i defenders con qualche anno in più sul groppone, ma anche per i giovani dal cuore d’acciaio.
Un buon ritorno, dunque, per il trio americano: March Of The Kings si rivela uno dei migliori motivi per amare ancora l’heavy metal di stampo classico.

TRACKLIST
1. Alive To The Grave
2. Deadly Wind
3. Running
4. Mean Streak
5. Falling From Grace
6. Waysted
7. Fears Garden
8. Die A Heart Attack
9. Corruption
10. Opus #9

LINE-UP
Brain McNasty – vocals, bass
Vince Vatican – guitars
Vic Gribouski – drums

VATICAN – Facebook

Stamina – System Of Power

System Of Power è un altro centro pieno, meritevole di una maggiore attenzione, confermando gli Stamina come una delle migliori realtà nostrane nel genere.

Tornano i Royal Hunt Italiani, i campani Stamina, con un nuovo ottimo lavoro sempre incentrato su un power prog metal che si rifà ai maestri danesi, anche se non manca sicuramente al gruppo la personalità per trovare una propria dimensione.

D’altronde System Of Power è ormai il quarto full length , successore del bellissimo Perseverance uscito tre anni fa, e che vede un cantante in pianta stabile nella persona di Alessandro Granato, un nuovo bassista, Mario Urcioli, ed un session per la batteria, Andrea Stipa, tutti a girare intorno al duo storico formato dal chitarrista Luca Sellitto e dal tastierista Andrea Barone.
La band si presenta così con un album più aggressivo rispetto al passato, certo i cori alla Royal Hunt e le fughe tastieristiche fanno parte del sound ormai consolidato del gruppo che elegantemente disegna arabeschi di musica elegantemente progressiva, con la sei corde che spinge sulla parte neoclassica in molti frangenti dell’ album, accompagnando i tasti d’avorio in ghirigori barocchi, ma colpendo d’incanto l’ascoltatore con ritmiche ruvide e dai rimandi thrash.
Il tutto lascia sempre quell’alone di nobiltà insito nella musica della band, che gioca con l’AOR ed il power a suo piacimento tra le note magniloquenti di un lotto di brani entusiasmanti.
La prova del nuovo vocalist è da applausi, così come per tutti i protagonisti, ma per una volta (anche se il genere lo impone) lasciamo che sia la musica magnificamente regale del gruppo campano a parlare, con i suoi quarantacinque minuti di fughe tastieristiche e cori dal talento melodico neanche troppo distante dalle fonti di ispirazione del gruppo, così come il songwriting che fa risplendere perle musicali come Must Be Blind, One In A Million, Love Was Never Meant To Be e l’irresistibile Why, brano Royal Hunt fino al midollo, ma stupendo esempio dell’eleganza e raffinatezza del metal suonato dagli Stamina.
System Of Power è un altro centro pieno, meritevole di una maggiore attenzione, confermando gli Stamina come una delle migliori realtà nostrane nel genere.

TRACKLIST
1.Holding On
2.Must Be Blind
3.One In A Million
4.Undergo (Black Moon Pt.2)
5.Love Was Never Meant To Be
6.System Of Power
7.Why
8.Portrait Of Beauty

LINE-UP
Alessandro Granato – vocals
Luca Sellitto – guitars
Andrea Barone – keyboards
Mario “Uryo” Urciuoli – bass

Andrea Stipa – drums
Jacopo Di Domenico – backing vocals
Donata Greco – flute
Giulia Silveri – cello

STAMINA – Facebook

Lunar Shadow – Far From Light

Il songwriting degno di una grande band e l’ottima tecnica strumentale fanno di quest’opera un gioiello epico che i fans di Solstice, Warlord, Slough Feg e del metal classico in generale non possono assolutamente perdersi.

Affascinante esordio sulla lunga distanza per questa giovane band tedesca, al secolo Lunar Shadow, in uscita per Cruz Del Sur  con Far From Light, un bellissimo esempio di heavy metal old school, epico e melodico.

Puntano tutto sulle atmosfere i Lunar Shadow e fanno bene, visto l’ottimo risultato ottenuto grazie ad emozionanti passaggi acustici, cavalcate metalliche dall’incedere epico e un uso delle melodie che, partendo dalla splendida voce di Alex Vornam per passare ad intrecci chitarristici sopra le righe, portano Far From Light ad un giudizio più che lusinghiero.
Metallo forgiato negli anni ottanta, puro come l’acqua di sorgente da dove si dissetano gli dei, il sound del gruppo tedesco, fino ad ora sul mercato con il solo ep Triumphator uscito un paio di anni fa, ha del sorprendente per intensità ed per un’epicità che non va mai oltre il buon gusto, lasciando all’heavy metal classico il compito di portare la band verso la battaglia a colpi di spade e scudi, mentre la ricerca del sacro graal del metal old school si ferma davanti alla grotta illuminata, raffigurata nella splendida copertina che sa tanto di primi Candlemass.
Ma il paragone con la famosa doom metal band si ferma qui: i Lunar Shadow fanno heavy metal puro ed incontaminato, fiero nelle trame di Hadrian Carrying Stones o gli intrecci acustici della superba The Hour Of Dying, la cavalcata metallica di The Kraken che lascia spazio ad atmosferici passaggi acustici per poi esplodere in fiammeggiante metallo, mentre i minuti passano (l’album dura un’ora scarsa), e l’alta qualità non scende, mantenendo Far From Light su livelli davvero alti per il genere.
Un songwriting degno di una grande band e l’ottima tecnica strumentale, fanno di quest’opera un gioiello epico che i fans di Solstice, Warlord, Slough Feg ed il metal classico in generale non possono assolutamente perdersi.

TRACKLIST
1. Hadrian Carrying Stones
2. They That Walk The Night
3. Frozen Goddess
4. Gone Astray
5. The Hour Of Dying
6. The Kraken
7. Cimmeria
8. Earendil (Gone Are The Days)

LINE-UP
Max ‘Savage’ Birbaum – Lead Guitar
K. Hamacher – Guitars
S. Hamacher – Bass Guitar
A. Vornam – Vocals
J. Zehner – Drums

LUNAR SHADOW – Facebook

Sanctuary – Inception

Inception potrà a molti sembrare un’operazione volta a riempire il tempo necessario al gruppo per creare il nuovo album, ma è indubbio che il valore di queste composizione vada ben oltre la classica operazione nostalgica.

Come ogni leggenda che si rispetti, anche la storia dei Sanctuary di Warrel Dane e Lenny Rutledge si avvolge di mistero ed un pizzico di magia.

E l’ultimo capitolo della storia di questa storica band statunitense vede il chitarrista ripulire il proprio magazzino e, tra cianfrusaglie e vecchi ricordi, trovare quello che è il sacro Graal della band e di una buona fetta dell’US power metal, i nastri su cui l’allora giovane gruppo incise quello che in gran parte andò a formare il primo entusiasmante album dei Sanctuary, Refuge Denied.
Quello che poi la storia vide scritto fu un secondo album altrettanto fondamentale (Into The Mirror Black, 1990) ed un lungo silenzio fino al 2014 con il ritorno con un album di inediti intitolato The Year the Sun Died.
Ma torniamo a questa monumentale raccolta ed alla sua storia che porta i Sanctuary, dopo il ritrovamento, ad affidare i preziosi nastri al produttore Chris “Zeus” Harris (Queensryche, Hatebreed), il quale trasforma la musica di cui si compongono in canzoni prodotte perfettamente, in linea con il metal del nuovo millennio, così da poter godere in toto della bravura di questa straordinaria band.
Accompagnato dalla copertina di Ed Repka, che richiama senza mezzi termini quella del primo album del gruppo, Inception potrà sembrare a molti un’operazione volta a riempire il tempo necessario al gruppo per creare il nuovo album, ma è indubbio che il valore di queste composizione vada ben oltre la classica operazione nostalgica.
Detto del gran lavoro fatto da Harris, in modo che il tutto non appaia la classica demo che fa a pugni con le nostre orecchie abituate alle produzioni moderne, l’album ci presenta la band al massimo della forma, magari leggermente acerba, ma con un Dane sugli scudi, teatrale e nervoso, sospinto da una carica selvaggia indomabile, ed una serie di brani che sono storia del metal statunitense alla pari con i primi lavori di Queensryche e Metal Church.
Le due tracce inedite sono all’altezza di quelle conosciute e finite su Refuge Denied: teatrali, drammatiche ed oscure, in perfetta linea con il metal suonato negli anni ottanta e diventato una tradizione classica dell’ America hard & heavy.
Curato in ogni dettaglio, Inception è accompagnato da un libretto con foto e notizie sulla scena metal di Seattle, prima che camicioni di flanella e jeans strappati arrivassero a mettere nell’ombra giubbotti di pelle e polsini borchiati.

TRACKLIST
1. Dream Of The Incubus
2. Die For My Sins
3. Soldiers Of Steel
4. Death Rider / Third War
5. White Rabbit (Jefferson Airplane cover)
6. Ascension To Destiny
7. Battle Angels
8. I Am Insane
9. Veil Of Disguise

LINE-UP
Lenny Rutledge – Guitars
Warrel Dane – Vocals
Dave Budbill – Drums
George Hernandez – Bass
Nick Cordle – Guitars (live)

VOTO
8.50

URL Facebook
http://www.facebook.com/sanctuaryfans

Animae Silentes – Suffocated

Arriva il disco d’esordio per gli Animae Silentes, band che nasce da cinque musicisti non proprio sconosciuti, ma che ci faranno scoprire la loro idea di dark-goth metal. Un album completo e ben fatto.

Gli Animae Silentes sono una band di recente formazione ma i cui componenti hanno già alle spalle una notevole gavetta.

Per farla breve e conoscerli meglio: il cantante Alessandro Ramon Sonato, già parte dei Chrome Steel (Judas Priest Tribute) e Bad Sisters, oltre a essere ex Hollow Haze e Crying Steel, e il bassista Tomas Valentini, che molti conosceranno come membro degli Skanners, danno il “la” a questo nuovo progetto, avendo ben chiare le idee in merito a stile e genere nel giugno del 2015.
Come se non bastassero le menti geniali, ecco arrivare il chitarrista Giovanni Scardoni (Chrome Steel, ex Ground Control) e Riccardo Menini (Dirty Fingers); infine, il batterista Cristian Bonamini (Alcstones, Romero).
Tutta questa esperienza accumulata e il talento naturale vengono condensati nel loro disco d’esordio Suffocated, un lavoro pulito e intenso, ma anche a tratti cupo e dark.
Il tutto inizia con la classica breve Intro che include un temporale, con tanto di corvi e una bella chitarra a farla da padrona; Burning in Silence è il vero punto di partenza, uno dei pezzi più melodici e piacevoli, seguono Purgatorium ed Eville, le quali insieme a Madman Town, mostrano la parte un po’ più rock degli Animae Silentes.
L’aspetto più dark lo incontriamo in Nothing Else to Remind (molto intensa) e Illusion, al limite del gothic di qualche tempo fa, che mi hanno ricordato gli Amorphis dell’album Tuonela; Save, Desperation Road e Lost in My Soul riprendono note più orecchiabili, ma senza mai cadere nella banalità; per concludere, troviamo Suffocated che, paradossalmente, è quella che mi è piaciuta un po’ meno.
Uno dei punti di forza degli Animae Silentes è la bravura di Rock Ramon al microfono, il quale riesce ad interpretare con scioltezza qualsiasi stile senza perdersi e senza risultare eccessivo, cosa che può tranquillamente accadere se spingi troppo con lo screaming o il growling, e naturalmente anche gli altri non sono da meno.
Insomma, Suffocated è un disco da avere perché suonato da chi la musica la sa fare e ci mette davvero il cuore.
Potrebbe non piacere a tutti il genere in questione, ma è indubbio il fatto che si tratti di un esordio con i fiocchi.

TRACKLIST
1 Intro
2 Burning In Silence
3 Purgatorium
4 Eville
5 Nothing Else To Remind
6 Illusion
7 Save Me
8 Desperation Road
9 Madman Town
10 Lost In My Soul
11 Suffocated

LINE-UP
Rock Ramon – voice
Tomas Valentini – Bass guitar
Riccardo Menini – Guitar
Giovanni Scardoni – Guitar
Cristian Bonamini – Drum

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Nighon – The Somme

Il ritorno dei finlandesi Nighon sarà una piacevole riscoperta per tutti gli appassionati del genere e non. Una combo di voci tra melodia e potenza, testi impegnati e non banalità. Bentornati ragazzi.

I Nighon, band finlandese formatasi nel 2008, è arrivata al suo secondo album in studio che, come ben sostiene il detto popolare, è il più difficile da realizzare nella carriera di un artista.

C’è anche da dire che il fatto di aver condiviso il palco con band del calibro di myGRAIN, Magenta Harvest, Finntroll e Kill The Kong, solo per citarne alcune, ha influenzato e arricchito il loro percorso in maniera significativa.
Il risultato è quindi un nuovo album che viene catalogato come gothic, ma che ha la peculiarità di risultare molto attuale e ben accostabile anche ad altri generi di radice comune, anche grazie a sonorità aperte alle tecnologie moderne.
A tutto questo aggiungiamo il fatto che all’interno di The Somme troviamo musica che affronta riflessioni in merito a tematiche complesse che ultimamente interessano un po’ tutti: la guerra, la società post-moderna nei suoi conflitti più evidenti, quindi nulla di banale.
Per lanciare al meglio questa nuova fatica, il primo singolo estratto è esattamente il secondo contenuto nell’album e uno dei più melodici, The Greatest of Catastrophes, accompagnato proprio in questi giorni da un video accattivante, una scelta che potrebbe essere considerata comoda per certi versi.
Nonostante ciò, The Greatest of Catastrophes è solo una delle quattordici tracce, le quali hanno la caratteristica principale di essere equilibrate e mai troppo complesse o eccessive nel loro intento, soprattutto se consideriamo i testi già densi di significato.
Fondamentalmente, anche nei pezzi più energici, come You Do Not Know What The Night May Bring per citarne uno, questi ragazzi sanno interessare l’ascoltatore persino quello meno appassionato; stesso discorso vale per le songs più melodiche (The Dirge, Lest We Forget) e per gli intermezzi introduttivi che incontriamo qua e là.
Insomma, nel suo complesso The Somme è un lavoro che non propone nulla di realmente innovativo, ma è fatto bene e curato nella sua interezza, a dimostrazione di quanto i Nighon ci credano seriamente e sappiano lavorare insieme senza essere influenzati dalle molteplici band provenienti dal loro stesso paese.
Non essendo troppo vincolante nel suo genere, ve lo consiglio vivamente.

TRACKLIST
01 – Marseille 1914
02 – The Greatest of Catastrophes
03 – The Dirge
04 – Lest We Forget
05 – Medic
06 – Blow Them to Hell
07 – Altafjord
08 – Scharnhorst
09 – Reclaming Ravenpoint
10 – You Do Not Know What the Night May Bring
11 – Minor Secundus
12 – Tragédie
13 – I Fear for Tomorrow
14 – Somme

LINE-UP
Nico Häggblom – Voce
Alva Sandström – Voce
Björn Johansson – Chitarra
Mika Paananen – Batteria
Michael Mikander – Chitarra
Mats Ödahl – Basso

NIGHON – Facebook

Envinya – The Harvester

Un buon lavoro da parte di un gruppo molto interessante.

Melodic metal con voce femminile, non troppo gotico e sinfonico, ma molto pesante nelle ritmiche, più o meno è questo il sound di cui sono protagonisti i bavaresi Envinya, un passato su Massacre che licenziò tre anni fa il debutto Inner Silence.

Sono tornati dunque con il secondo full length i musicisti tedeschi, questa volta a cura della STF, continuando il cammino intrapreso con il precedente lavoro.
Di tanto metal è composto questo lavoro, come si diceva dalle ritmiche pesanti, con chitarre graffianti, tastiere poco invadenti ed una cantante (Mery Diaz Serrano) dalla voce veramente sorprendente, non operistica come di moda di questi tempi, ma personale e soprattutto dall’appeal altissimo.
The Harvester si sviluppa su undici brani passionalmente metallici, e la voce della cantante è accompagnata molte volte da un controcanto ruvido, mentre tra i brani si danno il cambio serrate tracce metalliche ed altre più ariose dal piglio melodico.
Se la Massacre ci aveva messo gli occhi addosso un motivo ci sarà pure stato, ed il gruppo fa valere un songwriting sopra la media, a forza di brani veloci, alternanti potenza e melodia tra Within Temptation, Edenbridge, primi In Flames e tanto power heavy metal, con la Diaz Serrano sicuramente da considerare come una vocalist di stampo heavy metal più che una sirena symphonic gothic.
Colpiscono le ritmiche sempre al limite nei brani più tirati in cui il gruppo non disdegna cambi di tempo dal retrogusto prog metal, mentre i brani da annoverare tra i migliori sono il mid tempo Nightdweller, la title track, la power metal oriented Outsider e l’epica The Tower & The Fog.
Un buon lavoro da parte di un gruppo molto interessante.

TRACKLIST
1.Prelude
2.Bewitched
3.Nightdweller
4.The Harvester
5.Stormchase
6.Valiant
7.Outsider
8.Widespread Pandemy
9.Amphibian Life
10.The Tower & the Frog
11.Heads of Tails

LINE-UP
Monika Strobl – Keyboard
Mery Diaz Serrano – Vocals
Mike Gerstner – Lead Guitar
Thomas Knauer – Rhythm Guitar
Lorenz Henger – Bass
Enrico Jung – Drums

ENVINYA – Facebook

Holy Martyr – Darkness Shall Prevail

Ritorno in pompa magna per gli Holy Martyr, ormai da considerare come storica realtà della scena epic metal nazionale.

Nati a metà degli anni novanta come Hell Forge ed arrivati al quarto album sulla lunga distanza, tornano gli Holy Martyr di Ivano Spiga, chitarrista e fondatore del gruppo sardo di nascita e milanese di adozione.

Ormai da considerare come punto fermo della scena metal classica italiana, la band torna dopo cinque anni dal precedente Invincible, uscito appunto nel 2011 sempre per la Dragonheart Records.
Dopo aver affrontato nei dischi precedenti tematiche riguardanti l’epica storia della Grecia,e del Giappone dei Samurai, questa volta l’attenzione degli Holy Martyr si rivolge a J.R.R. Tolkien, con Darkness Shall Prevail a presentarsi come un concept sul mondo del famoso scrittore inglese.
Un nuovo batterista (Stefano Lepidi) ed un nuovo chitarrista ad affiancare Spiga (Paolo Roberto Simoni) sono le novità di questo nuovo album, oltre ad un’atmosfera più epica ed oscura che attraversa le composizioni di quest’opera metallica tutta fierezza, sangue e battaglie creata dalla band.
In Darkness Shall Prevail  il metal guerresco partorito dagli Holy Martyr segue la scia dei maggiori gruppi epic metal, lasciando questa volta nell’ombra l’heavy classico per un approccio contrassegnato da atmosfere colme di pathos oscuro e tragico.
Un gruppo di tale esperienza non tradisce ed infatti, oltre all’ottimo songwriting, troviamo un gran lavoro delle due chitarre che, a tratti, si concedono qualche assolo metallico valorizzato da ricercate melodie, la prova maiuscola di un Alessandro Mereu cantore delle vicende tolkeniane con un’interpretazione che gronda epicità, ed interventi folk che spezzano la tensione ma tengono alta l’attenzione; persi in un mondo parallelo, guerrieri, orchi e maghi si sfidano a duello, con le note dell’epica Numenor, della grandiosa Heroic Deeds, della marcia verso la gloria di Taur Nu Fuin, dell’intermezzo acustico oscuro e dalle atmosfere folk di Minas Morgul, fino al picco dell’album, la mastodontica The Dwarrowdelf che ne rappresenta l’ideale sunto.
La diretta Born Of Hope chiude Darkness Shall Prevail, lavoro che non può mancare sullo scaffale degli amanti del metal epico e che rappresenta un ritorno in pompa magna per la storica band sarda.

TRACKLIST
1. Shores Of Elenna
2. Numenor
3. Heroic Deeds
4. Darkness Descends
5. Taur Nu Fuin
6. Minas Morgul
7. Witch-King Of Angmar
8. The Dwarrowdelf
9. Born Of Hope

LINE-UP
Alex Mereu – Vocals
Ivano Spiga – Lead and rhythm guitar
Paolo Roberto Simoni – Lead and rhythm guitar
Nicola Pirroni – Bass
Stefano Lepidi – Drums

HOLY MARTYR – Facebook

Altjira – Anent Wist

Gli Altjira potrebbero fare il botto nel genere se manterranno le caratteristiche evidenziate su questo ottimo primo passo discografico.

Un ep di debutto che promette bene per questo quintetto di defenders provenienti da Parma.

Gli Altjira si presentano sul mercato metallico nazionale con una mezzora di heavy metal che a tratti sfocia nel thrash e nel metal americano, anche se la loro massima fonte di ispirazione sono i Judas Priest, assieme agli Iced Earth periodo Owens, confermato dalla cover di Dracula, brano tratto da Horror Show.
Anent Wist fa male con una manciata di canzoni che rispecchiano l’heavy metal che più piace ai defenders di vecchia data: melodico, graffiante, ritmicamente pesante e veloce, ma soprattutto fiero, così come le opere dei gruppi citati e da cui la band trae ispirazione.
Gli Altjira  presentano un ottimo vocalist (Dest), perfetto animale metallico tutto grinta e ugola, una coppia di chitarristi che fa fuoco e fiamme (Rampage e Jimmy) ed una sezione ritmica precisa e potente (Kara al basso e Mirko alle pelli), niente di più e niente di meno, ma idelae per suonare heavy metal tripallico, che si specchia nella tradizione ma che non dimentica produzione e tutti i dettagli fondamentali per un lavoro professionale.
Della cover di Dracula abbiamo parlato, ma il meglio lo si trova (fortunatamente) nelle tracce inedite con I Will Not Bend e The Chase, che spiccano dalla notevole anche se breve track list.
Band da seguire in futuro, gli Altjira sembrano avere i numeri per emergere nel loro genere se manterranno le caratteristiche evidenziate su questo ottimo primo passo discografico.

TRACKLIST
01. Anent Wist
02. I Will Not Bend
03. Missing Generation
04. Fragments Of A Hologram Rose
05. The Chase
06. Dracula (Iced Earth Cover)
07. Cymoril

LINE-UP
Dest- voce
Rampy- chitarra
Kara- basso
J- chitarra
Mirko Virdis- session drummer

ALTJIRA – Facebook

Doctor Cyclops – Local Dogs

Dentro Local Dogs, solo per elencarne alcuni, possiamo trovare heavy rock anni settanta, note riecheggianti i primi Deep Purple e i Jethro Tull più muscolari, doom classico e proto doom, cavalcate in stile New Wave Of British Heavy Metal, psichedelia incandescente e tanto altro.

Dal pavese arriva quello che uscendo a fine marzo 2017 sarà molto probabilmente uno dei dischi dell’anno, se non IL disco dell’anno.

Sono rimasto seriamente stupefatto dalla prova di questo trio. Dentro Local Dogs, solo per elencarne alcuni (e dovete assolutamente sentire come vengono resi), possiamo trovare heavy rock anni settanta, note riecheggianti i primi Deep Purple e i Jethro Tull più muscolari, doom classico e proto doom, cavalcate in stile New Wave Of British Heavy Metal, psichedelia incandescente e tanto altro. Magnifico perdersi in questo disco, in questo labirinto erboso di bellezza sonora, dove tutto è bello, rumoroso e naturale. Se dovessero chiedervi di elencare dei dischi anni settanta od ottanta di musica rumorosa potete fare un favore a voi e al vostro dirimpettaio consigliando direttamente questo disco, perché qui c’è tutto. Si rimane meravigliati dalla prima all’ultima nota, ci sono persino intarsi di epic metal e doom insieme, e il risultato non è assolutamente un accatastare musica alla rinfusa, ma c’è un disegno creatore superiore, molto superiore. E cosa che non mi stupisce questo prodigio è nato a Bosmenso, un paese sull’appennino pavese, perché è nella provincia che vive e lotta la volontà di potenza. Il loro percorso è stato lungo ed interessante, e questo disco è una delle migliori cose mai fatte nell’undeground italiano.
Scendete nel buco nella terra vicino all’albero…

TRACKLIST
Side A
I. Lonely Devil
II. D.I.A.
III. Stardust (feat. Bill Steer)
IV. Epicurus
V. Wall Of Misery

Side B
I. King Midas
II. Stanley The Owl
III. Druid Samhain (feat. Bill Steer)
IV. Witch’s Tale
V. Witchfinder General

LINE-UP
Christian Draghi – Guitar and Vocals
Francesco Filippini – Bass
Alessandro Dallera – Drums

DOCTOR CYCLOPS – Facebook

Vanik – Vanik

Immaginate il massacro nella sala cinematografica del film Demoni di Lamberto Bava (1985): uno dei brani di questo album avrebbe potuto fungere da colonna sonora al bagno di sangue perpetrato dall’orda di malefici e famelici servi del demonio a colpi di heavy speed metal.

Dall’ underground metallico statunitense dalle reminiscenze old school, arrivano i Vanik creatura horror del musicista Shaun Vanek (Midnight, Vandallus, Whitespade, Eternal Legacy, Breaker, Manimals, Sixx), aiutato in questa avventura da Ed Stephans (Ringworm,Shok Paris, Gluttons) al basso e Al Biddle (Toxic Holocaust, Cauldron, Diemonds, Castle) alle pelli.

Alcune delle band in cui militano i tre demoni metallici sono vecchie conoscenze, quindi è un piacere per il sottoscritto presentarvi questo buon lavoro omonimo, un album che più old school di così non si può, ma che risulta ben confezionato, con una produzione in linea con la musica suonata, ed un lotto di brani che strappano più di un ghigno beffardo e maligno.
Vanik parte a tavoletta e non si ferma più, lasciando un cumulo di cadaveri al suo passaggio, un massacro a colpi di velocissimi e taglienti solos che Shaun Vanek rifila come mazzate terrificanti: un heavy metal con targa anni ottanta, sparato a mille e con una combustione letale di soluzioni speed e rock ‘n’roll, testi che fanno riferimento ai film horror di serie b, una venerazione per gli storici Venom e tanta attitudine vecchia scuola,
La voce di Vanik, in linea con il cantato speed/thrash ottantiano (e non poteva essere altrimenti), canta di omicidi, demoni, zombie e di tutte le creature che dominano il mondo horror trash, mentre le ritmiche si fanno sempre più serrate ad ogni brano e la chitarra sporca di sangue innocente continua il suo martirio.
Trenta minuti bastano per il primo massacro targato Vanik, ed è una mezzora di headbanging sfrenato sulle ali dell’heavy speed metal old school.
Un album che non ha chance di uscire dal confine dell’underground, ma può solo continuare a vivere nel mondo parallelo dei lavori cult, sapendo come far divertire gli amanti del genere.
Immaginate il massacro nella sala cinematografica del film Demoni di Lamberto Bava (1985): uno dei brani di questo album avrebbe potuto fungere da colonna sonora al bagno di sangue perpetrato dall’orda di malefici e famelici servi del demonio a colpi di heavy speed metal.

TRACKLIST
1. Deadly Pleasures
2. Fire Again!
3. One More Dose
4. The Blackest Eyes
5. Blood Sucking Lust
6. Dr. Speed
7. Midnight Ghoul
8. Eat You Alive
9. Island Of Lost Souls

LINE-UP
Vanik – Guitars/Vox
Ed Stephans – Bass
Al Biddle – Drums

VANIK – Facebook

Steel Messiah – Of Laser And Lightning

Un ep discreto che non fa sicuramente gridare al miracolo, ma che regala una ventina di minuti immergendoci nella storia dell’heavy metal e per ora può bastare.

Una lunga intro ci da il benvenuto nel mondo dell’heavy metal old school degli Steel Messiah, quartetto tedesco all’esordio con questo ep di cinque brani dal titolo Of Laser and Lightning.

La giovane band sposa completamente l’attitudine metallica dei primi anni ottanta, il proprio sound è un buon mix tra Judas Priest e Saxon, prodotto quel tanto che basta per non risultare troppo vintage, e l’ep in questione è una sorpresina niente male se siete amanti della new wave of british heavy metal, con quel tocco epico che inorgoglisce il tutto.
Ai ragazzi tedeschi, del sound nato più tardi nelle sua terra d’origine non può fregare di meno: Of Laser And Lightning è heavy metal old school di origine controllata; ritmiche hard & heavy di estrazione sassone fanno da tappeto metallico alle sei corde priestiane, il cantante ricorda proprio Halford, anche se va un po’ in difficoltà sul falsetto.
Per il resto l’album gira che è un piacere, specialmente con Dr. Steel, la cattivissima Bringer Of Pain, Fast’n’Sharp con qualche accenno nei solos ai primissimi Iron Maiden e l’inno metallico Motorcycle Maniac, tributo ai Saxon (non così lontana dal famoso brano da biker, Motorcycle Man).
Un ep discreto che non fa sicuramente gridare al miracolo, ma che regala una ventina di minuti immergendoci nella storia dell’heavy metal e per ora può bastare.16

TRACKLIST
1.Struck by Lightning
2.Dr. Steel
3.Bringer of Pain
4.Fast n’ Sharp
5.Motorcycle Maniac

LINE-UP
Marius Röntgen – Bass, Vocals
Moritz Nothhelfer – Drums
Marcus Gläser – Guitars (lead)
Kai Wagner – Guitars (rhythm)

STEEL MESSIAH – Facebook

https://soundcloud.com/metalmessage/steel-messiah-struck-by-lightning