Wretch – The Hunt

The Hunt è un lavoro heavy power metal classico scitto da chi ha vissuto la scena in prima persona.

C’è voluta la Pure Steel per dare a Cesare quel che è di Cesare, tradotto, un contratto per i Wretch, band heavy power metal attiva nella scena di Cleveland addirittura dalla metà degli anni ottanta.

Una lunga serie di demo e nel 2006 il debutto Reborn, in una carriera che se non decolla definitivamente comincia a risultare più costante con l’uscita di una compilation, l’ep Rise To Power del 2013 e il secondo full length intitolato Warrior, uscito nel 2014.
Dunque con The Hunt siamo al terzo album in più di trent’anni , ma il gruppo non molla e ci travolge con il suo U.S. power metal, dalle tinte oscure e dal piglio drammatico come tradizione americana, anche se i Wretch hanno in serbo soluzioni maideniane che accentuano l’ottima amalgama tra tradizione statunitense ed europea.
Aiutato dal tono vocale del singer Juan Ricardo, che a tratti ricorda Bruce Dickinson, e da molte soluzioni ed intrecci chitarristici in stile Murray/Smith, il sound del quintetto americano non mancherà di soddisfare gli amanti del genere, forte di un lotto di brani arrembanti, dove aggressione e melodia vanno a braccetto come nella migliore tradizione classica, così da incendiare di passione metallica gli amanti di Iron Maiden, Iced Earth e Metal Church.
The Hunt parte con il freno a mano tirato, la title track risulta una partenza inceppata, ma passata Throne Of Poseidon, l’album spicca il volo con una serie di canzoni riuscite, quel in cui più si sente l’influenza maideniana (The Final Stand, Straight To Hell e Once In A Lifetime).
Ne esce un album che parte piano per poi crescere alla distanza, risultando un buon ascolto per i defenders dai gusti classici e confermando l’ottima vena trovata negli ultimi anni dal gruppo americano.

TRACKLIST
1. Sturmbringer
2. The Hunt
3. Throne Of Poseidon
4. Twilight´s End
5. The Final Stand
6. Fortune’s Fool
7. The King In Red
8. Straight To Hell
9. Pierce The Veil
10. Once In A Lifetime
11. She Waits

LINE-UP
Juan Ricardo – vocals
Nick Giannakos – lead- and rhythm guitar
Michael “Mjölnir” Stephenson – lead- and rhythm guitar
Tim Frederick – bass
Jeff Curenton – drums

WRETCH – Facebook

Gothic – Demons

Un album d’altri tempi in cui le atmosfere gotiche fanno da ricamo all’aggressività death metal e ai rallentamenti doom.

Sicuramente non dimostrano molta fantasia nel nome scelto per la band, ma i rumeni Gothic sanno sicuramente come intrattenere gli amanti del genere.

Ovviamente si parla di death metal di matrice gotica e doom, magari poco elegante ma di sicura presa e pesante quel tanto per piacere ai vecchi fans del death/doom che imperversava nei primi anni novanta.
Il gruppo infatti, proprio nel 1993 mosse i primi passi con tre demo usciti tra il 1994 ed il 1996, prima che Touch of Eternity (1998) diede al gruppo la soddisfazione del primo lavoro sulla lunga distanza.
Una compilation nel 2005 e poi il lungo silenzio, spezzato dalla comparsa al Wacken come rappresentati del loro paese, il ritorno con Expect The Worst tre anni fa, seguito dalla firma per Loud Rage Music e questo nuovo lavoro intitolato Demons.
Sarà che non ci siamo più abituati ma Demons si distacca piacevolmente dai cliché delle gothic metal band odierne: nessuna voce femminile a duettare con l’orco al microfono, orchestrazioni usate con parsimonia, e soprattutto ritmiche potenti e aggressive che non si allontanano dal death/doom e lasciano alle sei corde il compito di sfoderare ottime linee melodiche, accompagnate dai tasti d’avorio mai invadenti, quasi timidi nell’approccio.
Un album d’altri tempi, dunque, dove le atmosfere gotiche fanno da ricamo all’aggressività death metal e ai rallentamenti doom, disegnando immagini di castelli transilvani dove i demoni hanno poco da trastullarsi con sirene dark, intenti ad impalare i loro nemici fatti prigionieri e torturati, mentre Disillusion, Catacombs e la devastante From Within fungono da colonna sonora alle loro efferate gesta.
Demons è un’opera riuscita perché torna a far respirare le atmosfere dei primi anni novanta: le ispirazioni le trovate tutte in quel periodo, ma se volete un mio personale aggancio, pensate ai primi Crematory con un uso più misurato delle tastiere e più velocità nelle ritmiche.

TRACKLIST
1.Shadow Man
2.Disillusion
3.Demons
4.Catacombs
5.Time
6.Destroying The Masses
7.From Within
8.A New End

LINE-UP
Alin Petrut – guitar/vocals
Taly – bass
Vlad Golgotiu – drums
George Lazar – vocals
Florian Lysy – keyboards

GOTHIC – Facebook

Pryapisme – Diabolicus Felinae Pandemonium

Ben venga il profetizzato dominio dei gatti sul mondo, per cui abituiamoci quanto prima alla musica dei Pryapisme, che diverrebbero schiavi privilegiati in quanto ufficiali cantori della razza felina …

Dopo quasi due anni rieccoci nuovamente alle prese con i folli Pryapisme e le loro bizzarre teorie riguardo al futuro dominio dei gatti sull’umanità (cosa che peraltro già avviene in ogni dimora abitata dai nostri amici felini …)

Rispetto a Futurologie, se non lo ritenessi azzardato, mi spingerei ad parlare di una relativa normalizzazione del sound, se non fosse che qui, come da copione, di ordinario non c’è nulla, a partire dal nome della band, passando per i titoli dei brani e arrivando alla copertina.
L’impressione è che la creatività disturbata e bulimica della band francese appaia in qualche modo più organica (un vecchio allenatore di calcio italiano definiva il proprio credo tattico “caos organizzato” …), soprattutto quando a predominare sono le pulsioni fusion e progressive attraverso le quali i nostri piazzano repentini cambi di tempo che sono una gioia per le orecchie, prima che il percorso musicale si rifaccia nuovamente lineare come l’elettroencefalogramma di un individuo afflitto da disturbi neurologici.
Elettronica, metal, jazz, folk, suoni che paiono scaturire da tastierine giocattolo, mentre sotto si intuiscono arpeggi chitarristici degni di John McLaughlin, accelerazioni, rallentamenti, brusche pause, miagolii di gatti e chi più ne ha più ne metta: la fantasia dei Pryapisme non va mai in vacanza e, a mio avviso, con questa nuova fatica potrebbero conquistare qualche attenzione in più a parte di chi non teme di perdere la bussola nell’oceano asimmetrico immaginato dalla band transalpina.
Tre tracce spiccano su tutte in Diabolicus Felinae Pandemonium: Un max de croco, Tau Ceti Central e Totipotence d’un erg, ma non mi si chieda una motivazione logica, sarà forse perché in queste emerge con più forza un potenziale espressivo che avrebbe ottenuto l’approvazione totale di un agitatore musicale come Frank Zappa.
E comunque, ben venga il profetizzato dominio dei gatti sul mondo, per cui abituiamoci quanto prima alla musica dei Pryapisme, che diverrebbero schiavi privilegiati in quanto ufficiali cantori della razza felina …

Tracklist:
1. Un max de croco
2. La Boetie stochastic process
3. 100 % babines, pur molossoïde !
4. A la Zheuleuleu
5. Tau Ceti Central
6. Tête de museau dans le boudoir ( Intermezzo )
7. Myxomatosis against architektür vol IV
8. Carambolage fillette contre individu dragon non-décortiqué
9. C++
10. Totipotence d’un erg

Line-up:
Benjamin Bardiaux : Keyboards
Nils Cheville : Guitar
Antony Miranda : Bass, Guitar, Moog, Vocals
Nicolas Sénac : Guitar
Aymeric Thomas : Drums, Clarinet(s), Keyboards, Machines

Guests:
Adrien Daguzon (Zibeline) : Sax on #2, #5
Matthieu Halberstadt (Ogino, Please lose battle) : Contrabass on #1, #5, #10
Gautier Lafont (Sebastockholm) : Smashed door on #6

PRYAPISME – Facebook

Deathvalves – Dark Stories From The Past

Un lavoro oscuro e drammatico che coniuga sapientemente alternative metal, dark e melodie southern rock, così da formare un sound affascinante comprendente molte altre ispirazioni

Poche informazioni ma tanta buona musica da parte di questa band greca chiamata Deathvalves, quartetto alternative metal attivo da una decina d’anni e con un paio di lavori alle spalle, Wild Rock ‘n’ Roll Obsession del 2007 e Deathvalves. uscito nel 2012.

Il gruppo si autoproduce anche questo ottimo Dark Stories From The Past, un lavoro oscuro e drammatico che coniuga sapientemente alternative metal, dark e melodie southern rock, così da formare un sound affascinante comprendente molte altre ispirazioni, partendo dagli anni ottanta per attraversare la fine del secolo scorso ed assaporare le sonorità alternative del nuovo millennio.
L’album parte con un intro che ricorda le atmosfere dark/western dei Fields Of the Nephilim, per poi sviluppare il proprio sound con richiami ai Type O Negative (il basso pieno e in bella mostra, a tratti distorto) e metal rock di estrazione grunge molto simile a quello degli Alice in Chains.
Sono queste le maggiori influenze di questo valido gruppo, alle prese con un disco molto sentito ed emotivamente importante.
T. Sydrome e compagni hanno saputo andare oltre alle facili melodie post grunge, regalando quasi un’ora di musica oscura, melanconica e dura, accompagnata dal nero supporto di melodie gothic/dark e dai refrain di un’Alice sempre imprigionata dalle catene chiuse con da un lucchetto con la scritta Facelift stampata sulla chiave nascosta da Jerry Cantrell e compagni.
Vengeance, Crawl In The Night, Forefathers Graves, Vampyres Eyes sono i brani su cui l’album ha posato le sue fondamenta, mentre le altre tracce si innalzano verso il cielo scuro, dove stelle dalla pallida luce disegnano i volti di Peter Steele e Layne Staley.

TRACKLIST
01. Intro
02. Vengeance
03. Pantera
04. Crowl in the Night
05. Bad Ways
06. So Much to Kill
07. Forefathers Graves
08. Burn the Sun
09. Into This Ocean
10. Vampyres Eyes
11. The Emperor

LINE-UP
T. Sydrome – Guitars & Vocals
Sakis – Drums & Backing Vocals
Thanasis Valeras – Guitars
Chris Sven – Bass

DEATHVALVES – Facebook

Crurifragium – Beasts Of The Temple Of Satan

Violenza, impeto death metal con intarsi di brutal e grindcore per un disco davvero violento eppur suonato molto bene, Satana approva.

Un disco di bestiale death metal incrociato carnalmente con un grindcore veloce e marcio.

Se volete ascoltare un disco di metal estremo suonato con passione e violenza, Beast Of The Temple Of Satan, il debutto di questo gruppo, è un disco che appagherà in pieno chi cerca emozioni forti dal metal, in questo caso davvero estremo. La voce è quella di un sacerdote satanico mentre squarta corpi inermi, mentre dietro c’è un inferno di ritmi infernali, dove la batteria incalza il suono grezzo della chitarra e del basso. I Crurifragium sono in tre, ma sono una legione demoniaca che si abbatte sulla terra, in una caccia fruttuosa e sanguinosa. Ossa, sangue, e teste aperte, ecco l’incedere della metallica marcia, e soprattutto nessun compromesso ne prigionieri. I Crurifragium sono gli ex Warpvomit, che avevano dato alle stampe un disco solo recensito qui sulle nostre pagine, che erano forse ancora più grezzi e brutali, anche se qui non si scherza. Si viene piacevolmente storditi da questo mortale effluvio di violenza ed estremismo musicale, che però mantiene una forte impronta di metal classico, perché nel loro substrato i classici numi ci sono.
Violenza, impeto death metal con intarsi di brutal e grindcore per un disco davvero violento eppur suonato molto bene. Satana approva.

TRACKLIST
01 Behold (Evangelation)
02 Stigmata Excruciation
03 Unfurl the Banners of Evil
04 Flayed Angels
05 Exalted Blasphemous Trinity
06 Vespers for the Massacred
07 Slaughterers of the Flocks
08 Utter Sadism
09 Crucified Bastard
10 Beasts of the Temple of Satan
11 The Horns of Power

INVICTUS PRODUCTIONS – Facebook

Endezzma – Morbus Divina

Cinque anni dopo il primo full length tornano gli Endezzma con queste due perle nere antipasto, si spera, di una prossima prova sulla lunga distanza.

Storie di black metal: gli Endezzma sono un gruppo black metal norvegese, nata dalle ceneri dei Dim Nagel e fondata dal vocalist Morten Shax e da Trondr Nefas, ex Urgehal e Angst Skvadron scomparso nel 2012.

Nato intorno al 2005, il gruppo diede alle stampe un ep nel 2007 (Alone) e soprattutto un full lenght, Erotik Nekrosis, licenziato nel 2012 ed ultima testimonianza musicale del musicista norvegese.
La band ritorna sotto l’ala della Pulverised Records con questo bellissimo 7″ composto da due tracce, la devastante Morbus Divina, brano che da il titolo all’ep, classica song black metal tra Darkthrone e Satyricon, e la splendida Black Tempest, traccia capolavoro che, se riprende il mood del gruppo di Satyr e Frost, lo valorizza di un’anima metallica di stampo classico, marcia e oscura ma pur sempre con la fiamma che rivolge il suo calore all’heavy metal, squarciata da ritmiche infernali, oscure e maligne.
Il gruppo, ora in mano al solo vocalist, si completa con la sezione ritmica formata da Aske e Skriu (rispettivamente basso e batteria) e delle due chitarre, in mano a Mattis Malphas e Nihil.
Cinque anni dopo il quintetto scandinavo torna alle morbose trame di cui è capace, proponendo black metal come nella migliore tradizione norvegese con queste due perle nere antipasto, si spera, di un ‘altra prova sulla lunga distanza.

TRACKLIST
Side A
1.Morbus Divina

Side B
2.Black Tempest

LINE-UP
Mattis Malphas – Guitars
Morten Shax – Vocals
Nihil – Guitars
Aske – Bass
Skriu – Drums

ENDEZZMA – Facebook

Viles Vitae – IV

Quello dei Viles Vitae è l’ennesimo ottimo prodotto di una scena black metal portoghese che non ha ancora finito di sorprendere.

Sul black metal oggi ognuno può pensarla lecitamente come meglio crede, ritenendolo un movimento obsoleto e che ha fatto il suo tempo oppure un genere musicale che, come tutti gli altri, continua ad offrire lavori mediocri ed altri di grande spessore.

Quel che è certo e oggettivamente inconfutabile è la crescita esponenziale della scena black in un paese come il Portogallo che, come tutti sanno è la patria dei Moonspell, oggi conosciuti come campioni assoluti del gothic metal ma che, in realtà, agli esordi (con il demo Anno Domini) furono una delle prime band a dedicarsi al genere al di fuori dei paesi scandinavi.
Tale imprimatur però non ebbe un grandissimo seguito e comunque non costituì la base di partenza immediata per un movimento coeso, sicché soprattutto negli ultimi anni le band lusitane stanno cominciando a lanciare segnali importanti e lo dimostra il fatto che, in tempi recenti, abbiamo trattato diversi dischi di notevole fattura (tra quelli da me recensiti cito gli ottimi Lux Ferre).
Dei Viles Vitae non è che si sappia moltissimo, se non che si tratta un gruppo formato da esponenti già noti nella scena, al primo passo ufficiale con questo ep intitolato IV, che ovviamente non è riferito all’ordine cronologico della loro produzione bensì agli elementi essenziali dei rituali magici.
Il lavoro consta di quattro brani (ovviamente) di lunghezza media, ad eccezione dell’ultimo che sfora i dieci minuti, e dalla qualità che non sorprende più, al servizio di un black metal assolutamente devoto ai dettami nordici ma che appare molto più fresco e urgente di quello prodotto oggi in quelle stesse lande.
Ed è proprio la traccia conclusiva, Theorie Of Deconstruction, a costituire l’ideale fulcro del lavoro, laddove i Viles Vitae immettono in maniera più massiccia quelle pulsioni ambient che lo arricchiscono, assieme alla capacità di trovare soluzioni melodiche e martellanti allo stesso tempo, senza smarrire un’oncia di quell’aura oscura e gelida che è marchio di fabbrica del genere quando viene proposto seguendo coordinate sufficientemente tradizionali.
IV è l’ennesimo ottimo prodotto di una scena che non ha ancora finito di sorprendere.

Tracklist:
1.The Vortex Of Disharmony
2.Sunless Redeemer
3.Source Life Extinction
4.Theorie Of Deconstruction

Line-up:
Vulturius – Vocals
Belial Necro – Guitars
Deimos – Drums

VILES VITAE – Facebook

Festering – From The Grave

Una sorpresa gradita questo primo lavoro del gruppo portoghese, peccato per il tanto tempo trascorso senza rilasciare alcunché, visto anche l’ottima qualità esibita da From The Grave.

La copertina meravigliosamente old school non può non eccitare i maniaci del death metal che imputridisce nella terra smossa dai cadaveri che tornano in vita, ma che a noi, vecchi becchini che gozzovigliavano con gli arti dei malcapitati nei primi anni novanta, piace tanto.

Ed i Festering di attitudine vecchia scuola ne hanno da vendere, visto che i primi passi li hanno mossi proprio nel 1992 ma, sfortunatamente, la loro discografia non va oltre uno split ed un ep, prima che From The Grave arrivi a rendere giustizia a questi paladini del death metal puro e classico, tra tradizione scandinava e quel tocco statunitense che rende il loro macello sonoro una goduria per ogni amante del genere.
Dalla porta del cimitero, il quartetto portoghese inizia a suonare e dopo pochi minuti l’ultima casa dei nostri corpi su questa terra brulica di zombie famelici.
Le lapidi si scoperchiano, la terra umida di morte rilascia il suo fetido odore, mentre l’esercito dei non morti si mette in marcia a suo di metal estremo, tra partenze a razzo e brusche frenate, solos che si scagliano nel cielo scandinavo e refrain che dalla Bay Area attraversano l’Atlantico fino alle coste dell’estremo ovest europeo.
Un album d’altri tempi, uscito quando i suoni tradizionali sembrano tornare a riempire le serate dei metallari sparsi per il mondo, in un’orgia infernale creata dalle efferate Infected, Consuming From Within e dall’irresistibile Proliferation of Infected Leucocytes, una cavalcata estrema a base di death metal scandinavo che non lascia scampo.
Una sorpresa gradita questo primo lavoro del gruppo portoghese, peccato per il tanto tempo trascorso senza rilasciare alcunché, visto anche l’ottima qualità esibita da From The Grave.

TRACKLIST
1. Festering (Intro)
2. Exhumed
3. Infected
4. The Myth Of Creation
5. Consuming From Within
6. Submerged In Emptiness
7. Bloodline
8. Proliferation Of Infected Leucocytes
9. Ascent Of The Blessed
10. Psychic Convulsions Of Neurasthenia

LINE-UP
Pedro Gonçalves – vocals
João Galego – guitars
Koja Mutilator – bass
Norberto Arrais – drums

FESTERING – Facebook

Fankaz – Seities

Tanta melodia ed un’equilibrata durezza per un disco che fa star bene e che davvero ci voleva. Lasciatevi andare, al resto ci pensano i Fankaz.

I Fankaz pubblicano un disco che riallinea le stelle e il globo terracqueo con l’hardcore melodico, genere troppo spesso stuprato da ignoranti senza arte né parte.

I Fankaz hanno qualcosa in più rispetto alle altre band del genere e lo si sente subito, grazie anche alla loro grande padronanza tecnica, che li porta ad eccellere. Il disco sarà uno dei più grandi successi che la vostra cameretta abbia mai visto, con dita alzate e cori che volano, e tanto tanto amore. Finalmente con un disco come Seities ci si può abbandonare alla musica, lasciando da parte generi, sottogeneri, pose o dichiarazioni rilasciate all’asilo dal cantante o in piscina a nove anni dal bassista. Questo è un disco da godere, abbandonarsi e lasciarsi andare, nella migliore tradizione dell’hardcore melodico tecnico. Una delle loro maggiori ispirazioni, e lo dichiarano anche loro, sono i magnifici Belvedere, un gruppo canadese di hardcore melodico fatto con gran tecnica che è un piacere solo pronunciarne il nome. E i Fankaz sono anche meglio in alcuni frangenti. Questi ragazzi, che sono già in giro da un po’, hanno un sacco di registri e di idee, ma soprattutto emozionano e hanno quel suono che è davvero bello risentire riproposto in questa maniera, così appassionata e competente. Musica da adolescenti ? No di certo, perché le emozioni non devono avere età, e risentire che da qualche parte battono ancora i cuori al ritmo di Belvedere, Lagwagon e Strung Out, non può che riempire di gioia. Seities è un disco davvero ben fatto e suonato benissimo, e dal vivo deve essere una bomba. Tanta melodia ed un’equilibrata durezza per un disco che fa star bene e che davvero ci voleva. Lasciatevi andare, al resto ci pensano i Fankaz.

TRACKLIST
01-Intro
02-Screams of Lies
03-Overwhelmed
04-I Feel Sorry
05-Broken City
06-Behind the Curtains
07-Petrified
08-My Stories
09-Something Personal
10-Day by Day
11-Fale Witness
12-Symptoms

LINE-UP
RICKY – Guitar – Voice
ELIO – Guitar – Voice
MORA – Bass – Voice
POLE – Drums

FANKAZ – Facebook

Paolo Baltaro – The Day After the Night Before

The Day After the Night Before va scoperto piano, senza fretta, abbandonandosi tra le note di questi splendidi brani.

Certo che la scena underground nazionale non smette di regalare sorprese e così, lasciando per un attimo la frangia metallica ed estrema, ci facciamo travolgere dalla musica totale del polistrumentista Paolo Baltaro, al secondo album da solista dopo i trascorsi con varie band, tra le quali Arcansiel, Mhmm, Roulette Cinese, S.A.D.O. e Sorella Maldestra.

Questo nuovo lavoro segue il debutto licenziato per Musea nel 2011 (Low Fare Flight to the Earth) ed entusiasma per la varietà della musica proposta che, se può senz’altro essere considerata come rock progressivo, è composta da una moltitudine di anime musicali perfettamente amalgamate nel suo insieme.
Ogni brano è stato composto come una colonna sonora di film inesistenti, in cui Baltaro canta e suona tutti gli strumenti aiutato da molti altri musicisti, eccetto le due versioni di Do It Again, colonna sonora reale dell’ultimo film di Ricky Mastro, in preparazione questi giorni e in uscita prevista per la prima metà del 2017, e le due cover Bike (Syd Barrett) e It’s Alright With Me (Cole Porter).
Registrato a Londra al Pkmp Soho Studios e ad Amsterdam allo Studio 150, masterizzato da Cristian Milani al Rooftop Studio di Milano, l’album è un’opera affascinante dove la parola d’ordine è stupire.
Progressivo nel più puro senso del termine, The Day After the Night Before – Original Soundtracks for Imaginary Movies si compone di una dozzina di brani l’uno diverso dall’altro, l’uno più intrigante dell’altro, dove il musicista nostrano vola oltre i confini ed i muri costruiti per imprigionare i generi, per raccogliere il meglio che la musica rock può offrire donandolo all’ascoltatore.
Dagli anni settanta ai giorni nostri, si compie un viaggio su una nuvola di note che solca il cielo mentre progressive, jazz, rock e fusion compongono quella che risulta di fatto un’opera rock.
Preparatevi all’ascolto dell’album come se doveste incontrare in una quarantina di minuti tutti gli artisti e musicisti che hanno segnato la storia della nostra musica preferita, dai Pink Floyd, ai Beatles, da Jimi Hendrix a Frank Zappa: in totale libertà artistica e con una facilità disarmante Paolo ce li presenta tutti prima che il loro contributo, tradotto in ispirazione, lasci un segno indelebile su questo splendido album.
The Day After the Night Before va scoperto piano, senza fretta abbandonandosi tra le note di questi splendidi brani: l’opera è scaricabile dal sito del musicista (www.paolobaltaro.com), mentre è disponibile all’acquisto la versione in vinile più cd, quindi non ci sono scuse per perdersi un lavoro di questa portata.

TRACKLIST
1.Do It Again (Acoustic Version)
2.Postcard From Hell
3.Cole Porter At Frankz’s Birthday Party
4.Goodnight
5.Another Sunny Day
6.Bike
7.Nowhere Street Part II
8.Pills
9.Silent Song
10.It’s All Right With Me
11.Do It Again (Electric Version)
12.Revolution N.13-11 (Hidden Track)

LINE-UP
Paolo Baltaro – Vocals, all Instruments
Andrea Beccaro – Drums
Andrea Fontana – Drums
Alessandro De Crescenzo – Guitars
Paolo Sala – Guitars
Gabriele Ferro – Guitars
Gabriel Delta – Guitars
Simone Morandotti – Piano
Barbara Rubin – Chorus
Luca Donini – Sax, Flute
Sandro Marinoni – Sax, Flute
Alberto Mandarini – Tromba

PAOLO BALTARO – Facebook

Exoto – And Then You Die / The Fifth Season

Una ristampa interessante che rispecchia perfettamente l’aria che tirava nel centro Europa nei primi anni ’90.

Continua la missione della label olandese Vic Records nel riesumare opere dimenticate dal tempo, o album storici di quei gruppi facenti parte della scena death metal attivi nei primi anni novanta, periodo d’oro per il genere padre del metal estremo.

I belgi Exoto iniziarono la loro carriera proprio nel 1990 e in un paio d’anni diedero alle stampe tre demo, prima di consegnare ai posteri due full length: Carnival Of Souls nel 1994 e A Thousand Dreams Ago l’anno dopo.
Una serie di reunion e scioglimenti li hanno portati fino ai giorni nostri ed è di un paio d’anni fa l’ultimo parto Beyond the Depths of Hate.
And Then You Die/The Fifth Season è la ristampa del secondo e terzo demo, usciti in cassetta nel 1991 e nel 1992, che rispecchiano un’era ormai dimenticata non fosse per queste iniziative, che tanto sanno di passione.
Old school death metal e non potrebbe essere altrimenti, con una buona dose di thrash sparato in vena così da alternare veloci cavalcate e mid tempo.
Il suono è sufficiente per apprezzare la musica del combo, senza compromessi e devastante nelle ripartenze, capitanate dal drumming del compianto batterista Didier Mertens, scomparso nel 1994.
La seconda parte è quella più interessante, i brani tratti da The Fifth Season mostrano un miglioramento notevole da parte del gruppo, ed il death metal degli Exoto corre veloce, efferato e devastante con Art Of Butchery valorizzata da una prima parte gotica per poi esplodere in un death thrash che non manca di mettere in mostra la discreta tecnica dei nostri.
Notevole Ashes From The Past, aperta anch’essa da una parte oscura ed atmosferica, per poi partire a razzo in uno tsunami di metal estremo dai buoni cambi di tempo.
Una ristampa interessante che rispecchia perfettamente l’aria che tirava nel centro Europa in quegli anni.

TRACKLIST
1.Into the Ritual (Intro)
3.Waiting for the Maggots
4.Insomnia
5.After Death
6.Cannibalistic Killer
7.The Things That Were (And Shall Be Again)
8.Art of Butchery
9.Necromantic Love-Affair
10.Ashes from the Past
11.The Fifth Season

LINE-UP
New Line-up since 2016 :
Wim Melis – Guitar
Name in a few days – Guitar
Guy Vernelen – Drums
Kevin Schutters – Bass
Chris Meynen – Vocals

EXOTO – Facebook

50 ESSENTIALS LO-FI BLACK METAL ALBUMS

Un viaggio, per forza di cose appena introduttivo e con uno speciale occhio di riguardo verso l’attualità, che procede a ritroso nel tempo, una discesa verso le malevole origini.

Low-fidelity: come tutti sapranno, una produzione volontariamente o involontariamente a bassa fedeltà, registrazioni più o meno approssimative realizzate grazie a strumenti più o meno approssimativi.

Daniel Johnston, Beat Happening, e molti altri: il lo-fi nel suo senso moderno, filologicamente e storicamente, nasce in contesto indie sul finire degli anni ottanta, e il Black Metal si riscopre subito interessatissimo alla faccenda. Se a partire dagli anni ’90, se a partire da un certo punto in poi la bassa fedeltà divenne lo standard dell’élite oscura, se un (relativamente) buon numero di album ormai “classici” vennero registrati in totale scarsezza di mezzi ed equipaggiamenti, oggi il lo-fi – nella sua accezione più estrema e rigorosa – serve una non troppo vasta cerchia di produzioni, e quello che potremmo definire come “lo spirito originario” del metallo nero si riscopre un prodotto sovente di nicchia. Nonostante il BM sia probabilmente il genere che più di ogni altro ha mantenuto una certa attitudine verso i suoni sporchi, oggi certi estremismi sono per la maggior parte annegati in una relativa limpidezza sonora, un’accurata fase di produzione in cui fanno capolino qua e là contaminazioni tra generi, più o meno appropriate. Per quanto esso abbia, fin dalle origini, ricercato con particolare costanza e devozione i purismi al di là di ogni compromesso discografico, nel tempo ha dovuto prendere atto di essere anche tremendamente duttile. Volente o nolente, ha saputo rinvigorire contesti diversi e lontani tra loro (si pensi alla recentissima ondata blackgaze, alla quale fanno capo Alcest, Ghost Bath, Astronoid, Deafheaven & Co.).

Comunque, al di là delle molte e diverse suggestioni che dal Black Metal hanno attinto a piene mani, al di là delle fasi di produzioni recenti – sempre più accurate -, non si fa troppa fatica ad affermare che esso sia nato come il prodotto compiuto di una certa attitudine mentale: di uno spirito del “fai-da-te” in musica, in cui la penuria di apparecchiature e il disinteresse verso la perfezione formale divengono – in astratto – fondamentali alla riuscita di un disco. Diciamo quindi che, più che una classifica filologicamente ordinata sulla “bellezza” o sull’importanza sociologica, questa è una lista introduttiva di produzioni in cui la componente low-fidelity ha determinato in maniera importante la stessa particolare riuscita dell’album. Da alcuni progetti seminali e storici come Ulver, Beherit, Darkthrone fino a nomi ormai ignorati dai più – eppure in certi ambienti leggendari – come Satanize e Todesstoß. Da oggetti misteriosi che si approssimano al BM low-fidelity con una forte vena di sperimentazione, come Murmuüre e Black Magick SS, fino ai rumori allucinanti e purissimi di Créda Beaducwealm. Da Atvar, mastermind di Circle of Ouroborus e Rahu, fino alla scuola portoghese. Dagli inizi fino ai giorni nostri: ecco secondo noi 50 album essenziali registrati in bassissima fedeltà. Un viaggio – per forza di cose appena introduttivo e con uno speciale occhio di riguardo verso l’attualità, come consuetudine qui su Metal Eyes – che procede a ritroso nel tempo, una discesa verso le malevole origini.

Candelabrum – Necrotelepathy (2016)
Wóddréa Mylenstede – Créda Beaducwealm (2016)
Black Cilice – Mysteries (2015)
Axis of Light – L’appel Du Vide (2015)
Black Magick SS – The Black Abyss (2015)
Bekëth Nexëhmü – De Svarta Riterna (2014)
Volahn – Aq’Ab’Al (2014)
Akitsa / Ash Pool – Ripped From Death, Forced To Live, And Die Again (2013)
Clandestine Blaze – Harmony of Struggle (2013)
Black Cilice – Summoning the Night (2013)

Circle Of Ouroborus – Mullan Tuoksu (2012)
Rhinocervs – RH-12 (2012)
Irae – Seven Hatred Manifestos (2012)
Rahu – The Quest for the Vajra of Shadows (2012)
Xothist – Xothist (2011)
Bilskirnir / Barad Dûr – Lost Forever / Selbstmord (2011)
Murmuüre – Murmuüre (2010)
Wormsblood – Mastery of Creation (2009)
Satanize – Demonic Conquest in Jerusalem (2009)
Circle of Ouroborus – Night Radiance (2009)

Cripta Oculta – Sangue do Novo Amanhecer (2009)
One Master – The Quiet Eye of Eternity (2009)
Horrid Cross – Demo II (2009)
Bone Awl – Meaningless Leaning Mess (2007)
Arkhva Sva – Gloria Satanae (2007)
Benighted Leams – Obombrid Welkins (2006)
Furdidurke – Furdidurke (2006)
Mgła – Presence (2006)
Ash Pool – Genital Tombs (2006)
Satanic Warmaster – Black Metal Kommando / Gas Chamber (2005)

Threnos – By Blood and by Earth (2004)
Moloch – Чернее Чем Тьма (2004)
Todesstoß – Spiegel der Urängste (2004)
S.V.E.S.T. – Urfaust (2003)
Xasthur – Nocturnal Poisoning (2002)
Akitsa – Goétie (2001)
Grausamkeit – Christenschmähung (2000)
Mütiilation – Remains of A Ruined, Dead, Cursed Soul (1999)
Paysage d’Hiver – Paysage d’Hiver (1999)
Ulver – Nattens Madrigal (1997)

Ildjarn – Forest Poetry (1996)
Burzum – Filosofem (1996)
Moonblood – Blut und Krieg (1996)
Vlad Tepes / Belkètre – March to the Black Holocaust (1995)
Graveland – Carpathian Wolves (1994)
Fimbulwinter – Servants of Sorcery (1994)
Darkthrone – Transilvanian Hunger (1994)
Beherit – Drawing Down The Moon (1993)
Darkthrone – A Blaze in the Northern Sky (1992)
Blasphemy – Fallen Angel Of Doom (1990)

Carnal Decay – You Owe You Pay

Metal estremo confezionato a dovere, per niente noioso e sviluppato su di una forma canzone che rende adatto l’ascolto anche a chi ama generi estremi più moderni o non legati per forza alla tradizione brutal.

Ottimo lavoro questo You Owe You Pay dei Carnal Decay, gruppo svizzero dedito ad un convincente e vario brutal death metal.

Per chi non conoscesse il quartetto di Hütten ricordo che la band è attiva fin dall’alba del nuovo millennio (2002) e che, con questo lavoro, arriva al quarto full length di una discografia iniziata nel 2003 con il classico primo demo e proseguita con uno split ed il primo album targato 2006 (Carnal Pleasures) a segnare l’inizio delle vere e proprie ostilità, segnate dalla costante uscite ogni due/tre anni.
Per Rising Nemesis Records esce dunque questo nuovo lavoro che, come da tradizione per il gruppo svizzero, si contraddistingue per un brutal death segnato da accelerazioni e potentissimi mid tempo, dove vengono aggiunte dosi massicce di hardcore e metalcore.
In particolare nei cori i Carnal Decay abbondano di sfumature prese dai generi sopracitati ed il sound se ne giova, trovando nei cambi repentini tra le voci e in molte delle ritmiche il suo punto di forza.
Poco più di mezz’ora alle prese con un assalto sonoro dalle ritmiche che prendono per il collo e ci strattonano, ma non mancano a tratti di farci battere il piede, prima che l’anima brutale torni a farci scapocciare sulle note di Until You Die, Not Worth a Bullet e le loro compagne di carneficina.
You Owe You Pay risulta così un devastante esempio di metal estremo confezionato a dovere, per niente noioso e sviluppato su di una forma canzone che rende adatto l’ascolto anche a chi ama generi estremi più moderni o non legati per forza alla tradizione brutal.

TRACKLIST
1.No Sequel
2.Until You Die
3.Decimating the Living
4.Show Your Fucking Face
5.Murder a la carte
6.Not Worth a Bullet
7.Your Guts My Glory
8.Freed from the Leash
9.I Crush Your Dreams
10.Trick or Treat

LINE-UP
Michael Kern – Bass, Vocals
Isa Iten – Guitars
Nasar Skripitskij – Bass
Markus Röthlisberger – Drums

CARNAL DECAY – Facebook

Thrownness – The Passage And The Presence

I Thrownness hanno piazzato un primo colpo da ko, e spero ne seguano tanti altri che ci lasceranno sanguinanti e barcollanti come questo.

Totale massacro hardcore per questo giovane gruppo milanese: Thrownness è un concetto filosofico introdotto dal filosofo tedesco Heidegger, che viene dai più additato come pessimista e catastrofico, ma che invece aveva ragionato molto profondamente sulle gesta umane e ne aveva ricavato una giusta consapevolezza.

Riassumendo in breve il concetto di Thrownness, lo si può descrivere come un disagio derivante dal fatto di essere stati buttati nel mondo senza averlo potuto scegliere, e che abbiamo un disagio atavico nato per la differenza tra la vita che viviamo e quella che vorremmo vivere, quindi frustrazioni, deliri, etc. Insomma Thrownness è disagio, e il gruppo milanese col supporto del disagio fa un disco di hardcore metal clamoroso, velocissimo, molto potente e suonato con un piglio da consumati veterani, a conferma del fatto che non conta tanto la sapienza nell’hardcore ma l’importante è avere la futta, la rabbia e se la razionalizzi musicalmente ne viene fuori un disco come The Passage And The Distance. Il disco, in download libero sul bandcamp della Drown Within Records (date un’occhiata anche alle loro altre produzioni che sono tutte ottime), è un continuo fluire di lava metallicamente hardcore, con molti riferimenti a gruppi e situazioni anni novanta e anche al meglio dei duemila. No, non è metalcore, che non è un genere totalmente disprezzabile, ma qui è hardcore metal, che è un’altra roba, anche se i generi come sempre sono etichette pressoché inutili. In alcuni momenti si arriva addirittura a congiungere l’hardcore con cose come i Dillinger Escape Plan, o avvicinarsi alle dinamiche del crossover. Ciò che davvero conta è che questi ragazzi hanno fatto un grandissimo disco, trascinante e coinvolgente dal primo all’ultimo secondo, con una potenza davvero unica e un grande produzione a supportarli. I Thrownness hanno piazzato un primo colpo da ko, e spero ne seguano tanti altri che ci lasceranno sanguinanti e barcollanti come questo.

TRACKLIST
1.Verfall
2.Unclean Lips
3.The Fertile Abyss
4.Olympus of Appearance
5.Error Sewer
6.Servant and Supplicant
7.Thalassic Regression
8.Fragment of a Crucifixion, 1950

THROWNNESS – Facebook

The Ossuary – Post Mortem Blues

Bellissimo album di hard rock/doom sulla scia dei maestri settantiani da parte dei The Ossuary, band formata da musicisti della scena estrema e metallica nazionale.

Non è la prima volta che dei musicisti attivi nella scena death metal lasciano i suoni estremi per tornare indietro nel tempo, fino alla fine degli anni settanta per ricreare l’atmosfera ipnotica ed occulta di molte delle opere hard rock uscite in quel periodo, magari perse tra le nebbie di fumi illegali, basti pensare agli Spiritual Beggars ed ai trascorsi estremi dei suoi componenti.

Questa nuova band pugliese è formata da tre musicisti che facevano parte degli storici Natron, più Stefano Fiore dei Twilight Gates alla voce, si chiama The Ossuary ed è attiva da un paio d’anni.
Nell’ossario troviamo uno straordinario esempio di hard rock/doom metal dal titolo Post Mortem Blues, una messianica opera dove il blues è più concettuale che suonato, mentre aumenta la voglia di farci travolgere da questo sabba settantiano, in compagnia di un sound che, da frangia dell’hard rock, si trasformò in qualcosa di più pesante.
Post Mortem Blues è un bellissimo lavoro, il suo compito non è quello di stupirci, ma di farci vivere ancora una volta le atmosfere dei primi lavori di Black Sabbath e Pentagram, aggiungendo dosi massicce di Rainbow e Deep Purple, interpretando in maniera straordinaria i suoni rock a cavallo tra gli anni settanta ed il decennio successivo, divenuto poi il periodo d’oro dell’heavy metal che stava nascendo.
Un enciclopedia rock; questo possiamo definire l’album, con la voce di Fiore che richiama il Dio alla corte di Iommi ed il Gillan più introspettivo, mentre si passa da brani hard rock come l’opener The Curse o la melodica title track a molossi doom metal come Graves Underwater ed Evil Churns.
Band già da culto, grazie ad un album da conservare tra gli altri gioielli di un prolifico underground tricolore.

TRACKLIST
01. Black Curse
02. Witch Fire
03. Blood On The Hill
04. Graves Underwater
05. Post Mortem Blues
06. The Crowning Stone
07. Evil Churns
08. The Great Beyond

LINE-UP
Stefano “Stiv” Fiore – vocals
Domenico Mele – guitars
Dario “Captain” De Falco – bass
Max Marzocca – drums

THE OSSUARY – Facebook

Wormhole – Genesis

La mezz’ora regalataci dai Wormhole rispecchia in toto la tradizione brutal death americana.

Brutal death metal da Baltimore con questo devastante trio chiamato Wormhole, che unisce al metal estremo liriche che richiamano il mondo dello sci-fi.

Genesis è il primo lavoro sulla lunga distanza del gruppo, nato nel 2015 e con due singoli già editi: il suo metal brutale di matrice slamming risulta un assalto sonoro senza soluzione di continuità, anche se il gran lavoro delle sei corde lascia intravedere in qualche assolo scorci di luce melodica in un mondo di totale devastazione ed oscurità.
Mezz’ora scarsa basta al trio del Maryland per vomitarci addosso una serie inumana di blast beat, momenti altamente tecnici ed intricati e massacri musicali veloci e debordanti, le due chitarre fanno il bello e cattivo tempo con una serie di diavolerie sul manico che non lasciano indifferenti.
Il growl animalesco, affiancato da uno scream di matrice black, fa il resto e Genesis si rivela un lavoro soddisfacente per gli amanti di queste sonorità.
Inutile scrivere che dall’opener Nurtured in a Poisoned Womb in poi è un susseguirsi di cambi di tempo, velocità al limite, con una serie di brani estremi di buona fattura di cui almeno due brani a spiccare: Battle Logic Disrupted e la conclusiva Existence Gap.
Niente di nuovo, il genere è questo e la mezz’ora regalataci dai Wormhole rispecchia in toto la tradizione brutal death americana, con tutte le band storiche del genere ben presenti nel sound di questo debutto che dovrebbe risultare gradito ai fans del genere.

TRACKLIST
1.Nurtured in a Poisoned Womb
2.Battle Logic Disrupted
3.Symbiotic Corpse Possession
4.Automated Distress Signal
5.Geoform 187
6.Gravity Manipulation Unit
7.Genesis Chamber
8.Existence Gap

LINE-UP
Sanil Kumar – Guitars
Sanjay Kumar – Guitars, Bass
Calum Forrest – Vocals
Duncan Bentley – Vocals

WORMHOLE – Facebook

Ashaena – Calea

Un album di grande sostanza che conferma quanto, in Romania, le varie forme musicali che prendono le mosse da una base black si stiano sviluppando con grande continuità, in diverse direzioni e con esiti sempre stimolanti.

A sette anni di distanza dal full length d’esordio, i rumeni Ashaena ritornano con un nuovo album, Calea, che segue l’omonimo ep uscito nel 2013.

Poca prolificità (visto anche che ben tre dei sette brani contenuti provengono proprio dall’ep) che per fortuna non va di pari passo con la qualità del pagan black offerto dalla band di Cluj, capace invece di modellare con buona padronanza e personalità un genere nel quale il rischio di scadere nella banalità è sempre dietro l’angolo.
Il valore che aggiungono gli Ashaena è il gusto est europeo per sonorità etniche, il che li porta a non aderire eccessivamente allo stile nordico per andarsi ad avvicinare più volte a sentori folk, naturali per chi fa musica nel medesimo paese dei Negură Bunget: lo stesso ricorso alla lingua madre rende più istintivo un accostamento che non si tramuta mai in un atteggiamento passivamente derivativo.
Del resto, sono proprio i momenti in cui Calea si illumina, ammantandosi di un’aura solenne ed ancestrale, a rendere l’album degno della dovuta attenzione, visto che le accelerazioni di matrice black, da sole, non sarebbero in grado di fare la differenza.
Troviamo così il fulcro nell’accoppiata centrale Crapat di Cer e Spirit-Sageata, dove un’aulica coralità si fonde con le asprezze estreme, creando un ibrido magari non inedito ma davvero riuscito e coinvolgente.
Comunque anche i brani più orientati al pagan godono di una buona personalità e di un gusto melodico sempre di prim’ordine, mentre lo strumentale Tara Berladnicolor è folk metal allo stato puro e, nonostante sia decisamente gradevole, risulta l’episodio più ordinario dell’album. Molto belle anche le più datate Zbor Insetat e Mos Urs, tracce che suggellano un album di grande sostanza, a conferma del fatto che, in Romania, le varie forme musicali che prendono le mosse da una base black si stanno sviluppando con grande continuità, in diverse direzioni e con esiti sempre stimolanti.

Tracklist:
1.Tapae 87
2.Calea
3.Tara Berladnicolor
4.Crapat di Cer
5.Spirit-Sageata
6.Zbor Insetat
7.Mos Urs

Line-up:
Cosmin “Hultanu” Duduc – Guitar, Clean Vocals, Aplehorn and Flutes
Alex “Strechia” Duduc – Drums, Percution, Bagpipe
Marius Gabrian – Bass
Alex “Vrancu” Vranceanu – Guitar and vocals

ASHAENA – Facebook

Emptiness – Not for Music

La band afferma “We try to transport the listener into a world that wants to exclude him. Nothing to enjoy”.la conferma di un band che ha trovato il proprio suono.

Il respiro pulsante del fuoco in un una natura madre e matrigna, una profonda immersione in un oscuro e liquido mondo incubico senza via di uscita.

Queste sono le sensazioni che possono permeare l’ascolto dei belgi Emptiness con il loro quinto full, a tre anni da “Nothing but the Whole” che me li fece conoscere e stra-apprezzare: è necessario, com’è scritto sul cd, essere realmente “open minded” per poter metabolizzare questa affascinante opera concepita da quattro musicisti che, partendo da basi black e death metal, evolvono verso un sound realmente unico approdando a un atmosferico mix di darkwave (può ricordare in parte i Bauhaus), sinistra ambient con un flavour psichedelico (Digging the sky) e qualche strano aroma pop nella melodia (Ever). Due di loro, Olivier Lomer-WIlbers alla chitarra e Jerome Bezier al basso e alla voce, derivano dalla band di puro black metal Enthroned, una leggenda per i veri cultori del genere; la voce di Bezier con il suo profondo timbro, più che cantare in senso stretto, ammalia narrando storie oscure e malate e contribuisce a rendere i brani ancora più claustrofobici e “otherwordly”. Per chi voglia addentrarsi in questa “selva oscura” è oltremodo necessario rammentare che non troveranno cavalcate black o ritmi serrati death ma un suono indefinito figlio di tempi cupi, plumbei, claustrofobici e senza speranza. Diversamente estremo per un opera affascinante e misteriosa.

TRACKLIST
1. Meat Heart
2. It Might Be
3. Circle Girl
4. Your Skin Won’t Hide You
5. Digging the Sky
6. Ever
7. Let It Fall

LINE-UP
Phorgath – Bass, Vocals
Jonas Sanders – Drums
Olve J.LW – Guitars, Vocals
Peter Verwimp – Guitars

EMPTINESS – Facebook

Forgery System – Distorted Visions

Esordio d’eccezione per questi ragazzi assolutamente da seguire nel loro percorso thrash e crossover, sperando che non si separino più.

I pavesi Forgery System debuttano sulla lunga distanza con Distorted Visions, un più che buon disco di thrash e crossover.

Questi ragazzi hanno molte idee e le sviluppano tutte bene, dando vita a composizioni thrash metal molto varie e con sconfinamenti nel crossover. Stupisce, essendo un disco di esordio, la padronanza della materia e la bravura tecnica, oltre alla capacità di poter usare diversi registri della musica pesante. Distorted Visions è un lavoro che ha fortissime radici nel metal anni ottanta e novanta, e questi ragazzi hanno una conoscenza dell’argomento che, se non li sapessi così giovani e di Pavia, avrei tranquillamente giurato sulla loro provenienza a stelle e strisce. Nel disco si sente quella freschezza di groove molto anni novanta, quella bella scorrevolezza di generi metal che concorrono tutti allo stesso risultano, ovvero quello di arrivare a divertire l’ascoltatore attraverso la durezza e la melodia. Unico appunto può essere la produzione, perché, e non è facile, con suoni più potenti questo disco sarebbe ancor più gigantesco.
Esordio d’eccezione per questi ragazzi, assolutamente da seguire nel loro percorso thrash e crossover, sperando che non si separino più.

TRACKLIST
1.Metal Ain’t Gonna Die
2.Swimming In A Bowl
3.Instrumetal
4.New Sensation
5.Yellow Line
6.Eclipse Of Wrath
7.She
8.Ebola
9.2016

LINE-UP
Gabriele Orlando – Guitar/Vocals
Daniele Maggi – Guitar
Pablo Dara – Bass/Vocals
Federico Fava – Drums

FORGERY SYSTEM – Facebook

Frozen Sand – Fractals – A Shadow Out Of Lights

I Frozen Sand si confermano una realtà da seguire con attenzione in un panorama nostrano che ha ormai raggiunto una qualità complessiva altissima, anche in questo specifico genere.

Vi avevamo parlato dei piemontesi Frozen Sand in occasione dell’uscita del primo ep intitolato Prelude, uscito nel 2015, ottimo lavoro che appunto fungeva da preludio a questo primo full length che conferma la bravura del gruppo novarese.

Fractals – A Shadow Out Of Lights mantiene quello che i quattro brani contenuti nel lavoro precedente promettevano, sviluppando le virtù che risplendevano all’epoca e valorizzandole con ottime idee ed un songwriting più maturo, con il gruppo più consapevole dei propri mezzi.
Prodotto benissimo, come deve essere un album di metallo progressivo, Fractals riparte da dove si era fermato l’ep, ed il primo brano, A Melody through Time and Space mette subito in evidenza l’eleganza metallica con cui i Frozen Sand affrontano tracce aggressive e la loro bravura nel saper coniugare il power prog al metal più moderno, magari poco digerito dagli amanti della musica progressiva più canonica, ma perfetta per accaparrarsi le lodi dei più giovani dagli ascolti estremi.
Perfect Inspiration ed Everlasting Yearning sono due devastanti canzoni power prog, in  cui la sezione ritmica mette la freccia e viaggia sulla corsia di sorpasso: da annotare anche il bell’assolo power sulla seconda traccia e le ottime linee melodiche vocali.
Si corre veloce e Sail Towards The Unknown tiene il piede ben schiacciato sull’acceleratore preparandoci a Yell Of Esitation dove tornano le sfumature modern metal che non inficiano affatto l’ottimo risultato ottenuto dalla band con questo primo full length.
Poi, come per incanto, si torna a viaggiare sulle ali dei DreamTheater: You – Partial – Perfection – Daylight, traccia top di questo lavoro, con il prezioso contributo al microfono di Alessandra Sancio (ospite sull’album oltre a Fabio Privitera e Alex Saitta), vede il gruppo affrontare la materia progressiva con uno spiccato talento melodico, così da fare del brano uno scrigno emozionale, seguito dalla splendida ballad dalle tinte folk Silent Raven.
I Frozen Sand si confermano una realtà da seguire con attenzione in un panorama nostrano che ha ormai raggiunto una qualità complessiva altissima, anche in questo specifico genere.

TRACKLIST
1.A Melody through Time and Space
2.Perfect Inspiration
3.Everlasting Yearning
4.Sail towards the Unknown
5.Yell of Hesitation
6.Rule this World
7.You – Partial – Perfection – Daylight
8.Silent Raven

LINE-UP
Luca Pettinaroli – Vocals
Mattia Cerutti – Guitar
Tiziano Vitiello – Bass
Simone De Benedetti – Drum
Federico De Benedetti – Guitar, synth guitar & back vocals

FROZEN SAND – Facebook