Muro – El Cuarto Jinete

Il trono in Spagna è ancora di quei ragazzi che un giorno a Vallecas portarono musica veloce e che non si sono ancora fermati.

Nuovo disco dalla genesi tormentata per i pionieri spagnoli dell’heavy e speed metal.

I Muro nacquero nel 1981 nel quartiere di Vallecas, patria del Rayo Vallecano e dell’heavy metal, infatti i nostri con l’epico Acero Y Sangre, live album del 1986, fecero sentire uno dei primi prodotti di marca ispanica in campo heavy e speed. Il loro suono da quel tempo non è mutato di una virgola, anzi si è notevolmente potenziato, e i Muro su disco e dal vivo sono una macchina da guerra, di quelle che non fanno prigionieri. Negli anni i duemila si erano sciolti, ma per fortuna nel 2009 vi era stata la riunione della formazione originaria, e da lì le cose sono andate avanti. Nel 2013, con El Cuarto Jinete ultimato, lo storico cantante Silver ha scelto di dividere il suo destino da quello del gruppo, e gli spagnoli hanno preso con loro la validissima cantante Rosa, anche se nel disco la voce è ancora quella di Silver. A parte tutte le vicissitudini rimane la musica e El Cuarto Jinete è un disco molto bello di heavy metal e speeed metal, fatto con estrema passione, con una produzione che riesce a mettere in risalto la classe dei Muro, che anche grazie al loro cantato in spagnolo sono davvero unici. El Cuarto Jinete è una perfetta sintesi di ciò che dovrebbe essere un disco di heavv metal con una fortissima impronta speed, velocità, concretezza ed epicità, ma senza troppa retorica. Dalla prima all’ultima canzone non si vive un momento di calma o di abbassamento dell’elettricità, e i Muro fanno capire che non sono per nulla intenzionati a sparire, ma sono ben presenti anche più di prima, tant’è che sono anche andati in tour in America.
Il trono in Spagna è ancora di quei ragazzi che un giorno a Vallecas portarono musica veloce e che non si sono ancora fermati.

TRACKLIST
1. Apocalipsis 6,2
2. El Cuarto Jinete
3. Otra Batalla
4. Maldito Bastardo
5. Sobrevivir
6. En el Ojo del Huracán
7. La Voz
8. Hermanos de Sangre
9. Honorable
10. Muero por ti
11. Fratricidio
12. Kill the King (Rainbow cover)

LINE-UP
Lapi – Drums
Largo – Guitars
Julito – Bass
Silver – Vocals

MURO – Facebook

Angel Martyr – Black Book: Chapter One

Chapter One è consigliato ai defenders dai gusti tradizionali, che troveranno di che crogiolarsi tra le cavalcate fiere ed epiche create dal trio toscano.

Debutto sulla lunga distanza per gli speed/power metallers Angel Martyr, trio toscano che porta, tramite Iron Shield, una ventata di metallo classico, old school, fiero ed epico il giusto per inorgoglire i defenders di lunga data.

Il gruppo nasce dalle ceneri dei Wraith’sing, band attiva già dal 2006 dopo quattro anni di attività, purtroppo sempre condizionato dai numerosi cambi di line up: il trio dal nuovo monicker trova stabilità nel corso degli anni con il sempre presente Tiziano “Hammerhead” Sbaragli (ex Etrusgrave), chitarra e voce, il bassista Dario “Destroyer Rostix” Rosteni ed il batterista Francesco Taddei.
Black Book: Chapter One, segue di due anni l’ep Black Tales – Prelude e continua a raccontare di battaglie epiche e storie fantasy, mentre l’heavy metal ottantiano si potenzia di energia power e velocità speed, a tratti sostenuta anche se non mancano mid tempo e cavalcate di matrice maideniana.
Trame acustiche spezzano l’assalto sonoro ed il clima da battaglia delle canzoni, che portano con se tutta la fierezza del metal classico.
Il sound prodotto dal gruppo, che nell’album raggiunge l’apice nelle notevoli Eric The Conqueror e On The Divine Battlefield (che ricorda con il suo flavour scozzese le atmosfere di Tunes Of War, capolavoro dei Grave Digger), è di fatto un esempio di new wave of british heavy metal, dove non poca importanza hanno gli insegnamenti del maestro Steve Harris riletti in versione speed/power, quindi si sprecano tra lo spartito veloci cavalcate, ritmiche sparate, mid tempo di orgoglioso metallo pesante e tutta la serie di ingredienti per fare di un album heavy metal un manifesto di epica fierezza.
Iron Maiden, power metal di scuola tedesca, accenni all’epic metal classico e tanta attitudine e passione: se vi considerate veri defenders, Black Book: Chapter One è l’opera metallica che fa per voi.

TRACKLIST
1. Obsequies
2. They. … Among Us
3. Victims
4. Eric The Conqueror
5. Midnight Traveller
6. Turn On The Fire
7. Pirate Song
8. On The Divine Battlefield
9. Angel Martyr

LINE-UP
Francesco Taddei – drums
Dario Rosteni – bass
Tiziano Sbaragli – vocals, guitars

ANGEL MARTYR – Facebook

Sanctuary – Inception

Inception potrà a molti sembrare un’operazione volta a riempire il tempo necessario al gruppo per creare il nuovo album, ma è indubbio che il valore di queste composizione vada ben oltre la classica operazione nostalgica.

Come ogni leggenda che si rispetti, anche la storia dei Sanctuary di Warrel Dane e Lenny Rutledge si avvolge di mistero ed un pizzico di magia.

E l’ultimo capitolo della storia di questa storica band statunitense vede il chitarrista ripulire il proprio magazzino e, tra cianfrusaglie e vecchi ricordi, trovare quello che è il sacro Graal della band e di una buona fetta dell’US power metal, i nastri su cui l’allora giovane gruppo incise quello che in gran parte andò a formare il primo entusiasmante album dei Sanctuary, Refuge Denied.
Quello che poi la storia vide scritto fu un secondo album altrettanto fondamentale (Into The Mirror Black, 1990) ed un lungo silenzio fino al 2014 con il ritorno con un album di inediti intitolato The Year the Sun Died.
Ma torniamo a questa monumentale raccolta ed alla sua storia che porta i Sanctuary, dopo il ritrovamento, ad affidare i preziosi nastri al produttore Chris “Zeus” Harris (Queensryche, Hatebreed), il quale trasforma la musica di cui si compongono in canzoni prodotte perfettamente, in linea con il metal del nuovo millennio, così da poter godere in toto della bravura di questa straordinaria band.
Accompagnato dalla copertina di Ed Repka, che richiama senza mezzi termini quella del primo album del gruppo, Inception potrà sembrare a molti un’operazione volta a riempire il tempo necessario al gruppo per creare il nuovo album, ma è indubbio che il valore di queste composizione vada ben oltre la classica operazione nostalgica.
Detto del gran lavoro fatto da Harris, in modo che il tutto non appaia la classica demo che fa a pugni con le nostre orecchie abituate alle produzioni moderne, l’album ci presenta la band al massimo della forma, magari leggermente acerba, ma con un Dane sugli scudi, teatrale e nervoso, sospinto da una carica selvaggia indomabile, ed una serie di brani che sono storia del metal statunitense alla pari con i primi lavori di Queensryche e Metal Church.
Le due tracce inedite sono all’altezza di quelle conosciute e finite su Refuge Denied: teatrali, drammatiche ed oscure, in perfetta linea con il metal suonato negli anni ottanta e diventato una tradizione classica dell’ America hard & heavy.
Curato in ogni dettaglio, Inception è accompagnato da un libretto con foto e notizie sulla scena metal di Seattle, prima che camicioni di flanella e jeans strappati arrivassero a mettere nell’ombra giubbotti di pelle e polsini borchiati.

TRACKLIST
1. Dream Of The Incubus
2. Die For My Sins
3. Soldiers Of Steel
4. Death Rider / Third War
5. White Rabbit (Jefferson Airplane cover)
6. Ascension To Destiny
7. Battle Angels
8. I Am Insane
9. Veil Of Disguise

LINE-UP
Lenny Rutledge – Guitars
Warrel Dane – Vocals
Dave Budbill – Drums
George Hernandez – Bass
Nick Cordle – Guitars (live)

VOTO
8.50

URL Facebook
http://www.facebook.com/sanctuaryfans

Overkill – The Grinding Wheel

Gli Overkill aggiungono il loro marchio a questo gradito ed inatteso ritorno del thrash metal al posto che gli compete nelle gerarchie dei generi metallici, con un lavoro completo, curato ed esaltante.

Mancavano gli Overkill per confermare il ritorno in pompa magna ed in piena salute del thrash metal sul mercato metallico mondiale, ormai un dato di fatto in questo anno solare che ha visto, oltre a molte piacevoli sorprese sbucate dalle varie scene in giro per il mondo, l’altissima qualità delle proposte dateci in pasto dai gruppi storici, dai Testament ai Sodom, dai Death Angel ai Kreator , passando per le opere almeno dignitose di Metallica e Megadeth.

Uno dei generi storici del metal in piena ripresa non può che far piacere a chi ha nel cuore le sorti della parte più classica della nostra musica preferita, che non può sicuramente prescindere dal gruppo statunitense capitanato dalla coppia Bobby “Blitz” Ellsworth / D.D.Verni.
Una line up stabile da almeno dieci anni, sommata alla forma strepitosa dei due vecchietti terribili, contribuisce alla riuscita di The Grinding Wheel, diciottesimo e bellissimo lavoro che conferma come detto non solo lo stato di grazia del gruppo, ma di tutto un movimento.
Con un’attitudine punk che in questo lavoro esplode in tutto il suo impatto, a tratti lasciando senza fiato, l’album è fresco, assolutamente privo di riempitivi, una valanga di note, uno tsunami thrash metal che si abbatte per finire l’opera di distruzione che gli altri colleghi avevano iniziato con i propri lavori, arrivando in questo inizio 2017 a raggiungere livelli che nel genere non si ricordavano da tempo.
In effetti la band newyorkese nella sua lunga carriera ha sempre mantenuto un buon livello, con picchi clamorosi e un paio di cadute fisiologiche per un gruppo arrivato alla soglia dei quarant’anni di attività, anche se negli ultimi tempi il livello delle uscite si era stabilizzato su ottimi livelli.
L’album vive di brani irresistibili, botte di adrenalina che prendono per il collo, o come morse schiacciano testicoli, con Ellsworth in grazia divina ed una coppia di chitarristi sugli scudi (Dave Linsk e Derek “The Skull”Tailer).
The Grinding Wheel è una raccolta di canzoni che prende le melodie dal classic metal, l’irruenza dal punk e la potenza dello speed/power e crea un thrash album da antologia, prodotto benissimo, mixato alla grande dal guru Andy Sneap e valorizzato da un songwriting molto vario, che non stanca mai l’ascoltatore passando tra le sfumature dei vari generi indicati con una facilità disarmante.
Our Finest Hour, le fiammate che odorano di punk’& roll di Goddamn Trouble e Let’s All Go To Hades, le ottime The Long Road, Come Heavy e Red White And Blue, ma potrei citarvele tutte mentre l’album arriva alla fine e la sensazione di essere al cospetto di un grande album aumenta col passare degli ascolti.
Gli Overkill aggiungono il loro marchio a questo gradito ed inatteso ritorno del thrash metal al posto che gli compete nelle gerarchie dei generi metallici con un lavoro completo, curato ed esaltante, in una parola … imperdibile.

TRACKLIST
1.Mean, Green, Killing Machine
2.Goddamn Trouble
3.Our Finest Hour
4.Shine On
5.The Long Road
6.Let’s All Go to Hades
7.Come Heavy
8.Red White and Blue
9.The Wheel
10.The Grinding Wheel

LINE-UP
Bobby “Blitz” Ellsworth – Vocals
Dave Linsk – Guitars
Derek”The Skull”tailer – Guitars
D.D.Verni – Bass
Ron Lipnicki – Drums

OVERKILL – Facebook

Teleport – Ascendance ep

I Teleport hanno tutti i crismi per diventare una band di culto nel panorama estremo europeo, e un prossimo full length potrebbe lanciare definitivamente il quartetto sloveno

Loro lo chiamano sci-fi death metal o cosmic metal, io vi consiglio di ascoltare questo mini cd, ultimo lavoro dei Teleport, perché porta con se un pizzico di originalità ed un songwriting nobilitato dalla geniale pazzia dei Voivod.

Ma andiamo con ordine: i Teleport sono una band slovena, nata nel 2010 e in questi sette anni di attività ha pubblicato tre demo e questo primo ep dal titolo Ascendance.
Il quartetto proveniente dalla capitale Lubiana, la bellissima città dei draghi, ha creato un sound che amalgama thrash metal voivodiano e death/black in un contesto progressivo e dal concept sci-fi.
Una bellezza questi quattro brani più intro, estremi e devastanti, progressivi nelle ritmiche e spazzati da un vento death/black che soffia dalla Scandinavia e arriva gelido nel loro paese natio.
Dimenticatevi una sola ritmica che sia scontata, e anche nelle veloci e devastanti sfuriate il lavoro ritmico è da applausi, lo scream ricorda Jon Nodveidt compianto leader e cantante dei Dissection, mentre lo spirito di Dimension Hatross e Nothing Face aleggia su brani bellissimi e ricchi di dettagli e note, destabilizzanti ed originali come in The Monolith e Artificial Divination, primi due brani capolavoro di questo ep.
Darian Kocmur alle pelli, ultimo arrivato in casa Teleport, e Lovro Babič al basso formano la sezione ritmica, mentre le due chitarre che fanno fuoco e fiamme sull’ottovolante Real Of Solar Darkness sono armi letali tra le mani di Jan Medved (alle prese con il microfono) e Matija “Dole” Dolinar.
I Teleport hanno tutti i crismi per diventare una band di culto nel panorama estremo europeo, e un prossimo full length potrebbe lanciare definitivamente il quartetto sloveno: staremo a vedere, per ora gustiamoci questa ventina di minuti di musica estrema spettacolare.

TRACKLIST
1. Nihility
2. The Monolith
3. Artificial divination
4. Realm of solar darkness
5. Path to omniscience

LINE-UP
Jan Medved – vocals, guitars
Lovro Babič – bass
Matija “Dole” Dolinar – guitars
Darian Kocmur – drums

TELEPORT – Facebook

Krepitus – Eyes of the Soulless

Eyes of the Soulless è classico il disco che ti dà la giusta carica al risveglio e spazza via le tensioni e le frustrazioni al termine di una giornata di lavoro: una terapia di rara efficacia e priva di effetti collaterali.

Subito un full length di assoluto valore per i canadesi Krepitus, i quali danno seguito al demo fatto uscire nel 2014.

La band proveniente dall’olimpica Calgary riesce nel non facile intento di dare alla luce un lavoro a tratti entusiasmante, pur andando ad attingere dall’inesauribile pozzo rappresentato dal metal estremo di matrice novantiana: un’ideale sintesi del sound contenuto in Eyes of the Soulless potrebbe citare i Carcass, con un minore carico morboso ed una maggiore propensione al thrash e al death melodico, oppure i migliori Iced Earth lanciati verso sonorità più estreme: da questo notevole ed ipotetico incontro di stili scaturisce un album capace di smuovere anche le membra più inerti, in virtù di reiterate cavalcate che partono da The Decree of Theodoseus ed arrivano fino all’ultima nota di My Desdemona senza perdersi in fronzoli, ricami o attimi meditabondi. La voce di Teran Wyer è un ringhio di rara efficacia che neppure per un attimo lascia spazio a tonalità pulire mentre il resto della band rovescia la sua incalzante gragnuola di colpi ricca di groove ed impreziosita con regolarità da magnifici assoli di matrice heavy.
Difficile estrapolare i brani migliori da questa tempesta perfetta: obbligato a scegliere mi prendo Exile e Eyes of the Soulless, dove i Krepitus riversano ancor più un gusto melodico a tratti sorprendente per qualità.
Non fatico ad immaginare quale possa essere la resa sonora dal vivo del quartetto canadese con un sound ed un approccio di questo tipo, peccato solo che le probabilità di vederli dalle nostre parti non siano molte (ma non si sa mai).
Eyes of the Soulless è classico il disco che ti dà la giusta carica al risveglio e spazza via le tensioni e le frustrazioni al termine di una giornata di lavoro: una terapia di rara efficacia e priva di effetti collaterali, se non gli inevitabili rischi per le vertebre cervicali, causa headbanging ininterrotto.

Tracklist:
1.The Decree of Theodoseus
2.Apex Predator
3.Exile
4.Sharpen the Blade
5.Eyes of the Soulless
6.Desolate Isolation
7.Erroneous
8.My Desdemona

Line up:
Curtis Beardy – Bass
Teran Wyer – Guitars/Vocals
Harley “Rage” D’orazio – Drums
Matt Van Wezel – Guitars

KREPITUS – Facebook

Spreading Dread – Age Of Aquarius

Da Praga arrivano gli Spreading Dread, quartetto dedito ad un thrash metal a tratti progressivo, pur alternando ritmiche moderne colme di groove ed atmosfere tradizionali.

Nell’underground metallico le sorprese sono sempre dietro l’angolo, quindi mai sedersi sugli allori di un ottimo ascolto, quando dopo poco tempo arriva nelle orecchie un altro concentrato di adrenalina metallica.

Da Praga, splendida capitale della Repubblica Ceca, arrivano gli Spreading Dread, quartetto dedito ad un thrash metal a tratti progressivo, pur alternando ritmiche moderne colme di groove ed atmosfere tradizionali.
Il gruppo in attività da quasi dieci anni è al secondo lavoro sulla lunga distanza, Age of Aquarius segue di quattro anni Sanatorium, debutto uscito appunto nel 2012, mantenendo intatto l’approccio progressivo che ne caratterizza il sound, valorizzato da un buon songwriting non troppo cervellotico, con l’alternanza perfetta tra aggressività e melodie ed una spiccata vena sperimentale che rende la raccolta di brani un ascolto per niente scontato, pur mantenendo le linee guida del genere.
Devin Townsend, Mekong Delta e Strapping Young Lad, si scontrano con Exodus e Death e ne esce uno tsunami di note rabbiose, melodiche o progressive, a seconda dell’umore di ogni brano, in questo piccolo scrigno di musica metallica che esplode, appena viene girata la piccola chiave e come un miracolo la musica è libera di veleggiare a ritmo di brani splendidi come Oil-Stained, Karmic Wheels e State Of The Art.
Prodotto ed ovviamente suonato benissimo, Age Of Aquarius risulta un album imperdibile per i fans dei gruppi citati rendendo gli Spreading Dread un’autentica e gradita sorpresa.

TRACKLIST
1.Birth of Consciousness
2.Devolution
3.Oil-Stained
4.Conspiracy
5.Karmic Wheels
6.Prayer for the Living
7.State of the Art
8.Salvia Divinorum

LINE-UP
Miroslav “MIRAC” Korbel – bass, growl
Simon Kotrc – guitar, vocals
Lukas “FUGA” Fujan – guitar
Karel “SAFA” Safarik – drums

SPREADING DREAD – Facebook

Altjira – Anent Wist

Gli Altjira potrebbero fare il botto nel genere se manterranno le caratteristiche evidenziate su questo ottimo primo passo discografico.

Un ep di debutto che promette bene per questo quintetto di defenders provenienti da Parma.

Gli Altjira si presentano sul mercato metallico nazionale con una mezzora di heavy metal che a tratti sfocia nel thrash e nel metal americano, anche se la loro massima fonte di ispirazione sono i Judas Priest, assieme agli Iced Earth periodo Owens, confermato dalla cover di Dracula, brano tratto da Horror Show.
Anent Wist fa male con una manciata di canzoni che rispecchiano l’heavy metal che più piace ai defenders di vecchia data: melodico, graffiante, ritmicamente pesante e veloce, ma soprattutto fiero, così come le opere dei gruppi citati e da cui la band trae ispirazione.
Gli Altjira  presentano un ottimo vocalist (Dest), perfetto animale metallico tutto grinta e ugola, una coppia di chitarristi che fa fuoco e fiamme (Rampage e Jimmy) ed una sezione ritmica precisa e potente (Kara al basso e Mirko alle pelli), niente di più e niente di meno, ma idelae per suonare heavy metal tripallico, che si specchia nella tradizione ma che non dimentica produzione e tutti i dettagli fondamentali per un lavoro professionale.
Della cover di Dracula abbiamo parlato, ma il meglio lo si trova (fortunatamente) nelle tracce inedite con I Will Not Bend e The Chase, che spiccano dalla notevole anche se breve track list.
Band da seguire in futuro, gli Altjira sembrano avere i numeri per emergere nel loro genere se manterranno le caratteristiche evidenziate su questo ottimo primo passo discografico.

TRACKLIST
01. Anent Wist
02. I Will Not Bend
03. Missing Generation
04. Fragments Of A Hologram Rose
05. The Chase
06. Dracula (Iced Earth Cover)
07. Cymoril

LINE-UP
Dest- voce
Rampy- chitarra
Kara- basso
J- chitarra
Mirko Virdis- session drummer

ALTJIRA – Facebook

Vanik – Vanik

Immaginate il massacro nella sala cinematografica del film Demoni di Lamberto Bava (1985): uno dei brani di questo album avrebbe potuto fungere da colonna sonora al bagno di sangue perpetrato dall’orda di malefici e famelici servi del demonio a colpi di heavy speed metal.

Dall’ underground metallico statunitense dalle reminiscenze old school, arrivano i Vanik creatura horror del musicista Shaun Vanek (Midnight, Vandallus, Whitespade, Eternal Legacy, Breaker, Manimals, Sixx), aiutato in questa avventura da Ed Stephans (Ringworm,Shok Paris, Gluttons) al basso e Al Biddle (Toxic Holocaust, Cauldron, Diemonds, Castle) alle pelli.

Alcune delle band in cui militano i tre demoni metallici sono vecchie conoscenze, quindi è un piacere per il sottoscritto presentarvi questo buon lavoro omonimo, un album che più old school di così non si può, ma che risulta ben confezionato, con una produzione in linea con la musica suonata, ed un lotto di brani che strappano più di un ghigno beffardo e maligno.
Vanik parte a tavoletta e non si ferma più, lasciando un cumulo di cadaveri al suo passaggio, un massacro a colpi di velocissimi e taglienti solos che Shaun Vanek rifila come mazzate terrificanti: un heavy metal con targa anni ottanta, sparato a mille e con una combustione letale di soluzioni speed e rock ‘n’roll, testi che fanno riferimento ai film horror di serie b, una venerazione per gli storici Venom e tanta attitudine vecchia scuola,
La voce di Vanik, in linea con il cantato speed/thrash ottantiano (e non poteva essere altrimenti), canta di omicidi, demoni, zombie e di tutte le creature che dominano il mondo horror trash, mentre le ritmiche si fanno sempre più serrate ad ogni brano e la chitarra sporca di sangue innocente continua il suo martirio.
Trenta minuti bastano per il primo massacro targato Vanik, ed è una mezzora di headbanging sfrenato sulle ali dell’heavy speed metal old school.
Un album che non ha chance di uscire dal confine dell’underground, ma può solo continuare a vivere nel mondo parallelo dei lavori cult, sapendo come far divertire gli amanti del genere.
Immaginate il massacro nella sala cinematografica del film Demoni di Lamberto Bava (1985): uno dei brani di questo album avrebbe potuto fungere da colonna sonora al bagno di sangue perpetrato dall’orda di malefici e famelici servi del demonio a colpi di heavy speed metal.

TRACKLIST
1. Deadly Pleasures
2. Fire Again!
3. One More Dose
4. The Blackest Eyes
5. Blood Sucking Lust
6. Dr. Speed
7. Midnight Ghoul
8. Eat You Alive
9. Island Of Lost Souls

LINE-UP
Vanik – Guitars/Vox
Ed Stephans – Bass
Al Biddle – Drums

VANIK – Facebook

Sweeping Death – Astoria

Astoria è il classico esempio di come nel metal la durata dell’album sia solo un dettaglio ed il saper convincere e dire tutto senza prolissità è un dono pari della bravura tecnica.

Eccoci a presentare un’altra ottima band propostaci dal Markus Eck e dalla sua Metalmessage Global, agenzia tedesca sempre sul pezzo nel fornirci metal di un certo livello.

Il gruppo in questione sono i Sweeping Death, quartetto presentato come progressive thrash metal e a cui aggiungerei quale nota di presentazione anche una notevole maestria esecutiva.
Il giovane quintetto proveniente da Wildsteig taglia il traguardo del full length con Astoria, poco più di mezzora di funamboliche corse sullo spartito di un thrash metal entusiasmante per songwriting e bravura dei protagonisti.
Il sound del gruppo non si ferma ai soliti nomi della scena che accomuna sia i nomi storici della Bay Area che ovviamente quelli provenienti dalla madre patria, ma osa con atmosfere ed varianti musicali che ricordano Mekong Delta e soprattutto Savatage, non dimenticando che siamo nel nuovo millennio e che il progressive ha nobilitato anche il metal estremo (Opeth).
Ne esce un album molto ben congegnato e che alterna brani tradizionalmente thrash, anche se suonati divinamente (My Insanity e Death & Legacy) ad altri dove la vena progressiva prende per mano il talento del gruppo e lo accompagna verso lidi di nobiltà metallica (magnifica la title track).
Astoria è il classico esempio di come nel metal la durata dell’album sia solo un dettaglio ed il saper convincere e dire tutto senza prolissità sia un dono pari della bravura tecnica.

TRACKLIST
1. My Insanity
2. Pioneer Of Time
3. Astoria
4. Devils Dance
5. Death & Legacy
6. Till Death Do Us Apart

LINE-UP
Elias Witzigmann – Vocals
Simon Bertl – Guitar / Backvocals
Markus Heilmeier – Guitar
Tobias Kasper – Drums / Piano
Andreas Bertl – Bass

SWEEPING DEATH – Facebook

Leathermask – Lithic

Lithic è un album consigliato ai fans del thrash metal old school e, in generale, ai metallari dai gusti classici di estrazione heavy.

Un’altra band nostrana si presenta sul mercato underground con un full length nuovo di zecca e lo fa tramite l’attiva label greca Sleaszy Records.

Questa volta siamo nei territori del thrash metal old school di scuola americana, con qualche spunto heavy ma in toto debitore del periodo tra gli anni ottanta e le prime avvisaglie di quello successivo.
Heavy metal statunitense nato tra i monti del trentino, precisamente a Pergine Valsugana, dall’incontro di Alvise Osti, Alessandro Buono e Valerio Luminati con il batterista Marco Gambin nel 2011, per dare i primi frutti nel 2013 con l’uscita del demo The Key.
Gli ultimi tempi sono stati di grande dispiego di energie per i Leathermask con l’entrata in studio per la registrazione del primo album, un cambio di line up con lo storico bassista Alessandro Buono che ha lasciato la band sostituito da Federico Fontanari (Spanner Head, Bullet-Proof) e la firma per la Sleaszy Records, che si prende cura di Lithic.
L’album è composto da otto brani per cinquanta minuti abbondanti di metal tradizionale, come già espresso, legato alla scuola statunitense, niente di più e niente di meno, ma nel complesso ben fatto con qualche ottima idea e pochi difetti (l’uso della voce, adatto ad un approccio più diretto), mentre il sound del gruppo sovente si lascia prendere da ottime divagazioni strumentali che valorizzano il gran lavoro strumentale del quartetto (Lede Mas, nove minuti di metal pesante e a tratti progressivo).
Ed è infatti nelle cavalcate strumentali che il gruppo da il meglio di se, la musica prodotta richiama le band storiche dell’heavy/thrash e brani come A Blasted Heath e The Dusk esprimono una notevole capacità di imprimere al sound una marcia in più.
I musicisti sanno il fatto loro, ed il livello tecnico è molto alto, così come un songwriting sopra la media per una formazione al debutto, così che Lithic si rivela un album consigliato ai fans del thrash metal old school e, in generale, ai metallari dai gusti classici di estrazione heavy.

TRACKLIST
1. The Cyclops
2. Motherfucker(s)
3. Struggle
4. Lede Mas
5. Inside-Burnt Generation
6. A Blasted Heath
7. The Dusk
8. Noise

LINE-UP
Valerio Luminati: Vocals
Alvise Osti: Guitar and backing vocals
Federico Fontanari: Bass and backing vocals
Marco Gambin: Drums

LEATHERMASK – Facebook

Violblast – Conflict

Thrash metal tripallico, efferato ma sapientemente melodico quel tanto che basta per catturare l’ attenzione, ottimo lavoro di una band di cui sentiremo ancora parlare.

Un gioiellino thrash metal proveniente dalla Spagna e licenziato dalla Suspiria Records: stiamo parlando del secondo lavoro dei Violblast (il primo è un ep uscito nel 2014), quartetto che si è costruito una buona reputazione in patria bombardando i fans con un thrash metal, ben strutturato e suonato.

Atmosfericamente vicino a quello guerresco degli Slayer, il sound del gruppo spagnolo si differenzia da quello della band di Tom Araya per l’uso della voce, meno estrema del sacerdote del thrash metal e da qualche episodio che si avvicina più allo stile classico della Bay Area (Exodus, Testament).
Per il resto, Conflict risulta una possente mazzata di mezz’ora, tutta velocità, mid tempo (notevole l’inizio di Invisible Death) e rabbiosi inni metallici, la produzione fa il resto e i brani sono missili terra aria alla ricerca dei detrattori del genere.
E da questo punto di vista l’album non delude gli amanti del thrash metal slayerano, la forza e la velocità con cui i Violblast azzannano al collo dell’ascoltatore è letale, i brani mantengono un’atmosfera epico guerresca, il bombardamento crea distruzione totale, le ritmiche sono mitragliate devastanti e i solos fulminei venti atomici.
Dopo l’intro, Conflict parte con il brano che gli dà il nome e dalle prime note si capisce che la reputazione del gruppo è meritata, l’album miete vittime forte di un impatto notevole ed una serie di brani travolgenti (su tutti Sings of a Murder e Paths Of Aggression), tutto rimane al limite e la cattiveria è solo pari alla velocità che raggiunge la band e che a tratti è al limite dell’umano.
Thrash metal tripallico, efferato ma sapientemente melodico quel tanto che basta per catturare l’ attenzione, ottimo lavoro di una band di cui sentiremo ancora parlare.

TRACKLIST
1.Deep into Darkness
2.Conflict
3.Wielders of Fear
4.Sings of a Murder
5.Invisible Death
6.Reprisal
7.Paths of Aggression
8.Bearing Witness
9.Individuality

LINE-UP
Sergio Ruiz – Drums
Sebas Silvera – Guitars
Santi Turk – Guitars
Andrés Perez – Vocals, Bass

VIOLBLAST – Facebook

Dark Messiah – Dark Messiah

Si torna a parlare di metal nato e suonato nelle fredde terre del Nord America con il primo lavoro in formato mini cd degli heavy thrashers canadesi Dark Messiah.

Ed il messia oscuro porta con sé morte, distruzione, possessioni demoniache ed altre pestilenze a colpi di heavy metal old school, scontato quanto si vuole, prodotto neanche troppo bene, ma dall’impatto ed attitudine che ricordano dei Venom più melodici.
I cinque brani proposti, infatti, viaggiano a ritmo di cavalcate metalliche con qualche piccola accelerazione thrashy e tanta ignoranza, che vive in un sound ruvido e senza compromessi, proprio come nei primi vagiti del trio di Newcastle, dove le ritmiche motorheadiane sono estremizzate da furiose parti speed thrash e le chitarre accennano gli assoli ed i riff melodici che accompagnavano le canzoni degli eroi della NWOBHM.
Il canto ruvido e cattivo di Stephen Chubaty declama l’arrivo del demoniaco messia, mentre i servi del male agli strumenti continuano imperterriti a portare caos e violenza sulla terra, espandendo il virus malefico con le oscure e metalliche Dark Messiah (il brano) e soprattutto la mostruosa Death from Above.
Il debutto omonimo di questa band è più di quanto old school heavy metal troverete in giro, ed ovviamente non può che essere un’opera a sola esclusiva dei fans accaniti del metal più underground e tradizionale.

TRACKLIST
1.Dark Messiah
2.No Soul to Sell
3.Eliminate the Enemy
4.Death from Above
5.Your Final Breath

LINE-UP
agg Walker – Bass
Robert Schau – Drums
Lawrence Reimer – Guitars
Jonathan Hayward – Guitars
Stephen Chubaty – Vocals

DARK MESSIAH – Facebook

Unexpectance – Metastasis De La Esperanza

Gli Unexpectance confermano che il metal può essere uno dei mezzi migliori per spiegare il mondo, per esprimere ciò che portiamo dentro.

Gruppo metal proveniente dalle Asturie, e più precisamente da Oviedo, gli Unexpectance sono alla prima prova su lunga distanza.

Il loro suono è un misto di groove metal, metalcore e death metal per un disco che non manca di potenza e passione, ma difetta in originalità. Ciò non è però un problema perché gli asturiani fanno una mezcla molto buona, il suono esce potente e preciso, e forse con una produzione più complessa il loro suono risalterebbe maggiormente. Il disco è un concept album sulla metastasi della speranza, preso atto di come va il nostro mondo. Gli Unexpectance confermano che il metal può essere uno dei mezzi migliori per spiegare il mondo, per esprimere ciò che portiamo dentro, gridando nel dilaniamento provocato per la distanza da ciò che siamo e da ciò che vorremmo essere. Il cantato in spagnolo a due voci del gruppo è notevole ed è sicuramente uno dei loro pregi maggiori. In quasi tutti i pezzi c’è poi una ricerca graduale e bene gestita della melodia, che non fa assolutamente degli Unexpectance un gruppo commerciale, bensì un gruppo dalle molte armi e dalle molte possibilità. Il loro suono è molto moderno ed in linea con tutto ciò che è venuto dai Gojira in poi, ma la loro è una sintesi originale. Un disco, ma soprattutto un gruppo, da scoprire.

TRACKLIST
1.La Caída (Intro)
2.Entropía
3.El Fin De Los Días
4.Liberate Me Ex Inferis
5.Abismo
6.Ante Las Puertas
7.La Metástasis De La Desesperanza
8.Incepción
9.Lágrimas En La Tormenta
10.Quiasma
11.Sinestesia

LINE UP
Dani L. – Growl Vocals
Salvador G. “Poyo” – Drums
Aitor G. “Mike Stamper” – Bass, Clean Vocals
Nacho P. “Nacho Another” – Guitars, Backoìing Vocals
Fran P. – Guitars

UNEXPECTANCE – Facebook

Tragic Cause – No Restraint

Un album che non lascia dubbi sul valore di questi thrashers tedeschi, assolutamente consigliato agli amanti del genere

Thrash metal come se non ci fosse un domani, potente veloce e devastante, dall’anima old school ma con suoni e produzione al passo coi temi.

Da Amburgo, città capitale del power metal, arrivano con tutta la loro voglia impagabile di distruzione i Tragic Cause, trio formato nel 2010 dal chitarrista e cantante Alex Hoffmann, una bestia indomita, thrasher purosangue che con i suoi degni compari (Simon Schorp al basso e Thomas Hauser alle pelli), entrati in formazione giusto il tempo per registrare No Restraint, ci violenta i padiglioni auricolari con questa micidiale furia in musica.
Due full length alle spalle per il gruppo tedesco (To Reign Supreme del 2011 e Dead Man Walking, licenziato l’anno dopo), quattro anni di pausa, nuova line up e Hoffmann riparte con la sua abominevole creatura, un mostro per impatto e violenza che innalza un muro sonoro estremo impressionate di thrash dalle non poche soluzioni death.
No Restraint dura poco meno di mezzora, ma tanto basta al trio per non fare prigionieri, i brani si susseguono estremi e violenti, il growl di stampo death estremizza il sound, già di per sé devastante, e i rimandi alla scena statunitense, sommati ad elementi riscontrabili a quella della loro terra natia e al death metal, creano una miscela esplosiva micidiale.
Difficile nominarvi un brano piuttosto che un altro, No Restraint è un macigno sonoro formato da nove capitoli che, uniti, risultano una bomba atomica musicale, perfetta nel suo esporre in maniera così violenta e senza compromessi le varie influenze ed ispirazioni del gruppo di Amburgo.
Un album che non lascia dubbi sul valore di questi tedeschi, assolutamente consigliato agli amanti del genere.

TRACKLIST
1. No Restraint
2. Riven By Grief
3. Pain Is My Religion
4. Where It Begins
5. Loss Of Reality
6. Danistercracy
7. Force My Hand
8. Monster
9. Nailed To The Cross

LINE-UP
Alex Hoffmann – Guitars, Vocals
Simon Schorp – Bass
Thomas Hauser – Drums

http://www.facebook.com/TRAGIC.CAUSE/

Kreator – Gods Of Violence

Dopo trent’anni a sfondare padiglioni auricolari o a sperimentare nuove soluzioni per far crescere la propria musica, i Kreator danno alle stampe uno degli album più riusciti della loro lunga carriera.

Jens Bogren consiglia a Petrozza di mettere nelle mani dei nostri Fleshgod Apocalypse la intro del nuovo album, Apocalypticon.

Ne esce un pezzo cupo, marziale, apocalittico, che ben presenta Gods Of Violence, quattordicesimo album della più grande band thrash europea ed uno dei gruppi più importanti della scena metal mondiale.
Mille Petrozza è sempre sul ponte di comando e, come il vino, più invecchia più viene buono, mentre un altro tassello e stato giunto a quel monumento alla musica estrema di nome Kreator.
Il suo leader non si è mai seduto sugli allori di una popolarità che poteva tranquillamente tenere a bada con album tutti uguali, facendo il compitino sufficiente a far gioire gli amanti del thrash old school.
D’altronde, gli esperimenti del troppo sottovalutato Renewal e del gotico Endorama, avevano dimostrato all’epoca delle uscite (rispettivamente 1992 il primo e 1999 il secondo, in compagnia di quel genio dark di Tilo Wolff) di che pasta fosse fatto il musicista tedesco, poco incline ad assoggettarsi ai cliché del thrash metal.
Dopo cinque anni dal notevole Phantom Antichrist, i Kreator tornano con un album entusiasmante che li inserisce definitivamente nell’eletta schiera di quel pugni di band che hanno fatto la storia della musica estrema.
Dopo trent’anni a sfondare padiglioni auricolari o a sperimentare nuove soluzioni per far crescere la propria musica, la band tedesca dà alle stampe uno degli album più riusciti della loro lunga carriera, un’opera metal totale dove la band gioca non solo con il genere prediletto, ma anche con il power ed il death metal melodico, facendo impallidire tre quarti della Scandinavia odierna ed una buona fetta del loro paese d’origine, patria del power alla Blind Guardian/Grave Digger,
Registrato ai Fascination Street, Gods Of Violence deflagra in una tempesta di metal estremo, epico e melodico, e le armi usate dal gruppo sono bordate di power metal, sfuriate thrash e tanta melodia, come se i Kreator si fossero ritrovati in studio a bere due birre e jammare con Blind Guardian, Iron Maiden, In Flames (i primi, quelli metal) e Grave Digger: ne esce un album spettacolare, dove Petrozza canta con una aggressività spaventosa, in un’atmosfera di totale distruzione.
E qui sta il bello, perché Gods Of Violence, pur essendo un album estremo e di una forza spaventosa, riesce a mettere in evidenza l’aspetto melodico alla perfezione, come nella stupefacente Fallen Brother o nel singolo Satan Is Real, anche se il meglio questo lavoro lo dà nelle atmosfere da battaglia del il trittico World War Now, Totalitarian Terror e nella classicheggiante Hail To The Hordes, brano sanguigno che vi faranno sembrare gli ultimi trent’anni di epic metal sigle per cartoni animati.
Un album bellissimo e appagante, una vera e propria prova di forza per un gruppo che vive attualmente una seconda giovinezza e si piazza di diritto tra gli dei del metallo.

TRACKLIST
01. Apocalypticon
02. World War Now
03. Satan Is Real
04. Totalitarian Terror
05. Gods Of Violence
06. Army Of Storms
07. Hail To The Hordes
08. Lion With Eagle Wings
09. Fallen Brother
10. Side By Side
11. Death Becomes My Light

LINE-UP
Mille Petrozza – Vocals / Guitar
Sami Yli-Sirniö – Guitar
Christian Giesler – Bass
Ventor – Drums

KREATOR – Facebook

Vomit Angel – Sadomatic Evil 12″

Dodici pollici di debutto per questo duo danese di furioso death metal primitivo, con attitudine black.

Dodici pollici di debutto per questo duo danese di furioso death metal primitivo, con attitudine black.

Alcol e metal degenerante sono una delle poche cose che riescono a rendere felici i Vomit Angel e noi con loro, deliziati da questo assalto sonoro di 8 pezzi in diciannove minuti. Il suono del duo è fortemente debitore della vecchia scuola sudamericana del black death, dove il suono grezzo e la voce tagliente e gorgogliante diventano un pregio importante. Per gli amanti delle cronache metal i due che rispondono al nome Vomit Angel sono stati membri fondatori dei Sadogoat, per poi confluire nei Sadomator, i quali hanno pubblicato tre importanti album proprio su Iron Bonehead, una delle etichette principali per il metal potente, distorto e degenere. Chi ama il genere rimarrà folgorato da questo dodici pollici, che risponde a tutti i crismi del genere. Ci sono più cose in questi diciannove minuti che in certi dischi da due ore. Riffoni, conversazioni in growl e batteria scalciante, questi sono i Vomit Angel e va benissimo così.

TRACKLIST
1. Sadomator
2. Time Travel
3. Cotard
4. Voices in the Wind
5. Host of Darkness
6. Time of the Moon
7. Blasting Black Goat Attack
8. Female Goat Perversion

LINE UP
Lord Titan – Drums, Vocals (backing)
Necrodevil – Guitars, Vocals

IRON BONEHEAD PRODUCTIONS – Facebook

Terrifier – Weapons of Thrash Destruction

Per i fans di Exodus, primi Megadeth, Testament e di tutta la scena statunitense, questo lavoro è vera goduria thrash metal da gustarsi dal primo all’ultimo istante.

La prima bomba thrash metal proveniente dall’underground metallico targato 2017 è dei canadesi Terrifier: il loro secondo album è un’ autentica esplosione made in Bay Area.

Fresco di firma per la Test Your Metal, il gruppo torna dopo quasi cinque anni dal precedente full length più in forma che mai, con questa botta di vita thrash metal, pura nitroglicerina in musica, dalle ovvie influenze statunitensi, derivativa quanto volete ma perfettamente in grado di farvi a pezzi a suon di mazzate metalliche.
Non esiste tregua ne respiro, Weapons of Thrash Destruction scaraventa al muro, immobilizza il nemico e lo massacra di fendenti senza soluzione di continuità, veloci, potenti e letali.
L’album in cuffia a volume critico è un’autentica gioia per le orecchie malandate degli amanti del thrash americano di matrice old school, non manca niente per non fare prigionieri ai ritmi infernali di vere bombe come l’opener Reanimator, la seguente Deceiver e via una sotto l’altra tutte le nove tracce che vanno a comporre l’album di questi guerrieri indomiti del thrash metal.
Per i fans di Exodus, primi Megadeth, Testament, e tutta la scena statunitense questo lavoro è vera goduria thrash metal da gustarsi dal primo all’ultimo istante.

TRACKLIST
1.Reanimator
2.Deciever
3.Nuclear Demolisher
4.Violent Reprisal
5.Skitzoid Embolism
6.Drunk as Fuck
7.Bestial Tyranny
8.Riders of Doom
9.Sect of the Serpent

LINE-UP
Chase Thibodeau – Vocals
Rene Wilkinson – Guitar
Brent Gallant – Guitar
Kyle Sheppard – Drums
Alexander Giles – Bass

TERRIFIER – Facebook

Thrash Bombz – Master Of The Dead

Thrash metal old school alla massima potenza, per i fans del genere Master Of The Dead è un lavoro imperdibile.

In Sicilia si suona thrash metal old school tripallico, senza compromessi ed assolutamente devastante.

I Thrash Bombz sono uno dei gruppi principali della scena che si muove nel sottosuolo della calda isola dell’Italia meridionale, per molti terra ignorata se si parla di musica metal, ma non per noi di MetalEyes, da tempo attenti a tutto quello che succede in campo musicale nei vari capoluoghi siciliani.
Il gruppo di Agrigento arriva, sempre tramite la Iron Shield, al secondo lavoro sulla lunga distanza, tre anni sono passati da Mission Of Blood, esordio che in quell’anno fu seguito dall’ep Dawn, ultimo urlo metallico dei Thrash Bombz.
Dopo Leonardo Botta, al microfono sul primo album, e Angelo Bissanti che aveva prestato la sua voce su Dawn, è l’ora di Tony Frenda nel prenderci per le parti basse e con violenza scaraventarci nel mondo di Master Of The Dead, ennesimo tributo al thrash metal old school capace di soddisfare le aspettative dei fans.
L’album parte con Condemned To Kill Again e la band ci fa aspettare ancora un minuto e trenta secondi, avvicinandoci pericolosamente all’area di tiro, così da finire falciati dalla mitragliatrice che spara velocissima migliaia di pallottole metalliche.
Il gruppo è in gran forma, si susseguono ritmiche spettacolari, veloci ripartenze dove la solista imperversa, chorus che sono bombe a mano lanciate in mezzo al battaglione, fenomenali rincorse su e giù per lo spartito violentato da questi thrashers che non sbagliano una virgola: siamo alla fine del secondo brano ed è già festa grande.
Bellissima Evil Witches, oscura ed heavy e che si presenta con una intro arpeggiata che funge da conto alla rovescia, mentre Curse Of The Priest è una devastante traccia che nei suoi meandri puzza di punk, prima che Black Steel ci riporti al thrash metal bay area style dell’esordio.
Non sbaglia un colpo la band siciliana, l’impressione è quella di essere al cospetto di un album curato e che, nel suo spirito underground, i Thrash Bombz abbiano messo qualcosa in più.
Tornano a fare la differenza le parti strumentali sulla title track, brano perfetto dove funziona tutto alla perfezione, dall’atmosfera in crescendo dei primi minuti, ai chorus, al lavoro di sezione ritmica con Angelo Bissanti a fare coppia con la piovra Salvatore Morreale alla batteria, e le due chitarre di Salvatore Li Causi e Giuseppe Peri che, minacciose e in perfetta sintonia, distruggono, devastano e urlano dolore.
L’album corre verso il suo epilogo, il trittico Evoking The Ghost, The Avenger e Call Of Death non fa che confermare la vena del gruppo siciliano e la bontà di un ritorno che, nel genere, risulta uno degli album più riusciti di questo inizio anno.
Thrash metal old school alla massima potenza, per i fans del genere Master Of The Dead è un lavoro imperdibile.

TRACKLIST
1. Condemned To Kill Again
2. Ritual Violence
3. Master Of The Dead
4. Curse Of The Priest
5.Black Steel
6. Taken By Force
7. Evil Witches
8. Evoking The Ghost
9. The Avenger
10. Call Of Death

LINE-UP
Salvatore “Trronu” Morreale: drums
Tony “Stormer” Frenda: vocals
Salvatore “Skizzo” Li Causi: lead guitar
Giuseppe “UR” Peri: rhythm guitar
Angelo Bissanti : bass

THRASH BOMBZ – Facebook

Forgery System – Distorted Visions

Esordio d’eccezione per questi ragazzi assolutamente da seguire nel loro percorso thrash e crossover, sperando che non si separino più.

I pavesi Forgery System debuttano sulla lunga distanza con Distorted Visions, un più che buon disco di thrash e crossover.

Questi ragazzi hanno molte idee e le sviluppano tutte bene, dando vita a composizioni thrash metal molto varie e con sconfinamenti nel crossover. Stupisce, essendo un disco di esordio, la padronanza della materia e la bravura tecnica, oltre alla capacità di poter usare diversi registri della musica pesante. Distorted Visions è un lavoro che ha fortissime radici nel metal anni ottanta e novanta, e questi ragazzi hanno una conoscenza dell’argomento che, se non li sapessi così giovani e di Pavia, avrei tranquillamente giurato sulla loro provenienza a stelle e strisce. Nel disco si sente quella freschezza di groove molto anni novanta, quella bella scorrevolezza di generi metal che concorrono tutti allo stesso risultano, ovvero quello di arrivare a divertire l’ascoltatore attraverso la durezza e la melodia. Unico appunto può essere la produzione, perché, e non è facile, con suoni più potenti questo disco sarebbe ancor più gigantesco.
Esordio d’eccezione per questi ragazzi, assolutamente da seguire nel loro percorso thrash e crossover, sperando che non si separino più.

TRACKLIST
1.Metal Ain’t Gonna Die
2.Swimming In A Bowl
3.Instrumetal
4.New Sensation
5.Yellow Line
6.Eclipse Of Wrath
7.She
8.Ebola
9.2016

LINE-UP
Gabriele Orlando – Guitar/Vocals
Daniele Maggi – Guitar
Pablo Dara – Bass/Vocals
Federico Fava – Drums

FORGERY SYSTEM – Facebook