Thrash 1991: l’inizio di un decennio di crisi

Come cambiano in fretta ed improvvisamente, a volte, le cose. Anche per la musica.

Il 1990 fu per il thrash un anno formidabile, con le uscite di Souls of Black dei Testament, Persistence of Time degli Anthrax, Seasons in the Abyss degli Slayer, The American Way dei Sacred Reich, When the Storm Comes Down dei Flotsam and Jetsam, Can’t Live Without It dei Gang Green, Live Scars dei Dark Angel, In The Red dei CIA (progetto di Glenn Evans, dei Nuclear Assault), The Edge of Sanity degli Hexenhaus, Rust in Peace dei Megadeth, Violent by Nature degli Atrophy, Speak Your Peace dei Cryptic Slaughter, Faded Glory degli Acrophet, Beg to Differ dei Prong, Lights Camera Revolution dei Suicidal Tendencies, Twisted Into Form dei Forbidden, Idolatry dei Devastation, Best of Wishes dei Cro-Mags, Act III dei Death Angel, Vanity/Nemesis dei Celtic Frost, Condemned to Eternity dei Re-Animator, Psychomorphia dei Messiah, For Those Advantage degli Xentrix.

In Germania videro la luce Coma of Souls dei Kreator, Cracked Brain dei Destruction, Better Off Dead dei Sodom, The Meaning of Life dei Tankard, Dances of Death dei Mekong Delta, World Chaos degli Holy Moses, Urm the Mad dei Protector e Parody of Life degli Headhunter. In Canada, gli Annihilator bissarono il già straordinario esordio con Never Neverland.
Il mega-tour mondiale Clash of the Tytans, inoltre, incendiò molti palchi e nulla pareva poter fare presagire una qualunque crisi di sorta. Il genere – per dirla altrimenti – pareva più vitale ed in forma che mai. Oltretutto, diverse band – sia di prima sia di seconda fascia – avevano sensibilmente migliorato le proprie qualità tecniche ed erano maturate non poco, il che lasciava ben sperare in vista del futuro. Eppure, riflusso ed oblio erano dietro l’angolo, come un triste destino e un malaugurato esito ultimo.

Nel 1991 due autentici boom discografici, almeno sul piano delle vendite, furono il black album dei Metallica e Nevermind dei Nirvana. Il primo, pur buono, tradì un genere, una carriera fino ad allora a dir poco ineccepibile e un’intera scena musicale. Il secondo lanciò la nefasta moda dell’alternative e del grunge. Le case discografiche più importanti iniziarono ad interessarsi, quasi solo, di camicie a scacchi e finti depressi.
I gruppi cosiddetti ‘minori’ (ma non sempre per valore artistico) si sciolsero uno dopo l’altro in un clima di crescente e ingiusta indifferenza musicale. I maggiori, come vedremo nel corso di questa inchiesta, dovettero sovente reinventarsi. L’estremo sopravvisse altrove: il black rinacque in Norvegia e terre scandinave, assumendo caratteristiche e tratti peculiari tutto sommato a sé stanti; l’hardcore si trasformò spesso in crossover (altro trend), mentre il grind (che, storicamente, veniva dal crust punk britannico) si uniformò quasi ovunque al death: quest’ultimo, a sua volta, non smise di vivere i suoi anni grandi in Florida ed in generale oltreoceano, ma nel vecchio continente o smussò gli spigoli (pensiamo agli svedesi Entombed, dopo i primi due favolosi LP) o si ammorbidì, con innesti gotici, prog e sinfonici (tre grandi nomi, su tutti: Therion e Dark Tranquillity, per stare sempre in Svezia; Atrocity, se vogliamo spostarci più a sud in terra tedesca).

In effetti, la svolta impressa dai Metallica del 1991, perlomeno nell’immediato, pareva essere senza ritorno (e non solo per i Four Horsemen, che unicamente da Death Magnetic sarebbero ritornati al thrash). Per gli altri loro colleghi, la scelta fu triplice: o sciogliersi (come accadde a tante apprezzate seconde leve statunitensi), o rivolgersi a soluzioni più commerciali, o indurire la proposta.
Dopo il 1991, nulla fu più come prima e si aprì una decade di delusioni ed incertezze. Intendiamoci: l’heavy classico andò anche lui in crisi (solo parzialmente riscattato, da metà anni Novanta in poi, dal power melodico e dal prog-metal). Idem dicasi per il glam, l’epic, il pomp rock e l’AOR, ma per il thrash le cose assunsero una piega forse ancora peggiore e più drammatica.
I Death Angel abbandonarono la partita, così come i Dark Angel di Gene Hoglan, il cui capolavoro, l’indimenticabile Time Does Not Heal, ebbe la sfortuna di uscire proprio nel 1991. I Megadeth, dal canto loro, realizzarono il loro black album con Youthanasia (nel 1995) e chiusero il decennio con il pessimo Risk. Gli Anthrax, con John Bush degli Armored Saint, alla voce, tennero ancora botta con l’ottimo Sound of White Noise (peraltro, molto più industrial), quindi si smarrirono in modo del tutto inatteso (Stomp 442 è tra le autentiche oscenità dei Nineties ed a dirlo non è di certo un purista).

Gli Annihilator modificarono il loro stile, con inflessioni dapprima di ascendenza Dream Theater (Set the World on Fire, 1993) ed in seguito industriali (Remains, 1997). Celtic Frost, Sabbat, Sanctuary e Nasty Savage si separarono, chi temporaneamente e chi per sempre. I Pantera si diedero al groove metal. I Corrosion of Conformity presero la via del southern e dello sludge sperimentale. I Flotsam and Jetsam, tra l’ancora buono Cuatro (1992) e Unnatural Selection (1999), realizzarono due dischi davvero anonimi di piatto e scialbo HM. I Sacred Reich portarono inizialmente avanti il discorso da loro avviato nel 1990, incidendo l’interessante ed originale Independent (1993), che, tuttavia, quasi nessuno allora notò più. E pure per loro la parola fine venne scritta presto.
Con coerenza ed integrità, rimasero in pista Overkill e Metal Church, entrambi dediti nei Novanta a un fecondo e nobile intreccio di retaggio speed-thrash ed elementi di derivazione US metal. Sia gli Overkill, sia i Metal Church, peraltro, furono seguiti quasi soltanto dai fedelissimi e dai defenders di provata intransigenza alle nuove mode. Il techno-thrash mutante non morì (pensiamo ai Voivod e ai Coroner) ma per alcuni esordienti – in Finlandia gli ARG, in Austria i Ravenous – debuttare proprio nel fatidico ’91 fu quanto mai deleterio (ancora oggi infatti sono rimasti nomi di nicchia e di culto, per pochi estimatori).

Esemplare, al riguardo, la parabola dei tedeschi Sieges Even: un fenomenale esordio nel 1988, con il techno-thrash iperconcettuale e cinematico di Lifecycle, quindi il passaggio, guarda caso appunto dal 1991, a un prog metal assai melodico e blandamente jazzato.
Visto che, con i Sieges Even, siamo arrivati a parlare di Germania, vediamo un poco più in dettaglio che cosa accadde nel paese che, dopo gli Stati Uniti, aveva dato di più alla causa del thrash. Dopo il 1991, la scena tedesca subì veramente il colpo. Se da un lato i Kreator cominciarono a sperimentare con intelligenza e coraggio nuovi approcci sonori, di matrice industrial e dark-wave elettronica, ed i Sodom riuscirono a stare sulla breccia sporcando ulteriormente il loro stile, con ruvidi innesti, prima death e poi hardcore punk, moltissimi gruppi – in vero, quasi tutti – che avevano gravitato, attorno a loro, nel ricco panorama thrash germanico scomparvero oppure cambiarono genere, virando verso il power melodico (gli Angel Dust, ad esempio).
I Destruction, da parte loro, rimasero in silenzio per quasi quattro anni, il che già la diceva lunga, circa la loro crisi, e tra il 1994 ed il 1995 pubblicarono due sconcertanti EP, lontanissimi dal genere che li aveva visti tra i grandi protagonisti, convertiti ora ad un groove metal modaiolo e di scarsa qualità. Pessimo fu pure il disco edito nel 1996, dalla Brain Butcher, The Least Successful Human Cannonball: un tradimento bello e buono della antica causa, giustamente e coerentemente rinnegato in seguito dall’act tedesco, tornato a nuova vita a partire dal 1999-2000. Durante i Nineties, in Germania, si persero le tracce di Asgard, Assassin, Brainfever, Darkness, Assorted Heap, Vectom, Deathrow, Despair, Exumer, Grinder, Iron Angel, Living Death, Risk, Vendetta e Violent Force. L’underground speed-thrash pareva scomparso. La rinascita giunse solo, nel 2001, con il ritorno al thrash da parte dei Kreator: il combo di Mille Petrozza, con Violent Revolution, aggiornava, con classe, stile e potenza, l’universo sonoro e anche l’iconografia di Coma of Souls, dando vigore e slancio nuovi a una scena da quel momento in via di resurrezione artistico-musicale.

Il peggio era, ora, alle spalle. Ma ritorniamo al 1991, vero e proprio annus horribilis per il movimento thrash, in particolare per quello della Bay Area di San Francisco.
A conti fatti, i grandi che seppero resistere e ripartire furono coloro che accettarono la sfida, per un verso ammettendo (sia pure a malincuore) che una stagione – durata poi solo otto anni, da Kill ‘Em All e da Show No Mercy all’anno del black album – s’era comunque ormai conclusa e che solamente incattivendo in maniera ulteriore il suono era possibile dar nuova vita e almeno in parte nuovo volto al thrash tradizionale, alzando l’asticella in direzione death e stando così al passo con i tempi, senza però rinnegarsi. E’ quanto fecero i Sadus di Steve Di Giorgio (forse il più grande bassista metal del mondo dopo la scomparsa di Cliff Burton), i Sepultura (non senza flirtare, qua e là, col nu metal più creativo), i Testament (i cui album incisi per la Spitfire non saranno all’altezza dei classici degli anni ’80, ma tuttavia tengono il passo e preparano alla rinascita, anche dell’intero movimento), gli Slayer (i quali, nel 1991, pubblicarono il granitico doppio live A Decade of Aggression, seguito da tutta una serie di album seri, professionali e assolutamente inappuntabili sino ad oggi) e volendo i Demolition Hammer di New York.
Oggi, si sa, il thrash è letteralmente risorto, fra ritorni di vecchi eroi e nuovi promettenti gruppi. Gli Slayer, i Metallica, i Megadeth e gli Anthrax (i così detti Big Four) sono di nuovo in gran spolvero e lo stesso può dirsi di Testament, Death Angel e Annihilator (a dicembre del 2017 apprezzati al Live Club di Trezzo sull’Adda), di Exodus ed Hexx, Laaz Rockit, Prong, Whiplash, Flotsam and Jetsam e dei tedeschi Kreator, Destruction, Sodom, Tankard, Accuser, Protector, Holy Moses, Necronomicon e Paradox. Tutti nuovamente sulle ali della meritata ribalta, non senza una maturità, sia compositiva, sia esecutiva, che è inevitabilmente figlia degli anni e del tempo frattanto trascorso.
Oggi abbondano finalmente le ristampe. La scena italiana è nutritissima e di vivo spessore. Il black-thrash è tornato in auge con Inquisition, Akroterion, Condor, Evil Spirit, Ulvedharr e Bunker 66 (e a breve dovrebbe arrivare l’atteso come-back dei Possessed). Gruppi di culto del passato, oltre a veder finalmente riediti su CD i propri dischi, si sono inoltre ricostituiti, pubblicando nuovi lavori, come nel caso dei californiani Dream Death (non senza consistenti componenti doom) e Detente.

Vi è poi una rinnovata e prolifica scena di nomi nuovi, da seguirsi con la dovuta attenzione: Skeletonwitch, Bonded by Blood, Warbringer, Gama Bomb, Havok, Vektor, Power Trip, Enforcer, Evil Invaders e Ranger in primis. Ma occhio, altresì, a Resistance, Lair of the Minotaur, Without Waves, Black Fast, Revocation e Municipal Waste in America, a Dew-Scented, Disbelief, Grantig, Ravager, Reflection, Repent, Running Death, Septagon, Stormhammer, Valborg, Vulture e Zombie Lake in Germania, ai neozelandesi Stalker, ai russi Hell’s Thrash Horsemen, agli indiani Kryptos, ai finlandesi Ranger, ai polacchi Raging Death, ai brasiliani Woslom, agli ungheresi Ektomorf, agli ellenici Sacral Rage e Chronosphere, agli svizzeri Excruciation (con influenze Killing Joke e post-punk), agli australiani Destroyer 666, Envenomed, Hidden Hintent, Harlott, In Malice’s Wake e soprattutto Meshiaak, agli svedesi Armory e Night Viper, ai danesi Battery ed ai canadesi Droid, Warsenal, Untimely Demise e Arckaic Revolt, senza dimenticare i sempreverdi e inossidabili Onslaught in Inghilterra, sovente in tour e dal catalogo adesso quasi tutto disponibile.
Insomma, la crisi innescatasi nel lontano 1991 è stata positivamente superata. E’ divenuta un ricordo, che sa comunque di storia. Vera e vissuta.

Souldrinker – War Is Coming

War Is Coming risulta un piacevole ascolto pur senza avere un brano portante, ma esprimendo tutta la propria forza metallica nella sua completezza.

Se per voi il metal è grinta, energia, chitarre sature ed un buon mix tra tradizione e modernità, allora War is Coming, debutto dei tedeschi Souldrinker, è l’album che vi è mancato per arrivare in fondo al 2017 più cattivi che mai.

Il gruppo, che vede tra le sue fila due musicisti dal lungo passato nella scena metal tedesca come Markus Pohl  e Steffen Theurer, hanno trovato nella leonessa Iris Boanta la singer perfetta per ruggire a suo modo su questa decina di brani dal tiro micidiale.
Ne escono dieci esplosioni metalliche tutta grinta e appeal, con chorus che entrano in testa aprendola come un cocomero, ritmiche grasse e solos graffianti in un delirio metallico davvero niente male.
Immaginate un mix letale tra Pantera e Black Label Society che, con in corpo una bottiglia di scotch di troppo, cominciano a suonare power metal, ed avrete un’idea di quello che vi aspetta nei quaranta minuti abbondanti di War Is Coming.
Album che esprime tutta l’energia del metal, War Is Coming risulta un piacevole ascolto pur senza avere un brano portante, ma esprimendo tutta la propria forza metallica nella sua completezza, facensoci per di più conoscere un’altra eroina (Iris Boanta) dalla grande voce.

Tracklist
1.Let the King Bleed
2.Souldrinker
3.Promised Land
4.To the Tick
5.Take my Pain
6.Like Rain…
7.Raise the Flag
8.Fire Raiser
9.Voices
10.Final Stand

Line-up
Iris Boanta – Vocals
Markus Pohl – Guitar
Chris Rodens – Bass
Steffen Theurer – Drums

SOULDRINKER – Facebook

Waroath / Czarna Trumna / Cthulhu Rites – Black Oath Rites

Uno split album complessivamente valido anche se, presumibilmente, destinato a restare confinato al territorio polacco.

Black Oath Rites è un corposo split album che riunisce ben tre band appartenenti alla scena black metal polacca, Waroath, Czarna Trumna e Cthulhu Rites.

Questa formula sta prendendo sempre più piede rivelandosi, soprattutto per realtà meno note al pubblico, uno strumento di grande utilità per fare conoscere la propria musica offrendo nel contempo all’ascoltatore un prodotto vario e dal minutaggio consistente.
Altra peculiarità dell’uscita e quella di riunire altrettanti demo pubblicati in tempi più o meno recenti dalle tre band, con l’aggiunta di qualche bonus track: il tutto si rivela senz’altro più utile per Waroath (con Merciless Night Evil del 2015) e Czarna Trumna (con Haunted Crypt’s Miasma, dello stesso anno), in quanto entrambe non hanno all’attivo un full length come invece avviene ai Cthulhu Rites, dei quali viene invece riesumato Ku chwale mrocznych eonów, primo passo discografico risalente al 2012.
Anche l’approccio al genere è diverso, con i Waroath allineati su un più fruibile e efficace black dalle contaminazioni speed, i Czarna Trumna con un’interpretazione più vicina si canoni nordici grazie a passaggi avvicinabili al pagan, e i Cthulhu Rites che, in ossequio alla ragione sociale, propongono un sound molto più orrorifico cercando di catturare e restituire il terrore delle letteratura lovecraftiana.
Il livello dello split album, considerando le tre band coinvolte nel loro assieme, non è memorabile anche perché, alla fine, in quest’ora e passa di musica siamo pur sempre di fronte a dei demo, con quel che ne consegue soprattutto a livello di resa sonora.
Per quanto riguarda un’ideale classifica di gradimento, direi che questa corrisponde all’ordine della discesa in campo delle band, dicendo anche che alla luce di una maggiore e più qualificata produzione alle spalle mi sarei atteso di più dai Cthulhu Rites, i quali appaiono i più originali del lotto senza però che ne scaturisca un risultato allo stesso modo apprezzabile, forse anche perché non rispecchia del tutto quella che dovrebbe essere stata la crescita della band con il trascorrere del tempo.
L’iniziativa rimane, come detto, più che valida anche se presumibilmente dovrebbe essere destinata a restare confinata al territorio polacco.

Tracklist:
1. Waroath – Cios Barbarzyńskiego Ostrza (Old Metal Omen)
2. Waroath – Whine of Abandoned Graveyard (Deathstrike from Hell)
3. Waroath – On the Lunar Throne of Damnation
4. Czarna Trumna – W czeluści lochów opętania
5. Czarna Trumna – Obscure Mares of Doom
6. Czarna Trumna – Saatana pisar
7. Cthulhu Rites – Azathoth
8. Cthulhu Rites – Katharsis II
9. Cthulhu Rites – Czarna koza z lasu z tysiącem młodych
10. Cthulhu Rites – Dagon
11. Cthulhu Rites – Katharsis I
12. Cthulhu Rites – Panteon ponurych trzęsawisk
13. Cthulhu Rites – Fearsome Melancholy
14. Cthulhu Rites – Hypnos / Outro

Line-up:
Cthulhu Rites
Maciej “Azazoth” Szewczyk – Guitars
R.F. Ghatanoth – Vocals, Drums
A.D. Nyarlath – Bass

Czarna Trumna
The Dead Grave Ghost – Guitars, Bass
The Old Coffin Spirit – Vocals, Drums

Waroath
Wened – Drums, Vocals
Adrian – Vocals
M. Necromancer – Guitars, Bass

CTHULHU RITES – Fcaebook

Snakeyes – Metal Monster

Gli Snakeyes sono una macchina da guerra e senza pietà scaricano una serie di cannonate che esaltano, sorprendono, distruggono, insomma fanno il bello ed il cattivo tempo per chi ama il metal di stampo classico.

Vi avevamo già parlato degli Snakeyes in occasione dell’uscita del loro debutto sulla lunga distanza, quel Ultimate Sin che aveva raccolto elogi a non finire e non solo da parte nostra.

I quattro cavalieri andalusi tornano ad infiammare i cuori dei defenders con Metal Monster, secondo lavoro che conferma la band come ottima realtà del metal underground dal taglio classico: con un album più power rispetto all’esordio, gli Snakeyes si rivelano una macchina da guerra e senza pietà scaricano una serie di cannonate che esaltano, sorprendono, distruggono, insomma fanno il bello ed il cattivo tempo per chi ama il metal di stampo classico.
Evito come la peste la definizione old school, perché Metal Monster si può sicuramente considerare un album classico, ma assolutamente in grado di dire la sua nel nuovo millennio dall’alto di una produzione cristallina, arrangiamenti al passo coi tempi e un sound pieno e coinvolgente.
Ovviamente il quartetto spagnolo mette sul piatto le sue inevitabili ispirazioni ed influenze, d’altronde il genere è quello che ci ha fatto innamorare e ci accompagna da una vita, quindi non aspettatevi niente che non sia stato ampiamente suonato dai vari Judas Priest, primissimi Helloween ed Iron Maiden.
Con il bomber Cosmin Aionita a giocarsela dietro al microfono con una prestazione d’applausi (Halford, Deris e Scheepers racchiusi nella stessa ugola), la band non può che assecondare il suo asso e rifila una serie di goal che si infilano al centro del cuore dei fans.
Un’ora di metal come fu creato dagli dei, una tracklist che non cede di un centimetro vincendo alla grande la scommessa con una durata importante grazie ad esplosioni metalliche come Into The Unknown, (Point Of) No Return, la devastante title track e il crescendo progressivo della conclusiva Rise Up (The Red Plague)Metal Monster è un album bellissimo e  ci accompagna verso un 2018 che si spera ricco di soddisfazioni per chi ama l’heavy metal classico.

Tracklist
1.Into The Unknown
2.Evolution
3.(Point of) No Return
4.Cyberkiller
5.Metal Monster
6.Edge of The World
7.Sign of Death
8.Facing The Darkness
9.Your Own Shadow
10.Circus of Fools
11.Rise Up (The Red Plague)

Line-up
Cosmin Aionita – Vocals
Jose Pineda – Bass & Guitar
Justi Bala – Guitar
Carlos Delgado – Drums

SNAKEYES – Facebook

Dephosphorus – Impossible Orbits

La musica dei Dephosphorus accoglie gran parte dei generi di cui si compone il lato più violento del metal e lo scaglia nello spazio perfettamente assemblato in un sound siderale, mistico ed affascinante, rendendo l’ascolto un’esperienza da vivere, specialmente se siete amanti dei suoni estremi dal taglio grind.

Dallo spazio profondo tornano i greci Dephosphorus, entità aliena della scena grind europea.

Una carriera iniziata dieci anni fa ha portato il gruppo fino ad oggi, con tre album pubblicati ed una manciata di split ed ep a continuare un discorso musicale che, partendo da una base grindcore, immette nello spazio cosmico un sound formato da death, black metal e hardcore, ovvero un caos lucido e micidiale, freddo come il buio nel profondo dell’universo, risvegliato dallo scream urlante del vocalist Panos Agoros.
Impossible Orbits risulta così un navigare senza meta nello spazio astrale, mentre il silenzio è rotto dall’opener  Above The Threshold e dal black metal che si insinua come un virus extraterrestre di The Light Of Ancient Mistakes.
Metal estremo che ha la sua forza nell’originalità non solo concettuale, la musica dei Dephosphorus accoglie gran parte dei generi di cui si compone il lato più violento del metal e lo scaglia nello spazio perfettamente assemblato in un sound siderale, mistico ed affascinante, rendendo l’ascolto un’esperienza da vivere, specialmente se siete amanti dei suoni estremi dal taglio grind.

Tracklist
1.Above the Threshold
2.Micro-Aeons of Torment
3.Rational Reappraisal
4.Αστερόσκονη (Asteroskoni)
5.Impossible Orbits
6.Imagination Is Future History
7.The Light of Ancient Mistakes
8.Suspended in a Void Universe
9.Blessed in a Hail

Line-up
Thanos Mantas – Guitars
John Votsis – Drums
Panos Agoros – Vocals
Costas Ragiadakos – Bass

DEPHOSPHORUS – Facebook

Entropy Coding – Tales Of The Moon

Tales Of The Moon è un affresco di metal sinfonico raffinato ed elegante, impreziosito dai vari musicisti ospiti della Coltrè e da un songwriting che pur mantenendo un approccio tradizionale al genere, è ricco di talento e di una marcata personalità.

Nella splendida cornice della scena metallica nostrana, oltre alle band che sono da anni gli storici punti di riferimento, nascono e si rigenerano decine e decine di realtà che ormai non hanno nulla da invidiare ai gruppi stranieri che formano l’immenso mondo della nostra musica preferita.

Etichette e artisti si sono rimboccati le maniche cercando di regalarci opere d’arte in un periodo di crisi, non solo economica, durante il quale vivere di emozioni equivale ad essere considerato obsoleto.
Nella scena della capitale si muove con il suo progetto Entropy Coding la compositrice, pianista e tastierista Susanna Coltrè, che per l’attivissima etichetta Agoge Records debutta con Tales Of The Moon, aiutata da una serie di ospiti speciali ed dal produttore Gianmarco Bellumori, patron della label.
L’album è un affresco di metal sinfonico raffinato ed elegante, impreziosito dai vari musicisti ospiti della Coltrè e da un songwriting che pur mantenendo un approccio tradizionale al genere, è ricco di talento e di una marcata personalità.
Ammantato da un’atmosfera di raffinato romanticismo, il lavoro risulta un’opera da godere in totale relax: metallico, progressivo e sferzato a tratti da un vento power, segue le coordinate del sound proveniente dal nord Europa, con il grande impegno di forze che dal progressive prendono ritmiche e cambi di tempo, mentre le sinfonie accrescono il mood operistico senza farci sembrare al cospetto della solita band fotocopia di Nightwish e compagnia.
Neon In The Dark, la splendida Luna ed il capolavoro prog/gothic metal Eclipse, seguite dagli epici movimenti sinfonici di Knight Prisoner, sono i momenti più riusciti di un album che non risparmia emozioni a chi avrà la fortuna di fermarsi ad ascoltare quello che Susanna Coltrè è riuscita a creare in virtù di un talento straordinario.

Tracklist
1.Once Upon a Time
2.Neon in the Dark
3.Feel the Air
4.Luna
5.Eclipse
6.Running Before the Dawn
7.Knight Prisoner
8.The Wolf’s Trap
9.Shining Through Our Light

Line-up
Susanna Coltrè: Keyboardist, Pianist and Composer

Collaborations:
Emiliano Cantiano – Drums
Leonardo Barcaroli – Bass
Melania Petrillo – Vocals
Giovanni Saulini – Vocals
Filippo Rosati – Guitars
Fabrizio Proietti – Guitars
Cristiano Neila – Guitars
Vlad Voicu – Guitars
Davide Catania – Guitars
Danilo Carrabino – Guitars

ENTROPY CODING – Facebook

Aborym – Something for Nobody Vol​.​1

Un’uscita interessante, che conferma il valore e la peculiarità di una delle eccellenze nazionali in ambito metal (e non solo).

Dopo aver piazzato con Shfting.Negative un altro fondamentale tassello nel loro percorso artistico, gli Aborym tornano ad offrire musica inedita con questo lavoro intitolato Something for Nobody Vol​.​1.

Ovviamente non siamo di fronte ad un nuovo full length, perché in realtà l’album in questione è incentrato su una lunga traccia intitolata, appunto, Something for Nobody pt.1, la prima parte di una trilogia che Fabban sta scrivendo per farne una colonna sonora, commissionata dal regista Raffele Picchio per il suo cortometraggio Sakrifice.
Anche (ma non solo) per questo i venti minuti della traccia sono attraversati da molte delle pulsioni che animano la creatività del musicista pugliese; così, se per la maggior parte il contenuto è caratterizzato da una ambient a tratti alternativamente delicata ed inquieta, non mancano spunti jazzistici e altri di pungente elettronica senza che venga mai meno l’impronta del marchio Aborym, ormai riconoscibile indipendentemente dal genere musicale offerto.
Il resto del lavoro è completato da cinque remix che vedono un reciproco scambio di cortesie con Keith Hillebrandt (facente parte della cerchia dei Nine Inch Nails) con il sound producer che rimaneggia a modo suo For A Better Part e gli Aborym che fanno altrettanto con la sua Farwaysai, e i romani Deflore che industrializzano You Can’t handle The Truth ricevendo lo stesso favore per la loro Mastica Me; oltre a questi, Fabban cura anche il remix di Deathwish degli ottimi Angela Martyr.
Per mia indole fatico a ritenere i remix, chiunque ne sia l’autore e in qualsiasi ambito, un’operazione in grado di aggiungere o togliere qualcosa all’operato di un musicista o di una band, ma non per questo devono essere trascurate a prescindere, specialmente in questo caso: come detto, dipende molto anche dalla sensibilità e dalla ricettività dell’ascoltatore, resta il fatto che queste cinque tracce, alla fine, si rivelano un buonissimo contorno al brano principale, aumentando i motivi di potenziale interesse di un’opera che conferma il valore e la peculiarità di una delle eccellenze nazionali in ambito metal (e non solo).

Tracklist:
1.Aborym – Something for Nobody pt.1 (Sakrifice)
2.Keith Hillebrandt – For A Better Past (Deconstruction mix by Keith Hillebrandt)
3.Deflore – You Can’t handle the Truth (Evil dub deconstruction by Deflore)
4.Aborym – Deathwish (Ecstasy under duress remix by Aborym)
5.Keith Hillebrandt – Farwaysai (Inertia remix by Fabban, Aborym)
6.Aborym – Mastica Me (Digitalis Ambigua remix by Aborym)

ABORYM – Facebook

Death On Fire – Witch Hunter

Con parti vocali più consone, Witch Hunter avrebbe meritato un voto in più, per ora il buon Kenefic si deve accontentare di un’ampia sufficienza.

Nuova band che si affaccia sul panorama estremo mondiale, i Death On Fire debuttano sulla lunga distanza con Witch Hunter, esordio composto da otto tracce di thrash moderno, rabbioso e a tratti progressivo, tecnicamente ineccepibile ma che perde qualcosina in fruibilità.

Nato nel 2016 dalla mente di Tim Kenefic, polistrumentista e unico membro dei LazerWulf, raggiunto in seguito da altri tre musicisti in sede live, questo solo project ha nel thrash metal di scuola americana il suo muro portante, poi raggiunto da una serie di sfumature progressive che vanno dal jazz alla fusion, pur rimanendo in un contesto estremo.
Il musicista di Chicago si dimostra tecnicamente impeccabile, gli otto brani presenti riflettono una bravura strumentale notevole e a tratti buone idee in fase di songwriting, peccato che il tutto sia offuscato da una prova canora non all’altezza, con uno screaming forzato e fuori a mio parere dalle coordinate stilistiche del sound di Witch Hunter.
Difetto non trascurabile, visto l’ottimo metal estremo prodotto che passa agevolmente da un thrash moderno e tempestoso a parti progressive in cui il talento musicale di Kenefic si valorizza, con partiture musicali perfettamente incastonate tra il muro metallico alzato da brani come la title track, la varia Betrayal e la devastante Never See You Again.
Con parti vocali più consone, Witch Hunter avrebbe meritato un voto in più, per ora il buon Kenefic si deve accontentare di un’ampia sufficienza.

Tracklist
1.Your Lies
2.Witch Hunter
3.Requiem
4.Make The Old Ways New Again
5.Metrayal
6.Meth Dentistry
7.Never See You Again
8.American Scum

Line-up
Tim Kenefic – All Instruments

DEATH ON FIRE – Facebook

Faal – Desolate Grief

Desolate Grief è un lavoro ottimo, che rafforza nei Faal lo status di band di spessore ed emblema di una maniera coerente, efficace e non scontata di interpretare la materia funeral/death doom.

Gli olandesi Faal appartengono ad una scena che, in ambito funeral/death doom, conta su una tradizione consolidata.

L’ultima uscita della band di Breda risale al 2015, quando occupò la seconda meta di uno split album in compagnia degli Eye Of Solitude.
Il brano offerto in quell’occasione, Shattered Hope, era piuttosto rappresentativo del sound dei Faal, una band che, seppure ascrivibile a pieno titolo all’interno del funeral melodico, non rinuncia a a proporre spunti più robusti ed aspri, rendendo sicuramente meno prevedibile la proposta.
Restano però quale fulcro del lavoro le dolenti armonie che i Faal, mai come questa volta, riescono a rendere nel migliore dei modi, avvolgendo l’ascoltatore di una cappa di tristezza che non sfocia mai nella disperazione, lasciando spazio ad una malinconia che si sublima in una brano magnifico come Grief.
No Silence, invece, è esempio lampante di quanto il gruppo olandese riesca a fare quando aumenta i giri del motore, mantenendo alta la tensione e senza smarrire la componente melodica che sarà nostra fedele compagna fino al termine di Desolate Grief: è bellissimo in questa traccia (vicino ai dieci minuti così come le altre tre, escludendo l’intro) il lavoro chitarristico che punteggia prima un notevole crescendo emotivo e poi si lascia andare a quelle litanie funebri, che tanto amano gli appassionati del genere.
Una buona ma meno intensa (nonostante il titolo) Evoking Emotions fa da cuscinetto prima della degna conclusione dell’album con The Horizon, con il growl di William Nijhof che fa vibrare anche le casse, mentre fanno capolino gradite sfumature post metal che vanno ad intrecciarsi con ritmiche ingannevolmente rallentate, visto che a metà brano arriva una sfuriata che rappresenta un ultimo sussulto, quasi una reazione scomposta all’ineluttabile e penosa discesa agli inferi coincidente con la fine di un lavoro ottimo, e che rafforza nei Faal lo status di band di spessore ed emblema di una maniera coerente, efficace e non scontata di interpretare la materia funeral/death doom.

Tracklist:
1. Intro
2. Grief
3. No Silence
4. Evoking Emotions
5. The Horizon

Line-up:
William Nijhof – Vocals
Gerben van der Aa – Guitars
Pascal Vervest – Guitars
Remco Verhees – Drums
Vic van der Steen – Bass
Cátia Uiterwijk Winkel-André Almeida – Synths

FAAL – Facebook

Anatomia – Cranial Obsession

Cranial Obsession, se riferito a questa particolare interpretazione del death doom, è una delle cose migliori ascoltate ultimamente, nonostante le uscite di qualità nel settore non manchino di certo, e questo la dice lunga sul valore intrinseco dell’album e di chi l’ha concepito.

I giapponesi Anatomia sono in circolazione ormai da oltre quindici anni e, anche se Cranial Obsession è solo il loro terzo full length, hanno una discografia disseminata di split album che ne testimoniano un’incessante e non solo quantitativa attività.

Cranial Obsession dovrebbe riconciliare chiunque con il death doom, non quello melodico e intriso di malinconia tipico del vecchio continente, bensì con quello più aspro e diretto proveniente dall’altra parte dell’oceano: il malefico terzetto nipponico ci costringe ad un headbanging furioso con brani killer come Morbid Hallucination. per poi subito dopo rallentare i ritmi fino all’asfissia con Excarnated.
Se vogliamo, in questi quindici minuti centrali dell’album risiede la chiave di lettura dell’operato degli Anatomia, i quali, da una matrice death nel solco degli Autopsy, spaziano a loro piacimento in universo doom mai così distorto, cupo, ossessivo e poco rassicurante: tutto quanto viene fatto con una cura tipicamente giapponese senza che per questo la ruvidezza e la sporcizia ne risultino attenuate  a livello d’impatto sonoro.
Il sound dei nostri è istintivamente malsano, ma possiede una misteriosa capacità di avvolgere l’ascoltatore nelle proprie minacciose spire fino a renderne vana ogni possibile difesa: se Vanishment e Uncanny Descension sono l’equivalente di una navigazione a vista piena di mortali insidie , Absymal Decay descrive un’idea di funeral doom priva di spazio per recriminazioni o atti misericordiosi, mentre la dronica e sperimentale Recurrence ci anticipa il pianto e lo stridore di denti che attende tutti, si spera il più tardi possibile.
Cranial Obsession, se riferito a questa particolare interpretazione del death doom, è una delle cose migliori ascoltate ultimamente, nonostante le uscite di qualità nel settore non manchino di certo, e questo la dice lunga sul valore intrinseco dell’album e di chi l’ha concepito.

Tracklist:
1. Necrotic Incisio
2. Fiend
3. Vanishment
4. Morbid Hallucination
5. Excarnated
6. Uncanny Descension
7. Abysmal Decay
8. Recurrence

Line-up:
Jun Tonosaki – Bass, Vocals
Takashi Tanaka – Drums, Vocals
Yukiyasu Fukaya – Guitars, Vocals (backing)

ANATOMIA – Facebook

Totenwagen – Notte Di Guai

Tutto è originale e molto molto partenopeo: Napoli è una città ricca e dalle tantissime contraddizioni, perché è piena di vita, e la vita porta conflitto, come questo disco meravigliosamente unico.

Gli Squallor del metal, ma nemmeno del metal, sono proprio una cosa mai vista questi napoletani.

Squallor per l’attitudine assolutamente senza compromessi e libera. Come ebbe a dire la mai abbastanza famosa Susanna Messaggio, questi ragazzi sono così metal che lo fanno senza chitarre, ed è proprio vero, non hanno le chitarre. Cantano in tedesco ed in napoletano e ci portano nel loro potentissimo circo musicale e non solo. Detta così sembrerebbe un’operazione un po’ vaga, ma bisogna davvero sentire il disco per capire, tanto più che i Totenwagen lo regalano in download libero. C’è di tutto qui dentro, come una folle corsa in una notte di guai per i vicoli partenopei, ma soprattutto troviamo la musica vera, quella sentita e senza pose. Attraversando Notte di Guai si passa per tantissimi territori, davvero troppi da elencare, ma è la sintesi dei Totenwagen quella che conta. Notte di Guai potrebbe essere una storia gothic punk metal, dove il lo fi incontra la qualità intellettuale, e seguite molto bene i testi perché sono interessanti. Strane chitarre, batteria che pulsa, un basso che indica la via, organo che entra sempre benissimo ed un cantato collettivo che sale al cielo come un sol uomo. Notte di Guai è davvero un’esperienza unica sia da sentire che da vivere tout court. Tutto il disco è bellissimo, ma ci sono momenti di pura genialità come Spit And Run per dirne una, un veloce rock italiano anni 80. Ma qui tutto è originale ed unico, e molto molto partenopeo, perché Napoli è una città ricca e dalle tantissime contraddizioni, perché è piena di vita, e la vita porta conflitto, come questo disco meravigliosamente unico. Per me uno dei dischi più belli dei primi mesi del 2018.

Tracklist
1.Bestialische Friedenlust
2.Nocturno punk
3.Quando cala la notte… Allor’ si te ne fotte
4.Spit and run
5.Beschmutzer
6.Nduvosck
7.Notte di guai
8.Audacess
9.Funerale all’ italiana

TOTENWAGEN – Facebook

Drawn And Quartered – Feeding Hell’s Furnace

Con i suoi tre quarti d’ora torturati da colpi di death metal vecchia scuola, Feeding Hell’s Furnace è consigliato ai fans del genere che ancora amano i vecchi e un po’ romantici nastri magnetici.

Altra ristampa licenziata dalla label francese Krucyator Productions questa volta dedicata ad un combo storico della scena death metal statunitense, i Drawn And Quartered.,

Il trio si forma a Seattle nel lontano 1993, diventando una band di culto nel panorama estremo con una serie di lavori di ispirazione old school e molto vicino al brutal.
Sei lavori sulla lunga distanza ed una manciata di opere minori sono l’eredità che i Drawn And Quartered hanno lasciato fino ad ora agli amanti del genere, questo brutale assalto estremo dal titolo Feeding Hell’s Furnace uscì cinque anni fa sotto l’ala dell’etichetta greca Nuclear Winter Records, ed ora è reso disponibile dalla label transalpina anche in musicassetta.
Con due bonus track come piccolo regalo per i fans tratte dall’ep Conquerors of Sodom del 2011 (la title track e Seed Of Insanity), Feeding Hell’s Furnace è ancora una volta pronto a brutalizzare i padiglioni auricolari dei deathsters dai gusti old school.
Il trio americano è una macchina da guerra, la tensione è altissima, l’oscurità regna sovrana e l’album non concede tregua tra furiosi blast beat, atmosfere maligne ed eterne cadute negli abissi più profondi dove regna il male.
Vecchie volpi del genere, i tre musicisti sanno come manipolare la materia, portando un attacco frontale che non conosce pause, di chiara scuola Bay Area tra Cannibal Corpse, Morbid Angel e Massacre.
Con i suoi tre quarti d’ora torturati da colpi di death metal vecchia scuola, Feeding Hell’s Furnace è consigliato ai fans del genere che ancora amano i vecchi e un po’ romantici nastri magnetici.

Tracklist
1. Stabwound Invocation
2. Feeding Hell’s Furnace
3. A World in Ashes
4. Mutilated Offerings
5. Lustmörder
6. Horde of Leviathan
7. Gravescape
8. Cryptic Consecrations
9. No Absolution
10. Conquerors of Sodom
11. Seed of Insanity

Line-up
Kelly Kuciemba – Guitars
Herb Burke – Bass, Vocals
Dario Derna – Drums

DRAWN AND QUARTERED – Facebook

Bunkur / Mordor – Split LP

Gli olandesi Bunkur e gli svizzeri Mordor, prendono due brani a loro modo storici e li stravolgono piegandoli alla loro deviata idea di metal estremo.

Affermare a proposto di questo split album che non si tratta di musica alla portata di tutti è quantomeno un eufemismo: le due band coinvolte, gli olandesi Bunkur e gli svizzeri Mordor, prendono due brani a loro modo storici e li stravolgono piegandoli alla loro deviata idea di metal estremo.

I Bunkur vedono la loro genesi nei primi anni del secolo, ma a parte un certo attivismo tra il 2002 ed il 2004, le loro ultime tracce risalgono al full length Nullify, del 2009.
Dopo tutto questo tempo il quartetto di Tilburg torna a resettare certezze ed alimentare inquietudini, ripescando The
Subhuman
, terza traccia del demo d’esordio dei Carnivore del mai abbastanza compianto Peter Steele; se l’originale sbatteva in faccia all’ascoltatore un sentire misantropico e politicamente scorretto, che per l’epoca (si era nel 1984) era senza’altro una rarità, i Bunkur ne esaltano e dilatano la negatività deformandolo, destrutturandolo e restituendone l’impatto sotto forma di un doom dronico e penoso nel suo trascinarsi, tra una voce che vomita disperazione e un percussivismo malato che punteggia il rumoristico rombo creato dagli altri strumenti.
In sintesi, oltre venti minuti pressoché inascoltabili con più di un buon motivo per la maggior parte delle persone e, quindi, assolutamente e genialmente unici per una probabilmente risibile minoranza (della quale faccio parte).
Dopo essere usciti da quest’esperienza il passaggio al mondo dei Mordor diviene paradossalmente più semplice, anche se pure qui l’idea condivisa di musica viene accartocciata e cestinata quasi subito: questa band di Losanna ritorna addirittura sulle scene dopo oltre vent’anni, avendo alle spalle una manciata di split e demo usciti tra il 1991 ed 1994.
Gli elvetici prendono In League with Satan dei Venom, ne cambiano il titolo consacrandola a Wotan e la trasfigurano rendendola un grottesco coacervo di black, doom e industrial a suo modo affascinante, ma che ha il solo difetto d’arrivare dopo la prova di forza impartita dai Bunkur, per cui il tutto finisce per impressionare inevitabilmente molto meno. A loro va dato il merito, così come per i compagni di split, di avere stravolto e deformato un brano, portando avanti un’idea di cover che ha, comunque, molto più senso di chi si limita a prendere il pezzo originale cambiandone più o meno solo l’arrangiamento ma mantenendone intatta la struttura musicale.
Qui sta alla fine il motivo per cui questo split album acquisisce un valore notevole, a maggior ragione tenendo conto del fatto che l’imprevedibilità e la sporadicità delle apparizioni di queste due band non forniscono alcuna garanzia sul fatto che le si possano nuovamente incontrare in tempi ragionevolmente brevi.

Tracklist:
1. Bunkur – The Subhuman (Carnivore cover)
2. Mordor – In League with Wotan (Venom cover)

Line-up:
Bunkur
S. van Bussel – Bass
T13 – Drums, Vocals
G.J. – Broers Keyboards
M07 – Vocals, Bass

Mordor
Dam Gomhory – Bass, Vocals, Percussion
S3th – Guitars
Opale Ablasorh – Vocals
Scorh Anyroth – Vocals, Guitars, Machines

Paroxsihzem – Paroxsihzem

I canadesi Paroxsihzem tornano dall’inferno grazie alla Krucyator Productions che ristampa in formato musicassette il loro unico lavoro sulla lunga distanza in dieci anni di attività, uscito originariamente autoprodotto nel 2010, poi ristampato due anni dopo dalla Dark Descent Records e nel 2013 licenziato in vinile dalla Hellthrashers Productions.

La loro discografia viene completata da una manciata di lavori minori tra cui l’ultimo diabolico parto uscito lo scorso anno in formato ep, dal titolo Abyss Of Coiling Atrocities.
I Paroxsihzem sprigionano caos in musica, e il loro metal estremo, misantropico e marcio fino al midollo risulta davvero insostenibile se non si è avvezzi ai generi di cui sopra estremizzati da piaghe di disagio notevoli.
Questo album omonimo rispecchia la totale mancanza di speranza e luce, con la band avvolta nell’oscurità ed ispirata da filosofie diaboliche in un contesto di musica primordiale, pesantissima e senza compromessi: un macabro esempio di metal estremo senza soluzione di continuità, brutale ed oscuro che ne esce come una lunga litania estrema divisa in sette terribili e maligni capitoli.
Gli estimatori della band canadese, in attesa del prossimo capitolo dopo l’ep dello scorso anno, nel frattempo si possono gustare questa sofferenza in musica targata Krucyator Productions.

Tracklist
1.Intro
2.Vanya
3.Nausea
4.Deindividuation
5.Godot
6.Tsirhcitna Eht
7.Aokigahara

Line-up
Album Line Up:
Impugnor — Guitar/Bass
Krag — Vocals
Frog — Drums

Current Line Up:
Impugnor — Guitars/Bass
Krag — Vocals
Abhorr — Guitar
Abyss — Drums
Subjugator — Bass

PAROXSIHZEM – Facebook

Wrath Sins – The Awakening

The Awakening stupisce ed esalta, dalla produzione al songwriting, dalla tecnica con cui è suonato fino all’atmosfera che rimane di tensione estrema dalla prima all’ultima nota.

I Wrath Sins sono una band portoghese attiva dall’inizio del decennio e messasi già in luce con il full length d’esordio Contempt over the Stormfall del 2015.

Il quartetto lusitano torna a deliziare gli ascoltatori con The Awakening, un album di nobile heavy metal che non rinuncia a mitragliate devastanti di thrash classico e di chiara ispirazione statunitense, valorizzato da aperture progressive ed atmosfere drammatiche in una tempesta di metallo incandescente.
Siamo nel mondo dei mostri sacri del genere, Testament, Exodus e primi Metallica, lasciati a familiarizzare con i Dream Theater quel tanto che basta per dar vita ad una sequela di brani di una potenza imbarazzante.
Se volete potete chiamarlo prog metal, ma di quello cattivissimo e ruvido come la schiena di un caimano affamato tanto da divorare tutto quello che incontra, lasciando pochi brandelli di carne ed ossa.
The Awakening stupisce ed esalta, dalla produzione al songwriting, dalla tecnica con cui è suonato fino all’atmosfera che rimane di tensione estrema dalla prima all’ultima nota e che fa di brani come Collision, Shadows Kingdom e la title track delle autentiche bombe sonore dall’impatto di un’atomica.
Il quartetto si avvale di una padronanza strumentale di altissimo livello, ma che non va ad intaccare una forma canzone che, nella sua estrema natura, ha quasi del miracoloso; un album di una bellezza ed una forza che impressionano e quindi da custodire gelosamente tra i gioielli metallici di questi ultimi tempi.

Tracklist
1.Beneath Black Clouds
2.Unquiet Heart
3.Shadow’s Kingdom
4.Collision
5.The Sun Wields Mercy
6.Fear of the Unseen
7.Strepidant Mist
8.Between Deaths Line
9.The Awakening
10.Silence from Above

Line-up
Mike Silva – Vocals & Guitars
Rui Coutinho – Guitars
Ricardo Nora – Bass & Back Vocals
Diego Mascarenhas – Drums

WRATH SINS – Facebook

Auroch – From Forgotten Worlds

Ispirato nei testi dall’immaginario lovecraftiano, From Forgotten Worlds è un furioso assalto senza soluzione di continuità, oscuro e mefistofelico, estremo e profondo, tanto da lasciare un’impressione notevole nell’ascoltatore specialmente per l’impatto devastante del sound.

Uscito originariamente nel 2012, From Forgotten Worlds è il primo full length dei canadesi Auroch, ristampato dalla Krucyator Productions in versione musicassetta.

La band, attiva dal 2008, dopo altri due lavori sulla lunga distanza (Taman Shud del 2014 e Mute Books, uscito lo scorso anno) ed una manciata di lavori minori, ha avuto nel frattempo qualche cambio in line up, ora composta da Sebastian Montesi (chitarra e voce), Shawn Hache (basso e voce) e Zack Chandler (batteria).
From Forgotten Worlds ai tempi dell’uscita confermava le ottime impressioni suscitate dai due precedenti demo, con il loro metal estremo che prendeva forza tanto dal death metal quanto dal black, sconfinando addirittura nel grind.
Ispirato nei testi dall’immaginario lovecraftiano, From Forgotten Worlds è un furioso assalto senza soluzione di continuità, oscuro e mefistofelico, estremo e profondo, tanto da lasciare un’impressione notevole nell’ascoltatore specialmente per l’impatto devastante del sound.
Licenziato dalla Hellthrashers Productions in cd, l’album fu ristampato in vinile lo scorso anno via 20Buckspin e ora in musicassetta, a ribadire l’assoluta attitudine underground del progetto.
Siamo al cospetto di un sound senza compromessi, marcio ed estremo, occulto e misantropico, un muro sonoro attraverso il quale la luce non passa ed il buio regna sul mondo governato dagli Auroch.
Morbid Angel e Deicide, rafforzati da tempeste di thrash e black metal, sono gli ispiratori di brani davvero mostruosi come Fleshless Ascension (Paths Of Dawn) e Terra Akeldama, i migliori di un lavoro sicuramente da non perdere per gli amanti del metal estremo più oscuro e maligno.

Tracklist
1. From Forgotten Worlds
2. Fleshless Ascension (Paths of Dawn)
3. Slaves to a Flame Undying
4. Dregs of Sanity
5. Pathogenic Talisman (For Total Temporal Collapse)
6. Terra Akeldama
7. Bloodborne Conspiracy
8. Tundra Moon

Line-up
ALBUM LINEUP:
Sebastian Montesi — Guitars, Vocals, Bass, Lyrics
Paul Ouzounov— Guitars, Vocals
Zack Chandler— Drums

Current Line Up :
Sebastian Montesi — Guitars, Vocals
Shawn Hache— Bass, Vocals
Zack Chandler— Drums

AUROCH – Facebook

Esoteric – Esoteric Emotions-The Death of Ignorance

Riedizione in formato cd, da parte della Aesthetic Death, del demo d’esordio degli Esoteric, rimasterizzato dallo stesso Greg Chandler e rivestito di una nuova veste grafica: come si vede, non mancano i motivi di interesse per gli appassionati di doom.

Se ogni tanto la riedizione dei primi passi discografici di una band può risultare superflua se non addirittura fuorviante, sia a causa di suoni non ottimali sia perché poco rappresentativa dello stile musicale sviluppato in seguito, di certo lo stesso non si può dire riguardo alla riproposizione in formato cd del primo demo degli Esoteric, intitolato Esoteric Emotions – The Death Of Ignorance.

E’ stata una serie di favorevoli coincidenze, tra le quali la ricorrenza del venticinquesimo anno di attività della band e l’unità di intenti da parte di Greg Chandler e Stu Gregg (proprietario della Aesthetic Death), a rendere nuovamente disponibile sul mercato un lavoro che ormai era reperibile solo sotto le sembianze di bootleg dallo scadente rapporto qualità/prezzo, offrendolo al contrario in un formato curato anche dal punto di vista grafico e sonoro.
Al di là della bontà dell’opera, che per assurdo andrebbe ascoltata senza conoscere la successiva produzione di uno dei gruppi monumento del doom, in modo da poterla apprezzare senza subire una percezione distorta del suo valore, preme rimarcarne l’importanza storica, dato che uscì in un periodo, l’inizio degli anni novanta, nel quale diverse band stavano cominciando a proporre quella forma diluita e rallentata all’inverosimile di death metal che sarebbe poi divenuta il funeral.
A differenza di molti altri musicisti, Greg Chandler non rinnega affatto quanto composto e pubblicato agli inizi della carriera e, nonostante gli Esoteric sia siano con il tempo trasformati in una band giustamente oggetto di culto per la sua interpretazione del genere che ne rifugge gli stilemi tipici , la scelta di riproporre il demo in versione rimasterizzata dimostra più di tante parole quanto egli stesso ritenga quella prima uscita un passo importante, non solo dal punto di vista storico, ma anche da quello dello sviluppo futuro del sound del suo gruppo.
D’altra parte Esoteric Emotions – The Death of Ignorance non appare neppure oggi così obsoleto, a ben vedere, perché non di rado capita di ascoltare lavori di band che si rifanno senza troppe remore a quelle sonorità, a tratti crude ed essenziali, che racchiudono i prodromi di quel funeral doom dei quali gli Esoteric, assieme a Thergothon, Skepticism, Evoken, Mournful Congregation  e Disembowelment, hanno dettato alcune delle principali linee guida.
Per chi nutrisse qualche dubbio, l’ascolto di due brani magnifici come Scarred e Eyes of Darkness (non a caso i due più lunghi e “funerei” dell’opera) dovrebbe dissipare ogni residua perplessità, rendendo l’acquisto di questo frammento di storia del metal estremo qualcosa in più di un semplice atto dovuto.

Tracklist:
1. Esoteric
2. In Solitude
3. Enslavers of the Insecure
4. Scarred
5. Eyes of Darkness
6. Infanticidal Fantasies
7. Expectations of Love
8. The Laughter of the Ignorant

Line-up:
Original line-up
Bryan Beck – Bass
Stuart – Guitars
Gordon Bicknell – Guitars, Keyboards
Greg Chandler – Vocals
Darren Earl – Drums
Simon Phillips – Guitars

ESOTERIC – Facebook

Thal – Reach For The Dragon’s Eye

I Thal sono un gruppo che attira con immediatezza, provocando sensazioni molto forti e che non ti aspetteresti da un suono così minimale ma potente.

Un interessante composto sonoro minimale che ha come attori la chitarra e la batteria e che, attraverso una particolare alchimia, ci porta lontano.

Al primo ascolto questo debutto dei Thal potrebbe sembrare particolarmente scarno e privo di alcuni elementi sonori. Invece, quando si compenetra maggiormente la musica del gruppo, si può capirne la grande forza. Il genere percorso è un qualcosa fra Clutch, Hollow Leg per rimanere in casa Argonauta, e lo stoner doom più minimale. Grazie ai loro intrecci sonori il duo composto da John “ Vince Green “ Walker alla chitarra ed altro e alla batteria da Kevin Hartnell riesce a far nascere una psichedelia pesante altra, piena dell’essenza lisergica capace di portare in alto l’ascoltatore. Le stimmate del suono dei Thal fanno facilmente intuire la grande capacità compositiva nel comporre musica pesante, non soffermandosi su un solo elemento ma investendo molto sull’ampliare le reazioni al loro suono. I Thal sono nati come progetto solista di John Walker, che registrando l’album dei wytCHord, Death Will Flee, si è accorto del particolare modo di suonare la batteria di Kevin Hartnell, ed ascoltandolo in questo album si può facilmente capire. Oltre a questo Hartnell c’è un qualcosa di primitivo in questo disco, un suono che diventa pienamente groove e sale verso il cielo come fosse un rituale in musica. I Thal sono un gruppo che attira con immediatezza, provocando sensazioni molto forti e che non ti aspetteresti da un suono così minimale ma potente. Ci sono moltissimi elementi condensati in queste onde sonore che parlano della durezza e delle difficoltà della vita, il tutto attraverso un filtro di forte esoterismo, che è la chiave per molte cose.

Tracklist
1. Rebreather
2. Under Earth
3. Her Gods Demand War
4. Thoughtform
5. Soulshank
6. Death of the Sun
7. Punish
8. Reach for the Dragon’s Eye

Line-up
John “Vince Green” Walker – Vocals, Guitars and Bass
Kevin Hartnell – Drums, Guitars and Synth

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