Dead Earth Politics – Men Become Gods

Perfetto esempio di metal classico supportato da ritmiche dal groove modernissimo, il sound dei texani Dead Earth Politics risulta originale e alquanto convincente.

E da una decina d’anni che i Dead Earth Politics girano per gli States a far danni: la band di Austin, infatti, nasce nel 2005 per esordire in seguito con l’ep “Mark The Resistance”.

Era il 2008, e due anni dopo il gruppo licenziò il suo primo ed unico full length dal titolo “The Weight Of Poseidon”, seguito lo scorso anno dal secondo ep “The Queen of Steel”.
Con l’anno nuovo la band continua il suo ottimo lavoro, dando alle stampe l’ennesimo mini, questo bellissimo Men Become Gods, confermando l’ottima vena compositiva e l’originalità di un sound che pesca a piene mani dalla tradizione americana, per quanto riguarda il groove metal, e da quella europea amalgamandolo con straordinarie parti e solos di metal classico direttamente dalla NWOBHM e dalla vergine di ferro.
Quattro brani pregevoli, lunghi abbastanza per arrivare ad una ventina di minuti di durata complessiva, nei quali il gruppo statunitense dà sfoggio di tutte le sue capacità compositive e tecniche, così che, fin dall’opener Casting Stones veniamo travolti da ritmiche colme di groove, tra il metal moderno di band come i Lamb Of God, elementi classici portati dalla straordinaria macchina macina riff e assoli delle due asce (Tim Driscoll e Aaron Canady) ed una straordinaria predisposizione tutta americana per il southern epic metal, tra Corrosion of Conformity e Molly Hatchett (Ice & Fire), dualismo che si evince anche dalla copertina dall’illustrazione epica e le scritte moderne.
Ven Scott è un vocalist eccellente, che si trova a suo agio nelle parti dove con grinta e qualche accenno al growl segue le atmosfere più moderne dei brani, ma è dotato pure di un’estensione da vocalist metal di razza (Crimson Dichotomy); la ritmica sprizza groove potentissimo, pura lava incandescente che raffreddandosi crea un monolite pesantissimo su cui è strutturato il sound dei Dead Earth Politics (Will Little al basso e Mason Evans alle pelli).
Una band così deve assolutamente regalarci un full length al più presto: la musica dei nostri a tratti esalta, ed è un vero peccato che tutto finisca in così poco tempo.
Ed allora seguiamoli e aspettiamo fiduciosi perché con brani di questo livello e il doppio del minutaggio il risultato sarebbe clamoroso.

Tracklist:
1. Casting Stones
2. Men Become Gods
3. Ice & Fire
4. Crimson Dichotomy

Line-up:
Will Little – Bass
Mason Evans – Drums
Tim “TIMMEH!!” Driscoll – Guitars
Ven Scott – Vocals
Aaron Canady – Guitars

DEAD EARTH POLITICS – Facebook

Sinatras – Six Sexy Songs

Sei brani di death metal contaminato da sferragliante hard’n’roll e ipervitaminizzato da ritmiche grondanti groove

Riuniti sotto la bandiera del death’n’roll, cinque musicisti nostrani assemblati dal chitarrista Emanuele Zilio (Strange Corner) debuttano con questo ottimo ep , disponibile gratuitamente in download sul sito del gruppo.

Sei brani di death metal contaminato da sferragliante hard’n’roll e ipervitaminizzato da ritmiche grondanti groove, trascinante e sacrificato sull’altare del puro massacro on stage.
La band nostrana, con l’esperienza accumulata dai protagonisti, da parecchi anni sulla scena metallica, sa come far sanguinare strumenti e padiglioni auricolari: il loro metal estremo diverte e sconquassa, macinando riff su riff, tra tradizione death ed un’attitudine rock’n’roll che deborda dalle canzoni come un fiume di note, rompendo gli argini sotto un’alluvione di watt e invade e trascinando con sé i fan di queste sonorità i quali, per salvarsi, dovranno compiere un’impresa.
Le ritmiche colme di groove, molto cool di questi tempi, sono l’arma in più del combo che, sommato al death dei maestri Entombed dell’epocale “Wolverine Blues” e a un sound panterizzato e a tratti stonerizzato, rendono brani come Contamination, Sunshine e The Game assolutamente devastanti.
Sulla ottima Franck Is Back compare qualche accenno core nei suoni di chitarra e nel ritornello, mente il resto delle tracce sballotta l’ascoltatore tra il death scandinavo ed il metal statunitense.
La band a livello tecnico non offre il fianco a critiche, partendo dall’ottima prova del singer Fla, sul pezzo sia nel growl sia nelle clean vocals comunque sempre robuste e di impatto; la sezione ritmica si dimostra un motore a pieni giri (Lispio al basso e Jenny B. alle pelli) ed enorme risulta il lavoro delle due asce (Minkio e Lele), tra ritmiche forsennate e solos di dirompente impatto hard & heavy .
L’ep, immesso sul mercato per sondare il terreno prima di un futuro full length, dimostra tutte le ottime potenzialità della band nostrana, dunque l’ascolto è consigliato agli amanti del genere; il download gratuito è una mossa azzeccata da parte del gruppo, quindi, senza indugi, fatevi travolgere da questi sei brani sexy, non ve ne pentirete.

Tracklist:
1. Contamination
2. Frank Is Back
3. Sunshine
4. The Game
5. W.A.F.S.
6. All Or Nothing

Line-up:
Lele Sinatra – Chitarra
Fla Sinatra – Voce
Lispio Sinatra – Basso
Minkio Sinatra – Chitarra
Jenny B. Sinatra – Batteria

SINATRAS – Facebook

Tristana – Virtual Crime

L’album è una gradita sorpresa, trattandosi di un metal melodico ricco di atmosfere dark ed ottime soluzioni elettroniche.

I Tristana di crimini virtuali ne hanno già commessi diversi: nati nella prima metà degli anni novanta, hanno dato vita inizialmente ad una serie di demo, arrivando all’esordio sulla lunga distanza nel 2003 con “Back To The Future”, primo di un trio di album completato con “Zircon Street” del 2010 e quest’ultimo lavoro uscito per Bakerteam.

Il nuovo album è una gradita sorpresa, trattandosi di un metal melodico, pregno di atmosfere dark ed ottime soluzioni elettroniche, prodotto benissimo e molto ben congegnato.
Si passa infatti da brani dalla marcata impronta dark wave, dove le soluzioni elettro/industrial e nu metal fanno da struttura portante alla musica della band, ad altri dove il death melodico prende il sopravvento, aggiungendo verve ed energia alle ottime soluzioni che la band inserisce a più riprese nel proprio songwriting.
Di buon impatto l’uso delle due voci (clean e growl) che crea un’alternanza di atmosfere tra violenza e melodia altamente riuscito, e sopra le righe appaiono le ritmiche, vero punto di forza dell’album, ora sincopate e potenti su binari nu metal, ora lasciate scorrere cavalcando fiere metalliche mai dome.
L’elettronica è inserita con ottimo gusto nella struttura dei brani, dando modo a Virtual Crime di piacere sia a chi che predilige sonorità metalliche, sia a chi è affascinato da soluzioni moderniste.
L’album parte alla grande con l’accoppiata Resurrection / Fallen, grintose canzoni dove l’estremismo del growl si scontra con linee melodiche dall’appeal elevato, la prima spettacolarizzata da un ottimo solo, la seconda orchestrata a meraviglia con tasti d’avorio che svariano tra sonorità classiche e moderne.
Bloody Snow è un ottimo esempio della musica della band, le ritmiche moderniste, il ritornello melodico ed il tappeto di tastiere in sottofondo creano un ibrido affascinante tra i suoni alternative e la tradizione dark wave, mantenendo intatta l’impronta metallica, motore del brano.
Stupenda Jannies’ Dying, impreziosita dalla voce e dal talento di Chiara Tricarico dei Temperance, top song dell’intero lavoro che, da qui alla fine, si mantiene comunque su ottimi livelli, offrendo un lotto di brani che, senza essere troppo originali, risultano estremamente piacevoli.
La band slovacca si avvicina al bersaglio grosso, offrendo un prodotto ottimo sotto tutti gli aspetti.

Tracklist:
1.Resurrection
2.Fallen
3.Wasted time
4.Bloody snow
5.Beg for death
6.Jannies’s dying
7.Bella donna deadly nightshade
8.Killer
9.Lost the whole life
10.Hunting fever
11.Ending (outro)

Line-up:
Peter Wilsen- vocals
Laco Krabac- bassguitar
Dusan Homer- guitar
Andrea Almasi- keyboard
Roman Elevo Lasso- drums

TRISTANA – Facebook

Sick N’ Beautiful – Hell Over Hell

Preparatevi e andate allo spettacolo, il circo è arrivato in città!

Certo che nella capitale in fatto di metal e rock non si scherza: con ancora nelle orecchie l’industrial/street/ glam dei divertentissimi Dope Stars Inc, gruppo che se fosse straniero sarebbe idolatrato da mezzo globo, ecco che mi esplode nelle orecchie Hell Over Hell, debutto di questo fantastico combo, sempre di Roma, partito alla conquista del globo con il suo spettacolo di hard rock circense, che poi non è altro che hard rock alternativo, colmo di groove e digressioni moderne, talmente ben fatto che comincio a pensare che i Sick N’ Beautiful siano davvero di un altro pianeta.

Prodotto alla grande tra Roma e Los Angeles e licenziato dalla Rosary Lane Usa, l’album è composto da un lotto di brani divertentissimi e dall’appeal esagerato: la band capitanata dalla singer Herma, dotata di una voce sensuale, piccante e tremendamente cool, spazia tra l’hard rock stradaiolo, con bordate di groove e ritmiche industrial che accentuano i ritmi, rendendoli ambigui e ipnotizzanti; senza farsi mancare nulla, i Sick N’ Beautiful affondano il colpo, piazzando solos metallici grondanti feeling dalle corde delle due asce di Rev C2 e Lobo.
Le canzoni di questo lavoro (tredici più tre interludi elettro-atmosferici) spaziano tra l’industrial/groove di Rob Zombie e l’hard rock di matrice statunitense: il look dei protagonisti amalgama il fascino da zombie futurista dell’ex leader degli immensi White Zombie alla teatralità fantascientifica dei Kiss e del glam/horror di Alice Cooper, influenze dichiarate del gruppo, nel quale personalmente ho trovato anche molte affinità con lo Slash solista di “Beautiful Dangerous”, brano in compagnia di Fergie contenuto nel primo album del chitarrista americano, e con l’alternative dei Nymphs di Inger Lorre.
Spettacolare il singolo e primo video New Witch 666, dal solo orientaleggiante e dalle ritmiche industrial/groove poggiate su un’atmosfera da grand guignol, così come le ritmiche del basso pulsante di Sick to the Bone, che sfociano nello street metal di Bigbigbiggun, l’orchestrazione futurista di Makin’Angels, la trascinante No Sleep Till Hollywoood e la sexy Queen Of Heartbreakers.
Ancora atmosfere dal lontano oriente con Pain For Pain: il basso di Bag Daddy Ray pulsa ipnotico, così come gli interventi elettronici, mentre Gates To Midnight risulta una sorta di semi ballad, originalissima, cadenzata, ammaliante ed Hell Over Hell si avvia al gran finale con (All In The Name Of) Terror Tera, dove le ritmiche originalissime e la voce maschile, questa volta protagonista, ci stupiscono con sfumature al limite del blues, in un brano dall’andamento geniale.
Album che smuove montagne, divide oceani e provoca uno tsunami di emozioni nei corpi e nelle menti … forza gente, preparatevi e andate allo spettacolo, il circo è arrivato in città!

Tracklist:
1. March of the Scolopendra
2. Sick to the Bone
3. Bigbigbiggun!
4. Radio Siren
5. Interlude – Angel of the Lord
6. Makin’ angels
7. Kastaway Krush
8. Interlude – A Swedish Rhapsody
9. New Witch 666
10. No Sleep Till Hollywood
11. Queen of Heartbreakers
12. Pain for Pain
13. Bleed on Me
14. Gates to Midnight
15. Interlude – Pots, Pans, and Empty Green Meth Cans
16. (All in the Name Of) Terror Tera

Line-up:
Herma – Vocals
Rev C2 – Guitar
Lobo – Guitar
Big Daddy Ray – Bass
Mr.PK – Drums

SICK N’BEAUTIFUL – Facebook

Profanity – Hatred Hell Within

Tre brani che convincono per quello che si spera sia un nuovo inizio.

Band estrema con la quale vale la pena far conoscenza sono i tedeschi Profanity, dediti ad un death metal tecnico di ottima fattura: Hatred Hell Within è un Ep di tre brani, uscito sul finire dello scorso anno (dicembre) per cui relativamente fresco di stampa.

Il gruppo di Augsburg ha festeggiato lo scorso anno i vent’anni dalla nascita, perciò chiaramente non stiamo parlando di novellini della scena estrema germanica: il suo percorso musicale si è interrotto per una dozzina d’anni tra il 2002 e il 2014, ma nella seconda metà degli anni novanta le uscite discografiche avevano mantenuto un buon ritmo fino al 2000, con l’uscita di demo, split e dei due full length “Shadow’s To Fall” del 1997 e l’ultimo “Slaughtering Thoughts” ad inizio millennio.
Quindi i Profanity si rifanno vivi per devastare padiglioni auricolari, con il loro death metal molto tecnico, gioia per i fan del metal estremo, impreziosito da velocissimi cambi di tempo, scale e funambolismi vari, il tutto mantenendo una notevole violenza di fondo grazie all’esperienza di chi il genere lo mastica da un bel po’.
Il trio è composto da una sezione ritmica mastodontica, composta da Daniel Unzner al basso e Armin Hassmann alle pelli, fenomenale nel mantenere elevato il muro sonoro del sound, su cui spicca il sontuoso axeman e belluino vocalist Thomas Sartor, , protagonista indiscusso di questi tre brani dall’impatto brutale ma magnificamente eseguiti.
Il classico pelo nell’uovo sta nello specchiarsi troppo del buon Sartor, bravissimo ma spesso cervellotico ed intricatissimo nelle sue parti, il che rischia spesso di far perdere fruibilità alle cavalcate estreme del gruppo, che di conseguenza, lasciano per strada un po’ dell’impatto prodotto dal loro sound.
Niente di imperdonabile, d’altronde il genere suonato ha tra i fan molti amanti della pura tecnica che troveranno di che crogiolarsi nei virtuosismi del leader e dei suoi compari.
Tre brani che convincono per quello che si spera sia un nuovo inizio.

Tracklist:
1. Melting
2. I Am Your Soul (You Made Me Flesh)
3. Hatred Hell Within

Line-up:
Thomas Sartor – vocals and guitars
Daniel Unzner- bass
Armin Hassmann – drums

PROFANITY – Facebook

Atreides – Cosmos

Gli Atreides hanno tutte le carte in regola per piacere, essendo in possesso di un’ottima tecnica e di brani coinvolgenti.

La Spagna ha la sua ottima tradizione, parlando di metal classico, e in questo caso riguardante il power metal, le band come gli Atreides che si dedicano ai suoni classici sono molte e alcune davvero ottime: i Tierra Santa, gli Avalanche, i Saratoga e i famosi Mago De Oz sono solo esempi per presentarvi il quartetto proveniente da Vigo, nato da un’idea del chitarrista Dany Soengas dei thrashers Skydancer, protagonisti della scena metallica iberica con quattro full length tra il 2007 ed il 2013.

Cambio di registro per Soengas, che lascia i suoni death/thrash per un power metal dalla forte influenza nord europea, sulla scia di Stratovarius e del power metal teutonico, e il debutto della band convince alla grande, tra ritmiche mozzafiato e solos ben congeniati e melodicissimi.
Un lotto di brani dal buon piglio forma un dischetto tutt’altro che trascurabile: le vocals in lingua madre non inficiano la riuscita delle poderose canzoni e la band gira a mille, con il chitarrista sugli scudi e l’ottima performance dei suoi compari, una sezione ritmica pesante come un incudine e veloce come il vento, composta da Antonio Orihuela al basso e David Borjas alle pelli e la buona prestazione del vocalist Emi Ramírez.
Prodotto e mixato dal chitarrista con la partecipazione dell’onnipresente Josè Rubio alla masterizzazione, Cosmos risulta un debutto avvincente, iniziando dalla grandiosa e devastante title track, seguita dalla cadenzata e Stratovarius-oriented Medianoche, dove le ritmiche impazzano tra potenza e sfuriate ed il drumming del buon Borjas spacca il drumkit.
Quinto brano e centro pieno per la band, che si butta a capofitto in uno strumentale dai solos dal sapore neoclassico, Providencia, che segue la scia di una Speed Of Light anch’essa di tolkkiana memoria, introducendo un’ottima parte atmosferica nella quale l’axeman fa cantare la sua sei corde.
Il power teutonico esce dai solchi di Cruzando El Bosque, brano in pieno stile Rage, così come nella conclusiva ed ottima Garret, finale col botto di questo gran bel debutto.
Cosmos non stupisce certo per originalità, d’altronde gli amanti del genere ciò che vogliono sentire è la musica inclusa in questo lavoro, ed allora dategli un ascolto perché gli Atreides hanno tutte le carte in regola per piacere, essendo in possesso di un’ottima tecnica e di brani coinvolgenti.

Tracklist:
1. Singularidad
2. Cosmos
3. Medianoche
4. Distancia
5. Providencia
6. Alma Errante
7. Cruzando el Bosque
8. Garret

Line-up:
D.S.: Guitars.
Emi Ramírez: Vocals
Antonio Orihuela: Bass Guitar
David Borjas: Drums

ATREIDES – Facebook

FamishGod – Devourers of Light

Un disco tutt’altro che di impatto immediato, ma allo stesso tempo pericolosamente avvolgente pur nelle sue atmosfere cupe ed asfissianti.

Dalla sempre attiva etichetta spagnola Xtreem Music arriva il disco d’esordio dei connazionali Famishgod.

A differenza di molte delle ultime uscite provenienti dalla penisola iberica in ambito doom negli ultimi tempi, la band propende decisamente verso il funeral o quanto meno verso un death doom dai tratti scarni e morbosi, sulla scia di nomi quali Encoffinaton e Disembowlement o, restando su un piano leggermente più ascoltabile, Evoken.
Appare ovvio, quindi, quanto tutto ciò renda il disco tutt’altro che di impatto immediato, ma allo stesso tempo pericolosamente avvolgente, pur nelle sue atmosfere cupe ed asfissianti.
I Famishgod sono in realtà il progetto di Pako Deimler, che si occupa di tutti gli strumenti ad eccezione della batteria, che è affidata ad una macchina, mentre alla voce troviamo il ben noto Dave Rotten dei grandi Avulsed.
Una produzione scarna, il rantolo inumano di Dave, un’assenza quasi totale di qualsiasi spiraglio di luce, fatte salve le sporadiche concessioni acustiche da parte di Pako, sono i fattori che rendono Devourers of Light un lavoro per iniziati, ovvero per appassionati che hanno dimestichezza con sonorità di questo tipo.
Costoro potranno trarre sicuramente la giusta dose di piacere dalle trame ossessive proposte dal mefitico duo nel corso di un’ora di musica di rara pesantezza, ma indubbiamente dotata di una profondità che rende l’ascolto un’esperienza particolare.
Minimale e ottundente, il sound dei Famishgod possiede un effetto realmente soffocante e ancor più risaltano, pertanto, quei rari momenti in cui la chitarra traccia qualche linea melodica che, mai come in questo caso, equivale a nulla più di una cura palliativa per un moribondo.
In tal senso i brani migliori sono rappresentati dalla coppia centrale Black Eye / Premature Grave, proprio perché sono gli unici che possono essere assimilati senza ricorrere necessariamente al boccaglio dell’ossigeno, in virtù di un asciutto ma efficace lavoro chitarristico.
Come detto, consiglierei di lasciar perdere a priori a chi, al solo sentir pronunciare la parola doom, si mette sulla difensiva, mentre a quelli che si beano di questa velenosa dipendenza, Devourers of Light potrebbe riservare non poche soddisfazioni.

Tracklist:
1. Chapter 1: Devourer of Light
2. Chapter 2: Famish
3. Chapter 3: Black Eye
4. Chapter 4: Premature Grave
5. Chapter 5: The Monarch
6. Chapter 6: Two Last Stairs
7. Chapter 7: Brightless

Line-up:
Pako Deimler – All instruments, Drum programming
Dave Rotten – Vocals

FAMISHGOD – Facebook

Autumnia – Two Faces Of Autumn

Interessante riedizione dei due primi lavori degli Autumnia

Dopo aver parlato nei giorni scorsi dell’ultimo album degli Apostate restiamo in Ucraina per vedere cosa ci offre quest’uscita degli Autumnia.

Intanto, se nel caso citato in precedenza, si trattava del nuovo disco di una band riformatasi di recente, in questo caso ci troviamo di fronte ad un lavoro retrospettivo che unisce in una sola confezione, nel formato del doppio CD, i primi due dischi di un combo dalla storia più recente ma anche più noto.
È interessante, infatti, poter seguire, tramite l’ascolto di una coppia di album di buon valore, l’evoluzione della band di Alexander Glavniy nel corso degli anni.
Il musicista, avvalendosi di una delle migliori voci del settore come quella di Vladislav Shahin dei Mournful Gust, pubblicò nel 2004 un disco d’esordio davvero eccellente, probabilmente un po’ troppo devoto a tratti ai primissimi Anathema e My Dying Bride, ma anche per questo capace di rievocare in maniera competente e con la dovuta intensità le sonorità seminali che, qualche anno dopo averle tenute a battesimo, quelle stesse storiche band avrebbero abbandonato.
Drammatico e melodico nelle giuste dosi, In Loneliness of Two Souls introdusse così nel migliore dei modi il nome degli Autumnia al proscenio del doom europeo.
In By the Candles Obsequial, due anni dopo, fecero il loro ingresso nel sound pesanti influssi gothic accentuati dall’uso massiccio delle tastiere e dal contributo di una voce femminile in un brano che, se da un lato arricchirono e resero più accattivante la proposta, dall’altra fece apparire meno genuino e più artefatto l’operato del duo ucraino. Tecnicamente di livello superiore al predecessore, l’album destava una migliore impressione di primo acchito per poi mostrarsi non sempre troppo profondo: sicuramente un lavoro di buon livello, in ogni caso, in qualche modo propedeutico all’ulteriore passo verso sonorità ancor più eleganti che sarebbe avvenuto con “O Funeralia”, ultimo parto discografico degli Autumnia datato 2009.
Questa raccolta edita dalla Solitude, arrivata dopo un lungo periodo di silenzio, potrebbe far presagire un ritorno della band con materiale inedito. La perdita di Shahin, che nel 2010 scelse di dedicarsi esclusivamente ai suoi Mournful Gust, non è sicuramente da poco, visto il valore del soggetto, ma al di là di tutto sono piuttosto curioso di vedere che scelte potrebbe compiere oggi Glavniy, un musicista che, a mio modesto parere, ha nelle proprie corde il potenziale per comporre quell’album di grandissimo spessore che finora ha solo sfiorato in occasione del pur ottimo album di debutto.

Tracklist:
CD1
1….By Your Hand
2.Before Leave for Ever
3.In Sorrow and Solitude
4.At Eternal Parting
5.Pray for Me
6.Into the Grave
CD2
1.Increasing the Grief Terrestrial
2.With Wailing and Lament
3.Bitterness of Loss
4….And the Life Dies Away…
5.In Loneliness of Two Souls

Line-up:
Alexander Glavniy – All Instruments
Vladislav Shahin – Vocals

Sanctorium – The Depths Inside

Debutto clamoroso per la symphonic metal band russa Sanctorium.

Una premessa: Iyezine non ha la presunzione di giudicare e tranciare la musica delle band, ma cerca con i pochi mezzi a disposizione e tanta passione di dare supporto a qualsiasi realtà meriti l’attenzione nostra e di chi ha voglia di cliccare su di un nostro articolo, che sia metal, rock o elettronica poco importa, viene dato spazio a tutti, dall’autoproduzione, all’album promosso da qualsiasi etichetta ci chieda una mano per far conoscere le proprie proposte.

E’ cosi che, virtualmente, si viaggia per il mondo, partendo dall’Italia e soffermandosi su qualsiasi realtà meriti, a nostro modesto parere, un minimo d’attenzione, che sia in India piuttosto che in Australia, negli Stati Uniti, nei paesi scandinavi o, come in questo caso, in Russia.
Infatti è dall’estremo est europeo che provengono i bravissimi Sanctorium, autori di un debutto sulla lunga distanza davvero riuscito.
La band nasce addirittura dieci anni fa, nel 2006 esordisce con un demo e, prima di arrivare ai nostri giorni e all’uscita di The Depths Inside, rilascia un ep e due singoli.
Il nuovo album è un bellissimo esempio di symphonic gothic metal, maturo e debordante nella sua anima più metallica, l’altra faccia della stessa medaglia dove, dall’altra parte, la componente sinfonica è veramente sopra le righe, aiutata da una bravura strumentale stupefacente.
La parte del leone la fanno i due vocalist, Dariya “Eirene” Zhukova, soprano dalla voce magnifica e Sergey Muravyov, ottimo con il suo growl possente che ricorda non poco il Nick Holmes dei primi album dei Paradise Lost, accompagnati da musicisti spettacolari e da un songwriting che, anche se non brilla per originalità, regala una manciata di perle che stupiscono per il piglio e l’assoluta qualità.
E’ così che dopo la classica intro atmosferica, la voce della Zhukova irrompe sulle note della devastante 1000 Years, la parte metallica (aggressiva e dura come l’acciaio) si amalgama alla perfezione con quella sinfonica, le due voci così distanti tra loro iniziano la loro personale battaglia, una estremamente aspra, l’altra celestiale: bianco e nero, bene e male si scambiano il palcoscenico o all’unisono riempiono il suono di atmosfere ora tragiche e drammatiche, ora sognanti, per un risultato di enorme emozionalità.
La band fa il resto, gli elementi sinfonici addomesticano la furia metallica del combo in emozionanti parti, dove le cavalcate power/death degli strumenti elettrici vengono imprigionati in ammalianti passaggi orchestrali.
La devastante Alive, seguita dalla più ariosa Spirit, la sognante Maid Of Lake (con l’ospite Anastasia Simanskaya alla voce), la symphonic death Cancer Of Earth, la più gothic del lotto Rub Al’Khali, sono i brani più riusciti di un album bellissimo, suonato, cantato e prodotto in modo superbo: lascio a chi vorrà dargli un ascolto il compito di cercare similitudini ed influenze con band più famose, perché quest’opera merita la propria individualità.

Tracklist:
1. Intro
2. 1000 Years
3. Dragonqueen
4. Alive
5. Spirit
6. Maild of Lake
7. Cancer of Earth
8. Initiation of Al’Hazred
9. Silent Cry (Ballade)
10. Rub Al’Khali
11. Prayer

Line-up:
Alexey Sherbak – Guitars
Ilya Wilks – Bass
Evgeniy Nosov – Drums
Daria Zhukova – Vocals (female), Lyrics
Sergey Muraviev – Vocals (harsh), Lyrics
Olga Gavrilova – Keyboards
Alexandr Mutin – Guitars

SANCTORIUM – Facebook

Apostate – Time Of Terror

“Time Of Terror” è un album convincente nel suo intero sviluppo e tutto sommato diverso per stile ed approccio rispetto a ciò che si ascolta abitualmente dalle doom band ucraine.

Gli ucraini Apostate risulteranno probabilmente sconosciuti ai più, benché la loro nascita risalga a circa vent’anni fa. Questo perché, come spesso accade, dopo un demo ed un ep la band interruppe l’attività per tornare poi nel 2007 con una compilation contenente questi due vecchi lavori.

Il primo full length arriva quindi nel 2010 senza lasciare grosse tracce; diverso è il caso per quest’album che, al contrario, mostra una band un grado di proporre un death-doom privo di fronzoli ma indubbiamente efficace nella propria sobria linearità.
Quasi un’ora di musica che di snoda sulle coordinate delineate agli albori del genere, quindi piuttosto sbilanciata sul versante death, con dosi omeopatiche di digressioni gothic che vengono fagocitate da un suono grumoso, condotto da riff distorti e dall’efficacia inversamente proporzionale alla loro relativa pulizia.
La traccia iniziale Solar Misconception rappresenta l’ideale manifesto della band, con le sue atmosfere plumbee stemperate parzialmente da una melodia che si fa largo a stento, anche a causa di una pruduzione non proprio memorabile che, se da un lato può rivelarsi funzionale allo stile degli Apostate, dall’altra tende ad appiattire un po’ la resa sonora di tutto il lavoro.
Time Of Terror resta comunque un album convincente nel suo intero sviluppo e tutto sommato diverso per stile ed approccio rispetto a ciò che si ascolta abitualmente dalle doom band ucraine.

Tracklist:
1. Solar Misconception
2. Pale Reflection
3. Pain Served Slow
4. Memory Eclipse
5. World Undying

Line-up:
Alexander Kostko – bass
Bohdan Kozub – vocals
Nikita Holovin – drums
Vlad Filimon – guitars
Yurko Savchuk – guitars

APOSTATE – Facebook

RebelDevil – The Older The Bull, The Harder The Horn

Se siete amanti del southern metal, rompete il salvadanaio e correte dal vostro fornitore di fiducia, perché quest’anno di album così non ne sentirete molti.

Beh, se esiste una band per cui vale la pena parlare di super gruppo, questi sono i nostrani RebelDevil, strordinario quartetto di southern metal composto da vere leggende della scena tricolore: Dario Cappanera alla sei corde (Strana Officina), Gianluca Perotti al microfono (Extrema), Alessandro Paolucci al basso (Raw Power) e Ale Demonoid alle pelli.

Partiti intorno al 2008 da un’idea di Cappanera e Perotti, la band esordì con “Against You” portando con sé un po’ di sano metal southern, colmo di groove, direttamente dagli stati del sud, di quell’America della quale la musica della band è debitrice.
Il nuovo lavoro continua su queste coordinate ed il rock sudista, ipervitaminizzato da scariche metalliche e ingrassato da quantità letali di groove, abbinato al talento dei protagonisti, regala momenti di puro godimento, vero sballo rock’n’roll.
La tradizione southern rock, unita alla potenza del metal stonerizzato, ormai a tutti gli effetti uno dei generi più seguiti in questi ultimi anni, viene enfatizzato dal songwriting del gruppo, questa volta perfetto, e le dieci canzoni che compongono il lavoro chiamano in causa tutta l’esperienza dei musicisti coinvolti i quali, pur non facendo mistero delle loro influenze, sparano bordate di rock americano notevoli.
Black Label Society, Corrosion Of Conformity, Pantera e Down, sono le influenze che più si evidenziano nella musica di questo trascinante lavoro, che vede un Perotti straordinario sia nei brani più diretti, sia sopratutto nelle due semiballad (Alone In The Dark e Angel Crossed My Way) dove risulta perfetto anche nell’uso delle clean vocals.
Cappanera è il solito macina riff, e la sezione ritmica tutta sudore e polvere deborda con una prova “grassa” e a tratti pesante come un macigno.
Brani dai refrain entusiasmanti abbinano pesantezza e melodia, anthem di metal sudista che non oso pensare che danni potrebbero fare sul versante live (Crucifyin’ You e Freak Police da questo lato sono devastanti), vengono accompagnate da sfuriate dal sapore thrash (Rebel Youth, Religious Fantasy) che aggiungono adrenalina al clima da battaglia desertica di questo trascinante ed esaltante The Older The Bull, The Harder The Horn.
Se siete amanti del genere, rompete il salvadanaio e correte dal vostro fornitore di fiducia, perché quest’anno di album così non ne sentirete molti, garantito.

Track List:
1 – Rebel Youth
2 – Sorry
3 – Freak Police
4 – Remember
5 – Religious Fantasy
6 – The Older the Bull, the Harder the Horn
7 – Angel Crossed My Way
8 – Crucifyin’ You
9 – Alone in the Dark
10 – Power Rock ‘n’ Roll

Line-up:
Gielle Perotti – voce
Dario Cappanera – chitarra
Alessandro Paolucci – basso
Ale Demonoid Lera – batteria

REBELDEVIL – Facebook

The Whorehouse Massacre – Altar Of The Goat Skull / VI

Pur apprezzandone gli intenti, trovo questa interpretazione del genere un po’ troppo minimale e lofi per i miei gusti, ma non per questo l’operato dei The Whorehouse Massacre va sottovalutato o ancor peggio ignorato

Il lavoro che andiamo ad esaminare è la riedizione in un unico cd dei due Ep editi dai canadesi The Whorehouse Massacre nel 2013, rispettivamente intitolati Altar Of The Goat Skull e VI.

Autori di un full length in circa un decennio di attività, i nordamericani propongono uno sludge doom molto diretto, ruvido, ma anche sicuramente lontano da ogni riproposizione manieristica del genere.
Se i brani di Altar Of The Goat Skull (quelli da Indignation finoa a Sewer Dreams) sono decisamente più minimali tanto che, pur limacciosi come da copione, assumono sembianze monolitiche mostrando un’uniformità talvolta eccessiva, la parte dedicata a VI (da Big Mouth fino a Sob Story) presenta un netto rallentamento della manovra e, in aggiunta ad un sound appena più pulito, presenta il volto migliore della band, che spinge maggiormente sul versante doom con qualche lieve ma percepibile variazione sul tema.
Alla luce di questo, ciò che lascia perplessi è il fatto che, nonostante la collocazione dei brani possa far pensare il contrario, il più recente tra i due Ep è proprio Altar Of The Goat Skull, e questo, in teoria, farebbe propendere per un’evoluzione dei canadesi proprio verso quel lato claustrofobico del sound che meno mi ha convinto.
Pur apprezzandone gli intenti, trovo infatti questa interpretazione del genere un po’ troppo minimale e lo-fi per i miei gusti, ma non per questo l’operato dei The Whorehouse Massacre va sottovalutato o ancor peggio ignorato: ritengo altresì che, apportando qualche elemento di discontinuità in più, senza dover necessariamente snaturare un sound sporco il giusto, i nostri potrebbero destare ulteriore interesse rispetto a già lusinghieri riscontri ottenuti finora.

Tracklist:
1. Indignation
2. A.C.S.-4
3. A.C.S.-3
4. Buried in Darkness
5. Altar of the Goat Skull
6. The Black Coast
7. Sewer Dreams
8. Big Mouth
9. Bowels of Hell
10. End of Mankind
11. Sassy Pants (Sloth cover)
12. The Temples of Perdition
13. Sob Story

Line-up:
W.P. – Guitars, Drums, Bass, Vocals
K.H. – Bass
K.M. – Guitar, Bass

THE WHOREHOUSE MASSACRE – Facebook

Satori Junk – Satori Junk

Debutto per questi rumorosi milanesi che conoscono a fondo l’arte di catturare l’ascoltatore in spirali soniche.

Debutto per questi rumorosi milanesi che conoscono a fondo l’arte di catturare l’ascoltatore in spirali soniche.

Nel loro suono non troviamo nulla di veramente innovativo, poiché c’è la più grande delle ricchezze per un disco: farsi ascoltare molte volte e non averne abbastanza.
Questi ragazzi hanno un suono molto simile agli Electric Wizard, temi in quota Black Sabbath e comunque hanno più di un piede nel suono stoner, ma la loro caratteristica principale è questo groove molto pieno che li porta a spiccare.
Le canzoni sono lunghe, tutte superano i cinque minuti, ma tengono incollati alle casse o alle cuffie, ad aspettare ciò che viene dopo il primo riff, dopo il giro di batteria, senza mai annoiare.
I Satori Junk fanno sembrare semplice ciò che molti gruppi fanno con estrema difficoltà, ovvero sono naturali e hanno composto un disco che è la summa di tutto ciò che sono stati fino ad ora, gettando le basi di un buon futuro.
Questi otto pezzi non sono che l’inizio in territorio discografico di un cammino che spero per loro e per noi, li porti molto lontano.
Con i giusti volumi questo disco omonimo farà tremare più di un muro, avendo al suo interno pesantezza e potenza, ma anche tanta melodia, e un alto indice di gradimento sia per chi già conosce questo suono, sia per chi lo bazzica meno.
Satori Junk si rivolge, anche a causa della sua natura, al di fuori dello stretto ambito stoner, ponendosi come un disco a cui stanno strette le definizioni, anche perché è forte la componente psych anni settanta senza essere affatto predominante.
Un ascolto che ha diverse facce ed un solo grande groove.

Tracklist:
1. T.T.D.
2. Spooky Boogie
3. Monsters
4. Shamaniac
5. Blessed Are The Bastards
6. Ritual
7. Lord Of The Pigs
8. Queen Ant Jam

Line-up:
Luke – Voce, Synth
Chris – Chitarra
Lorenzo – Basso
Max – Batteria
Alessandro – Roadie e Uomo Banchetto

SATORI JUNK – Facebook

Temperance – Limitless

Mettetevi comodi e partite con i Temperance per un viaggio spettacolare, che vi condurrà in questo spazio “senza limiti”.

Non era facile per i Temperance, band di Marco Pastorino dei Secret Sphere e della stupenda vocalist Chiara Tricarico, tornare in pista dopo i fasti del clamoroso debutto omonimo dello scorso anno, finito sulla mia personale playlist del 2014 come uno dei più riusciti lavori in ambito symphonic metal.

Squadra che vince non si cambia, ed allora ritroviamo la band al completo con i fratelli Capone e Liuk Abbott, supportati da Simone Mularoni (DGM) a mixare questo altro splendido esempio di metal dalle mille sfaccettature, ora sinfonico, ora con una marcata impronta elettronica, ora apertamente estremo, ma sempre irresistibile e dall’enorme appeal.
Certo è che l’effetto sorpresa che, lo scorso anno, aveva aggiunto valore ad un debutto di per sé eclatante, viene inevitabilmente a mancare ma, invece di fargli perdere qualche punto, accresce il valore di questo stupendo combo e delle loro composizioni.
Molto più presente rispetto al passato è la componente elettronica, specialmente nei primi brani, mentre quella estrema affiora piano piano, esplodendo in tutta la sua spettacolare violenza verso la metà del lavoro, andandosi ad amalgamare sapientemente con il suono sinfonico, marchio di fabbrica del gruppo nostrano.
Gran lavoro della sezione ritmica e sempre più notevole l’apporto del buon Pastorino, sia alla voce, supportando al meglio la splendida vocalist, sia nel songwriting, anche questa volta superlativo, confermandosi come uno dei maggiori talenti in circolazione, non solo all’interno dei nostri confini.
Una predisposizione melodica non comune, unita ad un uso delle linee vocali che definire perfetto è un eufemismo, fanno di Limitless un’altra prova sontuosa e l’opera, se accostata con le ultime prove delle band più famose, dimostra come i Temperance hanno tutte le carte in regola per diventare una dei nomi di punta del metal nazionale anche al di fuori dai patri confini, insieme ai Lacuna Coil, dimostrando che, quando c’è il talento, anche i nostri musicisti possono giocarsela alla pari se non superare le realtà straniere idolatrate, a volte a dispetto dei santi, dagli addetti ai lavori.
D’altronde, come non rimanere ammaliati dalla prova di una Tricarico sempre più convincente, che ci delizia su tredici brani meravigliosi, che rappresentano la perfetta commistione tra metal e sinfonia, armonia e violenza, eleganza pop e furia metallica, in una tempesta di emozioni.
Sinceramente non riesco a nominare un brano piuttosto che un altro, mettetevi quindi comodi e partite con i Temperance per questo viaggio spettacolare, vi basterà seguire la track list per lasciarvi condurre in questo spazio “senza limiti”.

Tracklist:
1. Oblivion
2. Amber & Fire
3. Save Me
4. Stay
5. Mr. White
6. Here & Now
7. Omega Point
8. Me, Myself & I
9. Side By Side
10. Goodbye
11. Burning
12. Get A Life
13. Limitles

Line-up:
Liuk Abbott – Bass
Giulio Capone – Drums, Keyboards
Marco Pastorino – Guitars (lead), Vocals
Sandro Capone – Guitars (rhythm) (2013-present)
Chiara Tricarico – Vocals (2013-present)

TEMPERANCE – Facebook

Saxon – Heavy Metal Thunder / The Saxon Chronicles

Due ottime ristampe edite dalla UDR Records che ripercorrono la carriera di una delle più importanti band heavy metal della storia.

Era l’alba del decennio più glorioso per i suoni metallici (gli anni ottanta), e sulla scena musicale europea, divisa ancora tra i suoni ribelli del punk e quelli patinati e spettacolari del progressive e dell’hard rock, eredità del decennio precedente, irruppero come un fulmine a ciel sereno un manipolo di band che fecero la storia della nostra musica preferita, conosciute dai posteri come le band della New Wave Of British Heavy Metal e di cui i Saxon furono una delle maggiori e più conosciute espressioni.

La band britannica, capitanata dal leggendario vocalist Peter Rodney Byford, in arte Biff, dopo l’album omonimo rifilò almeno cinque capolavori, tra il 1980 e il 1984, di cui i primi tre rimasero scolpiti nella storia dell’heavy metal: “Wheels Of Steel”, “Strong Arm Of The Law” e “Denim And Leather”, usciti nel giro di un paio di anni, tra il 1980 e il 1981 (gli altri due “Power And Glory” del 1983 e “Crusader” del 1984, leggermente inferiori ai primi tre, rimangono di una qualità altissima), fecero il botto e l’esercito sassone a suon di bombardamenti metallici conquistò i kids di tutto il mondo.
Sono passati quasi quarant’anni dalla formazione della band, nata nello Yorkshire nel 1976, e Biff è ancora qui, nel nuovo millennio, ad esaltare le truppe con queste nuove uscite discografiche che ripercorrono la carriera di una band che definire fondamentale è un eufemismo.
Via Udr Records, in attesa del nuovo dvd” Warriors Of The Road- The Saxon Chronicles II”, escono in contemporanea due compilation della band già edite ma di un’importanza assoluta.
La prima vede la riedizione della compilation Heavy Metal Thunder, originariamente pubblicata nel 2002 con l’aggiunta del Live in Bloodstock del 2014: la band, per l’occasione, risuona tutto il materiale donandogli un approccio più fresco ed in linea coi tempi, ed è così che le migliori canzoni dei primi lavori deflagrano in tutta la loro potenza metal e, se già allora erano in odore di immortalità, qui sono rese devastanti da una produzione folgorante.
Ci sono tutte i brani che hanno fatto la storia, da Heavy Metal Thunder, a Strong Arm Of The Law, passando per le monumentali Crusader, 747 (Strangers In The Night), Wheels Of Steel, Motorcycle Man e quella che personalmente ritengo la song metal con il più bel riff di tutti i tempi, Princess Of The Night.
Il live che fa da bonus cd ci consegna una band ancora sul pezzo ed esaltante quando sprigiona la sua forza su un palco: Biff stupisce per la carica che possiede intatta, e la band gira a mille tra vecchi classici e nuove canzoni che reggono tranquillamente il confronto con gli storici brani ottantiani.
The Saxon Chronicles uscì nel 2003, e si tratta di un doppio dvd: il primo vede la band cimentarsi sul palco del Wacken Open Air davanti ad una marea di fan nell’estate del 2001, e non esagero nel dichiarare che è uno dei più bei concerti visti col supporto ottico, almeno per quanto riguarda il metal classico.
I Saxon appaiono in forma strepitosa, con brani classici e non che si danno battaglia sullo stage metal più famoso d’Europa con un’ambientazione (quella di Wacken non ha eguali) che esalta a più riprese, anche se si è comodamente seduti sul divano di casa.
L’aquila dei guerrieri sassoni vola alta sul palco teutonico, regalando una performance eccezionale, apprezzata non poco dall’immenso pubblico accorso a quello che, ormai una quindicina d’anni fa, fu un evento; segue un un’intervista a Byford, ad impreziosire ulteriormente questo primo dvd.
Nel secondo trovano spazio video e riprese inedite, documentari e photo gallery, insomma, tutto quello che un fan può desiderare sulla sua band preferita e, per chi non la conoscesse a sufficienza, The Saxon Chronicles rimane un ottimo modo per approfondire la storia di una della icone del metal.
Anche qui troviamo un bonus cd audio: trattasi di Rock’n’roll Gypsie, live edito nel 1989, altro ottimo testamento live dei Saxon.
Inutile dire che, a chi sfuggì l’uscita di questi due ottimi capitoli del gruppo, è consigliato l’acquisto, del resto una buona fetta della “nostra” storia è racchiusa tra questi dischetti: lunga vita all’aquila sassone.

Heavy Metal Thunder
Tracklist
CD I:
01. Heavy Metal Thunder
02. Strong Arm of the Law
03. Power & the Glory
04. And the Bands played on
05. Crusader
06. Dallas 1PM
07. Princess of the Night
08. Wheels of Steel
09. 747 (Strangers in the Night)
10. Motorcycle Man
11. Never Surrender
12. Denim & Leather
13. Backs to the Wall

CD II – Live at Bloodstock 2014
01. Sacrifice
02. Power and the Glory
03. Heavy Metal Thunder
04. Battalions of Steel
05. Motorcycle Man
06. And the Bands Played On
07. To Hell and Back Again
08. 747 (Strangers in the Night)
09. Crusader
10. Wheels of Steel
11. Princess of the Night
12. Denim and Leather

The Saxon Chronicles
Tracklist:
DVD I Wacken Open Air Festival, Germany 2001:
01. Motorcycle Man
02. Dogs Of War
03. Heavy Metal Thunder
04. Cut Out The Disease
05. Solid Ball Of Rock
06. Metalhead
07. The Eagle Has Landed
08. Conquistador (Drum Solo)
09. Crusader
10. Power And The Glory
11. Princess Of The Night
12. Wheels Of Steel (Guitar Solo)
13. Strong Arm Of The Law
14. 20,000 Ft.
15. Denim And Leather

Bonus Stuff :
Interview with Biff Byford

DVD II – Saxon on Tour
Official Videos:
01. Suzie Hold On
02. Power And The Glory
03. Nightmare
04. Back On The Streets Again
05. Rockin’ Again
06. (Requiem) We Will Remember
07. Unleash The Beast + Behind The Scenes
08. Killing Ground

Saxon on TV – Interviews, History, TV-Appearances:
01. And the Band Played On
02. Back on the Streets
03. Never Surrender
04. Denim And Leather
05. Wheels of Steel

Bonus Stuff: Text/Photo Gallery

Rock’n’Roll Gypsies – 1989 Live AudioCD
1. Power And Glory
2. And The Bands Played On
3. Rock The Nation
4. Dallas 1PM
5. Broken Heroes
6. Battle Cry
7. Rock ‘N Roll Gypsies
8. Northern Lady
9. I Can’t Wait Anymore
10. This Town Rocks
11. The Eagle Has Landed
12. Just Let Me Rock

Negură Bunget – Tău

Quella dei Negură Bunget è, oggi come ieri, musica dal respiro universale, che affonda profondamente le proprie radici nella tradizione popolare rumena.

Sarà un modo di dire abusato, ma mai come nel caso della storia recente dei Negură Bunget si può affermare a buon diritto che non tutti i mali vengano per nuocere.

La separazione, tutt’altro che indolore e priva si strascichi, verificatasi nello scorso decennio tra i componenti storici della band rumena, ha prodotto alla fine due realtà sicuramente contrapposte dal punto di vista personale ma unite da una qualità musicale non comune.
Quest’ultimo lavoro dei Negură Bunget di Negru (Gabriel Mafa) ha avuto una gestazione piuttosto lunga, se pensiamo che il precedente lavoro “Vîrstele Pămîntului” risale al 2010 ma, come spesso accade , tale attesa è stata ampiamente ripagata. L’intesa attività live intercorsa in quest’ultimo periodo, peraltro, ha consentito il consolidamento della line-up e l’ulteriore coesione dei vari musicisti, portando quei benefici che i cinquanta minuti di Tău dimostrano ampiamente.
Il primo dei lavori della prevista trilogia dedicata alla Transilvania quale simbolo di natura e spiritualità (nulla anche vedere, quindi, con le ben note leggende dalle tematiche vampiresche) possiede quasi i crismi dell’evento, tale è la peculiare qualità esibita dal combo rumeno.
Quella dei Negură Bunget, infatti, è oggi come ieri musica dal respiro universale, che affonda profondamente le proprie radici nella tradizione popolare rumena, rimodellando in maniera ispirata quelle sonorità ancestrali che non possono neppure essere definite folk nel senso più classico del termine, se non per gli l’umori di cui è intriso un brano come Împodobeala Timpului: una traccia, questa, che rappresenta una sorprendente incursione nella musica balcanica (molto meno caciarona di quella che ci viene abitualmente proposta, sia ben chiaro) ma che, non a caso, si dimostra l’episodio più debole del disco, soprattutto se rapportato alla capacità riconosciuta a Negru e soci nel portare la componente etnica del loro sound su un piano ben più elevato.
La componente black metal, comunque, è tutt’altro che scomparsa, ma, con la sola eccezione di Tărîm Vîlhovnicesc (brillante e comunque eclettica traccia che ospita alla voce Sakis dei Rotting Christ), non costituisce più la base bensì l’arricchimento di un sound che, grazie all’uso di una strumentazione estremamente variegata e al contributo di altri ospiti provenienti dai più disparati generi musicali, rende Tău uno dei migliori lavori usciti finora bel 2015, con la concreta chance di restare tale anche tra una decina di mesi.
A tale proposito, può rivelarsi fuorviante catalogare la band di Timișoara in un ambito estremo senza porre le opportune distinzioni del caso, alla luce del rischio di indurre in errore chi vi si dovesse avvicinare ignorando una parabola artistica capace di segnare gli ultimi ultimi vent’anni della musica europea in senso lato, non solo in ambito metal.
La bellezza struggente di brani come Nămetenie e Izbucul Galbenei mette subito il lavoro sui giusti binari sgombrando il campo da ogni equivoco: i Negură Bunget sono tornati per riaffermare il loro primato e la loro diversità ed il crescendo dell’opener è, a tratti, di uno splendore abbacinante.
Ma è difficile trovare un momento nel disco che non rientri in tale definizione, salvo appunto Împodobeala Timpului, non tanto per il suo valore intrinseco, quanto perché, come detto, si rivela piuttosto in contrasto con un’atmosfera complessiva che, quando non è bucolica, pervade l’intera opera con una certa aura di drammaticità.
La Hotaru Cu Cinci Culmi é un’altra perla che, assieme a Curgerea Muntelui, rende la prima metà dell’album qualcosa che da tempo non era dato ascoltare; il fisiologico e leggero calo di intensità della sua seconda metà (ma le conclusive Picur Viu Foc e Schimnicește sono brani che il 90% delle band utilizzerebbe quali pietra angolare dei propri lavori) non inficia il giudizio complessivo di disco magnifico, da ascoltare più e più volte in un ambito rigorosamente silenzioso e pervaso da una pace che, forse, si può rinvenire solo se immersi nei luoghi magici evocati dai video della band.
Ennesima prova magnifica per una realtà musicale unica …

Tracklist:
1. Nămetenie
2. Izbucul galbenei
3. La hotaru cu cinci culmi
4. Curgerea muntelui
5. Tărîm vîlhovnicesc
6. Împodobeala timpului
7. Picur viu foc
8. Schimnicește

Line-up:
Negru – Drums, Percussion, Dulcimer, Xylophone, Horns
Ovidiu Corodan – Bass
Adi “OQ” Neagoe – Guitars, Vocals, Keyboards
Petrică Ionuţescu – Pan Flute, Pipes, Horns
Tibor Kati – Vocals, Guitars, Keyboards, Programing

NEGURA BUNGET – Facebook

Fetid Zombie – Grotesque Creation

Ottimamente suonato e prodotto, ricco di ospiti, “Grotesque Creation” è il primo squillo in campo death metal in questi primi mesi del 2015.

Sotto il monicker Fetid Zombie agisce Mark Riddick, polistrumentista ed illustratore della scena death metal underground, in passato attivo con diverse altre band (Unearthed, Excrescent, Macabra, Umburied e Grave Wax).

Il musicista americano, molto conosciuto anche in Europa, inizia la sua avventura in veste di one man band nel 2007, con il full length “Pleasures Of The Scalpel” e, aiutato nei vari lavori da noti musicisti della scena, provenienti da band storiche come Rotting Christ, Varathron, Necromantia e Crucifier (tanto per citare le più conosciute), arriva al nuovo anno con il quinto album.
Molto varia e originale la sua proposta che, partendo da una base death metal old school, si arricchisce di spunti hard rock ed heavy metal senza perdere in durezza ed atmosfere estreme, rendendo oltremodo interessante l’ascolto di Grotesque Creation.
Anche in questo ultimo riuscito lavoro, Riddick viene accompagnato da un nugolo di personaggi della scena death/black: ogni brano vede avvicendarsi al microfono un nuovo vocalist e diversi musicisti forniscono il loro contributo con un assolo, un giro di tastiere o un riff.
L’atmosfera è oscura e pesante, il sound richiama spesso quello della scena sud europea: ottimi gli interventi di tastiera che ricordano i Necromantia del capolavoro “Crossing The Fiery Path” (1993) e notevoli le digressioni e le ritmiche chitarristiche che, in alcuni casi sono smaccatamente hard rock (Into The Unknown e la title track).
Il resto dell’album mantiene le atmosfere macabre del death più marcio, intervallate da ottime melodie tastieristiche dal piglio dark ed inserti di melanconiche chitarre acustiche. Grandiosa è Morbid Premonition, perversa, infernale, squarciata da un riff “svedese”, cadenzato ma tremendamente riuscito e, spettacolare risulta anche The Outstretched Hand Of Rotten Death, degna conclusione di un album estremamente godibile e dai mille spunti, ma nero come il buio di una bara chiusa su di noi.
Album da avere, come detto ricco di ospiti (Josh Fleischer dei Svierg, Necromayhem dei Rotting Christ, Reaper dei Crucified Mortals, EL dei Soulskinner, Necroabyssious dei Varathron e Magus dei Necromantia, tra gli altri) ed ottimamente prodotto e suonato: Grotesque Creation è il primo squillo in campo death metal di questi primi mesi del 2015.

Tracklist:
1. Entombed Existence
2. Into the Unkown
3. Grotesque Creation
4. Razor-Sharp Attack
5. The Way of Mortality
6. Utterance of Doom
7. Death’s Pallor
8. Morbid Premonition
9. The Outstretched Hand of Rotten Death

Line-up:
Mark Riddick – Vocals, Guitar, Bass, Drum Programming, Keyboards

FETID ZOMBIE – Facebook

Crest Of Darkness – Evil Messiah

Vent’anni di attività per i Crest Of Darkness celebrati con questo ottimo Ep.

Nell’occasione del ventennale della fondazione, i Crest Of Darkness pubblicano per My Kingdom questo Ep intitolato Evil Messiah, che si rivela un gradito cadeau per i fan della band guidata dall’immarcescibile Ingar Amlien.

In teoria non ci sarebbe molto da dire su questo lavoro della durata di poco superiore ai venti minuti, se non che qui viene offerto un black metal che, come nelle corde del musicista norvegese, fonde mirabilmente la tradizione del genere con un approccio improntato ad una certa orecchiabilità. I brani, quindi, sono delle classiche e robuste cavalcate fornite di un notevole groove oltre che di una spiccata componente death, e scorrono così in maniera piacevolissima facendo rimpiangere la brevità del lavoro.
Evil Messiah, Armageddon ed Abandoned by God sono tre brani davvero ottimi, essenziali, efficaci e diretti quanto basta per farci approvare senza alcuna remora questa operazione, la cui ciliegina sulla torta è costituita dalla cover di Sick Things di Alice Coooper, resa ottimamente nel suo rivestimento estremo che non va a stravolgere del tutto la struttura melodica portante.
Ma ciò che conta di più, facendo meritare ad Amlien il plauso di ogni appassionato, è l’ennesima dimostrazione di coerenza stilistica che non deve essere intesa come mancanza di ispirazione od originalità, bensì quale esemplare prova di competenza nel maneggiare il genere, qui reso fruibile senza che venga dispersa la sua abituale aggressività.
Buon compleanno e lunga vita ai Crest Of Darkness!

Tracklist:
1. Evil Messiah
2. Armageddon
3. Abandoned by God
4. Sick Things (Alice Cooper cover)

Line-up:
Ingar Amlien – Vocals, Bass
Rebo – Guitars
Bernhard – Drums

CREST OF DARKNESS – Facebook

Whyzdom – Symphony For A Hopeless God

Gli Whyzdom confezionano un ottimo album di genere, prodotto benissimo e colmo di spettacolari orchestrazioni

Chiariamolo subito: l’album in questione e la band che l’ha creato fanno parte di un genere che, a livello di novità e originalità, ha già esibito fin dalla metà degli anni novanta tutta la sua potenzialità, diventando una delle espressioni in ambito metallico più seguite dai fan, specialmente in Europa.

Difficile perciò trovare album che stupiscano sotto questi aspetti, mentre molto più facile è imbattersi in realtà che, seguendo i soliti cliché del genere, confezionino delle ottime opere di metal gotico, sinfonico e dalle orchestrazioni cinematografiche di buon appeal, virtù sposate dagli amanti di queste sonorità.
A riprova di ciò ecco il nuovo lavoro della band transalpina Whyzdom, nata nel 2007 e al terzo lavoro dopo i due full lenght “From The Brink Of Infinity” del 2009 e “Blind?”, precedente album del 2012.
Preso atto del cambio di vocalist, con Marie Rouyer che prende il posto dietro il microfono della collega Elvyne Lorient, ci immergiamo tra i solchi di questa opera sinfonica dal titolo Symphony For A Hopeless God che, se non fa gridare al miracolo per spunti innovativi, offre più di un’ora di dinamico ed alquanto metallico gothic metal.
Se, come dei novelli cavalieri della tavola rotonda, siete alla ricerca del santo graal dell’originalità, lasciate tranquillamente perdere questo album; se, invece, il genere continua a regalarvi emozioni, allora spegnete i cellulari e fatevi prendere per mano dalla band parigina, che vi accompagnerà tra le orchestrazioni e gli ottimi spunti dell’opera in questione, dove un buon impatto metal, riuscite parti orchestrali e l’ottima ugola della singer vi regaleranno una buona scusa per stare a casa e godervi lo spettacolo.
Settanta minuti (forse, leggermente troppi) di musica a tratti spettacolare, con qualche picco e qualche piccolo cedimento, che ci sta, proprio in conseguenza della lunga durata, tra funamboliche parti orchestrali e fughe metalliche aggressive, amalgamate con buon piglio dalla band, brava nel non perdersi troppo in parti atmosferiche, ma attaccando dalla prima all’ultima nota lasciando che tutta la sua musica arrivi a noi nella forma migliore (la produzione è al top).
Tra i brani, che raggiungono tutti la sufficienza, spiccano le ottime Asylum Of Eden (la più riuscita in virtù delle ottime orchestrazioni epico/cinematografiche), seguita dalla roboante Waking Up The Titans, dai cori magniloquenti che si avvicinano ai Therion, e Where Are The Angels, anch’essa impreziosita da una spettacolare aurea epica enfatizzata dall’ottima sinfonia classica.
Senza tediarvi con le solite band di riferimento, la band francese ha confezionato un ottimo album di genere, prodotto benissimo, colmo di spettacolari orchestrazioni, ed interpretato da una brava cantante, per gli amanti del genere virtù essenziali per amare un lavoro come Symphony For A Hopeless God.

Tracklist:
1. While the Witches Burn
2. Tears of a Hopeless God
3. Let’s Play with Fire
4. Eve’s Last Daughter
5. Don’t Try to Blind Me
6. The Mask
7. Asylum of Eden
8. Waking Up the Titans
9. Theory of Life
10. Where Are the Angels
11. Pandora’s Tears

Line-up:
Marie Rouyer – voce
Nico Chaumeaux – batteria
Régis Morin – chitarra
Vynce Leff – chitarra, orchstra
Marc Ruhlmann – tastiera
Xavier Corrientes – basso

WHYZDOM – Facebook

Birdflesh / Slavebreed – Nekroacropolis

Un’uscita che consente di conoscere due realtà piuttosto diverse tra loro, ma accomunate dalla stessa voglia suonare musica estrema.

Buono split di due realtà che fanno dell’assalto grindcore il loro credo: protagonisti questa volta sono gli svedesi Birdflesh ed i greci Slavebreed.

I Birdflesh sono dei veterani della scena estrema, i sei brani a loro disposizione, per quattro minuti totali, riempiono le orecchie di grindcore dalla forte impronta hardcore/punk, i testi pregni di humour nero e gore non fanno altro che rendere il tutto molto sarcastico ed estremamente crudo.
Gli scandinavi ci sanno fare, questo è certo, e d’altronde si parla di una band con una ventina d’anni di carriera alle spalle ed una discografia che, tra quattro full length ed una marea di split ed Ep.
Tra i brani, Ancient In The Forest è quello che più mi ha sorpreso, avvicinandosi al black metal come andamento e struttura del pezzo, molto marziale nel suo incedere e maledettamente inquietante.
I greci Slavebreed sono molto più giovani e maggiormente ancorati al grindcore classico di matrice death.
Nati nel 2004, esordiscono con un demo nel 2007 ed archiviano due album, “Pain Syndicate” del 2008 e “Dethrone The Architect” del 2012.
La band greca, con una sezione ritmica sparata alla velocità della luce, risulta meno originale dei loro dirimpettai svedesi ma oltremodo monolitici e violenti quanto basta e, seguendo le orme delle band storiche del genere (Napalm Death, Terrorizer), convince a più riprese con i suoi tre brani.
Un’uscita che consente di conoscere due realtà piuttosto diverse tra loro, ma accomunate dalla stessa voglia suonare musica estrema.

Tracklist:

Birdflesh:
1No.1
2Shitpainter
3Danish Skull
4Ancient In The Forest
5Breakfast Time
6Killer Of Priest

Line-up:
Smattro Ansjovis – Drums, Vocals
Achmed Abdulex – Guitars, Vocals
Panda Flamenco – Bass, Vocals

Slavebreed:
1.Fekete Arnyek
2.Lucid Dreams
3.Asphyxia

Line-up:
Kostas – Drums
Pavlos – Guitars
Tolis – Guitars
Thanasis – Bass
Smirnoff – Vocals