Diabolical Minds – …A Trail Of Blood And Hope

Duro, oscuro e violento il giusto per non fare prigionieri.

Death metal tripallico, dai rimandi old school e dall’impatto di un treno in corsa, melodico come solo l’ala nord europea sa essere, feroce ed estremamente intenso come quello statunitense.

…A Trail Of Blood And Hope è un’opera oscura ed estrema, un concept creato dalle menti dei veronesi Diabolical Minds, gruppo che vede nelle proprie fila ex componenti di svariate band della scena estrema.
Sette brani più bonus che raccontano della discesa nella più totale follia di un serial killer, soggiogato dalla sua mente malata e delle sue imprese, tra omicidi e terribili mutilazioni.
La colonna sonora di questo scempio è la musica dei Diabolical Minds, death metal old school, un belligerante pezzo di granito estremo dove le ritmiche mantengono una velocità sostenuta, le sei corde si intrecciano in lascivi e blasfemi solos, taglienti e melodici, con la voce a produrre il suono che la mente suggerisce al nostro pericoloso assassino.
Senza andare troppo per il sottile e seguendo le coordinate dettate dai gruppi storici del genere, la band nostrana centra il bersaglio: l’album si ascolta che è un piacere nella sua natura estremamente violenta, i musicisti coinvolti sono protagonisti di ottime prove, il lavoro alla console ad opera del chitarrista Matteo Migliorini rende giustizia al sound prodotto così da fare di …A Trail Of Blood And Hope un album da consigliare agli amanti del death metal.
The Beginning Of The End vi introduce al concept ed alla follia omicida, un’apertura che rende subito giustizia al sound del gruppo, in evidenza con solos di scuola scandinava, mentre Trauma e l’oscura Death Calls continuano la devastante opera con la seconda che strizza l’ occhiolino aldilà dell’Atlantico.
Si continua a produrre ottimo metallo estremo alternando le sfumature provenienti dalle due storiche scuole (Chapter 4, la title track), mentre non si registrano compromessi di sorta, con l’album che nella sua interezza risulta un ottimo sunto di quello che ha offerto il genere in tutti questi anni.
Duro, oscuro e violento il giusto per non fare prigionieri, ma solo vittime.

Tracklist
1.The Beginning Of The End
2.Trauma
3.Death Calls
4.Chapter 4
5.Slowly The Corpse Burn
6.I Can’t Wait
7….A Trail Of Blood And Hope
8.Funeral Of Light
9.My Dark Empire

Line-up
Alex Bigon – vocals
Matteo Migliorini – guitar
Claudio Mignolli – guitar
Luca Marogna – bass
Pierluigi “Pigi” Lazzarini – drums

DIABOLICAL MINDS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=IIvU7HFQoXM

DeRais – Of Angel’s Seed and Devil’s Harvest

Il funeral doom è la base di questo lavoro che offre circa tre quarti d’ora di musica strumentale, disturbata dal ricorso a voci registrate che appaiono predominanti nelle due lunghe tracce centrali

Quando di una band si sa poco o nulla, nonostante gli sforzi per ottenere al riguardo una minima informazione, al di là del fatto di condividere o meno questa scelta, non resta che parlare della musica, che alla fine è pur sempre quello che maggiormente ci interessa.

Ben venga dunque la tabula rasa su identità e quant’altro (salvo la nazionalità tedesca) dei DeRais se poi ne scaturisce un lavoro impressionante come Of Angel’s Seed and Devil’s Harvest, autentica gemma di arte musicale oscura e destabilizzante.
Il funeral doom è la base di questo lavoro che offre circa tre quarti d’ora di musica strumentale, disturbata dal ricorso a voci registrate che appaiono predominanti nelle due lunghe tracce centrali, Hellbless e White Night.
Nel primo brano troviamo campionamenti di voci salmodianti assieme ad altre distorte, che fanno pensare comunque ad un contenuto di natura antireligiosa, inserito all’interni di una scrittura musicale di primo livello, con i suoi tratti soffocanti, ossessivi, ma che nella parte conclusiva si apre in un crescendo magnifico; il secondo, invece, riveste musicalmente le registrazioni che testimoniano gli ultimi momenti dei tragici avvenimenti che portarono alla morte in Guyana degli oltre 900 seguaci del famigerato Jim Jones.
Tale artificio in effetti non è una novità, visto che solo qualche anno fa fecero lo stesso gli statunitensi Shadow Of The Tortuter, con una prova altrettanto impressionante e capace di restituire al meglio la tensione drammatica di quei frangenti: i DeRais sottolineano gli eventi con funeral altrettanto asfissiante, che di tanto in tanto viene rilanciato nel suo incedere da veementi rullate di batteria, un particolare rinvenibile anche in Hellbless.
Le due tracce più brevi sono il degno corollario in apertura e chiusura del lavoro, e depongono a favore della conoscenza della materia espressa dai DeRais, i quali, in ossequio al’efferato serial killer quattrocentesco dal quale presumibilmente prendono il nome, paiono osservare le brutture dell’umanità con un occhio tra il cinico ed il compiaciuto, rivelandosi sicuramente impietosi nel loro riversare sull’ascoltatore una forma di funeral di sorprendente qualità.

Tracklist:
1. Angel’s Seed
2. Hellbless
3. White Night
4. Devil’s Harvest

Next To None – Phases

Secondo lavoro per i Next To None, giovane band americana, tecnicamente sopra la media ma ancora acerba per quanto riguarda il songwriting.

Progressive metal e modern death metal si incontrano e si azzuffano nel sound di questi tecnicamente eccellenti giovani statunitensi.

Quartetto formato nel 2012, i Next To None arrivano al secondo album, questa prova di resistenza intitolata Phases, quasi ottanta minuti di metal progressivo ed estremo, moderno e variopinto, anche se inevitabilmente un po’ prolisso a causa della sua durata.
Il gruppo americano non ha mezze misure, picchia come una band estrema, si lascia andare a chorus presi in prestito dal metalcore, ma ci piazza varianti ritmiche e spettacolari solos progressivi.
Esagerati e straordinariamente maestri del proprio strumento, questi ragazzi non scrivono canzoni, ma mini opere metalliche dove spesso viene smarrita la strada, seguendo un songwriting ancora da registrare.
Non basta alla band stupire con una tecnica invidiabile, nella musica l’elemento emozionale è troppo importante per lasciarlo nascosto sotto cascate di note, mentre qualche minuto di calma apparente dimostra l’ancora poca maturità nel costruire canzoni, con scontate sfumature melodiche.
Tanto fumo e niente arrosto?
In parte direi di sì, anche se non tutto è ovviamente da buttare, il gruppo come detto è giovanissimo e la tecnica col tempo sarà affiancata dall’inevitabile maturazione.
Nel frattempo il gruppo è in giro con Mike Portnoy’s Shattered Fortress (il Max Portnoy alla batteria nei Next To None è appunto figlio di tanto padre) nel tour passato anche dal nostro paese, ulteriore esperienza da mettere in saccoccia: i ragazzi cresceranno, potenziali fenomeni lo sono già, vedremo se diventeranno altrettanto bravi anche a livello compositivo.

Tracklist
1. 13
2. Answer Me
3. The Apple
4. Beg
5. Alone
6. Kek
7. Clarity
8. Pause
9. Mr. Mime
10. Isolation
11. Denial
12. The Wanderer

Line-up
Max Portnoy – drums
Thomas Cuce – vocals, keyboard
Derrick Schneider – guitar
Kris Rank – bass

NEXT TO NONE – Facebook

Municipal Waste – Slime And Punishment

La produzione perfetta e la cura nei dettagli fanno di Slime And Punishment un gioiellino di genere offerto da parte dell’ormai storica band americana, su cui si può contare quando il bisogno di headbanging diventa impellente.

Sesto full length licenziati, una valanga di lavori minori, ed un’attitudine che non accenna a diminuire la sua carica tra furia thrash ed impatto hardcore.

I Municipal Waste da Richmond (Virginia) sono diventati uno dei gruppi cult della scena, trovandosi dal 2001 ad incendiare palchi in giro per il mondo: il quintetto statunitense torna dunque tramite Nuclear Blast con questa mitragliata senza compromessi dal titolo Slime And Punishment, un tornado che spazza via e distrugge, velocissimo, ironico, rabbioso ed assolutamente devastante.
Tony Foresta e compagnia non si smentiscono e fin dall’opener di questo dirompente lavoro ci travolgono con il loro sound sguaiato come la voce del singer che urla testi ricchi di sano umorismo sarcastico, ad esorcizzare verità scomode dai margini di una società allo sbando.
Cantati dunque con la solita grinta in un delirio di ritmiche a razzo e chitarre sacrificate sull’altare del massacro sonoro di matrice thrash old school, i brani che compongono Slime And Punishment ci invitano sotto il palco in un’orgia di sudore e alcool, ancora una volta a consumare il rito Municipal Waste.
La componente hardcore (importantissima nella struttura del sound) accentua l’assalto sonoro perpetrato con l’aiuto di autentiche bombe sonore come Breathe Grease, Shrednecks, l’Anthrax song Bourbon Discipline e in generale tutta la mezzora scarsa di questa disumana corsa sui binari del pendolino Municipal Waste.
La produzione perfetta e la cura nei dettagli fanno di Slime And Punishment un gioiellino di genere offerto da parte dell’ormai storica band americana, su cui si può contare quando il bisogno di headbanging diventa impellente.

Tracklist
1.Breathe Grease
2.Enjoy the Night
3.Dingy Situations
4.Shrednecks
5.Poison the Preacher
6.Bourbon Discipline
7.Parole Violators
8.Slime and Punishment
9.Amateur Sketch
10.Excessive Celebration
11.Low Tolerance
12.Under the Waste Command
13.Death Proof
14.Think Fast

Line-up
Ryan Waste – Guitars, Vocals (backing)
Tony Foresta – Vocals
Land Phil – Bass, Vocals (backing)
Dave Witte – Drums
Nick Poulos – Guitar

MUNICIPAL WASTE – Facebook

Mongol – Warrior Spirit

Ottimo folk metal, con chitarre distorte, buona sezione ritmica e una grande capacità di coniugare melodia e potenza.

I canadesi Mongol propongono un buon folk metal, che spicca dalla grande messe di titoli del genere.

Nati nel 2009, hanno una storia è particolare, poiché a partire dal nome il gruppo si è dato lo scolpo di descrivere la vita e le gesta della civiltà mongola, in particolare il periodo dell’Impero, un’era in cui la Mongolia rivestiva una grande importanza, dato che con i suoi condottieri, divenuti famosi sia per il loro coraggio che per la loro capacità di governare, aveva conquistato molte terre. In occidente ne sappiamo poco, ma questa band di Edmonton cerca di spiegarcelo attraverso un ottimo folk metal, con chitarre distorte, un’ottima sezione ritmica e una grande capacità di coniugare melodia e potenza. Infatti la melodia è una delle colonne portanti della poetica dei Mongol, tanto che in alcuni punti si arriva a sfiorare il power e l’epic metal, vista anche la magnificenza delle gesta narrate. Inoltre nell’ep vi è un largo uso di strumenti e melodie mongole, dato che questo popolo ha un’ampia tradizione musicale. Molte influenze i Mongol le avranno catturate partecipando al primo Noise Metal Festival in Mongolia nel 2014, insieme ai Nine Treasures. Insomma, un lavoro ottimo e originale, sicuramente al di sopra della media per quanto riguarda il folk metal, in attesa di una prova sulla lunga distanza.

Tracklist
1.The Mountain Weeps
2.River Child
3.Warband

Line-up
Tev Tegri – Vocals
Zev – Lead guitar, vocals, and folk instrumentation
Zelme – Rhythm Guitar
Sorkhon Sharr – Bass
Sche-Khe – Keyboard
Bourchi – Drums

MONGOL – Facebook

Leider – Alloys

Chitarre chirurgiche, solos di scuola priestiana e sezione ritmica precisa e potente, sono le caratteristiche principali del gruppo messicano, protagonista di una prova convincente.

Non solo il Brasile è terra di tradizione metallica, il centro/Sud del continente americano è infatti fucina di realtà in tutti i generi della musica dura, dall’Argentina al Cile, passando dunque per il più settentrionale Messico, paese di provenienza di questa notevole band hard & heavy chiamata Leider.

Il gruppo arriva al traguardo del terzo full length in tredici anni di attività, pochi lavori ma buoni fin dall’esordio Furia, uscito ormai dieci anni fa e seguito dal secondo Seven del 2012.
Sono passati cinque lunghi anni, e la band torna con Alloys, un concentrato di potenza heavy metal, classico ma nello stesso tempo ben saldo in questo tempo così da non dare all’ascoltatore una sensazione di vintage, puntando al bersaglio grosso per via di un’ottima produzione e un buon songwriting,
Il Dickinson Solista, ovviamente gli Iron Maiden e poi la potenza heavy power dei Primal Fear a dare quel tocco di Judas Priest, permettono ai brani di Alloys di esplodere in tutta la loro carica heavy metal, con Phoenix punta di diamante di un’ottima raccolta di canzoni che fa risplendere il talento di Diego Trejo, vocalist di scuola Red Siren, e dei suoi compagni d’avventura.
Chitarre chirurgiche, solos di scuola priestiana e sezione ritmica precisa e potente, sono le caratteristiche principali del gruppo messicano, protagonista di una prova convincente.
We Are Masters, Insanity, l’epica Blood Heroes (aperta da una suggestiva intro di cornamuse) sono i brani perfetti per un ascolto tutto metallo, sudore e sangue: l’originalità abita (forse) da lontano da Alloys, qui si fa heavy metal con la H e la M al loro posto.

Tracklist
1.We Are Masters
2.Flesh
3.Phoenix
4.Insanity
5.Dust from Hell
6.Boo
7.High Flying Bird
8.Blood Heroes

Line-up
Julio Romo – Bass
Japo Lopomontiel – Drums
Sergio Trejo – Guitars
Jhovany Lara – Guitars
Diego Trejo – Vocals

LEIDER

Solution .45 – Nightmares In The Waking State, pt.2

Siamo di fronte ad una band che sta facendo passi da gigante, con poco o nulla da invidiare a grandi gruppi come Soilwork, Gojira o Children Of Bodom, e lanciata quindi verso un futuro roseo.

Dal 2010, anno in cui i Solution .45 hanno pubblicato il loro primo album For Aeons Past, ne è passato di tempo. La band ha accumulato molto materiale, da qui la scelta di pubblicare due album distinti, ma appartenenti alla stessa saga.

Nel 2015, il supergruppo svedese pubblica Nightmares In The Waking State, pt.1 e, l’anno successivo, ecco la seconda parte, Nightmares In The Waking State, pt.2, un album davvero ben fatto, senza dubbio.
I brani hanno chiaramente delle radici modern metal, con una componente melodica tipica del metal scandinavo. Tuttavia, questi ragazzi riescono a trasmettere tutta la rabbia e la grinta presente in primis nei loro testi che, come ormai ben sappiamo, hanno tematiche basate sui problemi esistenziali, i sentimenti e, come si evince dal titolo, gli incubi che ognuno di noi ha. Tematiche abbastanza delicate insomma, che possono essere percepite solo dalle menti aperte, da chi guarda il mondo con occhi diversi, non vivendo passivamente la vita. Analizzando questo album dal punto di vista del sound, notiamo innanzitutto che vine introdotto da una traccia strumentale/orchestrale dalle sonorità epiche, quasi come se fosse una sorta di varco, di portale che ci trasporta in un’altra dimensione. Dopo questa intro, ecco che i Solution .45 mostrano subito tutto il loro potenziale compositivo con il brano The Faint Pulse Of Light. Si conferma la scelta della band inerente il “cambiamento” di stile già intrapreso nel precedente album: vi chiederete perché la parola “cambiamento” va messa tra virgolette. Bene, ecco il motivo: più che un vero e proprio stravolgimento del sound, i Solution .45 aggiungono importanti elementi al melodic death stile Children Of Bodom che presenta l’album For Aeons Past. I due Nightmares In The Waking State presentano, invece, un sound molto più complesso e ricercato, con molte caratteristiche del progressive, molto evidenti nel brano Mind Mutation, probabilmente il migliore dell’album. Anche questa volta, come nel precedente disco, i chitarristi Jani Stefanovic (Miseration, Divinefire, Essence of Sorrow) e Patrik Gardberg (Torchbearer, The Few Against Many, Ammotrack) ci stupiscono creando melodie che vanno da passaggi tipici del power, a quelli del progressive che, in alcuni casi, ricordano addirittura i Dream Theater, fino al djent, riconoscibile soprattutto nel brano Chain Connector. Sempre più evidenti le grandi qualità del batterista Rolf Pilve (Miseration, Essence Of Sorrow, Stratovarius), che ci dimostra tutte le sue abilità nel brano Misery Mantra. Inutile soffermarci troppo sulle enormi e ben note doti del cantante Christian Alvestam (Miseration, ex Scar Symmetry), capace di passare improvvisamente da un cantato in clean al growl e addirittura a toni tipici del metal più estremo: basta ascoltare il brano Built On Sand, episodio a due facce equivalente a Winning Where Losing Is All del precedente album.
Nightmares In The Waking State, pt.2 contiene, infine, anche due slow-tempo come The Curse That Keeps On Giving e Chain Connector.
Ricapitolando, qui siamo di fronte ad una band che sta facendo passi da gigante, con poco o nulla da invidiare a grandi gruppi come Soilwork (il cui brano Enemies In Fidelity rappresenta molto il sound che i Solution .45 presentano in questo album), Gojira o Children Of Bodom, e lanciata quindi verso un futuro roseo.

Tracklist
1) Dim Are The Pathways
2) The Faint Pulse Of Light
3) Mind Mutation
4) Built On Sand
5) Inescapable Dream
6) The Curse That Keeps On Giving
7) Chain Connector
8) What Turns The Wheels
9) Misery Mantra
10) Heavy Lies The Crown

Line-up
Christian Alvestam – Vocals
Jani Stefanovic – Guitars
Patrik Gardberg – Guitars
Rolf Pilve – Drums

SOLUTION .45 – Facebook

Disharmony – The Abyss Noir

Il sound dei Disharmony parla americano e The Abyss Noir ne è l’esempio perfetto, con i suoi umori oscuri ed una verve progressiva che spicca da un impatto thrash metal a tratti devastante.

La Grecia, pur con tutti i suoi problemi politico/sociali, vive un momento di grande spessore musicalmente parlando e riguardo ai generi che trattiamo su MetalEyes.

Hard rock, doom metal, alternative hard & heavy, suoni classici e moderni: nella terra degli dei dell’olimpo si fa rock e metal con buona qualità.
Parliamo di metal e di una band (i Disharmony) attiva da vent’anni, anche se per un lungo periodo ha sonnecchiato per debuttare nel 2014 sulla lunga distanza con Shades Of Insanity, album che segnava il vero ritorno del gruppo dopo il demo che, con lo stesso titolo, era apparso cinque anni prima.
Il nuovo lavoro si intitola The Abyss Noir, trentacinque minuti di sonorità heavy thrash metal progressive, drammatiche e teatrali in linea con il power metal americano.
Il sound dei Disharmony parla americano dunque e The Abyss Noir ne è l’esempio perfetto, con i suoi umori oscuri ed una verve progressiva che spicca da un impatto thrash metal a tratti devastantei.
Chris Kounelis viaggia su tonalità care al grande Warrel Dane, quindi avrete già capito che tra i solchi della title track e della seguente Vain Messiah troverete ad aspettarvi i Nevermore, ispirazione primaria del gruppo di Atene ma non l’unica.
Ma dove la band di Dane raggiungeva attimi estremi al limite del death/thrash, il suono dei Disharmony rimane ancorato al metal classico, duro, dall’enorme impatto ma pur sempre più vicino al thrash Bay Area (non è un caso la cover di Disposable Heroes dei Metallica).
Un buon lavoro, e se siete amanti dei Nevermore e dei Sanctuary, così come delle atmosfere oscure dell’U.S, metal classico, The Abyss Noir ve ne farà sentire meno la mancanza, con gioiellini di tragico metallo come Delirium e This Caravan.

TRACKLIST
01. The Abyss Noir
02. Vain Messiah
03. Delirium
04. This Caravan
05. Disposable Heroes (Metallica cover)
06. A Song For A Friend

LINE-UP
Chris Kounelis – Vocals
J. Karousiotis – Guitars
Stefanos Georgitsopoulos – Guitars
Panagiotis Gatsopoulos – Bass Guitar
Thanos Pappas – Drums

DISHARMONY – Facebook

Into The Arcane – Het Verlangen der Geest

Nel complesso, trattandosi di un primo passo vi sono diversi segnali positivi, anche se per ora paiono mancare quegli spunti in grado di lasciare davvero il segno.

Ep d’esordio per gli Into the Arcane, band formata da quattro musicisti appartenenti alla scena death doom olandese.

Ed è appunto questo il genere trattato in Het Verlangen der Geest, lavoro composto di quattro brani per poco più di venti minuti nel corso dei quali viene esibita una buona padronanza del genere, privilegiando comunque un’approccio piuttosto catchy e, quindi, talvolta prossimo ad una death riconducibile a quello dei seminali connazionali Gorefest: tutto sommato ad emblema dell’album si può prendere la più composita The Innocent Hunter che, appunto, vive di saliscendi ritmici, con una parte centrale davvero accattivante ed un finale dai tipici accenti doom melodici.
Nel complesso, trattandosi di un primo passo vi sono diversi segnali positivi, anche se per ora paiono mancare quegli spunti in grado di lasciare davvero il segno, in quanto l’operato degli Into The Arcane è gradevole in virtù anche di una certa varietà che, per converso, fornisce talvolta l’impressione di una direzione stilistica non ancora del tutto definita. Con un sound oscillante tra momenti incalzanti e passaggi più interlocutori, appare evidente l’intento da parte della band olandese di offrire una versione del genere melodicamente aggressiva piuttosto che malinconicamente oscura, ma l’operazione riesce per ora solo a fasi alterne.
Non male, comunque, in attesa di in attesa di prossime e più probanti uscite.

Tracklist:
1. The Slumber of Man
2. The Innocent Hunter
3. What Lies Beneath the Shroud
4. The Glass King

Line-up:
Erik Noten – Vocals, Lyrics
Jeroen van Riet – Guitars, Songwriting
Alwin Roes – Bass, Vocals (backing), Songwriting
Günther Weerepas – Drums
David van Heijnsbergen – Keyboards

INTO THE ARCANE – Facebook

Prong – Zero Days

Zero Days continua la tradizione della band newyorkese, da decenni punto fermo del metal estremo moderno che ha le sue radici all’inizio degli anni novanta

Dopo più di una fase a singhiozzo per quanto riguarda le uscite discografiche, i Prong hanno trovato una costanza per certi versi inattesa.

Archiviato l’ultimo lavoro, l’ottimo X- No Absolutes dello scorso anno, Tommy Victor torna sul mercato con un nuovo macigno groove industrial metal dal titolo Zero Days, tredici brani all’insegna di un sound rabbioso, potente ma valorizzato da un talento melodico sempre presente fin dai tempi del capolavoro Cleansing.
Victor è come il vino, più invecchia più diventa buono, ha perso, come logico, la grintosa rabbia della giovinezza per un approccio più (concedetemi il termine) ruffiano, o per qualcuno maturo, ma sono dettagli o modi di vedere le due facce della stessa medaglia.
La verità è che Zero Days lascia in parte molte delle melodie del precedente lavoro per tornare a lidi modern thrash, ovviamente senza perdere un grammo di appeal, tanto che queste tredici immediate bombe sonore, non lasciano scampo ed entrano in testa al primo colpo, massacranti e all’apparenza senza compromessi.
E’ inevitabile esaltarsi per il groove dell’opener However It May End o la title track, sballottare il testone al ritmo dell’ hit Divide And Conquer, o per un attimo tornare alle origini con la devastante Interbeing.
Zero Days è alimentato dal thrash metal, corso in aiuto al massacro perpetuato da Victor, accompagnato dal fido Art Cruz alle pelli e da Mike Longworth al basso, quest’ultimo al posto di Jason Christopher, presente sul precedente full length.
E’ di thrash metal che si parla in Operation Of The Morel Law, mentre rimandi alla fabbrica della paura si avvicendano con il sound tipicamente Prong della bordata industriale Self Righteous Indignation.
Zero Days continua la tradizione della band newyorkese, da decenni punto fermo del metal estremo moderno che ha le sue radici all’inizio degli anni novanta: anni che hanno regalato nuovi stimoli e generi alla musica contemporanea, alla faccia dei puristi e dei detrattori e ancora lontana dall’essere giunta al capolinea.

Tracklist
01. However It May End
02. Zero Days
03. Off the Grid
04. Divide and Conquer
05. Forced Into Tolerance
06. Interbeing
07. Blood Out of Stone
08. Operation of the Moral Law
09. The Whispers
10. Self Righteous Indignation
11. Rulers of the Collective
12. Compulsive Future Projection
13. Wasting of the Dawn
14. Reasons to Be Fearful

Line-up
Tommy Victor – guitar, vocals
Mike Longworth – bass
Art Cruz – drums

PRONG – Facebook

Cellar Darling – This Is The Sound

Il folk dei Cellar Darling è ben diverso da quello che presentano i colossi del genere, come Korpiklaani, Arkona e altri, ma comunque riuscirà a farsi amare anche dai più scettici rivelandosi sicuramente molto interessante.

Sicuramente, quello di maggio di un anno fa, è stato un duro momento non solo per i fan degli Eluveitie, colossi del folk metal, ma anche per la band stessa. Anna Murphy, Merlin Sutter e Ivo Henzi abbandonano gli Eluveitie per concentrarsi su un nuovo progetto: nascono così i Cellar Darling.

Non poco tempo è trascorso dall’uscita del primo singolo, Challenge, rilasciato nel settembre del 2016. Il 30 giugno 2017, finalmente, ecco l’album di debutto This Is The Sound.
Lo stile di questa nuova formazione è ben diverso da quello degli Eluveitie: i Cellar Darling, infatti, presentano un sound molto più dolce e rilassante in cui non mancano, però, le melodie folk create della ormai famosa ghironda di Anna Murphy; delle melodie, verrebbe da dire, quasi “ipnotiche”, soprattutto nel brano Rebels, dove il suono dello strumento ci trasporta direttamente nelle misteriose foreste svizzere. Particolare attenzione va data al chitarrista: sebbene il sound generale sia “calmo”, o comunque lontano dal tipico folk-death degli Eluveitie, Ivo Henzi mette bene in chiaro le cose, dimostrando che quello del trio è pur sempre metal,  e per capirlo, basta ascoltare Hullaballoo, Fire, Wind & Earth e l’opener Avalanche.
La band non si fa mancare nulla in questo suo album di debutto, sfoggiando anche Hedonia, un brano con un testo in dialetto (probabilmente della loro zona).
I tre si definiscono dei “cantastorie”, e in effetti i loro brani si basano su storie antiche, che parlano dello spirito umano attraverso misteri ed emozioni. I loro, insomma, sono testi molto interessanti che sicuramente aiuteranno l’ascoltatore ad ampliare mente ed immaginazione. I Cellar Darling vogliono ricreare queste storie di origine folkloristica riadattandole alla musica moderna, evitando che esse perdano il loro significato essenziale  e gli obiettivi, in fondo, sono simili a quelli della band di origine, come spiegò Chrigel Glanzmann in un’intervista: “gli Eluveitie vogliono essere il simbolo odierno di un passato da non dimenticare mai.”
Sicuramente non potevamo che aspettarci un buon album da questi tre musicisti e così è stato; probabilmente chi è affezionato ad un folk più pesante e aggressivo resterà amareggiato da questo album, ma solo inizialmente. Il folk dei Cellar Darling è ben diverso da quello che presentano i colossi del genere, come Korpiklaani, Arkona e altri, ma comunque riuscirà a farsi amare anche dai più scettici.

Tracklist
1) Avalanche
2) Black Moon
3) Challenge
4) Hullaballoo
5) Six Days
6) The Hermit
7) Water
8) Fire, Wind & Earth
9) Rebels
10) Under The Oak Tree
11) …High Above These Crowns
12) Starcrusher
13) Hedonia
14) Redemption

Line-up
Anna Murphy – Vocals, Hurdy Gurdy
Merlin Sutter – Drums
Ivo Henzi – Guitars, Bass

CELLAR DARLING – Facebook

https://www.youtube.com/channel/UCxMRe3lS1j5a0t2sDEj2v2g

Edguy – Monuments

In Monuments tutti gli album usciti fino ad oggi hanno il loro momento di gloria, rendendo la compilation una suggestiva e soddisfacente panoramica sulla musica dedli Edguy.

Ladies & gentlemen, prendete posto sulla vostra poltroncina riservata per lo spettacolo che tra poco andrà ad incominciare.

Chiudete gli occhi e fatevi trasportare dai primi cinque inediti scritti per l’occasione, che nulla aggiungono e nulla tolgono alla storia musicale di uno dei gruppi più influenti degli ultimi vent’anni di power/heavy metal, capitanato da un talento che ha dell’inumano visto le opere, non solo del gruppo in questione, ma pure del suo alter ego Avantasia, con il quale ha scritto alcune delle metal opera più belle nella lunga storia del metal classico.
Gli Edguy … chi l’avrebbe mai detto, venticinque anni dopo l’inizio dell’attività e quasi venti dal capolavoro Vain Glory Opera, album che irrompeva sul mercato, allora in pieno periodo di vacche grasse per il genere (almeno nel vecchio continente), dopo i buoni esordi con Savage Poetry e soprattutto Kingdom Of Madness: eppure eccoci a celebrare la band guidata da un ragazzaccio dal talento spropositato, un tipo che non prendendosi mai troppo sul serio sprigiona una simpatia unica, unita ad una bravura non solo come cantante ma specialmente come compositore.
Come Tobias sia riuscito a mantenere un livello così alto con le sue due anime rimarrà un mistero, anche quando il power divenne il genere di esclusiva competenza degli Avantasia e gli Edguy virarono verso l’hard & heavy,.
La Nuclear Blast festeggia questo importante traguardo per la band di Fulda con questa imperdibile raccolta: doppio cd e dvd con la registazione di un live del periodo Hellfire Club, più tutti i video che il gruppo ha registrato fino ad oggi.
Power metal, hard & heavy, hard rock che si fa ruffiano e melodico, ma sempre di una qualità che ha lasciato a bocca aperta migliaia di appassionati, mentre con Vain Glory Opera e Out Of Control si torna con una punta di nostalgia al periodo della clamorosa esplosione del gruppo, confermata dall’uscita di Theater Of Salvation nel 1999 (Babylon) e la coppia di capolavori Mandrake ed Hellfire Club (Tears Of A Mandrake, Mysteria, King Of Fools e Lavatory Love Machine).
In Monuments tutti gli album usciti fino ad oggi hanno il loro momento di gloria, rendendo la compilation una suggestiva e soddisfacente panoramica sulla musica del gruppo, consigliato non solo ai vecchi fans e collezionisti del verbo Sammet ma soprattutto ai giovanissimi, che avranno modo di fare la conoscenza del meglio che la macchina metallica Edguy abbia regalato in questi anni che sono passati, inesorabili e veloci come un lampo per tutti…

Tracklist
1. Ravenblack
2. Wrestle The Devil
3. Open Sesame
4. Landmarks
5. The Mountaineer
6. 929
7. Defenders Of The Crown
8. Save Me
9.The Piper Never Dies
10. Lavatory Love Machine
11. King Of Fools
12. Superheroes
13. Love Tyger
14. Ministry Of Saints
15. Tears Of A Mandrake
16. Mysteria
17. Vain Glory Opera
18. Rock Of Cashel
19. Judas At The Opera
20. Holy Water
21. Spooks In The Attic
22. Babylon
23. The Eternal Wayfarer
24. Out Of Control
25. Land Of The Miracle
26. Key To My Fate
27. Space Police
28. Reborn In The Waste

Line-up
Tobias Sammet – Vocals
Jens Ludwig – Guitar
Dirk Sauer – Guitar
Tobias Exxel – Bass
Felix Bohnke – Drums

EDGUY – Facebook

Muka – Sveta Stoka

Con Sveta Stoka i Muka tengono perfettamente fede al loro monicker, che in croato significa angoscia, andando a scandagliare i punti dolenti di un’umanità fragile ed insicura, al di là dell’ostentazione di una spensieratezza di facciata.

Black death dai tratti molto rallentati è quanto ci offrono i croati Muka, giunti con Sveta Stoka al loro secondo ep.

Oscuri e tendenzialmente lontani da ogni tentazione melodica, i ragazzi di Zagabria interpretano la materia con il giusto piglio, cercando di non scimmiottare nessuno ma provando ad immettere, per quanto possibile, una cifra stilistica propria nel sound: l’operazione riesce al meglio, alla luce dell’intensità che viene conferita ad una scrittura dai tratti soffocanti, nella quale certe dissonanze possono riportare a realtà simili ai Blut Aus Nord dello scorso decennio, tanto per fornire un’idea di massima.
In realtà, i Muka si muovono seguendo una strada personale, scegliendo intanto di comunicare le proprie istantanee di una realtà desolante tramite l’utilizzo della lingua madre, un’opzione che è adottata con sempre maggiore frequenza e che, nella maggior parte dei casi, si rivela sicuramente azzeccata. Sonorità aspre, che fondono il black ed il death conferendo sovente loro ritmiche fangose dai rimandi doom/sludge, sono gli elementi che rendono questa mezz’ora di musica estrema un qualcosa assolutamente da non trascurare: con Sveta Stoka i Muka tengono perfettamente fede al loro monicker, che in croato significa angoscia, andando a scandagliare i punti dolenti di un’umanità fragile ed insicura, al di là dell’ostentazione di una spensieratezza di facciata.
Una piacevole sorpresa che potrebbe fornire esiti ancor più fragorosi in previsione di un futuro full length, specialmente se i Muka avranno anche il supporto di una label capace di valorizzarne adeguatamente le doti.

Tracklist:
1. Sutra?!
2. O tvom soju
3. Šonje
4. Od panja do panja
5. Ona koje nema

Line up:
Stjepan Dianić Bass
Goran Tatalović Guitars
Edin Karabašić Guitars, Vocals (additional)
Ivan Borčić Vocals (lead)
Stanislav Muškinja Drums

MUKA – Facebook

Irdorath – Denial Of Creation

Un album che entusiasma, probabilmente il migliore nel suo genere di questo 2017 che ha visto il ritorno in pompa magna del metal estremo e dei suoi mille modi di suonarlo: quello del gruppo austriaco è sicuramente uno dei più riusciti.

Il black metal che si fonde con il thrash non è certo una novità, il problema è che molte volte questa dissacrante alleanza finisce con l’essere sconfitta da album tutti uguali, prodotti malissimo e senza lasciare traccia del proprio passaggio, con tanto fumo ma poco arrosto in quanto a songwriting e belligeranza musicale.

Ovviamente un album targato Wormholedeath è sempre da tenere in considerazione, vista la qualità dei gruppi proposti dalla label nostrana, ed infatti questo devastante ultimo lavoro degli austriaci Irdorath non delude le attese, confermandosi come uno dei lavori più belli del genere capitati sotto le grinfie del sottoscritto.
Il quartetto proveniente dalla Carinzia licenzia quindi il proprio quarto album, questo bellissimo esempio di metal estremo dal titolo Denial Of Creation.
Più di dieci anni di attività ed una manciata di lavori bastano per arrivare al culmine della propria discografia in questa estate dove le notti nelle foreste alpine verranno invase dalle truppe del male, massacri e barbarie verranno commessi al suono di Devoured by Greed e degli altri dannati inni che compongono quest’ora scarsa di metallo nero, furioso ma impreziosito da sfumature melodiche che portano il disco su un altro livello.
Rabbia, devozione al male, dannazione eterna, ma con in bella mostra un approccio melodico straordinario e dove non arriva la melodia ci pensano ritmiche perfette, da far impallidire i migliori Kreator, fulminati sulla via del black metal e omaggianti i Dissection.
La furia ritmica spazza via l’odore di morte, come il vento gelido che da nord soffia dopo l’imbrunire, mentre da lontano gli echi di Sacred Deception, Purification e la title track accompagnano la discesa a valle di Markus e compari,  in un delirio di accelerazioni e mid tempo (Blessing From Above).
Un album che entusiasma, probabilmente il migliore nel suo genere di questo 2017 che ha visto il ritorno in pompa magna del metal estremo e dei suoi mille modi di suonarlo: quello del gruppo austriaco è sicuramente uno dei più riusciti.

Tracklist
1.Devoured by Greed
2.Trail of Redemption
3.Sacred Deception
4.The Curse that Haunts the Earth
5.Purification
6.Covenant of the Unbounded
7.Blessings from Above
8.In the Name of Decay
9.Denial of Creation

Line-up
Markus – Guitar, Vocals
Craig – Guitar
Mario – Bass Guitar
Thomas – Drums

IRDORATH – Facebook

Red Beard Wall – Red Beard Wall

Per chi vuole sentire qualcosa di veramente diverso in un panorama a volte un po’ scontato.

I Red Beard Wall sono in due, chitarra e basso, e fanno uno stoner sludge molto potente ed incisivo.

La loro proposta musicale è molto originale non tanto nei mezzi ma nel risultato, poiché riescono a trovare una formula sonora non comune. Nel loro disco d’esordio confluiscono epiche distorsioni di chitarra, batteria che non pesta solo ma disegna melodie, sludge, stoner, un pizzico di southern rock, e anche un po’ di grunge, che chi ha talento e memoria usa sempre. Nati nel 2014 in Texas dalla volontà di Aaron Wall che recluta Robert Truijo dietro le pelli, esordiscono ora per Argonauta Records con un disco decisamente fuori dal comune. L’incedere di questa bestia texana, pur avendo elementi in comune con le band dei generi di cui sopra, ha una musicalità molto diversa. Il disco non dura moltissimo, e questo è un altro pregio, perché le idee vengono sviluppate bene senza tirarla troppo per le lunghe, cosa che in alcuni casi è sinonimo di aridità creativa. I Red Beard Wall producono un buon disco, ma hanno un potenziale ancora maggiore, e sicuramente non finisce qui. Nel panorama attuale della musica pesante si trovano ottime cose, ma poche hanno un tasso di originalità come questo esordio, nel quale anche la produzione accurata ma minimale diventa un punto di forza. Per chi vuole sentire qualcosa di veramente diverso in un panorama a volte un po’ scontato. Le note sono sette, i Red Beard Wall sono in due, e questo è un ottimo disco.

Tracklist
1. Beauty In
2. I Am
3. Switching Circuits
4. Alive
5. Born with a Hammer
6. Top of the Mountain
7. Bottom of a Well
8. March in Time
9. Beauty Out

Line-up
Aaron Wall – Vocals/ Guitar
George Trujillo – Drums

RED BEARD WALL – Facebook

Malet Grace – Malsanity

Siamo nei meandri del metal più maturo ed evoluto, quindi lascerei perdere influenze ed ispirazioni e, per una volta, è meglio concentrarsi solo sulla musica dei Malet Grace, ne vale la pena.

Questa interessantissima proposta arriva da Latina, la band in questione si chiama Malet Grace, un quartetto di thrashers dalla notevole tecnica attivo dal 2014 e qui alla sua prima opera su lunga distanza, Malsanity.

Sviluppata l’idea di un concept album basato sulla disgregazione dell’io e la propria apertura agli schemi apocrifi dell’intelletto umano, e sulla conseguente immoralità del dibattito contrastante tra il bene e il male, la band composta da Giampaolo Polidoro (chitarra e voce), Alessandro Toselli (chitarra), Andrea Paglierini (basso e chitarra acustica) e Andrea Giovanetti alle pelli offre un nobile esempio di metal progressivo, che dal thrash prende tutta la sua dirompente carica e dal prog metal i raffinati passaggi, che non inficiano assolutamente la natura estrema del sound.
Accompagnato da un bellissimo artwork, curato da Matteo Spirito, che riassume proprio il contrasto tra bene e male, Malsanity irrompe con la sua estrema personalità e maturità sulla scena metal nazionale, un lavoro curato nei minimi dettagli ed assolutamente in grado di mettere d’accordo una buona fetta di consumatori del nostro amato metallo.
Thrash, prog metal, heavy si rincorrono tra le trame di brani valorizzati da un lavoro strumentale eccellente  ed un cantato che sforna attimi interpretativi di elevata difficoltà, mentre le atmosfere di drammatico conflitto tengono alta la tensione fino alla fine delle ostilità.
Non c’è un brano che non sia perfettamente in grado di tenere il passo degli altri, in una tempesta di suoni tra potenti midtempo, furiose cavalcate ed azzeccati rallentamenti in cui l’atmosfera si quieta prima di esplodere e ripartire, tra chitarre saettanti e ritmiche che si avvicinano alla perfezione.
Citare i brani più convincenti è un’impresa, visto l’enorme potenziale proposto e le sorprese che riserva ognuna delle tracce presenti, anche se The Human Side Of Schizophrenia e l’accoppiata Egopathy/ Ambiguity Of Extinction sono, ad un primo approccio, il cuore pulsante di questo bellissimo lavoro.
Siamo nei meandri del metal più maturo ed evoluto, quindi lascerei perdere influenze ed ispirazioni e, per una volta, è meglio concentrarsi solo sulla musica dei Malet Grace, ne vale la pena.

Tracklist
1.Commotion of Frailty
2.Empathy for Silence
3.The Human Side of Schizophrenia
4.Angel of Chaos
5.Subconsciousness of Misery
6.The Pleasant Charm of Memories
7.Egopathy
8.Ambiguity of Extinction
9.Chaos Is My Order
10.Malet Grace
11.Where False Idols Pray

Line-up
A. Paglierini – Bass, Guitars (acoustic)
A. Toselli – Guitars
G. Polidoro – Vocals, Guitars
A. Giovanetti – Percussion, Drums

MALET GRACE – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=n9jEm5J3dxk

Crazy Lixx – Ruff Justice

Con questo quinto album in studio, primo con la formazione a “chitarre cambiate”, i Crazy Lixx ci catapultano direttamente nelle atmosfere tipiche dell’Hair anni ’80. Un ritorno a band come Firehouse, Danger Danger, Tesla e Bon Jovi degli inizi che farà sicuramente gioire tutti i nostalgici di quegli anni.

Ruff Justice vede un ritorno alle sonorità dell’album New Religion del 2010 (piccola perla dei Crazy Lixx) sicuramente più apprezzato rispetto all’autoprodotto Riot Avenue del 2012, che aveva lasciato gli affezionati fan della band un po’ perplessi.

In questo nuovo album la band riconferma il proprio stile, con il quale riesce a mescolare sapientemente glam, sleaze, class metal e melodic hard rock in un’esplosione di nostalgia per gli anni d’oro di questi generi. L’album si apre con un ululato che lascia la scena a Wild Child, singolo di cui è presente anche un video, che già dal primo riff di chitarra fa capire la preparazione musicale dei due più recenti membri dietro le sei corde. Sicuramente colpisce il brano Hunter of the Heart, che già dal primo ascolto farà cantare e ballare gli ascoltatori con il suo ritmo ed il ritornello orecchiabile e facile da imparare. Di notevole impatto la ballad If It’s Love, che ci rimanda ai lenti in stile Whitesnake, struggente, carica di sentimento e con forte carattere. Con Live Before I Die, degna conclusione di un album che regala forti emozioni, i Crazy Lixx ci fanno capire che gli anni ’80 scorrono nelle loro vene come se fossero stati teletrasportati direttamente da quei tempi ai giorni nostri.
Con questo nuovo lavoro i Crazy Lixx ci mostrano tutta la maturazione musicale acquisita in questi 15 anni di attività, ed il frontman Danny Rexon, ancora una volta, ci stupisce con il carisma che lo ha sempre caratterizzato e con la grande vocalità che ipnotizza. Gli intrecci corali, i riff orecchiabili e trascinanti che accompagnano sapientemente la voce del frontman, gli assoli mai banali ma sempre con quel tipico stampo ottantiano, e la batteria che incornicia abilmente il tutto, rendono questo album un perfetto revival degli anni ’80, in grado di far cantare e ballare i nostalgici e certamente di conquistare anche nuovi ascoltatori.

Label:
Tracklist
1-Wild Child
2-XIII
3-Walk The Wire
4-Shot With A Needle Of Love
5-Killer
6-Hunter Of The Heart
7-Snakes In Paradise
8-If It’s Love
9-Kiss Of Judas
10-Live Before I Die

Line-up
Danny Rexon – Vocals
Jens Lundgren – Guitar
Chrisse Olsson – Guitar
Jens Sjöholm – Bass Guitar
Joél Cirera – Drums

CRAZY LIXX – Facebook

Evoke Thy Lords – Lifestories

Gli Evoke Thy Lords imperterriti il loro percorso obliquo all’interno del doom, anche se l’impressione è che ora il sound sia più compatto, lasciando al solo flauto e a qualche assolo di chitarra il compito di di far provare qualche vertigine lisergica all’ascoltatore.

Quarto full length per i siberiani Evoke Thy Lords, doom band dall’approccio quanto mai psichedelico alla materia, accentuato dalla presenza in pianta stabile in line-up dell’ottima flautista Irina Drebuschak.

I nostro proseguono imperterriti il loro percorso obliquo all’interno del genere, anche se l’impressione è che ora il sound sia più compatto, lasciando al solo flauto e a qualche assolo di chitarra il compito di di far provare qualche vertigine lisergica all’ascoltatore.
Emblematica al riguardo è la traccia d’apertura Regressed, che in più di un frangente riporta ai  mai abbastanza rimpianti Type 0 Negative, mentre la successiva Still Old, in fondo, si muove su un piano non dissimile.
Ben diverso è invece il mood di Life Is A Trick, un doom blues micidiale nel quale una lasciva voce femminile (probabilmente della stessa Irina, ma non ho certezze in merito) conduce le danze assieme al sempre presente flauto che si conferma elemento essenziale nello sviluppo del songwriting.
Ancora qualche sentore blues accompagna la lunga Heavy Weather, che oscilla appunto tra riff pesanti, sovrastati dal growl aspro di Alexey Kozlov, e fughe psichedeliche, andando a comporre un quadro sfaccettato e allo stesso tempo altamente lisergico.
Una nuovamente più lineare Stuff It chiude un lavoro breve ma intenso, con il quale gli Evoke Thy Lords confermano la particolare dicotomia termica tra il loro gelido luogo di provenienza e le torride atmosfere stoner doom rovesciate su disco, alle quali hanno la capacità di conferire con il loro particolare modus operandi quel tocco di imprescindibile peculiarità.

Tracklist:
1. Regressed
2. Still Old
3. Life Is A Trick
4. Heavy Weather
5. Stuff It

Line-up:
Irina Drebuschak – Flute
Yuriy Koziko – Guitars
Sergey Vagin – Guitars
Alexey Kozlov – Vocals, Bass

EVOKE THY LORDS – Facebook

Tytan – Justice Served

Un album da ascoltare senza pregiudizi, anche se l’operazione nostalgia è dietro l’angolo ma, a difesa del gruppo inglese, c’è una grande conoscenza della materia ed uno spirito vintage che accomuna tutti i generi.

La macchina del tempo metallica che da un po’ mi porta in giro per i vari decenni ora che i suoni vintage e classici sono tornati all’attenzione dei fans mi spinge indietro fino al 1981 quando il bassista Kevin Riddles, lascia gli storici Angel Witch per formare i Tytan.

Del gruppo però, dopo il primo ep (Blind Man And Fools) licenziato nel 1982 ed il full lenght Rough Justice del 1985, se ne perdono le tracce fino al 2012 ed alla partecipazione dei riformati Tytan al Keep It True Festival.
Con nuovi musicisti e un ritrovato entusiasmo il gruppo londinese arriva oggi a licenziare il secondo lavoro dopo ben trentadue anni, dall’esordio sulla lunga distanza tramite la High Roller.
Justice Served risulta così un ritorno alle sonorità classiche nate all’alba degli anni ottanta e conosciute come new wave of british heavy metal.
Ritmiche alla Saxon e melodie di scuola Praying Mantis compongono la struttura portante del suono Tytan, che avvalendosi di una produzione in linea con la musica suonata porta l’ascoltatore nella Londra dei primi anni ottanta, quando l’heavy metal capitanato dagli Iron Maiden e dai loro colonnelli sul campo (Saxon, Praying Mantis, Angel Witch, Tygers Of Pan Tang, Def Leppard) stava rimpiazzando nei gusti il successo veloce e distruttivo del punk.
Kevin Riddles torna con i suoi Tytan e lo fa alla grande, con un album piacevole, puro heavy metal britannico, dove la melodia ha un’importanza primaria nel creare atmosfere che si fanno talvolta settantiane, con l’hard rock che a tratti prende il sopravvento.
Un album da ascoltare senza pregiudizi, anche se l’operazione nostalgia è dietro l’angolo ma, a difesa del gruppo inglese, c’è una grande conoscenza della materia ed uno spirito vintage che accomuna tutti i generi.

TRACKLIST
1. Intro
2. Love You To Death
3. Fight The Fight
4. Spitfire
5. Reap The Whirlwind
6. Midnight Sun
7. Forever Gone
8. Billy Who
9. Hells Breath
10. One Last Detai
11. Worthy Of Honour
12. The Cradle

LINE-UP
Tom Barna – Vocals & Rythmn Guitar
Dave Strange – Vocals & Lead Guitar
Kevin Riddles – Bass, Vocals & Keyboards
James Wise – Drums
Andy Thompson – Keyboards

TYTAN – Facebook