Rhapsody Of Fire – Into The Legend

Album entusiasmante di una band unica, arrivata all’undicesima opera ed ancora in grado, dopo tanti anni, di regalare emozioni forti

Si torna a viaggiare sulle ali del drago con il nuovo lavoro di una delle band più illustri del panorama metal europeo, i nostrani Rhapsody Of Fire, l’altra metà dei Rhapsody (come sapete Luca Turilli, dopo lo split con il gruppo ha formato i Luca Turilli’s Rhapsody) band che, fin dal sorprendente debutto del 1997 (Legendary Tales), ha dato lustro all’Italia metallara.

Quasi vent’anni sono passati ormai da quel bellissimo lavoro, ed il gruppo non ha mai smesso di portare avanti la propria proposta, un symphonic power epico, barocco e dall’input cinematografico che ha fatto scuola e ha portato il nome della band nella storia del metal classico.
Into The Legend è il secondo lavoro in studio dopo la scissione, e segue Dark Wings of Steel di due anni fa, opera che vedeva la band intraprendere una strada più lineare e colma di epicità alla Manowar, risultando meno sinfonico e più improntato sulle sei corde.
Il nuovo lavoro torna in parte al sound dei primi album, rinverdendo i fasti delle due parti di Symphony of Enchanted Lands e tornando ad un’impronta palesemente barocca.
Inutile dire che il risultato soddisfa in pieno le aspettative dei molti fans del gruppo, le orchestrazioni tornano ad essere protagoniste indiscusse su un tappeto di power metal veloce ed epico, dove non mancano le classiche cavalcate che la voce di Lione valorizza, accompagnata da cori classici e ospiti solisti dal mood operistico.
Un album mastodontico, come da sempre ci ha abituati questo ambizioso gruppo di musicisti: magari talvolta prevedibile, non scalfisce comunque la fama consolidata dei Rhapsody Of Fire nel creare musica epica, sognante e tremendamente piena.
Un’altalena di emozioni, tra fughe metalliche in compagnia di orchestrazioni cinematografiche, l’uso smisurato di strumenti classici, cori, solos fusi nella fiamma sprigionata dall bocca del drago e tanta fierezza metallica, sprofondando in un mondo parallelo, dove non c’è spazio per la pochezza della vita moderna.
Ed è qui che la band è da sempre maestra, riuscendo per più di un’ora nella non sempre facile impresa di portare l’ascoltatore a vivere le atmosfere fantasy, come davanti allo schermo di una sala cinematografica, immagini nitide che si formano nella mente all’ascolto della tempesta di suoni creati dalla band.
Detto che la prova di Lione è da applausi, confermandosi come uno dei più bravi vocalist in circolazione nel genere, che Alex Holzwarth è la solita macchina da guerra dietro al drumkit, che Staropoli incanta ai tasti d’avorio e che Roberto De Michelis spara solos fiammeggianti, l’album è un saliscendi di metal operistico, di rabbiose ripartenze power ed atmosfere dal mood folk, con il flauto di Manuel Staropoli (fratello di Alex) a portarci in un emozionante viaggio nel tempo (A Voice in the Cold Wind) o a cavalcare verso la gloria (Valley Of Shadow).
Bellissima la suite finale, The Kiss Of Light, diciassette minuti di riassunto del credo musicale del gruppo, tra parti veloci, atmosfere sognanti, voci liriche e barocche, ed un Lione sontuoso nell’assecondare tutte le sfumature di un brano perfettamente in bilico tra irruenza metal, dolci parti folcloristiche e classiche fughe sinfoniche.
Album entusiasmante di una band unica, arrivata all’undicesima opera ed ancora in grado dopo tanti anni, di regalare emozioni forti, entrate anche voi nella leggenda.

TRACKLIST
01. In Principio
02. Distant Sky
03. Into the Legend
04. Winter’s Rain
05. A Voice in the Cold Wind
06. Valley of Shadows
07. Shining Star
08. Realms of Light
09. Rage of Darkness
10. The Kiss of Life

LINE-UP
Alex Staropoli – Keyboards, Harpsichord, Piano
Fabio Lione – Vocals
Alex Holzwarth – Drums, Percussion
Roberto De Micheli – Guitars

RHAPSODY OF FIRE – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO
, entrate anche voi nella leggenda.

Phobonoid – Phobonoid

Una tempesta perfetta di metal cosmico, drammatico ed apocalittico.

Poco meno di due anni fa mi ero imbattuti nell’ep d’esordio di questa intrigante one man band denominata Phobonoid.

Quei 20 minuti di black metal dai connotati industrial facevano intuire ma non ancora esplodere del tutto il potenziale che il musicista trentino Lord Phobos dimostrava di possedere.
Questo primo full length autointitolato, invece, scardina definitivamente ogni dubbio investendoci con una tempesta perfetta di metal cosmico, drammatico ed apocalittico.
Se il concept resta sempre incentrato su storie che vedono come scenario la più grande delle due lune di Marte, il sound si è evoluto, come personalmente avevo auspicato, sulle coordinate che erano state già evidenziate nella parte finale dell’ep Orbita.
Se all’epoca mi ero lanciato in un accostamento con una band avanguardista come i Blut Aus Nord, in quest’occasione il respiro cosmico ed il senso di tregenda che scaturiscono dai suoni dell’album mantengono sempre oltralpe eventuali termini paragone, anche se, stavolta, il nome da citare sono i Monolithe: è chiaro, qui la base non è il funeral doom ma uguale è il senso di smarrimento di fronte ad avvenimenti che vedono come teatro uno spazio i cui limiti sono ben al di là della nostra umana comprensione.
Fuga nel vuoto, La risonanza della sonda, Kairos, la conclusiva title track e la clamorosa Frammenti di luce sono gli episodi più significativi di un insieme che annichilisce nel suo incedere più rallentato e che non lascia spazio a spunti melodici che poco si addirrebbero agli eventi apocalittici che ci vengono descritti in musica.
Come nell’opera precedente, la voce resta in sottofondo, quasi strumento tra gli strumenti, accentuando l’impatto straniante di suoni che non lasciano scampo.
Phobonoid è un ottimo album, magari non proprio alla portata di tutte le orecchie, ma che sicuramente chi apprezza sonorità come quelle citate dovrebbe far proprio senza particolari esitazioni.

Tracklist
1.Crono
2.Alpha Centauri
3.La sonda di Phobos
4.Fuga nel vuoto
5.Eris
6.Vento stellare
7.La risonanza della sonda
8.Kairos
9.Pulse
10.Frammenti di luce
11.Tachyon
12.Phobonoid

Line-up:
Lord Phobos

PHOBONOID – Facebook

Kaross – Two

La caratteristica maggiore e migliore dei Kaross è di saper generare un muro di suono cono un groove particolare e che ti uncina subito per non lasciarti.

Monolite sonico che cade nelle lane svedesi per conquistare il globo.

Questo disco ha una storia non semplice ma un finale per fortuna lieto. Two avrebbe dovuto vedere la luce nel 2013, ma per problemi con la loro precedente etichetta i Kaross non hanno potuto pubblicare il disco. Così succede cò che doveva succedere, ovvero il gruppo si riprende indietro i diritti per pubblicare il disco, che preceduto da due singoli vedrà la luce nel febbraio del 2016.
Il disco, il seguito di Molossu del 2007 è un potentissimo concentrato di stoner, sludge, rock and roll, un agglomerato ad altissima densità di groove. La caratteristica maggiore e migliore dei Kaross è di saper generare un muro di suono cono un groove particolare e che ti uncina subito per non lasciarti. Immaginatevi i Black Label Society più concreti, i Fu Manchu più convinti e i Black Sabbath con tanti watt in più. Two è un gran disco di un ottimo gruppo che pur essendo in giro dal 2002 non ha mai sfornato tante cose, ma tutte di una qualità eccezionale. Questo disco è del 2013 ma avrà ancora cose da dre negli anni futuri. I cuori di chi fra di voi ama la musica pesante saranno stra felici nell’ascoltare questo disco che ha seriamente rischiato di non vedere mai la luce, e sarebbe stato bruttissimo per tutti.

TRACKLIST
01. Burn Witch Burn
02. Borderline
03. The Lake, The Beach
04. The Evil
05. TWO
06. I Call The Shots
07. All Cream Is Gone
08. Hyde
09. Fawn
10. Dirty Beer

LINE-UP
Magnus Knutas – Lead Vocals
Kalle Sjöstrand – Lead Guitar
Patrik Olsson – Bass, backing vocals
Mojje Andersson – Drums, backing vocals

KAROSS – Facebook

Primal Fear – Rulebreaker

Rulebraker è quella combinazione di note immortali, amplificate e suonate al limite dei watt disponibili che la storia conosce come heavy metal, punto.

Acqua sotto i ponti ne è passata tanta dall’anno di grazia 1998 che vedeva il metal classico dominare il mercato europeo, con il ritorno in auge del power metal, genere diviso tra la tradizione tedesca e quella neoclassica proveniente dai paesi scandinavi.

Ralph Scheepers, storico cantante dei Gamma Ray e vicino ad entrare nei Judas Priest, orfani di Rob Halford, e Mat Sinner, leader degli immensi Sinner, esordirono con l’omonimo album della loro creatura rapace dal nome Primal Fear ed il risultato fu clamoroso, almeno per chi delle sonorità classiche si nutre.
Tanto heavy metal, forgiato nel più puro acciaio metallico del periodo ottantiano e la potenza devastante del power metal, fu la formula per il successo della band, che senza nascondersi dietro ad un dito guardava appunto ai Priest, risultando i figli più legittimi del sound di Painkiller, suonato da musicisti dal sicuro talento.
Sono passati quasi vent’anni e siamo arrivati all’undicesimo lavoro in studio di una carriera che si è mantenuta su livelli ottimi, anche se purtroppo il genere non ispira più il sensazionalismo degli anni novanta e Rulebraker, pur essendo un gran bel lavoro, rischia di non essere apprezzato per quello che è: un heavy metal album con tutti i crismi per far scatenare i fans del metal classico, quello vero, fatto di ritmiche e solos assassini, melodie vincenti, grintoso e aggressivo, cantato divinamente e pregno di anthem dall’appeal esagerato.
Inutile girarci intorno, questo è l’heavy metal, via sinfonie, suoni bombastici ed operistici, qui le chitarre tagliano l’aria con solos che squartano le carni, il vocalist fa il bello e cattivo tempo,con una prova che fa spallucce al passare degli anni ed i suoni escono cristallini e potenti, complice una produzione al top.
Una band dalla tecnica invidiabile (accanto ai due fondatori ci sono Tom Naumann, Alex Beyrodt, Magnus Karlsson ed il nostro Francesco Jovino, una vita alla corte di U.D.O) ed un songwriting che continua imperterrito a dispensare lezioni sulla religione metallica, rendono Rulebraker un altro tassello piantato nella storia recente del genere dal gruppo tedesco, che continua a correre su piste heavy, power,speed, forte di una line up invidiabile ed un lotto di canzoni da urlo.
Angels Of Mercy, In Metal We Trust, la semiballad We Walk Without Fear, la power At War With The World confermano i Primal Fear come massima espressione di un certo modo di suonare metal, magari per qualcuno fuori tempo massimo, per altri, abituati ai suoni bombastici di questo periodo, troppo semplici, non considerando che il sound proposto dal gruppo è quella composizione di note immortali, amplificate e suonate al limite dei watt disponibili che la storia conosce come Heavy Metal.
Bentornati Primal Fear.

TRACKLIST
1. Angels of Mercy
2. The End Is Near
3. Bullets & Tears
4. Rulebreaker
5. In Metal We Trust
6. We Walk Without Fear
7. At War with the World
8. The Devil in Me
9. Constant Heart
10. The Sky Is Burning
11. Raving Mad

LINE-UP
Ralf Scheepers – Vocals
Tom Naumann – Guitars
Alex Beyrodt – Guitars
Magnus Karlsson – Guitars, Keys
Mat Sinner – Bass, vocals
Francesco Jovino – Drums

PRIMAL FEAR – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=MLRjJQCqCeo

Abbath – Abbath

Se questa è una da considerarsi una rinascita, lontana dal gruppo che lo ha reso famoso, direi che senz’altro la carriera solista di Olve “Abbath” Eikemo parte con il piede giusto.

Album scomodo da recensire il debutto omonimo di uno dei personaggi più illustri della scena black metal: non si può che partire dalla fine della diatriba tra gli Immortal, dove Olve “Abbath” Eikemo ne è uscito sconfitto, perdendo il diritto sul monicker di una delle band più importanti del movimento della quale lui è sempre stato il principale compositore.

Scomodo perchè, da una figura così importante della scena estrema, ci si aspettavano grandi cose, ed in effetti Abbath è un gran bel disco ma con i suoi difetti (più che altro di produzione), così che, parlandone come merita, lascia nel lettore il dubbio su chi scrive.
Sarà di parte? O l’album merita davvero le lodi?
Allora chiarisco subito che il sottoscritto non è mai stato un grande fan della band norvegese, pur essendo conscio dell’importanza che ha avuto sulla nascita e l’affermazione di uno dei generi più importanti del mondo metallico estremo e dandole il merito di aver scritto almeno due album fondamentali, At the Heart of Winter (1999) e Sons of Northern Darkness (2002).
L’album si sviluppa su dieci brani, più una cover dei Judas Priest (Riding On The Wind), dove al sound di chiara ispirazione Immortal, il buon Olve toglie quasi del tutto le atmosfere epiche, presenti sopratutto nelle opere citate, a favore un approccio più asciutto e in your face.
Ma la differenza Abbath la fa nella prestazione dei musicisti coinvolti con il chitarrista che, ancora una volta, dimostra con uno tsunami di solos heavy metal il suo valore alla sei corde, straordinariamente accompagnato da due interpreti disumani: Kevin “Creature” Foley, batterista straordinario e, purtroppo, già fuori dal gruppo, ed il bassista King.
Aggressivo, veloce, glaciale, oscuro e senza fronzoli, Abbath, sfodera verve thrash metal e marziale estremismo black, il chitarrista norvegese sa perfettamente come intrattenere le orde di fans estremi e dall’alto della sua esperienza ci riesce alla grande.
Come detto non mancano ottimi solos di stampo heavy, ed un mood leggermente più moderno rispetto alle ultime produzioni degli Immortal: le gelide atmosfere di cui il musicista è famoso sono sempre lì  ad avvolgerci nel loro abbraccio freddo come la morte, mentre lo scream gracchiante (marchio di fabbrica di Abbath) non concede speranza.
L’opener To War è il perfetto esempio della musica proposta dal chitarrista e compositore norvegese, un black/thrash oscuro, senza compromessi e dal buon tiro, confermato dalle restanti tracce su cui spiccano Ocean Of Wounds, Count The Dead e la cadenzata ed heavy Root Of The Mountain.
Se questa è una da considerare una rinascita, lontana dal gruppo che lo ha reso famoso, direi che senz’altro la carriera solista dell’ex Immortal parte con il piede giusto, purtroppo l’abbandono prematuro del batterista sarà un altro problema da risolvere al più presto, ma statene certi che Abbath non si farà certo trovare impreparato al momento di portare la sua musica on stage, noi lo aspettiamo.

TRACKLIST
1. To War!
2. Winterbane
3. Ashes Of The Damned
4. Ocean Of Wounds
5. Count The Dead
6. Fenrir Hunts
7. Root Of The Mountain
8. Endless
9. Riding On The Wind
10. Nebular Ravens Winter

LINE-UP
Abbath: Voce, Chitarra
King: Basso
Creature: Batteria

ABBATH – Facebook

Di.Soul.Ved – Confessions from the Soul – Volume 1

Il grande talento nel saper costruire song perfette e complete in due minuti di durata e l’ottima tecnica, fanno di Confessions un gran bel dischetto

Non male la scena underground in quel di Lisbona: la capitale portoghese riesce sempre a sorprenderci, specialmente se si guarda la scena estrema, in particolare nella frangia più violenta del buon vecchio death metal.

Questa ottima band, proveniente dalla capitale lusitana, debutta tramite Murder Records con questo ottimo Confessions From The Soul Vol.1, un micidiale quanto efferato mix di death metal old school e grindcore, ed il risultato, complice un songwriting alquanto ispirato è davvero sopra le righe.
Composta da musicisti impegnati in un numero spropositato di gruppi della scena (specialmente per quanto riguarda il bassista Simão Santos, musicista che se la gioca con Rogga Johansson dei Paganizer in quanto a progetti in attività, ed ex di una ventina di band) la band di Lisbona in ventisei minuti crea un uragano di suoni estremi, che partono da ritmiche grindcore devastanti, per unirle ad una spiccata vena death metal, specialmente nel lavoro chitarristico.
Accompagnata da vocals che chiamare aggressive è un eufemismo, pur mantenendo anch’esse un approccio death oriented, la musica del combo deflagra e come un’onda anomala ci investe in tutta la sua potenza.
Il buon talento nel saper costruire song perfette e complete in due minuti di durata e l’ottima tecnica, fanno di Confessions un gran bel dischetto, che alla velocità della luce spazza via ogni dubbio sulla qualità del prodotto, così che dopo pochi ascolti i brani sono facilmente distinguibili, virtù non così frequente in questo genere.
Facile parlare di supergruppo, visto i precedenti dei musicisti coinvolti, certo è che le prestazioni del martello penumatico impazzito alla batteria (il fenomenale Rolando Barros, un’istituzione della scena estrema portoghese) e delle due asce José Marreiros e Hugo Andremon, imprimono il marchio di album irrinunciabile per gli amanti di queste sonorità.
Indecipherable Me, I, Evaluate and Liberate e The Prophecy – Convulsive Earth, vi convinceranno, già da un primo ascolto, di che pasta sono fatti questi i Di.Soul.Ved, con un cuore death metal che batte inesorabile dentro di loro e aleggia sui brani di Confessions From The Soul-Volume 1.

TRACKLIST
1. Where’s Your God
2. Indecipherable Me
3. Infinite Present
4. Invisible Empire
5. Dark Balance
6. I
7. Perceptions
8. The Convergence Revolution
9. Evaluate and Liberate
10. Alchemy
11. Dissolved Soul
12. Lost
13. Unrevealed Wisdom
14. The Prophecy – Convulsive Earth

LINE-UP
Simão Santos- Bass
Rolando Barros- Drums
Hugo Andremon- Guitars
José Marreiros- Guitars
Pedro Pedra- Vocals
Hugo Silva- Vocals

DI.SOUL.VED – Facebook

Raven Mocker – Livid Flame

I Raven Mocker offrono un’interpretazione del genere ortodossa quanto coinvolgente, con un buon lavoro di tastiera ad arricchire di pathos suoni prodotti ed eseguiti in maniera soddisfacente.

Altra band proveniente dagli USA dedita al funeral doom e della quale non si possiedono altre notizie se non quelle correlate a monicker e titoli dei brani, i Raven Mocker esordiscono con questo EP intitolato Livid Flame.

Le due tracce, denominate in maniera piuttosto essenziale e II, si snodano per una decina di minuti ciascuna offendo un’interpretazione del genere ortodossa quanto coinvolgente, ovvero con un buon lavoro di tastiera ad arricchire di pathos suoni prodotti ed eseguiti in maniera soddisfacente.
Tra i due brani, il primo vive di una solennità quasi liturgica conferita dall’eccellente operato dei nostri (o nostro ? ) ai tasti d’avorio, mentre il secondo lascia che sia prevalentemente la chitarra a disegnare le dolenti e struggenti melodie che, comunque, vengono riversate con buona continuità all’interno di questi venti minuti di funeral intenso ed emozionante.
Un lavoro davvero convincente, e consigliato senza remore a chi ama collezionare musica poco convenzionale proposta tramite supporti altrettanto particolari, visto che Livid Flame è stato pubblicato dalla Atrum Cultus nel formato della musicassetta in tiratura limitata a 100 copie; il tutto costa 5 dollari e, alla luce dell’ottima musica regalata dai Raven Mocker, per un amante del funeral il rapporto qualità/prezzo è senz’altro conveniente.

Tracklist
1. Livid Flame I
2. Livid Flame II

 

Kosmokrator – To The Svmmit

Misteriosi e sepolcrali, i Kosmokrator non cercano di certo la gloria commerciale con il loro lavoro, ma potrebbero essere una buona sorpresa per i blacksters duri e puri, consigliato solo a chi si nutre di queste sonorità.

Questo demo propostoci dalla Vàn Records, uscito nel 2014 in edizione limitata in cassetta, è il debutto discografico di questa misteriosa band proveniente dal Belgio, attiva dal 2013.

Tre brani, di cui due lunghissimi, per mezz’ora di musica, sono il biglietto da visita dei Kosmokrator, quintetto alle prese con un famigerato esempio di black metal occulto e misantropo, rinvigorito da iniezioni di death metal, in un contesto old school ed assolutamente underground.
Sacerdoti alle prese con litanie catacombali, messe nere terrorizzanti, per un sound che si avvale di atmosfere liturgiche, molto evil nell’approccio e dalle indiscusse origini infernali, il gruppo nord europeo ha dalla sua una buona presa, specialmente a livello atmosferico, mentre come molte delle realtà del genere lascia a desiderare in sede di produzione.
Attimi di sacrale musica perduta nei meandri di chiese sconsacrate si alternano a feroci accelerazioni black/death, niente di nuovo ma sicuramente affascinante, almeno per chi considera il metal estremo di estrazione black solo in un contesto underground e fuori dagli schemi preordinati del circuito metallico.
Non una nota che non sia assolutamente volta a rafforzare la componente occulta e misantropica del concept che sta dietro ai Kosmokrator, espressa anche dalla scelta di produrre il lavoro solo nel vecchio supporto in cassetta, cosi da ribadire la natura old school ed assolutamente underground del progetto.
Scrosci di pioggia in notti di luna piena, cori ecclesiastici di sacerdoti devoti all’oscuro signore, ed un’aura da messa nera che avvolge per tutta la durata To The Svmmit, con l’opener Ad Alta, Ad Astra, la devastante death metal song Adoration of He Who Is upon the Blackest of Thrones, che spezza in due l’atmosfera opprimente dell’album che torna a farsi terrorizzante, gelida e maligna con la conclusiva Sermon of the Seven Svns.
Misteriosi e sepolcrali, i Kosmokrator non cercano di certo la gloria commerciale con il loro lavoro, ma potrebbero essere una buona sorpresa per i blacksters duri e puri, consigliato solo a chi si nutre di queste sonorità.

TRACKLIST
1. Ad alta, Ad astra
2. Adoration of He Who Is upon the Blackest of Thrones
3. Sermon of the Seven Svns

LINE-UP
T – Bass
E – Drums
CM – Guitars
M – Guitars, Vocals
J – Vocals

Faida – Faida

Si è rimandati in un’epoca nella quale i dischi nu metal facevano male davvero, quando non erano fatti per commiserare la perdita di una donna o del cane, bensì per liberare positivamente la nostra rabbia.

Negli ascolti distratti che facciamo ogni giorno nello sfruttamento in streaming della musica, detto senza condanne, spesso può sfuggire qualcosa ed io mi ero perso questo gran disco, questo gran calcio in faccia da Venezia.

Qui trovate groove metal, o crossover, comunque cattiveria come nei bei dischi nu metal di qualche anno fa, quando l’incazzatura si congiungeva carnalmente con il groove e ne scaturivano grandi cose.
I Faida nascono a Venezia da reduci dalle più diverse esperienze passate, dai Sir Oliver Skardy & Fahrenheit 451, ai Cappellaio Matto o Sanakioplatz, accomunati dal voler fare musica potente ed incazzata. Obiettivo pienamente raggiunto con questo disco inciso nel giro di due anni ed uscito a ridosso del 2016. Ascoltandolo si è rimandati in un’epoca nella quale i dischi nu metal facevano male davvero, quando non erano fatti per commiserare la perdita di una donna o del cane, bensì per liberare positivamente la nostra rabbia. E i Faida danno solo grandi sensazioni, per tutta la lunghezza del disco. Personalmente lo sto risentendo ancora ed ancora, gasato come quando usciva il nuovo dei Soulfly, per dire.

TRACKLIST
1.Pimpin’
2.Herbalize
3.Outer Space
4.Aparentar (ft. Cuentas Claras from Cuba)
5.Nirvana
6.Soul cleaned
7.Destroy
8.No job
9.Not enough
10.The lumberjack

LINE-UP
Alessandro Numa
Fabio Giaggio
Giuliano Da Re
Igor Di Cataldo

FAIDA – Facebook

Brainstorm – Scary Creatures

Scary Creatures conferma quanto di buono fatto in vent’anni di carriera dalla band tedesca che, a distanza di un paio d’anni dall’ultimo Firesoul, regala un album irrinunciabile per gli amanti del power.

I Brainstorm sono uno dei gruppi più sottovalutati della scena power metal tedesca che incendiò il mercato nella seconda metà degli anni novanta, sempre collocati dagli addetti ai lavori un passo indietro a Gamma Ray, Grave Digger e compagnia, eppure negli anni sono riusciti a scaldare i cuori degli appassionati con una serie di opere di genere entusiasmanti, soprattutto con il trittico Ambiguity (2000), Soul Temptation (2003) e Downburst (2008).

La band, capitanata dal vocalist Andy B. Franck (ex Symphorce e Ivanhoe), torna con l’undicesimo album in studio di una carriera che l’ha vista muovere i primi passi nel 1989, ed arrivare nel nuovo millennio con una carica ed un’energia invidiabile, mostrate in questa nuovo lavoro che, se non porta grosse novità all’interno della proposta del gruppo, lo conferma come un punto fermo per chi ama il power metal ed i suoni metallici tradizionali.
Potenti, devastanti e, come tradizione nel genere, alquanto melodici, i Brainstorm con Scary Creatures dichiarano la loro appartenenza al gotha del power metal europeo alla luce dell’ esperienza e del talento al servizio del genere, e in controtendenza rispetto ai mezzi passi falsi dei gruppi più quotati, ormai non più sulle prime pagine delle riviste di settore, visto il momento di poco interesse da parte dei fans di uno dei generi storici del metal.
Il nuovo lavoro torna così a far risplendere il sound del gruppo con una raccolta di brani compatti, ruvidi ed oscuri, Andy B. Franck non ha perso un’oncia del suo talento interpretativo: singer sanguigno ed eclettico, anima il sound del gruppo, sempre perfetto nel portare avanti la tradizione tedesca nel power, lasciando che sfumature metalliche di derivazione statunitense entrino nel cuore delle composizioni, facendo dei Brainstorm il gruppo più americano della nidiata famelica nata in terra germanica.
Non sono così distanti, infatti, le drammatiche ed oscure atmosfere che troverete nel sound dei Circle II Circle di Zack Stevens, altra band da considerare in questi anni come una delle massime esponenti del power metal classico, anche se il gruppo tedesco ne violenta la struttura con le ritmiche devastanti tipiche del sound europeo.
Prova sopra le righe di tutta la band, composta da musicisti dall’esperienza e bravura indiscutibili, produzione perfetta, e via per questa discesa senza freni nelle travolgenti trame offerte dai Brainstorm, con una serie di brani che hanno nella cadenzata ed epica How Much Can You Take, nella devastante Where Angels Dream, nell’oscura e americana title track e nella maideniana Caressed By The Blackness, i picchi di un lavoro che riconcilia con un sound dato per morto troppe volte.
Niente da aggiungere se non che Scary Creatures conferma quanto di buono fatto in vent’anni di carriera dalla band tedesca che, a distanza di un paio d’anni dall’ultimo Firesoul, regala un album irrinunciabile per gli amanti del power.

TRACKLIST
1. The World to See
2. How Much Can You Take
3. We Are…
4. Where Angels Dream
5. Scary Creatures
6. Twisted Ways
7. Caressed by the Blackness
8. Scars in Your Eyes
9. Take Me to the Never
10. Sky Among the Clouds

LINE-UP
Andy B. Franck – Vocals (lead)
Dieter Bernert – Drums
Milan Loncaric – Guitars, Vocals (backing)
Torsten Ihlenfeld – Guitars, Vocals (backing)
Antonio Ieva – Bass

BRAINSTORM – Facebook

Ravensire – The Cycle Never Ends

Per gli amanti dell’heavy metal classico, l’album è una raccolta di canzoni perfette per tornare, ancora una volta, ad immergersi nelle atmosfere del genere e godere del suo spirito più puro.

Il metal non muore, magari per un periodo si lecca le ferite, si accompagna ad altri generi ma rimane un punto fermo della musica rock, trovando sempre nuovi figli e adepti in ogni parte del mondo.

Lisbona, nella capitale del Portogallo nascono nel 2011 i Ravensire, fieri guerrieri metallici, tornati in questo inizio anno con il secondo lavoro sulla lunga distanza, The Cycle Never Ends, buon esempio di heavy metal old school, dai tratti epici, successore dell’esordio We March Forward del 2013 e di un paio di lavori minori.
La band portoghese, è protagonista di una prova convincente, buon songwriting, ottime trame chitarristiche in un crescendo maideniano alquanto esaltante, ed un cantante aggressivo e ruvido quanto basta per donare alle canzoni un buon impatto.
The Cycle Never Ends si aggira tra gli spartiti delle band storiche degli anni ottanta, la produzione risulta perfetta per il genere proposto, non troppo patinata, ma sufficiente per far rendere al meglio l’atmosfera epica del lavoro.
Dall’opener Comlech Revelations in poi è un susseguirsi di riff e cavalcate heavy metal style, le chitarre intonano inni alla gloria, i chorus sono composti di pura epicità, ed il senso di deja vu è compensato da un buon songwriting e tanta attitudine old school.
La band ci catapulta in un mondo di battaglie, scudi che si spezzano, spade che stridono quando le lame si incocciano nel mezzo dello scontro, il tutto accompagnato da melodie di chiara ispirazione maideniana, anche se non manca lo spirito guerriero ed epico dei Manowar e l’orgoglio metallico di band come Heavy Load e Slough Feg.
Per gli amanti dell’heavy metal classico, l’album è una raccolta di canzoni perfette per tornare, ancora una volta, ad immergersi nelle atmosfere del genere e godere del suo spirito più puro che l’ottima trilogia finale, composta dalle tre parti di White Pillars Trilogy, riesce a conferire nei true metallers meno distratti.

TRACKLIST
1. Cromlech Revelations
2. Crosshaven
3.Solitary Vagrant
4. Procession of the Dead
5. Trapped in Dreams
6. White Pillars Trilogy: Part I – Eternal Sun
7. White Pillars Trilogy: Part II – Blood and Gold
8. White Pillars Trilogy: Part III – Temple at the End of the World

LINE-UP
F – Drums
Zé – RockHard Guitars
Nuno Mordred – Guitars
Rick Thor – Bass

RAVENSIRE – Facebook

Endless Recovery – Revel In Demise

Lo stile è classico ma la bravura degli Endless Recovery sta nel non fare una mera imitazione di un certo suono bensì rielaborarlo per ottenere un risultato simile ma allo stesso tempo originale.

Cari discepoli dello speed thrash metal anni ottanta qui avete occasione di sentire un rituale di gran valore.

Dalla Grecia più furente ecco gli Endless Recovery, ottimi fautori di un metal veloce, all’antica e senza compromessi stilistici. L’onda lunga ed immortale dello speed anni ottanta colpisce ancora con un’opera molto buona. Nati nel 2011 i nostri hanno presto impressionato la metallica comunità con Liar priest, ep del 2012, per poi dare alle stampe il full length del 2013 Thrash Rider, continuando con il 7″ Resistant Bangers nel 2014, per poi arrivare a questo cd.
Lo stile è classico ma la bravura degli Endless Recovery sta nel non fare una mera imitazione di un certo suono bensì rielaborarlo per ottenere un risultato simile ma allo stesso tempo originale. La tensione ed il divertimento non scemano mai e si ritorna ai tempi nel quale il metal era velocità, divertimento e sbronze facili. Questo disco piacerà sicuramente a Fenriz, cultore nel suo blog di questo tipo di metal che non è mai scomparso e non ha mai tradito grazie a dischi come questo.

TRACKLIST
01. Sinister Tales
02. Revel In Demise
03. Reaping Fire
04. Storming Death
05. Leather Militia
06. Trapped In A Vicious Circle
07. Blood Countess
08. Hypnos
09. Evoke Perdition
10. Lurking Evil

LINE-UP
Michalis Moatsos : Drums
Panayiotis Alikaniotis : Bass
Tasos Papadopoulos : Guitar
Apostolos Papadimitriou : Guitar
Michalis Skliros : Vocals

ENDLESS RECOVERY – Facebook

Shotgun Justice – State of Desolation

L’esordio della band vive tra alti e bassi, risultando nella sua totalità un lavoro sufficientemente piacevole, specialmente per i fans dei suoni classici.

Ci hanno messo ben tredici anni i tedeschi Shotgun Justice per dare alle stampe il primo full length, la band infatti aveva licenziato due demo, ed una compilation, un po’ poco visto il tempo trascorso dalla loro fondazione.

Finalmente, per gli amanti dei suoni metallici old school, ecco che il 2016 porta con se l’esordio sulla lunga distanza del gruppo, questo State Of Desolation, che richiama alla mente l’heavy metal ottantiano, anche se il quintetto sassone lo ricama con ritmiche hard rock ed una piccola dose di potenza thrash.
L’album che si sviluppa su liriche a sfondo sociale e politico che si discosta dai soliti cliché dei gruppi heavy metal classici, tutti spade e guerrieri senza paura, è incentrato su brani dai ritmi che viaggiano con il freno a mano tirato, mai troppo veloci, molto melodici, ed in linea con le metal band dal taglio classico.
Ne esce un lavoro che alterna brani ruvidi ad altri molto più eleganti, ed è proprio su questi che il gruppo costruisce il suo songwriting.
Sarà per una produzione classicamente old school, sarà per le buone melodie dal taglio drammatico nei brani meno aggressivi, ma Shotgun Justice regala buone canzoni dove il sound si contorna di un’aura intimista e tragica, con il picco qualitativo rappresentato dall’oscura Nemes ( a Global Killer), heavy song dove una voce soprano duetta con il singer.
Qualche accenno alla vergine di ferro nei numerosi riff e solos delle due asce e ritmiche di scuola Saxon, potenziati da sventagliate thrash, sono il mood della maggior parte dei brani che compongono State Of Desolation, con ancora una piccola gemma heavy, Head Full Of Bullets, dal solos settantiano e dall’andatura cadenzata e in crescendo.
L’esordio della band vive così tra alti e bassi, risultando nella sua totalità un lavoro sufficientemente piacevole, specialmente per i fans dei suoni classici, lodevole il lavoro delle sei corde, ma leggermente monotona la voce, piccolo difetto che toglie qualche punto al valore dell’album.
Ora che il ghiaccio è stato rotto aspettiamo buone nuove dalla band tedesca che, con qualche ritocco, potrebbe migliorare sensibilmente la propria proposta.

TRACKLIST
1. Proclamation of War
2. Blood for Blood
3. Blessed with Fire
4. Nothing Left to Fear
5. Nemes (A Global Killer)
6. The Scales of Justice
7. Head Full of Bullets
8. Forsaken
9. Harvest the Storm
10. State of Desolation

LINE-UP
Tobias Gross – Drums, Percussion, Vocals
Erik ”Kutte” Dembke – Guitars
Thomas ”Tom” Schubert – Bass
Marco Kräft – Guitar Vocals
Kai Brennecke – Guitar

SHOTGUN JUSTICE – Facebook

Skullthrone – Biomechanical Messiah

Gli Skullthrone confermano l’ottimo livello che da anni contraddistingue l’underground dei paesi sudamericani, tane di fiere metalliche pericolosissime e dall’attitudine spiccatamente anticristiana

Bogotà, Colombia, tra le strade di una delle città più pericolose del mondo, si aggira questo spirito malefico, dal nome che è tutto un programma, Skullthrone.

Metal estremo, un’entità demoniaca che fa del black/death metal la sua arte nera, portando nel mondo il verbo satanico accompagnato da un’ayrea guerrafondaia.
Il quintetto sudamericano è al debutto sulla lunga distanza, in archivio ha solo un demo, le prime avvisaglie di una guerra portata al mondo, uscito nel 2011 (Abyssmal Hymns for Satan), confermando l’ottimo impatto del proprio sound in questo primo lavoro dal titolo Biomechanical Messiah.
Death/black di scuola est europea, in particolare influenzato dai blacksters Behemoth, è quello che il gruppo mette sul piatto e non è poco, considerato la già buona compattezza, il gran lavoro delle sei corde e buone sfuriate in blast beat della sezione ritmica.
Senza fronzoli, e con pochi attimi per riprendere fiato, veniamo inseguiti da questo oscuro mostro satanico, famelico e vorace, che inghiotte male e risputa puro odio.
Nemici dichiarati del cristianesimo, gli Skullthrone, aggrediscono con un lotto di brani assolutamente evil, il growl diabolico e le chitarre che non lasciano tregua con riff e solos che grindano sangue innocente, faranno la gioia degli amanti dei suoni oscuri e da tregenda del genere, con svariate songs che superano abbondantemente la sufficenza, per impatto e violenza.
Niente di che non sia assolutamente originale, ma un ascolto consigliato per chi aspetta con ansia i parti blasfemi di Behemoth e Vader, sicuramente ripagati dal mood satanico e brutale di Imperial Satanic Artillery, Sadism Ex Machina, Antichristian Retaliation ed Empire of the Skull.
Gli Skullthrone confermano l’ottimo livello che da anni contraddistingue l’underground dei paesi sudamericani, tane di fiere metalliche pericolosissime e dall’attitudine spiccatamente anticristiana … astenersi posers e ragazzini dai pruriti evil.

TRACKLIST
1. Imperial Satanic Artillery
2. There’s No God at All
3. Biomechanical Messiah
4. Hell’s Oblivion
5. Technomancer Revelation
6. Sadism Ex Machina
7. Antichristian Retaliation
8. Goatlust
9. Carnal
10. Empire of the Skull

LINE-UP
Marius Alhazred – Bass
Cerberus – Guitars
Goatlust – Drums
Demiurge – Vocals
Lucipagho – Vocals, Guitars

SKULLTHRONE – Facebook

Benefactor Decease – Anatomy Of An Angel

Benefactor Decease sono un gruppo che non suona nemmeno una nota per caso, ma è tutto ben composto e pianificato, con un’esecuzione mostruosa, però sempre al servizio della musica, senza diventare un vuoto esercizio di stile.

Greci fautori di un thrash metal molto tecnico, preciso e potente, che colpisce davvero duro.

I Benefactor Decease sono un gruppo che non suona nemmeno una nota per caso, ma è tutto ben composto e pianificato, con un’esecuzione mostruosa, però sempre al servizio della musica, senza diventare un vuoto esercizio di stile. Il disco è come una mannaia che corre inesorabile tagliando tendini e cambiando la composizione chimica delle ossa, facendo schizzare il sangue dei morti sulle facce delle prossime vittime. Ascoltandoli si pensa subito a quel glorioso thrash metal molto tecnico dei Death Angel, Corner, Rigor Mortis ed altri, ma qui il superamento genetico di quel suono per una razza totalmente nuova. Il basso è la struttura pivotale del suono dei Benefactor Decease e tutto viene di conseguenza, incastonandosi perfettamente anche in canzoni molto lunghe. Un grande disco per un’etichetta molto ambiziosa.

TRACKLIST
1.Intro – Intermental Excitation
2.Electrical Death
3.Chronicles of a Paraphiliak
4.Anatomy of an Angel
5.The Finest Form For Body Modification
6.Feeling the Razor’s Touch
7.Abandonement to the Hanger
8.Subsistence For Regeneretic Impulse
9.Lyssa
10.A Blade in the Dark

LINE-UP
Panos “Cut-throat” Toufexidis : Vocals.
Zissis “Coroner” : Rhythm Guitars.
Nick “Chainsaw Murder” : lead guitars.
Apollo “Parafiliak” : Bass.
Vaggelis “Technical Arrogance” : Drums

BENEFACTOR DECEASE – Facebook

Primitiv – Immortal & Vile

Candlemass, Black Sabbath, Obituary, Morbid Angel, Cathedral e tanto talento, fanno parte del dna di questo notevole gruppo indiano, ed il loro album un disco da avere assolutamente, specialmente se siete amanti di queste sonorità.

Other bands are old school, we are Primitiv.

Così si definiscono i Primitiv, gruppo heavy/doom/death metal di Mumbai, India, altro gruppo che arriva a noi tramite la Transcending Obscurity, meritevole di molta attenzione da parte dei fans dei suoni old school di matrice estrema.
Composti da membri dei fenomenali Albatross, i Primitiv licenziano questo monolitico esordio, dal titolo Immortal & Vile, massiccio, cadenzato e potentissimo esempio di metal estremo dai rimandi doom classici, con chitarroni ultra heavy, presi in prestito dal metal ottantiano e la maligna e brutale atmosfera death metal che rende il tutto, un molosso di suoni metallici fusi nell’acciaio.
Accompagnato da una copertina old school epicissima, Immortal & Vile non può che conquistare, forte di brani notevoli a livello atmosferico, ottimamente suonati ed originali nel saper amalgamare i generi descritti, costruendo un sound, ruvido, aggressivo, a tratti altalenate tra i suoni hard & heavy dai rimandi settantiani, e l’heavy metal del decennio successivo, dove la band, non contenta, ammanta il tutto con l’elemento estremo, quell’aura death che fa dell’album un gioiellino metallico.
Nei solchi di questo primitivo lavoro, spicca il growl guerresco di Nitin Rajan, leggendario vocalist della scena indiana (Sledge, Morticide), dall’enorme vocione che ricorda un’antica e maligna divinità di qualche imprecisata leggenda epica, accompagnato da una sezione ritmica che non può non essere monolitica (Riju Dasgupta al basso e Pushkar Joshi alle pelli) e le due asce che incendiano, devastano, lanciano fulmini e saette, tra solos heavy, ritmiche dal lento incedere doom e attimi di bombardamenti death, molto più americani di quanto si evince ad un primo ascolto (Rajarshi Bhattacharya e Kiron Kumar).
Clash Of The Gods e World War Zero aprono il lavoro nel segno del doom/death, ma da The Demon Science in poi l’esplosivo sound del combo esce in tutta la sua natura e Lake Rancid regala una song doom classica, dove il riff nasce da qualche montagna settantiana e sfocia in una valle di suoni hard & heavy da stropicciarsi gli occhi.
Bellissima Taurus, doom death psychedelico e lisergico, così come la storica Lords Of Primitiv che chiude il lavoro, ancora metal old school, dall’incedere settantiano e dalla forza di un carro armato death metal.
Candlemass, Black Sabbath, Obituary, Morbid Angel, Cathedral e tanto talento, fanno parte del dna di questo notevole gruppo indiano, ed il loro album un disco da avere assolutamente, specialmente se siete amanti di queste sonorità.

TRACKLIST
1.Clash of the Gods
2.World War Zero
3.The Demon of Science
4.Lake Rancid
5.Dead Man’s Desert
6.Taurus
7.Lords of Primitiv

LINE-UP
Rajarshi Bhattacharya – Guitars
Riju Dasgupta – Bass Guitar
Pushkar Joshi – Drums
Nitin Rajan – Vocals
Kiron Kumar – Guitars

PRIMITIV – Facebook

Sepultus Est – En el marmoreo laberinto donde sueñan los muertos

Lord Sepultus non si è certo risparmiato nel suo intento di scaraventarci nei baratri più profondi con la propria funerea ispirazione, così l’album sfiora il massimo consentito dalla lunghezza di un cd

Un disco di funeral doom proveniente dal Perù è per certi versi un’anomalia, ancor più se pensiamo che sovente, quando questo genere viene proposto da musicisti residenti in nazioni senza una tradizione consolidata nel settore, i risultati sono spesso infarciti di ingenuità e di imperfezioni in fase di esecuzione e produzione.

Non è certo questo il caso dei Sepultus Est, band di Lima guidata da Lord Sepultus, il quale, pur costituendone il fulcro artistico e compositivo, non si adagia alla condizione striminzita di one man band ma si fa aiutare nella stesura della propria opera da un manipolo di musicisti: proprio una certa cura dei particolari e una scrittura ottimale lanciano questo En el marmoreo laberinto donde sueñan los muertos tra le potenziali soprese dell’anno appena iniziato, in ambito funeral (il disco, infatti, è stato da poco pubblicato dalla label russa GS Productions).
Lord Sepultus non si è certo risparmiato nel suo intento di scaraventarci nei baratri più profondi con la propria funerea ispirazione, così l’album sfiora il massimo consentito dalla lunghezza di un cd (78 minuti) con l’iniziale title track che, a sua volta supera i 40 minuti di durata: già da questi freddi numeri si può intuire quanto il lavoro sia estremo, non tanto dal punto di vista delle sonorità quanto per l’impegno che viene richiesto all’ascoltatore per coglierne al meglio ogni sfumatura.
Musicalmente siamo nell’alveo del funeral più melodico, con la tastiera del mastermind a guidare le trame di ogni brano, ora con dolenti aperture melodiche, ora con passaggi pianistici che, tutto sommato, rappresentano un elemento piuttosto peculiare.
Si diceva della traccia iniziale, che mette a dura prova la resistenza degli appassionati, a causa di una parte centrale che ferisce con la propria deriva depressive, compresi vocalizzi estremi che vanno rimpiazzare il growl dominante invece nel resto del lavoro: il giusto premio giunge negli ultimi dieci minuti, a dir poco meravigliosi nella loro reiterata ed evocativa melodiosità.
Nella più breve (20 minuti … ) Funebres estatuas en el jardin de la muerte spicca un bellissimo lavoro pianistico che è fondamentalmente ciò che lo distingue dal brano precedente, mentre Paisajes depresivos, bonus track tratta da un demo uscito nel 2013, differisce per un suo incedere a tratti romantico, per quanto sempre pervaso da quella vena di tristezza che si spegne solo con l’ultima nota di questo lunghissimo lavoro.
Un altro nome da appuntarsi per chi ama queste sonorità.

Tracklist
1. En el marmoreo laberinto donde sueñan los muertos
2. Funebres estatuas en el jardin de la muerte
3. Paisajes depresivos

SEPULTUS EST – Facebook

[P.U.T] – Like Animals (Reissue)

Like Animals è la riedizione, a cura della Cimmeran Shade Recordings, dell’album uscito nel 2012 e si rivela utile per riportare l’attenzione su una band oggettivamente interessante.

I [P.U.T] sono fondamentalmente un affare di famiglia, visto che da ormai quindici anni i fratelli Beyet lo portano avanti proponendo una forma aspra e per nulla amichevole di industrial/sludge metal.

Like Animals è la riedizione, a cura della Cimmeran Shade Recordings, dell’album uscito nel 2012 e si rivela utile per riportare l’attenzione su una band oggettivamente interessante anche se, probabilmente a causa del mio retaggio, ne prediligo il sound quando si sposta maggiormente verso lo sludge.
Non a caso ritengo Zoo una vera e propria traccia killer, emblematica di come i nostri sappiano fare male quando sparano senza misericordia riff fangosi e rallentati, corredati da una sirena in sottofondo che sembra proprio quell’ambulanza che sta per venirti a raccogliere dopo esser stato annientato da cotanta pesantezza.
Per il resto i nostri si muovono sulla nobili tracce di Godflesh e Ministry, con buoni risultati come nella squadrata Exuvia e nella bizzarra IT, anche se rispetto a queste band e agli interpreti maggiori del genere restiamo comunque un gradino sotto, ma ugualmente su livelli in grado di attrarre l‘attenzione degli appassionati, in virtù di un approccio che spesso va a lambire per attitudine territori punk.
Rispetto alla versione originale, il lavoro contiene tre bonus track sotto forma di remix, l’ultimo dei quali è proprio la riproposizione dub di Zoo, piuttosto inoffensiva in questa sua veste.
Resta comunque lodevole l’idea di ripubblicare l’album, anche se inevitabilmente si parla di brani la cui stesura risale a 4 anni fa; a coloro che fossero interessati a verificare lo stato di salute attuale dei [P.U.T] consiglierei, quindi, di andarsi ad ascoltare anche i brani contenuti nello split con i Grünt-Grünt, uscito l’anno scorso.

Tracklist
01. In The Lake
02. Zoo
03. Exuvia
04. There’s A Mammoth In This Room
05. IT
06. Like Animals
07. Broke A Line
08. It Ain’t Gonna Be Fun
09. Rapture Of The Deep “In The Lake” (Remake By Azuki)- Bonus Track
10. Broke A Line (Remix by Garlic.wav)- Bonus Track
11. Zoo (Dub mix by NE555)- Bonus Track

Line-up:
Lionel Beyet: Bass/Voice/Rythms
Nicolas Beyet: Guitar/Voice/Rythms
Loïc Beyet: additional guitar&rythm on 8

[P.U.T] – Facebook

Swarming – Cacophony of Ripping Flesh: Recordings 2010-2012

Questa compilation raccoglie i brani composti dai due musicisti dal 2010 al 2012, più i due brani dell’unica uscita ufficiale della band, lo split con i Fetid Zombie risalente al 2010.

Nascosto in una fredda e putrida cantina di qualche maniero nascosto nelle desolate lande scandinave, trovato e rispolverato dalla Dead Beat Media questo inno al death metal old school, marcio e cattivissimo, non è altro che l’ennesimo progetto di Rogga Johansson, leader dei Paganizer e musicista instancabile, vero stakanovista del metal estremo, qui insieme a Lasse Pyykkö dei Hooded Menace.

Questa compilation raccoglie i brani composti dai due musicisti dal 2010 al 2012, più le due songs dell’unica uscita ufficiale degli Swarming, lo split con i Fetid Zombie uscito nel 2010.
Johansson alle prese con chitarra e voce , mentre al musicista finlandese toccavano batteria, basso e sei corde per questo altro buon esempio di death metal orrorifico e selvaggio, a tratti crust, con il growl catacombale di Rogga in arrivo dall’oltretomba.
Senza compromessi e con buon mestiere il duo scandinavo, creò un sound sporco, largamente influenzato dalla scena nordica, underground nel senso più puro del termine, musica infestata dai vermi della putrefazione, tra le sempre presenti accelerazioni e le frenate classiche del death metal vecchia scuola.
Una ventina di minuti immersi nel puro orrore in musica, in questa compilation spicca il growl di Johansson, uno zombie incatenato, nascosto al mondo nel buco di una caverna dove i resti umani fanno da pasto alle fameliche orde di ratti dal morso mortale.
Molto belle Hacksaw Holiday e Convulsing into Eternal Doom, brano tratto dallo split del 2010, per il resto il sound di questa compilation è death metal che più evil non si può, quindi una vero gioiellino per gli amanti del genere e per chi ama la musica del musicista svedese.
Se volete avere tutto, ma proprio tutto quello che esce da casa Johansson, fatelo vostro.

TRACKLIST
1. The Hideous Incantation
2. Reeking of the Bowels
3. It Came from the Graveyard
4. Hacksaw Holiday
5. Feasting on Drowned Flesh
6. Amputation Frenzy
7. Convulsing into Eternal Doom
8. Premature Embalming

LINE-UP
Lasse Pyykkö – Guitars, Bass, Drums
Rogga Johansson – Vocals, Guitars

SWARMING – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=IB8WEXt3P4A