Bloodland/Necrosi – Death Metal Attack Split

Buona iniziativa della Unholy Fire Records che unisce in uno split i tedeschi Bloodland ed i nostri Necrosi.

Buona iniziativa della Unholy Fire Records che unisce in uno split i tedeschi Bloodland ed i nostri Necrosi.

La prima parte vede quindi i Bloodland alle prese con una mezzora scarsa di death metal old school, feroce e battagliero accostabile ai Bolt Thrower e alla scena olandese.
Una lunga intro ci prepara all’esplosione di Into Sect, brano che rispecchia quanto scritto, mentre Disingrate è leggermente più elaborata nelle ritmiche, con un inizio in mid tempo ed una oscura potenza guerriera che si trasforma in una cavalcata veloce e devastante.
Le coordinate del gruppo tedesco sono mantenute intatte anche negli altri brani, con Disconnected By Humanity a risultare la traccia più convincente di questo breve lotto di  bombe atomiche musicali.
I Necrosi sono invece una band siciliana e nelle sue fila si muovono personaggi di spicco dell’underground estremo come Giuseppe Peri e Tony “Grave”, coppia d’assi dei Thrash Bombz, già recensiti più volte sulle nostre pagine; ad aiutare i due musicisti agrigentini troviamo altri due musicisti appartenenti alla stessa cerchia, Angelo Bissanti al basso e Totò alla batteria.
I tre brani presentati dal gruppo fanno riferimento al death metal tradizionale, producendo una scarica estrema riconducibile alle gesta dei gruppi storici nei primi anni novanta e di palese ispirazione americana.
Ritmiche varie, mid tempo che si trasformano in pesantissime cavalcate estreme, growl feroce e chitarre torturate, fanno di questi tre brani un ottimo antipasto per quello che si potrebbe trasformare in qualcosa di più che non un progetto limitato ad un ep.
Fire In Carnage, la progressiva Nocturnus Trauma e l’ottima Haunted By Fear, dall’inizio doom/death per poi trasformarsi in un crescendo death entusiasmante, sono un biglietto da visita niente male per il gruppo siciliano.
In complesso un ottimo split , che ci presenta due gruppi separati da migliaia di km, ma uniti nel diffondere il verbo del genere.

Tracklist
1.Bloodland-Intro Apocalyptic Visions
2.Bloodland-Into Sect
3.Bloodland-Disingrate
4.Bloodland-Invasion Of Bacteria
5.Bloodland-Disconnected By Humanity
6.Bloodland-The Usual Mortality
7.Necrosi-Fire In Carnage
8.Necrosi-Nocturnus Trauma
9.Necrosi-Haunted By Fear

NECROSI – Facebook

Kobaloi – For Nothing We Follow

Thrash metal e groove si fondono nel sound degli statunitensi Kobaloi per dar vita ad una tempesta estrema che non risparmia frustate hardcore.

Thrash metal e Groove si fondono nel sound degli statunitensi Kobaloi per dar vita ad una tempesta estrema che non risparmia frustate hardcore, composto da un sound personale e che, nella sua violenta ispirazione risulta suonato a meraviglia, tanto che non è così difficile scorgere riferimenti all’heavy metal classico.

La band nasce nel nord Minnesota quattro anni fa e prima di questo debutto sulla lunga distanza ha rilasciato un ep, Crossing Akheron nel 2015.
For Nothing We Follow è un lavoro atipico se si considerano i canoni odierni del genere: spogliato dei classici mid tempo del groove metal, appare quale un devastante macigno thrash dove il gran lavoro ritmico passa da martellate groove a sorprendenti passaggi tecnici di scuola Iron Maiden.
Poi, come d’incanto, una furia hardcore si impossessa del sound (Revence Of A Dying Liar) alternando suoni old school a parti dai rimandi al metal moderno statunitense, in un’altalena di atmosfere esaltate dalla tellurica prestazione del gruppo.
Aphonic Breed è il classico brano che riassume in quattro minuti tutte le sfaccettature della musica composta dai Kobaloi: Megadeth, Sepultura, Iron Maiden e Lamb Of God vengono mescolati in un cocktail estremo che dal groove metal prende quella forza espressiva moderna, il tanto che basta per fare di For Nothing We Follow un album riuscito e, a suo modo, originale.
Choleric e Khold Sin confermano con la loro rabbiosa atmosfera l’approccio estremo del gruppo americano, sicuramente una realtà da seguire nel vasto panorama del metal underground.

Tracklist
1.Walls Of Flesh, Blood And Bone
2.Reverance Of A Dying Liar
3.Endenial
4.Aphonic Breed
5.Choleric
6.The Fury Never Fades
7.Khold Sin
8.Throes Of Hollow

Line-up
J.J. Mohr – Vocals
Vincent Verroust – Guitars
Thomas Toepper – Drums
Adam Syverson – Bass, Vocals
Damian Dunn – Guitars

KOBALOI – Facebook

Profane Burial – The Rosewater Park Legend

Il lavoro tastieristico guida ma non schiaccia il resto della strumentazione: proprio questo equilibrio consente di mantenere il tutto al di sotto del livello di potenziale saturazione per l’ascoltatore, anche se l’assimilazione dell’album non è agevolissima.

I Profane Burial sono una nuova band norvegese che scende nell’arena a cimentarsi con il symphonic black metal curiosamente nello stesso periodo in cui è previsto l’atteso ritorno dei maestri del genere, i connazionali Dimmu Borgir.

E’ inevitabile quindi utilizzare questi ultimi quale termine di paragone anche se, indubbiamente, l’approccio dei Profane Burial è molto più aspro e a tratti dissonante, un qualcosa che già l’appartenenza alla scuderia della Apathy Records poteva far presupporre.
Peraltro, è interessante ritrovare dopo alcuni anni Ronny Thorsen, ex-vocalist dei Trail Of Tears, gothic band che ha goduto di un discreto riscontro di audience nello scorso decennio: la sua prestazione vocale è assolutamente in linea con i dettami del genere, con una buona alternanza tra tonalità più vicine al growl ed altre allo screaming.
Ovviamente, in The Rosewater Park Legend risulta preponderante il lavoro di orchestrazione curato dai fondatori della band Kjetil Ytterhus ed André Aaslie, abili nel fornire al sound un’aura più minacciosa che enfatica, riuscendo piuttosto bene ad evitare eccessivi e stucchevoli barocchismi; in effetti, quali riferimenti vengono indicati, oltre agli inevitabili Emperor, gli altri seminali, per quanto meno conosciuti, Limbonic Art così come i Carach Angren, e per inquadrare al meglio il sound offerto dai profane BurialProfane Burial direi che si può parlare di un’ideale via di mezzo tra queste due ultime maniere di intendere il black metal sinfonico.
L’impronta fornita dalla coppia Ytterhus / Aaslie è solenne ma mai eccessivamente ridondante, prediligendo appunto un approccio inquieto, a tratti sincopato, nel quale il lavoro tastieristico sicuramente guida ma non schiaccia il resto della strumentazione: proprio questo equilibrio consente di mantenere il tutto al di sotto del livello di potenziale saturazione per l’ascoltatore, anche se l’assimilazione dell’album non è agevolissima.
Forse l’unica cosa che fa difetto al lavoro è la mancanza del brano guida capace di catturare l’attenzione in maniera più immediata, anche se The Stench Of Dying Roses spicca sul resto della tracklist presentando una serie di passaggi davvero coinvolgenti, oltre ad una notevole linea vocale: del resto, il suono dei Profane Burial è proprio strutturato in modo tale da non prevedere più di tanto il ricorso ad aperture melodiche, mantenendo sempre un elevato livello di tensione che implica anche frequenti cambi di tempo e spezzature ritmiche, tali da non agevolare il compito dell’ascoltatore, il quale avrà comunque di che dilettarsi con un’opera di questa notevole levatura.

Tracklist:
1.The Tower Bell
2.The Stench Of Dying Roses (The Children’s Song)
3.The Soldier’s Song
4.A Different Awakening (A Proclamation By The Priest)
5.An Interlude (Or How The Curse Of Rosewater Park Began)
6.The Letters
7.The Tale The Witches Wrote

Line-up:
Kjetil Ytterhus : Orchestration
André Aaslie : Orchestration & Vocals
Bjørn Dugstad Rønnow : Drums
Jostein Thomassen : Guitar & Bass
Ronny Thorsen : Vocals

PROFANE BURIAL – Facebook

Atomwinter – Catacombs

Il quartetto tedesco non conosce compromessi e fin dalla copertina è palese l’intenzione di presentarci un lavoro basato su un sound old school, marcio e putrido come l’odore di morte che pervade le catacombe dalle quali, una volta entrati, sarà impossibile uscirne.

Ci si fa una bella gita nelle catacombe con l’ultimo album dei deathsters tedeschi Atomwinter, quartetto che vede l’inizio dell’attività nel 2010 e che ha licenziato due full length, il primo album dal titolo che è una chiara dichiarazione d’intenti come Atomic Death Metal, seguito da un ep e dal precedente Iron Flesh, licenziato tre anni fa.

Il quartetto tedesco non conosce compromessi e fin dalla copertina è palese l’intenzione di presentarci un lavoro basato su un sound old school, marcio e putrido come l’odore di morte che pervade le catacombe dalle quali, una volta entrati, sarà impossibile uscirne.
L’Intro ci apre la via verso le tombe coperte da centinaia di ratti malefici e la title track parte in quarta, il suono è riprodotto fedelmente come nei primi anni novanta, il growl maligno accompagna la parte strumentale che ha in Sadistic Intent la prima clamorosa frenata, un passaggio doom/death perfettamente in grado di regalare sfumature profondamente aberranti e ritornare a macellare padiglioni auricolari con la mastodontica Ancient Rites, il primo grande brano dell’album.
Gathering Of The Undead continua a mantenere la qualità di questo lavoro medio alta, perché Catacombs non brilla certo in originalità, ma la sua forza è espressa nel songwriting che in alcune tracce non fa prigionieri.
Carved In Stone, Necromancer e Morbid Lies risultano tre sfuriate estreme, riportando Catacombs verso il death metal dell’inizio, lasciando alla conclusiva Funeral Of Flesh il compito di levarci ogni speranza di ritorno alla luce con il suo incedere lento, falciato da accelerazioni continue e pesantissimi rallentamenti doom che lentamente chiudono l’entrata della tomba, con il buio totale che ci avvolge nel suo lugubre silenzio.
Asphyx, Bolt Thrower e Morgoth sono i principali ispiratori del combo tedesco, una macchina da guerra death metal consigliata senza remore agli amanti dei suoni old school.

Tracklist
1. Intro
2. Catacombs
3. Dark Messiah
4. Sadistic Intent
5. Ancient Rites
6. Gathering of the Undead
7. Carved in Stone
8. Necromancer
9. Morbid Lies
10. Funeral of Fles

Line-up
O. Holzschneider – Vocals
B.Grapp – Guitars
P.Walter – Drums
M.Schulz – Bass

ATOMWINTER – Facebook

Grievance – Pilar, Pedra e Faca

Quaranta minuti di black metal diretto, melodico, coinvolgente, sporco il giusto nei suoni ma limpido come acqua di fonte per intenti.

Subito dopo essere stato costretto, mio malgrado, ad ascoltare rumorismi assortiti che fa molto “cool” definire arte, imbattermi in un sano album di black metal come Pilar, Pedra e Faca equivale ad una vera e propria liberazione.

Infatti, il bravo Koraxid, musicista portoghese detentore del progetto solista denominato Grievance, mette in scena un bellissimo lavoro nel quale “ciò che si vede è”, senza dover ricorre a chissà quali seghe mentali per ricercare significati che spesso sono più nella testa di chi scrive che degli stessi musicisti oggetto delle recensioni.
In realtà in questo caso, più che il canonico tempo presente, dovrei usare un passato prossimo, visto che album è in realtà datato 2016 ma giunge al nostro cospetto solo quest’anno grazie all’opportuna ristampa in formato fisico curata dalla War Productions.
Poco male, qui non c’è prescrizione che impedisca di godersi questa quarantina di minuti di black metal diretto, melodico, coinvolgente, sporco il giusto nei suoni ma limpido come acqua di fonte per intenti: confermando la crescita esponenziale di una scena portoghese che sembra voler approcciare il genere risalendone le pareti partendo dagli antri più reconditi e profondi, i Grievance offrono un magnifico spaccato di quello che questo genere dovrebbe sempre essere.
Koraxid strepita in lingua madre la propria poco rassicurante visione delle cose, mentre al di sotto la musica si snoda con ritmi ragionati nei quali emerge uno strumento normalmente in secondo piano come il basso (non a caso il nostro ricorre anche all’ospite Joaquim “Vulture” Moreira), lavorando in unisono con un tremolo di grande ortodossia ma sempre capace di disegnare ottime linee melodiche.
Del resto, quanti hanno nelle corde brani trascinanti come Nausea o Um Trono Vazio, o il crescendo della conclusiva Agora e Sempre (peraltro impreziosita da notevoli passaggi di chitarra portoghese, disseminati anche in altre parti dell’album da parte dell’altro ospite Tiago Da Neta)? Non molti, e comunque troppo spesso sottovalutati per una linearità che dovrebbe essere, invece, sempre portata in palmo di mano quando è sinonimo di emotività .
Pilar, Pedra e Faca è magari un lavoro perfettibile in diversi passaggi, ma si rivela molto più ricco di sfumature rispetto alla maggior parte degli album di black metal nei quali mi sono imbattuto ultimamente: magari la mia visione è distorta dal fatto che adoro quella terra e quel popolo, ma ogni volta che ascolto musica provenire dalla Lusitania vi rinvengo sempre una profondità ed un sentore malinconico che va oltre le coordinate tipiche dal genere di volta in volta offerto.

Tracklist:
1. Mensagem Secreta
2. Fortaleza
3. O Novo Dia
4. Desconstruir
5. Náusea
6. Pragas
7. Um Trono Vazio
8. Subliminar Voz Interior
9. Agora e Sempre

Line-up:
Koraxid All instruments, Vocals

Guests:
Tiago da Neta – Portuguese Guitar on tracks 06, 08 and 09
Joaquim “Vulture” Moreira – Electric Bass Guitar in tracks 06 and 07

GRIEVANCE – Facebook

Repulsione – Desecrating

I Repulsione picchiano e gridano come un’ora di primitivi hooligans, e fanno un suono old school che sarà amato da chi ascolta grind da parecchi anni.

Chiamatelo grindcore, powerviolence o come vi pare, gli emiliani Repulsione sono tornati con il loro terzo disco, il punto più alto della loro discografia.

I Repulsione picchiano e gridano come un’ora di primitivi hooligans, e fanno un suono old school che sarà amato da chi ascolta grind da parecchi anni. Le chitarre stridono e disegnano linee che partono dall’italico hardcore per arrivare ad essere qualcosa di devastante, la batteria martella tutto con la terroristica complicità di ben due bassi per portare ancora più vicino al vostro culo il loro suono, mentre la voce copre tutta la gamma del growl ed anche oltre. Desecrating non si ferma nei dintorni del grindcore, ma continua nella marcia strada verso il powerviolence, che è un genere molto vicino ad un certo tipo di grindcore. Potenza e brutalità, il tutto senza mai farlo per posa ma con una grande conoscenza del genere e delle proprie possibilità. Il grind è uno dei pochi generi davvero internazionalisti, ed ha un grande scambio fra le diverse nazioni, tanto che i Repulsione in alcuni momenti sembrano una band di grind americano, poi fanno passaggi molto vicini al meglio dell’hardcore nostrano, che è comunque fortemente alla base di questo suono. I Repulsione attualmente sono forse il miglior gruppo di grind powerviolence in Italia e Desecrating è un disco che è destinato a generare molti ascolti, grazie ad una grande potenza e a tanto amore per la materia trattata. Ribellione e violenza, almeno musicale, sono sempre un gran bel programma.

Tracklist
1. The Eternal Darkness of an Usefull Skull
2. Vomero
3. Desecrating
4. Sacrifice
5. Junkyard Dog
6. Resistance
7. An Infamous Beast
8. Last Man Standing
10.1985
11. Arbeit Macht Nicht Frei
12. Union
13. Selfish (Comrades)
14. Maggio Rosso Sangue
15. Emptiness

Line-up
J.J. – bass
Gioele – drums
Tex – bass
Mosh – throat

REPULSIONE – Facebook

Necrodeath – The Age Of Dead Christ

The Age Of Dead Christ è il ritorno di una delle più importanti band metal italiane: il loro thrash black metal continua a mietere vittime e i trentatré anni passati dal primo storico demo non hanno lasciato alcuna cicatrice.

Non è mai facile recensire un album come l’ultimo Necrodeath, si rischia sempre la caduta nella retorica, celebrando una band di valore assoluto ed una manciata di nuovi brani che tornano a far parlare la storia del metal estremo, non solo nazionale.

I Necrodeath sono una delle icone del metal italiano, un gruppo che ha scandito con la sua discografia trent’anni abbondanti di musica metal in Italia, più facile al giorno d’oggi, meno se parliamo degli anni ottanta e novanta.
Peso, Pier, Flegias e G.L sono ancora qui con un album che celebra i trentatré anni dal primo seminale demo The Shining Pentagram, uscito nel 1985, tanti anni quanti quelli del Cristo prima di finire appeso ad una croce sulla collina del Golgotha, come è ben raffigurato nell’artwork che riporta il logo storico del combo genovese.
Ne sono passati di anni e di musica sotto i ponti dell’inferno dove si celebra il metal estremo di matrice thrash/black genere di cui la band è maestra, valorizzato da una tecnica sopraffina e da una furia estrema mai sopita.
The Age Of Dead Christ arriva ad un anno dal bellissimo split con la regina nera del metal nazionale Cadaveria, quel Mondoscuro che vedeva interagire le due band in modo totale, al punto da coverizzarsi a vicenda, e quattro dal precedente The 7 Deadly Sins, opera sui sette vizi capitali nella quale i Necrodeath per la prima volta usavano la lingua italiana, alternandola con l’idioma inglese.
Una band che non ha mai avuto timore di sperimentare torna però al più classico death/black, una mazzata estrema violentissima ed oscura che ci sputa in faccia tutta la sofferenza del mondo tramutata in livore e furia, fin dall’opener The Whore Of Salem, una traccia di metal estremo old school, seguita dal devastante thrash/black di The Master Of Mayhem.
The Age Of Dead Christ non ha pause, con la band che alterna velocissime ripartenze a mid tempo di schiacciante potenza: Peso dimostra d’essere uno dei batteristi più bravi della scena estrema mondiale con una prestazione che ha nei dettagli e nelle tante finezze ritmiche sparse qua e là il suo maggior pregio, G.L. supporta con una prova gagliarda il collega e la furia tecnicamente ineccepibile di Pier Gonella, con Flegias che sputa veleno, demone inarrestabile dietro al microfono.
The Kings Of Rome infuria tempestosa, The Triumph Of Pain rallenta i ritmi ma, in quanto ad atmosfera, è uno dei brani più riusciti dell’ opera; The Return Of The Undead è il tributo al passato e al primo full length Into The Macabre, in quanto nuova versione del classico The Undead con A.C. Wild degli storici Bulldozer come ospite.
L’album si chiude con un trittico di perle estreme come The Crypt Of Nyarlathotep, The Revenge Of The Witches e la title track, che formano un delirio musicale tra atmosfere nere e diaboliche ed il thrash/black metal nella sua forma più convincente, chiudendo come meglio non si poteva questo bellissimo nuovo capitolo della trentennale e leggendaria storia dei Necrodeath.

Tracklist
1. The Whore Of Salem
2. The Master Of Mayhem
3. The Order Of Baphomet
4. The Kings Of Rome
5. The Triumph Of Pain
6. The Return Of The Undead
7. The Crypt Of Nyarlathotep
8. The Revenge Of The Witches
9. The Age Of Dead Christ

Line-up
Flegias – Vocals
Pier – Guitars
G.L. – Bass
Peso – Drums

NECRODEATH – Facebook

Nemesis Inferi – A Bad Mess

Un album violento e melodico, potente e devastante quanto basta per non deludere gli amanti del genere e che proietta i Nemesis Inferi verso un futuro all’insegna del groove metal.

Continua imperterrita la trasformazione o evoluzione dei Nemesis Inferi, partiti tanti anni fa verso i gironi infernali dove regna il symphonic black metal, e tornati sui loro passi prima di cedere alle lusinghe del groove metal.

L’ultimo album in studio del gruppo bergamasco si spazzola via le ultime briciole gotiche ancora presenti sul precedente Natural Selection e si candida come album groove metal tout court, caratterizzato da un’anima thrash ed una più alternative, per un lavoro duro come l’ acciaio, pesante come un blindato e melodico il giusto per fare degli otto brani in programma una buona alternativa tutta tricolore allo strapotere statunitense, almeno in questo genere.
Solo il singolo e video Anything Anymore lascia passare la luce fioca di una candela gothic/dark, con G.M.Gain che ricoda a più riprese Peter Steele, per poi tornare a lidi thrash/groove con la tiltle track.
Prodotto da un nome importante della scena metal internazionale come Jaime Gomez Arellano (Paradise Lost, Ghost, Solstafir, Cathedral, With The Dead), l’album è un’esplosione di groove metal che dalle prime note dell’opener Never On Your Mouth alza un vento nucleare che spazza via tutto.
Il thrash moderno fa capolino quando la band sgomma prima di tornare su tempi medi, l’alternative metal è presente ma viene a tratti drogato dallo stoner, le melodie incastonate nei brani mantengono alta la fruibilità della musica ma non fanno mai scendere la tensione anche quando le atmosfere sembrano placarsi, per poi ripartire in un crescendo hard rock (Crawling In The Dust).
Vertigo chiude l’album come era iniziato, violento e melodico, potente e devastante, quanto basta per non deludere gli amanti del genere, chiudendo definitivamente con il passato e proiettandosi verso un futuro all’insegna del groove metal.

Tracklist
1.Never on your Mouth
2.Breaking Bad
3.Hate My Name
4.Rising
5.Anything Anymore
6.Bad Mess
7.Crawling in the Dust
8.Vertigo

Line-up
G.M. GAIN – Vocals & Guitar
FAZZ – Lead Guitar
DANIEL – Bass & Backing Vocals
MATTEO – Drums

NEMESIS INFERI – Facebook

Dustin Behm – The Beyond

Behm, cresciuto a pane e James Murphy, con contorno di Satriani e Gilbert, licenzia un debutto che ricorda più un testo didattico che un’opera musicale e che potrebbe piacere solo a chi si trastulla con i guitar heroes ed i virtuosi degli strumenti.

Una cascata di note allucinanti tra dischi volanti e mostri usciti dalla cultura horror degli anni settanta, un vorticoso incedere tra prog metal e technical death che porta alla totale distruzione, mentre gli incubi del musicista ci appaiono confusi e nebulosi.

Dustin Behm, chitarrista e polistrumentista americano, ex Lumus ed in forza ai prog metallers Increate, debutta con il primo lavoro solista interamente strumentale, un “mappazzone” (come lo definirebbe lo chef Barbieri, davanti ad un piatto presentato da uno dei cuochi dilettanti nel noto programma culinario di Sky) estremo di note suonate alla velocità della luce, tra death metal, prog e sfumature jazz.
Il problema di questo lavoro è l’assoluta mancanza di feeling, trattandosi di una cinquantina di minuti (e non sono pochi) di musica suonata da un mostro di tecnica (su questo non ci piove) che ben poco a chi ascolta e ancora meno se non si è un musicista, per cui l’attenzione rimane alta solo per trovare qualche difetto al collega di turno.
Lo shredding è portato all’estremo, la forma canzone manca totalmente e l’interesse comincia a svanire dopo il terzo brano, travolti da un’interminabile ghirigoro elettrico che affoga nel mare in burrasca dell’ego di un musicista prigioniero della propria inattaccabile tecnica.
Behm, cresciuto a pane e James Murphy, con contorno di Satriani e Gilbert, licenzia un debutto che ricorda più un testo didattico che un’opera musicale e che potrebbe piacere solo a chi si trastulla con i guitar heroes ed i virtuosi degli strumenti.
Le emozioni, che sono il fulcro di qualsiasi forma d’arte, non abitano tra questi solchi, peccato.

Tracklist
01. Mechanization
02. Poltergeist
03. Alien Voodoo
04. Interdimensional Travel
05. The Beyond
06. Genesis
07. Rituals
08. Descent Into The Unknown
09. Haunted Labyrinth
10. Obelisk
11. Last Resort
12. Awakening
13. Towers Of Glass

Line-up
Dustin Behm – All Instruments

DUSTIN BEHM – Facebook

Naxatras – III

Non ci sono davvero punti deboli per un viaggio che è molto piacevole e che pone i Naxatras fra i primi gruppi strumentali di questi anni in ambito psichedelico.

Tornano i greci Naxatras per portarci nuovamente lontano con la loro fantastica psichedelia pesante.

III parte da un viaggio attraverso una terra sconosciuta, un antico meccanismo ed una profezia. Con queste premesse arriva la musica del gruppo ellenico, un misto di psichedelia, fuzz e stoner non convenzionale. I Naxatras dipingono paesaggi con la loro musica strumentale, narrando i suoni che ne sono al centro della poetica. La loro musica nasce in assenza di canto, ed è un gran bel sentire che porta molti punti a favore della musica strumentale, per molti un valore aggiunto e non una sottrazione. III è un disco molto ben composto e suonato in maniera eccellente e che va molto oltre i generi, per immergersi in acque sconosciute attingendo molto da fertili jam. Le canzoni viaggiano tra sospensioni, momenti di intensità e tante dilatazioni, la perfetta produzione coglie nel segno i vari passaggi che costellano questa opera, che cattura fin da subito l’attenzione dell’ascoltatore e non tradisce mai le sue aspettative. Questo disco può essere letto come un libro o approcciato come quando ci si ascolta chiudendo gli occhi, essendo un variegato cosmo che abita dentro e fuori di noi. Non ci sono davvero punti deboli per un viaggio che è molto piacevole,  che pone i Naxatras fra i primi gruppi strumentali di questi anni in ambito psichedelico. Ci sono giri di chitarra assolutamente ipnotici, una sezione ritmica che puntella il tutto con fare davvero fine ed adeguato: tutto è al servizio di una particolare idea di suono, che viene portata avanti dall’inizio alla fine senza cedimenti. Un viaggio potente e raffinato, una grande affermazione di classe e bravura senza alcuna paura dell’ignoto.

Tracklist
1.You Won’t Be Left Alone
2.On the Silver Line
3.Land of Infinite Time
4.Machine
5.Prophet
6.White Morning
7.Spring Song

Line-up
John Delias – Guitar
Kostas Harizanis – Drums
John Vagenas – Bass & Vocals

NAXATRAS – Facebook

Aorlhac – L’Esprit des Vents

Di questo lavoro va apprezzato soprattutto il risultato d’insieme, perché i brani si concatenano tra loro proprio per la continuità stilistica e per un’intensità che non si placa, travolgendo l’appassionato di turno per il suo impatto ritmico e melodico.

Il black metal proveniente dalla Francia non sempre è sinonimo di sonorità complesse e dalle venature sperimentali e dissonanti: in questi ultimi tempi ci stiamo imbattendo in diverse band che, al contrario, offrono un’interpretazione molto accattivante grazie all’inserimento di una pesante componente epica , ponendosi come obiettivo un coinvolgimento emotivo immediato dell’ascoltatore.

E’ questo il caso per esempio dei Nydvind (dei quali si parlerà tra qualche giorno) e degli Aorlhac, gruppo che nella sua decina d’anni di attività arriva al terzo full length, L’Esprit des Vents, a otto anni di distanza dal precedente, La cité des vents, e appunto a dieci dal quello d’esordio, À la croisée des vents.
Con il vento quale termine ricorrente nei titoli, la band di Aurillac omaggia la propria città utilizzandone il nome in occitano quale monicker, mentre musicalmente l’immaginario medioevale si traduce in una musica dal potente impatto evocativo, con sfumature che vanno dal pagan/epic al folk metal, il tutto eseguito con notevole maestria.
Di questo lavoro va apprezzato soprattutto il risultato d’insieme, perché i brani si concatenano tra loro proprio per la continuità stilistica e per un’intensità che non si placa, travolgendo l’appassionato di turno per il suo impatto ritmico e melodico.
L’Esprit des Vents è il classico lavoro il cui ascolto sicuramente tiene alla larga dalla noia: il piede batte furiosamente mentre Spellbound recita aspramente in lingua madre testi che raccontano di vicende del passato, facendoci realmente vivere in maniera credibile questi sbalzi temporali; all’interno del sound degli Aorlhac si trovano anche diversi passaggi che rimandano all’heavy metal, per cui non si disdegnano neppure ottimi assoli chitarristici (La révolte des tuchins), anche se la sei corde viene impiegata di norma in tremolo per tessere incessantemente linee melodiche bellissime (valgano per tutti brani magnifici come Ode à la croix cléchée e un’esaltante L’ora es venguda).
L’Esprit des Vents è un album che merita davvero il plauso di chiunque ami il metal, perché nonostante la sua base black possiede tutti i crismi per trovare favori anche in chi predilige di norma altri generi e, aggiungerei, è del tutto in linea con l’elevata qualità del materiale normalmente offerto dalla piccola ma attivissima etichetta transalpina Les Acteurs de L’Ombre Productions.

Tracklist:
1. Aldérica
2. La révolte des tuchins
3. Infâme Saurimonde
4. Ode à la croix cléchée
5. 1802-1869 | Les méfaits de Mornac
6. Mandrin, l’enfant perdu
7. La procession des trépassés
8. Une vie de reclus (quand les remparts ne protègent plus)
9. L’ora es venguda
10. L’esprit des vents

Line-up:
NKS – Guitars, Bass
Spellbound – Vocals
Lonn – Lead Guitars
Ardraos – Drums

AORLHAC – Facebook

Nekhen – Akhet

Quella offerta da Nekhen è musica che possiede tutte le caratteristiche per far breccia in chi dalle note ricerca nutrimento per la mente e l’anima.

Dopo il riuscito esordio intitolato Entering the gate of the western horizon, ritroviamo Nekhen, musicista italiano alle prese con la il proprio intrigante mix di doom, ambient e musica egizia.

La fascinazione per le sonorità tipiche del paese dei faraoni non è una novità in ambito metal, con i Nile a fare da capiscuola ed una serie di band a seguirne le tracce, sempre però all’insegna di sporadiche contaminazioni che vanno ad inserirsi all’interno di una struttura comunque estrema, death o black che sia.
In questo caso, invece, la musica tradizionale è la base sulla quale poi si diramano le varie pulsioni di Nekhen, il quale in questo caso, rispetto al lavoro precedente introduce maggiori contributi vocali, inclusi quelli femminili a cura di Eleonora B., mentre l’insieme appare ancora più vario e coinvolgente dal primo all’ultimo minuto.
Ovviamente questa mezz’ora di musica è divisa in quattro tracce che richiedono preferibilmente un ascolto continuato, in quanto i brani possiedono un forte legame tematico e musicale che porta a considerarli in maniera naturale come un corpo unico; di fatto, però, la suddivisione tra episodi consente di dire che Invocating Khentiamentiu rappresenta una sorta di lunga ed avvolgente introduzione acustica ad Invocating Bat, vero climax emotivo dell’album grazie a magnifiche intuizioni melodiche, con Invocating Kherti e la conclusiva title track che portano infine sound ad esplorare terreni più cupi, sotto forma di uno sludge doom che si fa più pesante proprio in quest’ultima traccia.
La bravura di Nekhen risiede nella capacità di mantenere stretto il legame con le sonorità etniche esibendo grande competenza e continuità, ed evitando quindi che le due componenti si presentino quasi come dei corpi separati.
Quella offerta in Akhet è musica che possiede tutte le caratteristiche per far breccia in chi dalle note ricerca nutrimento per la mente e l’anima.

Tracklist:
1.Invocating Khentiamentiu
2.Invocating Bat
3.Invocating Kherti
4.Akhet

Line-up:
Nekhen – all isntriuments

Eleonora B. – vocals

NEKHEN – Facebook

Sotz’ – Tsak’ Sotz’

La band portoghese si destreggia con maestria tra le intricate ispirazioni che il death metal melodico ha prodotto in questi ultimi anni, lasciando intravedere un buon talento e confermando così il valore delle nuova generazione dei musicisti metal nati all’estremo ovest della penisola iberica.

Ci hanno messo praticamente dieci anni i portoghesi Sotz’ prima di dare alle stampe Tsak’ Sotz’, primo ep sotto l’ala della Raising Legends Records, label già apparsa sulle pagine di MetalEyes in occasione dell’uscita dell’ultimo splendido parto dei thrashers Wrath Sins.

Il quintetto proveniente da Oporto suona un metal estremo che tanto deve al death metal e al thrash moderno in parti uguali, creando un muro sonoro di notevole potenza.
Cinque brani oggi bastano ai Sotz’ per convincere gli amanti del genere, anche se così tanti anni hanno inciso negativamente su un minimo di notorietà per un gruppo meritevole d’attenzione, per l’impatto di cui si fregiano i brani, la buona alternanza di melodie e devastanti partenze di death/thrash duro come l’acciaio.
Scream e growl si danno il cambio in questo esempio di estremismo sonoro che difficilmente troverà un’etichetta adatta per spiegare i continui passaggi tra i vari generi da cui è ispirato.
La band schiaccia il piede sull’acceleratore e solo a tratti lo alza: tra le trame chitarristiche delle varie Apocalyptic Machine e The End Of Civilization troverete suoni già adottati dalle maggiori band del genere (Lamb Of God e Soilwork), quindi assolutamente nulla di nuovo ma bilanciato quel tanto che basta per ben figurare.
La band portoghese si destreggia con maestria tra le intricate ispirazioni che il death metal melodico ha fatto suo in questi ultimi anni, lasciando intravedere un buon talento e confermando così il valore delle nuova generazione dei musicisti metal nati all’estremo ovest della penisola iberica.

Tracklist
1.Apocalyptic Machine
2.Within the Evil Empire
3.The End of Civilization
4.Reborn
5.Tzak’ Sotz’

Line-up
João “Jisus” Rocha – Guitar
Pedro Magalhães – Guitar
Emanuel Ribeiro – Bass
Dan Vesca – Vocals
Tiago Silva – Drum

SOTZ’ – Facebook

Max Blam Jam – Blowup Man

Un album assolutamente da avere se siete amanti dei suoni noventiani, divenuti fondamentali per la crescita del rock dell’ultimo trentennio e che i Max Blam Jam tributarono al meglio.

La label statunitense Roxx Records ci regala l’ennesima chicca che va a rimpinguare un roster formato da band che in comune hanno solo l’appartenenza all’ala cristiana del metal, mentre per quanto riguarda il sound la parola d’ordine è varietà.

Questo è un bellissimo album di christian rock, fuori dai soliti schemi risulta, perso nel tempo e ritrovato in tempo per deliziare i palati dei rockers dai gusti funky e blues.
Blowup Man, mai pubblicato fino ad oggi, è stato creato dalla coppia Glenn Rogers e Brian Khairullah dei Deliverance nel lontano 1991, con il monicker Max Blam Jam, gruppo che vedeva all’opera, oltre ai due musicisti, l’ex bassista degli Steel Vengeance Cesar Ceregatti e il polistrumentista Dan Ceregatti alle prese con batteria e tastiere.
L’album è un bellissimo esempio della varietà di stili che le band di quegli anni usavano per creare la loro musica, senza vincoli e barriere, prima che alternative o crossover diventassero generi abituali nel rock di quel decennio.
Un album cristiano atipico ma sicuramente pregno di quel modo di fare musica che ha influenzato il rock del nuovo millennio e che nasconde ancora oggi perle come Blowup Man, nascoste nelle soffitte delle casette indipendenti lungo le vie alberate dove i giovani rockers crescevano ascoltando Red Hot Chili Peppers, Aerosmith, Primus, Metallica e Jimi Hendrix.
Un album assolutamente da avere se siete amanti dei suoni di quell’epoca, divenuti fondamentali per la crescita del rock dell’ultimo trentennio e che i Max Blam Jam tributarono con splendidi brani come l’opener I Wasn’t Ready, Desert Flower, Everybody (Needs Love) e Apathy’s Child.

Tracklist
1. I Wasn’t Ready
2. Burning Deep Inside
3. Desert Flower
4. I Love My Gun
5. Standing Alone
6. Everybody (Needs Love)
7. Wild Billy
8. Apathy’s Child
9. Rescue Me
10. Because

Line-up
Glenn Rogers – guitars
Brian Khairullah – Vocals
Cesar Ceregatti – Bass
Dan Ceregatti – Drums, Keyboards

ROXX PRODUCTIONS – Facebook

Visionoir – The Waving Flame of Oblivion

Un album frizzante e dal grande charme: l’ascolto che ne risulta è incredibilmente piacevole e di assoluto trasporto.

La musica dei Visionoir non è sicuramente di quella che trovi da tutte le parti. Il progetto nasce da un’idea di Alessandro Sicur, che fonda il progetto nel 1998 e lavora duramente a The Waving Flame of Oblivion, quest’album che esce solamente a fine 2017 dopo anni di rielaborazioni e nuovi contenuti.

Attesa lunga in stile (ormai) Tool, ma possiamo piangere da un solo occhio ascoltando i grandi risultati prodotti dal musicista friulano: il suo è un sound non inquadrabile in nessun genere preciso, e nemmeno identificabile da un singolo aggettivo. Questo è certamente il punto di forza del progetto, che propone uno sperimentalismo musicale variegato al 100% , prendendo elementi di post rock, avvertibile in pezzi come Coldwaves e A Few More Steps, progressive e space rock, ma non solo. Il sintetizzatore collabora nella creazione di tutto un universo musicale che schizza in mille direzioni e non è inquadrabile solamente nella categoria rock, per quanto già vastissima: basti ascoltare brani emblematici in tal senso come Shadowplay e Distant Karma.
L’artista esplora tutte le atmosfere possibili provocando nell’ascoltatore qualsiasi emozione meno che la noia. C’è sempre da aguzzare le orecchie durante l’ascolto, per cogliere ogni nuova sonorità introdotta nel viaggio musicale. L’unica band più rinomata, il cui sound è avvicinabile a ciò che il musicista italiano ha fatto, sono gli Arcane Alchemists, accompagnati da altri meno noti al grande pubblico.
Per il momento il nome Visionoir si trova tra questi ultimi ma siamo solo al primo vero e proprio album. Ci auguriamo solo che questo sia l’inizio una produzione più frequente negli anni a venire ma, ovviamente, senza mai cadere nell’errore opposto di sfornare album a raffica, come talvolta vediamo accadere ad altre one-man band.

Tracklist
1. Distant Karma
2. The Hollow Men
3. 7even
4. The Discouraging Doctrine of Chances
5. Shadowplay
6. Electro-Choc
7. Coldwaves
8. A Few More Steps
9. Godspeed Radio Galaxy

Line-up
Alessandro Sicur – Vocals, Keyboards, Piano, Bass, Programming

VISIONOIR – Facebook

Desolation Angels – King

Vecchi guerrieri che non mollano mai, che vogliono essere salvati dal loro “demon inside”. Gran bel ritorno di una leggenda minore della NWOBHM.

Vecchi guerrieri che non mollano mai, che vogliono essere salvati dal loro “demon inside”! Il ritorno di questa leggenda minore della NWOBHM, già avvenuto con l’EP del 2014 Sweeter the meat, si compie completamente per Dissonance Records che commercializza King, uscito l’estate scorsa sul sito della band.

Via ogni dubbio, il disco è bello, molto bello, ricco di freschezza, ricco di atmosfera, dove i due chitarristi originali (Robin Brancher e Keith Sharp) assemblano magnifiche canzoni nelle quali si mescolano antichi suoni con un tocco di modernità; il senso melodico dei Desolate Angels dà vita a brani trascinanti, energetici (Doomsday) e nei quali la voce espressiva e sentita del singer Paul Taylor (qualcuno lo ricorderà negli Elixir di Son of Odin) riempie la scena di emozioni importanti, come in Another turn of the screw, dove il lavoro intrecciato delle chitarre srotola note vibranti fino al delizioso assolo. Queste due songs che aprono l’opera ci fanno capire che la band ci crede, è convinta, se ne frega delle mode e ci vuole far viaggiare con la memoria ai primi anni 80, quando la band emerse in U.K.: due full length nel 1986 (Desolation Angels) e nel 1990 (While the flame still burns), poi il silenzio, interrotto dal box del 2008 Feels like thunder, ricco di demo, live e inediti. I musicisti hanno gusto, sanno suonare e il disco non conosce momenti di stanca: quarantacinque minuti di buone vibrazioni anche quando si rallentano i ritmi, ma non il coinvolgimento (Devil Sent); i toni convulsi di Your Blackened Heart e l’urgenza vocale di Taylor infiammano i cuori e già me la immagino in sede live far esplodere i piccoli locali dove presumo possano fare sfracelli. Le delicate e malinconiche note di Find your life esplodono in momenti di rabbia dove ci ammoniscono che è necessario …find your life, or be lost forever… mentre le killer song Hellfire e Sky of pain rammentano che l’arte del riff non è cosa per tutti. I toni più cupi di My demon inside  suggellano un gran ritorno che consiglio caldamente.

Tracklist
1. Doomsday
2. Another Turn of the Screw
3. Devil Sent
4. Rotten to the Core
5. Your Blackened Heart
6. Find Your Life
7. Hellfire
8. Sky of Pain
9. My Demon Inside

Line-up
Keith Sharp – Guitars
Robin Brancher – Guitars
Clive Pearson – Bass
Chris Takka – Drums
Paul Taylor – Vocals

DESOLATION ANGELS – Facebook

Iron Angel – Legions of Evil

Nastro di culto, per un gruppo chiave del thrash tedesco anni Ottanta, appena dietro la sacra triade rappresentata da Kreator-Sodom-Destruction.

Nel 1980 nacquero ad Amburgo i Metal Gods, sin dal nome devoti al verbo della NWOBHM e dei Judas Priest in particolare.

Tre anni dopo, al momento del loro scioglimento, alcuni membri diedero vita ad una nuova formazione, gli Iron Angel. Questi ultimi – amici dei Kreator di Mille Petrozza, a fianco dei quali suonarono diverse volte in concerto – prima di rilasciare il capolavoro d’esordio, dal titolo Hellish Crossfire, nel 1985, incisero tre demo tape, tutti registrati nel 1984: il migliore rimane senza dubbio Legions of Evil. Il gruppo, capitanato dal cantante Dirk Schroeder, suonava uno speed-thrash cupo ed occulto, non troppo dissimile da quello di molti connazionali di allora (Risk, Living Death, Vendetta, Paradox, Angel Dust, primissimi Blind Guardian), ma aperto anche ad influenze di ascendenza americana (principalmente Laaz Rockit, Flotsam and Jetsam e Nasty Savage, peraltro a quell’epoca anche loro appena agli inizi). L’intro Return From Hell, con i suoi rintocchi funerei, ben rappresentava il potenziale dark del quintetto germanico – messo poi da parte dalla svolta molto più melodic-power del secondo disco (Winds of War, 1987) – e lasciava presto il posto ad autentici inni, quali Metallian, la title-track, Heavy Metal Soldiers, la più priestiana Sinner e l’oscura e sabbathiana Church of the Lost Souls. Chiudeva infine la cassetta Rush of Power, incisa dal vivo durante uno dei molti gig che la band teneva in quel periodo in patria. Legions of Evil – abbinato all’altro demo tape, Power Metal Attack, sempre del 1984 e in realtà di puro thrash – è stato ristampato su CD dalla HR Records nel 2017, con la stessa grafica meravigliosamente spartana del nastro originario. Una vera e propria chicca per intenditori.

Track list
– Opener: Return From Hell
– Metallian
– Legion of Evil
– Church of the Lost Souls
– Sinner
– Heavy Metal Soldiers
– Rush of Power (live)

Line up
Dirk – Vocals
Sven – Guitars
Peter – Guitars
Thorsten – Bass
Mike – Drums

1984 – Autoproduzione

Lucky Bastardz – Be The One

I Lucky Bastardz in Be The One giocano con almeno quarant’anni di rock duro, tra richiami agli anni settanta/ottanta, sferzate di metallo graffiante e splendide melodie ai confini con l’aor, riuscendoci benissimo.

Il nuovo hard rock che qualche hanno fa ha attraversato l’Atlantico, ha trovato nel bel paese una terra ricca e florida per lasciar cadere i suoi preziosissimi semi prima di continuare la sua migrazione.

Il risultato è ben visibile nella qualità altissima delle uscite discografiche Made in Italy e nella bravura dei gruppi che da diversi anni si affacciano sul mercato, come per esempio i piemontesi Lucky Bastardz, dal 2008 a suonare hard rock in giro per lo stivale e con tre album alle spalle, prima dell’arrivo di Be The One a confermare quanto detto in precedenza.
Successore dell’ottimo Alwayz On The Run licenziato tre anni fa, l’album porta con sé un cambio nella line up, con l’entrata di Pietro “Pacio” Baggi (Anticlock Wise, Black Oceans) alla chitarra, ed il prezioso lavoro di Simone Mularoni nei suoi Domination Studio, un certificato di garanzia e qualità.
Be The One è un lavoro molto bello, che conferma il talento del singer Tiziano “Titian” Spigno alla voce (Extrema, Kings Of Broadway), arrivato nel gruppo alla viglia del precedente album, ed un songwriting scintillante, con il quartetto che gioca con almeno quarant’anni di rock duro, tra richiami agli anni settanta/ottanta, sferzate di metallo graffiante e splendide melodie ai confini con l’aor, riuscendoci benissimo.
Non c’è una sola canzone che non sia perfettamente in bilico tra queste importanti ispirazioni e neppure una nota fuori posto, e questo fa di Be The One una vera bomba hard & heavy, con il gruppo che quando spinge lo fa senza limitarsi (Shed Your Skin) alternando sfuriate metalliche, mid tempo potenti, e ballad che ci svelano la parte più melodica dell’anima dei Lucky Bastardz senza scadere mai nella banalità.
My Best Enemy, The House By The Sea, Sail Away, No One Else But Me, fanno parte di un album convincente, formato da dieci brani di valore, ed esempio fulgido di come deve suonare un album hard rock nel 2018: fatevi sotto e perdetevi neanche una nota di Be The One, sarebbe un peccato mortale.

Tracklist
1. Holy War
2. Shed Your Skin
3. My Best Enemy
4. Match My Rhyme
5. The House By The Sea
6. Not Your Idol
7. Sail Away
8. No One Else But Me
9. Tear In The Wind
10. Be The One

Line-up
Tiziano “Titian” Spigno – lead vocals
Pietro “Pacio” Baggi – guitars
Paolo Torrielli – bass guitar
Marco Lazzarini – drums

LUCKY BASTARDZ – Facebook

OCEANS OF SLUMBER

Il video di “No Color, No Light”, dall’album “The Banished Heart”(Century Media Records).

Il video di “No Color, No Light”, dall’album “The Banished Heart”(Century Media Records).

I progger texani OCEANS OF SLUMBER presentano oggi il video del nuovo singolo “No Color, No Light”. Il singolo è estratto dal nuovo album “The Banished Heart”, in uscita il 2 marzo 2018 su Century Media Records e vede la partecipazione come ospite dietro al microfono il cantante degli Evergrey Tom Englund.
Il video di “No Color, No Light” è stato creato da Costin Chioreanu.

Di seguito la tracklist di “Banished Heart”:

The Decay of Disregard
Fleeting Vigilance
At Dawn
The Banished Heart
The Watcher
Etiolation
A Path to Broken Stars
Howl of the Rougarou
Her in the Distance
No Color, No Light
Wayfaring Stranger

Drummer Dobber comments, “‘No Color, No Light’ was the last song the band wrote for the album and our answer to love’s deathly bellows. A song about crossing into the darkness and chasing the shadows to find her or him. Would you answer the call? Don’t wait….”

“No Color, No Light” is available as a digital single on all download and streaming platforms and as an Instant Grat Track on iTunes and Amazon. Preorders for all physical formats of the album are also available.

OCEANS OF SLUMBER live
02.03.2018 Houston, TX (USA) – White Oak Music Hall (album release show)
03.03.2018 Brooklyn, NY (USA) – Saint Vitus Bar (album release show)
06.04.2018 Nottingham (UK) – Rock City
07.04.2018 Glasgow (UK) – ABC1
08.04.2018 Bristol (UK) – O2 Academy
10.04.2018 Dublin (Ireland) – Tivoli
12.04.2018 Manchester (UK) – O2 Ritz
13.04.2018 London (UK) – O2 Forum
14.04.2018 Tilburg (Netherlands) – 013 Poppodium

OCEANS OF SLUMBER is
Cammie Gilbert – Vocals
Anthony Contreras – Guitar
Sean Gary – Guitar
Keegan Kelly – Bass
Dobber Beverly – Drums

OCEANS OF SLUMBER online
http://www.oceansofslumber.com
https://www.facebook.com/oceansofslumber
https://twitter.com/oceansofslumber
https://instagram.com/oceansofslumber

Vojd – The Outer Ocean

Puntualmente, come avevamo preannunciato in sede di recensione dell’ep Behind The Frame uscito pochi mesi fa, gli svedesi Vojd rilasciano il primo full length e confermano le buone impressioni suscitate.

Puntualmente, come avevamo preannunciato in sede di recensione dell’ep Behind The Frame uscito pochi mesi fa, gli svedesi Vojd rilasciano il primo full length e confermano le buone impressioni suscitate.

La band nata dalle ceneri dei Black Trip si rivolge ai vecchi rockers che hanno sugli scaffali le discografie di Kiss e Thin Lizzy, sterzando leggermente verso un approccio più vintage rispetto a quello proposto sui due brani che componevano il mini cd, lasciando le sfumature stoner per strada e facendo proprio l’hard rock classico suonato nei seventies.
The Outer Ocean risulta così un viaggio a ritroso nel tempo, di moda in questi tempi, quindi simile a molte altre uscite che saturano il mercato odierno.
Che sia un bene o un male sono dettagli, la verità è che l’album è davvero bello, una raccolta di canzoni semplice ma ben suonate, dirette e con quella vena blues che valorizza il rock ‘n’ roll duro e puro suonato dai Vojd.
I primi Kiss sono sicuramente una delle influenze maggiori del gruppo scandinavo, il sound che ha fatto la fortuna del quartetto mascherato più famoso della storia del rock è spogliato dal patinato mood anni ottanta e rivestito di jeans a zampa d’elefante e maglietta con Phil Lynott in bella mostra: ne esce una raccolta di brani che faranno lacrimare più di un rocker stagionato, strappato dalla realtà di questo tempo da brani intensi e brucianti passione come Break Out, Delusions In The Sky, il blues della title track e l’irruente Heavy Skies.
Con Dream Machine si torna a fare lento, sensuale e tragico blues rock, mentre il giradischi gratta, la vecchia puntina ormai allo stremo rilascia note di nostalgico rock ‘n’ roll, e il telefono a rotella esplode nel suo fastidiosissimo, amorevole squillo … Bentornati negli anni settanta.

Tracklist
1. Break Out
2. Delusions In The Sky
3. Secular Wire
4. The Outer Ocean
5. Vindicated Blues
6. On An Endless Day Of Everlasting Winter
7. Heavy Skies
8. On The Run
9. Dream Machine
10. Walked Me Under
11. To The Light

Line-up
Peter Stjärnvind – Lead guitar
Joseph Tholl – Bass and lead vocals
Linus Björklund – Lead guitar
Anders Bentell – Drums and percussion

VOJD – Facebook