Detonation – Reprisal

I Detonation sono sicuramente un gruppo da riscoprire e Reprisal un lavoro immancabile sugli scafali degli amanti dei suoni estremi

Altra ristampa per la Vic Records, questa volta il gruppo in questione sono i Detonation, deathsters olandesi attivi nel primo decennio del nuovo millennio con un ep, due demo e quattro full length, di cui l’ultimo è questo ottimo Reprisal uscito nel 2011.

Il quintetto di Utrecht si è fermato a questo lavoro, un peccato perché l’album risulta una mazzata niente male.
Death/thrash, furioso, ma pregno di melodie chitarristiche di ispirazione melodic death metal, così da coinvolgere non poco.
Il cantato si avvicina a quello di Mikael Stanne dei Dark Tranquillity, il sound non lascia dubbi basandosi su criteri moderni, con le ritmiche incentrate su accelerazioni devastanti e lasciando a tratti che andamenti marziali siano attraversati da ottimi solos di scuola scandinava.
Reprisal si discosta dalla scuola olandese e si avvicina a quella scandinava, in uno smottamento creato da terremotanti impulsi estremi e da vorticosi riff e blast beat.
Poco più di mezz’ora ma tanto basta ai Detonation per procurare danni, i brani si susseguono in un massacro, che conosce attimi di lucida follia metallica soprattutto per il gran lavoro delle due asce davvero ispirate.
Death, thrash e melodic death metal sono uniti nel portare distruzione ai nostri padiglioni auricolari, ma il bello è che tracce devastanti come There Is No Turning Back, Absentia Mentis o la bordata distruttrice Falling Prey, mantengono una forma canzone strepitosa.
I Detonation sono sicuramente un gruppo da riscoprire e Reprisal un lavoro immancabile sugli scaffali degli amanti dei suoni estremi, grazie ad una ristampa decisamente opportuna.

TRACKLIST
1. Enslavement
2. There Is No Turning Back
3. Feeding on the Madness
4. Ruptured
5. Absentia Mentis
6. Washing Away the Blood
7. Falling Prey
8. Insults to My Heritage

LINE-UP
Mike Ferguson – Guitars
Koen Romeijn – Guitars, Vocals
Otto Schimmelpenninck van der Oije – Bass
Michiel van der Plicht – Drums
Danny Tunker – Guitars

DETONATION – Facebook

Freedom Call – Master Of Light

Non si tratta del metal più adulto o raffinato, ma di album come questo non ci si stanca mai, lunga vita ai Freedom Call.

Si potrebbe discuterne per una vita su quanto il power metal tedesco abbia in qualche modo influenzato il metallo classico del nuovo millennio, se poi si entra nei meandri di quello che gli Helloween dell’era Kiske/Hansen inventarono e divenne per tutto il mondo metallico l’happy metal, allora troverete defenders che, con gli occhi illuminati, vi decanteranno le lodi del genere, ed altri che vi guarderanno con disgusto difendendo l’onore e l’orgoglio del metal d’assalto tutto muscoli ed acciaio.

La verità come sempre sta nel mezzo, con il genere che nel tempo ha dato al metal linfa fresca ed ottime band, non risparmiandosi con lavori di qualità altissima ed altri mediocri, scritti da gruppi che ormai si sono sciolti come neve al sole.
L’ importanza delle zucche di Amburgo però rimane inalterata con il trascorrere del tempo ed è indubbio che il gruppo erede di quei dischi che fecero epoca sono i Freedom Call di Chris Bay, superstite insieme al rientrato Ilker Ersin della prima incarnazione del gruppo, quella che dietro ai tamburi vedeva il raggio gamma Dan Zimmermann.
1999, Stairway to Fairyland arriva sul mercato, con i Freedom Call che affiancano i Gamma Ray, ancora sul tetto del metal classico dell’epoca dopo i fasti di Land Of The Free, Somewhere Out In Space e Power Plant, album che rimangono la massima espressione della creatività di mister power metal Kay Hansen e che trova nei fratellini Freedom Call una degna spalla.
Sono passati più di quindici anni, l’happy power metal è tornato all’ombra delle miriadi di generi che imperversano nel mondo metallico del nuovo millennio, ma i Freedom Call sono ancora in sella e Master Of Light è l’album numero nove di una discografia ormai di un certo rilievo, con lavori che, se non fanno gridare al capolavoro, rientrano nella categoria degli imperdibili, almeno per i fans del genere.
Maestri nel saper dosare energia metallica, fughe ritmiche al limite della velocità consentita, mid tempo epici e dai chorus irresistibili e super ballatone che farebbero inorgoglire Syd (il bradipo dell’era glaciale), la band di Norimberga ci consegna l’ennesimo lavoro tutto metallo e melodie, ancorato a cliché persi negli annali ma dall’appeal irresistibile.
Dunque Master Of Light continua sulla falsariga dei suoi predecessori, prodotto quel tanto che basta da bombardarvi di ritmiche infuocate ed orchestrazioni messe li, tanto per rendere il tutto ancora più bombastico ed epico.
Metal Is For Everyone, Hammer Of The Gods (un titolo, una garanzia) e fuori una via l’altra l’ennesima carrellata di brani di metallo melodico suonato a cento all’ora o potenziato da mid tempo ariosi, epici e pregni di quelle atmosfere che hanno fatto del genere un appiglio per il metal classico, ai tempi delle vacche magre targate anni novanta.
L’album esce in diverse versioni, sta a voi scegliere quella più intrigante (il formato digipack è il più completo e colmo di versioni alternative), non si tratta del metal più adulto o raffinato, ma di album come questo non ci si stanca mai, lunga vita ai Freedom Call.

TRACKLIST
1. Metal Is For Everyone
2. Hammer Of The Gods
3. A World Beyond
4. Masters Of Light
5. Kings Rise And Fall
6. Cradle Of Angels
7. Emerald Skies
8. Hail The Legend
9. Ghost Ballet
10. Rock The Nation
11. Riders In The Sky
12. High Up

LINE-UP
Chris Bay – Vocals & Guitars
Lars Rettkowitz – Guitars, Backing Vocals
Ilker Ersin – Bass, Backing Vocals
Ramy Ali – Drums, Backing Vocals

FREEDOM CALL – Facebook

Bolgia Di Malacoda – La Forza Vindice Della Ragione

Una band che conferma l’alto valore artistico del rock del bel paese e la sua assoluta maturità nell’affrontare il lato oscuro dell’uomo e della sua spiritualità.

Mefistofelico: non credo ci sia un’altra parola più adatta per descrivere La Forza Vindice Della Ragione, nuovo lavoro di questa band toscana, che della teatralità e della tradizione letterale nazionale ne fa il suo concept lirico per inglobarlo in un alternative rock metal assolutamente fuori dagli schemi.

Il demone metà donna e metà animale demoniaco fa bella mostra di sé nella copertina molto seventies che la Bolgia Di Malacoda ha scelto per quest’opera luciferina, cantata in italiano e suonata con un taglio internazionale, amalgamando in una bolgia infernale, metal , dark wave e progressive.
Il lato teatrale ed interpretativo sta tutto nella voce di Ferus, un Piero Pelù posseduto da un demone che lo allontana dalle ultime schermaglie politiche col portafoglio pieno di euro e lo riavvicina al ribelle proto punk dei primi anni dei Litfiba, mentre il sound passa con disinvoltura tra il metal di chitarre in stato di guerra, ritmiche che a tratti corrono sulle strade horror/punk dei Misfits, per poi illuminarsi di spettacolari cambi di tempo che avvicinano la band al progressive, genere nel quale  noi abitanti dello stivale non siamo secondi a nessuno.
E poi un taglio letterario impreziosisce il tutto, già dal titolo che cita il poeta Carducci e che viene oltremodo tributato con l’opener Inno A Satana.
E’ una sorpresa continua La Forza Vindice Della Ragione, un album da seguire passo per passo, senza perder una nota o una parola, immersi in un’atmosfera stregata, con il sacerdote pazzo al microfono che ci invita al sabba che noi, ormai posseduti dal ritmo ipnotico di Malacoda, Andremoida, la frenetica Attent’al prete e la conclusiva Le Lune Storte, non possiamo esimerci dal rifiutare.
Una band che conferma l’alto valore artistico del rock del bel paese e la sua assoluta maturità nell’affrontare il lato oscuro dell’uomo e della sua spiritualità.

TRACKLIST
1. Inno A Satana
2. Nel Dubbio Vedo Nero
3. Malacoda
4. Bimba Mia
5. Adremoida
6. A Un Metro Dal Decebalo
7. Attent’al Prete
8. Introspettiva D’Ottobre
9. Così Passa La Gloria Del Mondo
10. Le Lune Storte

LINE-UP
Ferus – voce
Diego Di Palma detto il Lotti – basso
Michele Rose detto il Vanni – batteria
Alessandro Rocchi detto il Pacciani – chitarra

BOLGIA DI MALACODA – Facebook

Whores. – Gold.

Una botta spaventosa da parte una band che potrebbe ritagliarsi fin d’ora uno spazio davvero importante.

Se non hai nelle tue corde l’ispirazione per produrre qualcosa di veramente innovativo (cosa che capita comunque di rado), hai perlomeno l’obbligo morale di mettere tutta l’intensità possibile nella musica che proponi.

Quanto sopra è ciò che accade ad una band come gli statunitensi Whores., i quali si lanciano con un approccio rabbioso e in maniera spasmodica in una corsa che rade al suolo tutto ciò che incontra.
La band di Atlanta è al proprio full length d’esordio, che arriva dopo alcuni ep, senza aver omesso di mettere in cascina il fieno rappresentato da una consistente attività live, con la possibilità di condividere il palco con i migliori gruppi della scena rock/noise a stelle e strisce.
Il risultato è tangibile: Gold. è un album che deflagra senza perdersi in troppi preamboli e, anche se supera di poco la mezz’ora di durata, il suo minutaggio ridotto basta ed avanza, visto che una tale intensità sarebbe persino difficile da sostenere più a lungo.
Punk, rock, noise e, in misura inferiore, sludge, confluiscono in un unico condotto sotto forma di rumore fragoroso che, quando fuoriesce, si trasforma assumendo una sembianza musicale ugualmente godibile e sempre contraddistinta da un filo conduttore ben delineato.
Proprio qui sta il bello: anche se i georgiani sembrerebbero farsi trascinare, a prima vista, da un istinto animalesco, in realtà il frutto del loro impegno è una decina di brani ben ponderati e costruiti con sagacia, tra i quali la noia non fa capolino neppure per un attimo. Ghost Trash, Of Course You Do e I See You Also Wearing A Black Shirt sono alcuni tra gli ordigni più efficaci scagliati sulla folla dalle “puttane” di Atlanta.
Una botta spaventosa da parte una band che potrebbe ritagliarsi fin d’ora uno spazio davvero importante.

Tracklist:
1.Playing Poor
2.Baby Teeth
3.Participation Trophy
4.Mental Illness As Mating Ritual
5.Ghost Trash
6.Charlie Chaplin Routine
7.Of Course You Do
8.I See You Also Wearing A Black Shirt
9.Bloody Like The Day You Were Born
10.I Have A Prepared Statement

Line-up:
Christian Lembach – Vocals, guitar
Casey Maxwell – Bass
Donnie Adkinson – Drums

WHORES. – Facebook

Eteritus – Following the Ancient Path

Un album che farà strage di cuori sanguinanti, ancora aperti dagli squarci lasciati dalle opere dei primi anni novanta.

Gran bella sorpresa per gli amanti dei suoni estremi di matrice old school.

Dalla Polonia i deathsters Eteritus, dopo l’ ep Tales Of Death uscito un paio di anni fa, tornano all’attacco con il primo lavoro sulla lunga distanza, questo Following the Ancient Path che risulta un piccolo gioiellino per i fans dei suoni divenuti storici dei primi anni novanta.
Death metal classico dai rimandi scandinavi (Entombed, Dismember), un’aggressione senza soluzione di continuità, tanta attitudine old school, ed un buon lavoro (Michał Barski) alla consolle che ne accentua il feeling con l’ascoltatore, sono le virtù primarie del disco che conferma le buone impressioni lasciate dall’ep e ne bisserà sicuramente il successo tra i fans dell’underground estremo.
L’album tra mid tempo di scuola death metal ed accelerazioni thrash Slayer style, imprime il marchio di fabbrica scandinavo e si completa con un songwriting ispirato.
Nella sua mezzora abbondante di durata, i cliché del genere fanno bella mostra di sé, tra stop and go, brusche frenate e ripartenza ritmiche travolgenti ed il growl alla Petrov era Wolverine Blues che accentua le reminiscenze Entombed.
Following the Ancient Path, un pugno nello stomaco ai fanatici dell’originalità a tutti i costi e di chi vede nelle sonorità old school un modo obsoleto di fare musica estrema, un uno-due micidiale portato al ventre dei detrattori del generi, a colpi di mitragliate sonore come Biocentric, Incinerator ed End Of Line, la più violenta ed efferata tra tutte le traccie del disco.
Ottimo il lavoro delle sei corde protagoniste di solos cristallini e dal giusto mix tra potenza e melodia, un carro armato la sezione ritmica, ma è la forma canzone che nell’album funziona perfettamente.
Un album che farà strage di cuori sanguinati, ancora aperti dagli squarci lasciati dalle opere dei primi anni novanta.

TRACKLIST
1.Intro
2.Biocentric
3.Hellish Imagery
4.The Unliving Thing
5.Eye of the Storm
6.Incinerator
7.Somber Mind
8.End of Line
9.Mortal Prophecy

LINE-UP
Liam Tailor – guitars, vocals
Zima – guitars
Greg – bass
Nitro – drums

ETERITUS – Facebook

Sonata Arctica – The Ninth Hour

L’album mantiene per tutta la sua durata bellissime atmosfere malinconiche, trovando nelle orchestrazioni mai invadenti e nei passaggi progressivi la sua linfa e, forse, la strada definitiva per il sound dei futuri Sonata Arctica.

Apparsi sulla scena power sul finire del millennio, i Sonata Arctica hanno trovato il meritato successo con album che univano le cavalcate metalliche alla Stratovarius con un gusto melodico raffinato ed un approccio caldo che li allontanava dal maggior difetto dell’allora band di Timo Tolkki (sempre un po’ freddini, anche nei loro indiscutibili capolavori), in un crescendo qualitativo che li ha portati ad essere uno dei gruppi più rappresentativi del genere.

Con una discografia che, se consideriamo la riessue di Ecliptica uscita due anni fa, arriva con questo nuovo lavoro al traguardo della doppia cifra, la band finlandese ha ormai abbandonato le sonorità degli esordi per un sound più introspettivo, calcando la mano sull’aspetto melodico e prog del proprio credo musicale a svantaggio del più canonico power metal di scuola scandinava.
Non fraintendetemi, Tony Kakko and company non fanno certo mancare gli attimi dove sontuoso metallo nordico ha ragione dell’atmosfera malinconica che si respira su questo The Ninth Hour, ma è indubbio che una svolta c’è stata, partendo da Pariah’s Child, ultimo lavoro di inediti targato 2014.
E The Ninth Hour prosegue deciso la strada intrapresa, con le ballad che prendono il sopravvento sul songwriting e la furia power ormai domata in favore di un metal classico, colmo di melodie e dal gustoso sentore symphonic prog.
Ora, com’è normale in questi casi ci saranno i fans che storceranno il naso al cospetto di cotanta melodia e chi invece apprezzerà le scelte operate dal gruppo che, diciamolo, conferma l’essere una top band aldilà dei gusti personali.
Si perché The Ninth Hour è un ottimo lavoro, magari leggermente prolisso, ma sicuramente in grado di mantenere inalterata la fama del gruppo, con un Kakko probabilmente mai così interpretativo ed una serie di brani che alla lunga riusciranno ad aprire una breccia nel cuore dei fans.
Così, archiviato l’unico episodio che ricorda il passato del gruppo (Rise A Night), l’album mantiene per tutta la sua durata bellissime atmosfere malinconiche, trovando nelle orchestrazioni mai invadenti, in mid tempo dove la potenza è accennata ma mai liberata in toto e nei passaggi progressivi la sua linfa e, forse, la strada definitiva per il sound dei futuri Sonata Arctica.
Pioveranno critiche alla pari degli elogi, ma a mio parere la bellezza di Fairytale, Till Death’s Done Us Apart e White Pearl, Black Oceans Part II – By The Grace Of The Ocean non potranno che emozionare anche il fan più scettico.

TRACKLIST
01. Closer to an Animal
02. Life
03. Fairytale
04. We Are What We Are
05. Till Death’s Done Us Apart
06. Among the Shooting Stars
07. Rise a Night
08. Fly, Navigate, Communicate
09. Candle Lawns
10. White Pearl, Black Oceans (Part II: By the Grace of the Ocean)
11. On the Faultline (Closure to an Animal)

LINE-UP
Elias Viljanen – Guitars
Henrik Klingenberg – Keyboards
Pasi Kauppinen – bass
Tommy Portimo – Drums
Tony Kakko – Vocals

SONATA ARCTICA – Facebook

Fabiano Andreacchio & The Atomic Factory – Living Dead Groove

Un sound non da tutti, specialmente se si è ancorati ai soliti cliché.

Esce sotto l’ala della Sliptrick Records il nuovo lavoro del bassista Fabiano Andreacchio dopo le fatica strumentale dello scorso anno intitolata Bass R-Evolution.

Il nuovo progetto si chiama Fabiano Andreacchio & The Atomic Factory, dove il musicista è dedito, insieme a Mikahel Shen Raiden (chitarra e voce) e Nicola De Micheli (batteria), ad una sorta di industrial metal dalla forte impronta techno, valorizzato da scorribande progressive con sempre in evidenza il gran lavoro della sezione ritmica condotta dal basso, usato dal protagonista non solo come strumento di accompagnamento ma vero propulsore del sound alquanto originale dell’album, intitolato Living Dead Groove.
Un sound non da tutti, specialmente per chi è ancorato ai soliti cliché, perché la musica spazia senza freni tra frenetiche ritmiche industrial, con toni vocali che richiamano la musica elettronica in stile Kraftwerk, e metal che ha tanto di estremo, moderno, ma pur sempre convogliato in un’espressione sonora che richiama i Cynic ed i gruppi totalmente slegati dalle briglie dettate dai generi.
Quattordici brani in quasi cinquanta minuti di musica senza freni, dove l’elettronica ha comunque la maggior parte dei pregi nel rendere l’ascolto molto vario ed assolutamente appagante, grazie anche ai suoni che escono potenti e cristallini, in overdose industriale e con il progressive a spezzare la tensione con atmosfere dilatate e ariose.
Geniale la cover di Smell Like Teen Spirit dei Nirvana, qui intitolata Smell Like a Corpse, da bass heroes le neanche troppe divagazioni strumentali, dove tutto il talento di Andreacchio è ben in evidenza, mentre sono da applausi un paio di tracce che mettono in risalto l’anima death prog del lavoro (Hypocrsy e Cangrene).
Non mancano gli ospiti che vanno a valorizzare molti dei brani dell’album, come Jeff Hughell (Six Feet Under), Brian Maillard (Dominici, Solid Vision), Dino “Bass Shred” Fiorenza (Y. Malmsteen, E. Falaschi), Gabriels, Francesco Dall’O’ e altri.
Un album che dividerà critica e pubblico,ma che ha nella sua anima crossover il vero punto di forza: dategli un ascolto.

RACKLIST
1.Zombie’s Breakfast
2.Not Dead Yet
3.Corpse’s Hill
4.Splatter Head feat. Gabriels
5.S.o.S. feat. Dino Fiorenza
6.Hypocrisy
7.Cangrene feat. Brian Maillard
8.X-Cape feat. Francesco Dall’O’
9.End of Abomination feat. Jeff Hughell
10.Smell Like a Corpse
11.Creepy Groove feat. G. Tomassucci
12.Hypocrisy Francesco Zeta Rmx
13.Corpses Hill Smoke DJ Rmx
14.End of Abomination Acoustic

LINE-UP
Fabiano Andreacchio-Bass and Vocals
Mikahel Shen Raiden-Guitar and Backing Vocals
Nicola De Micheli-Drums

ATOMIC FACTORY – Facebook

Narnia – Narnia

Lavoro apprezzabile in tutte le sue parti, Narnia convince e ci presenta un gruppo in ottima forma.

Sono passati quasi vent’anni dal debutto, ma i Narnia continuano, magari con meno assiduità rispetto al passato, a regalarci album di power neoclassico classicamente scandinavo.

La band svedese torna dopo sette anni dall’ultimo lavoro sulla lunga distanza, Course of a Generation, con un album da considerare senza dubbio più diretto rispetto al passato: infatti questo lavoro omonimo, oltre a non arrivare ai quaranta minuti di durata, si compone di nove tracce che, senza troppi fronzoli e andando subito al sodo, mettono in bella mostra l’anima power del gruppo di Jönköping, come sempre impreziosito da tastiere e solos dal gusto neoclassico ma molto più dirette.
Un bene perché il songwriting risulta fresco, per una band dalla già abbondante carriera discografica.
Certo che il successo commerciale dei primi lavori, licenziati nella seconda metà degli anni novanta in piena seconda era per il power metal, soprattutto in Europa, ormai è un ricordo, ma a livello qualitativo i Narnia hanno creato un lavoro degno delle produzioni passate (Long Live The King , The Great Fall e Enter the Gate su tutti).
Anche il fatto di intitolare l’album con il nome del gruppo lascia una sensazione di ripartenza per la band svedese, che non mancherà di compiacere gli amanti dei suoni metallici, dal flavour neoclassico, elegantemente power e dalle ottime atmosfere epiche.
Prodotto dal chitarrista CJ Grimmark (Grimmark, Rob Rock, ex Saviour Machine, ex-Fires Of Babylon), Narnia conferma l’ottimo feeling con queste sonorità del gruppo svedese: i brani tra potenza e melodia escono forti del chitarrismo elegante di Grimmark e dell’ottima interpretazione di Christian Rivel-Liljegren dietro al microfono, in gran spolvero su brani che sono perfettamente bilanciati tra Rainbow, Royal Hunt e robusto power metal epico (Reaching for the Top e I Still Believe formano una partenza entusiasmante).
Il taglio prog che si evince in qualche atmosfera, riprendendo il mood del precedente album, ed un originale vena dark rock nella splendida ballad Thank you, rendono ancora più vario ed elegante il sound dell’album, dove chiaramente non mancano mid tempo epici e dal piglio hard rock come On The Highest Mountain, song che rinverdisce i fasti dell’arcobaleno più famoso del rock.
Lavoro apprezzabile in tutte le sue parti, Narnia convince e ci presenta un gruppo in ottima forma, consigliato senza riserve.

TRACKLIST
1. Reaching for the Top
2. I Still Believe
3. On the Highest Mountain
4. Thank You
5. One Way to the Promised Land
6. Messengers
7. Who Do You Follow?
8. Moving On
9. Set the World on Fire

LINE-UP
Carl-Johan Grimmark – Guitars, Bass, Keyboards, Programming
Christian Rivel-Liljegren – Vocals
Andreas Johansson – Drums
Martin Härenstam – Keyboards
Andreas Olsson – Bass

NARNIA – facebook

Queen Elephantine – Kala

Psichedelia pesante e molto noise, acida e fuzz, rituale e cosmica.

Psichedelia pesante e molto noise, acida e fuzz, rituale e cosmica. Non bastano le parole per provare l’esperienza sonora che fanno vivere i Queen Elephantine.

Nati ad Hong Kong, non hanno fissa dimora, si possono trovare nello loro numerose uscite, quattro album, split e sette pollici. La loro psichedelia pesante e rituale è la continuazione della lotta per portare il rumore e la confusione quella vera al centro dell’arena. Bisogna abbandonarsi a Kala, lasciare che il trip salga e vi prenda, non resistete alle sirene elettriche. Questa non è musica, ma un rituale per espandere le nostre coscienze, allargare gli orizzonti e le sinapsi. Gli strumenti sono appunto un mezzo per creare stati di coscienza alterati, senza pose o forme da assumere, questo è puro flusso, rimodellando la materia secondo multiversi che inventiamo noi. dischi come Kala sono da studiare, assaporare, ma certamente non possono essere ascoltati in mezzo alla folla, ma bisogna cercare un qualche spazio meditativo, sia fisico che spirituale. In certi frangenti il gruppo, ora di stanza a Providence, ricorda la psichedelia tedesca tendente al krautrock, quello splendido tentativo di sintesi che poi non si ripeterà più. Ed invece qualcosa è tornato indietro, sotto forma di un disco di rumore cosmico, colonna sonora di pianeti che si spostano su assi lontani milioni di anni luce, ma con la nostra mente possiamo arrivarci, possiamo esserci ascoltando i Queen Elephantine, traghettatori neuronali.

TRACKLIST
1.Quartered
2.Quartz
3.Ox
4.Onyx
5.Deep Blue
6.Throne of the Void in the Hundred Petal Lotus

LINE-UP
Indrayudh Shome – Guitar
Ian Sims – Drumset
Mat Becker – Bass
Srinivas Reddy – Guitar
Derek Fukumori – Percussion
Samer Ghadry – Guitar, Synth
Nathanael Totushek – Drumset + Percussion on 2,4,6
Nick Disalvo – Mellotron on 1, 2, 3
Michael Scott Isley – Percussion on 2,4
Danny Quinn – Surgeon Pepper

QUEEN ELEPHANTINE – Facebook

Nukem – The Unholy Trinity

The Unholy Trinity è un grande album speed/thrash che si posiziona tra le migliori uscite dell’anno, da non perdere.

Un altro botto da parte della Sleaszy Rider, questa volta di thrash metal si parla, di matrice old school statunitense e non poteva essere altrimenti visto che la provenienza di questo agguerrito e funambolico trio è San Diego.

Tra le file dei Nukem, all’esordio con questa tempesta thrash/speed, fa bella mostra di se il drumming d’alta scuola di Norm Leggio, in passato dietro nei Psychotic Waltz, una piovra metallica perfettamente a suo agio alle prese con le ritmiche forsennate di The Unholy Trinity, assieme a Steve Brogden (ex Cage, chitarra e voce) e Don Lauder al basso (Under The Stone).
L’album è una bordata sonora devastante e il songwriting proveniente da un pianeta sconosciuto fa in modo che l’ascolto sia sempre più esaltante ogni minuto che passa.
Hanno un bel dire i detrattori del genere che le sonorità in questione sono ormai obsolete, derivative e poco originali: se il metal è la vostra musica, qui lo si suona al massimo livello, lo si rende dannatamente cattivo e lo si valorizza con prestazioni tecniche di assoluto valore.
Non mancano gli ospiti, pescati dalla scena, che impreziosiscono questa cascata di metallo furioso e veloce come un lampo nel cielo grigio di san Diego: Laura Christine (Meldrum), Jimmy Durkin (Dark Angel), Craig Locicero (Forbidden, ex-Death) e Reece Scruggs (Havoc).
Non c’è un attimo di tregua, le poche parti acustiche, costituite da intro drammatiche delle devastanti tracce, sono dosate per rendere l’atmosfera ancora più bollente, poi quando il gruppo inserisce la marcia lascia sull’asfalto centimetri di battistrada ed a velocità supersonica parte per l’olimpo dove risiedono i grandi.
Perfetta la voce di Brogden, grintosa, maschia, ma in grado di raggiungere note molto alte quando lo si richiede, spettacolari i solos, squarci metallici tra le nuvole che si avvicinano dall’orizzonte.
T.V. Crimes è il brano thrash metal dell’anno, pregno di quelle sfumature heavy che ne fanno un classico, The Atomic Age si fa apprezzare per i chorus da cantare col pugno chiuso e la birra stretta nell’altra mano, Bloodseeker esplode in tutta la sua violenza sonora, con una prova da urlo del buon Leggio, mentre Warwolf ci investe con tutta la sua potenza estrema e Evelyn’s Awakening ( di cui la band ha estratto il videoclip) è irrefrenabile nella sua folle corsa verso lidi metallici raggiungibili da pochi eletti.
Un debutto eccezionale: The Unholy Trinity è un grande album speed/thrash che si posiziona tra le migliori uscite dell’anno, da non perdere.

TRACKLIST
1. WarWolf
2. Evelyn’s Awakening
3. The Atomic Age
4. The Deceiver
5. BloodSeeker
6. T.V. Crimes
7. D.O.I.
8. Lethal Injection
9. Lucida Sidera
10. Nukem All
11. Suspicious Minds

LINE-UP
Don Lauder – Bass
Norm Leggio – Drums
Steve Brogden – Guitars, Vocals

NUKEM – Facebook

Postcards From Arkham – Aeon5

La fantasia al potere, pura immaginazione che controlla la musica, usando differenti codici per esprimere un disegno ambizioso.

La fantasia al potere, pura immaginazione che controlla la musica, usando differenti codici per esprimere un disegno ambizioso.

Dopo il buon successo di Oceanize, incentrato sui miti lovecraftiani di Cthulu, tornano i cechi Postcards From Arkham con un altro incredibile affresco di fantasia, rabbia e voglia di esprimersi per spezzare le catene che ci avvolgono. Questo disco è un mezzo, un’astronave che ognuno può portare dove vuole, essendo il viaggio lo vero scopo di questa impresa. Il tono è epico, dentro possiamo trovare dall’elettronica al post rock con incredibili aperture melodiche, l’elttro metal e tanto altro ancora, in un viaggio scandito da una voce aggressiva, con un metal altro e sognante. I Postcards From Arkham più che un disco creano un’esperienza sonora e non solo, come se fosse un libro, con una musica incredibile e con una voce che sembra più declamare che cantare. Questo disco ha molto dello spirito fantasy in stile videogiochi giapponesi, fluttuanti mondi lucenti che tentano di rifuggire la morte, nutrendosi di sogni e colori. I colori, ecco i veri protagonisti di questo disco che suscita meraviglia. Sentimento ed un elettro metal totalmente personale. Questi ragazzi penso che vedano e sentano ancora una speranza in questa decadenza che chiamiamo progresso e con Aeon5 hanno fatto un atto di fede molto bello e piacevole. Vien voglia di dargli ragione.

TRACKLIST
1. Imagination Filled Balloon
2. Aeon Echoes
3. Thousand Years For Us
4. Overthrown
5. Elevate
6. Pays des Merveilles
7. Woods of Liberation
8. One World Is Not Enough

POSTCARDS FROM ARKHAM – Facebook

Devil Drone – Erebo

Un gioiellino estremo questo Erebo, efficace ed intenso, dove tutto viene raso al suolo da una carica adrenalinica e senza compromessi.

Il ronzio del diavolo, oltre che essere di natura malvagia non può che tramutarsi in un devastante esempio di metal estremo, death metal e thrash alleati e al servizio dell’oscuro signore degli inferi.

Ne esce una bomba metallica scagliata dal Monte Amiata (Toscana) ed esplosa un paio di anni fa, ora tornata a fare danni sotto l’ala del Mazzarella Press Office che ne cura la distribuzione.
I Devil Drone sono un quartetto fondato nel 2009 ad Arcidosso ed Erebo, il primo lavoro, risale appunto al 2014: una mezzora di malvagità death/thrash direttamente dall’inferno, undici brani a formare un muro di granito estremo, tecnicamente perfetto, violento e travolgente che amalgama tradizione death metal con moderne soluzioni thrash ed il risultato è di fronte a noi.
Erebo è il regno del caos, dell’oscurità, il luogo ultraterreno dove risiede il male, e di male la musica del gruppo ne scaturisce tanta, con questo lavoro che è un susseguirsi di brani devastanti, vari e fantasiosi nelle ritmiche che passano da potenti e monolitiche parti death, a mitragliate thrash metal, mentre un growl rabbioso e cangiante ci accompagna in questo malefico caos primordiale.
Un gioiellino estremo questo Erebo, efficace ed intenso, dove non ci si perde in solos (la sei corde accompagna e potenzia le ritmiche) e tutto viene raso al suolo da una carica adrenalinica e senza compromessi.
Valorizzano il tutto due geniali citazioni tratte da un paio di film dei primi anni settanta: la prima chiude il brano The Avenger ed è estratta dal capolavoro di Stanley Kubrick, Arancia Meccanica, mentre la seconda proviene da Continuavano A Chiamarlo Trinità, dove è chiara la voce del compianto Bud Spencer e apre la conclusiva Trip.
Sta a voi scoprire le frasi in oggetto, anche perché perdersi un album del genere è peccato mortale … non si sa mai che il diavolo venga a sussurrarvi in un orecchio.

TRACKLIST
01. The Avenger
02. Stand out
03. The new ruin
04. Stampede
05. Shadow of the Beast
06. Revolution
07. Hearth Fury
08. Wreck!
09. Vampire Eyes
10. Cancer
11. Trip

LINE-UP
Giordano Felici Fioravanti – bass
Luca “Belial” Mazzolai- Vocals
Fabrizio Guerrini – Guitars
Leonardo Farmeschi – drums

DEVIL DRONE – Facebook

Pain – Coming Home

Un album che sintetizza il credo musicale odierno del musicista svedese, un rock industriale dal piglio melodico, dark nelle atmosfere ma arioso nello spirito.

Peter Tägtgren si può certamente considerare insieme a Dan Swanö la mente più geniale del panorama metal scandinavo: leader dei seminali Hypocrisy, con cui ha scritto una serie di lavori irrinunciabili per gli amanti del death metal nord europeo prima, ed ora assoluto protagonista delle divagazioni elettro/industrial dei Pain, con in mezzo centinaia di album prodotti che ne hanno fatto una firma prestigiosa anche dietro alla consolle.

Tägtgren torna con i suoi Pain dopo la collaborazione con Till Lindemann, vocalist dei Rammstein, e Coming Home già dal titolo si preannuncia come un ritorno al progetto che ad oggi considera il solo mezzo per liberare la sua creatività, lontano dai dettami estremi di una band storica come gli Hypocrisy, focalizzandosi su di un genere che possiamo sicuramente considerare la strada ultima del musicista e produttore svedese.
Aiutato da Clemens Wijers per le orchestrazioni (Carach Angren), Tägtgren aggiunge un altro tassello alle fondamente della casa Pain con un lavoro godibilissimo, ultra melodico, ma ritmicamente pesante di quegli umori industriali che indubbiamente portano in terra tedesca e nel cortile della casa dei Rammstein.
Ma attenzione, dove il gruppo tedesco mantiene la sua più fortunata caratteristica, nell’andamento marziale e freddo, la musica dei Pain si nutre di umori dark wave, comuni al rock ottantiano, con l’occhiolino strizzato al pop di quegli anni, fortunato non solo per il metal ma pure per la musica mainstrem.
Ne esce come sempre un lavoro difficile da digerire per i fans storici del Tägtgren cattivo ed estremo dietro al microfono degli Hypocrisy: Coming Home risulta colmo di brani dal piglio radiofonico, una raccolta di episodi godibili in qualsiasi club sparso per le vie notturne delle città europee, meravigliosamente orchestrali, dannatamente irresistibili e commerciali come forse non i Pain prima d’ora non avevano mai prodotto.
Un album che sintetizza il credo musicale odierno del musicista svedese, un rock industriale dal piglio melodico, dark nelle atmosfere ma arioso nello spirito e A Wannabe, Pain In The Ass e Black Knight Satellite ne sono il più fulgido esempio.

TRACKLIST
01 – Designed to Piss You Off
02 – Call Me
03 – A Wannabe
04 – Pain in the Ass
05 – Black Knight Satellite
06 – Coming Home
07 – Absinthe-Phoenix Rising
08 – Final Crusade
09 – Natural Born Idiot
10 – Starseed

LINE-UP
Peter Tägtgren – vocals, guitar, programming

David Wallin – drums
Michael Bohlin – guitar
Johan Husgavfel – bass

PAIN – Facebook

Negură Bunget – Zi

Zi è un lavoro francamente inattaccabile, sminuito però dal confronto con le uscite passate, non riuscendo ad indurre nell’ascoltatore lo stesso grado di coinvolgimento.

Con Zi i Negură Bunget giungono alla seconda parte della programmata trilogia transilvanica: il precedente Tau aveva evidenziato l’avvio di un progressivo distacco da quelle radici black che avevano accompagnato la band nello scorso decennio e, in buona parte, anche nel primo degli album che vedeva il solo Negru alle redini della band (Virstele Pamintului).

Tale aspetto si accentua ancor più oggi, relegando quasi ad una presenza marginale le pulsioni più estreme: il lavoro sposta la barra in maniera decisa verso il folk, materia che la band rumena ha sempre interpretato in maniera unica; tutto ciò comporta, rispetto al predecessore, una minore fruibilità, visto che la componente etnica qui non viene mai interpretata in maniera giocosa o ritmata, ma esprime un sentire che va a fondere la tradizione popolare con quella spiritualità che, per i Negură Bunget, è sempre stata una componente essenziale.
Rispetto a Tau non si può comunque fare a meno di rimarcare una minore fluidità, derivante soprattutto da un approccio che mette ancor più ai margini la forma canzone, optando per strutture cangianti che tendono ad esaltare gli aspetti più mistici ed evocativi del sound.
Resta il fatto che, per ascoltare oggi un album dei Negură Bunget, bisogna essere dotati di una buona dose di curiosità e di apertura mentale, oltre che di innata passione per sonorità ancestrali che traggono linfa dalle radici popolari: senza dubbio quello della band rumena è un percorso catartico e spirituale che non ha certo quale primo obiettivo quello di rilasciare musica accattivante e banale e, proprio per questo, Zi è un album che cresce sicuramente dopo molti ascolti, rivelandosi per quello che è, ovvero un buonissimo lavoro che si attesta comunque leggermente sotto a Tau.
Segnalando come episodi migliori i due centrali, Brazdă dă foc e Baciul Moșneag, appunto quelli in cui le due anime della band paiono convivere in maniera più equilibrata, non disdegnando neppure aperture melodiche più canoniche come il bellissimo assolo di chitarra nel finale della seconda delle due tracce, non si può fare a meno di notare come la tensione emotiva, che in Tau non veniva mai meno, qui si manifesta in maniera molto altalenante, compressa da un’attenzione per la forma che talvolta finisce per sacrificare la sostanza.
I Negură Bunget esibiscono così con maestria il loro inimitabile brand ed è innegabile che, preso singolarmente, Zi sia un lavoro francamente inattaccabile, sminuito però dal confronto con le uscite passate, non riuscendo ad indurre nell’ascoltatore lo stesso grado di coinvolgimento.
Un piccolo passo indietro che non inficia in alcun modo il meritato status di culto acquisito dalla band rumena, autrice di una delle espressioni artistiche più peculiari in ambito metal, e non solo.

Tracklist:
1. Tul-ni-că-rînd
2. Grădina stelelor
3. Brazdă dă foc
4. Baciul Moșneag
5. Stanciu Gruiul
6. Marea Cea Mare

Line-up:
Negru – Dulcimer, Tulnic, Toacă, Xylophone (2002-present)
Ovidiu Corodan – Bass
Petrică Ionuţescu – Flute, Nai, Kaval, Tulnic
Adi “OQ” Neagoe – Guitars, Vocals, Keyboards
Vartan Garabedian – Percussion, Vocals
Tibor Kati – Vocals, Guitars, Keyboards, Programing

NEGURA BUNGET – Facebook

Dopethrone – 1312

Un piccolo regalo dei Dopethrone, tre tracce in free download in attesa del loro nuovo disco.

Un piccolo regalo dei Dopethrone, tre tracce in free download in attesa del loro nuovo disco.

I Dopethrone prendono al volo le possibilità che offre la rete nel condividere musica con gli utenti, ed ecco un ep in download libero per saziare la voglia del gruppo canadese. Tre canzoni con la consueta carica di marcezza e distorsione che contraddistingue questo gruppo, uno dei migliori in campo stoner e sludge. I Dopethrone hanno un passo veramente importante, un incedere distorto e possente, che lascia solo fumo e macerie. Questo ep non offre nulla di nuovo, ma con il trio non si cerca la novità, ma la sostanza e qui di sostanza ce n’è molta. Le storie sono quelle del disagio che vive ad ogni latitudine, anche nell’apparentemente pulito Canada. Qui giacciono oscure forze che sono bene evidenziate dai Dopethrone. Questo ep è forse ancora più decadente e sludge di Horchelaga, il loro ultimo full length del 2015, dedicato all’omonimo quartiere di Montreal, dove tutto è in vendita. Un gruppo che si conferma sempre ad alti livelli, con uno stile ben riconoscibile, a differenza di molti altri gruppi dello stesso genere, che sta diventando molto ripetitivo, ma finché ci sono i Dopethrone non c’è pericolo. È anche gratis dai, voi dovete solo comprare la droga.

TRACKLIST
1. SHOT DOWN
2. DRIFTER
3. SKAG REEK

DOPETHRONE – Facebook

Baphomet’s Blood – In Satan We Trust

Grande band ed album che ci riconcilia con il genere, per i metallari dai gusti old school da non perdere assolutamente.

Una vera bomba l’ultimo lavoro degli speed thrashers nostrani Baphomet’s Blood, da più di dieci anni in attività con la loro proposta old school e fortemente anticristiana, una delle migliori band per attitudine ed impatto nel genere, alfieri di quel modo di suonare metal ben saldo nei cuori dei metallari di origine controllata.

Il gruppo arriva quest’anno al quarto album sulla lunga distanza, sette anni dopo Metal Damnation, anche questa volta licenziato esclusivamente in vinile, confermando il totale rigetto per il supporto ottico e la devozione per qualsiasi forma old school.
In Satan We Trust risulta un girone infernale di speed/thrash, suonato alla velocità della luce, con iniezioni di furibondo hard’n’roll, irriverente, sfrontato e dannatamente coinvolgente, un pesante ed enorme dito medio innalzato contro la società ed il cristianesimo.
Partono con un ghigno i Baphomet’s Blood e ci fanno aspettare qualche minuto prima che l’inferno sulla terra esploda, l’opener Commando of the Inverted Cross è composta da una prima parte che funge da intro a tutto il lavoro, voce femminea posseduta da qualche demone dall’alta gradazione alcoolica che sfocia in un mood epico orchestrale prima che gli strumenti entrino in gioco per iniziare il vero e proprio massacro sonoro.
Testi che definire blasfemi è un eufemismo sono decantati su un armageddon metallico dove Venom e Motorhead sono i principali istigatori delle nefandezze perpetrate dal gruppo marchigiano, che gioca sporco musicalmente parlando.
Infatti quello che ad un primo impatto risulta un sound estremo di forte impronta speed, viene levigato dall’impronta rock’n’roll motorheadiana, con Necrovomiterror che ricorda il compianto Lemmy e una struttura del sound che tiene la forma canzone per le briglie, senza sconfinare mai nel caos senza capo ne coda.
Mica roba da poco per un disco che mantenendo forte la sua anima old school si avvale di una produzione cristallina il giusto per non perdere neanche una malefica nota di tracce dall’alto tasso evil come Hellbreaker, Triple Six e Whiskey Rocker.
L’album si chiude con la cover di Eleg, brano degli ungheresi Farao, gruppo sconosciuto ai più, che conferma l’attitudine fortemente underground e per nulla scontata del gruppo marchigiano.
Grande band ed album che ci riconcilia con il genere, per i metallari dai gusti old school da non perdere assolutamente.

TRACKLIST
1 – Commando of the Inverted Cross
2 – In Satan We Trust
3 – Hellbreaker
4 – Underground Demons
5 – Triple Six
6 – Infernal Overdrive
7 – Whiskey Rocker
8 – Eleg (Farao cover)

LINE-UP
Necrovomiterror – voce/chitarra
Angel Trosomaranus – chitarra
S.V. Goat Necromancer – basso
S.R. Bestial Hammer – batteria

BAPHOMET’S BLOOD – Facebook

Pay For Pleasure – Pay For Pleasure

Un viaggio nel mondo estremo, così viene presentato l’album: dalla fotografia, al disegno, fino alla musica e ai disturbi psichici, descrivendo un mondo parallelo pregno di atmosfere disturbanti.

I Pay For Pleasure sono un progetto del musicista Anuar Arebi , in questo caso polistrumentista, aiutato su questa sua prima opera da tre vocalist che si alternano sui vari brani (Michele Montaguti, Matteo Marteli e Stefania Martin).

Un viaggio nel mondo estremo, non solo musicale, così viene presentato l’album, un immersione passo dopo passo, brano dopo brano nell’estremismo visto nell’arte in generale: dalla fotografia, al disegno, fino alla musica e ai disturbi psichici, descrivendo un mondo parallelo pregno di atmosfere il più disturbante possibile.
Arebi per descrivere il concept, gioca con una buona fetta di generi che compongono il mondo del metal estremo ed l’ascolto se ne giova risultando vario, oscuro, devastante ma variopinto in arcobaleni dalle sfumature nere come la pece.
Non ci fa mancare nulla il polistrumentista nostrano, passando dal death metal old school, a sonorità più moderne, da brani dove comanda il thrash metal, ad altri dove esce un’anima evil e gotica, tra urla di dolore infinito, torture mentali e terrore profondo.
Il bello è che le tracce mantengono comunque una potenza ed un impatto devastante, un massacro dove la sei corde spara solos al fulmicotone ed i vocalist imprimono di pazza rabbia e sofferenza terribile le atmosfere disturbanti di Pay For Pleasure.
Tra i brani, molti davvero interessanti, The Hanged Man è un piccolo gioiellino estremo, cantata da Matteo Marteli con una forza interpretativa notevole.
Da segnalare la cover di Battery dei Metallica posta prima della conclusiva atmosfera gotica di 25, brano che conclude, accompagnato dalla voce eterea di Stefania Martin, questo affascinante lavoro.

TRACKLIST
1.Matter to Energy
2.The Judgment
3.Burning Times of This Anxiety
4.Daze Suffocation
5.Everlasting Pain
6.Blasted Heart
7.The Hanged Man
8.Carnage Rhapsody
9.State of Insanity (Disturbed Bed Rest)
10.Battery
11.25

LINE-UP
Anuar Arebi – Guitars, Bass, Keyboards, Drums, Programming, Vocals (additional)

Stefania Martin – Vocals
Michele Montaguti – Vocals, Lyrics
Matteo Marteli – Vocals

PAY FOR PLEASURE – Facebook

Rest – Rest

Le premesse sono buone, anche perché è netta la sensazione che i Rest siano intenzionati a proporre anche in futuro molto di più rispetto a un ordinario black hardcore sparato alla massima velocità.

I Rest sono un nuovo interessante progetto immaginato da Alessandro Coos (Ashes of Nowhere) e realizzato con l’ausilio di Mattia Revelant (batteria), Efis Canu (voce) e Marco Zuccolo (basso).

Questo ep autointitolato, pur nella sua brevità, mostra una band capace di trasmettere una potente urgenza espressiva tramite un black hardcore per lo più feroce e diretto, con la sola eccezione della traccia conclusiva V, molto più elaborata e rallentata, che apre un nuovo stimolante filone compositivo da sfruttare magari più avanti.
Per il resto è una furia iconoclasta a pervadere ogni brano, con un approccio diretto ed efficace nella sua organicità, e la timbrica di Canu (vocalist degli Inira) ad accentuarne l’impronta hardcore, anche se già in IV i ritmi si fanno relativamente più controllati, prima di sfociare nella già citata anomalia costituita dalla traccia conclusiva.
Le premesse sono buone, anche perché è netta la sensazione che i Rest siano intenzionati a proporre anche in futuro molto di più rispetto a un ordinario black hardcore sparato alla massima velocità.

Tracklist:
1.I
2.II
3.III
4.IV
5.V

Line-up:
Alessandro Coos – guitar
Mattia Revelant – drums
Efis Canu – vocals
Marco Zuccolo – bass

REST – Facebook