My Silent Wake – Damnatio Memoriae

Una riedizione utile e curata di Damnatio Memoriae, album che con la sua uscita ha sicuramente consolidato lo status acquisito dai My Silent Wake in virtù di una carriera lunga, produttiva e, a tratti, piacevolmente imprevedibile.

Non essendoci stata l’occasione di parlare di Damnatio Memoriae, ottavo album in studio degli inglesi My Silent Wake, all’epoca della sua uscita nel 2015, ne approfittiamo per farlo brevemente grazie alla riedizione in vinile appena licenziata dalla Minotauro Records.

La band fondata da Ian Arkley nel 2005 è una tra le più prolifiche in assoluto tra quelle dedite al death doom, genere dal quale hanno anche derogato più volte, andando ad esplorare lidi acustici o ambient, così come è avvenuto, del resto, nella loro recente release Invitation To Imperfection.
Damnatio Memoriae resta, quindi, in ordine temporale, l’ultima testimonianza del genere principalmente trattato con buoni risultati dai My Silent Wake; rispetto ai lavori del passato, l’album esibisce partiture più robuste e diversi brani nei quali, specie nella parte iniziale, il sound appare decisamente pesante e meno votato alla ricerca di melodie malinconiche e dolenti: quando ciò avviene, ne scaturisce una traccia magnifica come And So It Comes To An End, ma non è che le cose vadano male neppure allorché la spinta propulsiva pare giungere dai primi Paradise Lost e Anathema (con The Innocent a lambire gli suoni che furono di The Silent Enigma).
Ottima anche la lunga The Empty Unknown, che mostra coordinate più canonicamente doom, mentre si vira nuovamente su un gothic piuttosto andante con Chaos Enfolds Me, traccia che chiudeva la prima stesura del disco e che, invece, nella nuova, è seguita dalla riproposizione di And So It Comes To An End, Now It Destroys e Of Fury arricchite dalle tastiere di Simon Bibby: i brani in questione non cambiano volto più di tanto ma, specialmente gli ultimi due, vengono gradevolmente ammorbiditi in questa versione.
Una riedizione utile e curata di Damnatio Memoriae, album che con la sua uscita ha sicuramente consolidato lo status acquisito dai My Silent Wake in virtù di una carriera lunga, produttiva e, a tratti, piacevolmente imprevedibile.

Tracklist:
1. Of Fury
2. Highwire
3. Now it Destroys
4. Black Oil
5. And so it Comes to an End
6. The Innocent
7. The Empty Unknown
8. Chaos Enfolds Me
Bonus tracks on 2017 release:
9. And so it Comes to an End (with keys)
10. Of Fury (with keys)
11. Now it Destroys (with keys)

Line up:
Ian Arkley – vocals and guitar
Addam Westlake – bass
Gareth Arlett – drums
Mike Hitchen – live rhythm guitar

Guests:
Simon Bibby – keys
Greg Chandler – additional keys, vocals
Martin Bowes – synth

MY SILENT WAKE – Facebook

Bullet-Proof – Forsaken One

Il sound racchiuso in Forsaken One è 100% thrash metal, legato alla tradizione statunitense ma senza disdegnare sfumature moderne

I Bullet Proof sono un gruppo italo/slovacco, nato a Bolzano tre anni fa ma, di fatto, band internazionale già sul mercato con l’esordio De-Generation, uscito due anni, ideale preludio a questo ottimo secondo lavoro.

Il sound racchiuso in Forsaken One, infatti, è 100% thrash metal legato alla tradizione statunitense ma senza disdegnare sfumature moderne (specialmente per quanto riguarda arrangiamenti e produzione) ed un gusto melodico nei solos di matrice heavy metal.
Il quartetto formato da Richard Hupka (chitarra e voce) e suo figlio Lukas (batteria), a cui si aggiungono Max Pinkle (chitarra) e Federico Fontanari (basso), ci consegna un lavoro roccioso, agguerrito, ma straordinariamente melodico, laddove le sfuriate thrash lasciano il posto a lunghe e spettacolari parti heavy, con le chitarre che si vestono di un metal elegante per poi trasformare il sound da una sorta di un rassicurante Dottor Jekyll ad un cattivo ed indomabile mister Hyde.
Così, una volta che il lato oscuro prende il sopravvento, la band alza l’asticella e Forsaken One vola, con la sezione ritmica che è un rullo compressore grazie ad un Lukas Hupka straordinario picchiatore, mentre le due asce sfornano riff e solos che sono vangelo per ogni thrasher che si rispetti.
L’opener Might Makes Right, la title track, la splendida e melodica No One Ever e le devastanti Abandon e Revolution ci consegnano un lavoro che non lascia scampo, perciò bando all’esterofilia (e anche se fosse qui parliamo di una band italiana soprattutto per sede operativa) e buttatevi in un headbanging sfrenato in compagnia dei Bullet Proof: gli eroi della Bay Area sono tutti lì ad applaudire.

TRACKLIST
01 – Might Makes Right
02 – Forsaken One
03 – Portrait Of The Faceless King
04 – No One Ever
05 – I Was Wrong
06 – Abandon
07 – Lust
08 – Revolution
09 – Little Boy

LINE-UP
Richard Hupka – Lead Vocals, Guitar
Max Pinkle – Guitars
Federico Fontanari – Bass Guitar
Lukas Hupka – Drums

BULLET PROOF – Facebook

Norse – The Divine Light of a New Sun

Quaranta minuti di black metal fuori dai canoni, non fosse per qualche parte più marziale che può avvicinare brani come Exitus al sound dei nuovi Satyricon: una proposta estrema da maneggiare con le dovute cautele, ma a suo modo affascinante.

Black metal disarmonico e per questo ancora più estremo, misantropico nel concept che si riflette sulla musica, a tratti progressiva nel suo cercare soluzioni ritmiche fuori dagli schemi.

La band colpevole dei danni procurati dai padiglioni auricolari si chiama Norse e proviene dall’Australia, paese fuori dai circuiti metallici, perciò foriera (come i paesi asiatici) di metal che va oltre ai soliti cliché (infatti anche in questo album c’è lo zampino della Transcending Obscurity, label che da anni ci delizia con le opere estreme provenienti dai paesi dell’ immenso territorio asiatico.
Attivo da più di dieci anni, il duo composto da Forge (batteria e chitarra) e ADR (vocals, bass) arriva con questo destabilizzante lavoro al terzo full length della carriera che vede in The Divine Light of a New Sun l’intensificarsi delle parti dissonanti, per un approccio estremo che si discosta dalle proposte del genere.
Sfuriate black ed atmosfere in cui il duo gioca con le note in un’atmosfera che rimane oscura e diabolica, mentre il gran lavoro della sezione ritmica va di passo con la sei corde, molte volte portata al limite di saturazione in un delirio musicale che non lascia scampo.
Quaranta minuti di black metal fuori dai canoni, non fosse per qualche parte più marziale che può avvicinare brani come Exitus al sound dei nuovi Satyricon: una proposta estrema da maneggiare con le dovute cautele, ma a suo modo affascinante.

TRACKLIST
1.Supreme Vertical Ascent
2.Drowned by Hope
3.Telum Vitae
4.The Divine Light of a New Sun
5.Exitus
6.Synapses Spun as Silk
7.Sandarkan
8.Arriving in Peace, Pregnant with War
9.Cyclic

LINE-UP
Forge – Drums, Guitars
ADR – Vocals, Bass

NORSE – Facebook

L’Ira Del Baccano – Paradox Hourglass

La psichedelia pesante raggiunge qui uno dei suoi apici, arrivando a toccare vette molto alte, sempre imprevedibile e con l’avvertenza che questo è solo uno delle possibili versioni de L’Ira Del Baccano.

Torna uno dei migliori gruppi di improvvisazione psichedelica pesante. Il viaggio de L’Ira Del Baccano continua potentissimo senza scendere mai, come una psichedelia di soglia inconscia.

I suoni questa volta sono maggiormente melodici, mentre lo schema di composizione rimane invariato, ovvero non c’è, essendo un flusso di coscienza musicale che diventa una magnifica e lunga jam, passibile di mutazioni ad ogni atto de L’Ira del Baccano. Il disco è quindi la fotografia del momento, uno splendido bassorilievo magico che può variare, increspandosi come le onde di un mare capriccioso, o seguendo il disegno di muse capricciose, ma è sempre una musica magnifica. Paradox Hourglass è una nuova terra inesplorata in un mappamondo bellissimo come quello della musica di questo gruppo, che lascia sempre un bellissimo gusto nel padiglione auricolare dell’ascoltatore. La psichedelia pesante raggiunge qui uno dei suoi apici, arrivando a toccare vette molto alte, sempre imprevedibile e con l’avvertenza che questo è solo una delle possibili versioni de L’Ira Del Baccano, perché ve ne possono essere altre in molti multiversi.

TRACKLIST
1. PARADOX HOURGLASS – Part 1(L’Ira Del Baccano)
2. PARADOX HOURGLASS – Part 2 (No Razor for Occam)
3. ABILENE
4. THE BLIND PHOENIX RISES

LINE-UP
Alessandro “Drughito” Santori – guitar/direction and architecture of Baccano
Roberto Malerba – guitar/synth
Sandro “fred” Salvi – drums
Ivan Contini Bacchisio – bass

L’IRA DEL BACCANO – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Dead Man’s Blues Fucker – Phase II

Un sound grezzo, una produzione volutamente sporca come un carburatore insabbiato ed un’attitudine stoner/psichedelica pervadono dieci brani bellissimi.

E’ tempo di lasciare i facili sentieri di una vita casa – lavoro – famiglia, e rispolverare il vecchio giubbotto di pelle e la bandana di ordinanza, buttare in una scarpata lo scooter e lucidare la vecchia moto, perché quello che promette questo album non vorrete solo sognarlo tramite la musica, ma viverlo ancora una volta sulla vostra pelle troppo profumata per essere quella di un vecchio rockers.

E Phase II, primo lavoro dei Dead Man’s Blues Fucker, è l’album giusto per ritrovare il vecchio spirito, soffocato da una pila di scartoffie che vi aspettano in ufficio tutte le mattine.
Se poi non avete mai smesso di vivere la vostra vita come un’avventura sperduti nella frontiera, allora la nuova band del polistrumentista Diego Potron è quanto di meglio possiate ascoltare tra la polvere del deserto in questa prima metà dell’anno.
Dieci anni di solo project, prima di unire le forze con il batterista Christian Amen Amendolara, in questa nuova realtà che lascia senza fiato per intensità ed impatto, un muro sonoro, stonerizzato, psichedelico e spettacolarmente southern.
Dimenticatevi dunque i facili viaggetti coast to coast, qui si cerca l’estremo in una lunga jam stonata, tra il bruciore dell’asfalto, il caldo delle marmitte sollecitate dal motore a pieni giri, persi in un deserto sconfinato dove i miraggi sono tenuti lontani dagli incubi.
Un sound grezzo, una produzione volutamente sporca come un carburatore insabbiato ed un’attitudine stoner/psichedelica pervadono dieci brani bellissimi, in un’atmosfera opprimente come la testa che scoppia tra il caldo e i postumi di una sbornia nel locale della frontiera americana, che esce prepotentemente diabolica dal blues violento di The Power Of Your Love, dallo stoner/southern di Birthday Cake, o dalla più rilassata The Cornfields Queen Brotherhood.
Un album affascinante, ricco di sfumature, vario e dannatamente coinvolgente, pur rimando fortemente ancorato all’underground, in una parola … bellissimo.

TRACKLIST
01. Blind Sister’s Home
02. The Power Of Your Love
03. Black Woman
04. Birthday Cake
05. The Cornfields Queen Brotherhood
06. One Kind Favor
07. Bad Awakening
08. Crow Jane
09. Song For Mr. Occhio
10. The Place For You

LINE-UP
Diego DeadMan Potron – guitar, bass, organ,vocals
Christian Amen Amendolara – drums

DEAD MAN’S BLUES FUCKERS – Facebook

Lucidreams – Ballox

Il quintetto indiano si impegna a far risultare vario ed intrigante il suo heavy metal e, parlando di un ep, i venticinque minuti a disposizione sono sfruttati benissimo, con la qualità delle composizioni che si mantiene medio alta

Di questa heavy metal band indiana si sa poco, a parte che risulta attiva dalla prima metà degli anni novanta e che proviene da Bangalore, nel distretto di Karnataka.

I Lucidreams suonano un heavy metal old school che rispecchia in toto il sound classico, con qualche soluzione al limite del progressive e buone trame ritmiche, specialmente quando la velocità si fa sostenuta e ci si avvicina al thrash più tecnico.
Ballox è composto da cinque brani di buon livello nei quali spicca la voce personale ed interpretativa di Vineesh Venugopal, classico singer di genere.
Il quintetto indiano si impegna a far risultare vario ed intrigante il suo heavy metal e, parlando di un ep, i venticinque minuti a disposizione sono sfruttati benissimo, con la qualità delle composizioni che si mantiene medio alta, anche per la buon produzione.
Il gruoppo, senza strafare, ha dalla sua ottime canzoni ed una discreta tecnica che gli consente di svariare, pescando dalle sue ispirazioni, fonti inesauribili di musica dura come l’Ozzy Osbourne solista (in qualche passaggio il tono del vocalist, ricorda quello del Madman), Megadeth per quanto riguarda il versante thrash e i Judas Priest, per quello più tagliente ed heavy.
Un buon ep, peccato che solo un gruppo attivo da così tanti anni non metta a disposizione qualche informazione in più, il che è in sintonia con anche con una discografia piuttosto povera numericamente.

TRACKLIST
1.Father Forgive Them – Prologue
2.Brains Collide
3.Mighty Stripes
4.Father Forgive Them – Epilogue
5.Ballox

LINE-UP
Vineesh Venugopal -Vocals
Steve Jaby (Stephen Anthony) – Drums
Deepak Vijaykumar – Guitars
Narayan Shrouthy – Bass
Jayanth Sridhar – Guitars

LUCIDREAMS – Facebook

Dirty Machine – Discord

Questi ragazzi americani hanno trovato la propria via per fare un genere fin troppo bistrattato e che invece riesce ancora a regalare buoni dischi come questo.

Fare nu metal è una missione difficile al giorno d’oggi, e farlo bene è sempre stato difficoltoso, ma i californiani Dirty Machine riescono a centrare il bersaglio al primo tentativo.

Questi ragazzi americani hanno trovato la propria via per fare un genere fin troppo bistrattato e che invece riesce ancora a regalare buoni dischi come questo. Il nu metal è un linguaggio che dovrebbe portare far buttare fuori il disagio, usando codici solo all’apparenza diversi fra loro, come il metal e qualcosa vicino al rap. Nel caso specifico dei Dirty Machine ci troviamo di fronte ad un disco molto ben prodotto, dove le chitarre graffiano belle ribassate, con molti riferimenti ai grandi classici attraverso rielaborazioni personali e ben riuscite. Discord non ha un incedere velocissimo, ma scava molto bene i suoi solchi sul terreno, alternando melodia e pezzi più pesanti. Le parti vocali sono incastonate tutte molto bene, con molte aperture melodiche che funzioneranno egregiamente nelle radio americane che magari le avessimo qui, avremmo una migliore cultura rock. Discord è la rumorosa testimonianza che un certo modo di fare nu metal non è ancora (o mai) morto, e se si prende la band giusta con dj annesso si riescono ancora a sentire cose egregie; certo ora che, ormai da anni e anni, è passata la grande marea bisogna avere idee chiare e capacità di produrre dischi più che buoni. Discord è tutto ciò, ed è soprattutto un disco molto divertente, che fa saltare e che garantisce molti ascolti senza morire dentro allo stereo, e alla fine questa è la cosa più importante, qualunque sia il genere.

TRACKLIST
1. Seeds
2. Discord
3. Self Made Hero
4. Social Recoil
5. Ecusa’s Nightmare
6. Built
7. C4
8. Wonka

LINE-UP
Dave Leach – Vocals
Darren Davis – Vocals/Guitar
Arnold Quezada – Guitar
NIGHTMARE – Drums
DJ Ecusa – Turntable
Youngblood – Bass

DIRTY MACHINE – Facebook

03 mag 2017 – Caricato da Zombie Shark Records

For My Demons – Close To The Shade

Un ascolto obbligato per le anime tormentate che vagano in questo tragico inizio millennio.

For My Demons è un brano dei Katatonia tratto dal bellissimo Tonight Decision, album licenziato dal gruppo svedese nel 1999, ma è anche il modo con il quale Gabriele Palmieri ha provato ad esorcizzare i suoi demoni attraverso la musica.

Musica che ovviamente penetra nell’anima, essendo dark e melanconica, melodica e a tratti rabbiosa, ma sempre attraversata da un mood di eleganza estetica sopra la media.
Sarà la bellissima voce del leader (ex Neverdream), sarà l’atmosfera dark che mantiene una raffinatezza d’autore, sarà per quel velo di elettronica che fa da tappeto melodico a strutture ritmiche notevoli e mai banali, ma Close To The Shade risulta un esordio eccellente, un album maturo, sentito e profondo.
Non è cosa da poco riuscire a trasmettere emozioni del genere, ma i For My Demons ci riescono con questo intensa opera prima.
La title track ci da il benvenuto con il suo assolo che scava nella nostra anima, tirando fuori gli incubi a mani nude: un brano splendido che viene seguito da una meno disperata Directions.
Reborn si avvia su un tappeto orchestrale, la chitarra acustica sanguina accordi classici mentre le ritmiche tutt’altro che semplici mantengono alta la tensione, per tornare al dark metallico dell’opener, tragico ed intimista nei perfetti interventi delle sei corde (Emanuela Marino, Luca Gagnoni) e versatile a livello ritmico (Andrea Terzulli al basso e Valerio Primo alle pelli).
La Fleur Du Mal, altro ottimo brano dall’andamento lineare, lascia spazio alla conclusiva Burning Rain, che gode di un riff pesante e dalle reminiscenze riconducibili ai primi Anathema, seguito da un giro pianistico melanconicamente dark con la splendida voce di Palmieri che, quando prende il comando, fa decollare il sound mantenendo altissima la qualità della musica prodotta e portandoci ai titoli di coda che scorrono su un fiume in piena di emozioni.
Non una nota fuori posto in un lavoro in cui è normale essere spinti a confrontare tra i For My Demons con le band storiche del genere, senza però che questo vada a sminuire la personalità e la capacità di emozionare del gruppo nostrano.
Un ascolto obbligato per le anime tormentate che vagano in questo tragico inizio millennio.

TRACKLIST
01 – Close to the Shade
02 – Directions
03 – Scars
04 – Reborn
05 – When Death Hurts
06 – La fleur du mal
07 – Burning Rain

LINE-UP
Gabriele Palmieri – Vocals
Luca Gagnoni – Guitar
Emanuela Marino – Guitar
Andrea Terzulli – Bass
Valerio Primo – Drums

FOR MY DEMONS – Facebook

Hadal Maw – Olm

Ottimo lavoro estremo questo secondo album degli australiani Hadal Maw, con il loro sound che risulta una fatale miscela di death metal tecnico e black.

Gran bella mazzata estrema questo nuovo album dei deathsters australiani Hadal Maw, ma in effetti quelle terre posizionate all’altro capo del mondo offrono spesso ottima musica, in tutti i campi dell’universo metallico.

Il quintetto di Melbourne arriva al secondo full length con un sound che risulta una fatale miscela di death metal tecnico e black/death riconducibile al modus operandi dei Behemoth, maestri europei del genere.
Una proposta interessante, dunque, pesantissima ed estrema, curata in ogni dettaglio e suonata molto bene dai musicisti coinvolti, tanto da avvicinarsi a tratti al technical death metal.
La differenza la fa il songwriting che sposta le coordinate del sound sull’impatto, lasciando la mera tecnica al servizio di devastanti brani neri come la pece, su cui si staglia il vocione di Sam Dillon, una vera miniera di tonalità cupe ed efferate.
Grande è il lavoro della sezione ritmica (Jim Luxford al basso e Rob Brens alle pelli) e delle due chitarre (Ben Boyle e Nick Rackham) che tagliano l’aria irrespirabile con fendenti metallici, lasciando la melodia alle parti più rallentate di rabbioso doom/death (False King) che, con l’altra perla del disco, la lunga ed emozionante Simian Plague, una cavalcata death/black tra mid tempo e terremoti ritmici, rendono Olm un acquisto consigliato agli amanti del metal estremo.
Un’altra ottima prova proveniente dall’Australia, dove ferve una scena per certi versi ancora tutta da scoprire.

TRACKLIST
1.Leviathan
2.Affluenza
3.Failed Harvest
4.Witch Doctor
5.False King
6.The Olm
7.Simian Plague
8.Germinate
9.Hyena
10.Circus of Flesh

LINE-UP
Sam Dillon – Vocals
Nick Rackham – Guitar
Ben Boyle – Guitar:
Jim Luxford – Bass
Rob Brens – Drums

HADAL MAW – Facebook

Sollertia – Light

I Sollertia colpiscono nel segno al primo colpo, rilasciando un album di rara bellezza ed intensità e che possiede la freschezza di un approccio progressivo unito ad un dolente incedere affine per impatto al doom più melodico.

Da un’altra di quelle etichette europee dalle uscite rade ma sempre di qualità, come è la francese Apathia Records, arriva l’esordio dei Sollertia, intitolato Light.

Il duo è composto dal francese VoA VoXyD (con un passato nei gotici Ad Inferna), che si occupa interamente della parte musicale e compositiva, e dal più noto James Fogarty, vocalist britannico conosciuto anche come Mr.Fog, attualmente titolare del ruolo nei grandi In The Woods, nonché detentore del progetto solista Ewigkeit.
Nonostante alcuni indizi derivanti dal passato dei due musicisti possano farlo pensare, in realtà il sound dei Sollertia si rivela estremo solo in pochi frangenti (The Devil Seethe), andandosi invece a collocare in un ambito che si potrebbe definire, a grandi linee, sotto la sfera di influenza dei Katatonia, e comunque andando ad abbracciare le diverse sfumature che si diramano da quel settore musicale ricco di realtà talentuose e nel quale si possono annoverare, con tutte le distinzioni del caso, anche Anathema ed Antimatter.

Infatti, in maniera affine alle band citate, Light offre una serie di brani per lo più avvolti da linee malinconiche, anche se i Sollertia ci mettono di loro una propensione progressiva ed un notevole carico di tensione che pervade il disco per l’intero sviluppo.
Le undici tracce si snodano, così, sempre in maniera convincente, grazie ad una pulizia sonora volta a solleticare con buona continuità la sfera emotiva dell’ascoltatore, alla quale contribuiscono in maniera decisiva sia l’interpretazione vocale di grande spessore da parte di Fogarty (coadiuvato in tre brani dall’ospite Vanja Obscure), sia lo splendido lavoro chitarristico di VoA VoXyD; non penso di esagerare defininendo Light uno dei migliori album usciti finora nel 2017, in virtù di un sound che, nonostante appia a tratti fruibile, gode contestualmente di una grande profondità.
Qui la luce evocata dal titolo è in realtà quella che, nella copertina, si fa largo tra le nubi e la nebbia: un qualcosa di tenue e soffuso che prelude ad un’oscurità mai del tutto assoluta, derivante da una sensibilità lirica e musicale che assume un sentire cosmico nei suo momenti più alti (le meravigliose Pascal’s Wager, Enter The Light Eternal, Praying At The Chapel Perilous, Mathematical Universe Hypothesis e Sisyphean Cycle).
I Sollertia colpiscono nel segno al primo colpo, rilasciando un album di rara bellezza ed intensità e che possiede la freschezza di un approccio progressivo unito ad un dolente incedere affine per impatto al doom più melodico: difficile chiedere di meglio ad un lavoro che, per il suo valore, si colloca come minimo all’altezza delle ultime uscite delle citate band di riferimento.

Tracklist:
1. Adducantur
2. Abstract object theory
3. Pascal’s wager
4. Enter the light eternal
5. Praying at the chapel perilous
6. The devils seethe
7. Mathematical universe hypothesis
8. Dark night of the soul
9. Sisyphean cycle
10. Positive disintegration
11. Light

Line up:
James Fogarty : Lyrics & Vocals
VoA VoXyD : Instruments & Composition

Vanja Obscure : Vocals on #3, #6 and #10

SOLLERTIA – Facebook

The Big Blue House – Do It

Si torna a parlare di blues sulle pagine di MetalEyes con il primo album dei The Big Blue House, quartetto toscano che si presenta al pubblico con un lavoro fresco ed energico, frizzante e disperato come sa essere l’amore e la musica con cui viene descritto.

Quali note se non quelle del blues si rivelano più adatte a descrivere in musica l’amore, essendo per sua natura viscerale, sanguigno e, spesso, perdente (perché nell’amore c’è quasi sempre un vincitore ed un vinto).

Si torna a parlare di blues sulle pagine di MetalEyes con il primo album dei The Big Blue House, quartetto toscano che si presenta al pubblico con un lavoro fresco ed energico, frizzante e disperato come sa essere l’amore e la musica con cui viene descritto.
I tasti d’avorio passano dai suoni classici dell’ hammond di scuola rock, a quelli jazzati del pianoforte, con Sandro Scarselli che si dimostra musicista dotato di feeling, così come Danilo Staglianò, con una chitarra che sanguina passione ed una voce che racconta di amori, illusione e ricerca della felicità.
Luca Bernetti (basso) e Andrea Berti (batteria) accompagnano semplicemente, ma con classe, la musica che i due compagni estraggono dai loro strumenti lungo otto brani piacevoli, nei quali si alternano l’energia rock della sei corde e lascive armonie tastieristiche.
Un blues che trova la sua natura malinconica nelle note della splendida Now I Can Call Your Name, il suo spirito rock’n’roll nella coppia iniziale formata dalla title track e da Blue Sky, che raggiunge la perfetta armonia ed attitudine nella clamorosa He’s A Fucking Bluesman e strappando, infine, applausi nella disperata e sentita interpretazione che la band offre nella conclusiva This Is How Feel.
Un album godibilissimo per gli amanti del rock blues di scuola classica e in cui spicca una forte personalità che costituisce, ovviamente, un fondamentale valore aggiunto.

TRACKLIST
1.Do It
2.Blue Sky
3.Now I Can Call Your Name
4.He’s A Fucking Bluesman
5.Sweet Thing Bad Thing
6.I Knew A Story About
7.Everything’s Rollin’
8.This Is How I Feel

LINE-UP
Danilo Staglianò – Guitar/Voice
Luca Bernetti – Bass
Sandro Scarselli – Keyboards/ Hammond
Andrea Berti – Drum

THE BIG BLUE HOUSE – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=CF4t94TZhRs

Adamantine – Heroes & Villains

Tornano con il loro secondo full length i portoghesi Adamantine, presentati come una thrash metal band, ma in realtà gruppo che guarda alla scena death melodica scandinava.

Tornano con il loro secondo full length i portoghesi Adamantine, presentati come una thrash metal band, ma in realtà gruppo che guarda alla scena death melodica scandinava.

Nato in quel di Lisbona una decina d’anni fa, il quartetto torna così a produrre death/thrash melodico (lo chiamerò così per non fare torto a nessuno) dopo il primo album uscito cinque anni fa (Chaos Genesis).
Heroes & Villains è un album intenso e molto ben curato, con devastanti brani come la title track e Fire That Cleanses, in arrivo, esplosive e melodiche, dopo l’intro semi orchestrale che ci invita all’ascolto di questo lavoro senza tregua e dalla perfetta alchimia tra il death estremo e quello melodico, dove il thrash finisce per fare da struttura portante di alcune canzoni a livello ritmico; da citare anche Scream, che ricorda ragazzacci cattivi su nel nord Europa, liberi di far danni con la sua furia davvero notevole e senza soluzione di continuità.
Personalmente, tra i solchi di notevoli bombe sonore come Remember Who You Are, Elegies Of War e Blood On My Hands ho riscontrato una quasi totale venerazione per Soilwork ed At The Gates, mentre di gruppi puramente thrash neanche l’ombra.
Se sia un bene o un male sta a voi decidere, Heroes & Villains rimane comunque un ottimo album estremo che non manca di melodie e di quel tocco classico nei solos, segreto di Pulcinella dei migliori gruppi del genere.

TRACKLIST
1.Lux in Tenebris
2.Heroes & Villains
3.Fire That Cleanses
4.Reborn in Darkness
5.Remember Who You Are
6.Spellbound
7.Elegies of War
8.Grudge
9.Hydra
10.Blood on My Hands
11.Everything Ends

LINE-UP
André Bettencourt – Vocals, Guitar
Luís Abreu – Guitar
Frederico Campos – Drums
André Pisco – Bass

ADAMANTINE – Facebook

Opalized – Rising From The Ash

Questi ragazzi di Bordeaux hanno una marcia in più e lo si può sentire benissimo nel disco, perché la potenza ed il controllo che hanno molti gruppi se lo sognano.

Gli Opalized sono di Bordeaux e propongono un metalcore molto potente e vicino al thrash, con un forte background hardcore.

Gli Opalized si distinguono nel grande mare del metalcore per una notevole potenza di suono, anche grazie ad una puntuale produzione. Questi ragazzi di Bordeaux hanno una marcia in più e lo si può sentire benissimo nel disco, perché la potenza ed il controllo che hanno molti gruppi se lo sognano. Oggigiorno per fare un metalcore che possa risultare notevole bisogna essere ancora più bravi di anni fa, sia perché quando un genere comincia a mostrare segni di usura bisogna ricercare altre vie, sia perché non è per nulla facile distinguersi. Gli Opalized invece riescono molto bene a farsi sentire, con il loro timbro veloce e potente, e le loro parti melodiche mai ovvie e scontate, inserite sempre molto bene e con proprietà. Diventa davvero piacevole ascoltate dischi come questo di metal moderno, che lasciano anche grande speranza per il futuro del fare musica pesante in maniere intelligente: dalla Francia arrivano molti di questi esempi e gli Opalized sono fra i migliori.

TRACKLIST
01. The Fall
02. Gives It Back
03. End of Humain Reign
04. Unity
05. Black Flag
06. Near Death Experience
07. Rising from the Ashes

LINE-UP
Boris Kasnov – Vocals
Joachim Touron – Guitar, Clean Vocals
Seeklone – Guitar, Studio Drums
Rémy Pasques – Bass

OPALIZED – Facebook

The Match – Just Burn

Just Burn non è un affatto brutto lavoro, ma gli manca a mio parere quell’idea di forma canzone che diventa fondamentale anche quando si opta per lo stile musicale irrequieto ed originale offerto dai The Match.

I The Match sono un duo composto da Francesco Gallo e Ivan Mercurio, rispettivamente basso/voce e batteria, attivi da quattro anni ed ora all’esordio con l’album Just Burm.

Un sound strutturato solo su strumenti ritmici non può che risultare un concentrato di cambi di tempo, sfuriate alternative che fanno capo al funky, ancor prima del rock, e questo rende senz’altro originale la proposta del gruppo.
Chiaramente il rock alternativo proposto non può che fare riferimento ai gruppi che, nel proprio DNA, hanno ben consolidati generi che con il rock hanno poco a che fare, ma è pur vero che in generale i nove brani presenti in Just Burn funzionano, almeno ad un primo ascolto, quando il fattore sorpresa fa il suo sporco lavoro.
Con il passare del tempo scema la sorpresa ed anche l’attenzione, perché le tracce tendono ad assomigliarsi un po’ troppo, coinvolgendo l’ascoltatore solo a sprazzi.
La cover di Firestarter dei Prodigy, Danger e Earthz (il brano più metal del lotto) sono i brani più coinvolgenti di un lavoro consigliato agli amanti dei Primus e dei Red Hot Chili Peppers, nascosti da un attitudine punk rock e dal lavoro del basso, tecnicamente notevole così come quello delle bacchette sulle pelli.
Just Burn non è affatto un brutto lavoro, ma gli manca a mio parere quell’idea di forma canzone che diventa fondamentale anche quando si opta per lo stile musicale irrequieto ed originale offerto dai The Match.

TRACKLIST
1. Beast
2. Firestarter
3. Aflame
4. K-22
5. Danger
6. Shinobu
7. Earthz
8. San Francisco
9. Neh

LINE-UP
Francesco “The GrooVster” Gallo – Bass, Vocals
Ivan “Pattùman” Mercurio – Drums, backing vocals

THE MATCH – Facebook

Atreides – Neopangea

Neopangea è un buon lavoro, grintoso e dal sound che sottolinea la buona tecnica dei suoi protagonisti, con qualche salto nell’epica eleganza del power scandinavo.

Nati dalle ceneri dei metallers Skydancer intorno al 2014, i power metallers Atreides licenziano il loro primo full length per la Suspiria Records, questo buon pezzo di granito heavy/power dal titolo Neopangea.

Il quartetto spagnolo presenta dunque un roccioso album di metallo classico cantato in lingua madre, seguendo le band storiche del metal iberico, ma a differenza dei loro colleghi, l’impostazione melodica e progressiva tipica della scena spagnola, viene scaraventata in un angolo dalla furia power: gli Atreides suonano pesante, sicuramente melodici ma dalle ritimiche che in alcuni casi si avvicinano al thrash metal e con un’atmosfera oscura più vicina al metal classico statunitense.
Neopangea è un buon lavoro, grintoso e dal sound che sottolinea la buona tecnica dei suoi protagonisti, con qualche salto nell’epica eleganza del power scandinavo; non manca certo quel tocco orchestrale tipico dei gruppi del genere, ma dell’album piace la belligeranza di brani come Penitiencia o il riff estremo di Plaga Capital, che giunge a rompere l’atmosfera romantica creata dall’ottima Balada n°6.
E così, tra ritmi forsennati, epica oscurità ed incendiari passaggi metallici, il cantante Iván López e compagni, influenzati da gruppi come Kamelot, Iced Earth ed i compatrioti Avalanch, si distinguono per forza e potenza amalgamate ad una certa eleganza, liberando la bestia sotto forma di un convincente album heavy/power metal.
E’ da seguire la scena spagnola, foriera di ottime realtà per quanto riguarda il metal classico, dall’heavy al power e della quale gli Atreides sono uno degli esempi recenti di maggior spicco.

TRACKLIST
1.Caminante
2.Penitencia
3.Laberintos
4.La niebla
5.Frágiles
6.Balada Nº6
7.Plaga capital
8.¿A dónde ir?
9.Solaris
10.Nueva pangea

LINE-UP
Antonio Orihuela – Bass
Dany Soengas – Guitars,Backing Vocals, Keys
Adrián Moa – Drums
Iván López – Vocals

ATREIDES – Facebook

Obscura Amentia – The Art Of The Human Decadence

Gli Obscura Amentia riescono con la loro musica a trasmettere compiutamente un senso di inquietudine che prende forma man mano che si procede con gli ascolti, e questo più di altri è un indicatore affidabile della profondità compositiva che pervade The Art Of The Human Decadence.

A cinque anni da Ritual ritornano gli Obscura Amentia, duo italiano che all’epoca avevamo lasciato alle prese con una buona interpretazione di un black metal di matrice svedese.

In questo lasso di tempo le cose sono decisamente cambiate, e sicuramente in meglio, anche per quanto riguarda la maggiore peculiarità del sound proposto: oggi, infatti, gli Obscura Amentia sono una solida realtà dedita ad un doom ovviamente intriso di una massiccia componente black.
Gli stessi aspetti che non mi avevano convinto al 100% nel precedente lavoro hanno visto senz’altro un importante progresso: l’abrasivo screaming di Hel appare del tutto appropriato allo stile proposto e anche la produzione favorisce un maggiore equilibrio tra voce e strumenti.
Il lavoro di Black Charm con chitarra, basso e tastiere è lo specchio di un notevole sforzo compositivo, atto a rendere evocativo e malinconico il sound senza fargli perdere le sue ruvide connotazioni estreme. Volendo fare per forza un paragone, utile ad inquadrare meglio i contenuti di The Art Of The Human Decadence, si può azzardare a livello di umori una certa vicinanza all’ormai datato ultimo album dei Valkiria, anche per un lavoro chitarristico similmente volto alla ricerca di melodie di grande impatto ma con il tutto, come detto, maggiormente inserito all’interno di ritmiche dal passo più spedito.
Di quest’album non si può non apprezzare l’intensità che traspare da ogni singola nota e difficilmente chi predilige i due generi che ne costituiscono l’impalcatura potrà restare indifferente.
The Art Of The Human Decadence non è certo opera per puristi, capaci di godere solo della perfezione formale senza neppure provare a grattare una superficie la cui rugosità preserva, ad un ascolto distratto, una profondità non comune. Oltretutto il lavoro si snoda in costante crescendo, trovando i momenti più alti nella sua seconda metà a fronte di una prima che gli è comunque di poco inferiore: infatti, se Ocean, Entropy, la title track e Agony sono brani che già da soli riescono a comunicare quale sia il valore dell’album, dopo l’intermezzo strumentale Broken si susseguono tracce dal magnifico impatto melodico e drammatico allo stesso tempo, inaugurate da una eccellente Apathy, che lascia poi spazio allo struggente incedere della magnifica Sentenced e all’impatto apocalittico di King, episodio che, prima dello strumentale di chiusura Ananke, ben rappresenta gli umori di un lavoro che verte liricamente sulla decadenza inarrestabile di un’umanità impegnata in un’ottusa quanto inarrestabile corsa verso l’autodistruzione.
Gli Obscura Amentia riescono con la loro musica a trasmettere compiutamente un senso di inquietudine che prende forma man mano che si procede con gli ascolti, e questo più di altri è un indicatore affidabile della profondità compositiva che pervade The Art Of The Human Decadence.

Tracklist:
01. Ocean
02. Entropy
03. The Art Of The Human Decadence
04. Agony
05. Broken
06. Apathy
07. Sentenced
08. King
09. Ananke

Line up:
Hel – Vocals
Black Charm – All and drum programming

OBSCURA AMENTIA – Facebook

Olneya – Olneya ep

Un rituale completamente strumentale, psichedelico e stonerizzato.

Chiudete gli occhi ed immaginate la nostra costa adriatica completamente spoglia delle catene di alberghi, parchi di divertimento e cittadine affollate dal turismo estivo, quello del divertimento a tutti i costi, delle facili conquiste e delle balere che hanno fatto illudere di vivere una vita diversa ad una moltitudine di generazioni.

Una distesa sabbiosa che dalle coste venete scende fino alla Puglia, sabbia e mare, un deserto caldissimo dove l’ombra è un tesoro ed il sale ha già riempito la nostra bocca, dopo pochi chilometri in riserva di ossigeno e acqua dolce.
Un trip, un incubo che vi si ripresenterà ogni qualvolta vi metterete in ascolto di questo rituale completamente strumentale, psichedelico e stonerizzato, l’ep omonimo degli Olneya, trio nostrano composto da Maurizio Morea alla Chitarra, PJ alle pelli e Enry Cava al basso.
I piedi bruciano sopra la sabbia arsa dal sole desertico, mentre Mantra e Zerouno ci accompagnano nei primi passi di questo che sarà un viaggio relativamente corto, ma totalmente destabilizzante.
Il basso pulsa e ci dà il ritmo da tenere per non perdere terreno, mentre la sei corde ci tortura, a tratti psichedelica e settantiana, in altri momenti più vicina alle sonorità americane del caldissimo decennio che accompagnò la fine del millennio, tra l’assolato stoner rock della Sky Valley ed il piovoso grunge di Seattle.
Siamo già a Zerotre, liquida, avvolgente e pericolosa come le spire di un serpente mostruoso creato dalla nostra mente in balia del caldo opprimente e degli effetti collaterali causati dall’abuso di questo ep e altro, mentre la musica sfuma, l’incubo sparisce e la spiaggia torna ad animarsi di uomini, donne e bambini, incuranti di noi e del nostro delirio.

TRACKLIST
1.Mantra
2.Zerouno
3.Zerodue
4.Road to Aokigahara
5.Zerotre

LINE-UP
Maurizio Morea – Guitars
Pj – Drums
Enry Cava – Bass

OLNEYA – Facebook

Hexer – Cosmic Doom Ritual

Titolo immaginifico per un’opera estremamente atmosferica che proietta verso l’ignoto.

La fertile scena tedesca genera un’ altra piccola gemma di arte nera: gli Hexer, band di Dortmund di recente nascita (2014), dopo un EP (Holodeck Sessions) del 2015, esplode letteralmente con il full Cosmic Doom Ritual, dal suggestivo e grandioso titolo in cui esplora la propria idea della materia doom ammantandola di visioni psichedeliche, stoner e creando un’atmosfera insana, surreale, proiettata in uno vuoto cosmico sempre affascinante da esplorare.

Il loro suono cresce lentamente, senza fretta, increspato da note di cupo synth, creando un mood ritualistico con melodie sempre evocative come nel primo brano, Merkaba, dove millenarie tempeste di sabbia si abbattono su rovine perdute di mondi antichi immersi in deserti roventi: gli Hexer possono ricordare gli Esoteric per il loro incedere ipnotico anche se non raggiungono la loro pesantezza
Il secondo brano Pearl Snake profuma di intensa essenza orientale iniziando come un “raga” indiano, per poi incendiarsi in note stoner e doom che planano su templi abbandonati dove antichi culti sono stati celebrati: un brano veramente particolare denotante una visione personale della materia; l’ ultima traccia Black Lava Flow, dopo un inizio funeral, prosegue con note heavy doom ipnotiche e incessanti, per poi planare ancora su suggestioni orientali e, infine, come nuovi Hawkwind proiettarsi verso il cosmo. Decisamente una bella scoperta, con un buon guitar sound sempre ispirato, le melodie create dal synth e le influenze orientali a dare un tocco personale ed originale. Da seguire con attenzione.

TRACKLIST
1.Merkaba
2.Pearl Snake
3.Black Lava Flow

LINE-UP
L Synth, Samples
D Bass, Vocals
J Drums
M Guitars, Vocals

HEXER – Facebook

Foetal Juice – Masters of Absurdity

Tornare indietro di qualche mese e scoprire questo gioiellino estremo è un dovere che, per tutti gli amanti del genere, si trasformerà in sadica goduria alle prime note di Masters of Absurdity.

In colpevole ritardo sulla data di uscita (Dicembre 2016) vi presentiamo il primo full length della death metal band inglese Foetal Juice.

Colpevole, perché il loro primo lavoro sulla lunga distanza, dopo svariati ep e split, è un bombardamento sonoro notevole, un album davvero massiccio ed a tratti stupefacente nel saper dosare la violenza in un contesto al limite del brutal.
Death, grind e brutal si incontrano e con l’hardcore, che fa da quarto cavaliere dell’apocalisse, costituiscono il sound del gruppo di Manchester, una macchina da guerra naturalmente predisposta a portare distruzione e morte.
Poco più di mezzora ma da catastrofe, quella che i Foetal Juice ci offrono, mentre fantasmi di un neanche troppo lontano passato affiorano in tutta la loro belligeranza estrema tra i solchi di brani creati per fare male, senza soluzione di continuità.
Ed infatti Dutch Oven, devastante opener dell’album seguita da Phantom Visions e dalle altre tracce, non possono che far affiorare l’amore del quartetto per Napalm Death, Lock Up e Death, padrini di questo modo di intendere il metal estremo.
Tornare indietro di qualche mese e scoprire questo gioiellino estremo è un dovere che, per tutti gli amanti del genere, si trasformerà in sadica goduria alle prime note di Masters of Absurdity.

TRACKLIST
1.Dutch Oven
2.Phantom Vision
3.Noneckahedron
4.The Leachate King
5.Brutal Tooth
6.Gin’ll Fix It
7.Grave Denied
8.Booze Locust
9.Nun So Vile
10.More Hate, More Hell

LINE-UP
Ben – Bass, Vocals
Rob – Drums
Ry – Guitars
Sam – Vocals

FOETAL JUICE – Facebook

Memoriam – For The Fallen

Il ricordo per l’amico caduto permea tutto il disco, ed in alcuni momenti diventa davvero struggente e ci fa tornare a quello che dovrebbe essere lo spirito del metal, potenza, cattiveria, valori ed amicizia e Karl Willetts incarna benissimo tutto ciò. La guerra continua.

Quando un compagno cade lo si piange, ma la guerra purtroppo non finisce mai, può terminare per noi quando chiudiamo gli occhi, ma per gli altri non finisce.

Arriva così, dopo una manciata di ep e singoli la nuova avventura di Karl Willetts e soci, reduce dalla grandiosità e dalla bellezza guerriera dei Bolt Thrower, la cui importanza non potrà mai essere sminuita. Essendo una persona con dei valori, e con lui i membri dei Bolt Thrower, dopo la morte a soli 38 anni del compagno Martin Kearns, ha deciso nel 2016 di mettere fine all’avventura e di cominciarne un’altra, ed ecco qui i Memoriam. Le canzoni sono state scritte in un breve lasso di tempo, e nel disco si può svariare su tutta l’asse della carriera musicale e delle influenze di Willetts. I Memoriam sono principalmente un gruppo death metal, ma Willetts non ha mai abbandonato le proprie radici musicali, quelle che una notte del 1986 in un pub di Coventry diedero ad uno dei più grandi gruppi metal della storia. Hardcore quindi, ma anche e soprattutto quel sentire molto vicino a gruppi come Discharge e quell’ondata inglese di aggressione musical politica che ha poi influenzato molti gruppi. I Memoriam spaziano in tutto questo, riuscendo a fare un disco granitico e potente, ben disgiunto dai Bolt Thrower, anche se ovviamente qualche riff e situazione li possono ampiamente ricordare. For The Fallen è un ottimo esempio di death metal inglese, che è un qualcosa di ben diverso dalle altre interpretazioni del genere. Molte cose possono essere sistemate o migliorate, ma essendo un disco di pancia è molto bello così. Il ricordo per l’amico caduto permea tutto il disco, ed in alcuni momenti diventa davvero struggente e ci fa tornare a quello che dovrebbe essere lo spirito del metal, potenza, cattiveria, valori ed amicizia e Karl Willetts incarna benissimo tutto ciò. La guerra continua.

TRACKLIST
1. Memoriam
2.War Rages On
3. Reduced to Zero
4. Corrupted System
5. Flatline
6. Surrounded By Death
7. Resistance
8. Last Words

LINE-UP
Karl Willets – Vocals
Frank Healy – Bass
Scott Fairfax – Guitar
Andy Whale -Drums

MEMORIAM – Facebook