Ormyst – Arcane Dreams

Il gruppo è giovane, restiamo in attesa di un secondo lavoro che dia ragione al talento della vocalist lasciando più spazio alla sua personalità.

Il symphonic metal, insieme ad un altro paio di generi, dopo un periodo di elevata qualità nelle uscite discografiche trova in questo periodo un momento di stasi.

Certo, i fasti del bellissimo album degli Epica e, a seguire, di varie realtà underground (specialmente italiane) continuano a regalare ottima musica agli amanti dei suoni orchestrali, e le nuove eroine vestite di nero e dalle ugole d’usignolo imperversano dietro ai microfoni delle metal band dal piglio sinfonico o, come nel caso dei francesi Ormyst dalle sonorità molto più vicine al metal progressivo.
Ed infatti questa misteriosa band transalpina (ma sulla pagina Facebook alla voce informazioni, scriverci qualcosina …. magari) capitanata dalla singer Sophia Lawford, novella Tarja Turunen, al metal sinfonico leggermente gotico di preferisce un approccio progressivo, tanto per mettere in luce la bravura tecnica dei componenti ma, al netto di un songwriting discreto, incapace di rendere la musica del gruppo quanto meno originale.
Infatti, nei brani in cui il prog metal prende il sopravvento, la band perde qualcosina in impatto, con la voce che rende palesemente di più sui brani sinfonici, fortunatamente in maggioranza su Arcane Dreams.
Rimane un senso di forzatura nell’ascoltare la pur ottima singer su brani scritti per essere interpretati con una timbrica diversa, mentre su canzoni spiccatamente gotiche come Taste Of Your Tears la voce esce in tutto il suo splendore, richiamando le icone femminili del metal sinfonico.
A fronte di brani buoni nel loro già sentito, in questo debutto prevale l’immaturità artistica di una band al debutto, ancora lontana dal poter percorrere agilmente i sentieri del genere con brani come Following Tree Ghost, Dreamsailor o Randomization.
Il gruppo è giovane, restiamo in attesa di un secondo lavoro che dia ragione al talento della vocalist lasciando più spazio alla sua personalità.

TRACKLIST
1. Beneath the Hat
2. Following Three Ghosts
3. Above Airplanes
4. Taste of Your Tears
5. Lady Shalott
6. Scratching Game
7. Dreamsailor
8. Back to Salem
9. Randomization
10. Arcane Dreams

LINE-UP
Sophia Lawford : Vocals, Bass
Sébastien : Guitar
Yvann Drokmar : Bass
D. L. Brandon : Keyboard
Donovan : Drums

ORMYST – Facebook

Hteththemeth – Best Worst Case Scenario

Best Worst Case Scenario è un album che ha le carte in regola per trovare molti estimatori anche nel resto d’Europa, trattandosi di un’opera sorprendente per versatilità e creatività.

Hteththemeth è un progetto musicale che ha mosso i suoi primi passi alla fine del secolo scorso, per volere di Läo Kreegan and Jamm Klirk.

Risale al 1999, infatti, l’unico full length realizzato dal gruppo fino al 2016, anche se di fatto l’album di cui parleremo ora, Best Worst Case Scenario, ha iniziato a prendere vita nel 2000 per essere poi progressivamente completato e rifinito solo in questo decennio, quando Kreegan, perso per strada l’iniziale compagno di avventura, si è attorniato di un gruppo di validi e giovani musicisti.
Ciò ha consentito alla band rumena di farsi un nome in patria, suonando con una certa continuità dal vivo e partecipando con successo a diversi contest di prestigio (ultimo dei quali quello che ha consentito loro di salire sul palco di Wacken l’anno scorso).
Best Worst Case Scenario è un album che ha le carte in regola per trovare molti estimatori anche nel resto d’Europa, trattandosi di un’opera sorprendente per versatilità e creatività, in quanto spazia senza smarrirsi tra generi che, a tratti, si potrebbero considerare antitetici.
Il lavoro assume le sembianze di un concept, che è poi la soluzione più logica per giustificare i costanti cambi di tempo, stile ed umore che lo permeano: se la base del sound può essere ricondotta al prog metal, l’introduzione repentina di umori blues, soprattutto, spesso spariglia le carte senza che il tutto finisca per apparire frammentario.
Il racconto, così come la genesi della band ed il suo stesso impronunciabile monicker,  pare sia stato ispirato da un sogno fatto da Kreegan e verte sulle diverse fasi di un’esistenza che, progressivamente, da un’apparente perfezione giunge infine alla rovina: è sempre difficile interpretare tutto quanto abbia natura onirica, di certo però aiuta non poco ad immergersi nel clima del lavoro l’ottimo art work, visionario quanto la musica in esso contenuta.
Best Worst Case Scenario possiede così tutti i crismi per una messa in scena teatrale, che corrisponde  a quella proposta sia su disco sia dal vivo da Kreegan, che non è un vocalist con doti fuori dal comune ma riesce, comunque, a conferire il giusto pathos alla propria interpretazione: volendo fare un parallelismo un po’ azzardato si potrebbe considerare il vocalist di Brasov una sorta di Jon Oliva rumeno, sia fisicamente, sia per la timbrica da crooner che utilizza soprattutto nelle parti blues.
E sicuramente i Savatage, o ancor più forse la Transiberian Orchestra, appaiono quali naturali punti di riferimento iniziali per gli Hteththemeth, anche se l’album trova un accostamento ancor più logico ed attuale con il magnifico Maestro degli israeliani Winterhorde, sia pure collocandosi ancora un gradino sotto rispetto ad un simile capolavoro.
Una prima parte notevole, ma per certi versi più lineare, nella quale spiccano le ampie melodie di Light Truths e il prog metal nervoso di They Will Not Believe What I Will Say, viene letteralmente sovvertita da The Romantic Side of Paris, brano che in avvio sembra provenire da Cafè Bleu degli Style Council (ma cantato dal Mountain King invece che da Paul Weller) per poi trasformarsi in un torrido blues, nel quale un profondo segno viene lasciato da un hammond assassino, il tutto replicato poi dalla delirante Olga’s Little Secret, nella quale la commistione linguistica tra il rumeno e l’inglese si rivela del tutto vincente.
You Are My Last Girlfriend è il brano di punta dell’album, essendo dotato di spunti melodici difficili da rimuovere dalla mente, con tanto di splendido assolo di chitarra finale; da qui in poi l’album parrebbe riprendere un andamento più “normalmente progressivo” che viene nuovamente rivoltato da una I Get and I Give but I Never Forget and I Never Forgive all’interno della quale scorrono diverse sfumature musicali di ogni tipo senza che tutto ciò, incredibilmente, possa apparire illogico.
La bravura degli Hteththemeth è, paradossalmente, proprio quelle di preparare fin da subito l’ascoltatore al procedere caleidoscopico dell’album, facendo sì che ogni cambiamento di “scenario” (migliore o peggiore che sia, parafrasandone il titolo) non appaia qualcosa di inatteso, bensì di assolutamente naturale e strettamente connaturato ad un racconto delirante.
In definitiva, Best Worst Case Scenario si rivela un lavoro convincente dalla prima all’ultima nota: la “unhuman music” (come la ama definire Kreegan) viene eseguita dalla band con notevole perizia, andando ad aggiungere una nuova freccia all’arco di una scena metal rumena sempre più vivace. Considerando che gli Hteththemth hanno finalizzato solo oggi un lavoro che aveva preso vita praticamente all’inizio del secolo, prendendo slancio dai buoni riscontri ottenuti in patria potrebbero essere spinti, in un prossimo futuro, a produrre nuovo materiale altrettanto interessante: sicuramente, chi non ama complicarsi la vita mettendo paletti ovunque, troverà di che divertirsi con questo stimolante album.

Tracklist:
1. The Prophecy
2. They Will Not Believe What I Will Say
3. Light Lies
4. Light Truths
5. Happy to Be Sad
6. The Romantic Side of Paris
7. Best Worst Case Scenario
8. Olga’s Little Secret
9. You Are My Last Girlfriend
10. The Calm Before the End
11. I’m in Hate
12. I Get and I Give but I Never Forget and I Never Forgive
13. The Romantic Side of Perish
14. They Will Not Believe What I Have Done
15. Epiclogue

Line up:
Lao Kreegan – Vocals
Robert Cotoros – Guitars, Vocals (backing)
Costea Codrut – Drums
Lucian Popa – Guitars
Vlad Andrei Onescu – Keyboards
Koldr – Bass

HTETHTHMETH – Facebook

Althea – Memories Have No Name

Il gruppo milanese risulta maestro nel creare passaggi ora suadenti, ora intimisti, toccando svariate sfumature melodiche e generi diversi che confluiscono in un’opera completa sotto tutti gli aspetti.

I buoni riscontri che Memories Have No Name ha ottenuto qualche mese fa da varie webzine, tra le quali la nostra, ha consentito agli Althea di destare l’interesse di diverse label, tra le quali la più lesta ad accaparrarsene le prestazioni è stata la Sliptrick Records, che ha licenziato la versione fisica dell’album proprio in questi giorni.
Ci sembra opportuno, quindi, rinfrescare la memoria degli ascoltatori riproponendo la nostra recensione risalente allo scorso dicembre.

E’ durissima la vita per chi decide (spronato da una passione infinita per il mondo delle sette note), di dedicare gran parte del suo tempo ad alimentare un webzine come la nostra.

Sempre a rincorrere le tonnellate di materiale che puntualmente (e fortunatamente) arrivano alla base, con poche persone che hanno voglia di mettersi in gioco e dare una mano (anche e soprattutto nell’ambiente) e sempre i soliti che tra famiglia, l’odiato lavoro, gli scazzi di una vita sempre più difficile e gli anni che cominciano ed essere tanti sul groppone, portano inevitabilmente a quei momenti no dove tutto quello che si fa appare inutile e la voglia di mollare fa capolino nella testa.
Poi d’incanto tutto torna ad avere un senso, le dita scorrono sulla tastiera più fluide che mai mentre le note di un bellissimo album che, probabilmente, non sarebbe entrato mai nella propria sfera musicale se non fosse giunta una richiesta di ascolto da parte del gruppo protagonista di cotanta maestria musicale.
E allora pronti e via per questo viaggio in musica sulle note progressive dei nostrani Althea, quintetto lombardo fondato dal chitarrista Dario Bortot e dal bassista Fabrizio Zilio, al primo full length ma con un ep alle spalle (Eleven) risalente ad un paio di anni fa .
Memories Have No Name è un bellissimo concept di un solo brano diviso in sedici capitoli, incentrati sui ricordi e sull’impatto che questi hanno su due diversi personaggi, raccontato con il supporto della musica totale per antonomasia, il progressive.
Il sound di questo lavoro, pur mantenendo un approccio metallico alla musica progressiva, è molto più rock di quello che ad un primo ascolto si può recepire, il gruppo milanese risulta maestro nel creare passaggi ora suadenti, ora intimisti, toccando svariate sfumature melodiche e generi diversi che confluiscono in un’opera completa sotto tutti gli aspetti.
Hard rock, AOR, metal prog ed un pizzico di rock moderno sono gli ingredienti principali di Memories Have No Name, album che sotto l’aspetto dell’emozionalità tocca vette sorprendenti.
La bravura dei musicisti coinvolti non si discute, ma sono appunto il calore e le emozioni che sprigionano dai vari capitoli a rendere l’opera un piccolo gioiello progressivo, con Paralyzed che, subito dopo l’intro, mostra la parte più metallica del sound, avvicinando il gruppo alla musica dei Dream Theater.
E allora direte voi?
Basta saper aspettare e la musica degli Althea saprà sorprendervi con un continuo ed entusiasmante cambio di atmosfere, dove i momenti topici sono quelli in cui l’anima intimista e sperimentale prende il comando dello spartito regalando momenti di ottima musica progressiva, con i vari intermezzi che non risultano riempitivi ma fondamentali momenti acustici ed atmosferici (A New Beginning, Drag Me Down e la title track) e tracce capolavoro come Halfway Of Me, Leave It For Tonight (brano progressivo dai rimandi beatlesiani), con la ballad Last Overwhelming Velvet Emotion (L.O.V.E.), dallo smisurato impatto emotivo.
Parlare di influenze è riduttivo, ma il paragone a mio parere più calzante (e con le dovute differenze) è con gli Active Heed di Umberto Pagnini, specialmente nel talento innato per le melodie e per le emozioni che suscita la musica prodotta: Memories Have No Name è un lavoro imperdibile per gli amanti delle sonorità progressive.

TRACKLIST
1.Regression From Regrets
2.Paralyzed
3.A New Beginning
4.Revenge
5.Drag Me Down
6.Halfway Of Me
7.Intermediated pt. 1
8.I Can’t Control My Mind
9.Intermediated pt. 2
10.Leave it for Tonight
11.Memories Have No Name
12.The Game
13.Last Overwhelming Velvet Emotion (L.O.V.E)
14.Take Me As I Am
15.Anything We’ll ever be
16.A Final Reflection

LINE-UP
Dario Bortot – Guitar
Fabrizio Zilio – Bass
Marco Zambardi – Key and Loops
Sergio Sampietro – Drums
Alessio Accardo – Vocal

ALTHEA – Facebook

Presence – Masters And Following

Masters And Following rappresenta il ritorno soddisfacente di una band ritrovata, per la quale si spera che questo sia solo l’inizio di una nuova e prolifica fase della sua storia.

Il fatto stesso che una band definibile in qualche modo di culto, come lo sono i Presence, si rifaccia viva dopo un lungo silenzio costituisce di per sé un evento, per cui resta solo da valutare quanto il trascorrere del tempo abbia influito o meno sull’operato del gruppo napoletano.

Indubbiamente, se si intendesse utilizzare quale termine di paragone un lavoro come Black Opera, che portò in maniera dirompente i Presence all’attenzione del pubblico nel 1996, sarebbe un partire con il piede sbagliato: vent’anni sono un lasso temporale che non può lasciare alcunché di immutato, tanto più se i musicisti, al di là delle centellinate uscite discografiche con questo monicker, sono stai attivi in altre vesti e alle prese con sfumature musicali differenti.
Ed è proprio un’accentuata varietà stilistica l’aspetto che colpisce maggiormente al primo impatto con Masters And Following: i Presence spaziano dal progressive più classico a quello metallizzato, passando attraverso pulsioni pop e hard rock, e a tutto questo non è certo estranea la decisione di annoverare tra i 13 brani del cd contenente i brani inediti anche ben tre cover, pure queste di natura variegata se pensiamo al rock settantiano di The House On The Hill degli Audience, alla NWOBH di Freewheel Burning dei Judas Priest ed al pop danzereccio di This Town Ain’t Big Enough For The Both Of Us degli Sparks (versione riuscitissima questa, che peraltro mi ha indotto a rivalutare quale fosse la caratura dei fratelli Mael, snobbati all’epoca da molti di noi imberbi fans del progressive).
In Masters And Following si attraversano così in maniera naturale tutte queste anime musicali immortalate da una serie di brani a mio avviso complessivamente riusciti, grazie ai quali, volendo giocare con il titolo dell’album, l’appellativo di “masters” nei confronti dei Presence calza a pennello …
Sicuramente il lavoro (del quale ho omesso inizialmente di dire che consta di un doppio cd, il secondo dei quali ripercorre la carriera del gruppo tramite una serie di canzoni registrate dal vivo) trova il suoi meglio nella parte iniziale, visto che la title track, Deliver e Now sono tre tracce differenti quanto efficaci, e soprattutto esaustive dell’incorrotta capacità della premiata ditta Baccini, Iglio, Casamassima di creare atmosfere coninvolgenti, nelle quali la robustezza del metal si sposa con naturalezza ad un tocco tastieristico settantiano e ad una voce come quella di Sophya che, come sempre, non si risparmia.
Diciamo anche, per converso, che dopo il trittico delle cover inframmezzato dal notevole strumentale Space Ship Ghost, la tensione scema leggermente senza che il livello complessivi si abbassi a lambire livelli di guardia, ritrovando anzi un’altra notevole impennata con un brano bellissimo come Collision Course.
Detto della parte dedicata al nuovo materiale, non resta che fare un breve accenno al cd dal vivo, purtroppo inficiato da una registrazione che spesso non rende giustizia alla bellezza della musica ed al talento dei musicisti, per cui la sua presenza nella confezione riveste più un valore documentale che non artistico, benché utile forse a spingere chi non conoscesse già i Presence a recuperare le opere originali dalle quali sono tratti i brani, cominciando ovviamente dall’imprescindibile Black Opera.
Masters And Following rappresenta il ritorno soddisfacente di una band ritrovata, per la quale si spera che questo sia solo l’inizio di una nuova e prolifica fase della sua storia.

Tracklist:
CD1:
1. Masters And Following
2. Deliver
3. Now
4. Interlude
5. The House On The Hill
6. Freewheel Burning
7. Space Ship Ghost
8. This Town Ain’t Big Enough For The Both Of Us
9. Prelude
10. Symmetry
11. Collision Course
12. On The Eastern Side
13. The Revealing

Bonus CD:
1. Scarlet
2. The Sleeper Awakes
3. Lightning
4. The Dark
5. Eyemaster
6. Just Before The Rain
7. The Bleeding
8. Un Di’ Quando Le Veneri
9. Orchestral:
– Overture
– Hellish
– J’Accuse
– Makumba
– Supersticious
– The King Could Die Issueless

Line up:
Sophya Baccini – vocals
Enrico Iglio – keyboards, percussion
Sergio Casamassima – guitars
Guests:
Sergio Quagliarella – drums
Mino Berlano – bass

PRESENCE – Facebook

Avelion – Illusion of Transparency

Un lavoro da avere e consumare, orgoglioso esempio del valore altissimo della scena italiana, da un po’ di anni sulla corsia di sorpasso rispetto alle realtà d’oltreconfine.

Ancora una volta la Revalve conferma il proprio gran fiuto per i talenti metallici nostrani e ci consegna un gioiellino prog power metal targato Avelion.
Il gruppo nasce a Parma una decina d’anni fa, in questo lasso di tempo licenzia due ep e due singoli ed arriva oggi al debutto sulla lunga distanza; prodotto mixato e masterizzato da Simone Mularoni e registrato con l’aiuto di Simone Bertocchi ai Domination Studio, Illusion of Transparency è un altro ottimo esempio di power prog metal moderno, nel quale la tecnica dei musicisti è messa al servizio di un lotto di brani dall’appeal straordinario, senza dimenticare una componente elettronica, usata dal gruppo per valorizzare un sound che porta il marchio di fabbrica made in Italy in bella mostra sullo spartito.
Si naviga tra le onde elettriche e le note dei gruppi che hanno fatto grande il genere, dagli ultimi DGM, ai Labyrinth e gli Astra, con una cura maniacale per la forma canzone ed un notevole impatto, anche se la parte del leone in questo lavoro la fanno le melodie, avvincenti e perfettamente incastonate nel raffinato metallo suonato dagli Avelion.
Come ormai d’abitudine, anche la band parmense lascia le intricate parti ultra tecniche fine a sé stesse dei gruppi del passato e ci porta a sognare, tra spunti che si avvicinano ad un AOR venato di elettro/rock e potenziato da una magniloquenza d’insieme che travolge in una valanga di note melodiche.
Un cantante hard rock dall’interpretazione personale e moderna, un’ottima intesa tra tastiere e programming e le sei corde, si abbinano ad una sezione ritmica presente ma non invadente, tecnicamente perfetta senza essere troppo cervellotica, così da riservare tutta l’importanza del caso ai vari brani che compongono un album bellissimo.
Il singolo Fading Out, l’hard rock progressivo e modernissimo di Echoes And Fragrance, le melodie della ultra tecnica e varia nei tempi Falling Down, la new wave travestita da prog metal di Open Your Eyes sono i picchi di un lavoro da avere e consumare, orgoglioso esempio del valore altissimo della scena italiana, da un po’ di anni sulla corsia di sorpasso rispetto alle realtà d’oltreconfine.

TRACKLIST
1.Fading Out
2.Echoes And Fragrance
3.Burst Inside
4.Derailed Trails Of Life
5.Falling Down
6.Innocence Dies
7.Waste My Time
8.Open Your Eyes
9.Ain’t No Dawn
10.Never Wanted
11.Echoes and Fragments (The Algorithm Remix) – bonus track

LINE-UP
William Verderi – Vocals
Oreste Giacomini – Keyboards and Programming
Leonardo Freggi – Guitars
Danilo Arisi – Bass
Alessandro Ponzi – Drums

AVELION – Facebook

Anèma – After The Sea

Piace l’importanza che gli Anèma danno all’insieme piuttosto che alla tecnica individuale: After The Sea convince e ci consegna una band che di certo non mancherà di regalare ulteriori soddisfazioni.

Progressive rock e metal dagli anni settanta ai giorni nostri: in After The Sea troviamo gli elementi che caratterizzano i due generi figli della stessa madre, una dea progressiva che aggiunge a tratti altri elementi per cercare di nobilitare il più possibile la musica di questi suoi giovani adepti, i siciliani Anèma .

Nato un paio di anni fa come cover band dei gruppi storici degli anni settanta, ma con un ampio raggio di ispirazioni ed influenze che arrivano fino ai nostri giorni, il quartetto siracusano debutta su Sliptrick con After The Sea, un viaggio tra le coste bagnate dal Mar Mediterraneo dove, ogni giorno, sbarcano centinaia di uomini in fuga dal loro paese con la chimera di un futuro migliore, sogno che svanisce all’arrivo sulle coste italiche, oppure tra le onde di un mare che non fa sconti.
Da qui il viaggio musicale della band ha inizio, tra sonorità che si rifanno al periodo settantiano, attimi di grinta metal progressiva ed atmosfere di ariose armonie di musica mediterranea.
After The Sea ha il pregio di non osare troppo, sia per durata (che risulta ridotta per le abitudini del genere) che per tecnica, andando subito al cuore dei brani che rimangono molto vari e mai banali nel loro approfondire una materia difficile come il progressive.
Personalmente trovo la musica del gruppo splendida quando non forza sulla parte metal, trovando sfogo piuttosto in parti ariose, al limite della fusion in alcuni attimi, ma legate al progressive rock degli ultimi anni.
Ed infatti ritengo brani come She o Some Fires molto vicini alla musica di Umberto Pagnini e dei suoi Active Heed, mentre quando il suono si indurisce la musica del gruppo acquista in energia ma perde in magia, tornando a livelli più normali ed in linea con il classico prog metal (This Place Needs Revolution).
Piace l’importanza che gli Anèma danno all’insieme piuttosto che alla tecnica individuale: After The Sea convince e ci consegna una band che di certo non mancherà di regalare ulteriori soddisfazioni. Buona la prima, dunque.

TRACKLIST
1.Intro
2.After The Sea
3.She
4.Free Forever
5.Some Fires
6.Let The Sky In The Mainland
7.Song For Nothing
8.This Place Needs Revolution
9.Outro

LINE-UP
Salvo Crucitti – Drums
Dario Giannì – Bass
Lorenzo Giannì – Guitars
Baco Dì Silenzio – Vocals

ANEMA – Facebook

Kadinja – Ascendancy

Se l’idea era quella di rendere ultra-tecnico un genere che si basa principalmente sull’impatto, i Kadinja riescono nell’impresa solo a sprazzi, mentre trovo ormai superato l’uso della doppia voce, specialmente se non si è maestri nel far funzionare un abbinamento che negli ultimi tempi sta tirando la corda.

Prendete un gruppo di giovani metallari dal suono moderno ed in linea con il metalcore, ma con la voglia matta di sfoggiare la loro ottima tecnica, usando i cliché tipici del prog metal ed avrete in mano il sound di Ascendancy, full length dei Kadinja.

Il quintetto francese, proveniente dalla capitale, non le manda certo a dire e abbina un devastante ma comunque melodico metal moderno, con il prog metal, un’aggressività che viene nobilitata da intricate ritmiche e da un lavoro delle sei corde che passa dal classico melodico/stoppato a fughe sul manico che riportano al genere più tecnico per eccellenza.
Il problema maggiore di questo album è che risulta un po’ freddino, e il metal estremo abbinato alla tecnica, spesso fine a sé stessa, produce un effetto caotico che non giova alla fruibilità della musica prodotta dal combo transalpino.
I momenti migliori, infatti, si mostrano quando l’aggressività si placa per lasciare spazio alla melodia, momenti nascosti tra i vari brani che risultano poco emozionali e, alla lunga, pervasi da una ripetitività di fondo che non aiuta certo l’attenzione dell’ascoltatore già provato nel seguire l’intricata ragnatela di note in brani come le due parti di Episteme, A November Day o Bittersweet Guilt.
Se l’idea era quella di rendere ultra-tecnico un genere che si basa principalmente sull’impatto, i Kadinja riescono nell’impresa solo a sprazzi, mentre trovo ormai superato l’uso della doppia voce, specialmente se non si è maestri nel far funzionare un abbinamento che negli ultimi tempi sta tirando la corda.
Ascendancy raggiunge la sufficienza ma nulla più, le potenzialità ci sono ma vanno sfruttate meglio da parte del gruppo francese.

TRACKLIST
01. Stone of Mourning
02. Glhf
03. Episteme
04. Episteme Part II
05. ‘Til the Ground Disappears
06. A November Day
07. Dominique
08. Ropes of You
09. Bittersweet Guilt
10. Seven (The Stick Figures)

LINE-UP
Philippe Charny Dewandre – Vocals
Pierre Danel – Guitars
JJ Groove – Bass
Nicolas Hørbacz – Guitars
Morgan Berthet – Drums

KADINJA – Facebook

Hell’s Crows – Hell’s Crows

Un album spettacolare di power heavy prog metal perfettamente in bilico tra la tradizione europea e quella americana.

Nel nostro paese si continua a fare grande musica metal, molte volte purtroppo poco considerata da fans e addetti ai lavori ma supportata dalle webzine di riferimento che, con volontà e passione, provano ogni giorno a cambiare questo trend tutto italiano.

Si perché una band come gli oscuri, potenti e melodici Hell’s Crows, in Germania (tanto per fare un esempio di terre metalliche) sarebbero sicuramente sulla bocca e nelle orecchie degli amanti dei suoni heavy power, di quelli ricamati come negli ultimi anni di parti progressive che non solo sottolineano la bravura dei musicisti ma donano un tocco nobile al sound dei gruppi.
Niente di nuovo, per carità, ma entusiasmante sì, specialmente quando si parla di schiacciare il pedale a tavoletta, partire sgommando con cavalcate heavy, colme di drammatica oscurità, mentre i corvi pasteggiano sui cadaveri dei più deboli di cuore.
Gli Hell’s Crows avevano già dato prova delle loro capacità nei primi due lavori , il demo licenziato nel 2008 e l’ep Screaming Death uscito due anni dopo, dunque sette anni sono passati prima che gli uccelli infernali tornassero a banchettare sulla terra, questa volta aiutati dalla Valery Records e da un album spettacolare: power heavy prog metal, perfettamente in bilico tra la tradizione europea e quella americana, un passato da band hard rock ed un futuro tra Symphony X, Iron Maiden e Judas Priest, mentre Back To The Future continua a girarmi nella testa, le atmosfere di drammatico metallo americano si alternano alle cavalcate maideniane e alle taglienti chitarre priestiane che animano brani come Fall Of The Divine e Nightmares.
Hanno vita facile gli Hell’s Crows, vista la qualità del songwriting, le intuitive parti progressive che tanto sanno di Symphony X, obbligata parentesi per entrare nei cuori dei defenders del nuovo millennio, ed un vocalist dal talento melodico sopra la media, senza perdere un grammo di quell’attitudine old school che mette d’accordo pure gli ascoltatori più avanti con gli anni (Across The Sea).
All’inno Hell’s Crows è lasciato il compito di concludere l’album e darci l’arrivederci sui palchi di un’estate calda, troppo calda, specialmente se gli uccelli di nero piumato si poseranno sul davanzale della vostra casa.

TRACKLIST
1.Prelude To Decadence
2.Fall Of The Divine
3.Back To The Future
4.Mechanical Quantum
5.Fist Of Steel
6.Sons Of The Wind
7.Nightmares
8.Executioner
9.Across The Sea
10.In The Eyes Of Raider
11.Hell’s Crows

LINE-UP
Randy Rush – Vocal, Guitar
Yuri Fetisov – Lead Guitar
Alan Johns – Bass
Johnny Pezzola – Drums

HELL’S CROWS – Facebook

Talvienkeli – Hybris

Un album intenso ed entusiasmante per una band sopra la media che non mancherà di sbalordire gli amanti del genere, grazie a quel pizzico di originalità compositiva capace di fare la differenza.

Quando si ha a che fare con Wormholedeath non bisogna mai dare tutto per scontato altrimenti si rischia di rimanere perennemente un passo indietro alla musica prodotta dai gruppi presi sotto l’ala della label nostrana.

Nei vari generi di cui si occupa (ormai nel metal praticamente tutti) trova il suo spazio il metal sinfonico, anche se dei gruppi fin qui proposti non c’è un gruppo uguale all’altro e tutti di una personalità debordante ed un sound sempre fresco ed a suo modo originale.
Dai Norhod ai Levania, dagli Esperoza ai Tearless (tanto per nominarne alcuni) dall’Italia e dall’estero la label di Carlo Bellotti si circonda di eccellenze, scovando grande musica in giro per il continente e per l’occasione affondando gli artigli nell’anima degli ascoltatori con i francesi Talvienkeli.
Nome difficile da pronunciate , ma musica che vi entrerà dentro come un treno, sotto le note progressive raccolte in una bellissima opera intitolata Hybris.
Metal sinfonico, ma dalle intuizioni progressive sopra le righe, un’eleganza e raffinatezza compositiva che ha del miracoloso per un gruppo al primo full length (di precedente c’è solo Blooming Ep licenziato nel 2014) ed atmosfere dark gotiche che non scadono mai nel banale, ma rimangono a volteggiare come avvoltoi sulle trame intricate e, a tratti, dai rimandi settantiani con cui i Talvienkeli colorano il loro paesaggio musicale.
Capitanata da due ragazze, la singer Camille Borrelly, dotata di un talento interpretativo sopra la media, e dalla bassista Laëtitia Bertrand, che non le manda certo a dire e, con Paul Sordet forma una sezione ritmica tecnicamente ineccepibile, la band si compone ancora delle tastiere di Pierre Cordier e della sei corde di Pierre Besançon.
L’album si sviluppa in un’ora abbondante di musica, nobile e varia, mai scontata e suggestiva nell’alternare momenti in cui lo spartito strizza l’occhio al progressive rock, altri dove il metal si fa spazio tra le linee portanti del sound per avvicinarsi al prog metal classico, e bellissime fughe sinfonico-gotiche, nelle quali il gruppo torna sulla terra mantenendo un alto tasso qualitativo.
Ovviamente la teatralità la fa da padrona (sono francesi, l’hanno nel sangue), e con note ed atmosfere d’altri tempi e la stupenda voce che intona canti suggestivi, veniamo trasportati in un sogno musicale, ora lieve e dolcissimo, ora elettrizzato da una tensione che si fa drammatica, ma mai violenta.
Le due parti di Hybris (Part II: Dégénérescence e Part I: Bienveillance) poste in apertura e chiusura dell’opera sono in pratica il sunto della musica del gruppo di Lione, ma a sentir bene l’album regala emozioni a profusione anche tra le loro dirimpettaie tra cui Raining Moon, raffinato brano attraversato da una ventata dark wave, e Atlas, brano prog simphonic gothic che esplode in un trionfo di note sontuose.
Un album intenso ed entusiasmante per una band sopra la media che non mancherà di sbalordire gli amanti del genere, grazie a quel pizzico di originalità compositiva capace di fare la differenza.

TRACKLIST
1.Hybris Part II: Dégénérescence
2.Burning Flesh
3.Immortal
4- The Explorer
5.Quill Of Dust
6.Atlas
7.Raining Moon
8.Deadly Nightshade
9.Scream-Her
10.Hybris Part I: Bienveillance

LINE-UP
Camille Borrelly – Vocals
Pierre Cordier – Keyboards
Pierre Besançon – Rhythm Guitars
Laëtitia Bertrand – Bass
Paul Sordet – Drums

TALVIENKELI – Facebook

Soen – Lykaia

Il problema di questo album è il suo essere prevedibile in ogni passaggio, studiato per portare l’ascoltatore verso la fine senza donargli quelle emozioni che chi ascolta musica del genere ricerca.

Gli svedesi Soen continuano la tradizione del nuovo metal progressivo, malinconico, dalle atmosfere rarefatte, che cerca di puntare sulle atmosfere, anche se lo sfoggio tecnico non manca, a volte riuscendoci, altre meno.

La band, che dalla sua nascita ha sempre avuto i crismi del supergruppo, con Martin Lopez (ex Opeth) dietro alle pelli ed in cabina di regia e poi una manciata di talenti tra cui, nella prima fase Steve Di Giorgio e poi Stefan Stenberg al basso, Joel Ekelöf dietro microfono, Lars Åhlund alle tastiere, ed il nuovo entrato Marcus Jidell (Avatarium) alla sei corde, continua ad interpretare perfettamente il sound che ha fatto la fortuna del genere non allontanandosi neanche di un passo dai Tool e The Perfect Circle, senza chiaramente dimenticare gli Opeth.
E’ così che si sviluppa questo nuovo e terzo lavoro di una discografia iniziata nel 2012 con Cognitive, passata per Tellurian tre anni fa, senza discostarsi dalle opere precedenti se non per una minore urgenza metallica nel sound.
Lykaia non è un brutto lavoro, anzi per i fans del genere e dei nomi citati risulta una buona proposta, ma da musicisti del genere ci si aspetterebbe almeno qualche spunto più personale, che viene soffocato invece dalle atmosfere intimiste e melanconiche, o qualche passaggio più aggressivo per ovviare ad un andamento stanco che porta faticosamente ai titoli di coda.
Il problema di questo album è il suo essere prevedibile in ogni passaggio, studiato per portare l’ascoltatore verso la fine senza donargli quelle emozioni che chi ascolta musica del genere ricerca al di là della tecnica.
Non mancano i brani che spiccano sugli altri e che regalano all’album spunti che il nome del gruppo e i musicisti coinvolti non possono non avere, come Orison e Jinn, brano questo dalle armonie orientaleggianti molto suggestivo; il resto viaggia con il pilota automatico, lasciando l’amaro in bocca per quello che poteva essere ed è solo a tratti.
Il genere non lascia scampo e la linea tra il capolavoro ed un parziale passo falso è più sottile di quanto si possa immaginare.

TRACKLIST
01. Sectarian
02. Orison
03. Lucidity
04. Opal
05. Jinn
06. Sister
07. Stray
08. Paragon
09. God’s Acre

LINE-UP
Stefan Stenberg – Bass
Marcus Jidell – Guitar
Lars Åhlund – Keys, guitar
Joel Ekelöf – Vocals
Martin Lopez – Drums, percussion

SOEN – Facebook

Omnisight – Power Of One

Mezz’ora di musica progressiva fuori dai soliti cliché in compagnia dei canadesi Omnisight.

Un altro piccolo gioiello underground proveniente dal nuovo continente, precisamente da Vancouver (Canada), arriva a deliziare il sottoscritto che non può esimersi dal farvi partecipi dell’ottimo lavoro svolto dai Omnisight, quartetto di prog metal/hard rock tornato sul mercato con questo ep di cinque brani dal titolo Power Of One.

La tecnica della band è messa al servizio di un hard rock/metal che non disdegna fughe progressive e repentini cambi di ritmo, mantenendo una forte identità alternative che la sottrae da facili riferimenti con i gruppi prog metal (anche se in alcuni casi qualche riferimento ai Dream Theater esce allo scoperto), per avvicinarsi maggiormente ai gruppi americani usciti dal decennio novantiano e troppo superficialmente buttati, all’epoca, nel calderone della musica proveniente da Seattle come i Kings X, a mio parere massima ispirazione per gli Omnisight, insieme ai Racer X di Paul Gilbert.
Certo, non manca di groove la musica del gruppo canadese, a ribadire la forte influenza dell’ hard rock moderno sul sound del gruppo di Raj Krishna e compagni, abili nel saper gestire i vari input per creare una musica progressiva a suo modo lontana dai soliti cliché.
I cinque brani presentati sono tutti molto belli, a partire dall’opener Shift The Paradigm, con gli altri brani che mantengono le caratteristiche di cui si parlava, e lo strumentale Fall Of The Empire che si avvicina allo shred e punta le luci della ribalta sul talento dei quattro musicisti.
Un bellissimo lavoro, un’altra mezzora alle prese con musica progressiva in un contesto alternativo alle solite atmosfere.

Tracklist:
1. Shift The Paradigm
2. Resistance
3. Seven Sisters
4. Fall of The Empire
5. Power of One

LINE-UP
Raj Krishna – Rhythm, Lead guitars and Lead Vocals.
Chris Warunki – Drums
Dave Shannon – Bass and Backing Vocals (Endorsed by Sabian Cymbals and Epek Drums)
Blake Rurik – Lead Guitars

OMNISIGHT – Facebook

Stamina – System Of Power

System Of Power è un altro centro pieno, meritevole di una maggiore attenzione, confermando gli Stamina come una delle migliori realtà nostrane nel genere.

Tornano i Royal Hunt Italiani, i campani Stamina, con un nuovo ottimo lavoro sempre incentrato su un power prog metal che si rifà ai maestri danesi, anche se non manca sicuramente al gruppo la personalità per trovare una propria dimensione.

D’altronde System Of Power è ormai il quarto full length , successore del bellissimo Perseverance uscito tre anni fa, e che vede un cantante in pianta stabile nella persona di Alessandro Granato, un nuovo bassista, Mario Urcioli, ed un session per la batteria, Andrea Stipa, tutti a girare intorno al duo storico formato dal chitarrista Luca Sellitto e dal tastierista Andrea Barone.
La band si presenta così con un album più aggressivo rispetto al passato, certo i cori alla Royal Hunt e le fughe tastieristiche fanno parte del sound ormai consolidato del gruppo che elegantemente disegna arabeschi di musica elegantemente progressiva, con la sei corde che spinge sulla parte neoclassica in molti frangenti dell’ album, accompagnando i tasti d’avorio in ghirigori barocchi, ma colpendo d’incanto l’ascoltatore con ritmiche ruvide e dai rimandi thrash.
Il tutto lascia sempre quell’alone di nobiltà insito nella musica della band, che gioca con l’AOR ed il power a suo piacimento tra le note magniloquenti di un lotto di brani entusiasmanti.
La prova del nuovo vocalist è da applausi, così come per tutti i protagonisti, ma per una volta (anche se il genere lo impone) lasciamo che sia la musica magnificamente regale del gruppo campano a parlare, con i suoi quarantacinque minuti di fughe tastieristiche e cori dal talento melodico neanche troppo distante dalle fonti di ispirazione del gruppo, così come il songwriting che fa risplendere perle musicali come Must Be Blind, One In A Million, Love Was Never Meant To Be e l’irresistibile Why, brano Royal Hunt fino al midollo, ma stupendo esempio dell’eleganza e raffinatezza del metal suonato dagli Stamina.
System Of Power è un altro centro pieno, meritevole di una maggiore attenzione, confermando gli Stamina come una delle migliori realtà nostrane nel genere.

TRACKLIST
1.Holding On
2.Must Be Blind
3.One In A Million
4.Undergo (Black Moon Pt.2)
5.Love Was Never Meant To Be
6.System Of Power
7.Why
8.Portrait Of Beauty

LINE-UP
Alessandro Granato – vocals
Luca Sellitto – guitars
Andrea Barone – keyboards
Mario “Uryo” Urciuoli – bass

Andrea Stipa – drums
Jacopo Di Domenico – backing vocals
Donata Greco – flute
Giulia Silveri – cello

STAMINA – Facebook

Ghost Iris – Blind World

Un lavoro riuscito solo in parte ed apprezzabile solo per i fans accaniti del genere, tutti gli altri ci si avvicinino con le precauzioni del caso.

Con un altra proposta che si inserisce nel metallo progressivo moderno, i danesi Ghost Iris tornano con un album che non cambia le carte in tavola, specialmente se si guarda al passato e a quello proposto con il debutto licenziato un paio di anni fa (Anecdotes of Science and Soul): un metalcore dai caratteri progressivi, meno cervellotico dei Meshuggah e molto melodico, con l’utilizzo della classica voce pulita in contrasto allo scream/growl.

Ottimo l’uso dei cori e davvero super la sezione ritmica, che pennella potentissime ritmiche dai rimandi post metal e prog, mentre sfuriate core ed atmosfere più rilassate fanno da cornice ad un sound che di originale ormai ha poco e che, a tratti, risulta freddino.
Tesseract è il nome che si può accostare senza indugi al quartetto danese, che non ne vuole sapere di partiture semplici e cerca in tutti i modi di stupire, talvolta riuscendoci, altre volte inciampando in un intricato songwriting, costruito esclusivamente per mera ambizione tecnica.
E’ questo il più grosso difetto di questo Blind World: se non si è amanti di questi suoni si finisce per passare oltre, confusi dalla marea di note che, perfette a livello tecnico, lasciano per strada qualcosa sotto l’aspetto dell’appeal: un genere non facile e che, ultimamente, risulta inflazionato porta l’ascoltatore verso altri lidi, con la pienezza spesso disturbante dei Ghost Iris che si salvano in zona Cesarini (calcisticamente parlando) con le buone The Flower Of Life e Time Will Tell.
Un lavoro riuscito solo in parte ed apprezzabile solo per i fans accaniti del genere, tutti gli altri ci si avvicinino con le precauzioni del caso.

TRACKLIST
01. Gods Of Neglect
02. Save Yourself
03. The Flower Of Life
04. Pinnacle
05. No Way Out
06. Blind World
07. Time Will Tell
08. The Silhouette
09. After The Sun Sets
10. Detached

LINE-UP
Nicklas – Guitar, Bass
Peter – Guitar, Bass
Jesper – Vocals
Sebastian – Drums

GHOST IRIS – Facebook

Last Union – Most Beautiful Day

Most Beautiful Day ne esce come un capolavoro di metal progressivo, in cui le melodie dall’appeal straordinario amoreggiano con la potenza e la magniloquenza della musica dura.

James LaBrie non è solo il vocalist di una band famosa, è la persona che ha regalato la sua voce a lavori importantissimi per lo sviluppo del metal dai rimandi progressivi, protagonista di uno degli album più importante degli ultimi venticinque anni di musica, Images And Words.

Capirete che trovarlo ospite su tre brani di un lavoro dai natali italiani non può che rendere orgogliosi non solo i protagonisti, ma pure chi della scena italiana scrive abitualmente fra tanti alti e fortunatamente pochissimi bassi.
Se poi si parla della scena prog, allora in Italia si continua a tenere alta la bandiera di una tradizione che ha radici negli anni settanta e che con il metal ha creato un’alleanza che non lascia briciole ai dirimpettai europei.
Most Beautiful Day è un lavoro straordinario, ricco di un’ appeal altissimo, melodie vincenti, e tanto hard & heavy progressivo, con la coppia Elisa Scarpeccio, singer sopra la media per interpretazione e talento, ed il chitarrista e songwriter Cristiano Tiberi che, non contenti dell’ospite al microfono, si sono accompagnati ad una sezione ritmica da infarto, con l’ex Helloween, Masterplan e Gamma Ray, Uli Kusch alle pelli e Mike LePond dei Symphony X al basso.
Già così, i Last Union potrebbero tranquillamente salutare tutti e sedersi a guardare quello che succede la sotto, ma fortunatamente la musica non è fatta solo di nomi e Most Beautiful Day ne esce come un capolavoro di metal progressivo, in cui le melodie dall’appeal straordinario amoreggiano con la potenza e la magniloquenza della musica dura: un nuovo e perfetto esempio di quanto il mondo delle sette note sia un mare in burrasca, colmo nei suoi abissi di scrigni che, una volta aperti, nascondono tesori inestimabili.
Tutto è perfetto in questo album, dalla produzione che valorizza sia le prestazioni dei singoli, su cui risplende (e non me ne vogliano i più famosi ospiti) l’enorme talento di Elisa Scarpeccio, sia il songwriting, per cinquanta minuti di grande musica che non accenna ad affievolirsi fino all’ultima nota.
President Evil, A Place In Heaven (di una bellezza assurda) e Taken sono i tre brani dove LaBrie ha prestato la sua voce, ma i gioielli non finiscono qui, con Hardest Way, Purple Angels, 18 Euphoria e Back In The Shadow a portare l’album a livelli sconosciuti anche dalle band più famose.
Nel genere, il primo vero capolavoro di questo 2017.

TRACKLIST
01. Most Beautiful Day
02. President Evil (feat. James LaBrie)
03. Hardest Way
04. Purple Angels
05. The Best of Magic
06. Taken (feat. James LaBrie) [Radio Edit]
07. 18 Euphoria
08. A Place in Heaven (feat. James LaBrie)
09. Ghostwriter
10. Limousine
11. Back in the Shadow
12. Taken (feat. James LaBrie)

LINE-UP
Elisa Scarpeccio – Vocals
Cristiano Tiberi – Guitars
Mike LePond – Bass
Uli Kusch – Drums
Feat. James LaBrie

LAST UNION – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=3EBySmwRaIw

The Chronicles Of Israfel – A Trillion Lights, Tome II

Un’opera originale che non mancherà di sorprendere chi si approccia alla musica senza barriere o muri tra un genere e l’altro.

The Chronicles Of Israfel è il progetto solista di Dominic Cifarelli, chitarrista dei Pulse Ultra, alternative band canadese con un album all’attivo per Atlantic all’alba del nuovo millennio.

A Trillion Lights, Tome II è il secondo capitolo di un concept iniziato nel 2007 con il primo album, Starborn Tome I, che a livello concettuale racconta il viaggio interiore del protagonista alla ricerca di un io migliore.
Le vicende di questo secondo capitolo vengono raccontate attraverso sessantacinque minuti di musica progressiva, che alterna metal moderno, thrash, folk e alternative metal rendendo l’opera molto originale e varia nell’ascolto.
Un viaggio, appunto, che dall’opener Colors Of The Energy Construct non lascia punti di riferimento e svolazza per i generi con buone idee e momenti resi emozionanti dal continuo cambio di comando in testa al sound, ora chiaramente influenzato dai Dream Theater, ora più estremo e molto vicino al thrash moderno di Devin Townsend, ora alternativo o delicatamente folk, quando i passaggi si fanno acustici.
Cifarelli dimostra di essere un ottimo songwriter e questo secondo capitolo continua a regalare ottima musica metal/rock assemblata perfettamente, come un puzzle difficilissimo ma molto affascinante.
Tra l’opener e la conclusiva e lunghissima The Turning Of The Heavens, strumentale da brividi che conclude questo secondo capitolo, è un susseguirsi di colpi di scena tra attimi progressivi, metal d’autore e rabbiose ripartenze tra thrash ed alternative in un sali e scendi di emozioni musicali.
Ottima la parte centrale con Spirit Carousel, Life I Know, In Ruins e Hatred In My Heart, ma è tutto l’album che funziona e ci consegna un musicista davvero in gamba nel trovare sempre soluzioni diverse per raccontare le vicende narrate.
Come detto i Dream Theater fanno capolino nelle parti progressivamente metalliche, ma non mancano accenni al folk sinfonico del menestrello Lucassen, inserito in un sound alternativo.
Un’opera originale che non mancherà di sorprendere chi si approccia alla musica senza barriere o muri tra un genere e l’altro.

TRACKLIST
1.Colors Of The Energy Construct
2.Goddamned
3.I Remember
4.Nightmare
5.Spirit Carousel
6.Life I Know
7.In Ruins
8.Hatred In My Heart
9.Violet Empress (Last Love)
10.Greet The Sun
11.A Trillion Lights
12.Incendia
13.The Turning Of The Heavens

LINE-UP
Live Band:
Dominic Cifarelli : Vocals, Guitars
Justin Piedimonte: Drums
Andrew Wieczorek: Keys, Piano, Vocals
Marc Durkee: Bass, Backing Vox

Allumni On Record:
Vincent Cifarelli: Piano, String Arrangements
Rico Antonucci: Vocals

THE CHRONICLES OF ISRAFEL – Facebook

Frozen Sand – Fractals – A Shadow Out Of Lights

I Frozen Sand si confermano una realtà da seguire con attenzione in un panorama nostrano che ha ormai raggiunto una qualità complessiva altissima, anche in questo specifico genere.

Vi avevamo parlato dei piemontesi Frozen Sand in occasione dell’uscita del primo ep intitolato Prelude, uscito nel 2015, ottimo lavoro che appunto fungeva da preludio a questo primo full length che conferma la bravura del gruppo novarese.

Fractals – A Shadow Out Of Lights mantiene quello che i quattro brani contenuti nel lavoro precedente promettevano, sviluppando le virtù che risplendevano all’epoca e valorizzandole con ottime idee ed un songwriting più maturo, con il gruppo più consapevole dei propri mezzi.
Prodotto benissimo, come deve essere un album di metallo progressivo, Fractals riparte da dove si era fermato l’ep, ed il primo brano, A Melody through Time and Space mette subito in evidenza l’eleganza metallica con cui i Frozen Sand affrontano tracce aggressive e la loro bravura nel saper coniugare il power prog al metal più moderno, magari poco digerito dagli amanti della musica progressiva più canonica, ma perfetta per accaparrarsi le lodi dei più giovani dagli ascolti estremi.
Perfect Inspiration ed Everlasting Yearning sono due devastanti canzoni power prog, in  cui la sezione ritmica mette la freccia e viaggia sulla corsia di sorpasso: da annotare anche il bell’assolo power sulla seconda traccia e le ottime linee melodiche vocali.
Si corre veloce e Sail Towards The Unknown tiene il piede ben schiacciato sull’acceleratore preparandoci a Yell Of Esitation dove tornano le sfumature modern metal che non inficiano affatto l’ottimo risultato ottenuto dalla band con questo primo full length.
Poi, come per incanto, si torna a viaggiare sulle ali dei DreamTheater: You – Partial – Perfection – Daylight, traccia top di questo lavoro, con il prezioso contributo al microfono di Alessandra Sancio (ospite sull’album oltre a Fabio Privitera e Alex Saitta), vede il gruppo affrontare la materia progressiva con uno spiccato talento melodico, così da fare del brano uno scrigno emozionale, seguito dalla splendida ballad dalle tinte folk Silent Raven.
I Frozen Sand si confermano una realtà da seguire con attenzione in un panorama nostrano che ha ormai raggiunto una qualità complessiva altissima, anche in questo specifico genere.

TRACKLIST
1.A Melody through Time and Space
2.Perfect Inspiration
3.Everlasting Yearning
4.Sail towards the Unknown
5.Yell of Hesitation
6.Rule this World
7.You – Partial – Perfection – Daylight
8.Silent Raven

LINE-UP
Luca Pettinaroli – Vocals
Mattia Cerutti – Guitar
Tiziano Vitiello – Bass
Simone De Benedetti – Drum
Federico De Benedetti – Guitar, synth guitar & back vocals

FROZEN SAND – Facebook

Ashenspire – Speak Not Of The Laudanum Quandary

Gli Ashenspire testimoniano nel migliore dei modi come il metal possa essere usato in maniera splendida e struggente per bilanciare narrazioni assai false.

L’Inghilterra ha sempre provato a tacere le proprie nefandezze e brutture, e dell’epoca vittoriana abbiamo un’immagine il più possibile romantica, mentre in realtà è stata un’epoca di progresso ma anche di un terribile tenore di vita per molti.

Prendiamo ad esempio Londra, che era una città divisa in due: nel West End la minoranza ricca, mentre nell’East End la massa di poveri e proletari, ammassati uno sull’altro, spesso costretti a pagare per vivere in luride case, vittime poi di inquinamento o di violenza. E qui tacciamo la vicenda di Jack Lo Squartatore, che ha anche avuto una valenza sociale non abbastanza indagata nella storiografia, perché ha fatto luce sulle condizioni di vita di una larga fetta di popolazione. Ora attraverso il metal gli scozzesi Ashenspire producono un sublime concept album sull’epoca vittoriana e più in particolare sul troppo taciuto imperialismo inglese. La maggior parte della popolazione mondiale quando si parla di imperialismo pensa agli Stati Uniti D’America, mentre i più grandi imperialisti della storia sono stati gli inglesi. Il loro impero si allungava sul mondo intero, e oltre ad esportare usi e costumi hanno anche regalato molta oppressione a tanti popoli. Gli Ashenspire con toni molto gotici e drammatici mettono l’accento anche sulla distruzione del popolo britannico attuata dai loto stessi governanti, perché attraverso l’imperialismo si provava anche a risolvere il problema dei poveri, sia mandandoli dall’altra parte del mondo sia facendoli morire in patria. Il gruppo di Glasgow concepisce un’opera fuori dal comune e bellissima, e sembra di essere a teatro mentre si ascolta Speak Not Of The Laudanum Quandary, un disco che va ben oltre la solita fruizione di musica popolare. I perfetti intarsi di piano e violino, la completa compenetrazione fra gli altri strumenti rende questo disco un autentico gioiello, con canzoni che diventano suite e ci trasportano nelle situazioni descritte. Il progetto è stato concepito da Alastair Dunn, batterista del gruppo, che militando nel gruppo black metal Enneract si era giustamente stufato del nazionalismo di bassa lega vigente nel black metal e si era dato l’obiettivo, completamente raggiunto con questo disco, di usare la musica per dare al pubblico una visione più oggettiva della storia, senza colorarla con falsi colori. Questo disco, che usa diversi toni del metal, dal prog al gothic, dal post all’heavy, tenendo fermo come modelli i misconosciuti Devil Doll, ha un tono drammatico notevolissimo, con passaggi immensamente belli, e anche momenti di musica ottocentesca rivista in chiave moderna. Speak Not Of The Laudanum Quandary è un disco che va in profondità in situazione ed argomenti poco piacevoli ma molto più reali della falsa visione che si vuole dare di un impero malvagio ed oscuro, impilato su sangue e ossa, ma anche composto da paura e miseria,e questo disco ce lo sbatte in faccia in una maniera elegantissima e bellissima. Gli Ashenspire testimoniano nel migliore dei modi come il metal possa essere usato in maniera splendida e struggente per bilanciare narrazioni assai false.

TRACKLIST
1.Restless Giants
2.The Wretched Mills
3.Mariners at Perdition’s Lighthouse
4.Grievous Bodily Harmonies
5.A Beggar’s Belief
6.Fever Sheds
7.Speak Not Of The Laudanum Quandary

LINE-UP
Alasdair Dunn – Drums, Sprechgesang
Fraser Gordon – Guitars
James Johnson – Violin, Percussion
Petri Simonen – Bass

ASHENSPIRE . Facebook

Errant Shadow – Errant Shadow

Prodotto in maniera impeccabile e suonato divinamente, Errant Shadow è un prodotto dal taglio internazionale cosi come lo sono i musicisti che ci hanno lavorato, creando momenti emozionanti e grande musica rock.

Altro bellissimo concept album tra progressive metal e gothic rock, questa volta creato dal musicista torinese Seren Rosso, aiutato da una manciata di ottimi musicisti come Nalle Påhlsson (Therion), Kevin Zwierzchaczewski (Lord Byron), Mattia Garimanno (Il Castello di Atlante), Emanuele Bodo (Madiem), Davide Cristofoli (Highlord) e Isa García Navas (ex-Therion).

Uno spiegamento di forze niente male per un’opera rock emozionante, licenziata dalla Ænima Recordings ed intitolata Errant Shadow.
La storia è un viaggio epico attraverso il tempo e lo spazio: in un mondo decadente post-moderno, due cavalieri erranti, un uomo e una donna, ripercorrono le tracce di episodi cruciali, fino alle origini dell’uomo e lungo questo avventuroso viaggio si innamorano l’uno dell’altra.
La band prende il nome dal titolo dell’opera e gli Errant Shadow, sotto la guida di Seren Rosso e del produttore, nonché patron della label, Mattia Garimanno, danno vita a questo straordinario viaggio all’insegna del prog metal elegante e raffinato, così come d’autore si sviluppano le trame dark gotiche.
Forse con troppa fretta l’opera è stata presentata dai protagonisti come una sorta di alleanza prog/gothic tra Dream Theater, Opeth e Nightwish perché, a ben sentire, qui si va oltre e l’album a mio parere trova la sua ideale collocazione tra il progressive elegante di Ayreon e quello finemente gotico dei primi Nightingale del genio svedese Dan Swano; insomma, un’accoppiata che sicuramente non svilisce i paragoni fatti nelle presentazioni anzi, valorizza l’album come opera di culto ed aggiunge arte su arte con spunti dark rock riconducibili agli ultimi Tiamat.
Prodotto in maniera impeccabile e suonato divinamente, Errant Shadow è un prodotto dal taglio internazionale cosi come lo sono i musicisti che ci hanno lavorato, creando momenti emozionanti e grande musica rock.
Un plauso ai due vocalist in grado, con le loro voci, di creare sfumature malinconiche e dark rock su un tappeto di musica totale che raccoglie in un unico sound progressive, metal e rock, sotto la bandiera delle emozioni: un turbinio di note ed atmosfere incredibilmente intense e che hanno la loro massima espressione nelle due tracce che concludono l’album, To The Cygnets Committee e Just In Heaven, ma ricordo che Errant Shadow va assolutamente ascoltato in tutta la sua durata, per godere al meglio della musica di cui è composto.
Un lavoro bellissimo, che non mancherà di sorprendere ed affascinare gli amanti dei suoni progressivi e delle melodie di stampo dark rock.

TRACKLIST
01. The Captain
02. The Dark Room
03. In a Cave
04. From the Abyss of My Heart
05. Such a Lot
06. Hiroshima
07. Crows in the Air
08. Broken Dreams
09. To the Cygnets Committee
10. Just in Heaven
11. To the Cygnets Committee (Bonus Track)

LINE-UP
Seren Rosso – Guitars
Kevin Zwierzchaczewsk – Vocals
Isa Garcia Navas – Vocals
Nalle Pahlsonn – Bass
Mattia Garimanno – Drums
Emanuele Bodo – Guitars
davide Cristofoli – Keyboards

ERRANT SHADOW – Facebook

Starbynary – Divina Commedia: Inferno

Gli Starbynary vanno aldilà di ogni più rosea aspettativa e ci invitano a viaggiare con loro tra i gironi di un inferno mai così teatrale, drammatico ma dannatamente umano.

Caronte è tornato dagli inferi per traghettarci tra lo spartito di questa magnifica opera, sontuoso esempio di musica metal fuori categoria, ed assolutamente non catalogabile nelle troppo semplici coordinate del power progressive, anche se le atmosfere sono simili a quelle create dai Symphony X.

Tornano i Starbynary del vocalist Joe Caggianelli (ex Derdian) e del chitarrista Leo Giraldi, con questo secondo lavoro, prima parte di una trilogia sulla Divina Commedia che non poteva non iniziare con l’Inferno.
La band nostrana aveva già ammaliato gli appassionati del genere con lo stupendo debutto uscito sul finire del 2014 (Dark Passenger), album di una qualità artistica elevatissima dove, oltre ai musicisti italiani, si poteva godere delle prestazioni del bassista dei Symphony X, Mike Lepond.
Un turbinio di fughe power tra ritmiche ed atmosfere progressive, con un vocalist in stato di grazia ed una manciata di musicisti sopra la media, questo era il primo full length del gruppo italiano, ma se si pensava ad un risultato impossibile da ripetersi non si erano fatti i conti con gli Starbynary e la loro voglia di stupire regalando per la seconda volta un emozionante viaggio culturale e musicale.
Discesa all’inferno e risalita, allegoria di vita dove dramma e teatralità enfatizzano lo scorrere dell’esistenza umana, declamandone difetti e peccati, sottolineandone la precarietà ma anche evidenziandone la divina grandezza e
la nobile maestosità: è il viaggio di Dante attraverso il quale poter scrutare all’interno dell’animo umano fino a perdersi in un vortice di emozioni!
Lasciata la Bakerteam per la romana Revalve, altra label nostrana che praticamente non sbaglia un colpo, gli Starbynary vanno aldilà di ogni più rosea aspettativa e ci invitano a viaggiare con loro tra i gironi di un inferno mai così teatrale, drammatico ma dannatamente umano, così come lo sono le emozioni che l’ascolto di queste perle metalliche suggeriscono.
Di non umano ci sono i cinque musicisti e la loro bravura strumentale al servizio di un songwriting stellare, ed è così che, trasportati dalle varie The Dark Forest, dalla ballad In Limbo che la band trasforma con un crescendo entusiasmante in un mid tempo oscuro, da Medusa And The Angel che non lascia tregua nella sua atmosfera cangiante; Paolo e Francesca, poi, dispensa brividi con un Caggianelli superlativo ed il piano di Stars ci conduce ad undici minuti finali di delirio progressive power metal dalle tinte darkeggianti ed infernalmente gotiche.
Ci si rincorre così tra fughe di aggressivo power metal oscuro, atmosfere di sofferta tregua orchestrale violentate da ripartenze velocissime e mid tempo potentissimi in cui il vocalist incanta con vocalizzi teatrali, mentre Caronte ci lascia sulla riva del fiume e ci si mette in cammino verso l’appuntamento con la seconda parte di questa trilogia creata dagli straordinari Starbynary.
Il 2017 è partito benissimo e conferma il trend degli ultimi anni, che sono stati forieri di grande musica per il metal tricolore: non perdetevi questo album per nessun motivo.

TRACKLIST
1.The Dark Forest (Canto I)
2.Gate of Hell (Canto III)
3.In Limbo (Canto IV) 04 –
4.Paolo e Francesca (Canto V)
5.Medusa and the Angel (Canto
6.Seventh Circle (Canto XII-XIII-XIV)
7.Malebolge (Canto XVIII)
8.Soothsayers (Canto xx)
9.Ulysse’s Journey (Canto XXVI)
10.The Tower of Hunger (Canto XXXII-XXXIII)
11.Stars (Canto XXXIV: I Lucifero, II Cosmo, III Finally Ascendant)

LINE-UP
Joe Caggianelli – Vocals
Leo Giraldi – Guitars
Luigi Accardo- Keyboards and Piano
Sebastiano Zanotto – Bass
Andrea Janko – Drums

STARBYNARY – Facebook