Mars Era – Dharmanaut

Dharmanaut non è un disco comune grazie alla sua intensità e potenza, con un’ottima unione fra desert stoner e psych settanta, e ci si può trovare anche uno spruzzo di grunge.

I Mars Era sono nati a Firenze nel 2014, ispirandosi allo stoner, e più in particolare alla scena desertica statunitense che tante gioie ha regalato.

Per il loro debutto discografico però questi ragazzi vanno ben oltre, confezionando un concept album che si basa sull’idea di un lungo dialogo fra lo Ying e lo Yang, che ci riporta al dualismo fra bene e male e a tanti altri dualismi sia della filosofia orientale che di quella occidentale. La musica dei Mars Era è molto energica e di forte impronta settantiana, con una potente benzina di modernità. Il disco è molto bello, con canzoni veloci ed altri momenti maggiormente dilatati, e stupisce la maturità sonora di questo gruppo esordiente, che certamente non propone novità rivoluzionarie, ma confeziona un disco molto ben fatto e piacevole, intenso e coinvolgente. Il suono è vitaminico e ben bilanciato, con una forte impronta anni settanta come si diceva prima, e partendo da qui i Mars Era sviluppano un suono peculiare ed importante, ben definito e con ulteriori margini di miglioramento. Dharmanaut non è un disco comune grazie alla sua intensità e potenza, con un’ottima unione fra desert stoner e psych settanta, e ci si può trovare anche uno spruzzo di grunge. Il concept si sviluppa con un film accompagnato da una musica davvero notevole, che rende l’opera molto interessante. Disco di rara intensità e pathos che spalanca un futuro davanti ai Mars Era.

TRACKLIST
01. Enemy Was a Friend of Mine
02. Emprisoned
03. The Leap
04. Revolution
05. Red Eclipse
06. Licancabur
07. Desolate Wasteland

LINE-UP
M. Verdelli _guitars
D. Ferrara_vocals
L. Storai_bass
T. Tassi_drums

MARS ERA – Facebook

The Furor – Cavalries of the Occult

Prendete, una per genere, la band più estrema in circolazione di death, black e thrash metal, ed avrete un’idea della forza bruta di questi demoni australiani, autori di un disco comunque consigliato solo ai fans più incalliti di questi stili.

Ci eravamo occupati di questa devastante band australiana un paio di anni fa, quando DIzazter diede alle stampe il quarto full lenght della sua creatura, chiamata The Furor.

Attiva dal 2002 questa assatanata ed apocalittica creatura estrema continua la sua guerra contro l’umanità a colpi di black/death/thrash devastante, un uragano orgiastico di suoni estremi senza soluzione di continuità, questa volta sotto l’ala della Transcending Obscurity, la sola novità che si porta con se questo ennesimo assalto metallico.
Aiutato da Hellhound e The Grand Impaler, il demone australiano torna a dichiarare guerra al mondo con una serie di bombe atomiche musicali, feroci e senza compromessi, apocalittiche nel senso più devastante del termine.
Anche Cavalries of the Occult, come l’album precedente non lascia scampo, guerra totale dalla prima all’ultima nota, con brani che risultano un massacro ben congegnato e martellante (la title track, Death Manifest e Storm Of Swords) e gli altri che continuano le nefandezze perpetrate da questo esercito di mostri liberi di perpetrare le azioni più orribili sulla terra.
Il problema di Cavalries of the Occult è la durata: quasi un’ora di una tempesta sonora di proporzioni bibliche diventa difficile da portare fino in fondo, ed infatti verso la fine l’attenzione immancabilmente scende, provati da tanto odio e caos primordiale.
Album che diviso in due avrebbe sicuramente reso maggiormente, ma se vi piacciono le esagerazioni in musica, i The Furor sono sicuramente uno dei gruppi più estremi in circolazione.
Prendete, infatti, una per genere la band più estrema in circolazione di death, black e thrash metal, ed avrete un’idea della forza bruta di questi demoni australiani, autori di un disco comunque consigliato solo ai fans più incalliti di questi stili.

TRACKLIST
1.30 Year War
2.Cavalries of the Occult
3.Death Manifest
4.Fomes Peccati
5.Lake of Fire
6.Rampage upon the Rational
7.Second Coming Slaughtered
8.Storm of Swords
9.Totaliterror

LINE-UP
DIzazter – Khaos Drum Molestations/ Vocal Missiles,
Hellound – Merciless Christ Axecution
The Grand Impaler – Ballistic Bass from Beyond

THE FUROR – Facebook

Impure Ziggurat – Serenades of Astral Malevolence

Sono pochi due brani per imprimere un definitivo marchio di qualità al black/death metal della band transalpina, ma bastano per rinvenire un’attitudine sincera e la voglia di provare a raccontare qualcosa che vada oltre satanismo o paganesimo.

Breve Ep per i francesi Impure Ziggurat, dopo il demo rilasciato all’inizio del 2015 quale primo atto ufficiale della loro storia.

Sono pochi due brani per imprimere un definitivo marchio di qualità al black/death metal della band transalpina, ma bastano per rinvenire un’attitudine sincera e la voglia di provare a raccontare qualcosa che vada oltre satanismo o paganesimo, utilizzando quale mezzo un genere suonato comunque in maniera piuttosto ortodossa.
Le tematiche riguardanti le civiltà antiche (intuibili dal monicker) e l’astrosofia ben si addicono ad un sound oscuro e avvolgente, magari non sempre impeccabile a livello esecutivo, ma dotato dei numeri sufficienti per attirare l’attenzione: i rallentamenti doom che aprono entrambi i due brani principali, Convocation Of M64 Abominations e Summoning Oort’s Semen (l’opener Teleos Eniautos è una breve intro di stampo sinfonico), le buone melodie chitarristiche in tremolo ed un growl catacombale di matrice death, vanno a formare una quadro massiccio ma abbastanza versatile, in relazione al tipo di sound offerto.
Una prova che bada più alla sostanza che alla forma, positiva perché, in fondo, a noi piace anche così …

Tracklist:
1.Teleos Eniautos
2.Convocation Of M64 Abominations (Abhorrent Portal OF Flesh, Collapsed)
3.Summoning Oort’s Semen (Crawling Into The Serpent’s Nest)

Line-up:
LDVC – Bass
RM – Drums
CDRK – Guitars
TR – Vocals, Guitars

IMPURE ZIGGURAT – Facebook

Heart Avail – Heart Avail

Buon esordio per una band che sa di non poter strafare e si accontenta di dosare in buona misura grinta e melodie gotiche: per gli amanti di Evanescence e Within Temptation un ascolto soddisfacente.

Nuova proposta, in arrivo dagli States, di hard gothic metal sulla scia di Evanescence e Within Temptation, con un tocco moderno nelle ritmiche e nei suoni di chitarra prettamente americani che non guastano affatto.

Partendo da una base gothic metal, gli Heart Avail, band di Spokane capitanata dall’ugola della singer Aleisha Simpson, immettono nel proprio sound pesanti dosi di metal alternativo, a tratti potente, in altri sincopato e melodico stile primi Lacuna Coil, così da variare quel tanto che basta il mood dei brani presenti (cinque) tutti circondati da un’aura di già sentito ma tutto sommato carini.
La band è al debutto, quindi potenzialmente dal sound migliorabile anche se la Simpson è molto brava e le tracce si lasciano ascoltare, tra gothic ed alternative metal che si prendono a spintoni per regnare sul sound delle varie Broken Fairytale, dell’ottima Always e della conclusiva, metallica Pink Lace.
In sintesi, buon esordio per una band che sa di non poter strafare e si accontenta di dosare in buona misura grinta e melodie gotiche: per gli amanti di Evanescence e Within Temptation un ascolto soddisfacente.

TRACKLIST
1.Broken Fairytale
2.Vacillation
3.Always
4.No Remorse
5.Pink Lace

LINE-UP
Aleisha Simpson – Vocals
Greg Hanson – Guitar
Mick Barnes – Bass
Seamus Gleason – Drums

HEART AVAIL – Facebook

Mangog – Awakens

L’effetto di insieme è notevole e questo Awakens è un disco gigantesco, con pesanti giri di chitarra ed un’interpretazione canora affatto comune: la bestia avanza lentamente.

Ci sono luoghi dove certe cose vengono fatte meglio rispetto al resto del mondo, per esempio nel Maryland il doom classico lo fanno meglio, e il nuovo disco dei Mangog ne è la dimostrazione.

Questa nuova bestia che porta riff e cattiveria è formata da membri di altri notevoli gruppi del Maryland, come Beelzefuzz, Iron Man e Revelation. Tutti questi gruppi hanno in comune una visione classica del doom metal, fatta di grassi e lenti giri di chitarra, un basso ben piazzato e batteria piuttosto sabbathiana. L’effetto di insieme è notevole e questo Awakens è un disco gigantesco, con pesanti giri di chitarra ed un’interpretazione canora affatto comune: la bestia avanza lentamente.
Questo è un disco di doom underground al 100 % e ogni canzone scava a fondo, rompendo tutto ciò che incontra. Il suono della chitarra ha vari registri, e non ci sono solo giri lenti, ma anche canzoni più veloci, che testimoniano la versatilità del gruppo che rende di altro livello tutte le canzoni. In alcuni momenti ci sono anche offerte a dei di altri generi, tanto che la voce di Myke Wells sembra quasi heavy metal, e il gruppo offre sempre ottimi spunti.
Nell’insieme questa seconda prova dei Mangog, dopo l’ep del 2015 Daydreams Within Nightmares, è un disco meravigliosamente pesante, che farà la gioia di chi ama il doom classico, ma molti elementi musicali vanno ben oltre la classicità. I Mangog uniscono vari stili pera arrivare ad un risultato notevole, e Awakens sta riscuotendo già ottime accoglienze, sia per il peso dei nomi coinvolti sia per la sua qualità. Tutte le canzoni sono ottime, e la produzione minimale aggiunge ancora maggior peso al disco. Da Baltimora la musica del destino.

TRACKLIST
1. Time Is a Prison
2. Meld
3. Ab Intra
4. Of Your Deceit
5. Into Infamy
6. Modern Day Concubine
7. A Tongue Full of Lies
8. Daydreams Within Nightmares
9. Eyes Wide Shut

LINE-UP
Myke Wells – Vocals
Bert Hall, Jr. – Guitars, vocals, devices
Darby Cox – Basses
Mike Rix – Drums

MANGOG – Facebook

Deathfucker – Fuck The Trinity

Fuck The Trinity è un esempio di musica underground nella più pura concezione del termine, è metallo disturbante e malvagio, dove mere disquisizioni tecniche lasciano spazio ad impatto ed attitudine, presentandoci una nuova realtà estrema che trae linfa dai padri storici del metal estremo ottantiano.

Pei i Deathfucker il tempo si è fermato ai primi anni del decennio ottantiano, quando nella fiorente scena heavy metal muovevano i primi passi realtà molto più estreme e pericolose.

Devoto al signore oscuro e fortemente anticristiano, questo progetto vede coinvolti Insulter (chitarra, basso, voce e testi) e J.K. (batteria), nel passato membri di gruppi come Raw Power, Valgrind ed Inferi.
Questo demo di tre brani ci presenta una realtà malvagia, famelica e ingorda di male, che si nutre del più marcio thrash metal underground e lo potenzia di devastante attitudine death.
Il lavoro denota un approccio di inumana violenza, senza compromessi, satanico ed assolutamente old school, roba per maniaci del metal estremo underground: i tre brani (Dechristianized, Fuck The Trinity, Intoxication Of The Soul), sono altrettante spallate metalliche di diabolica violenza, frustate che dal braccio di Insulter arrivano alla schiena, conficcando i chiodi tra le scapole come nel supplizio del Cristo.
Fuck The Trinity è un esempio di musica underground nella più pura concezione del termine, è metallo disturbante e malvagio, dove mere disquisizioni tecniche lasciano spazio ad impatto ed attitudine, presentandoci una nuova realtà estrema che trae linfa dai padri storici del metal estremo ottantiano.

TRACKLIST
1.Dechristianized
2.Fuck The Trinity
3.Intoxication Of The Soul

LINE-UP
J.K – Drums
Insulter – Guitars, Bass, Vocals

DEATHFUCKER – Facebook

Screamer – Hell Machine

Lo spirito della macchina infernale, costruita nei primi anni ottanta a colpi di Iron Maiden, Thin Lizzy e Tyger Of Pan Tang, si è impossessata di questi cinque musicisti svedesi

Se avete amato e continuate ad amare l’heavy metal classico, allora non potete fare a meno degli Screamer e del loro Hell Machine.

Lo spirito della macchina infernale, costruita nei primi anni ottanta a colpi di Iron Maiden, Thin Lizzy e Tyger Of Pan Tang, si è impossessata di questi cinque musicisti svedesi che già avevano stupito tutti con i primi due album, Adrenaline Distractions, uscito nel 2011, ed il precedente Phoenix, licenziato tre anni fa: ci consegna una band indemoniata, completamente succube del demone ottantiano, ma assolutamente in grado di rinverdire i fasti delle opere storiche dell’heavy metal con una serie di brani eccezionali.
Intanto la produzione, senza essere troppo patinata, è perfettamente allineata alle produzioni dell’epoca, le ritmiche si mantengono serrate, le chitarre si ricorrono sui manici come facevano Dennis Stratton e Dave Murray sull’esordio dei Maiden, la voce di Andreas Wikström è perfetta per il genere, mentre l’epicità aleggia tra una serie di brani talmente belli che commuovono.
Ne parliamo continuamente di attitudine old school: di questi tempi i suoni vintage sono cool, specialmente in un certo tipo di hard rock, e nell’heavy metal hanno regalato più delusioni che gioie, ma qui siamo nell’inferno metallico, che brucia sotto le fiammate delle varie tracce che si susseguono una più bella dell’altra, conquistandoci al primo ascolto.
Il songwriting è perfettamente classico, senza un refrain che non sia esaltante, senza un assolo che non ferisca, schiacciato dentro quello strumento di tortura che si chiama vergine di ferro e che ha reso Steve Harris e soci immortali.
Ma Hell Machine non è solo Iron Maiden; tra i solchi di Alive, della title track, di Lady Of The Night, di Denim And Leather (se non sapete dove avete già sentito questo titolo, smettetela subito di leggere) e della cavalcata The Punishment troverete dettagli, note, sfumature che vi porteranno alla mente le band descritte e molte altre, in un delirio metallico splendidamente classico.
Che album, che gruppo; grazie al Dio del metal ci siamo noi a parlarvene, serve altro ?

TRACKLIST
1.Alive
2.On My Way
3.Hell Machine
4.Lady of the Night
5.Warrior
6.Denim and Leather
7.Monte Carlo Nights
8.The Punishment

LINE-UP
Andreas Wikström – Vocals
Anton Fingal – Guitar
Dejan Rosić – Guitar
Fredrik Svensson – Bass
Henrik Petersson – Drums

SCREAMER – Facebook

Violent Magic Orchestra – Catastrophic Anonymous

Tragiche e sublimi visioni di un manipolo di gente iper-pessimista

Catastrophic Anonymous del collettivo Violent Magic Orchestra è un album – un collage sonico per pochi – estremo, maestoso e massimalista nel senso più estremo, maestoso e massimalista del termine, comprendente una moltitudine di generi: dall’harsh noise a quel metal d’avanguardia, giapponesissimo, che trova il suo nucleo nella classica poetica dei Vampillia, fino a scenari techno-industrial, accenni di jpop, grind e via dicendo.

Basterebbe elencare la sfilza di nomi coinvolti in questo progetto internazionale – senza eccessivi principi d’autorità – per destare più d’una lecita curiosità. Un Régimbeau sugli scudi che più che Mondkopf è qui in versione Extreme Precautions (si vedano certi suoi lavori precedenti come le varie Untitled di I, del 2014). Un Plotkin in versione mastermind che più che Khanate – come recita la press sheet – qui ricorda concettualmente quel Phantomsmasher dell’album omonimo del 2002: un disco, come questo, la cui brutalità mascherava altro, brutalità in ogni caso mai fine a sé stessa. Ogni brano è un mondo a sé, legato da un filo rosso a tutti gli altri: dalle note di piano di Acts of Charity alle riflessioni occulte-cosmicheggianti – presto riportate a terra da un’elettronica fredda e lucida – di At The Bank. Dagli organi di One Day Less – intermezzo che sembra una paralisi dello spirito – all’harsh noise di tracce come In Favour of Cruelty, che ha invece distorti echi lontani da console videoludiche anni ’90. Dalle disperate vocalità DSBM che fanno capolino qua e là su paesaggi dronici modellati su blast beat tanto furiosi quanto nostalgici di brani come The Beginning Of Fortune e Pursuit of Dignity fino alla conclusiva Out of Orbit, che è pura sintesi – di una malinconia commovente – e che scorre come un unico pensiero di una mente nichilista che si approssima a lasciare il pianeta. L’enorme potere di questo disco non sta tanto nella somma delle pur eccellenti individualità coinvolte (tra gli altri, per l’occasione, sono stati assoldati Pete Swanson, Attila Csihar e quel Chip King che proprio nel 2016 ha firmato il bellissimo No One Deserves Happines coi The Body, oltre al discreto One Day You Will Ache Like I Ache in collaborazione coi Full of Hell), né nel loro lavorare – seppur perfettamente – all’unisono: quanto nel concept generale che scorre come un unico flusso di coscienza, quasi joyciano nel dar l’impressione di rappresentare in maniera temporalmente dilatata moti interiori istantanei, e che sembra descrivere con estrema sincerità le sensazioni di una mente tanto misantropa quanto a suo modo – per un ossimoro – nutrita di una tenue speranza.

TRACKLIST
1. The Beginning Of Fortune
2. Acts Of Charity
3. In Favor Of Cruelty
4. Divorcer
5. Halved
6. One Day Less
7. At The Bank
8. Brick Wall
9. Pursuit Of Dignity
10. Out Of Orbit

VIOLENT MAGIC ORCHESTRA

Ephedra – Can’ – Ka No Rey

Gli Ephedra vanno in profondità nello scrivere le loro canzoni e fanno provare all’ascoltatore un’esperienza nuova, ampliando le possibilità della musica strumentale, con la loro miscela di stoner doom ed heavy metal.

Le miscele se equilibrate e fatte bene sono irresistibili.

E’ questo il caso degli Ephedra, da Zofingen nel cantone Argovia, quartetto svizzero che propone un suono davvero particolare, a cavallo di molti generi, tra i quali lo stoner, il doom, ma con un fortissimo substrato di heavy metal, più che altro un sentire. In questo disco d’esordio gli Ephedra fanno sfoggio di un suono che non è facile da sentire, possiamo prendere come punto di partenza la musica pesante strumentale dei Karma To Burn. ad esempio, anche se qui la filigrana è più sottile, ma giusto per far capire all’ascoltatore cosa lo aspetta. Partendo da queste coordinate gli Ephedra viaggiano fra i generi, e nella stessa canzone possiamo ascoltare post rock, post metal ed altro. Ancora più in profondità la struttura della maggior parte delle canzoni è composta da un’epicità e classicità metal davvero peculiare. Gli Ephedra vanno in profondità nello scrivere le loro canzoni e fanno provare all’ascoltatore un’esperienza nuova, ampliando le possibilità della musica strumentale, rendendo Can’- Ka No Rey un disco molto particolare. Il titolo del disco deriva dal nome di un luogo nella saga della Torre Nera di Stephen King, e questo già rende bene l’idea dell’epicità fantasy insita in questo disco, che è davvero piacevole alle orecchie di chi lo sente, perché è strutturato davvero bene. Gli svizzeri fanno venire voglia di sentirli molte volte, e sarà interessante testarli dal vivo, anche perché il loro suono è stato costruito sui palchi delle loro numerose esibizioni di fronte al pubblico. Un album di esordio molto positivo, ma che soprattutto si distacca dalla media dei lavori di altre band a loro affini.

TRACKLIST
1.Vicious Circle
2.Bad Hair Day
3.Mother Stone
4.Cornfield Disaster
5.Monday Morning
6.Metamorphosis Calypso
7.Coco Mango Soup
8.Happy Threesome
9.Road Trip
10.Barstool Philosophy
11.Moonshiner
12.Southern Love

LINE-UP
Roman Hüsler -Guitar
Andy Brunner – Guitar
Kilian Tellenbach – Bass
Tomi Roth – Drums

EPHEDRA – Facebook

Azooma – The Act Of Eye

The Act Of Eye è un concept diviso in otto capitoli, altrettanti atti di un’opera estrema progressiva tutta da seguire nelle sue scorribande tra le varie anime del death metal.

Arriva sul mercato tramite la Xtreem il debutto sulla lunga distanza dei notevoli Azooma, band iraniana che aveva stupito con il primo ep licenziato un paio di anni fa, A Hymn Of The Vicious Monster, e del quale ci eravamo occupati all’epoca si In Your Eyes.

Ci avevamo visto giusto allora, visto la qualità altissima di questo nuovo lavoro del gruppo proveniente dalla città di Mashhad.
Gli Azooma suonano un death metal progressivo, tecnicamente sono dei mostri, ma il bello risulta l’emozionalità altissima dei loro brani, oscuri, estremi ma tremendamente coinvolgenti, anche per l’ottimo uso, a tratti, di atmosfere prese in prestito dalla loro cultura, così lontano dalla nostra, ma estremamente affascinante.
The Act Of Eye è un concept diviso in otto capitoli, altrettanti atti di un’opera estrema progressiva tutta da seguire nelle sue scorribande tra le varie anime del death metal, ora brutale, ora ultra tecnico, ora stupendamente progressivo, un vagabondare perdendosi nell’anima oscura di questi musicisti, tra ritmiche destabilizzanti, attimi progressivi dai richiami crimsoniani e del death classico.
Aiutati dal mastermind della label e vocalist degli Avulsed, Dave Rotten, sulla prima traccia (Act 1-Plague Of Predator), il quartetto iraniano si supera e con questo lavoro imprime il suo marchio sul genere proposto: a conferma di tutto ciò arriva come un uragano di note due brani capolavoro come Act 3 – The Ocular Dominance, undici minuti di perfetto connubio tra il progressive rock sperimentale dei King Crimson, il death metal tecnico dei Death e l’oscura brutalità dei Morbid Angel, e la splendida orchestralità di Act 4 – Erosion of Shadows, symphonic/technical/progressive death metal che entusiasma non poco.
Vi ho parlato di soli due brani, ma potrei prendervi per mano e, nominandoli tutti, accompagnarvi tra i meandri di quest’opera senza tempo ne confini, vi lascio invece con ancora in testa la spettacolare Act 5-Non Entity Of Visions, talmente varia nelle atmosfere e nelle ritmiche da farla sembrare almeno tre brani uniti in un solo gioiello estremo, e con l’invito a non perdervi una sola nota di questa bellissima opera di musica totale.

TRACKLIST
1.Act 1 – Plague of Predator
2.Act 2 – Umbra of Mirth
3.Act 3 – The Ocular Dominance
4.Act 4 – Erosion of Shadows
5.Act 5 – Non-Entity of Visions
6.Act 6 – Flare of Flames
7.Act 7 – Objectivity of Oblivion
8.Act 8 – The Eyes: A Tale of Sight and Shadows

LINE-UP
Shahin Vaqfipour – vocals
Ahmad Tokallou – guitar
Farid Shariat – bass
Saeed Shariat – drums

AZOOMA – Facebook

Ithilien – Shaping The Soul

Un album piacevole e leggermente diverso dal solito folk metal d’assalto degli ultimi tempi, pregno di atmosfere malinconiche e bellissime melodie, ma che sa far male quando il sound necessita di metallici e tellurici scossoni.

Nel regno di Gondor, tra il fiume Anduin e gli Ephel Dúath di Mordor, c’è una regione chiamata Ithilien , che in idioma Sindarin significa Terra Della Luna.

E’ però anche il monicker di questa band belga che, al folk metal suonato con strumenti tradizionali, affianca un metal estremo di matrice metalcore alquanto funzionale alla riuscita di questo secondo lavoro, in uscita per WormHoleDeath e dal titolo Shaping The Soul.
Dopo oltre dieci anni di attività, con all’attivo un ep, un singolo ed il full length From Ashes to the Frozen Land, il gruppo, dopo la firma con la label italiana, arriva così al secondo lavoro continuando a dispensare folk metal tra tradizione celtica, qualche spunto più vicino al classico folk nordico, e metal estremo, melodico ed in questo caso più moderno di quello che si sente in giro.
Ne esce un album tutto da ascoltare, ovviamente ricco di epicità, elegantemente suonato con gli strumenti tradizionali (stupenda Walk Away) e violentato da scariche metalliche che, per una volta, si allontanano dal già sentito, lasciando all’ascoltatore un’impressione di originalità in un genere dove ormai risulta difficile stupire.
Si viaggia nei territori della Terra di Mezzo, la bellezza della natura ed i pericoli in un territorio di guerra sono descritti da un sound colmo di drammaticità, malinconico nel suo andamento e meno aperto a facili armonie da osteria.
Si passa così da cavalcate dove tradizione ed irruenza metal vanno di pari passo (la title track e If Only), brucianti brani dove l’anima oscura e core prende il sopravvento (Edelweiss) ad altri dove le due anime si scontrano a singolar tenzone per il dominio sul sound di Shaping The Soul (The Dive).
Chiude la strumentale The Bear Dance, la più solare tra le tracce presenti, come se i nostri eroi fossero riusciti ad arrivare al sicuro della propria casa, lontano dai pericoli che la terra di Mordor nasconde.
Un album piacevole e leggermente diverso dal solito folk metal d’assalto degli ultimi tempi, pregno di atmosfere malinconiche e bellissime melodie, ma che sa far male quando il sound necessita di metallici e tellurici scossoni.

TRACKLIST
1.Blindfolded
2.Lies After Lies
3.Shaping the Soul
4.Walk Away
5.If Only
6.Emma
7.Edelweiss
8.Hopeless
9.The Dive
10.The Bear Dance

LINE-UP
Pierre – Vocals, lead guitar & bouzouki
Tuur – Rhythm Guitar
Ben – Bass
Hugo – Bagpipe
Myrna – Violin
Sabrina – Hurdy Gurdy
Jerry – Drums

http://www.facebook.com/Ithilien.Music

Infernal Angels – Ars Goetia

Ars Goetia, per il suo potenziale, è un album capace di travalicare i ristretti confini musicali del nostro paese, anche perché le più pesanti sfumature death che presenta potrebbero ampliare non poco la gamma dei suoi possibili fruitori.

Quarto album per gli Infernal Angels, band guidata ormai da quindici anni da Xes, uno dei migliori vocalist italiani in ambito black/death e che, non a caso, troviamo all’opera anche in altre due ottime realtà come Lilyum e Byblis.

Come il precedente Pestilentia, anche Ars Goetia è un album tematico, che incentra ognuno dei dieci brani su altrettanti demoni tra i 72 principali, quelli descritti nella prima parte della Piccola Chiave di Salomone, che dà appunto il titolo al lavoro.
Oltre ad essere una buona occasione per dare un ripasso o approfondire maggiormente il significato di alcuni nomi divenuti familiari a chi ascolta metal (ben pochi sono quelli che non sono diventati un ambito monicker), Ars Goetia è soprattutto un altro notevole lavoro fornito da questa band: se Pestilentia conservava maggiormente la sua impronta black, qui invece gli Infernal Angels vanno ad esplorare anche il versante death.
Non se a ciò possa aver contribuito il totale stravolgimento della line-up, che vede ora il sempre convincente Xes accompagnato da quattro nuovi musicisti, tra i quali sicuramente il più noto è il batterista Alex Venders, attivo soprattutto in sede live con diversi gruppi estremi della scena nazionale ma, assieme a lui, i bravi Apsychos, Nekroshadow (chitarre) e Hagen (basso) rendono oggi gli Infernal Angels una gruppo più che mai completo, pronto a mettere a ferro e fuoco i palchi anche senza ricorrere all’aiuto di altri musicisti in sede live.
Ars Goetia è un disco oscuro e dai suoni ottimali che gode anche di una certa varietà, ulteriormente conferita, oltre che da una scrittura tutt’altro che monolitica, anche dal ricorso alle voci di tre ospiti disseminate in altrettanti brani: Asmoday, con il contributo della voce inconfondibile di Mancan (Ecnephias), e Bael e Paimo, rispettivamente con le timbriche più harsh di Lorenzo Sassi (Frostmoon Eclipse) e Snarl (Black Faith), sono tutte tracce notevoli, anche se ritengo che i picchi dell’album vengano raggiunti nella trascinante Balam e nella più impressionante, per costruzione ed impatto, Belial (scelta opportunamente per essere accompagnata da un video).
Con questo ottimo lavoro gli Infernal Angels proseguono la loro opera di consolidamento di uno status già consistente, e l‘operazione non può che trarre giovamento dall’avere oggi alle spalle un’etichetta come la My Kingdom: Ars Goetia, per il suo potenziale, è un album capace di travalicare i ristretti confini musicali del nostro paese, anche perché le più pesanti sfumature death che presenta, a mio avviso, potrebbero ampliare non  poco la gamma dei suoi possibili fruitori facendolo entrare nell’orbita dei fans di Behemoth e co.

Tracklist:
1. Amdusias: The Sound Of Hell
2. Vine: Destroyer Of The World
3. Asmoday: The Impure Archangel
4. Purson: Matter And Spirit
5. Bael: The Fire Devour Their Flesh
6. Paimon: The Secret Of Mind
7. Balam: Under Light And Torment
8. Zagan: The Alchemist
9. Belial: The Deceiver
10. Beleth: Lord Of Chaos And Spirals

Line-up:
Xes: voice
Apsychos: guitars, synth
Nekroshadow: guitars
Hagen: bass
Venders: drums

INFERNAL ANGELS – Facebook

Eddy Malm Band – Northern Lights

Northern Lights è un ritorno all’hard rock classico, magari vintage, per qualcuno addirittura obsoleto, ma assolutamente irresistibile.

Non so quanti di voi, a meno che non siate ormai sulla via del mezzo secolo di vita, oppure cultori dell’ hard & heavy classico conosceranno Eddy Malm, un passato nei cult metallers svedesi Heavy Load e negli Highbrow, prima di sparire nell’oblio metallico.

L’incontro sul finire del secolo con Per Hesselrud gettò le basi per questo album, uscito come Eddy Malm Band ma, in tutto e per tutto figlio del sound dello storico gruppo svedese.
E l’anima degli Heavy Load rinasce in questa raccolta di brani tra inediti e tracce riarrangiate per l’occasione, battezzato Northern Lights.
Hard & heavy old school e non poteva essere altrimenti con un Malm in piena forma, una produzione vintage che però questa volta risulta perfetta per valorizzare canzoni che spaziano tra roboante rock da classifica (dell’epoca, ovviamente), fughe metalliche su sei corde che tanto hanno insegnato a Malmsteen (tanto per citare il più famoso tra gli eredi) e bruciante rock che, con lo sguardo alla Gran Bretagna, si divide tra sfumature epiche e forti richiami ai Thin Lizzy.
Una quarantina di minuti nella storia del genere, con Hesselrud che fa il fenomeno con la sei corde senza perdere una goccia di feeling ed una sezione ritmica rocciosa, composta da Tomas Malmfors al basso e Micke Kerslow alle pelli.
Licenziato dalla No Remorse, Northern Lights è un ritorno all’hard rock classico, magari vintage, per qualcuno addirittura obsoleto, ma assolutamente irresistibile.

TRACKLIST
1. Saturday Night
2. Heart Of A Warrior
3. I Had Enough
4. Turn It Down
5. Nasty Women
6. Dark Nights
7. Get Out Of Here
8. Danger
9. A Loser
10. Northern Lights

LINE-UP
Eddy Malm – Lead vocals
Per Hesselrud – Lead and rythm guitars, EBow, background vocals
Tomas Malmfors – Bass, background vocals
Micke Kerslow – Drums, percussion, background vocals

EDDY MALM BAND – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=CG30BZKHOvU

Frozen Hell – Path To Redemption

Path To Redemption è un prodotto curato nei minimi dettagli, un altro gioiellino made in Italy su cui puntare per i prossimi ascolti.

Il death metal melodico scandinavo, in particolare lo swedish sound nato a Goteborg nei primi anni novanta, sembra aver trovato nuova vita lungo il nostro stivale con ottime realtà alle quali si vanno ad aggiungere i Frozen Hell, band veneta al primo full length, successore dell’ep Rise, che viene con un mix nella conclusiva What We Were.

Del resto Path To Redemption è legato a quel lavoro sia nell’artwork che nella struttura dei brani che rispecchiano lo stile scandinavo, con la melodia nei solos in primo piano, un imponente lavoro ritmico ed atmosfere estreme che si avvicinano senza paura al black di stampo Dissection.
I brani sono tutti collegati tra loro come una lunghissima traccia di oltre un’ora, forse un po’ troppo, ma in ogni caso la scelta risulta coraggiosa, dimostrando che il quintetto è sicuro dei propri mezzi, in un’epoca in cui, specialmente nel metal estremo, difficilmente si superano i quaranta minuti di durata.
Masterizzato nella patria del genere da Jens Bogren (Katatonia, Amon Amarth, Soilwork e Kreator), Path To Redemption non ha nulla da invidiare alle opere uscite all’estero nell’ultimo periodo e, sinceramente, non è una novità, ad indicare lo stato di salute e gli importanti passi avanti fatti dalla scena metallica tricolore.
Dunque aspettatevi quello che un lavoro del genere sa abbondantemente regalare, ovvero furiose cavalcate, ritmiche devastanti, chitarre che, torturate a dovere, sprizzano melodie oscure e a tratti pregne di sana epicità metallica, ed quel tocco demoniaco che tramuta in metallo nero molte delle atmosfere dell’album.
I musicisti impegnati in questo tour de force metallico sono sul pezzo, ed il buon songwriting dona qualità ai brani, con più di un picco rinvenibile in Stainless, Everything Ends e Killing Temptation.
Path To Redemption è un prodotto curato nei minimi dettagli, un altro gioiellino made in Italy su cui puntare per i prossimi ascolti.

TRACKLIST
01.Stainless
02.Absently
03.Chaotic Hostilities
04.Lethal Syndrome
05.Demons Inside
06.Quiet Before The Storm
07.Everything Ends
08.Deathly Route
09.Weavers of fate
10.Until Daybreak
11.Unforgotten
12.Killing Temptation
13.The Last Torture
14.What We Were

LINE-UP
Tazzo – vocals
Zucc – guitars
Patrick – drums
Tech – bass

FROZEN HELL – Facebook

Hazzard’s Cure – Smoke Iron Plunder

Ogni traccia fa storia a sé nell’economia di Smoke Iron Plunder, ed è facile perdere la bussola in una scaletta così terogenea stilisticamente.

Gli Hazzard’s Cure sono un quartetto proveniente da San Francisco, il cui sound pesca più o meno da tutti i generi che formano il mondo del metal classico.

Smoke Iron Plunder è il nuovo parto, uscito per Lummox Records, un variopinto e violento quadro di heavy metal old school in cui la varietà di generi non viene supportata da una produzione di adeguato livello, pecca che inficia non poco la riuscita dell’album.
Il quartetto californiano passa con disinvoltura dall’heavy metal al doom, passando per violente ripartenze speed, sfuriate dai rimandi black e lenti passaggi al limite dello sludge.
Ogni traccia fa storia a sé nell’economia di Smoke Iron Plunder, e per molti può rivelarsi un difetto visto che è facile perdere la bussola tra le varie Master of Heathens, No Hope e via discorrendo.
L’ inizio dell’album è tutto incentrato su brani ispirati agli anni ottanta, poi, col passare dei minuti, la band vira verso un heavy metal stoner dai molti passaggi sludge (Siren’s Wail) confondendo non poco le idee all’ascoltatore di turno.
Si fanno apprezzare le tracce orientate sulle sonorità classiche (An Offering), mentre gli Hazzard’s Cure pagano dazio quando la loro musica prende strade stonate e desertiche, che poco hanno a che vedere con il mood di gran parte dei brani presenti.
Un album tra molti bassi e pochi alti, insufficienti ad elevarlo oltre la mediocrità.

TRACKLIST
1. Master of Heathens
2. An Offering
3. Hewn In Sunder
4. No Hope
5. Sirens’ Wail
6. War Pipe
7. Gracious Host
8. This Is Hell

LINE-UP
Chris Corona – Guitar, Vocals
Leo Buckley – Guitar Vocals
Shane Bergman – Bass, Vocals
Clint Baechle – Drums

HAZZARD’S CURE – Facebook

The Ruins Of Beverast – Takitum Tootem!

Un’operazione sicuramente valida, per la quale andrà poi verificato l‘eventuale impatto sulla futura produzione dei The Ruins Of Beverast: di certo questo ep appare tutt’altro che un riempitivo, in quanto dimostra appieno il valore e le potenzialità di un musicista di livello superiore alla media.

The Ruins Of Beverast è un progetto solista di Alexander Von Meilenwald, il quale agita i sonni degli appassionati di metal estremo da quasi una quindicina d’anni.

Il black doom del musicista tedesco è sempre stato caratterizzato dalla sua non omologazione ai canoni dei generi di riferimento, collocandosi costantemente un passo avanti rispetto alle posizioni consolidate.
Non fa eccezione questo Ep intitolato Takitum Tootem!, con il quale il nostro si concede un’esplorazione più approfondita di territori ancor più sperimentali, lasciando che la propria musica si faccia avvolgere da un flusso rituale e psichedelico.
Il primo dei due brani raffigura, come il titolo stesso fa intuire, una sorta di rito sciamanico che si protrae nella fase iniziale per poi sfociare in una traccia che presenta sfumatura industrial, in virtù di un mood ossessivo (che potrebbe ricordare alla lontana certe cose dei migliori Ministry), ideale prosecuzione dell’invocazione/preghiera ascoltata in precedenza: questi otto minuti abbondanti costituiscono un’espressione musicale di grande spessore e profondità, tanto che quando il flusso sonoro improvvisamente si arresta provoca una sorta di scompenso alla mente oramai assuefatta a quell’insidioso martellamento.
Il vuoto viene ben presto riempito dalla magistrale cover di una pietra miliare della psichedelia, la pinkfloydiana Set The Controls For The Heart Of The Sun, che viene resa in maniera in maniera del tutto personale pur mantenendone l’impronta di base, ma conferendole ovviamente una struttura maggiormente aspra e, se, possibile, ancor più ossessiva; l’idea di farla sfumare nella stessa invocazione rituale che costituiva l’incipit del primo brano conferisce al tutto un‘andamento circolare, creando così una sorta di loop se si imposta il lettore in modalità “repeat all”.
Un’operazione sicuramente valida, per la quale andrà poi verificato l‘eventuale impatto sulla futura produzione dei The Ruins Of Beverast: di certo questo ep appare tutt’altro che un riempitivo, in quanto dimostra appieno il valore e le potenzialità di un musicista di livello superiore alla media.

Tracklist:
1. Takitum Tootem (Wardance)
2. Set The Controls For The Heart Of The Sun

Line-up:
Alexander Von Meilenwald

THE RUINS OF BEVERAST – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=vbvvbokHtaw

Atropas – From Ashes EP

Tornano con tutta la loro devastante aggressione melodic metalcore gli Atropas con questo nuovo ep, sempre licenziato dalla WormHoleDeath.

Tornano con tutta la loro devastante aggressione melodic metalcore gli Atropas con questo nuovo ep, sempre licenziato dalla WormHoleDeath.

La band di Zurigo arriva così al traguardo del terzo lavoro, dopo l’esordio del 2011 (Azrael) e il massacro sonoro dal titolo Episodes Of Solitude, licenziato lo scorso anno e puntualmente recensito sulle pagine virtuali di Iyezine.
Come già accennato parlando del precedente album, il quartetto svizzero accantona la chimera dell’originalità per un approccio violento tra metal estremo moderno, dai rimandi core e death/thrash e valorizzato da un talento per le melodie sopra la media.
Anche questi sei brani infatti, sono sei martellanti pezzi di granito estremo violentissimo, impreziosito dal buon lavoro fatto nell’alternare screams e voci pulite (non così scontato di questi tempi), con il supporto di melodie chitarristiche che si rifanno al melodic death e ad una tempesta di ritmiche thrash.
Meno marziale nelle ritmiche rispetto al precedente lavoro, From Ashes asseconda il lato death/thrash del gruppo elvetico, con una serie di tracce devastanti ma con le melodie sempre in evidenza.
Ancora una volta prodotto in modo egregio, questa raccolta di brani che ha nell’opener Rapture, nella monumentale Orchids e nelle malinconiche melodie della splendida Ashes, tre dei suoi punti di forza, lascia alla conclusiva My Oath il compito di riassumere in otto fantastici minuti di death metal melodico moderno il sound insito nella proposta del gruppo.
Un Ep che vale più di tanti full length che saturano il mercato del metal moderno.

TRACKLIST
1. Rapture
2. Burn it to the Ground
3. Orchids
4. Ashes
5. Redeem the Lost
6. My Oath

LINE-UP
Kevin Steiger – Bass
Sandro Chiaramonte – Drums
Dave Colombo – Guitar
Mahmoud Kattan – Vocals & Guitar

ATROPAS – Facebook

Chronic Hangover – Nero Inferno Italiano

Nero Inferno Italiano è un disco composto e suonato benissimo, pieno di novità e di carattere, originale dall’inizio alla fine, e diverte moltissimo, se solo ci fosse qualcosa da ridere.

Vizio, perdizione ed inutili giustificazioni, insomma la vita nel bel paese, o è solo il nero inferno italiano ?

Tornano i romani Chronic Hangover, con il loro ottimo stoner doom metal, con molto groove e canzoni composte molto bene. I ragazzi hanno ascoltato ed assorbito molte cose per poter fare un disco così, completato poi da ottimi testi in inglese. Questo è il loro debutto su lunga distanza, dopo l’ottimo ep del 2014 “Logicamente il Signore ci punirà per questo”, e a quanto pare non li ha puniti, o almeno non nel modo canonico. Il suono dei Chronic Hangover è un misto di elementi classici del metal, ma la loro rielaborazione è talmente buona che ne esce un qualcosa di davvero originale. La voce di Jacopo è il noi narrante del disastro dell’italica vita, e ci accompagna per mano in una galleria di quadri che descrivono la nostra vita, si è proprio la nostra vita, senza senso e deprimente. Ma non piangiamoci addosso, facciamo schifo perché lo vogliamo fare e questo splendido disco è qui per ricordarcelo. Ci sono tante cose qui dentro, dallo stoner al doom, dal groove metal all’heavy, ma è tutto Chronic Hangover, qualcosa di completamente nuovo. Nero Inferno Italiano è un disco composto e suonato benissimo, pieno di novità e di carattere, originale dall’inizio alla fine, e diverte moltissimo, se solo ci fosse qualcosa da ridere. La soluzione è quella della copertina, in più però al bar fate mettere questo gran disco.

TRACKLIST
1. Vituperio
2. Homunculus
3. Sociopatia
4. Regretudo
5. Tossine
6. Villa Triste
7. Alamut 2112
8. Nero Inferno Italiano
9. Lucifer In The Sky With Diamonds

LINE-UP
Jacopo: Vocals
Rutto: Bass
Charlo: Drums
Zorro: Guitars

CHRONIC HANGOVER – Facebook

Deserted Fear – Dead Shores Rising

Produzione cristallina, songwriting buono quel tanto che basta per non far risultare l’album solo una attacco ai padiglioni auricolari e qualche ottima intuizione nel lavoro chitarristico sono le virtù maggiori di Dead Shores Rising.

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C’è una nuova generazione di band dedite al death metal old school che sta facendo fuoco e fiamme nell’underground estremo, ma ancora poche riescono ad arrivare alla firma con label storiche e di importanza assoluta come per esempio la Century Media.

In Germania si muovono da un po’ di anni gruppi notevoli come per esempio i Revel in Flesh, puntualmente recensiti sulle pagine di MetalEyes, e questi Deserted Fear, al terzo album e con alle spalle l’etichetta tedesca.
In comune con i loro colleghi, la band proveniente dalla Turingia ha nientemeno che Dan Swanö in consolle e questo è già garanzia di qualità ma, mentre il sound dei Revel In Flesh è completamente devoto al death metal scandinavo, il trio in questione lo allea con il death metal guerresco dei Bolt Thrower così da uscire con una bordata estrema niente male che valorizza il death metal da battaglia con solos melodici.
Produzione cristallina, songwriting buono quel tanto che basta per non far risultare l’album solo una attacco ai padiglioni auricolari e qualche ottima intuizione nel lavoro chitarristico, che si scontra con l’assalto della sezione ritmica, sono le virtù maggiori di Dead Shores Rising che, come se non bastasse è accompagnato da una copertina che più old school di così non si può.
In una decina d’anni dunque , il gruppo ha dato alle stampe tre lavori  (i primi due sono My Empire del 2007 e Kingdom Of Worms uscito due anni fa), ha messo la firma sul contratto con la famosa label e con quest’ultimo album attacca alla gola i fans del death metal classico con dodici brani più intro e l’apparizione di Tomas Lindberg degli storici At The Gates nella bonus track The Path Of Sorrow.
Le ritmiche rimangono stabili per tutto l’album, variando pochissimo, e questo è l’unico difetto di Dead Shores Rising, per il resto si tratta di un ottimo e devastante lavoro estremo, senza compromessi, ben confezionato e curato nei minimi dettagli.

TRACKLIST
01. Intro
02. The Fall Of Leaden Skies
03. The Edge Of Insanity
04. Open Their Gates
05. Corrosion Of Souls
06. Interlude
07. Towards Humanity
08. The Carnage
09. Face Our Destiny
10. Till The Last Drop
11. Carry On
Bonus tracks:
12. A Morbid Vision
13. The Path Of Sorrow

LINE-UP
Manuel Glatter – Vocals, Guitar
Fabian Hildebrandt – Guitar
Simon Mengs – Drums

DESERTED FEAR – Facebook