Cemetery Fog – Towards the Gates

Musica affascinante, almeno per chi è ancora innamorato del sound catacombale dei primi anni novanta.

Un’altra ottima ristampa licenziata dalla nostrana Terror From Hell, label specializzata nei suoni estremi classici, risulta questo quarto lavoro del trio finlandese, abituato a passeggiare tra cimiteri avvolti nella spessa coltre di nebbia che raffredda le ossa e sveglia le anime dei defunti.

Il gruppo attivo dal 2012 aveva precedentemente dato alle stampe un terzetto di demo per la Iron Bonehead Productions, che si era occupata di rilasciare anche questo ep rigorosamente in vinile, ora uscito in versione cd per l’etichetta vicentina.
I Cemetery Fog sono J. Filppu,J. Väyrynen e V. Kettunen e fanno death metal dai richiami doom/dark, un genere che, nei primi anni novanta regalò pietre miliari come i primi album di Katatonia, Paradise Lost e My Dying Bride ed il loro Towards The Gates sembra in tutto per tutto un disco uscito in quel periodo.
Produzione sporca, atmosfere dark e funeree, lunghe parti di lento ed oscuro doom/death che, se non lascia granché in personalità, punta tutto sulle atmosfere, creando musica dall’elevato fascino.
Il cuore di questo lavoro sono tre brani mediamente lunghi, composti da riff lenti e mortiferi, giri pianistici melanconici e il growl sofferto, accompagnato talvolta da clean vocals che sinceramente sono il punto debole della musica del gruppo di Hamina.
Molto meglio quando il growl oscuro si erge sul lento incedere del sound e sembra davvero di perdersi in oscuri cimiteri, dove tra la nebbia, le statue tombali si ergono e richiamano angeli caduti, malinconici altari innalzati per l’altro mondo, un sofferto e drammatico passaggio dalla vita alla morte, che non lascia nessuna speranza e ci avvolge nella più tragica oscurità.
Tra le songs spicca Shadow of Her Tomb, notevole marcia verso l’oblio del purgatorio, brano che nella track list di quel capolavoro che è As The Flower Withers, primo full length della sposa morente, avrebbe fatto la sua figura.
Musica affascinante, almeno per chi è ancora innamorato del sound catacombale dei primi anni novanta, nel frattempo aspettiamo buone nuove, godendoci questo salto nel tempo.

TRACKLIST
1. Intro
2. Withered Dreams of Death
3. Embrace of the Darkness
4. Shadow of Her Tomb
5. Outro – Towards the Gates

LINE-UP
J. Filppu – Guitar, Vocals
J. Väyrynen – Guitar
V. Kettunen – Drums

CEMETERY FOG – Facebook

Ephemeral Ocean – The Efflorescence

La giovane band proveniente da Mosca licenzia un ottimo esempio di death metal dall’incedere doom, oscuro e drammatico, in linea con le produzioni di metà anni novanta, con un particolare gusto per melodie malinconiche e buone digressioni progressive.

Immaginate l’inquietudine che può suscitare la maestosa oscurità dell’oceano in una notte dove solo i lampi di una tempesta in lontananza, lasciano trasparire un poco di luce tra il buio del cielo e del mare, dove noi, nel mezzo galleggiamo, mentre l’oscurità ed il mare profondo aspettano un nostro attimo di debolezza per inghiottirci nel buio più profondo, metafora dell’animo umano, sempre più attratto dalla parte più oscura, drammatica e, molte volte malvagia.

Questo quadro inquietante può trovare la propria espressione in musica tra le note del primo full length dei death doomsters russi Ephemeral Ocean, arrivati al debutto dopo aver dato alle stampe Honour in the Mask, ep dello scorso anno.
La giovane band proveniente da Mosca licenzia un ottimo esempio di death metal dall’incedere doom, oscuro e drammatico, in linea con le produzioni, di metà anni novanta, con un particolare gusto per le melodie malinconiche e buone digressioni progressive.
L’album si sviluppa in sette movimenti dove armonie acustiche, andamenti rallentati e sfuriate estreme, sono ben congegnate ed accompagnate da un growl cavernoso ed una voce pulita all’altezza della situazione, molto espressiva e dai rimandi dark/prog.
I brani sono molto suggestivi, nel genere ben delineati e per nulla scontati, grazie ad una buona varietà di umori che pur mantenendo i colori su tonalità nere, rendono l’ascolto piacevole anche per chi non è propriamente un’anima oscura.
Si entra subito nell’aurea drammatica dell’opera con l’opener The Semblance of Eternal Mist, una death metal songs scritta su di un arcobaleno dai colori di un nero intenso che piano, si attenuano verso un grigio, come quando i lampi di luce schiariscono e ci fanno vedere le ombrose nuvole sopra di noi.
E’ un attimo, un battito di ciglia, in Inanimate Diary torniamo a galleggiare nell’immenso del mare e del cielo, la splendida voce pulita introduce il brano che di colpo vira ancora verso territori estremi, dalle ritmiche pressanti di nuovo aggrediti dal canto estremo di Dmitriy Stempkovskiy, protagonista di un’ottima interpretazione anche con le clean vocals.
Lullaby to Our Grudges risulta il brano più bello e struggente del lotto, insieme alla conclusiva No Will, quasi dieci minuti dove il gruppo russo affronta demoni, tra sfuriate estreme e armonie dark prog, con risultati davvero notevoli per teatralità, atmosfere e l’innato talento per i suoni melanconici e drammatici.
Le influenze si riscontrano nei primi lavori dei gruppi diventati icone del genere come Katatonia e Opeth, con riff e solo che richiamano i Dark Tranquillity, nelle parti più death oriented, anche se la band le inserisce in un contesto proprio, con ottima personalità, così che The Efflorescence risulti un ottimo ascolto per gli amanti del genere.
Gruppo dalle indiscutibili capacità gli Ephemereal Ocean vanno seguiti con attenzione, al prossimo giro potrebbero regalarci grosse soddisfazioni, consigliati.

TRACKLIST
1. The Semblance of Eternal Mist
2. Inanimate Diary
3. One More Carnation
4. Lullaby to Our Grudges
5. Angel That Conducted
6. Black Cobra
7. No Will

LINE-UP
Alexey Kostovitskiy – Guitars/Synths
Dmitriy Stempkovskiy – Vocals
Roman Vedeneev – Bass
Efim Burak – Drums/Percussion
Anton Garm – Guitars

EPHEMEREAL OCEAN – Facebook

Stielas Storhett – Drownwards

Drownwards vive di momenti davvero intensi come in Constant, Spyglass, la cavalcata metallica Ode To My Slaves e la conclusiva TMS, ma sono certo che, se scrivessi queste righe fra un paio di mesi citerei altri brani, altri momenti, altri attimi di questo bellissimo ed emozionante lavoro.

Che la Wormholedeath negli ultimi anni sia diventata un punto di riferimento per il metal underground, specialmente in ambito estremo è un fatto, ma non contenta riesce nella non facile impresa di scovare realtà di un certo spessore in ogni parte del mondo, a livello musicale e non solo.

Mai un gruppo o un album che non abbia una elevata maturità, anche concettuale e atmosferica, lasciando in noi l’impressione di valutare molto attentamente tutti gli aspetti di un’artista e non solo la bravura strumentale o l’appeal che il lavoro svolto può avere sugli appassionati.
Premessa dovuta e complimenti fatti per il nuovo acquisto dell’etichetta nostrana, la one man band proveniente dalla Russia Stielas Storhett, creatura oscura e drammatica del polistrumentista Damien T.G, fresco di firma per la label italiana.
Certamente non un novellino, il musicista russo arriva così al terzo full length, di una carriera solista iniziata circa una decina d’anni fa con il primo album, Vandrer… e proseguita con Expulsè del 2011, con in mezzo un paio di spilt e un mini cd.
Veniamo a Dronwards, nuova opera che alternando black metal, atmosfere dark ed un tocco progressivo dal taglio moderno, riempie le orecchie di ottima musica colma di atmosfere drammatiche, intimiste, a tratti rabbiose come sa essere il black metal, contornandolo da un’aura di eleganza, anche quando la forza d’urto del metal estremo si fa pressante, regalandoci bellissimi momenti dove le note che galleggiano nelle acque tranquille del post metal dai contorni darkeggianti riescono a tenere comunque alta la tensione, che esplode come un vulcano nelle tragiche cavalcate metalliche.
Ottimo il lavoro sulle voci, che si alternano e riempono di varie sfumature i passaggi di quest’opera oscura, d’impatto lo scream, stupenda e molto personale la voce pulita.
Un album da far vostro con la dovuta calma, la musica di Damien T.G non nasconde assolutamente le proprie influenze, girando intorno a chi, del genere è stato maestro indiscusso (primi Opeth e Katatonia), ma interpretando il tutto con molta personalità e quel quid moderno nel sound, che ottiene i maggiori consensi da parte del sottoscritto.
Un sali e scendi di colori e sfumature che hanno il nero come base per il proprio quadro musicale, tenendo sempre per le briglie la parte estrema, non ammorbidita ma resa ancora più tragica dalle parti melodiche e quando una voce femminile, entra nel cuore di songs come la notevole Null (The Last Journey), le emozioni diventano tangibili, travolgendoci di drammatica passionalità.
Prodotto benissimo, Drownwards, vive di momenti davvero intensi come in Constant, Spyglass, la cavalcata metallica Ode To My Slaves e la conclusiva TMS, ma sono certo che, se scrivessi queste righe fra un paio di mesi citerei altri brani, altri momenti, altri attimi di questo bellissimo ed emozionante lavoro, fatelo vostro.

TRACKLIST
1) Gasp For Change
2) Playfields Of Gods
3) Null (The Last Journey)
4) Just Walking Around
5) Constant
6) Spyglass
7) Backdoor Mate
8) Ode To My Slaves
9) Omnivores
10) Tms

LINE-UP
Damien T.G. – Everything

STIELAS STORHETT – Facebook

Degial – Savage Mutiny

Non un disco imperdibile, ma un buon esempio di come la scena underground continui a sfornare nel metal estremo lavori che guardano con assoluta devozione ai maestri, magari senza troppa personalità, ma con abbondante attitudine ed impatto.

I Degial of Embos, attivi dal 2004 al 2006 nella scena estrema svedese e autori di due demo si sciolsero per ritornare come Degial lo stesso anno e da qui ripartire per portare nel mondo il verbo del death metal old school, contaminato da iniezioni di blasfemia black in un delirio di musica oscura e cattiva.

L’esordio in formato ep arrivò nel 2010 seguito dal primo full length, Death’s Striking Wings nel 2012.
Sono passati tre anni e la band nell’anno di Satana 2015, tornano tramite Sepulchral Voice Records con questo oscuro Savage Mutiny, un concentrato di death/black dissacrante e blasfemo.
Growl cartavetrato proveniente direttamente da qualche catacomba, ritmiche che variano dal classico thrash alla primi Slayer, al black dei connazionali Dissection, fanno da avvisaglia per la proposta del gruppo che guarda al sound di matrice old school, senza compromessi, in uno tsunami di atmosfere infernali, con la morte e la blasfemia come uniche compagne nel metal primordiale della band.
Nessuna concessione ad orpelli inutili, si parte in quarta e non ci si ferma più, in questa mezzora abbondante di suoni provenienti da più parti del mondo musicale estremo.
Morbid Angel, un po’ di death scandinavo e tanto death/thrash anni ottanta, fanno da cornice a questo altare al maligno, grezzo, ruvido e tremendamente ignorante, ma che a tratti sprigiona una violenza riscontrabile solo negli act più efferati della nostra musica preferita.
Aiutati da un paio di personaggi della scena estrema come Set Teitan (Dissection, Watain), Pelle Åhman (In Solitude / Invidious) e lasciate in mano a Gottfrid Åhman (In Solitude / Invidious / Degial) registrazione e mixing del disco, la band risulta un concentrato di torture estreme in musica, dove come strumenti di dolore vengono usati brani devastanti come Uncoiling Chaos, Revenants e Sanguine Thirst, tracce migliori di questo lavoro.
Non un disco imperdibile, ma un buon esempio di come la scena underground continui a sfornare nel metal estremo lavori che guardano con assoluta devozione ai maestri, magari senza troppa personalità, ma con abbondante attitudine ed impatto.

TRACKLIST
1. Doomgape
2. Savage Mutiny
3. Uncoiling Chaos
4. Deathsiege
5. Pallor
6. Revenants
7. Sanguine Thirst
8. Transgression

LINE-UP
Hampus Eriksson – Guitars, Vocals
Rickard Höggren – Guitars
P.J – Bass
Emil Svensson – Drums

DEGIAL – Facebook

Fungi From Yoggoth / Liturgia Maleficarum

Split in cassetta di altissima qualità, direttamente dagli abissi di un inferno che striscia nel sottobosco musicale, e che fortunatamente non ci lascia mai, grazie ad etichette come la Diazepam.

Split in cassetta da sessanta minuti per la Diazepam, etichetta che continua a popolare i nostri incubi.

Il lato a è territorio dei Fungi From Yoggoth con un suono dark ambient rituale vecchio stile, che ci da la possibilità di ascoltare qualcosa che non gira molto negli ultimi tempi. Fungi From Yoggoth più che musica fa ambientazioni sonore, come un gas che passa da sotto una porta chiusa ed invade il nostro ambiente in silenzio. Il darkambient è un genere particolare, e caricato di ritualità come in questo caso è ancora più particolare. I cinque pezzi sono malati ed insani, prodotti molto bene con passione e dedizione, ed ululano come si deve.
L’altro lato della cassetta contiene qualcosa che non ti aspetteresti solo se non conosci la Diazepam, ecco quindi il nerissimo doom ambient con tocchi black metal dei Liturgia Maleficarum. Il gruppo proviene da Dunwich e fa una musica morbosa e quasi fastidiosa nella sua tenebrosa bellezza, e le tastiere sullo sfondo danno una pennellata particolare, quasi che una primitiva elettronica contaminasse la tavolozza di un pittore già morto.
Split in cassetta di altissima qualità, direttamente dagli abissi di un inferno che striscia nel sottobosco musicale, e che fortunatamente non ci lascia mai, grazie ad etichette come la Diazepam.
Edizione limitta in quarantasette copie ordinabile su http://dzpm.blogspot.it/p/store.html

TRACKLIST
01 Fungi From Yuggoth : I
02 Fungi From Yoggoth : II
03 Fungi From Yoggoth : III
04 Fungi From Yoggoth : IV
05 Fungi From Yoggoth : V
06 Liturgia Maleficarum : Ex Divina Luce Repulsus Sum
07 Liturgia Maleficarum : Humanae Vitae Taedemus
08 Liturgia Maleficarum : Mater Abominationum, Ante Te Genuflecto
09 Liturgia Maleficarum : In All His Fathomless Glory, He Appears
10 Liturgia Maleficarum : In Perpetua Obscuritas Iacebo

DIAZEPAM – Facebook

• URL YouTube, Soundcloud, Bandcamp

• DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Inhuman – Conquerors of the New World

Un album difficile, forse apprezzabile solo da chi stravede senza riserve per il death metal più tecnico

Il death metal è di per se un genere difficilissimo da suonare, magari agli ascoltatori superficiali le note estreme di cui è composto possono sembrare un’accozzaglia di suoni, ma il feeling e la bravura strumentale devono obbligatoriamente camminare a fianco di attitudine ed impatto, per far sì che una band abbia quel qualcosa in più.

Se poi si scende nell’ala tecnica del genere, la linea che passa tra un’opera straordinaria ed un clamoroso flop è sottilissima.
Gli Inhuman provengono dal Costa Rica, si sono formati quattro anni fa e sono al secondo lavoro, successore del debutto Course of Human Destruction, uscito nel 2013.
Il loro sound si può sicuramente considerare un esempio di technical death metal, a suo modo devastante e strabordante di cambi di tempo, forse troppi.
Molto bravi i musicisti, su questo non ci piove, ma purtroppo in molti di questi brani, manca la forma canzone, elemento importantissimo anche per un genere estremo come il death.
Possiamo sicuramente dire che il troppo stroppia, anche se non tutto è da buttare, le idee ci sono, ma sono esposte in modo confusionario, almeno in gran parte delle tracce che compongono Conquerors of the New World.
Buono e d’impatto il growl del vocalist Sergio Munoz e tecnicamente sufficiente il lavoro della sezione ritmica (Carlos Venegas al basso e Eduardo “Tato” Chavez alle pelli), mentre la chitarra inciampa in una produzione che non le dà il giusto spazio, relegandola a poco più di un soffio nella tempesta di suoni creato dal gruppo.
Si salvano gli ultimi due brani, The Chalice, e la lunghissima Stabbed to Death, che in virtù di un songwriting più ragionato, alzano la media della musica proposta dal gruppo costaricano.
Un album difficile, forse apprezzabile solo da chi stravede senza riserve per il death metal più tecnico.

TRACKLIST
1. Conquerors of the New World
2. Soulless Dead Eyes
3. Hold Your Crucifix
4. Extermination by Depopulation
5. Feed on Human Flesh
6. America Rises
7. The Chalice
8. Stabbed to Death

LINE-UP
Sergio Munoz – Vocals
Jonathan Sanchez – Guitar
Carlos Venegas – Bass
Eduardo “Tato” Chavez – Drums

INHUMAN – Facebook

Deos – … To Depart

Anche se non si tratta del capolavoro che mi sarei aspettato, il voto comunque elevato corrisponde in toto al valore oggettivo di … To Depart.

Scommetto che, se foste dei tifosi del Barcellona, quando Leo Messi segna in una partita meno di due goal o, comunque, non si esibisce in una di quelle azioni in cui dribbla tutti gli avversari (e già che c’è anche qualche omino delle bibite), uscireste dallo stadio velatamente delusi.

Quando mi trovo a che fare con Déhà e Daniel Neagoe mi sento più o meno come i sostenitori blaugrana nei confronti della “Pulga” argentina, e così la pubblicazione di un nuovo album che li vede entrambi protagonisti rischia di scontentarmi relativamente pur risultando vincente.
Il secondo disco a nome Deos, il progetto funeral che vede i due corresponsabili ciascuno al 50% dello sforzo compositivo, è appunto una dimostrazione ineccepibile di come si debba interpretare il genere, ma non è il capolavoro che mi sarei atteso.
Questo perché, dei quattro brani che vanno a formare la tracklist di … To Depart, solo due sono le perle che possono scaturire da poche altre menti oltre a quelle del geniale duo, mentre sia la traccia di apertura (The Vigil), sia quella di chiusura (The Emptiness) non si rivelano all’altezza di cotanto splendore.
Ovviamente questi due brani farebbero la fortuna di molte band, che li utilizzerebbero ben volentieri per edificarvi attorno un intero album, ma rispetto al precedente disco sia il ricorso molto più frequente delle clean vocals, sia una rarefazione che rende più interlocutorio il sound, indeboliscono parzialmente l’impatto emotivo del lavoro.
In fondo le caratteristiche citate sono presenti anche in The Last Journey e The Silence, ma ciò avviene in maniera più organica in alternanza ai momenti ricchi di pathos provocati dall’irrobustimento del sound, associato al mortifero growl di Daniel: il titolo della prima delle due tracce calza davvero ad un andamento capace di evocare sensazioni dolorose difficili da descrivere a parole (per aiutarvi provate a pensare ai migliori Ea, ma molto più bravi tecnicamente ed ulteriormente rallentati), mentre la seconda è, se possibile, ancor più drammatica nel suo incedere ma viene stemperata da aperture melodiche con clean vocals che, qui, sono molto più funzionali alla causa rispetto ad altri frangenti.
Se vogliamo, si può trovare un certo parallelismo tra le accoppiate Fortitude, Pain, Suffering –  … To Depart e Gaia – IV Mythologiae degli Slow, progetto solista di Déhà, nel senso che in entrambi i casi l’album più recente vede una parziale attenuazione delle ruvidezze ed un incremento contestuale delle parti ambient e di quelle cantate con voce pulita. In tutto ciò, poi, finiscono inevitabilmente e giustamente per confluire anche le altre esperienze musicali dei due, a partire dai Clouds, dai quali vengono attinti certi passaggi pianistici di stampo intimista, che del resto ritroviamo anche negli stessi Eye Of Solitude.
In buona sostanza … To Depart è, come detto in fase introduttiva, un bellissimo lavoro, anche se il suo predecessore mi aveva offerto sensazioni ancor più dolorosamente lancinanti; non posso escludere a priori che dietro a tutto ciò possa esserci una sorta di pregiudizio affettivo, visto che fu proprio grazie a Fortitude, Pain, Suffering che scoprii l’esistenza di Déhà e Daniel, due tra i musicisti che più stimo al giorno d’oggi, e forse “accontentarsi” di un album come … To Depart è la cosa migliore da fare: non stupisca, quindi, un voto piuttosto elevato, visto che corrisponde in toto al valore oggettivo di quanto ascoltato.
Da citare, infine, e non solo per dovere di cronaca, il prezioso contributo alla resa finale del disco del chitarrista rumeno Alex Cozaciuc dei Descend Into Despair.

Tracklist:
1.I The Vigil
2.II The Last Journey
3.III The Silence
4.IV The Emptiness

Line-up:
Daniel N. – All instruments, Vocals
Déhà – All instruments, Vocals
Alex Cozaciuc – Guitars

DEOS – Facebook

Instigator – Bad Future

La prova sulla lunga distanza potrebbe essere un passo più deciso, per ora questo 7′ rimane ad esclusiva dei soli fans del metal old school e delle band da cui gli Instigator traggono ispirazione.

Si aprono le porte dell’inferno e dalle viscere del girone più lontano e buio spuntano gli Instigator, autori di questi quattro brani licenziati, appunto, dalla Gates Of Hell records in edizione limitata in vinile.

La band svedese autrice di un solo demo nell’ormai lontano 2010, ci scaraventa nel suo mondo, tra horror e sci-fi, ed il 7′ in questione, dall’assoluto impatto old school, lascia intravedere buone potenzialità, anche se la produzione è un po troppo vintage.
Old school senza compromessi, un heavy metal dai tratti speed tra voci cartavetrate, falsetti che richiamano il re diamante e tutto il metal horror/satanico direttamente dagli anni ottanta.
Il gruppo sa creare atmosfere soffocanti e i brani, dall’opener Anabolic, sono circondati da un’aurea diabolica e blasfema che a tratti risulta suggestiva, manca però un riff che entri in testa, una linea melodica che faccia alzare l’orecchio, specialmente nelle prime due songs, la già citata Anabolic e Inseminoid.
Le cose migliorano con la seconda parte, che vede il gruppo alle prese con Black Magic e Undetectable, la prima vede un metal veloce, alla primi Slayer/Venom, con uno stacco a metà brano ed una voce teatrale dal buon effetto, che da varietà alla song, mentre la seconda è il classico brano tra Venom e new wave of british heavy metal, questa volta con un ottimo riff portante e dal mood che torna su argomenti fanta/horror.
Dopo cinque anni dal primo demo, direi che la band non ha lasciato intravedere grossi passi avanti, le influenze sono tutte nell’old school di matrice ottantiana, anche se qualche spunto lascia intravedere buone discrete potenzialità.
La prova sulla lunga distanza potrebbe essere un passo più deciso, per ora questo 7′ rimane ad esclusiva dei soli fans del metal old school e delle band da cui gli Instigator traggono ispirazione.

TRACKLIST
Side A
1. Anabolic
2. Inseminoid
Side B
3. Black Magic
4. Undetectable

LINE-UP
Persecutioner – Bass
Transgressor – Drums
D. Retaliator – Guitars
D. Slaughter – Guitars
Hiroshima – Vocals

GATES OF HELL – Facebook

Desecresy – Stoic Death

Album estremo per intensità e atmosfere, Stoic Death risulta un lavoro davvero ben fatto e sicuramente il punto più alto della discografia del gruppo finlandese, meritando molto di più che un distratto ascolto

Torna il duo finlandese composto dal polistrumentista Tommi Grönqvist e dal vocalist Jarno Nurmi, che sotto il monicker Desecresy continuano imperterriti il loro lento discendere nell’abisso del metal estremo, con questo Stoic Death, successore del buon Chasmic Transcendence, uscito lo scorso anno e di cui Iyezine vi aveva illustrato le caratteristiche.

Un bel passo avanti risulta il nuovo lavoro per la band di Helsinki, Stoic Death licenziato anch’esso per l’arcigna Xtreem (un monumento per il death metal underground), accentua le virtù del precedente lavoro, lima qualche difetto e si accinge a conquistare nuovi fans, risultando un muro sonoro niente male, vorticoso e soffocante il giusto per mantenere inalterata la buona dose di forza bruta tra death metal e doom.
Sempre brutale e senza compromessi il growl di Nurmi e di sicuro effetto i suoni della sei corde, che creano un mulinello pericolosissimo di suoni lancinanti, molto scandinavi come nella tradizione del death nord europeo dei primi anni novanta.
Ancora più estremo nei rallentamenti di stampo doom/death che, come nell’album precedente, ricordano a grandi linee gli Asphyx, in generale il mood del disco non si discosta dalla musica creata fin qui dai Desescresy, ma il tutto risulta più convincente e ben congegnato.
Come una lunga suite estrema i brani si succedono, oscuri e pressanti, regalando momenti di soffocante e diabolico death metal, riff che si ripetono e sfiancano come in un rituale oscuro, dove la forza metallica, viene accompagnata dalla inesauribile e monolitica potenza lavica della musica del destino, in un sabba nero come la pece e labirintico, traumatico e doloroso.
Remedies of Wolf’s Bane da il via alla lunga passeggiata verso la morte e la band va subito all’attacco, risultando uno dei brani più veloci del disco, l’inizio della seguente The Work of Anakites continua a martellare, fino a metà brano dove una parte lentissima, smorza non di poco la velocità e da qui in poi si entra nel mondo di questo Stoic Death.
Riff che arrivano direttamente da un altro mondo, frenate che lasciano sulla strada note bruciate da bruschi rallentamenti, e chitarre torturate all’inverosimile, creano labirinti dove non esiste altro modo che perdersi e sono parte importante di tracce ipnotiche come Passage to Terminus, Sanguine Visions e Cantillate in Ages Agone.
Album estremo per intensità e atmosfere, Stoic Death risulta un lavoro davvero ben fatto e sicuramente il punto più alto della discografia del gruppo finlandese, meritando molto di più che un distratto ascolto, consigliato.

TRACKLIST
1. Remedies of Wolf’s Bane
2. The Work of Anakites
3. Passage to Terminus
4. Abolition of Mind
5. Sanguine Visions
6. Funeral Odyssey
7. Cantillate in Ages Agone
8. Unantropomorph

LINE-UP
Jarno Nurmi – Vocals
Tommi Grönqvist – Guitars, Bass, Drums

DESECRESY – Facebook

Majestic Downfall – …When Dead

Bellissimo disco ed ennesima conferma del valore di un musicista che sarebbe delittuoso sottovalutare.

Ho seguito Jacobo Córdova con il suo progetto Majestic Downfall fin dal full-length d’esordio Temple Of Guilt, risalente al 2009, e già quei primi passi riuscirono a convincermi attraverso la proposta di un death-doom piuttosto aspro ma decisamente bilanciato, ben eseguito e dal livello compositivo sempre al di sopra della media.

Lo split dello scorso anno con The Slow Death, poi, aveva messo in evidenza un’ulteriore maturazione in virtù di una manciata di brani molto efficaci e per certi versi più diretti che in passato, rendendolo così propedeutico alla pubblicazione di un album in grado di elevare il nome Majestic Downfall all’altezza delle migliori band del genere.
… When Dead, quarto full-length per Córdova, centra il bersaglio senza per forza di cose soggiacere ad una ammorbidimento del sound, anzi, il musicista messicano continua a martellare i timpani con un death doom sovente orientato sulla prime delle due componenti, senza tralasciare di inserire pregevoli passaggi chitarristici di stampo heavy, ad infiorettare un album di notevole valore.
Il quarto d’ora di Escape My Thought rappresenta la quintessenza del disco, grazie ad uno sviluppo che va ad abbracciare tutte le sfumature stilistiche compatibili con il genere proposto, contribuendo a collocare i Majestic Downfall su un piano molto vicino ad un altro interessantissimo progetto solista come quello dei Doomed del tedesco Pierre Laube: a differenza del suo collega teutonico, Jacobo Córdova pare possedere una maggiore propensione a repentine aperture melodiche che, per esempio, riescono ad dare respiro magnificamente, nel suo finale, ad un brano a lungo piuttosto tetragono come The Brick, the Concrete.
Se Doors è ottimamente in linea con le tracce precedenti (fa eccezione la breve quanto evocativa intro atmosferica …When Dead), The Rain of the Dead chiude l’album rappresentando il death doom più ortodosso e rallentato. ma senza che si rinunci mai a quelle caratteristiche accelerazioni che impediscono al songwriting di avvitarsi su sé stesso.
Bellissimo disco ed ennesima conferma del valore di un musicista che sarebbe delittuoso sottovalutare.

Tracklist
1. …When Dead
2. Escape My Thought
3. The Brick, the Concrete
4. Doors
5. The Rain of the Dead

Line-up:
Jacobo Córdova – Vocals, Guitar, Bass, Keyboards, Drums
Alfonso Sánchez – Drums

MAJESTIC DOWNFALL – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=NUIU_2lloy0

The Order Of Chaos – Apocalypse Moon

Prendete l’heavy metal, quello adrenalinico e powerizzato di Painkiller dei Judas Priest o dei primi bellissimi lavori dei Primal Fear, aggiungetevi sfumature street cattivissime, ed avrete un sunto del sound di questo devastante Apocalypse Moon.

Prendete l’heavy metal, quello adrenalinico e powerizzato di Painkiller dei Judas Priest o dei primi bellissimi lavori dei primal Fear, aggiungetevi sfumature street cattivissime, ed avrete un sunto del sound di questo devastante Apocalypse Moon.

Se poi a spaccarvi i padiglioni auricolari ci pensa una gentil donzella dall’ugola stratosferica per attitudine, impatto e cattiveria, il risultato non può che essere esplosivo.
Il gruppo si chiama The Order Of Chaos e di rumore ne fanno davvero tanto con il nuovo lavoro, il terzo sulla lunga distanza, dopo il debutto omonimo del 2009 e Burn These Dreams del 2011, che precede l’ep Sexwitch (2012), prima che Apocalypse Moon esploda in tutta la sua furia metallica in questo 2015.
Amanda “The Wench” Kiernan, una bellissima strega dotata di una voce che più metal, nel vero senso del termine, non si può e che letteralmente deflagra dagli altoparlanti del mio povero impianto è la ciliegina sulla torta, per un lavoro dal sound che è una bellezza, sopratutto per chi ama il metal classico, anche se di vintage qui neanche l’ombra.
La band spara dodici cartucce ad altezza d’uomo, senza fare prigionieri, con ritmiche d’assalto (Tim Prevost alle pelli e Barrett Klesko al basso) e chitarre lanciate su e giù per scale suonate come se non ci fosse un domani dalla coppia John Simon Fallon e John Saturley e l’inizio è di quelli che stenderebbero un bisonte impazzito al primo colpo, con un terzetto di brani figli del prete di giuda ( The Anthem of Pain, Death After Life, Indoctrination).
Con lo scorrere dei brani, il sound, pur mantenendo inalterata la carica heavy, viene sfiorato da una leggera brezza street, i solos si infiammano e la vocalist accenna qualche passaggio pulito ( Evil Surrounds Me, Survival of the Richest) ma con l’arrivo della title track, si torna a glorificare l’heavy metal, facendo piazza pulita degli ormai rimasugli di dubbi sul valore di questo lavoro.
Cinquantadue minuti, zero ballad, tanto per chiarire di che pasta è fatta la band canadese, che non ne vuol sapere di abbassare volumi e toni di questo attacco frontale, portato con determinazione ed assoluta precisione ai bassi fondi dei true metallers in giro per il mondo così che Sexwitch (Skid Row), Deceiver e la conclusiva The Devil That You Know, mettono l’ombrellino al dinamitardo cocktail preparato dai The Order Of Chaos.
Album che letteralmente spacca, suonato alla grande e cantato meglio, Apocalypse Moon è assolutamente obbligatorio per chiunque si professi un amante dell’heavy metal.

TRACKLIST
1. The Anthem of Pain
2. Death After Life
3. Indoctrination
4. Downfall
5. Evil Surrounds Me
6. Survival of the Richest
7. Apocalypse Moon
8. The Venom
9. Sexwitch
10. Victim of Circumstance
11. Deceiver
12. The Devil That You Know

LINE-UP
John Simon Fallon Guitars (lead)
Tim Prevost Drums
Amanda Kiernan Vocals
John Saturley Guitars (rhythm)
Barrett Klesko -Bass

THE ORDER OF CHAOS – Facebook

Abyssus – Into The Abyss

L’album nel suo insieme non potrà che piacere ai fans dell’old school, anche se il songwriting non ha niente di clamoroso, la band picchia che è un piacere e le atmosfere, violente e oscure, sono di sicuro impatto.

Si continua imperterriti a scrivere di death metal old school, questa volta proveniente dalla Grecia e precisamente dalla capitale Atene, con il full length degli Abyssus, che del metal estremo targato Stati Uniti ne fa la sua religione.

Nato come one man band del vocalist Kostas Analytis nel 2011 e poi diventati un trio, per l’entrata stabile nella formazione di Panos Gkourmpaliotis alla sei corde e Costas Ragiadakos al basso, il gruppo di Atene prima di quest’opera ha già licenziato un paio di ep e tre split che li vedeva impegnati con Nocturnal Vomit ( No Life In The Coffin del 2013), con i Morbider nel 2014 ( From the Abyss Raised the Morbid) e sempre lo scorso anno con gli Slaktgrav (Obscure).
Into The Abyss non fa che rimpolpare il nutrito numero di lavori incentrati sul death classico, la band offre i fianchi alle sue influenze che partono dagli storici Obituary dei primi lavori ( il growl di Analytis assomiglia non poco a quello di John Tardy) per arrivare agli Slayer in qualche accelerazione di stampo thrash.
L’album nel suo insieme non potrà che piacere ai fans dell’old school, anche se il songwriting non ha niente di clamoroso, la band picchia che è un piacere e le atmosfere, violente e oscure, sono di sicuro impatto.
Riffoni pesanti e neri come la pece si susseguono lungo tutto il tragitto che porta il trio nei meandri nauseabondi nascosti tra i solchi della title track, Echoes of Desolation, Those of the Unholy e The Ritual, con partenze a razzo e rallentamenti che assomigliano a cascate di lava incandescente e dove gli Abyssus si trovano a meraviglia, vero è che i momenti più riusciti sono proprio quelli dove monolitici passaggi doom/death colmano il gap con quelli più veloci ma anche meno ispirati.
Ne esce un lavoro discreto, che niente aggiunge e niente toglie al genere proposto, acquisendo lo status di album only for fans.

TRACKLIST
1. Into the Abyss
2. Across the Fields of Death
3. Echoes of Desolation
4. Intent to Kill
5. Revenge
6. Those of the Unholy
7. Enthrone the Insane
8. Visions of Eternal Pain
9. R.I.P.
10. The Ritual

LINE-UP
Kostas Analytis – Vocals
Panos Gkourmpaliotis – Guitars
Costas Ragiadakos – Bass

ABYSSUS – Facebook

Shallow Ground – Embrace The Fury

Il quartetto statunitense riempie le orecchie di metallo veloce e old school, seguendo le orme dei gruppi storici della Bay Area, con un tornado di ritmiche e refrain

Una furia thrash metal made in Bay Area risulta Embrace The Fury, secondo e devastante album degli Shallow Ground, band proveniente dal Connecticut, al secondo lavoro dopo The End of Everything uscito un paio di anni fa.

Il quartetto statunitense riempie le orecchie di metallo veloce e old school, seguendo le orme dei gruppi storici della Bay Area, con un tornado di ritmiche e refrain che portano aldilà dell’oceano, quando il genere, trainato dalle solite band monstre, non era certo relegato all’underground, ma imperversava nei gusti dei kids sparsi per il mondo.
Notevole la tecnica del gruppo, che sa suonare e si sente, pur mantenendo il proprio sound stabilmente sui binari del genere, la bravura strumentale non viene mai meno e le tracce ne giovano non poco.
Martellante e sontuoso il lavoro del drummer Kurt Ragis, un distruttore che sa anche picchiare di fino e assistito dal basso pieno di Nick Persico e da applausi le prove delle due chitarre dai ritmi pesantissimi e i solos ultra tecnici (Keith Letourneau, anche al microfono e Tim Smith) sono il valore aggiunto di un lotto di brani che sanno come farsi piacere, così che l’album scorre tra un’influenza e con tanto mestiere.
I brani sono mediamente lunghi, colmi di cambi di tempo e fughe sui manici delle asce che bruciano sotto le dita dei due axeman, in un turbinio di thrash old school come il dio metallo comanda.
Once Again da il via al bombardamento sonoro portato da questi quattro guerrieri del thrash, Brace For Impact finisce di distruggere quello che è rimasto in piedi e FIU passeggia tra i resti, sepolti dalla polvere e dalle mine, fatte esplodere da dirompenti songs come Class Warfare e Slayer Of The Gods.
Discorso a parte per Looking Glass, a suo modo una semi ballad intimista, drammatica e dall’incedere tragico che riporta ai primi metallica, con un crescendo che porta al solo molto suggestivo nella sua tragica ed oscura violenza.
Embrace The Fury è un ottimo album, Exodus, Metallica, primi Testament e Forbidden sono gli spiriti che aleggiano tra i solchi del disco, il tutto suonato e prodotto con ottima professionalità, regalando un riuscito spaccato su uno dei generi più importanti del mondo metallico, per i fans l’ascolto è obbligato, c’è da divertirsi.

• Autore
Alberto Centenari

• TAG -1
thrashmetal

• TAG – 2
thrashmetal

• TAG – 3
thrashmetal

• ETICHETTA

• TRACKLIST

1. Once Again

2. Khan

3. Brace for Impact

4. Human Flame

5. Eye of the Storm

6. F.I.U.

7. Class Warfare

8. Looking Glass

9. Slayer of the Gods

• LINE-UP

Keith Letourneau Guitars , Vocals
Tim Smith Guitars
Kurt Ragis Drums
Nick Persico Bass

• VOTO
7.50

• URL Facebook
http://www.facebook.com/ShallowGround

• URL YouTube, Soundcloud, Bandcamp

• DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Necrogod – The Inexorable Death Reign

The Inexorable Death Reign potrebbe sembrare un riempitivo nella lunga lista di lavori del musicista svedese ma, dopo l’ascolto, l’attesa per un full length cresce, ipnotizzati dall’oscuro incedere del sound di questa coppia di demoni.

Non ditemi che eravate preoccupati, un mesetto senza leggere di qualche delirio musicale del buon Rogga Johansson, cominciava ad insinuare dei dubbi nei deathsters di tutto il mondo.

Invece ecco che, proprio quando l’ormai odiato 2015 sta scivolando verso l’oblio, portato dal giungere del generale inverno, il sottoscritto è ancora una volta alle prese con il musicista svedese che ci regala un altro inno estremo in cui ha messo le grinfie in questo tempestoso anno che va a concludersi.
Questa volta la band si chiama Necrogod, l’ep di debutto The Inexorable Death Reign e Rogga è accompagnato dal singer costaricano Ronald Jimenez degli Insepulto.
Cinque brani più intro per una ventina di minuti di death metal old school, dove al growl ferocissimo del vocalist si aggiungono le prove del musicista svedese con basso e sei corde per un risultato come al solito più che buono.
Siamo nel death marchiato a fuoco dalla tradizione scandinava, oscuro, tremendo e blasfemo, reso ancora più maligno dall’ottima prova del singer costaricano, un sacerdote belluino, che valorizza i brani con un la sua ugola forgiata direttamente nel più buoi antro dell’inferno, mentre Johansson dal canto suo tortura gli strumenti senza pietà e le songs arrivano direttamente a noi, spedite da Satana in persona.
L’ep gioca molto sulle atmosfere, l’impatto è tremebondo come al solito, ma la puzza di marcio e zolfo, violenta le narici, così che l’antro infernale non è poi così lontano da noi e le larve della putrefazione cominciano ad apparire come in un tremendo incubo notturno.
Worms In Holy Flesh e Human Misery sono le track dove il duo riesce al meglio nel suo intento di portare sulla terra il clima catacombale che permea il lavoro, mentre a noi passano come flash allucinogeni sonorità care a primi Entombed e Dismember così come Asphyx e Morgoth in un blasfemo incesto estremo.
The Inexorable Death Reign potrebbe sembrare un riempitivo nella lunga lista di lavori del musicista svedese ma, dopo l’ascolto, l’attesa per un full length cresce, ipnotizzati dall’oscuro incedere del sound di questa coppia di demoni.

TRACKLIST
1. Intro – The Inexorable
2. Worms in Holy Flesh
3. The Death Provoker
4. Human Misery
5. Skull Crushing Death
6. Exequies for a Moribund God

LINE-UP
Ronald Jimenez – Vocals
Rogga Johansson – Guitars, Bass, Drum programming

NECROGOD – Facebook

L.A.C.K. – The Fragile (Soundtrack for the tormented)

L.A.C.K. è al al momento una delle migliori espressioni del DSBM nazionale, un progetto da seguire senza indugi lungo questa via dolorosa quanto affascinante.

Secondo album per L.A.C.K. (Life Affliction Can Kill), progetto di Acheron, musicista italiano dedito ad una forma di DBSM di qualità convincente, come già evidenziato con l’ep When Everything Is Gone, risalente alla scorsa primavera

In quest’occasione il nostro struttura la sua creatura come una vera e propria band, avvalendosi della sezione ritmica degli Eyelessight formata da Ky e HK; inoltre, raduna diversi personaggi della scena nazionale, come Tenebra (Dreariness), Kjiel (Eyelessight) e The Haruspex (Selvans), ed il loro contributo arricchisce non poco il lavoro specie dal punto di vista vocale, apportando diverse varianti a quello che resta, comunque, il classico disperato screaming che è marchio del genere.
Assieme al funeral doom, il depressive black è lo stile musicale che più di altri riesce ad evocare in maniera compiuta il male di vivere, sfruttando nello specifico la dicotomia tra una struttura spesso delicatamente malinconica o di matrice acustica e lo strazio prodotto da un approccio vocale urticante.
Il lavoro di Acheron si sviluppa così in tal senso, aderendo all’ortodossia del genere ma facendolo attraverso una serie di brani splendidi nel loro unire linee melodiche toccanti alla struttura ritmica del black metal.
L’apporto delle strazianti voci femminili di Tenebra e Kjiel, rispettivamente in The Fragile e Your Reflection, si rivela indubbiamente un bel valore raggiunto per due brani che fotografano in maniera eloquente le doti compositive di Acheron, in grado di imprimere al proprio sound quella patina di disperazione ottundente che non urta ma imprigiona irrimediabilmente l’ascoltatore in un grigio e soffocante bozzolo.
Magnifiche anche Nothingness e la lunghissima Stains, mentre Distress Supernova si sposta su territori più propriamente black, assecondando in parte la presenza dell’ospite The Haruspex; ad aprire e chiudere il lavoro troviamo due tracce strumentali, l’acustica While the silence of the night… e l’ambientale ..It’s the soundtrack of a torment, composte rispettivamente da Kjiel e Ky, a dimostrazione dell’intento di Acheron di sfruttare al massimo l’ispirazione dei propri compagni d’avventura.
La scena DBSM nazionale è decisamente vivace e ben rappresentata un gruppo di band o progetti di grande qualità (diversi dei quali sono appunti rappresentati in questo The Fragile) che forniscono un interpretazione del genere sufficientemente peculiare: L.A.C.K. ne è al al momento una delle migliori espressioni, da seguire senza indugi lungo questa via dolorosa quanto affascinante.

Tracklist:
1 – While the silence of the night…(intro)
2 – Nothingness
3 – Distress Supernova
4 – Your Reflection
5 – Stains
6 – The Fragile
7 – …It’s the soundtrack of a torment (outro)

Line-up:
Acheron : Vocals,Guitars,Arrangements
Ky : Bass
HK : Drums

L.A.C.K. – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=7ImMAwJziIg

Necropsy – Buried In The Woods

Buried In The Woods conferma un buon momento di stabilità ed una ritrovata continuità nel creare musica estrema da parte dei Necropsy, a conferma che la Xtreem ci ha ancora visto giusto e che il death metal della band può così tornare a far male.

Band culto del panorama death scandinavo, in questo caso finlandese, i Necropsy licenziano quest’ultimo lavoro tramite la Xtreem Music, già con il suo logo in bella mostra nel precedente ep Psychopath Next Door di due anni fa.

Gruppo dall’ormai lunga storia, il quintetto scandinavo torna a ruggire in questo periodo di rinnovato interesse per i suoni estremi old school, specialmente nell’underground, dove non passa giorno senza trovarsi al cospetto di vecchi marpioni e nuove leve alle prese con il death metal di inizio anni novanta.
E i Necropsy di anni sul groppone ne hanno eccome, attivi dalla fine degli anni ottanta e protagonisti nella storica scena nel decennio successivo, trainati dai gruppi che hanno fatto la storia del genere su al nord.
Una lunga serie di demo ed un ep dal 1989 al 1993 e po un lunghissimo silenzio fino al 2011, con l’uscita di Bloodwork, di fatto primo lavoro sulla lunga distanza del gruppo.
Buried In The Woods conferma un buon momento di stabilità ed una ritrovata continuità nel creare musica estrema da parte dei Necropsy, a conferma che la Xtreem ci ha ancora visto giusto e che il death metal della band può così tornare a far male.
La carica è quella giusta, l’impatto non si discute e così questi trentacinque minuti di delirio estremo possono sicuramente fare la gioia dei deathsters incalliti, pregna di quel mood oscuro e bestiale, che sono le virtù del combo finlandese.
Come da copione il death metal dei nostri è una veloce cavalcata verso l’inferno, i rallentamenti doom/death, cari alla scuola classica sono monolitici e pesantissimi e la band ci sguazza, creando atmosfere di blasfema musica estrema che, se non ha grossi picchi, non scende neppure sotto una buona media, così che le varie Cold Fart Morbidity, Full Moon Catlin, Best Day Ever e la conclusiva Father Eresy possano soddisfare gli amanti del genere.
Buona prova di tutti i musicisti coinvolti, e molto ben strutturate le parti rallentate, morbose e soffocanti, per un lavoro che non cambierà certo lo status di genere underground del death metal old school, ma che risulta una buona uscita tra le tante che in questo periodo hanno invaso il mercato discografico.

TRACKLIST
1. Buried in the Woods
2. Cold Fart Morbidity
3. Just Sharpen My Knife
4. Dead Inherit the Land
5. Full Moon Catlin
6. Pages of Flesh
7. Best Day Ever
8. Father Heresy

LINE-UP
Janne Kosonen – Guitars
Tero Kosonen – Vocals
Ville Vartiainen – Bass
Hannu Väänänen – Drums
Sami Heinonen – Guitars

NECROPSY – Facebook

Fin’amor – Forbidding Mourning

Un primo passo più che positivo, per il prossimo si auspica essenzialmente un graduale distacco dai propri modelli stilistici.

A tre anni dal singolo Memories Of Flesh, gli statunitensi Fin’amor si presentano sulla scena death doom con questo full length d’esordio intitolato Forbidding Mourning.

Al contrario di quanto accade di solito alle band d’oltreoceano, che spesso prendono spunto da quella che è la loro migliore espressione nel settore, ovvero i Daylight Dies, il gruppo newyorchese volge il proprio sguardo verso la vecchia Europa, nello specifico in Finlandia prendendo come punto di riferimento soprattutto i Swallow The Sun.
Non che i nostri siano una fotocopia dei maestri del death doom melodico, tutto sommato i Fin’amor ci mettono del loro per cercare di differenziarsi, a partire da un uso più cospicuo del pianoforte rispetto agli standard del genere, certo è che, quando il sound decolla esprimendo del tutto la sua corposa drammaticità, le somiglianze con Raivio e soci sono evidenti.
Poco male, in fondo, visto che l’offerta dei ragazzi di Brooklyn si attesta su un buon livello medio, compensando la relativa originalità con un’apprezzabile vena compositiva evidenziata in tracce cariche di pathos come Oasis e la lunga Natura, senza dimenticare episodi più rarefatti ma non meno efficaci come Memories Of Flesh o Porcelain Swan.
Da rimarcare la buona prova vocale di Benjamin Meyerson, fondatore dei Fin’amor assieme al chitarrista Julian Chuzhik e al tastierista Nodar Khutortsov, dotato di un growl potente ed una voce pulita profonda ed intonata; inoltre, l’attuale configurazione della band a sei elementi arricchisce non poco il sound, rendendo ancor più efficaci i passaggi più robusti.
In definitiva un primo passo più che positivo, per il prossimo si auspica essenzialmente un graduale distacco dai propri modelli stilistici.

Tracklist:
1.Bleed the Ocean
2.Oasis
3.I Am Winter
4.Memories of Flesh
5.Natura
6.Porcelain Swan
7.Valediction

Line-up:
Julian Chuzhik – Guitars
Nodar Khutortsov – Keyboards
Benjamin Meyerson – Vocals
Slava Morozov – Bass
Eugene Bell – Drums
Raphael Pinsker – Guitars

FIN’AMOR – Facebook

Tyrant’s Kall – Gla’aki

Ancora il maestro Lovecraft in primo piano, fonte d’ispirazione per moltissime band e sul quale i Tyrant’s Kall aggiungono un’altra ottima colonna sonora

Ispirati dai racconti di H.P. Lovecraft, tornano con il secondo lavoro sulla lunga distanza i Tyrant’s Kall, gruppo belga che unisce death metal scandinavo, pesantezza doom e sfuriate thrash per un risultato estremo che, lungi da reminiscenze moderne, crea atmosfere horrorifiche ed epico/fantasy.

La band, che dietro al microfono si avvale di una miss dall’ugola di un orco che parte da Minas Morgul in assetto di guerra (Esmee Tabasco), nasce nel 2007 e l’esordio sulla lunga distanza ( Dagon) viene rilasciato nel 2012.
Come detto i Tyrant’s Kall uniscono in modo sagace il death metal scandinavo dei primi anni novanta, con il doom epico, la Tabasco passa così dal growl alla voce pulita, grintosa ed in alcuni casi declamatoria, mentre i suoi compagni alternano veloci cavalcate estreme, a rallentamenti doom metal classici, rendendo la loro proposta varia e dal piacevole ascolto.
Pesantezza a tratti monolitica, tipica del doom/death ed ottime parti dove le sonorità classiche la fanno da padrone, riempono l’aria di atmosfere horror e sfumature guerresche, l’album ha nel gran lavoro della parte ritmica il suo punto di forza, esaltante quando corre via (Miskatonic Witch), pesantissima nello scorrere lento e inesorabile della musica del destino (Evil Eye) mantenendo alta l’attenzione dell’ascoltatore, con l’indubbia bravura nel saper variare il sound al momento giusto.
Tra i solchi di Gla’aKi non vi sarà difficile scoprire le numerose influenze che il gruppo ingloba nel proprio sound, senza lasciare un retrogusto di già sentito, perché non sono poche le band storiche, famose e non che vengono tirate in ballo dal gruppo belga.
Dismember ed Entombed, Candlemass, Solitude Aeturnus e gli Year Zero tanto per fare dei nomi, si danno il cambio nelle varie tracce, fino alla conclusiva Elixir Of Immortality, il perfetto riassunto del sound del gruppo, partenza doom, intermezzo atmosferico e declamatorio e partenza a razzo per raggiungere il metal più estremo, fino al ritorno a sonorità monolitiche che ci accompagnano alla fine dell’album.
Ancora il maestro Lovecraft in primo piano, fonte d’ispirazione per moltissime band e sul quale i Tyrant’s Kall aggiungono un’altra ottima colonna sonora: per gli amanti dei generi sopracitati un album davvero riuscito.

TRACKLIST
01. The Kraken
02. Medusa
03. Gla’aki
04. Evil Eye
05. Michel Mauvais
06. Miskatonic Witch
07. Fearsome Dreams In The Deep
08. The One That Slumbers
09. Elixir Of Immortality

LINE-UP
Vocals: Esmee Tabasco
Lead Guitar: Ronny Razor
Guitar: H.M. Doom
Bass: UxJx
Drums: M.

TYRANT’S KALL – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=yfjL7Wq1yNM

Masacre – Brutal Aggre666ion

Album che non cambierà lo status di cult band del gruppo, ma che non sfigura davanti alle opere di altri gruppi più conosciuti e blasonati

Il metal estremo in Sudamerica è un’istituzione nell’underground, specialmente nel vecchio death metal dove non mancano gruppi storici e nuove realtà che, attraversando l’Atlantico, giungono a noi in tutta la loro spietata violenza.

I colombiani Masacre fanno parte dei gruppi più longevi della scena death e arrivano anche in Europa con il loro nuovo lavoro tramite la sempre attenta etichetta spagnola Xtreem.
Attivo addirittura dal 1988 il gruppo di Medellin ha una discografia farcita di un bel numero di lavori, anche se Brutal Aggre666ion viene licenziato dopo una decina d’anni dall’ultimo Total Death, ma la band non è stata certo con le mani in mano in quseta decina d’anni immettendo sul mercato tre compilation ed un mini cd.
Uscito qualche tempo fa, ma arrivato solo ora nel vecchio continente l’album, registrato e mixato da Erik Rutan, travolge come sempre l’ascoltatore, forte di un death metal assassino, come da tradizione per le band sudamericane, senza compromessi e violentissimo.
Il gruppo dall’alto della sua lunga esperienza sa come far male, ritmiche da mitragliatore impazzito, una buona alternanza tra massacro iconoclasta e potente metal estremo cadenzato e growl belluino sono gli ingredienti che la band mette sul piatto, non cedendo di una virgola e scatenando l’inferno sulla terra.
Morbid Angel, e tanto death metal old school, fanno di Brutal Aggre666ion un buon album per i fans del genere, compatto e devastante una prova di forza che, se non ha niente di clamoroso sotto l’aspetto puramente creativo, non lascia dubbi sull’attitudine enorme e l’impatto di queste nove mazzate inferte dai deathsters colombiani sulle nostre teste.
L’opener La Guerra risulta una dichiarazione di intenti ed il bombardamento ha inizio, una distruzione totale con la sola strumentale The Calm Before The Storm che ci fa tirare il fiato prima della conclusiva e tremenda Valle De La Muerte.
Chiaramente con così tanti anni alle spalle i musicisti, sono capaci di prove ottime con i propri strumenti, con l’accento sul demolitore di pelli Mauricio Londoño, un martello di inesauribile potenza.
Album che non cambierà lo status di cult band del gruppo, ma che non sfigura davanti alle opere di band più conosciute e blasonate, per gli amanti del genere un gradito e blasfemo ascolto.

TRACKLIST
1. La Guerra
2. Mutilated
3. Bullets
4. War In Hell
5. Donde Habital El Mal
6. Satanic Peace Agreement
7. Reality Death
8. The Calm Before The Storm
9. Valle De La Muerte

LINE-UP
Alex Okendo – Vocals
Jorge Londoño – Lead Guitar
Juan C. Gomez – Rhythm Guitar
Álvaro Álvarez – Bass
Mauricio Londoño – Drums

MASACRE – Facebook