Alive – Lookin’ For A Future

Una decina di brani che non deludono per chi il genere lo ama a dispetto dei tanti anni passati, delle mode e di una vita trascorsa nell’underground in attesa che i riflettori si riaccendano e che si torni a ruggire come ai tempi d’oro di Motley Crue, Extreme e Mr.Big.

La Volcano Records licenzia in poco tempo due ottimi lavori che ripercorrono le strade di quel metal/rock che fece sprigionare delle autentiche eruzioni rock’n’roll dalle strade della Los Angels anni ottanta.

Vain Vipers ed Alive sono due facce della stessa medaglia, simili ma allo stesso tempo differenti nell’ispirarsi alla scena di metà anni ottanta: più glam i primi, duri come l’acciaio i rockers romani, debuttanti per la label napoletana con questo Lookin’ For A Future.
Hard & heavy dunque, tagliente come le lame di un rasoio, pregno di ovvia attitudine rock’n’roll e perfetto nel saper unire grezzo rock duro e melodie ruffiane che farebbero tremare le gambe ad un orco.
I cinque musicisti della capitale ci vanno giù duro, ci invitano al loro party tra chitarre dall’attitudine metallica e sfumature che richiamano il rock americano di matrice hard blues in un contesto heavy, valorizzato dal grande e sagace uso delle melodie.
Ballad come Stand Up o la conclusiva In My Night ci ricordano che il genere non è solo fuoco e fiamme, mentre le varie Hated If, I Don’t Follow e Our last Time regalano chorus orecchiabili, in un contesto hard & heavy.
Una decina di brani che non deludono per chi il genere lo ama a dispetto dei tanti anni passati, delle mode e di una vita trascorsa nell’underground in attesa che i riflettori si riaccendano e che si torni a ruggire come ai tempi d’oro di Motley Crue, Extreme e Mr.Big.

Tracklist
1.Hated If
2.Don’t Follow
3.Money&Control
4.Leave Me
5.Stand Up
6.Lookin’ For a Future
7.Our Last Time
8.Stay Around
9.N0
10.In My Nights

Line-up
Marco Patrocchi – Vocals
Giuseppe Ricciolino – Guitars
Mattia Tibuzzi – Bass
Dario Di Pasquale – Drums
Simone Aversano – Guitars

ALIVE – Facebook

Lord Vampyr – Death Comes Under the Sign of the Cross

Death Comes Under the Sign of the Cross è composto da dieci brani che convogliano diversi generi per portare un nuovo attacco metallico, un bombardamento dalle detonazioni black, heavy, power e gothic, legati insieme da sfumature melodiche sempre in primo piano.

Nuovo album per i romani Lord Vampyr, band estrema romana che prende il monicker dal suo leader, storico singer e fondatore dei Theatres Des Vampires.

Siamo giunti al sesto full length da quando i Lord Vampyr apparvero per la prima volta sulla scena metallica nostrana con il debutto De Vampyrica Philosophia, licenziato nell’ormai lontano 2005.
Death Comes Under the Sign of the Cross è composto da dieci brani che convogliano diversi generi per portare un nuovo attacco metallico, un bombardamento dalle detonazioni black, heavy, power e gothic, legati insieme da sfumature melodiche sempre in primo piano.
L’intro ci accompagna verso la title track, una partenza all’insegna dell’heavy metal classico con le ispirazioni che nei brani successivi vanno dalla scena degli anni ottanta a quella estrema del decennio successivo, con la band che ci travolge con potenti cavalcate, in cui atmosfere gothic, a tratti, spezzano la tensione che in un attimo torna altissima.
Un sound, quello delle varie Crown Of Hypocrisy e Christvampire, che affonda le sue radici nel metal classico per essere poi rimodellato dai Lord Vampyr, che riescono a creare questo buon ibrido.
La parte sinfonica che introduce Upon The Throne Of Lies e la devastante Violent Awareness of the Absence of God portano alla conclusiva The Crusade Of Violence, sottofondo di una battaglia che in poco tempo si trasforma in un sanguinario massacro.
Nonostante vi si possano trovare si trovino riferimenti ai vari Mercyful Fate, Cradle Of Filth, Moonspell e Iron Maiden, Death Comes Under the Sign of the Cross resta comunque un lavoro a cui non mancano personalità ed impatto.

Tracklist
1. Intro
2. Death Comes Under The Sign Of The Cross
3. Crown Of Hypocrisy
4. Christvampire
5. Iconoclast Heresy
6. At War
7. Upon The Throne Of Lies
8. Utopia God
9. Violent Awareness Of The Absence Of God
10. The Crusade Of Violence

Line-up
Lord Vampyr: All Vocals
Ferenc Nadasdy: Bass, Keyboards, Programming
Andrea Taddei: Guitars
Fabrizio Curcio: Guitars
Diego Tasciotti: Drums

LORD VAMPYR – Facebook

Crown Of Autumn – Byzantine Horizons

Byzantine Horizons si mantiene su livelli altissimi lungo l’intera tracklist, riconfermando i Crown Of Autumn quale realtà di peculiare spessore nel panorama metallico tricolore.

Otto anni dopo l’uscita di Splendours from the Dark ritornano i Crown Of Autumn, band che fin dai suoi esordi negli anni novanta con lo storico album The Treasures Arcane (1996) ha sempre mantenuto un suo originale approccio al metal di stampo progressivo, estremo e melodico.

Il quartetto lombardo, dalla line-up rimasta invariata rispetto al precedente lavoro (Gianluigi Girardi, Emanuele Rastelli, Milena Saracino e Mattia Stancioiu), nonostante una discografia piuttosto avara dal punto di vista quantitativo, si è sempre contraddistinto per l’alta qualità della sua proposta, confermata da questo nuovo e terzo full length intitolato Byzantine Horizons, bellissima opera metallica che, lasciando pochi punti di riferimento, si inoltra nel mondo del rock duro, passando per il progressive, il metal estremo melodico, il dark, il folk ed il gothic.
All’interno dell’elbum, rilasciato dalla My Kingdom Music e registrato, mixato e masterizzato da Mattia Stancioiu presso l’Elnor Studio, si trovano undici splendidi brani di difficile catalogazione a causa delle innumerevoli sfumature che la band usa a suo piacimento per rendere l’album un’opera affascinante nella sua interezza, con i generi citati che si incrociano traendo linfa gli uni dagli altri, in un saliscendi emotivo di grande spessore.
Fin dalla prima nota di A Mosaic Within è tutto un susseguirsi di atmosfere cangianti, all’interno delle quali l’alternanza delle voci trova la sua massima esaltazione in tracce magnifiche come Dhul-Qarnayn, Whores For Eleusis, nella marziale Scepter And Soil e in Everything Evokes, con la band che nella struttura melodic death/power inserisce canti gregoriani evocando un’atmosfera liturgica.
Ovviamente l’album si mantiene su livelli altissimi anche negli altri brani, che ne suggellano la piena riuscita riconfermando i Crown Of Autumn quale realtà di peculiare spessore nel panorama metallico tricolore.

Tracklist
01. A Mosaic Within
02. Dhul-Qarnayn
03. Scepter And Soil
04. Cyclopean
05. Lo Sposo Dell’Orizzonte
06. Everything Evokes
07. Walls Of Stone, Tapestries Of Light
08. Whores For Eleusis
09. Lorica
10. Roman Diary
11. Our Withering Will

Line-up
Gianluigi Girardi – Vocals
Emanuele Rastelli – Guitars, Bass, Keyboards and Vocals.
Milena Saracino – Vocals
Mattia Stancioiu – Drums and Percussions

CROWN OF AUTUMN – Facebook

Calico Jack – Calico Jack

L’album è sostanzialmente rivolto ad appassionati di questo specifico genere, e se tali sonorità non sono esattamente nelle vostre corde non sarà certamente il debutto dei Calico Jack a farvi cambiare idea.

Il metal a sfondo piratesco, portato all’attenzione degli ascoltatori del metal classico e power dagli storici Running Wild, trova nuova linfa ed un tocco di originalità nel primo full length omonimo dei Calico Jack, ciurma in arrivo da Milano e battente bandiera pirata dal 2011.

La band (il cui nome è ispirato al capitano John Rackham, inventore della classica bandiera con il teschi e le due sciabole incrociate, conosciuto come Jolly Roger) si allontana dal sound dei Running Wild e dei loro eredi Alestorm per avvicinarsi al folk metal, anche se le atmosfere epiche da abbordaggio sono presenti, così come quelle da locanda e feste alcoliche dopo il ritorno a Tortuga.
I Calico Jack mettono in evidenza una parte estrema, dovuta principalmente al growl, protagonista principale in coppia con il violino, sempre presente nell’economia del sound caratterizzante brani che, alla lunga, tendono ad appiattirsi risultando leggermente prolissi.
Sono forse troppi settanta minuti di durata per un album del genere, anche se non mancano certo episodi rocciosi e divertenti come l’opener The Secret Of Cape Code, Devil May Care e la notevole Under The Flag Of Calico Jack, brano che si rivela una sorta di saga musicale lunga diciotto minuti e picco dell’intero lavoro.
L’album è sostanzialmente rivolto ad appassionati di questo specifico genere, e se tali sonorità non sono esattamente nelle vostre corde non sarà certamente il debutto dei Calico Jack a farvi cambiare idea.
Tracklist

1.The Secret of Cape Cod
2.Where Hath th’ Rum Gone?
3.Death Beneath the Wave
4.Devil May Care
5.Caraibica
6.Songs from the Sea
7.Sharkbite Johnny
8.Grog Jolly Grog
9.Straits of Chaos
10.Under the Flag of Calico Jack
11.Jolie Rouge

Line-up
Giò – Vocals
Toto – Rhythm Guitar, Choirs
Melo – Lead Guitar
Dave – Fiddle
Caps – Drums
Gigi – Bass, Choirs

CALICO JACK – Facebook

Seven Thorns – Symphony Of Shadows

L’album è composto da nove brani nei quali la potenza del power è accompagnata da un buon talento melodico e da atmosfere progressive che mettono in evidenza l’ottima tecnica dei musicisti, protagonisti di un lavoro a tratti avvincente.

I Seven Thorns sono un gruppo danese attivo da vent’anni, magari poco conosciuto fuori dai confini nazionali ma assolutamente in grado di solleticare i palati degli amanti del power metal dai gusti raffinati.

Symphony Of Shadows è il quarto lavoro del quintetto, non troppo produttivo nella sua carriera ma, a giudicare da quanto sentito in questo nuovo lavoro, capace di raggiungere un buon livello qualitativo in un genere che ultimamente è uscito dai primi posti nelle preferenze dei fans.
L’album è composto da nove brani in cui la potenza del power è accompagnata da un buon talento melodico e da atmosfere progressive che mettono in evidenza l’ottima tecnica dei musicisti, protagonisti di un lavoro a tratti avvincente.
Le caratteristiche principali del sound dei Seven Thorns rileva una forte connotazione power/prog, strutturata su ritmiche potenti, un uso assai melodico e progressivo delle orchestrazioni che ricordano non poco i conterranei Royal Hunt, band a mio avviso che ha ispirato il gruppo del singer Björn Asking, non lontano come interpretazione dal regale DC Cooper.
I Seven Thorns non nascondono certo le loro influenze, passando appunto dai Royal Hunt agli At Vance e ai Sonata Artica, peccando forse in originalità, ma restando ben saldi sui piani alti del genere con una raccolta di brani dall’appeal notevole, sempre caratterizzati da potenza e melodia e resi eleganti dal gran lavoro alle tastiere di Asger W. Nielsen.
Black Fortress, la cavalcata Last Goodbye, il deciso power/prog metal di Virtual Supremacy e la conclusiva, neoclassica title track sono i brani cardine di questo ottimo lavoro firmato Seven Thorns.

Tracklist
1. Evil Within
2. Black Fortress
3. Ethereal (I’m Still Possessed)
4. Beneath a Crescent Moon
5. Castaway
6. Last Goodbye
7.Virtual Supremacy
8. Shadows Prelude
9. Symphony of Shadows

Line-up
Björn Asking – Vocals
Gabriel Tuxen – Guitars
Asger W. Nielsen – Keys
Mads Mølbæk – Bass
Lars Borup – Drums

SEVEN THORNS – Facebook

Scala Mercalli – Independence

La libertà è vista come come scopo e traguardo, da raggiungere mettendo in gioco la propria vita sotto i colpi di moschetti, cannoni e musica heavy, questo è quanto troverete sul nuovo album targato Scala Mercalli, un tellurico heavy metal, perfettamente in linea con quanto abbiamo amato in questi ultimi quarant’anni di musica.

Gli Scala Mercalli suonano heavy metal potenziato da ritmiche power come l’evoluzione del genere vuole, ma pur sempre legato indissolubilmente al periodo ottantiano, quindi di matrice assolutamente old school.

Il genere viene così interpretato con maestria e con quell’attitudine maideniana che, specialmente nei suoni delle chitarre, esce prepotentemente dal sound di questo buon ultimo lavoro intitolato Independence e dedicato ad un periodo storico importantissimo nella storia della nostra nazione come il Risorgimento, un argomento certo non banale che si sviluppa dal Regno di Napoli di Murat alla Repubblica Romana di Mazzini, narrato tramite episodi che raccontano le vicende dei Mille o del brigantaggio e che, come colonna sonora, trova nell’heavy metal classico un fedele alleato.
La band marchigiana non è certo l’ultima arrivata sul mercato metallico tricolore, visto che la sua fondazione risale addirittura ai primi anni novanta, periodo in cui per suonare heavy metal ci voleva attitudine e non poco coraggio, tagliando il traguardo del primo full length più di dieci anni dopo e tre demo.
Dopo altri due lavori su lunga distanza ecco arrivare Independence, album licenziato dalla Alpha Omega Records e che non manca di momenti di intensa musica heavy, dura come l’acciaio, tagliente come un rasoio e con un’anima epica che ne amplifica la componente battagliera e ribelle.
The 1000 (Calatafimi Battle), il singolo Be Strong, Never Surrender, il crescendo epico e suggestivo di Anita (Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva) riecheggiano tra le barricate e le colline sulle quali il popolo italiano ha scritto una parte fondamentale della sua storia.
La libertà è vista come come scopo e traguardo, da raggiungere mettendo in gioco la propria vita sotto i colpi di moschetti, cannoni e musica heavy, questo è quanto troverete sul nuovo album targato Scala Mercalli, un tellurico heavy metal, perfettamente in linea con quanto abbiamo amato in questi ultimi quarant’anni di musica.

Tracklist
1.The Crossing on the Sea
2.The 1000 (Calatafimi Battle)
3.Honest Brigands
4.Be Strong
5.The Last Defence (Roma-Gianicolo 1849)
6.Never Surrender
7.Tolentino 1815
8.White Death
9.Whisper of the Night
10.Anita (Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva)
11.Fratelli d’Italia (Italian Anthem) feat. Corale Angelico Rosati

Line-up
Sergio Ciccoli – Drums
Christian Bartolacci – Vocals
Giusy Bettei – Bass
Clemente Cattalani – Guitars
Cristiano Cellini – Guitars

SCALA MERCALLI – Facebook

Witching Hour – …and Silent Grief Shadows the Passing Moon

Un buon lavoro, consigliato agli ascoltatori dai gusti più tradizionali.

Arrivano al terzo lavoro sulla lunga distanza i tedeschi Witching Hour, ottima realtà di chiara ispirazione old school e legata indissolubilmente con la New Wave Of British Heavy Metal, leggendario genere a cui il gruppo deve tanto in termine di sound.

…and Silent Grief Shadows the Passing Moon, licenziato dalla Hells Headbangers Records ed accompagnato dalla suggestiva ed epica copertina creata dall’artista italiano Paolo Girardi, è infatti un lavoro vecchia scuola che amalgama l’irruenza e l’approccio diretto del thrash e del black metal a cavalcate strumentali di ispirazione heavy metal, in un contesto assolutamente ottantiano, dark ed epico.
La voce chiaramente ispirata al thrash metal d’annata di scuola teutonica rende il tutto marchiato da un alone estremo, anche se le armonie chitarristiche, i solos e l’atmosfera generale è classicamente heavy.
L’opener …and Silent Grief Shadows the Passing Moon / Once Lost Souls Return, con i suoi dieci minuti, risulta il sunto di quello che si trova tra lo spartito dei sei lunghi brani presenti, con il terzetto di Saarland che si presenta con una lunga parte strumentale dai rimandi metallici classici, prima che le ritmiche si trasformino in sferzate thrash ed entri violenta la voce.
Sorrow Blinds The Ghastly Eyes e The Fading Chime of a Graveyard Bell sono le due tracce che più avallano il sentore di essere al cospetto di un’ alchimia riuscita tra Iron Maiden, Destruction e Venom, quindi immersi nel bel mezzo degli anni ottanta .
…and Silent Grief Shadows the Passing Moon si rivela un buon lavoro , consigliato agli ascoltatori dai gusti più tradizionali.

Tracklist
01. …And Silent Grief Shadows the Passing Moon/Once Lost Souls Return
02. From Beyond They Came
03. Sorrow Blinds His Ghastly Eyes
04. Behold Those Distant Skies
05. The Fading Chime Of A Graveyard Bell
06. As I Walk Among Sepulchral Ruins

Line-up
Jan – Vocals/Guitar
Marco – Bass
Sascha – Drums

WITCHING HOUR – Facebook

La Janara – Tenebra

Tenebra è un’opera da ascoltare e riascoltare, chiudendo gli occhi e ritrovandosi come per magia nei luoghi raccontati da La Janara, in tempi oscuri ed avvolti nella leggenda.

Il 2017 aveva visto tornare sulle montagne irpine La Janara, la strega protagonista delle leggende di quei misteriosi luoghi del nostro meridione.

L’ep omonimo, uscito per la genovese Black Widow, mostrava una band matura che raccoglieva l’eredità dei grandi nomi della scena dark progressiva ed occulta (Paul Chain, The Black, Death SS e Malombra) della quale la nostra penisola è tradizionalmente una fucina, con il cantato in italiano esaltato in quel caso dall’interpretazione di altissimo livello di Raffaella Càngero.
Dopo un paio d’anni il ritorno della strega irpina si intitola Tenebra, dieci brani che confermano il valore artistico di questa band che torna a far risplendere un genere troppo spesso dimenticato quando si parla di metal/rock nazionale, che invece continua a ispirare ed influenzare artisti in ogni parte del mondo.
Dopo il capolavoro licenziato da Il Segno Del Comando, la label genovese torna in poco tempo agli onori della cronaca musicale con questo emozionante lavoro, che vede ospiti importanti come Riccardo Studer degli Stormlord , Alessandro Liccardo degli Hangarvain, Giulian degli Scuorn e Alessio Cattaneo degli Onryo.
Progressive, doom, heavy metal, atmosfere che ricordano miti e leggende occulte, sfumature sabbathiane e litanie dark rock si intrecciano come serpi che amoreggiano tra i rovi, in luoghi che nascondono segreti tramandati da secoli, mentre l’oscura presenza della Janara si manifesta nell’oscurità, illuminata da una pallida luce lunare.
La musica contenuta in Tenebra accompagna i bellissimi testi che la Càngero interpreta con un trasporto ed una personalità debordante, dando voce alla sofferenza delle donne oppresse da una cultura tirannica ed umiliante in un’Irpinia ancestrale.
Si percepisce nel lavoro una tensione palpabile, tra atmosfere oscure e pressanti, angoscia e terrore, una ribellione blasfema che si tocca con mano nel metal della diretta Mater Tenebrarum, nel racconto folk di Violante Aveva Un Osso Di Capra, nell’incedere doom della title track e di Il Canto Dei Morti e nelle atmosfere estreme di Or Poserai Per Sempre.
Il progressive folk metal della splendida Ver Sacrum conclude un’opera da ascoltare e riascoltare, chiudendo gli occhi e ritrovandosi come per magia nei luoghi raccontati da La Janara, in tempi oscuri ed avvolti nella leggenda.

Tracklist
1.Malevento
2.Mater Tenebrarum
3.Violante Aveva Un Osso Di Capra
4.Tenebra
5.Mephis
6.Cera
7.Il canto Dei Morti
8.Volano I Corvi
9.Or Poserai Per Sempre
10.Ver Sacrum

Line-up
Nicola Vitale (Il Boia) – Guitars
Raffaella Càngero (La Janara) – Vocals, Guitars
Rocco Cantelmo (L’inquisitore) – Basso
Antonio Laurano (Il Mercenario) – Drums

LA JANARA

https://youtu.be/rMImWpqAzyo

Merry Christmas – Roxx Records/No Life Til Metal Records – Best Of 2018

Una raccolta perfetta per fare la conoscenza dell’ottimo lavoro che la Roxx Records sta facendo a supporto del christian metal: The Best Of 2018 riassume un anno di ottima musica, aspettando le novità che ci riserverà l’etichetta statunitense nel 2019.

Anche se il Natale è passato da un pezzo vale la pena ugualmente di parlare di questa raccolta uscita lo scorso dicembre che la Roxx Records, in coppia con No Life Til Metal Records, ha messo a disposizione dei fans del christian metal radunando il meglio che le due label hanno licenziato nel 2018.

Si parte con gli straordinari Biogenesis e la loro Messiah, mentre gli Helix eseguono la cover del famoso brano natalizio Silent Night.
Tocca poi a due brani dei Crystavox presi dalle ristampe dei due album usciti nei primi anni novanta, il debutto omonimo ed il più famoso The Bottom Lie che la Roxx Records ha ristampato quest’anno, seguiti dal thrash metal aggressivo e senza compromessi dei Deliverance.
I gruppi di cui vi abbiamo parlato in questi dodici mesi sono tutti presenti, in una raccolta che ha nella varietà di stili ed atmosfere il suo punto di forza.
Le tematiche a sfondo cristiano non mettono a repentaglio la voglia di far male (musicalmente parlando) dei Through The Clouds e dei Crushing The Deceiver, così come l’hard rock degli storici Malachia fa la sua bella mostra con Lonely Is The Night, dalla compilation intitolata Red Sunrise-The Complete Anthology.
Bellissimo il brano Soldiers Of The Cross degli heavy metallers Angelic Force, così come la ballad Legend Lost dei Banshee, unici due brani per noi inediti.
Una raccolta perfetta per fare la conoscenza dell’ottimo lavoro che la Roxx Records sta facendo a supporto del christian metal: The Best Of 2018 riassume un anno di ottima musica, aspettando le novità che ci riserverà l’etichetta statunitense nel 2019.

Tracklist
1.BioGenesis – Messiah (Previously Unreleased)
2.Helix – Silent Night (Frome A Helix Christmas)
3.Crystavox – Home Again (From Crystavox)
4.Crystavox – Snakes In The Grass (From Bottom Lie)
5.Deliverance – Bring ‘Em Down (From The Subversive Kind)
6.Vengeance – Receive Him (From Human Sacrifice unreleased mix)
7.Through The Clouds – Blinded Minds (From Blinded Minds)
8.Soldier – When I Finally See Your Face (From Babylon And Beyond)
9.Malachia – Lonely Is The Night (From Red Sunrise Anthology)
10.Crushing The Deceiver – An Angel’s Armor (From Crushing The Deceiver
11.Angelic Force – Soldiers Of The Cross (From Soldiers Of The Cross)
12.Max Blam Jam – Apathy’s Child (From Blowup Man)
13.Banshee – Legend Lost (From Mindslave)
14.Primal – Disorder (From Primal)
15.Helix – Metal At Midnight (From Bastard Of The Blues)
16.Deliverance – Jehovah Jireh (From Deliverance)

NLTM Records – Facebook

Athlantis – The Way To Rock’n’Roll

The Way To Rock’n’Roll è un altro album da custodire gelosamente nella propria discografia, e l’invito agli amanti dei suoni classici è quello di non perdere questo splendido album firmato da uno dei personaggi più importanti della scena hard & heavy nazionale: la strada per il rock’n’roll passa tra i vicoli di una Genova metallica sempre più in evidenza.

Neanche il tempo di somatizzare lo splendido ritorno dei Ruxt che la label Diamonds Prod ci presenta il nuovo album degli Athlantis, progetto del bassista Steve Vawamas, musicista attivissimo nella scena hard rock e metal ligure.

Il bassista di Ruxt, Mastercastle, Bellathrix e Odyssea torna dunque con la sua creatura ed un nuovo album, The Way To Rock’n’Roll, a distanza di un paio d’anni dal precedente Chapter IV e dalla ri-registrazione del secondo lavoro, quel Metalmorphosis ripreso in mano dopo ben dieci anni.
La strada per il rock’n’roll passa dagli Steve Vawamas Studios e MusicArt di Pier Gonella, strepitoso chitarrista di Necrodeath, Vanexa e Odyssea che con Davide Dell’Orto alla voce (Drakkar, Verde Lauro), Alessandro “Bix” Bissa alla batteria (A Perfect Day, ex-Vision Divine) e Stefano Molinari alle tastiere completa la line up all’opera su questo nuovo lavoro firmato Athlantis.
Hard rock e power metal si alleano fin dall’opener Letter To Son, in questo ennesimo bellissimo album, dove tutto è perfettamente bilanciato verso l’alto, dalla qualità dei brani, alcuni veramente fenomenali come la già citata Letter To Son, l’hard ad heavy di Heaven Can Wait (con un solo centrale di Gonella da applausi), l’hard rock melodico della successiva Forgive Me, l’atmosfera epica di Lady Starlight e l’irresistibile title track posta in chiusura (un brano che unisce il sound purpleiano con il power metal), fino alle prove dei musicisti con una menzione particolare per Davide Dell’Orto, mattatore incontrastato di questo monumento all’hard & heavy.
The Way To Rock’n’Roll è un altro album da custodire gelosamente nella propria discografia, e l’invito agli amanti dei suoni classici è quello di non perdere questo splendido album firmato da uno dei personaggi più importanti della scena hard & heavy nazionale: la strada per il rock’n’roll passa tra i vicoli di una Genova metallica sempre più in evidenza.

Tracklist
01. Letter To A Son
02. Prayer To The Lord
03. Heaven Can wait
04. Forgive Me
05. No Pain No More
06. Black Rose
07. Lady Starlight
08. If I
09. Reborn
10. The Way To Rock’n’Roll

Line-up
Steve Vawamas – Bass
Pier Gonella – Guitars
Davide Dell’orto – Vocals
Alessandro “Bix” Bissa – Drums
Stefano Molinari – Keyborads

ATHLANTIS – Facebook

Queensrÿche – The Verdict

The Verdict è un ritorno più che valido e che permette al gruppo di affrontare nuovi tour con la consapevolezza di essere ancora una band con molto da dire e non una sorta di auto-cover band come appaiono tanti reduci dagli anni ottanta.

La curiosità rispetto a come avrebbe suonato il nuovo album di una delle band più influenti del metallo progressivo mondiale non era poca, a quattro anni di distanza dall’ultimo lavoro che, per un gruppo con quasi quarant’anni di carriera sulle spalle, possono diventare un’eternità.

Ed invece The Verdict risulta un album fresco e potente, in cui le sfumature progressive sono meno in risalto che in passato e dove il mestiere del nuovo vocalist (ed in questo caso anche batterista, per la defezione dello storico Scott Rockenfeld) si fa sentire eccome.
Attenzione ho parlato di mestiere e non di talento, volutamente, e non perché Todd La Torre non ne abbia, anzi, ma è indubbio che la sua prova vocale copre il buco lasciato da Geoff Tate definitivamente, tirando fuori grinta e quel poco di personalità che forse mancavano nei due lavori precedenti, richiamando quando lo si richiede il leggendario singer, mettendosi in gioco pure come batterista e facendo il suo egregiamente, senza far gridare al miracolo in tutti e due i casi.
The Verdict dunque è un album in cui la parte del leone la fanno le canzoni, potenti e metalliche, valorizzate da una produzione moderna e cristallina, con refrain e chorus dal tasso melodico di categoria superiore, anche se ovviamente l’olimpo del metal progressivo non è più cosa per lo storico gruppo di Seattle.
L’album, se lo si prende per quello che è, non delude: l’errore di paragonare il nuovo corso della band con il passato remoto sarebbe troppo facile e non darebbe il giusto risalto ad una tracklist che se, invece, la si confronta con tante opere odierne, merita un posto di rilievo.
Blood Of The Levant, brano che parla della guerra in Siria ed apertura epico drammatica per uno degli album più U.S. power dell’intera discografia dei Queensrÿche, mette subito in chiaro l’atmosfera che regna in The Verdict: Light-Years, la potentissima Propaganda Fashion, lo splendido mid tempo di Bent sono le gemme metalliche che fanno di questo nuovo album un ottimo motivo per tornare a parlare del gruppo, ormai saldamente in mano al chitarrista Michael Wilton.
The Verdict è un ritorno più che valido e che permette ai Queensrÿche di affrontare nuovi tour con la consapevolezza di essere ancora una band con molto da dire e non una sorta di auto-cover band come appaiono tanti reduci dagli anni ottanta.

Tracklist
1. Blood of the Levant
2. Man the Machine
3. Light-years
4. Inside Out
5. Propaganda Fashion
6. Dark Reverie
7. Bent
8. Inner Unrest
9. Launder the Conscience
10. Portrait

Bonus Disc (European Box Set Edition Only)
1. I Dream in Infrared (Acoustic)
2. Open Road (Acoustic)
3. 46° North
4. Mercury Rising
5. Espiritu Muerto
6. Queen of the Reich – Live 2012
7. En Force – Live 2012
8. Prophecy – Live 2012
9. Eyes Of A Stranger – Live 2012

Line-up
Todd La Torre – Vocals, Drums
Michael Wilton – Guitar
Parker Lundgren – Guitar
Eddie Jackson – Bass

QUEENSRYCHE – Facebook

Iron Fire – Beyond The Void

Descrizione Breve Gli Iron Fire hanno dato vita ad un ottimo esempio di power metal come non se ne sentiva da tempo e perderselo sarebbe un peccato mortale.

Tornano con un nuovo potentissimo lavoro i danesi Iron Fire, band che debuttò nell’anno zero del nuovo millennio.

Sorta di ventata di aria fresca in una scena che stenta a tornare a livelli di una ventina d’anni fa, l’ormai trio di Copenaghen licenzia un album possente di true power metal alla Rage, band che più si avvicina al sound che ha sempre contraddistinto i lavori targati Iron Fire. Dopo otto album con cui il gruppo ha attraversato vent’anni di storia metallica, Beyond The Void vede la band nella formazione a tre, con Martin Steene al basso e voce, Kirk Backarach alla chitarra e Gunnar Olsen alla batteria pronti a distribuire potente metal classico, dall’impatto di un elefante in mezzo ad una cristalliera. Spaccano tutto gli Iron Fire, diretti e rocciosi ma con brani che, quando vengono attraversati da input melodici, si trasformano in salmi scritti nella sacra bibbia dell’heavy/power metal. L’album è stato mixato e masterizzato da Tue Madsen (The Haunted, Dark Tranquillity) e licenziato dall’ottima Crime Records, una garanzia per i suoni classici, risultando un lavoro imperdibile per i defenders sparsi per l’Europa. Gli Iron Fire danno una lezione di come si suona il power metal, senza orpelli sinfonici o elucubrazioni progressive, ma spingendo sulla potenza in contesto heavy metal, epico, roccioso, oscuro e duro come l’acciaio. Martin Steene si conferma un singer di genere, maschio, ruvido ma melodico all’occorrenza, un po’ come Peavy Wagner (e si torna a parlare di Rage) e, grazie ad una sezione ritmica tellurica ed una raccolta di brani massicci, tra cui spiccano le bellissime Beyond The Void, Cold Chains Of The North e Old Habits Die Hard, il nuovo album risulta una mazzata power metal da non perdere. Gli Iron Fire hanno dato vita ad un ottimo esempio di power metal come non se ne sentiva da tempo e perderselo sarebbe un peccato mortale.

Tracklist
1. Intro
2. Beyond the Void
3. Final Warning
4. Cold Chains of the North
5. Wrong Turn
6. Bones and Gasoline
7. Old Habits Die Hard
8. Judgement Day
9. To Hell and Back
10. One More Bullet
11. The Devils Path
12. Out of Nowhere

Line-up
Martin Steene – Vocals & Bass
Kirk Backarach – Guitar
Gunnar Olsen – Drums

IRON FIRE – Facebook

Hell’s Guardian – As Above So Below

Anche questo nuovo lavoro è promosso a pieni voti, ora resta solo da supportare una band che nel genere suonato lancia il guanto di sfida alle realtà che giungono da oltre confine, vincendo per freschezza compositiva, impatto diretto e senza fronzoli ed una nuova vena orchestrale che rende raffinate atmosfere e sfumature.

Tornano gli Hell’s Guardian con il secondo lavoro sulla lunga distanza, successore di Follow Your Fate, debutto licenziato nel 2014.

La band bresciana si ripresenta sul mercato con un album che in parte riconferma la propria proposta, anche se nel nuovo As Above So Below trovano più spazio sfumature orchestrali che rendono più raffinato un sound rodato e dalle influenze che guardano come sempre alle terre del nord Europa.
Il gruppo, con il nuovo bassista Claudio Cor al basso ed una manciata di ospiti che danno il loro importante contributo su alcune tracce, come Marco Pastorino (Temperance, Light & Shade), Adrienne Cowan (Seven Spires, Winds of Plauge, Light & Shade), Ark Nattlig Ulv (Ulvedharr), Fabrizio Romani (Infinity) e Mirela Isaincu, convince con un album che porta qualche novità senza stravolgere la propria idea di metal melodico ed estremo, con un lavoro che non mancherà di trovare estimatori tra gli amanti del death metal melodico così come in quelli dai gusti classicamente power.
Ottimo il lavoro chitarristico di scuola Amorphis (Blood Must Have Blood, 90 Days), l’atmosfera symphonic power è presente ma non invadente come in altre realtà
e lo stesso vale per l’epica oscurità classica del death metal melodico, che ovviamente fa la differenza aiutata da un growl possente stemperato a tratti da evocativi interventi delle voci pulite (la title track, My Guide My Hunger).
Anche questo nuovo lavoro è promosso a pieni voti, ora resta solo da supportare una band che nel genere suonato lancia il guanto di sfida alle realtà che giungono da oltre confine, vincendo per freschezza compositiva, impatto diretto e senza fronzoli ed una nuova vena orchestrale che rende raffinate atmosfere e sfumature.

Tracklist
1.Over The Line
2.Crystal Door
3.As Above So Below
4.Blood Must Have Blood
5.Waiting… For Nothing
6.90 Days
7.Lake Of Blood
8.Jester Smile
9.My Guide My Hunger
10.I Rise Up
11.Colorful Dreams

Line-up
Cesare Damiolini – Vocals, Guitars
Freddie Formis – Guitars
Claudio Cor – Bass
Dylan Formis – Drums

HELL’S GUARDIAN – Facebook

Vanik – II Dark Season

Un altro massacro vecchia scuola: questo ci propongono i Vanik, mezzora di scariche adrenaliniche, di metallo veloce e diretto, accompagnato da testi di ispirazione horror.

Continua il massacro perpetrato dalla mostruosa creature chiamata Vanik, metà demone, metà vampiro che a colpi di heavy/speed metal old school compie sanguinolente atrocità in giro per le notti statunitensi.

Torna dopo il precedente omonimo full length la band americana, composta da vecchie volpi dell’underground metal classico a stelle e strisce come il leader chitarrista e cantante Shaun Vanek (in arte Vanik), ed i suoi compari Ed Stephan al basso, Al Biddle alla batteria e Vic Storm alla chitarra.
II Dark Season riprende da dove Vanik si era fermato, una scarica di adrenalina heavy/speed metal che non ne vuol sapere di lasciare attitudine ed impatto anni ottanta, seguendo la strada intrapresa dal primo lavoro.
Un altro massacro vecchia scuola, dunque: questo ci propongono i Vanik, mezzora di scariche adrenaliniche, di metallo veloce e diretto, accompagnato da testi di ispirazione horror.
Ed il demone senza freni colleziona vittime, scagliandosi su di loro nella notte, rapido e micidiale, mentre la band sforna una serie di brani veloci e potenti, che non superano il 1989 per attitudine vecchia scuola ma che si fanno apprezzare per le ritmiche forsennate ed una produzione che valorizza il bagaglio tecnico dei Vanik, i quali non saranno dei virtuosi dello strumento ma il loro mestiere lo sanno fare eccome.
Dark Season è l’intro che ci dà il benvenuto nel secondo capitolo della saga Vanik, il tempo per entrare nell’atmosfera del disco e Jack’s Lantern mette la quarta e parte a razzo, seguita da Thorazine per un inizio scoppiettante.
Speed’n’roll è quelleo che fuoriesce da We like To Be Frightened, mentre Werewolf risulta un devastante brano speed/thrash: questa altalena tra l’approccio più estremo e l’altro di matrice hard rock ci accompagna fino alla conclusiva outro, End Of Season.
In conclusione, II Dark Season è sicuramente un buon ritorno per la band statunitense, ormai punto fermo del genere nell’underground metallico del nuovo continente.

Tracklist
1.Dark Season
2.Jack’s Lantern
3.Thorazine
4.We Like To Be Frightened
5.Beyond The Closet Door
6.Werewolf
7.One Of Us
8.Heresy Undertow
9.Tear You To Pieces
10.Witch Rites
11.End Of Season

Line-up
Vanik – Guitars, Vocals
Ed Stephans – Bass
al Biddle – Drums
Vic Storm – Guitars

VANIK – Facebook

Overkind – AcheroN

Un grande disco di metal moderno ed originale, orgogliosamente privo di schemi prefissati, con ex membri dei Fatal Destiny.

Quando il nome scelto dice tutto.

Obiettivo di questa nuova band scaligera è quello di portare avanti una concezione artistico-musicale del tutto libera da vincoli o limiti, nel costante rifiuto di ogni tipo – al di là dei generi, appunto: Overkind – di staticità, quanto a linguaggio sonoro. Niente etichette, soltanto musica: questa la parola d’ordine del quartetto veronese. Le dodici parti di Acheron, album liberamente ispirato alla Divina Commedia dantesca, è un concept che dimostra l’immortale attualità anche nel nostro presente dei contenuti racchiusi nel capolavoro dell’Alighieri. E, se pensiamo che siamo in presenza d’un disco di debutto, il livello è già molto alto. I precedenti, in ambito dantesco, non mancavano (dai Metamorfosi di Inferno sino a The Divine Comedy dei Black Jester), e tuttavia gli Overkind realizzano un qualcosa di estremamente personale. Anche sotto il profilo compositivo: abbiamo infatti qui una entusiasmante commistione di ascendenze hard-sinfoniche alla Queen, dark-doom alla Ghost, prog metal in stile Dream Theater e thrash nella vena dei Metallica più sofisticati, non senza opportuni innesti di suoni moderni (per capirci: a metà strada fra Timoria, Alter Bridge, Muse e Foo Fighters). Davvero un grande esordio, già assai maturo e coinvolgente.

Tracklist
1- Acheron
2- Love Lies
3- Cerberus
4- Interlude
5- Anger Fades
6- Flames
7- Hollow Man’s Secret
8- My Violent Side
9- All Is Gray
10- End of a Souless Thief
11- Traitor’s Letter
12- The Fiend

Line up
Andrea Zamboni – Vocals / Piano
Filippo Zamboni – Bass
Tino Fracca – Drums
Riccardo Castelletti – Guitars

OVERKIND – Facebook

Kamion – Gain

I Kamion si presentano in modo assolutamente convincente sulla scena underground con un lavoro robusto e tellurico come Gain, consigliato agli amanti dei gruppi citati quale riferimento.

Una folle corsa senza freni con un mastodontico mostro a sei ruote, un muro d’acciaio e sangue che spazza via ogni ostacolo.

Gain è il debutto dei Kamion, uscito autoprodotto lo scorso anno e ora promosso dall’Atomic Stuff, label nostrana con cui il quintetto veneto ha iniziato a collaborare.
Mezzora di pesantissimo heavy/thrash rock è quello che ci propone il gruppo con Gain, lavoro composto otto brani pregni di groove, ripartenze veloci e mid tempo pesantissimi.
L’opener The Reaper apre le ostilità, come un micidiale predatore aspetta il momento giusto per colpire, tra bordate metalliche, sferzate thrash metal ed attitudine heavy rock.
Bruciante e diretta, Another God va a formare un’accoppiata vincente con l’opener, ma è tutta la tracklist di Gain che non perde un colpo, tra esplosioni di nitroglicerina metallica.
I Kamion vedono al microfono una vera tigre come Dodo, singer molto conosciuto nella scena veneta, i due chitarristi e fondatori Paul e Patch e la sezione ritmica composta dal bassista Lux e dal batterista Dan a formare un combo massiccio, ispirato dalla scena metal statunitense e da band come Black Label Society, Pantera ed Alice In Chains, influenze primarie del quintetto che marchiano brani granitici come Mr.Sucker e Going Wrong.
Un grande brano è anche la conclusiva Jungle, mix perfettamente bilanciato tra le band dell’orso Zakk Wilde e di Jerry Cantrell due dei musicisti più influenti della scena metal/rock a stelle e strisce degli ultimi trent’anni.
I Kamion si presentano in modo assolutamente convincente sulla scena underground con un lavoro robusto e tellurico come Gain, consigliato agli amanti dei gruppi citati quale riferimento.

Tracklist
01. The Reaper
02. Another God
03. Queen Of Hate
04. Home
05. Mr. Sucker
06. Going Wrong
07. Escape
08. Jungle

Line-up
Dodo – Vocals
Paul – Lead Guitar
Patch – Rhythm Guitar
Lux – Bass
Dan – Drums

KAMION – Facebook

Sergeant Thunderhoof – Terra Solus

Un viaggio a ritroso nel tempo, un’esplorazione musicale del cosmo, che attinge al cospirazionismo alieno con sonorità calde e valvolari, analogiche e vintage.

Gli inglesi Sergeant Thunderhoof già avevano impressionato in termini altamente positivi con Ride of the Hoof (2015).

Con questa quarta fatica, come sempre autoprodotta, la band britannica non fa altro che confermare – sin dalle bellissima copertina, stile Andromeda-Saturnalia – tutte le proprie indubbie qualità. Siamo in presenza di un heavy psych che guarda esplicitamente al passato (non di uno stoner moderno, come numerose volte in questi casi accade). In particolare, nelle otto tracce di questo Terra Solus, tutte di durata compresa tra i quattro e i nove minuti complessivi, si respira aria di fine anni Sessanta-primissimi Settanta. Arcadium, Pink Floyd, Astral Navigations e Dark paiono essere gli amori musicali del gruppo inglese, che ci dona un platter di suoni pesanti e ipnotici, scuri e fantascientifici. La scrittura è sempre abbastanza complessa, le ambientazioni sonore a tratti quasi siderali (vengono in mente pure i primi tre degli UFO oppure gli ultimi Move di Roy Wood, nonché gli Hawkwind degli esordi). Anche i titoli e testi dei vari brani confermano un’attitudine molto rock e spaziale. A livello lirico e ispirativo, i Sergeant Thunderhoof mettono inoltre in mostra testi molto colti ed intelligenti, complessi e sofisticati, consacrati per lo più a temi quali il cospirazionismo, gli Illuminati, la mitologia aliena e la tradizione esoterica ed astrologico-occulta. Vale davvero la pena di ascoltarli, nonostante non siano di facilissima reperibilità dalle nostre parti (ci si può rivolgere a Black Widow di Genova). Le edizioni in vinile, oltre ad essere magnifiche, rendono giustizia a tutto l’immaginario musicale e iconografico dei Sergeant Thunderhoof, un combo realmente senza tempo, capace di riportare in vita (nell’episodio conclusivo) pure certe ritmiche raga della Notting Hill di fine ’60.

Tracklist
1- Another Plane
2- Stellar Gate Drive
3- The Tree and the Serpent
4- B Oscillation
5- Diesel Breath
6- Priestess of Misery
7- Half a Man
8- Om Shaantih

SERGEANT THUNDERHOOF – Facebook

Ruxt – Back To The Origins

La voce che fa vibrare corde ormai sopite, le chitarre foriere di riff spettacolari e la sezione ritmica rocciosa e sempre sul pezzo danno lustro ad una raccolta di brani a tratti esaltanti: questo è Back To The Origins e questi sono i Ruxt, che con una punta d’orgoglio campanilistico possiamo senz’altro definire una delle massime espressioni del genere in assoluto.

Era il 2016 quando sulle pagine di MetalEyes si parlava per la prima volta dei Ruxt, hard rockers genovesi che debuttavano con il notevole Behind The Masquerade, album che proponeva un sound ispirato da Dio e Whitesnake, ma riletto in chiave moderna e groovy.

Il secondo, bellissimo Running Out of Time vedeva un gruppo in continua crescita con il proprio sound che, ben radicato nella scuola britannica, espandeva i suoi orizzonti tra Rainbow e Deep Purple con l’asso nella manica rappresentato dal singer Matt Bernardi, straordinario interprete a metà strada tra Coverdale e Dio o, più semplicemente emulo del grande Jorn Lande.
Il gruppo si presenta con un nuovo album ed una line up che vede l’avvicendamento alla batteria tra Alessio Spallarossa (Sadist) e Alessandro Fanelli (Ashen Fields , ex Path Of Sorrow), mentre le vecchie volpi del rock genovese sono tutte ancora al loro posto (il bassista Steve Vawamass, Stefano Galleano e Andrea Raffaele alle chitarre, ed ovviamente Matt Bernardi al microfono).
Back To The Origins conferma dunque il valore assoluto di questa band nel genere, andando forse oltre alle più rosee aspettative grazie ad una alchimia consolidata tra i musicisti, un tocco di sana gioventù portata dal nuovo drummer, ed una consapevolezza ancora più accentuata dell’essere una delle realtà più convincenti nel portare avanti la tradizione britannica sulla scena hard rock del nuovo millennio.
Già dal titolo si intuisce che i Ruxt questa volta hanno dato ampio spazio alle produzioni a cavallo tra gli anni settanta e ottanta con l’accoppiata d’apertura Here And Now/I Will Find Away che fanno vibrare la lingua del serpente bianco tatuato sulla mia spalla (dalla copertina di Trouble).
E’ un sussulto continuo l’ascolto del nuovo lavoro targato Ruxt: la scaletta alterna tracce dall’appeal più moderno ed in linea con quanto fatto dal Lande solista a quelle di ispirazione tradizionale che gli esperti del genere avranno già potuto ascoltare non solo sui monumentali lavori delle band storiche ma anche in quel Once Bitten… che Lande registrò con la storica coppia Moody/Marsden sotto il monicker The Snakes.
La voce che fa vibrare corde ormai sopite, le chitarre foriere di riff spettacolari e la sezione ritmica rocciosa e sempre sul pezzo danno lustro ad una raccolta di brani a tratti esaltanti, heavy rock alla massima potenza sporcato da quel tocco di blues che fece la fortuna del rettile più famoso della storia del rock: questo è Back To The Origins e questi sono i Ruxt, che con una punta d’orgoglio campanilistico possiamo senz’altro definire una delle massime espressioni del genere in assoluto.

Tracklist
1. Here And Now
2. I Will Find The Way
3. All You Got
4. River Of Love
5. Be What You Are
6. Train Of Life
7. Another Day Without Your Soul
8. Come Back To Life
9. Remember The Promise You Made
10. Tonight We Dine In Hell
11. Back To The Origins

Line-up
Matt Bernardi – Vocals
Stefano Galleano – Guitars
Andrea “Raffo” Raffaele – Guitars
Steve Vawamas – Bass
Alessandro “Attila” Fanelli – Drums

RUXT – Facebook

Avantasia – Moonglow

Diventa difficile non ripetersi quando si parla di opere come queste: il songwriting sempre all’altezza, i tanti ospiti che offrono il loro fondamentale contributo alla riuscita dell’album, la grande immediatezza che accomuna i vari capitoli e che fanno della varietà compositiva il loro punto di forza, sono le qualità ampiamente espresse da questo geniale musicista tedesco.

Sono passati quasi vent’anni ormai da quando il giovane e talentuoso leader degli Edguy licenziava il suo primo album solista, The Metal Opera, con il monicker Avantasia, seguendo il trend che aveva segnato gli anni a cavallo del nuovo secolo in ambito metallico, con concept per lo più di ispirazione fantasy in cui la musica era una sorta di colonna sonora interpretata da una serie di ospiti che impreziosivano il gran lavoro di stesura e creazione.

Per Tobias Sammet quella che poteva essere solo una riuscita parentesi si è trasformata in una piacevole e puntuale abitudine, e il suo progetto Avantasia, in barba alle mode o ai capricci del mercato, arriva oggi alla sua ottava meraviglia intitolata Moonglow.
Diventa difficile non ripetersi quando si parla di opere come queste: il songwriting sempre all’altezza, i tanti ospiti che offrono il loro fondamentale contributo alla riuscita dell’album, la grande immediatezza che accomuna i vari capitoli e che fanno della varietà compositiva il loro punto di forza, sono le qualità ampiamente espresse da questo geniale musicista tedesco.
Sammet non ha paura di mettersi alla prova fin da subito e l’opener Ghost In The Moon, invece di esplodere in fuochi d’artificio power come tanti brani che aprono lavori del genere, si rivela in realtà una lunga suite dalle ispirazioni progressive, lasciando alla seguente Book Of Swallows il compito di agitare le acque grazie ad un Mille Petrozza di straordinaria intensità.
Gli ospiti al microfono sono ovviamente da olimpo del metal/rock mondiale: oltre a Petrozza, troviamo infatti Ronnie Atkins (Pretty Maids), Jørn Lande (Masterplan), Eric Martin (Mr. Big), Geoff Tate (ex Queensryche), Michael Kiske (Helloween), Bob Catley (Magnum), Candice Night (Blackmore’s Night), Hansi Kürsch (Blind Guardian), affiancati dalla band che vede oltre al mastermind, alle prese con voce, basso e tastiere, Sascha Paeth alla chitarra, basso e tastiere, Michael Roderberg alle orchestrazioni e tastiere e Felix Bohnke alla batteria.
Power metal, symphonic, folk, hard rock, progressive: come sempre il musicista tedesco non si pone limiti di genere, ma crea brani di varia natura, gradevoli sicuramente per una grossa fetta degli amanti dell’hard & heavy ma contraddistinti da un livello superiore alla media per quanto riguarda scrittura ed arrangiamenti.
The Raven Child, l’oscura Alchemy, la veloce ed helloweeniana Requiem For A Dream sono i brani più significativi di questo nuovo album targato Avantasia: per i fans e non solo l’ennesima, avvincente ed imperdibile opera firmata da Tobias Sammet.

Tracklist
01. Ghost In The Moon
02. Book Of Shallows
03. Moonglow
04. The Raven Child
05. Starlight
06. Invincible
07. Alchemy
08. The Piper At The Gates Of Dawn
09. Lavender
10. Requiem For A Dream
11. Maniac

Line-up
Tobias Sammet – Vocals, Bass & Keyboards
Sascha Paeth – Guitar, Bass & Keyboards
Michael Rodenberg – Orchestration & Keyboards
Felix Bohnke – Drums

AVANTASIA – Facebook

Manente / Alonzo / Du Bose – M.A.D.

Un buon debutto, che troverà estimatori negli amanti degli storici gruppi citati ed ovviamente nei sostenitori del metal classico a stelle e strisce.

Matheus Manente è un compositore, musicista e produttore brasiliano che, insieme a Jon Du Bose (Fervent Send, Domestic Violence) e Jesus Alonzo (Salem Rust, Espejismo), ha dato vita a questo power trio al debutto con M.A.D., licenziato in regime di autoproduzione.

L’album è composto da nove brani scritti da Du Bose, di matrice statunitense e ispirate tanto dall’U.S. metal, quanto dal metal progressivo.
La sua durata che non supera i quaranta minuti è perfetta, i brani risultano così diretti e prepotenti, classicamente oscuri come da tradizione americana ed ispirati da tematiche horror, anche se non mancano critiche verso la società odierna.
Diviso tra Brasile e States, M.A.D. evidenzia un buon songwriting così come una vena progressiva che si potenzia di sonorità power e progressive: suonato e prodotto professionalmente, l’album vive di picchi atmosferici e strumentali che lo rendono un ascolto consigliato ai fans dei primi Queensryche, Fates Warning e Metal Church.
Evocativo, metallico, oscuro e a tratti raffinato, l’album non ha cali di tensione e regala almeno un trio di tracce davvero ispirate come Shades Of I, To Travel Beyond e Surveillance State.
Un buon debutto, che troverà estimatori negli amanti degli storici gruppi citati ed ovviamente nei sostenitori del metal classico a stelle e strisce.

Tracklist
1.Twelve Gates
2.Reinventing Life
3.Shades Of I
4.Portals
5.Thief Profane
6.To Travel Beyond
7.Yemanja
8.Surveillance State
9.Die As You Will

Line-up
Matheus Manente – Drums, lead guitars, percussion, sound effects, keyboards, Portuguese vocals on “Thief Profane”
Jesus Alonzo – Lead vocals, lyrics, acoustic guitars, lead guitars, rhythm guitar on “Portals” and “Yemanja”
Jon Du Bose – Rhythm guitar, bass guitar and first lead guitar on “Die As You Will”