Brainstorm – Scary Creatures

Scary Creatures conferma quanto di buono fatto in vent’anni di carriera dalla band tedesca che, a distanza di un paio d’anni dall’ultimo Firesoul, regala un album irrinunciabile per gli amanti del power.

I Brainstorm sono uno dei gruppi più sottovalutati della scena power metal tedesca che incendiò il mercato nella seconda metà degli anni novanta, sempre collocati dagli addetti ai lavori un passo indietro a Gamma Ray, Grave Digger e compagnia, eppure negli anni sono riusciti a scaldare i cuori degli appassionati con una serie di opere di genere entusiasmanti, soprattutto con il trittico Ambiguity (2000), Soul Temptation (2003) e Downburst (2008).

La band, capitanata dal vocalist Andy B. Franck (ex Symphorce e Ivanhoe), torna con l’undicesimo album in studio di una carriera che l’ha vista muovere i primi passi nel 1989, ed arrivare nel nuovo millennio con una carica ed un’energia invidiabile, mostrate in questa nuovo lavoro che, se non porta grosse novità all’interno della proposta del gruppo, lo conferma come un punto fermo per chi ama il power metal ed i suoni metallici tradizionali.
Potenti, devastanti e, come tradizione nel genere, alquanto melodici, i Brainstorm con Scary Creatures dichiarano la loro appartenenza al gotha del power metal europeo alla luce dell’ esperienza e del talento al servizio del genere, e in controtendenza rispetto ai mezzi passi falsi dei gruppi più quotati, ormai non più sulle prime pagine delle riviste di settore, visto il momento di poco interesse da parte dei fans di uno dei generi storici del metal.
Il nuovo lavoro torna così a far risplendere il sound del gruppo con una raccolta di brani compatti, ruvidi ed oscuri, Andy B. Franck non ha perso un’oncia del suo talento interpretativo: singer sanguigno ed eclettico, anima il sound del gruppo, sempre perfetto nel portare avanti la tradizione tedesca nel power, lasciando che sfumature metalliche di derivazione statunitense entrino nel cuore delle composizioni, facendo dei Brainstorm il gruppo più americano della nidiata famelica nata in terra germanica.
Non sono così distanti, infatti, le drammatiche ed oscure atmosfere che troverete nel sound dei Circle II Circle di Zack Stevens, altra band da considerare in questi anni come una delle massime esponenti del power metal classico, anche se il gruppo tedesco ne violenta la struttura con le ritmiche devastanti tipiche del sound europeo.
Prova sopra le righe di tutta la band, composta da musicisti dall’esperienza e bravura indiscutibili, produzione perfetta, e via per questa discesa senza freni nelle travolgenti trame offerte dai Brainstorm, con una serie di brani che hanno nella cadenzata ed epica How Much Can You Take, nella devastante Where Angels Dream, nell’oscura e americana title track e nella maideniana Caressed By The Blackness, i picchi di un lavoro che riconcilia con un sound dato per morto troppe volte.
Niente da aggiungere se non che Scary Creatures conferma quanto di buono fatto in vent’anni di carriera dalla band tedesca che, a distanza di un paio d’anni dall’ultimo Firesoul, regala un album irrinunciabile per gli amanti del power.

TRACKLIST
1. The World to See
2. How Much Can You Take
3. We Are…
4. Where Angels Dream
5. Scary Creatures
6. Twisted Ways
7. Caressed by the Blackness
8. Scars in Your Eyes
9. Take Me to the Never
10. Sky Among the Clouds

LINE-UP
Andy B. Franck – Vocals (lead)
Dieter Bernert – Drums
Milan Loncaric – Guitars, Vocals (backing)
Torsten Ihlenfeld – Guitars, Vocals (backing)
Antonio Ieva – Bass

BRAINSTORM – Facebook

Ravensire – The Cycle Never Ends

Per gli amanti dell’heavy metal classico, l’album è una raccolta di canzoni perfette per tornare, ancora una volta, ad immergersi nelle atmosfere del genere e godere del suo spirito più puro.

Il metal non muore, magari per un periodo si lecca le ferite, si accompagna ad altri generi ma rimane un punto fermo della musica rock, trovando sempre nuovi figli e adepti in ogni parte del mondo.

Lisbona, nella capitale del Portogallo nascono nel 2011 i Ravensire, fieri guerrieri metallici, tornati in questo inizio anno con il secondo lavoro sulla lunga distanza, The Cycle Never Ends, buon esempio di heavy metal old school, dai tratti epici, successore dell’esordio We March Forward del 2013 e di un paio di lavori minori.
La band portoghese, è protagonista di una prova convincente, buon songwriting, ottime trame chitarristiche in un crescendo maideniano alquanto esaltante, ed un cantante aggressivo e ruvido quanto basta per donare alle canzoni un buon impatto.
The Cycle Never Ends si aggira tra gli spartiti delle band storiche degli anni ottanta, la produzione risulta perfetta per il genere proposto, non troppo patinata, ma sufficiente per far rendere al meglio l’atmosfera epica del lavoro.
Dall’opener Comlech Revelations in poi è un susseguirsi di riff e cavalcate heavy metal style, le chitarre intonano inni alla gloria, i chorus sono composti di pura epicità, ed il senso di deja vu è compensato da un buon songwriting e tanta attitudine old school.
La band ci catapulta in un mondo di battaglie, scudi che si spezzano, spade che stridono quando le lame si incocciano nel mezzo dello scontro, il tutto accompagnato da melodie di chiara ispirazione maideniana, anche se non manca lo spirito guerriero ed epico dei Manowar e l’orgoglio metallico di band come Heavy Load e Slough Feg.
Per gli amanti dell’heavy metal classico, l’album è una raccolta di canzoni perfette per tornare, ancora una volta, ad immergersi nelle atmosfere del genere e godere del suo spirito più puro che l’ottima trilogia finale, composta dalle tre parti di White Pillars Trilogy, riesce a conferire nei true metallers meno distratti.

TRACKLIST
1. Cromlech Revelations
2. Crosshaven
3.Solitary Vagrant
4. Procession of the Dead
5. Trapped in Dreams
6. White Pillars Trilogy: Part I – Eternal Sun
7. White Pillars Trilogy: Part II – Blood and Gold
8. White Pillars Trilogy: Part III – Temple at the End of the World

LINE-UP
F – Drums
Zé – RockHard Guitars
Nuno Mordred – Guitars
Rick Thor – Bass

RAVENSIRE – Facebook

Endless Recovery – Revel In Demise

Lo stile è classico ma la bravura degli Endless Recovery sta nel non fare una mera imitazione di un certo suono bensì rielaborarlo per ottenere un risultato simile ma allo stesso tempo originale.

Cari discepoli dello speed thrash metal anni ottanta qui avete occasione di sentire un rituale di gran valore.

Dalla Grecia più furente ecco gli Endless Recovery, ottimi fautori di un metal veloce, all’antica e senza compromessi stilistici. L’onda lunga ed immortale dello speed anni ottanta colpisce ancora con un’opera molto buona. Nati nel 2011 i nostri hanno presto impressionato la metallica comunità con Liar priest, ep del 2012, per poi dare alle stampe il full length del 2013 Thrash Rider, continuando con il 7″ Resistant Bangers nel 2014, per poi arrivare a questo cd.
Lo stile è classico ma la bravura degli Endless Recovery sta nel non fare una mera imitazione di un certo suono bensì rielaborarlo per ottenere un risultato simile ma allo stesso tempo originale. La tensione ed il divertimento non scemano mai e si ritorna ai tempi nel quale il metal era velocità, divertimento e sbronze facili. Questo disco piacerà sicuramente a Fenriz, cultore nel suo blog di questo tipo di metal che non è mai scomparso e non ha mai tradito grazie a dischi come questo.

TRACKLIST
01. Sinister Tales
02. Revel In Demise
03. Reaping Fire
04. Storming Death
05. Leather Militia
06. Trapped In A Vicious Circle
07. Blood Countess
08. Hypnos
09. Evoke Perdition
10. Lurking Evil

LINE-UP
Michalis Moatsos : Drums
Panayiotis Alikaniotis : Bass
Tasos Papadopoulos : Guitar
Apostolos Papadimitriou : Guitar
Michalis Skliros : Vocals

ENDLESS RECOVERY – Facebook

Shotgun Justice – State of Desolation

L’esordio della band vive tra alti e bassi, risultando nella sua totalità un lavoro sufficientemente piacevole, specialmente per i fans dei suoni classici.

Ci hanno messo ben tredici anni i tedeschi Shotgun Justice per dare alle stampe il primo full length, la band infatti aveva licenziato due demo, ed una compilation, un po’ poco visto il tempo trascorso dalla loro fondazione.

Finalmente, per gli amanti dei suoni metallici old school, ecco che il 2016 porta con se l’esordio sulla lunga distanza del gruppo, questo State Of Desolation, che richiama alla mente l’heavy metal ottantiano, anche se il quintetto sassone lo ricama con ritmiche hard rock ed una piccola dose di potenza thrash.
L’album che si sviluppa su liriche a sfondo sociale e politico che si discosta dai soliti cliché dei gruppi heavy metal classici, tutti spade e guerrieri senza paura, è incentrato su brani dai ritmi che viaggiano con il freno a mano tirato, mai troppo veloci, molto melodici, ed in linea con le metal band dal taglio classico.
Ne esce un lavoro che alterna brani ruvidi ad altri molto più eleganti, ed è proprio su questi che il gruppo costruisce il suo songwriting.
Sarà per una produzione classicamente old school, sarà per le buone melodie dal taglio drammatico nei brani meno aggressivi, ma Shotgun Justice regala buone canzoni dove il sound si contorna di un’aura intimista e tragica, con il picco qualitativo rappresentato dall’oscura Nemes ( a Global Killer), heavy song dove una voce soprano duetta con il singer.
Qualche accenno alla vergine di ferro nei numerosi riff e solos delle due asce e ritmiche di scuola Saxon, potenziati da sventagliate thrash, sono il mood della maggior parte dei brani che compongono State Of Desolation, con ancora una piccola gemma heavy, Head Full Of Bullets, dal solos settantiano e dall’andatura cadenzata e in crescendo.
L’esordio della band vive così tra alti e bassi, risultando nella sua totalità un lavoro sufficientemente piacevole, specialmente per i fans dei suoni classici, lodevole il lavoro delle sei corde, ma leggermente monotona la voce, piccolo difetto che toglie qualche punto al valore dell’album.
Ora che il ghiaccio è stato rotto aspettiamo buone nuove dalla band tedesca che, con qualche ritocco, potrebbe migliorare sensibilmente la propria proposta.

TRACKLIST
1. Proclamation of War
2. Blood for Blood
3. Blessed with Fire
4. Nothing Left to Fear
5. Nemes (A Global Killer)
6. The Scales of Justice
7. Head Full of Bullets
8. Forsaken
9. Harvest the Storm
10. State of Desolation

LINE-UP
Tobias Gross – Drums, Percussion, Vocals
Erik ”Kutte” Dembke – Guitars
Thomas ”Tom” Schubert – Bass
Marco Kräft – Guitar Vocals
Kai Brennecke – Guitar

SHOTGUN JUSTICE – Facebook

Skullthrone – Biomechanical Messiah

Gli Skullthrone confermano l’ottimo livello che da anni contraddistingue l’underground dei paesi sudamericani, tane di fiere metalliche pericolosissime e dall’attitudine spiccatamente anticristiana

Bogotà, Colombia, tra le strade di una delle città più pericolose del mondo, si aggira questo spirito malefico, dal nome che è tutto un programma, Skullthrone.

Metal estremo, un’entità demoniaca che fa del black/death metal la sua arte nera, portando nel mondo il verbo satanico accompagnato da un’ayrea guerrafondaia.
Il quintetto sudamericano è al debutto sulla lunga distanza, in archivio ha solo un demo, le prime avvisaglie di una guerra portata al mondo, uscito nel 2011 (Abyssmal Hymns for Satan), confermando l’ottimo impatto del proprio sound in questo primo lavoro dal titolo Biomechanical Messiah.
Death/black di scuola est europea, in particolare influenzato dai blacksters Behemoth, è quello che il gruppo mette sul piatto e non è poco, considerato la già buona compattezza, il gran lavoro delle sei corde e buone sfuriate in blast beat della sezione ritmica.
Senza fronzoli, e con pochi attimi per riprendere fiato, veniamo inseguiti da questo oscuro mostro satanico, famelico e vorace, che inghiotte male e risputa puro odio.
Nemici dichiarati del cristianesimo, gli Skullthrone, aggrediscono con un lotto di brani assolutamente evil, il growl diabolico e le chitarre che non lasciano tregua con riff e solos che grindano sangue innocente, faranno la gioia degli amanti dei suoni oscuri e da tregenda del genere, con svariate songs che superano abbondantemente la sufficenza, per impatto e violenza.
Niente di che non sia assolutamente originale, ma un ascolto consigliato per chi aspetta con ansia i parti blasfemi di Behemoth e Vader, sicuramente ripagati dal mood satanico e brutale di Imperial Satanic Artillery, Sadism Ex Machina, Antichristian Retaliation ed Empire of the Skull.
Gli Skullthrone confermano l’ottimo livello che da anni contraddistingue l’underground dei paesi sudamericani, tane di fiere metalliche pericolosissime e dall’attitudine spiccatamente anticristiana … astenersi posers e ragazzini dai pruriti evil.

TRACKLIST
1. Imperial Satanic Artillery
2. There’s No God at All
3. Biomechanical Messiah
4. Hell’s Oblivion
5. Technomancer Revelation
6. Sadism Ex Machina
7. Antichristian Retaliation
8. Goatlust
9. Carnal
10. Empire of the Skull

LINE-UP
Marius Alhazred – Bass
Cerberus – Guitars
Goatlust – Drums
Demiurge – Vocals
Lucipagho – Vocals, Guitars

SKULLTHRONE – Facebook

Benefactor Decease – Anatomy Of An Angel

Benefactor Decease sono un gruppo che non suona nemmeno una nota per caso, ma è tutto ben composto e pianificato, con un’esecuzione mostruosa, però sempre al servizio della musica, senza diventare un vuoto esercizio di stile.

Greci fautori di un thrash metal molto tecnico, preciso e potente, che colpisce davvero duro.

I Benefactor Decease sono un gruppo che non suona nemmeno una nota per caso, ma è tutto ben composto e pianificato, con un’esecuzione mostruosa, però sempre al servizio della musica, senza diventare un vuoto esercizio di stile. Il disco è come una mannaia che corre inesorabile tagliando tendini e cambiando la composizione chimica delle ossa, facendo schizzare il sangue dei morti sulle facce delle prossime vittime. Ascoltandoli si pensa subito a quel glorioso thrash metal molto tecnico dei Death Angel, Corner, Rigor Mortis ed altri, ma qui il superamento genetico di quel suono per una razza totalmente nuova. Il basso è la struttura pivotale del suono dei Benefactor Decease e tutto viene di conseguenza, incastonandosi perfettamente anche in canzoni molto lunghe. Un grande disco per un’etichetta molto ambiziosa.

TRACKLIST
1.Intro – Intermental Excitation
2.Electrical Death
3.Chronicles of a Paraphiliak
4.Anatomy of an Angel
5.The Finest Form For Body Modification
6.Feeling the Razor’s Touch
7.Abandonement to the Hanger
8.Subsistence For Regeneretic Impulse
9.Lyssa
10.A Blade in the Dark

LINE-UP
Panos “Cut-throat” Toufexidis : Vocals.
Zissis “Coroner” : Rhythm Guitars.
Nick “Chainsaw Murder” : lead guitars.
Apollo “Parafiliak” : Bass.
Vaggelis “Technical Arrogance” : Drums

BENEFACTOR DECEASE – Facebook

Primitiv – Immortal & Vile

Candlemass, Black Sabbath, Obituary, Morbid Angel, Cathedral e tanto talento, fanno parte del dna di questo notevole gruppo indiano, ed il loro album un disco da avere assolutamente, specialmente se siete amanti di queste sonorità.

Other bands are old school, we are Primitiv.

Così si definiscono i Primitiv, gruppo heavy/doom/death metal di Mumbai, India, altro gruppo che arriva a noi tramite la Transcending Obscurity, meritevole di molta attenzione da parte dei fans dei suoni old school di matrice estrema.
Composti da membri dei fenomenali Albatross, i Primitiv licenziano questo monolitico esordio, dal titolo Immortal & Vile, massiccio, cadenzato e potentissimo esempio di metal estremo dai rimandi doom classici, con chitarroni ultra heavy, presi in prestito dal metal ottantiano e la maligna e brutale atmosfera death metal che rende il tutto, un molosso di suoni metallici fusi nell’acciaio.
Accompagnato da una copertina old school epicissima, Immortal & Vile non può che conquistare, forte di brani notevoli a livello atmosferico, ottimamente suonati ed originali nel saper amalgamare i generi descritti, costruendo un sound, ruvido, aggressivo, a tratti altalenate tra i suoni hard & heavy dai rimandi settantiani, e l’heavy metal del decennio successivo, dove la band, non contenta, ammanta il tutto con l’elemento estremo, quell’aura death che fa dell’album un gioiellino metallico.
Nei solchi di questo primitivo lavoro, spicca il growl guerresco di Nitin Rajan, leggendario vocalist della scena indiana (Sledge, Morticide), dall’enorme vocione che ricorda un’antica e maligna divinità di qualche imprecisata leggenda epica, accompagnato da una sezione ritmica che non può non essere monolitica (Riju Dasgupta al basso e Pushkar Joshi alle pelli) e le due asce che incendiano, devastano, lanciano fulmini e saette, tra solos heavy, ritmiche dal lento incedere doom e attimi di bombardamenti death, molto più americani di quanto si evince ad un primo ascolto (Rajarshi Bhattacharya e Kiron Kumar).
Clash Of The Gods e World War Zero aprono il lavoro nel segno del doom/death, ma da The Demon Science in poi l’esplosivo sound del combo esce in tutta la sua natura e Lake Rancid regala una song doom classica, dove il riff nasce da qualche montagna settantiana e sfocia in una valle di suoni hard & heavy da stropicciarsi gli occhi.
Bellissima Taurus, doom death psychedelico e lisergico, così come la storica Lords Of Primitiv che chiude il lavoro, ancora metal old school, dall’incedere settantiano e dalla forza di un carro armato death metal.
Candlemass, Black Sabbath, Obituary, Morbid Angel, Cathedral e tanto talento, fanno parte del dna di questo notevole gruppo indiano, ed il loro album un disco da avere assolutamente, specialmente se siete amanti di queste sonorità.

TRACKLIST
1.Clash of the Gods
2.World War Zero
3.The Demon of Science
4.Lake Rancid
5.Dead Man’s Desert
6.Taurus
7.Lords of Primitiv

LINE-UP
Rajarshi Bhattacharya – Guitars
Riju Dasgupta – Bass Guitar
Pushkar Joshi – Drums
Nitin Rajan – Vocals
Kiron Kumar – Guitars

PRIMITIV – Facebook

Sepultus Est – En el marmoreo laberinto donde sueñan los muertos

Lord Sepultus non si è certo risparmiato nel suo intento di scaraventarci nei baratri più profondi con la propria funerea ispirazione, così l’album sfiora il massimo consentito dalla lunghezza di un cd

Un disco di funeral doom proveniente dal Perù è per certi versi un’anomalia, ancor più se pensiamo che sovente, quando questo genere viene proposto da musicisti residenti in nazioni senza una tradizione consolidata nel settore, i risultati sono spesso infarciti di ingenuità e di imperfezioni in fase di esecuzione e produzione.

Non è certo questo il caso dei Sepultus Est, band di Lima guidata da Lord Sepultus, il quale, pur costituendone il fulcro artistico e compositivo, non si adagia alla condizione striminzita di one man band ma si fa aiutare nella stesura della propria opera da un manipolo di musicisti: proprio una certa cura dei particolari e una scrittura ottimale lanciano questo En el marmoreo laberinto donde sueñan los muertos tra le potenziali soprese dell’anno appena iniziato, in ambito funeral (il disco, infatti, è stato da poco pubblicato dalla label russa GS Productions).
Lord Sepultus non si è certo risparmiato nel suo intento di scaraventarci nei baratri più profondi con la propria funerea ispirazione, così l’album sfiora il massimo consentito dalla lunghezza di un cd (78 minuti) con l’iniziale title track che, a sua volta supera i 40 minuti di durata: già da questi freddi numeri si può intuire quanto il lavoro sia estremo, non tanto dal punto di vista delle sonorità quanto per l’impegno che viene richiesto all’ascoltatore per coglierne al meglio ogni sfumatura.
Musicalmente siamo nell’alveo del funeral più melodico, con la tastiera del mastermind a guidare le trame di ogni brano, ora con dolenti aperture melodiche, ora con passaggi pianistici che, tutto sommato, rappresentano un elemento piuttosto peculiare.
Si diceva della traccia iniziale, che mette a dura prova la resistenza degli appassionati, a causa di una parte centrale che ferisce con la propria deriva depressive, compresi vocalizzi estremi che vanno rimpiazzare il growl dominante invece nel resto del lavoro: il giusto premio giunge negli ultimi dieci minuti, a dir poco meravigliosi nella loro reiterata ed evocativa melodiosità.
Nella più breve (20 minuti … ) Funebres estatuas en el jardin de la muerte spicca un bellissimo lavoro pianistico che è fondamentalmente ciò che lo distingue dal brano precedente, mentre Paisajes depresivos, bonus track tratta da un demo uscito nel 2013, differisce per un suo incedere a tratti romantico, per quanto sempre pervaso da quella vena di tristezza che si spegne solo con l’ultima nota di questo lunghissimo lavoro.
Un altro nome da appuntarsi per chi ama queste sonorità.

Tracklist
1. En el marmoreo laberinto donde sueñan los muertos
2. Funebres estatuas en el jardin de la muerte
3. Paisajes depresivos

SEPULTUS EST – Facebook

[P.U.T] – Like Animals (Reissue)

Like Animals è la riedizione, a cura della Cimmeran Shade Recordings, dell’album uscito nel 2012 e si rivela utile per riportare l’attenzione su una band oggettivamente interessante.

I [P.U.T] sono fondamentalmente un affare di famiglia, visto che da ormai quindici anni i fratelli Beyet lo portano avanti proponendo una forma aspra e per nulla amichevole di industrial/sludge metal.

Like Animals è la riedizione, a cura della Cimmeran Shade Recordings, dell’album uscito nel 2012 e si rivela utile per riportare l’attenzione su una band oggettivamente interessante anche se, probabilmente a causa del mio retaggio, ne prediligo il sound quando si sposta maggiormente verso lo sludge.
Non a caso ritengo Zoo una vera e propria traccia killer, emblematica di come i nostri sappiano fare male quando sparano senza misericordia riff fangosi e rallentati, corredati da una sirena in sottofondo che sembra proprio quell’ambulanza che sta per venirti a raccogliere dopo esser stato annientato da cotanta pesantezza.
Per il resto i nostri si muovono sulla nobili tracce di Godflesh e Ministry, con buoni risultati come nella squadrata Exuvia e nella bizzarra IT, anche se rispetto a queste band e agli interpreti maggiori del genere restiamo comunque un gradino sotto, ma ugualmente su livelli in grado di attrarre l‘attenzione degli appassionati, in virtù di un approccio che spesso va a lambire per attitudine territori punk.
Rispetto alla versione originale, il lavoro contiene tre bonus track sotto forma di remix, l’ultimo dei quali è proprio la riproposizione dub di Zoo, piuttosto inoffensiva in questa sua veste.
Resta comunque lodevole l’idea di ripubblicare l’album, anche se inevitabilmente si parla di brani la cui stesura risale a 4 anni fa; a coloro che fossero interessati a verificare lo stato di salute attuale dei [P.U.T] consiglierei, quindi, di andarsi ad ascoltare anche i brani contenuti nello split con i Grünt-Grünt, uscito l’anno scorso.

Tracklist
01. In The Lake
02. Zoo
03. Exuvia
04. There’s A Mammoth In This Room
05. IT
06. Like Animals
07. Broke A Line
08. It Ain’t Gonna Be Fun
09. Rapture Of The Deep “In The Lake” (Remake By Azuki)- Bonus Track
10. Broke A Line (Remix by Garlic.wav)- Bonus Track
11. Zoo (Dub mix by NE555)- Bonus Track

Line-up:
Lionel Beyet: Bass/Voice/Rythms
Nicolas Beyet: Guitar/Voice/Rythms
Loïc Beyet: additional guitar&rythm on 8

[P.U.T] – Facebook

Swarming – Cacophony of Ripping Flesh: Recordings 2010-2012

Questa compilation raccoglie i brani composti dai due musicisti dal 2010 al 2012, più i due brani dell’unica uscita ufficiale della band, lo split con i Fetid Zombie risalente al 2010.

Nascosto in una fredda e putrida cantina di qualche maniero nascosto nelle desolate lande scandinave, trovato e rispolverato dalla Dead Beat Media questo inno al death metal old school, marcio e cattivissimo, non è altro che l’ennesimo progetto di Rogga Johansson, leader dei Paganizer e musicista instancabile, vero stakanovista del metal estremo, qui insieme a Lasse Pyykkö dei Hooded Menace.

Questa compilation raccoglie i brani composti dai due musicisti dal 2010 al 2012, più le due songs dell’unica uscita ufficiale degli Swarming, lo split con i Fetid Zombie uscito nel 2010.
Johansson alle prese con chitarra e voce , mentre al musicista finlandese toccavano batteria, basso e sei corde per questo altro buon esempio di death metal orrorifico e selvaggio, a tratti crust, con il growl catacombale di Rogga in arrivo dall’oltretomba.
Senza compromessi e con buon mestiere il duo scandinavo, creò un sound sporco, largamente influenzato dalla scena nordica, underground nel senso più puro del termine, musica infestata dai vermi della putrefazione, tra le sempre presenti accelerazioni e le frenate classiche del death metal vecchia scuola.
Una ventina di minuti immersi nel puro orrore in musica, in questa compilation spicca il growl di Johansson, uno zombie incatenato, nascosto al mondo nel buco di una caverna dove i resti umani fanno da pasto alle fameliche orde di ratti dal morso mortale.
Molto belle Hacksaw Holiday e Convulsing into Eternal Doom, brano tratto dallo split del 2010, per il resto il sound di questa compilation è death metal che più evil non si può, quindi una vero gioiellino per gli amanti del genere e per chi ama la musica del musicista svedese.
Se volete avere tutto, ma proprio tutto quello che esce da casa Johansson, fatelo vostro.

TRACKLIST
1. The Hideous Incantation
2. Reeking of the Bowels
3. It Came from the Graveyard
4. Hacksaw Holiday
5. Feasting on Drowned Flesh
6. Amputation Frenzy
7. Convulsing into Eternal Doom
8. Premature Embalming

LINE-UP
Lasse Pyykkö – Guitars, Bass, Drums
Rogga Johansson – Vocals, Guitars

SWARMING – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=IB8WEXt3P4A

Blackhour – Sins Remain

Il 2016 inizia come meglio non potrebbe per la Transcending Obscurity, label asiatica mai avara nel proporci ottime realtà metalliche provenienti da quei lontani paesi.

Il 2016 inizia come meglio non potrebbe per la Transcending Obscurity, label asiatica mai avara nel proporci ottime realtà metalliche provenienti da quei lontani paesi.

Già ascoltati sulla compilation che la label ha messo a disposizione dei fans , per questo Natale appena trascorso, arriva il secondo lavoro dei Blackhour, band giunta a noi dal Pakistan che propone il suo prorompente sound, figlio della vergine di ferro ma con più di un piede nel moderno hard & heavy.
Nato ad Islamabad, quasi una decina di anni fa, il quintetto pakistano ha debuttato con il primo full length nel 2011 (Age of War), quindi sono passati cinque anni prima di tornare sul mercato e far esplodere questo ottimo Sins Remains.
Come ormai ci hanno piacevolmente abituato le realtà proposte dall’etichetta, anche i Blackhour si distinguono per la bravura strumentale, unita a soluzioni fuori dalle mode occidentali, così che l’album, oltre ad essere suonato e cantato molto bene ( bellissima e personale la voce del singer Tayyab Rehman), vive di vita propria, per nulla vintage, anche se l’influenza maideniana è ben presente, così come qualche impennata estrema di estrazione scandinava ed un leggero tocco alternativo che rende il tutto molto personale.
Gran lavoro delle due asce (Mubbashir Sheikh Mashoo e Hashim Mehmood) che passano con disinvoltura da crescendo maideniani (Wind of Change) a ritmiche che si irrobustiscono, sfornando estremi riff dal mood death, oscuro e drammatico (Life Brings Death, Love Brings Misery) aiutati da una sezione ritmica compatta (Salman Afzal al basso e Daim Mehmood alle pelli).
Ne esce un dischetto davvero piacevole, con brani (cinque) che a tratti esaltano ( Battle Cry ), non avendo paura di confrontarsi con le proprie influenze, calando il jolly Rehman, bravissimo ad alternare toni da vero singer metallico, e ruggiti dove i suoi compari tirano fuori le unghie e graffiano con potenti zampate.
La title track conclude il lavoro con un classico brano maideniano, una ballad che con il passare dei minuti si trasforma in un crescendo metallico, stracolma di riff di scuola Smith/Murray molto suggestiva e dal piglio epico.
Ottimo lavoro dunque, ed altra band da seguire nel panorama metallico, ulteriore conferma dell’enorme potenzialità della scena asiatica.

TRACKLIST
1. Losing Life
2. Wind of Change
3. Life Brings Death, Love Brings Misery
4. Battle Cry
5. Sins Remain

LINE-UP
Salman Afzal – Bass
Daim Mehmood – Drums
Mubbashir Sheikh Mashoo – Guitars
Hashim Mehmood – Guitars
Tayyab Rehman – Vocals

BLACKHOUR – Facebook

Ancestors Blood – Hyperborea

Un bellissimo album da godersi nel suo insieme, un affresco magniloquente e solenne espressione di una cultura musicale nordica che continua ad affascinare.

Chi è in spasmodica attesa del nuovo album dei Moonsorrow può, intanto, parzialmente saziarsi con questo succulento antipasto di black epico e sinfonico offerto dai finlandesi Ancestors Blood, al loro terzo full-length proposto nel corso di una carriera ultracedennale.

L’accostamento ai più noti connazionali deriva essenzialmente dall’approccio che fa dell’emotività, inserita in un mood solenne, il proprio modus operandi, anche se la band proveniente da Laitila si fa maggiormente attrarre da pulsioni heavy metal che trovano il loro sfogo in frequenti ed azzeccati assoli di chitarra, mentre la componente folk viene tutto sommato accantonata.
Infatti, le tastiere forniscono un alone sinfonico che enfatizza il tutto senza renderlo affatto plastificato: in tal modo l’album scorre via intenso ma fruibile, rivelandosi una delle migliori interpretazioni possibili del genere, tutto sommato non assimilabile al black bombastico di scuola Dimmu Borgir ma, semmai, accostabile in certi passaggi agli Arcturus epoca Aspera Hyems Symfonia (anche per le fondamentali incursioni di chitarra solista, benché nei seminali norvegesi tale aspetto attingesse maggiormente al progressive).
Gli oltre 50 minuti di Hyperborea non presentano cedimenti, anche nella sua seconda parte quando i suoni si fanno via via più oscuri: gli Ancestors Blood sono bravi nel diversificare il sound, passando da brani magnifici nel loro trasudare sentori epici e melodici come The Way Of Spirits, Autumn ed Elegies, ad altri più aspri e per certi versi aderenti agli stilemi del black più tradizionale, come avviene in Rite of Passage e Funeral Rite.
Ma, oggettivamente, questo bellissimo album è da godersi nel suo insieme quale affresco magniloquente e solenne, espressione di una cultura musicale nordica che continua ad affascinare, nonostante sia approdata ormai da oltre un ventennio nei nostri lettori cd.

Tracklist
1. Descension
2. The Way of the Spirits
3. Autumn (Metsäpirtti part II)
4. Elegies
5. Hyperborea
6. Rite of Passage
7. Funeral Rite
8. Ascension

Line-up:
A.T.H. – Vocals, Guitars
E. Heinonen – Keyboards
K.S. – Drums
A.L.H. – Bass

ANCESTORS BLOOD – Facebook

Seriously Mentally Damaged – Enlightened By Obscurity Ep

I Seriously Mentally Damaged possono andare oltre, perchè hanno orizzonti metal molto vasti.

Dei ragazzi seppur non professionisti possono fare ottime cose, e i genovesi Seriously Mentally Damaged ne sono la dimostrazione.

Ciò che colpisce di più ascoltando questo ep è la rabbia pura, l’incazzatura distillata in note precise, violente ed incombenti, che sono metal ma ne vengono dalle calche umane dell’hardcore. Loro fanno un death molto tecnico, che cangia a seconda del momento, ora death, ora quasi vicino al nu metal in certi momenti, soprattutto per il cantato, arrivando a lambire territori post metal, anche se per una breve durata.
Questo è il loro terzo ep e sono uno dei più gruppi più interessanti che abbia ascoltato ultimamente. La doppia voce mi fa ricordare, anche per la rabbia espressa, un gruppo che era meno metal ma molto simile, i Raging Speedhorn che tante gioie mi hanno regalato, ma i Seriously Mentally Damaged possono andare oltre, perché hanno orizzonti metal molto vasti. Rabbia, velocità, precisione aumentati dall’ottima produzione di Fabio Palombi al Blackwave Studio.
Devastazione sonica ed è subito amore.

TRACKLIST
1. Kill The King
2.The Plague of Unreason
3.Strength To Fight Back

LINE-UP
Betsy – Vocals
Bory – Guitar, Bass and Drum Programming
Bruce – Vocals
Ste – Vocal

SERIOUSLY MENTALLY DAMAGED – Facebook

Raze – Mankind’s Heritage

L’album letteralmente vi rivolterà come calzini, una centrifuga thrash metal di una lavatrice impazzita, cavalcate metalliche alla velocità della luce, riff, chorus e solos che entrano in testa al primo colpo

Ecco che, come un fulmine a ciel sereno, arriva in zona Cesarini ( modo di dire preso in prestito dal mondo pallonaro) in questi ultimi scampi del tanto dannato 2015, l’album thrash che ti fa saltare sulla sedia come in preda ad un attacco di formiche rosse, un perfetto e devastante esempio di metal made in bay area, esaltante, come solo il vecchio thrash sa essere, quando è suonato così bene e composto da brani trascinanti ed in your face, come quelli composti dagli spagnoli Raze e che vanno a formare il loro debutto Mankind’s Heritage.

Il quartetto di thrashers provenienti dalla terra dei tori, nasce nel 2007 ed all’attivo ha un solo ep, uscito nel 2011, la Suspiria Records lo ha preso per le corna, così che Mankind’s Heritage esce sotto la sua ala.
L’album letteralmente vi rivolterà come calzini, una centrifuga thrash metal di una lavatrice impazzita, cavalcate metalliche alla velocità della luce, riff, chorus e solos che entrano in testa al primo colpo, non una ritmica che non abbia un appeal esagerato e vocals che sono prese dai dieci comandamenti del come si suona il genere, specialmente se ci si rivolge agli States e alla scena classica.
Bad News è un pugno a tradimento in pieno stomaco, il respiro si blocca, gli occhi lacrimano e non ci si riprende, anche perché arriva come un bolide L.O.B. a darci il colpo di grazia.
Questi quattro ragazzi fanno male, le due asce spingono a tavoletta ( Marcos e David ) e la sezione ritmica è un treno che corre irrefrenabile su binari metallici che prendono fuoco al passaggio del gruppo (Macaco al basso protagonista di una prova da urlo al microfono e Sebas alle pelli).
Raze The Earth e The Church Is On Fire sono spettacolari songs da cantare a squarciagola sotto il palco, presi per le palle da questi quattro indiavolati sacerdoti del thrash metal, che lasciano alla conclusiva Streets Of Wickedness il compito di darci il colpo di grazia, sette minuti di metallo old school che esplode nelle teste ormai sanguinanti .
Volete dei nomi? Death Angel, Annihilator e primi Testament, vi basta?

TRACKLIST
1. Bad News
2. L.O.B.
3. Evil Waits
4. The Siege
5. Raze the Earth
6. The Church Is on Fire
7. Do You Wanna Die?
8. Streets of Wickedness

LINE-UP
Macaco – Bass, Vocals
Sebas – Drums
Marcos – Guitars
David – Guitars

RAZE – Facebook

With The Dead – With The Dead

Album trascinante e ossessivo, un ascolto obbligato per chi si ritiene un fan del doom.

Torna a due anni di distanza dallo split dei Cathedral il messianico sacerdote del doom anni novanta Lee Dorrian, personaggio avvolto da un’aura di carisma tale da far risplendere di luce propria ogni uscita discografica dove mette lo zampino.

Per la sua etichetta (la Rise Above Records), specializzata ( e non poteva essere altrimenti) nei suoni doom/stoner, esce il primo lavoro omonimo del progetto With The Dead, dove il grande vocalist britannico è accompagnato da Tim Bagshaw (Chitarra, Basso) e Mark Greening (Batteria, Organo Hammond), musicisti provenienti da due band seminali del genere, gli Electric Wizard e i Ramesses.
With The Dead non gode al suo interno di grosse novità stilistiche, il sound marcissimo e sporco, accompagnato da suoni ribassati e da atmosfere catacombali, è una via di mezzo tra i suoni della cattedrale e le band di provenienza dei due musicisti che accompagnano il prelato del doom, perfettamente a suo agio in questa cascata di lava dai rimandi classici e stravolta da iniezioni di stoner metal, che nei primi anni novanta lui più di altri ha portato all’attenzione dei fans con album magnifici.
Suoni lenti e brutali, una produzione sporca che dona ai brani sfumature catacombali, fuzz e riverberi a palla, su cui la talentuosa e storica voce di Dorrian, gioca con il genere, lasciando, a chi si confronta con lei, solo la parte dei chierichetti, tanto sprizza carisma e personalità, confermandosi come il punto più alto dell’espressione vocale nel genere suonato, fanno di questo lavoro un must per gli amanti dei suoni messianici e sabbatici, una lunga discesa nelle catacombe dove ad aspettarci ci sono tre sacerdoti pazzi, dimenticati dal tempo negli antri e nei cunicoli dove resti umani, rettili e fiumi di lava bollente sono gli spiacevoli incontri, prima di lasciare ogni speranza di ritorno alla luce.
Ed è così che questi tre musicisti ci regalano otto bordate messianiche, dall’andamento cadenzato, ossianiche e orrorifiche, colme di distorsioni e watt al limite dell’umano, una brutale dimostrazione di forza e potenza, aggressive e ritmate (The Cross), evocative e sabbathiane (Nephthys), ipnotizzanti, destabilizzanti e acide (Living With The Dead), spettacolarmente lentissime ed ossessive, tornando a scuotere fondamenta sotto i colpi di un’inesorabile bombardamento cupo e magmatico con la conclusiva Screams From My Own Grave, apice del disco, dove Dorrian dà prova di non aver perso un briciolo della disperata e ossessiva magniloquenza che lo ha reso il miglior interprete del doom/stoner degli ultimi trent’anni.
Album trascinante e ossessivo, un ascolto obbligato per chi si ritiene un fan del genere, e altro grande album firmato Rise Above.

TRACKLIST
01. Crown of Burning Stars
02. The Cross
03. Nephthys
04. Living With the Dead
05. I Am Your Virus
06. Screams From My Own Grave

LINE-UP
Lee Dorrian – Voce
Tim Bagshaw – Chitarra, Basso
Mark Greening – Batteria, Organo Hammond

WITH THE DEAD – Facebook

Dalkhu – Descend … Into Nothingness

Un disco che non può lasciare indifferenti, davvero ricco di molti spunti positivi e con una grande forza.

Dalla fertile Slovenia, che pur essendo una nazione di soli tre milioni di abitanti riesce sempre ad esprimere ottimi gruppi metal, ecco i Dalkhu alla seconda opera, dopo Imperator del 2010.

I Dalkhu fanno un death metal con forti dosi di black, soprattutto nella ritmica delle canzoni, che sono ben strutturate e mai solo bieca potenza, ma hanno una struttura ben definita. La melodia c’è e si sente, anche grazie ad una produzione molto accurata e soprattutto funzionale allo scopo. In questi ultimi tempi vi sono molti gruppi che fanno death tinto di nero, ma pochi escono dalla media, mentre i Dalkhu si distaccano nettamente, anche perché in un genere non molto originale riescono ad avere un timbro personale e ben preciso. Infatti qui si realizza ciò che si proclamava nel titolo, ovvero una discesa nel nulla, attraverso gli scalini della sofferenza e della presa di coscienza della tragica condizione umana. Un disco che non può lasciare indifferenti, davvero ricco di molti spunti positivi e con una grande forza.

TRACKLIST
1. Pitch Black Cave
2. The Fireborn
3. In The Woods
4. Distant Cry
5. Accepting The Burried Signs
6. Soulkeepers
7. E.N.N.F.

LINE-UP
J.G. – guitar, bass, music.
P.Ž. – vocals

DALKHU – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Monolithe – Epsilon Aurigae

Epsilon Aurigae  è ricco di momenti dall’elevato tasso emozionale, racchiusi in un contesto sonoro maturo e nel contempo peculiare e, in definitiva,  è l’ennesimo grande album di una band che, assieme  a poche altro in ambito doom, è capace di esibire una cifra stilistica pressoché unica.

Il quinto album dei francesi Monolithe  mostra il suo elemento di novità  già dal titolo, che va ad interrompere la sequenza numerica che si protraeva fin dall’esordio risalente al 2003.

Inoltre,  anche in questo caso per la prima volta, abbiamo tre brani  di un quarto d’ora ciascuno al posto della canonica ed interminabile traccia unica, ma anche dal punto di vista prettamente musicale le novità sono significative, per quanto meno evidenti.
L’evoluzione iniziata con Monolithe III ha progressivamente allontanato la band parigina dal funeral più ortodosso, rendendo il sound man mano più peculiare ed aumentando in maniera esponenziale quella componente cosmica che, in precedenza, era rinvenibile più a livello concettuale che non nella sostanza.
La musica dei Monolithe possiede oggi un incedere solenne, che istintivamente riconduce all’immensità dell’universo piuttosto che al male di vivere, come le coordinate del genere vorrebbero, ma certo non viene meno il senso di caducità dell’esistenza, rappresentato dallo sgomento  dell’uomo di fronte a dimensioni spazio temporali che all’intelletto di un insignificante essere mortale è impedito immaginare.
Come sempre, la voce di Richard Loudin interviene  in maniera efficace  senza mai debordare, lasciando che sia soprattutto la musica ad avere il sopravvento sulle parole.
Epsilon Aurigae  è ricco di momenti dall’elevato tasso emozionale, racchiusi in un contesto sonoro maturo e nel contempo peculiare e, in definitiva,  è l’ennesimo grande album di una band che, assieme  a poche altro in ambito doom, è capace di esibire una cifra stilistica pressoché unica.

Tracklist
1.Synoecist
2.TMA-0
3.Everlasting Sentry

Line-up:
Benoît Blin – Guitars
Richard Loudin – Vocals
Sylvain Bégot – Guitars
Olivier Defives – Bass
Thibault Faucher – Drums

MONOLITHE – Facebook

Chronos Zero – Hollowlands ( The Tears Path Chapter One)

Settanta minuti di metallo drammatico e regale, figlio legittimo del sound dei maestri Symphony X, ma talmente ben eseguito da risultare un’opera per la quale certe similitudini finiscono solo per sminuire il talento dei musicisti coinvolti.

Tornano con il secondo lavoro i nostrani Chronos Zero, band che aveva entusiasmato nel 2013 con il debutto A Prelude Into Emptiness:The Tears Path Chapter Alpha, opera metallica che risplendeva di furore power/prog, uno spettacoloso vulcano di note che portava la band sul podio dei gruppi dediti a queste sonorità.

Un debutto clamoroso e tanti complimenti da fans e addetti ai lavori devono aver portato non poche pressioni al gruppo cesenate, positive direi, visto di che pasta è fatto il nuovo lavoro che risulta un’altra esplosione di suoni power e progressivi, dalla forza sovraumana e dalla tecnica invidiabile.
Tragico ed oscuro, emozionale e devastante, bombastico e pregno di fierezza metallica, Hollowlands conferma la band come una delle migliori uscite dallo stivale negli ultimi anni, almeno per quanto riguarda il genere.
Con qualche piccolo aggiustamento nella line up ed album affidato al sempre geniale Simone Mularoni, protagonista di un lavoro perfetto in fase di produzione, mix e mastering, Hollowlands vede lo stesso chitarrista dei DGM come ospite insieme a Matt Marinelli (Borealis) e Jan Manenti (Love.Might.Kill.) contributi che vanno ad impreziosire questi settanta minuti di metallo drammatico e regale, figlio legittimo del sound dei maestri Symphony X, ma talmente ben eseguito da risultare un’opera per la quale certe similitudini finiscono solo per sminuire il talento dei musicisti coinvolti.
The Compression Of Time apre l’album con l’irruenza classica a cui i Chronos Zero ci hanno abituati, ritmiche velocissime ed intricate, chitarre che sputano fuoco metallico, tastiere ed orchestrazioni che riempiono e nobilitano il sound e la spettacolare alternanza delle voci, perfetta nello scambiarsi il centro del palcoscenico, in un rincorrersi tra le fitte ragnatele di note orchestrate dai musicisti.
L’entrata in pianta stabile di una voce femminile (Margherita Leardini), molto più presente che sul primo lavoro, non inficia la devastante aggressività che il gruppo riversa nel sound, i momenti di quiete, sono solo bellissime affreschi, attimi suggestivi, che fanno calare un poco, l’altissima tensione che si respira a più riprese, mentre la vocalist è protagonista di una prova gagliarda, soprattutto quando, si erge sulle tracce drammatiche e rabbiose e dal mood orchestrale, molto più sinfonico che sul disco precedente.
Si, perché l’album, diversamente dal primo, è molto più sinfonico, le fughe progressive sono accompagnate da un suono bombastico, dando ad Hollowlands un tocco quasi cinematografico che valorizza ancora di più il sound, così che non si può non rimanere folgorati da questa raccolta di gemme metalliche che hanno in Fracture, nella ballad On Tears Path, Phalanx Of Madness, nelle tre parti di Oblivion, cuore del lavoro ed assoluto capolavoro del gruppo, gli episodi migliori di un lavoro decisamente sopra le righe.
I Chronos Zero si apprestano a raggiungere i cuori degli appassionati del genere, forti di un disco bellissimo, anche se a mio parere il sound del gruppo potrebbe piacere anche a chi si nutre di metal estremo, proprio per la sua disumana potenza e l’uso in molte occasioni del growl.
Grande ritorno e gradita conferma.

TRACKLIST
1. The Compression of Time
2. Fracture
3. Shattered
4. On the Tears of Path
5. Who Are You? (A Shape of Nothingness)
6. Who Am I? (Overcame by Blackwater Rain)
7. Ruins of the Memories of Fear
8. Phalanx of Madness
9. Oblivion Pt. 1 – The Underworld
10. Oblivion Pt. 2 – The Trial of Maat
11. Oblivion Pt. 3 – The Harp
12. The Fall of the Balance
13. Near the Nightmare
14. From Chaos to Chaos

LINE-UP
Federico Dapporto – Bass
Enrico Zavatta – Guitars, Piano, Keyboards
Davide Gennari – Drums, Percussion
Jan Manenti – Vocals
Giuseppe Rinaldi – Keyboards
Manuel Guerrieri – Vocals
Margherita Leardini – Vocals

CHRONOS ZERO – Facebook