Magnum – Valley Of Tears – The Ballads

Una raccolta di emozioni non solo esclusiva per i fans del gruppo, ma per chiunque ami il rock melodico d’autore.

Un gruppo importante come i Magnum potrebbe permettersi un’uscita ogni sei mesi, anche apparentemente inutile come questo The Valley Of Tears, raccolta di ballad ri-registrate o rimasterizzate, pescate da varie opere dei menestrelli dell’hard rock mondiale.

Bob Catley , Tony Clarkin ed i loro fidi compagni non mancano certo di eleganza e talento raffinato, ed infatti i brani più profondi e melodici dei vari capolavori che il gruppo ha licenziato sono cardini della loro discografia, il meglio che il talento compositivo della band britannica abbia sfornato nella sua lunga carriera.
Nato dal suggerimento della figlia di Clarkin, questo best of delle migliori ballad create dalla band esce con le vacanze di Natale ormai alle spalle, un peccato, perché disco più natalizio non c’è trattandosi dell’immersione nel puro talento melodico, comodamente seduti in poltrona con le luci dell’albero che cambiano sequenza ogni trenta secondi ed il liquido ambrato di un buon cognac che crea piccole onde nella classica coppa, mentre Catley ci delizia con la sua inimitabile voce sulle note create da questo monumento all’hard rock melodico e adulto che sono e saranno sempre i Magnum.
L’ultimo lavoro Sacred Blood “Divine” Lies, uscito all’inizio di quest’anno, aveva ridato smalto ai cinque menestrelli inglesi, ora questa raccolta ritorna a far parlare di loro, dopo tantissimi anni dall’inizio di questa fantastica avventura, decine di album, progetti solisti e collaborazioni importanti; allora ben venga questo tuffo nel rock d’autore, melodico, sognante ed assolutamente perfetto nel trasmettere emozioni.
The Valley of Tears,  Your Dreams Won’t Die, The Last Frontier, A Face In The Crowd e via tutte le canzoni scelte per questo album non sono altro che una prova sontuosa delle meraviglie che l’inossidabile Catley ed i suoi compari sono riusciti a donare ai rockers sparsi per il mondo in quasi quarant’anni di carriera, una raccolta non solo esclusiva per i fans del gruppo, ma per chiunque ami il rock melodico, quello d’autore.

TRACKLIST
1. Dream About You (remastered)
2. Back in Your Arms Again (newly re-recorded)
3. The Valley of Tears (remixed, remastered)
4. Broken Wheel (newly re-recorded)
5. A Face in the Crowd (remixed, remastered)
6. Your Dreams Won’t Die (remastered)
7. Lonely Night (acoustic version, newly re-recorded)
8. The Last Frontier (remixed, remastered)
9. Putting Things In Place (remixed, remastered)
10. When The World Comes Down (new live version)

LINE-UP
Tony Clarkin – guitars
Bob Catley – vocals
Mark Stanway – keyboards
Al Barrow – bass
Harry James – drums

MAGNUM – Facebook

Niterain – Vendetta

Prendete un pizzico di polvere da sparo, Motley Crue, Ratt, L.A Guns, Faster Pussycat, Gunners e tutti i protagonisti della scena ottantiana, agitate ed otterrete una bomba rock’n’roll pronta ad esplodere e quando succederà saranno dolori

Oslo come Los Angeles ?
A sentire la musica dei Niterain si direbbe che musicalmente la capitale norvegese si sia rifatta il trucco, abbia abbandonato il face painting da truce blackster satanista, si sia cotonata i capelli, abbia indossato gli spandex e via su e giù per il Sunset Boulevard finchè la luce dell’alba non rischiara gli angoli dove bottiglie vuote e preservativi sono gli unici testimoni di notti all’insegna del life style rock ‘n’ roll.

Il giovane quartetto entra prepotentemente in quella cerchia di gruppi che, negli ultimi tempi, hanno dato nuovo lustro allo sfavillante sound ottantiano, e licenzia il suo secondo album, firmando un contratto di promozione con la nostra Volcano Records e apprestandosi a conquistare l’Europa.
Di battaglie sui palchi, in giro per il vecchio e nuovo continente, la band ne ha già vinte parecchie, aprendo per Steel Panther, 69 Eyes, Sebastian Bach ed L.A. Guns e presentandosi con tutta la sua carica hard rock ‘n’ roll in diversi festival, mentre Vendetta prendeva forma ed ora è pronto per far innamorare i rockers sparsi per il globo.
Un sound che chiamare esplosivo è un eufemismo, una raccolta di canzoni in pieno stile ottantiano ma perfettamente in grado di tenere il passo in questo nuovo millennio, dove la voglia di divertirsi a colpi di metallico rock ‘n’ roll sembra tornata finalmente a rendere meno grigio questo vivere quotidiano targato 2016.
Vendetta è una fialetta di nitroglicerina infilata nei bassifondi di chi sostiene che il rock è morto, un bombardamento a tappeto di puro sleazy metal statunitense, un greatest hits del meglio della scena che faceva mettere in fila gli spettatori davanti al Whisky a Go Go ( a proposito i ragazzi ci hanno suonato non tanto tempo fa), quando non pochi dei musicisti, diventati in seguito delle star, arrivavano a Los Angeles con la valigia piena di speranze ed un passaggio su scalcinati bus partiti dalla provincia.
Dal primo riff dell’opener Lost And Wasted verrete scaraventati virtualmente nella bolgia di quel locale, sotto le sferzate dell’inno Come Out, della devastante No More Time, di Something ain’t right, per arrivare in fondo ai quasi quaranta minuti di durata in pieno shock da metal party.
Prendete un pizzico di polvere da sparo, Motley Crue, Ratt, L.A Guns, Faster Pussycat, Gunners e tutti i protagonisti della scena ottantiana, agitate ed otterrete una bomba rock’n’roll pronta ad esplodere e quando succederà saranno dolori.

TRACKLIST
01. Lost And Wasted
02. Come Out
03. The Threat
04. Rock N’ Roll
05. Romeo
06. One More Time
07. Something Ain’t Right
08. Don’t Fade Away
09. #1 Bad Boy
10. Electric
11. Vendetta

LINE-UP
Sebastian Tvedtnæs – vocals
Adrian Persen – guitar
Frank Karlsen – bass
Morten Garberg – drums

NITERAIN – Facebook

Sandness – Higher & Higher

Higher & Higher è un lavoro riuscito che, nutrendosi di metal e hard rock, soddisferà sicuramente una larga fetta di appassionati delle sonorità attualmente denominate old school.

La label greca Sleaszy Rider non manca di regalarci delle belle sorprese in campo hard & heavy, anche provenienti dal nostro paese, così dopo avervi parlato degli street rockers Roxin’ Palace, tocca al trio dei Sandness, band proveniente dal freddo Trentino ma dal caldo sound che amalgama hard/street rock ed heavy metal in un dinamitardo e trascinante esempio di rock old school.

Il gruppo arriva al secondo lavoro sulla lunga distanza, dopo due ep autoprodotti ed il primo full length uscito nel 2013, sempre per Sleaszy Rider, ed Higher & Higher non delude chi aveva apprezzato il gruppo nel recente passato, con una raccolta di brani che, appunto, spaziano tra il sound americano degli anni ottanta e l’heavy metal tradizionale.
Brani più diretti e dallo spirito rock ‘n’ roll si alternano con tracce hard rock, nelle quali il trio non manca di affilare gli artigli: le ispirazioni dei Sandness sono ben presenti, come la voglia di suonare rock senza preoccuparsi di essere originali, ma confezionando (questo sì) una raccolta di buone canzoni, tutta grinta e melodie, chorus come prevede la bibbia del genere e tanta attitudine.
Sono anche bravi i tre musicisti con gli strumenti, così che le parti dove i solos si fanno tradizionalmente metallici appaiono quale marcia in più per fare di brani come Street Animals e il singolo Perfect Machine delle piccole gemme hard & heavy.
Higher & Higher è un lavoro riuscito che, nutrendosi di metal e hard rock, soddisferà sicuramente una larga fetta di appassionati delle sonorità attualmente denominate old school.

TRACKLIST
01 – You Gotta Lose
02 – Street Animals
03 – Hollywood
04 – Promises
05 – Sunny Again
06 – One Life
07 – Light In The Dark
08 – Heat
09 – Perfect Machine
10 – Monster Inside Me.
11 – Play With Fire
12 – Will You Ever

LINE-UP
Mark Denkley – Bass guitar, lead and backing vocals
Metyou ToMeatyou – Drums and backing vocals
Robby Luckets – Rhythmic, lead and acoustic guitars, lead and backing vocals

SANDNESS – Facebook

AC Angry – Appetite For Erection

Un album ottimo per lasciare la patente al poliziotto munito di autovelox su un’autostrada che se, non porta all’inferno, sicuramente vi farà raggiungere qualche luogo piuttosto simile.

Che la Germania sia una delle terre più prolifiche per il metal/rock, non solo europeo è un fatto, poi se i suoni si fanno hard rock allora la terra tedesca diventa di un’importanza esponenziale nella storia della musica del diavolo.

Che sia hard rock classico, melodico o, come in questo caso, rock’n’roll per scaldarsi nei lunghi inverni del nord Europa niente e più adatto che un buon disco di esplosivo rock, da sentire in compagnia di fiumi di birra.
Il quartetto degli AC Angry dopo il primo album licenziato nel 2013 (Black Denim) firma con SPV/Steamhammer e ci sbatte sul muso mezzora abbondante di hard rock’n’roll come se piovesse elettricità dal regno dei cieli.
Un sound diretto che si avvale di un supporto a stelle e strisce ben inglobato nel sound che però non manca di rimarcare la sua provenienza, strutturandolo su ritmiche hard rock come da tradizione.
Ne esce un album ben congegnato con una buona fetta di brani adrenalinici ed un paio di ballad per sciogliere le ultime resistenze della vostra gentil donzella, mentre riprendete le forze per catapultarvi nel pogo sotto all’ennesimo palco.
L’America fa capolino nell’opener I Hate AC Angry, brano hard rock dove un’irriverente armonica ci porta dai locali persi nel buio delle città tedesche alle luci delle metropoli U.S.A,, con la città degli Angeli come capitale.
Ci si snoda piacevolmente tra solos affilati come rasoi, chorus da urlare in pieno deliro alcoolico e ritmiche dannatamente coinvolgenti, mentre l’acustica-bluesy No Way To Go But Down ci riporta dove il sole fa esplodere teste e la gola si riempie di polvere.
Siamo al cospetto di un gruppo che, fottendosene di mode e trend, ci accompagna per il mondo sguaiato e malinconico del rock, senza perdere quella vena metallica che è fondamentale per la riuscita di brani come la title track, The Balls Are Back In Town, che anche dal titolo ricorda i Thin Lizzy, e la conclusiva Testosterone.
Un album ottimo per lasciare la patente al poliziotto munito di autovelox su un’autostrada che se, non porta all’inferno, sicuramente vi farà raggiungere qualche luogo piuttosto simile.

TRACKLIST
01. I Hate AC Angry
02. 4TW
03. No Way To Go But Down
04. I Wanna Hurt Somebody
05. Appetite For Erection
06. Son Of A Motherfucker’s Son
07. The Balls Are Back In Town
08. Take You Shake You Break You
09. Cry Idiot Cry
10. Testosterone

LINE-UP
Dennis Kirsch – Bass
Sascha Waack – Drums
Stefan Kuhn – Guitar
Alan Costa – Vocals, Guitar

AC ANGRY – Facebook

Lurking Fear – Grim Tales in the Dead of Night

Chitarra, basso e batteria, le armi più semplici ma le più letali per suonare hard’n’heavy, basta saperlo fare come i Lurking Fear.

Inutile ribadire come negli ultimi tempi le sonorità old school stiano imperversando nella scena hard rock/metal, passati gli anni del crossover e dell’originalità spicciola a tutti i cost.

Non sembra affatto anacronistico, quindi, un album come l’esordio dei Lurking Fear, trio toscano di musicisti esperti e competenti quanto basta per confezionare un piccolo gioiellino hard’n’heavy come Grim Tales In Dead Of Night, caratterizzato da un  sound che più vintage di così non si può, ma che sa essere molto affascinante, pescando tanto dall’hard rock settantiano quanto dalla new wave of british heavy metal, forte di un’attitudine quasi commovente da parte dei tre musicisti e di un songwriting maturo.
Quelli che furono i primi passi della scena heavy metal che si affacciava sul mercato mondiale in quegli anni, prendendo la parte più oscura dell’hard rock e portandolo verso strade estreme che poi verranno in seguito sviluppate dalle prime orde thrash/death, sono valorizzate dai Luking Fear con questa raccolta di brani che alternano ritmiche sassoni, lenti passaggi sabbathiani, un’atmosfera horror che ricorda King Diamond con qualche passaggio in linea con le primissime gemme firmate dagli Iroin Maiden, il tutto reso sufficientemente macabro dai testi ispirati alla letteratura horror dei primi del ‘900 (The Lurking Fear, infatti, è un racconto di H. P. Lovecraft).
Dal primo riff dell’opener Watching Eye si viaggia dunque tra racconti macabri e grotteschi con la colonna sonora del gruppo, puro metallo ottantiano, ancora legato con il cordone ombelicale all’hard rock, ma già pregno di soluzioni che diventeranno in seguito la Bibbia (o se preferite, il Necronomicon) della nostra musica preferita.
Chitarra, basso e batteria, le armi più semplici ma le più letali per suonare hard & heavy, basta saperlo fare come i Lurking Fear 

TRACKLIST
1.Watching Eye
2.Lady of Usher
3.The Strain
4.I Am
5.Flesh and Soul

LINE-UP
Stefano Pizzichi – Drums
Mirko “Coscia” Pancrazzi – Guitars, Vocals (backing)
Fabiano Fabbrucci – Vocals, Bass

LURKING FEAR – Facebook

Northern Lines – The Fearmonger

Bravi ed originali, i Northern Lines possiedono un sound perfettamente bilanciata tra irruenza ed eleganza e quello che ne trae l’ascoltatore è uno splendido caleidoscopio musicale.

I Northern Lines, trio strumentale in arrivo dalla capitale, propongono un ottimo esempio di hard rock progressivo, stimolato da varie sfumature prese in prestito da altri generi, ma pur sempre ben saldo nella tradizione hard & heavy.

Il gruppo nasce a Roma tre anni fa ed è composto da Stefano Silvestri (basso), Cristiano “Chris” Schirò (batteria) e Alberto Lo Bascio (chitarra), l’ esordio risale all’anno della fondazione (Hari Pee Hate), mentre ne 2014 il gruppo dàalle stampe l’album Farts From S.E.T.I. Code.
Il 2017 é l’anno di The Fearmonger che prosegue il cammino dei tre musicisti romani tra la musica moderna, un cammino intrapreso sulla strada del metal/rock, ma con più di una scorciatoia che allontana il sound del trio dalla strada principale per inoltrarsi in sentieri rock, prog, fusion, in un continuo cambio di atmosfere.
Un album strumentale che, proprio per la sua varietà di suoni e umori è un piacere ascoltare, senza inutili prove di bravura strumentale, ma con in primo piano un grande senso melodico, che dà continuità al mood dei brani pur così diversi tra loro.
Ovviamente i musicisti sanno il fatto loro, l’opera è prodotta molto bene e la musica scivola tra momenti di grintoso hard & heavy, fughe progressive, momenti di liquida musica fusion ed accenni a motivi famosi che si piazzano nella testa giusto quell’attimo per non andarsene più.
Bravi ed originali, i Northern Lines possiedono un sound perfettamente bilanciata tra irruenza ed eleganza e quello che ne trae l’ascoltatore è uno splendido caleidoscopio musicale: The Fearmonger è un album
bello e consigliato anche a chi non ama più di tanto i lavori strumentali.

TRACKLIST
1. Mast Cell Disorder
2.Session 1
3.Shockwave
4.Nightwalk
5.Session 2
6.Machine Man
7.Meteor
8.Jukurrpa
9.Towards The End
10.Apathy Fields
11.Most People Are Dead

LINE-UP
Cristiano Schirò – Drums
Alberto Lo Bascio – Guitar
Stefano Silvestri – Bass,piano,synth

NORTHERN LINES – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Alma Irata – Deliverance

Non è solamente la nostalgia che vive in queste note, ma una forza che è rimasta silente per troppo tempo, ovvero quella del rock pesante e pensante.

Disco assai folgorante, con un suono anni novanta davvero speciale.

Nella mia ignoranza mi ricordano i Ritmo Tribale, più grunge e con il cantato in inglese, ma con la stessa forza di impatto. Si torna positivamente indietro di venti anni con gli Alma Irata, un gruppo italiano che spicca per originalità in un momento di tanti buoni cloni. Questi romani hanno una forza ed un’impronta davvero unica. Il loro suono è potente eppure ha la capacità di sgusciare via come il migliore grunge, andando a scavarsi un proprio corso dove scorrere impetuosamente. Alle spalle hanno solamente un ep, Errore Di Sistema, coprodotto dall’italoamericano Ray Sperlonga, per poi approdare a questo disco davvero intenso e suggestivo. Gli Alma Irata ci riportano a quella dimensione di rock pesante con le canzoni composte in maniera intelligente, con vari livelli sia sonori che lirici, e con testi che parlano del nostro quotidiano inferno. L’impressione è quella di trovarsi di fronte ad un ottimo disco e ad un gruppo che se continuerà la sua maturazione diventerà qualcosa di davvero speciale. Non è solamente la nostalgia che vive in queste note, ma una forza che è rimasta silente per troppo tempo, ovvero quella del rock pesante e pensante.
Un disco davvero affascinante.

TRACKLIST
1.Colac
2.Minimum Wage
3.Crushed Bones
4.Between Two Lines
5.Three Steps to Evil
6.Perfect Lips
7.Viper Tongue
8.The Ship

LINE-UP
Sander – voce, chitarra
Mau – chitarra
Massi – voce, basso
Santos . batteria

ALMA IRATA – Facebook

Double Malt – Addiction

L’album mantiene per tutta la sua durata una buona varietà di ritmi ed atmosfere senza tralasciare il rock’n’roll, padre putativo di questo lavoro.

Ci spostiamo ormai con buona costanza tra i meandri dell’hard rock nato nella nostra penisola, di certo non avara di ottime band che, all’hard rock classico, aggiungono verve e soluzioni moderne con sempre più buoni risultati.

I Double Malt sono un sestetto abruzzese nato nel 2010, con un ep alle spalle (Woman) accolto molto bene dagli addetti ai lavori e che ha permesso loro di calcare i palchi con nomi importanti della scena hard rock italiana e mondiale, come Pino Scotto, Paul Gilbert, John Corabi, Faster Pussycat.
L’album, uscito da un po’ di tempo, è un buon esempio di hard rock americano, dalla vena street, ma che non manca di sfumature alternative, comunque mantenendo costante un approccio stradaiolo.
Le sei corde sparano riff metal rock, mentre le ritmiche tengono stretto un forte legame con il punk rock, genere che viene fuori anche nel cantato sporco del singer Alfredo Mariani.
C’è ne davvero per tutti i gusti in Addiction: tra le tracce fanno capolino una buona fetta dei gruppi storici del rock ottantiano e del decennio successivo, passando agevolmente tra ispirazioni losangeline (Guns ‘n’ Roses, L.A Guns), rock alternativo del decennio successivo, con che l’album che mantiene per tutta la sua durata una buona varietà di ritmi ed atmosfere non dimenticando il rock ‘n’ roll , padre putativo di questo lavoro.
Tra i brani, Room 182, il punk rock di Let Me Roll ed il rock irriverente di Therapy colpiscono nel segno, canzoni d’impatto che non mancheranno di appagare i gusti dei rockers sparsi per lo stivale.

TRACKLIST
1.Right Time
2.Hear Me, I Scream
3.Room 182
4.P.H.
5.Let Me Roll
6.Just You Know Why
7.Goodnight
8.Therapy (feat. Dario Rosignoli)
9.Long Way
10.Me and the Sweet Dark Side

LINE-UP
Alfredo Mariani – Voice
Vittoriano Palerma – Keyboards and synth
Angelo Lo Tesoriere- Guitar and backing vocals
Bruno Sciri – Guitar and backing vocals
Davide D’Amico – Drums
Francesco Casoli – Bass and backing vocals

DOUBLE MALT – Facebook

Daniel Gazzoli Project – Night Hunter

Un album riuscito ed interessante, proprio per l’enorme varietà di atmosfere ed influenze che, sotto le bandiere del classic metal e dell’hard rock, vivono in questi nove ottimi brani.

Classic metal d’alta scuola quello che ci presenta la nostrana Street Symphonies Records con il progetto del chitarrista e compositore Daniel Gazzoli il quale, aiutato da una manciata di musicisti della scena hard rock melodica dello stivale, ci consegna un piccolo gioiellino hard’n’heavy ottantiano, che alterna grinta metallica alla raffinata tradizione aor.

A collaborare con Gazzoli troviamo Leonardo F. Guillan, singer preparato e collaboratore in sede live con i Soul Seller, Luke Ferraresi batterista dei Perfect View ed il tastierista Luca Zannoni, con il chitarrista che si occupa anche del basso e dei synth.
Pronti via e con Night Hunter si sale sulla macchina del tempo, si torna al metal patinato delle grandi band hard rock del passato: il sound di ispirazione americana alterna classici anthem da arena rock ad effervescenti brani dove il blues sporca di attitudine il rock melodico del gruppo, con più di un passo nel metal tutta grinta e melodie che faceva capolino nelle classifiche rock nei lontani anni ’80.
Prodotto, cantato e suonato molto bene, Night Hunter è un prodotto molto professionale sotto ogni punto di vista, ma quello che più è importante è la musica e allora, cari miei rockers, tuffatevi tranquillamente in questo mare di note che risultano un tributo all’hard & heavy melodico, composto da una serie di tracce ispirate che vanno dal classic metal della title track e di Forged By The Pain, all’hard blues di Self Destruction Blues, dall’aor della splendida Liar, al rock da arena dell’altrettanto melodicissima Heartblame, fino alla ballatona Prayer For An Angel e al ritorno al metal tagliente della rabbiosa The Beast Of My Heart.
Un album riuscito ed interessante, proprio per l’enorme varietà di atmosfere ed influenze che, sotto le bandiere del classic metal e dell’hard rock, vivono in questi nove ottimi brani.

TRACKLIST
1. Night Hunter
2. Forged By The Pain
3. Liar
4. Self Destruction Blues
5. Heartblame
6. Run
7. Prayer For An Angel
8. Dont Leave Me Alone
9. The Beat Of My Heart

LINE-UP
Daniel Gazzoli – Guitar, Bass, Synth and Backing Vocals
Leonardo F. Guillan – Lead and Backing Vocals
Luke Ferraresi – Drums
Luca Zannoni – Keyboards

DANIELE GAZZOLI PROJECT – Facebook

Vis – Vis Et Deus

Ancora una volta la Jolly Roger si distingue per un’iniziativa che aiuta a conoscere e comprendere la scena italiana dei primordi, valorizzando il lavoro e la passione di questi autentici pionieri del metal nel nostro paese.

Per suonare hard & heavy ci vuole anche forza (in latino Vis) e il gruppo nostrano di forza hard rock ne sprigionava molta, anche se Vis Et Deus, demo autoprodotto valse alla band un contratto con la Promosound che non portò successivamente altri frutti.

Fondata nel lontano 1984 dal batterista Mario Rusconi e dal chitarrrista Marco Becchetti, con il basso di Gino Ammaddio e la voce di Johnny Salani (con un passato nella Strana Officina), la band torna a far parlare di sé grazie al prezioso lavoro della nostrana Jolly Roger, che si è premurata di rimasterizzare l’album.
Vis Et Deus è un buon esempio dell’hard & heavy che si suonava all’epoca, con uno sguardo all’heavy metal britannico, all’hard rock che arrivava dalla terra dei canguri con qualche riff ispirato dai fratelli Angus e chiaramente debitore della band leggenda di quegli anni nel nostro paese, la Strana Officina.
L’album parte benissimo con Maria Stuarda, heavy rock dal retrogusto epico, ma la ballad Lacrime nella Pioggia riporta la band sulle strade dell’hard blues.
Inno Al Rock (dal titolo scontato) è forse il brano più puramente metallico di tutto il disco, dalle ritmiche che ricordano i primi Saxon, mentre Caronte è un mid tempo dove torna quel leggero tocco epico, già evidenziato sull’opener.
Il resto dei brani sono puro ottanta Style, perciò tanto entusiasmo da parte del gruppo (all’epoca non era così facile lasciare il segno per i gruppi metal) espresso tramnite inni hard & heavy che ora possono rivelarsi scontati, ma che all’epoca inorgoglivano i fans del genere.
Ancora una volta la Jolly Roger si distingue per un’iniziativa che aiuta a conoscere e comprendere la scena italiana dei primordi, valorizzando il lavoro e la passione di questi autentici pionieri del metal nel nostro paese.

TRACKLIST

1.Maria Stuarda
2.Lacrime Nella Pioggia
3.Inno Al Rock
4.La Ballerina Nera
5.Nanà La Gatta
6.Caronte
7.Rocker Batti Il Tuo Pugno
8.Vis Et Deus

LINE-UP

Johnny Salani – Vocals
Marco Becchetti – Lead Guitar
Gino Ammaddio – Bass
Mario Rusconi – Drums

VOTO
7.50

URL Facebook
http://

URL YouTube, Soundcloud, Bandcamp
[Not answered]

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Phazer – Un(Locked)

Un(Locked) si sviluppa su quasi un’ ora di ottime sonorità che dal rock tradizionale fluttuano tra le miriadi di generi che formano l’universo della nostra musica preferita

Il bello di muoversi nei meandri dell’underground metal/rock è quella sensazione che si prova quando (e fortunatamente capita spesso) ci si trova al cospetto di grandi album e gruppi sopra la media, che dal nulla o quasi si affacciano sul mercato, tramite piccole ma ottime label e ci travolgono con la loro musica.

Nell’hard rock moderno è diventata una prassi specialmente nei paesi latini, incontrare realtà che, ispirate da oltre quarant’anni di musica del diavolo, licenziano album di granitico, esplosivo e travolgente rock pesante.
Questa volta il gruppo in questione, i Phazer, arriva dal Portogallo (Lisbona) e tramite la Ethereal Sound Works, affiancata da altre due label (Raging Planet e Raising Legends) licenzia questo ottimo Un(Locked), secondo lavoro su lunga distanza: sono ormai una dozzina d’anni che il quintetto suona hard rock e, vista la qualità altissima del nuovo lavoro, si può affermare che lo faccia anche molto bene.
Un(Locked) si sviluppa su quasi un’ora di ottime sonorità che dal rock tradizionale fluttuano tra le miriade di generi che formano l’universo della nostra musica preferita: dal metal, all’alternative fino al groove hard rock moderno, con una serie di tracce dall’alto tasso adrenalinico, potenti, varie e a tratti dure come l’acciaio.
La maggiore dote di Paulo Miranda (un vocalist da applausi) e compagni risulta la totale mancanza di riferimenti espliciti: nell’ascolto dell’album si passa dal metal, all’hard rock, da sonorità moderne o ispirate dai gruppi storici, in un battito di ciglia, ma sempre mantenendo una qualità altissima.
Le ritmiche sono un contenitore di micidiale groove, le chitarre a tratti inventano melodie per poi strapparci le carni con solos taglienti come rasoi, Miranda trasforma la sua voce da singer metal per antonomasia a rocker di stampo moderno (Myles Kennedy, tanto per citarvi il numero uno) e poi via sull’ ottovolante Phazer, in un saliscendi di emozioni che Gone, Dance In The Fire, Wake Up To Die e via una dopo l’altra, tutte le altre canzoni regalano in questo splendido tributo al metal/rock del nuovo millennio.
Un album davvero bello ed ispirato, una band coi fiocchi e tanta grande musica.

TRACKLIST
1.Gone
2.The Last Warrior
3.The Blind King
4.Dance in the Fire
5.King Shit
6.Hold Me
7.Sun of Glory
8.Wake up to Die
9.No Remedy
10.Mystic Land
11.Drifter
12.Zygote
13.Mr. Frae
14.Locked Inside

LINE-UP
Paulo Miranda – Vocals
Gil Neto – Guitar
Carlos Falé – Bass
Nuno Cruz – Drums

PHAZER – Facebook

Helushka – Signora Libertà

Gli Helushka sanno dove vogliono andare e rispolverano una tradizione rock che è viva nell’underground ma che non riesce a venire a galla, e proprio loro potrebbero riuscire a colmare questa lacuna.

Gli Helushka sono un gruppo di Cagliari formatosi nel 2014 e Signora Libertà è il loro esordio discografico, un singolo che precede la prossima uscita del full length Giromondo.

Gli Helushka fanno rock and roll all’italiana, con molta melodia e buone composizioni sonore. Questo singolo ci fa conoscere un gruppo che ha un suono composito e personale, un rock and roll vitaminico e con un gran lavoro di tastiere, alla ricerca di una melodia che eleva il tutto ad un buon livello. Gli Helushka sanno dove vogliono andare e rispolverano una tradizione rock che è viva nell’underground ma che non riesce a venire a galla, e proprio loro potrebbero riuscire a colmare questa lacuna. Un antipasto corposo e che promette bene.

TRACKLIST
1. Signora Llibertà

LINE-UP
Alessio Mereu – Guitars
Michele Inconi – Drums
Stefano Matta – Guitars
Annalisa Di Giacomo – Bass
Samuele Zara – Voice

HELUSHKA – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=2QRq_Szdq64

Wyld – Wyld

Il pregio del quintetto è tutto nel saper suonare il genere senza risultare troppo psichedelico: in Wyld non troverete jam sabbathiane o lunghe suite drogate, ma buoni brani dall’elevato appeal radiofonico.

Ancora senza il supporto di una label, ma con tanta voglia di sfondare tornano i parigini Wyld, heavy rock band di cui vi avevamo parlato un paio di anni fa in occasione dell’uscita del loro primo ep Stoned.

Il gruppo transalpino continua la sua marcia nel nuovo continente, attraverso la sua musica che più statunitense di così non si può, ma sicuramente d’impatto, stonerizzata il giusto per piacere alle nuove leve dell’hard rock moderno, colma di groove e dall’ottimo appeal.
Capitanati dalla voce calda e desertica del buon Raphael Maarek , i Wyld hanno dalla loro un sound caldo e potente, abbinano hard rock desertico sfumature southern metal e post grunge, in un sound che dei Black Label Society è figlio legittimo.
La ricetta è semplice: prendete questi ultimi, un pizzico di Down, una bella manciata di Seattle sound, et voilà, il ricco piatto a base di heavy hard rock è servito, in uno dei tanti ristoranti di Parigi, dove i Wyld sono cresciuti a baguette e rock ‘n’ roll.
Questo debutto omonimo sulla lunga distanza piace, i brani hanno presa immediata sull’ascoltatore, grazie ad un buon songwriting che, se mi passate il termine, risulta ruffiano il giusto per fare bella mostra di sé in sede live, dove la musica del gruppo trova terreno fertile per sfondare con tutta la sua potenza e groove.
I brani presenti nell’ep ci sono tutti, raggiunti da una manciata di tracce che confermano l’indirizzo stilistico del gruppo, mentre il basso pulsa come un cuore impazzito, le chitarre mantengono per tutta la durata dell’album un suono pieno, ed il vocalist gioca con tonalità che sono legge per il rock dall’alto potenziale heavy stoner.
Il pregio del quintetto è tutto nel saper suonare il genere senza risultare troppo psichedelico: in Wyld non troverete jam sabbathiane o lunghe suite drogate, ma buoni brani dall’elevato appeal radiofonico.
Un buon ritorno o ancor meglio un’ottima vera partenza con questo album omonimo, a conferma che un paio di anni fa ci avevamo visto giusto.

TRACKLIST
1. Stoned
2. Venomous Poison
3. Heads or Tails
4. Just Another Lie
5. The Last Man Standing
6. Bring Me the Night
7. Wyld N’Loud
8. Hyperion
9. The Fugitive
10. Ritual

LINE-UP
Raphael Maarek – Lead vocals
Chante Basma – Rhythm guitars
Jeffrey Jacquart – Lead & rhythm guitars
Jérôme Sérignac – Bass guitar & backing vocals
Rémi Choley – Drums & percussions

WYLD – Facebook

Quicksand Dream – Beheading Tyrants

Si perde nella notte dei tempi il sound dei Quicksand Dream, ricordando sogni viziati dal folk zeppeliniano, un’altra delle tante virtù del famoso dirigibile britannico.

I Quicksand Dream sono un duo svedese composto da Patrick Backlund (basso e chiatarra) e Göran Jacobson (voce) aiutati su questo lavoro da Henrik Högl alle pelli e Beheading Tyrants è il loro secondo album, dopo l’esordio Aelin – A Story About Destiny, uscito addirittura sedici anni fa.

Un ritorno quindi per il gruppo di old school rocker scandinavi, troppo frettolosamente descritto come band epic metal, mentre nella sua musica si accende la fiamma dell’hard rock, a tratti evocativo, magari lanciato in cavalcate dove la chitarra, timida, sceglie vie metallare, ma sempre con lo spartito ben piantato nell’hard rock classico.
Vero è che l’aura che emanano i brani odora di cime innevate, o pianure perse nel freddo autunno scandinavo, qualche accenno folk elettrico e mid tempo più vicini al doom che al metal, fanno da contorno a questa raccolta di brani che mantengono un’atmosfera sognante anche per il cantato evocativo di Backlund.
Si perde nella notte dei tempi il sound dei Quicksand Dream, ricordando sogni viziati dal folk zeppeliniano, un’altra delle tante virtù del famoso dirigibile britannico.
E così veniamo immersi in questo sogno che rimane sempre in bilico tra l’hard rock ed il doom, ben assemblato senza raggiungere particolari picchi dal duo, ormai diventato un trio, e che preclude ogni tipo di modernità nel proprio sound rimanendo legato al cordone ombelicale del decennio più famoso della storia del rock.
Il difetto maggiore di questo lavoro è la mancanza di qualche brano trainante, quello che fa la differenza tra un ottimo lavoro e un album ordinario, ma sono sicuro che ,come il sottoscritto, c’è chi apprezzerà con la dovuta cautela Daughters of Eve, The Shadow That Bleeds e To Kill Beneath the Sun, brani dal flavour settantiano e piacevolmente old school.

TRACKLIST
01. Daughters of Eve
02. Cloud of Screams
03. The Shadow That Bleeds
04. The Girl from the Island
05. White Flames on Black Water
06. To Kill Beneath the Sun

LINE-UP
Göran Jacobson – Vocals
Patrick Backlund – Guitars, Bass
Henrik Högl – Drums

QUICKSAND DREAM

Klee Project – The Long Way

Un’ opera rock moderna, a tratti sontuosa e dall’affascinante mood teatrale e, soprattutto, originale nel miscelare generi agli antipodi come per esempio il southern e l’elettronica .

Un’altra opera da annoverare tra le migliori uscite dell’anno in campo hard rock, anche questa volta nata nei nostri patri confini.

I Klee Project sono una sorta di super gruppo che vede unire i talenti di Roberto Sterpetti, cantante, ed Enrico “Erk” Scutti (ex Cheope, ex Figure of Six) ai cori e testi, a diversi musicisti di livello internazionale come Marco Sfogli (Pfm, James La Brie) alla chitarra, Lorenzo Poli (Vasco Rossi, Nek) al basso ed Antonio Aronne (Pavic, Figure Of Six) alla batteria, come se non bastasse l’importante contributo dell’orchestra sinfonica condotta da Francesco Santucci e di Tina Guo (Foo Fighters, Cirque Du Soleil, John Legend).
The Long Way è un concept basato su un viaggio, il sogno che si avvera di un musicista che attraversa l’ America sulla leggendaria Route 66 e da Memphis arriva nella città degli Angeli dove troverà l’amore , il successo, gli eccessi e la consapevolezza di dover ricominciare daccapo per ritrovare l’equilibrio perduto.
La musica che accompagna il protagonista attraverso le vicende narrate è un hard rock/alternative che spazia da bellissime ed emozionati note southern rock ad armonie orchestrali, dal metallo moderno ed alternativo all’ elettronica.
Un lavoro importante questo The Long Way, un’ opera rock moderna, a tratti sontuosa e dall’ affascinante mood teatrale, perfetta a mio parere da portare live come fatto per le storiche opere che hanno attraversato indenni più di quarant’anni di musica rock e, soprattutto,originale nel miscelare generi agli antipodi come per esempio il southern e l’elettronica .
Seguendo la trama e le varie vicende, il sound risulta vario, ma allo stesso tempo facile da seguire senza perdersi tra i generi e le moltitudini di sfumature.
Cantato, suonato e prodotto come e meglio di un top album internazionale, The Long Way vive di rock tradizionale e moderno, sudista e pop, metallico e melodico, duro come i riff forgiati nell’acciaio delle sei corde, delicato come il suono degli strumenti classici.
Tutte queste varianti e contraddizioni creano un suono entusiasmante ed è un attimo perdersi nella storia e nei vari capitoli che compongono l’opera.
Non ci sono brani migliori di altri, questo lavoro ha tutti i crismi dell’opera rock e come un’opera va ascoltata, capita e fatta propria. Bellissimo ed emozionante.

TRACKLIST
1.Everybody Knows
2.Southern Boy
3.The Long Way
4.If You Want
5.The Prisoner
6.Hereafter
7.Time Is Over
8.Your Sacrifice
9.Close To Me
10.You Should Be Mine
11.This Game
12.Lucrezia’s Night
13.Lucrezia’s Night (Reprise)

LINE-UP
Roberto Sterpetti – vocals
Enrico “Erk” Scutti – Chorus
Marco Sfogli – Guitars
Lorenzo Poli Bass
Antonio Aronne – Drums

KLEE PROJECT – Facebook

Oh My Dog! – Silent Scream

Primo ep per hard rockers lombardi Oh My Dog!, dal monicker simpatico ed originale ma con un sound che non scherza affatto.

Dopo i primi anni del nuovo millennio in cui i suoni moderni sembravano aver soffocato le sonorità classiche, in questo ultimo periodo le sonorità old school e vintage hanno ripreso il loro cammino sempre più alla luce del sole, anche se nelle sconosciute (ai più) strade dell’underground.

Nel nostro paese la scena hard rock può contare di numerose ed ottime band, dalle sonorità varie che vanno dal classico rock settantiano a quello street/sleazy degli anni ottanta, molte delle quali lo potenziano con dosi alquanto esplosive di groove dall’impatto moderno e catchy.
Tornando a sonorità più classiche vi presento il primo ep degli hard rockers lombardi Oh My Dog!, dal monicker simpatico ed originale (al sottoscritto ricorda Black Dog degli Zep), ma dal sound che non scherza affatto.
Il quintetto nasce sei anni fa per volere del chitarrista Sean Danzante e del batterista Stefano Ceriotti a cui si aggiungono il vocalist Anthony, la chitarra ritmica di Taia ed il basso di Alessandro, ed inizia la sua avventura nel mondo delle sette note suonando cover dei gruppi storici del rock; la voglia di cimentarsi con brani propri però è tanta e, finalmente, in questo fine anno giungono al traguardo del primo lavoro, un ep di tre brani dal titolo Silent Scream.
E’ una chitarra dal retrogusto blues che ci dà il benvenuto nel mondo musicale del gruppo: Atlantis, primo brano in scaletta, alterna atmosfere sofisticate a refrain di potente hard rock con l’ugola del singer in primo piano ed un più grintoso finale in crescendo.
Sfumature ed armonie orientali soni quelle che rinveniamo nella splendida From Alexandria To Istanbul (la Kashmir del gruppo), molto suggestiva nel suo andamento da viaggio epico, dove non mancano ottimi cambi di tempo e un bell’assolo, il tutto impreziosito da una intrigante vena prog.
Lady Godiva torna ad arricchirsi di atmosfere hard blues, tra Led Zeppelin e Deep Purple, concludendo questi quindici minuti di hard rock classico e davvero ben congegnato.
Una bella sorpresa: date un ascolto a Silent Scream e mettetevi comodi ad aspettare con me l’auspicabile primo full lenght, passo decisivo per la carriera degli Oh My Dog!

TRACKLIST
1.Atlantis
2.From Alexandria To Istambul
3.Lady Godiva

LINE-UP
Anthony – Vocals
Sean – Guitars
Taia – Guitars
Alessandro – Bass
Stefano – Drums

OH MY DOG! – Facebook

Deceit Machine – Resilience

Finalmente un album moderno nel quale viene data la giusta importanza al lavoro della chitarra solista, qualità non così scontata oggigiorno, che nella musica dei Deceit Machine torna (insieme alla voce) ad essere protagonista.

Ecco ci risiamo, mi ritrovo con un’altra bomba pronta ad esplodere nei vostri padiglioni auricolari, una deflagrazione di hard rock metal, moderno e coinvolgente, cantato, suonato e prodotto come meglio non si potrebbe e che non presenta la minima pecca … a parte forse il fatto che il gruppo, essendo italiano, rischia sempre di non essere presentato e supportato a dovere.

Il quartetto in questione si chiama Deceit Machine, arriva da Milano ed il suo debutta si intitola Resilience.
L’album è stato registrato da Larsen Premoli presso i Rec Lab Studios e vede la partecipazione dietro alle pelli di Federico Paulovich dei Destrage.
Il gruppo viene presentato come un’alternative metal band e se, si pensa al metal classico, l ‘accostamento ci può stare, ma a sentir bene è forse più giusto descrivere il sound del gruppo nostrano come un hard rock moderno che alterna aggressione metallica e vincenti melodie rock, grazie soprattutto all’enorme potenziale della voce di Michela Di Mauro, così come deii vari brani che compongono Resilience.
Si diceva hard rock, pregno di groove, metallizzato da un lavoro chitarristico eccellente (Gabriele Ghezzi), con assoli che a tratti richiamano la scuola classica, per poi seviziarci con riff che sputano sangue americano, alternando feeling hard rock e potenti muri di suono alternative.
La sezione ritmica concede poche ma significative tregue (nell’elegante e raffinata Here Now), per poi bombardarci senza pietà e, mentre il cd gira nel lettore, siamo arrivati alla sesta traccia (la devastante Watchdog) e la qualità continua a rimanere altissima.
Resilience è, finalmente, un album moderno nel quale viene data la giusta importanza al lavoro della chitarra solista, qualità non così scontata oggigiorno, mentre nella musica dei Deceit Machine torna (insieme alla voce) ad essere protagonista, virtù che piacerà non poco anche agli amanti dei suoni più classicheggianti ma con l’orecchio attento ai suoni del nuovo millennio.
Un album che raccoglie una serie di hit e li spara a cannone, mentre la Di Mauro fa scintille nella splendida Absence che, con la devastante Wonderland, fa da preludio al brano più bello di Resilience, Flow ispirata a mio avviso ai primi Soundgarden, quelli ancora selvaggi e veraci del capolavoro Louder The Love.
Dunque, che vi piaccia alternative metal o modern hard rock , poco importa, l’album è davvero bello e merita la vostra attenzione: band da supportare senza se e senza ma.

TRACKLIST
1. Shinigami
2. Garden
3. K.A.R.M.A.
4. Here Now
5. My Raven
6. Watchdog
7. Absence
8. Wonderland
9. Flow
10. Awakening

LINE-UP
Michela Di Mauro – Vocals
Gabriele Ghezzi – Guitar
Stefano Paolillo – Bass
Davide Ferrario – Drums

DECEIT MACHINE – Facebook

Vicolo Inferno – Stray Ideals

Stray Ideals conferma l’ottima forma che sta attraversando l’hard rock made in Italy, la bravura dei Vicolo Inferno ed il fiuto della Logic(il)logic Records.

Lo street metal in quel di Los Angeles, ed il grunge di Seattle due generi agli antipodi, in questi ultimi tempi sono stati presi come ispirazione da molti dei gruppi di ultima generazione che, con sagacia, ne hanno manipolato atmosfere e sfumature e, con personalità ed una buona dose di talento, hanno creato un ibrido molto interessante, così da prendere per mano il rock e portarlo con dignità e forza nel nuovo millennio.

Nel nostro paese il genere ha trovato non poche ottime realtà a cui si aggiungono i Vicolo Inferno, combo proveniente dalla zona di Imola al secondo full length, successore del debutto Hourglass uscito sempre per Logic(il)Logic nel 2013 e di un primo demo (Hell’s Alley).
Prodotto da Riccardo Pasini ai Studio 73, ed accompagnato dal bellissimo artwork creato da Simone Bertozzi (The Heartwork), Stray Ideals è un altro ottimo esempio di hard rock moderno proveniente dal nostro paese, aggressivo quanto basta per non sfigurare al cospetto dei fans dai gusti metallici, pregno di quel groove che risulta marchio di fabbrica del sound odierno, valorizzato da una vena sudista che lo colloca tra migliori esempi di quel rock americano che regna sulla musica del diavolo.
Stray Ideals è tutto qui e non è poco, aggiungo, visto l’ottimo songwriting, con una produzione che spinge sulle ritmiche (Wallace al basso e Michele “Gollo” Gollini alle pelli) , la sei corde che non sbaglia un solo (Marco Campoli) tra urlanti suoni metal stoner, sanguigni passaggi dal retrogusto southern ed atmosfere rock’n’roll/post grunge da sogno americano.
La voce perfettamente in linea con le atmosfere dei vari brani, calda, aggressiva e cangiante di Igor Piattesi, fa il resto e tralasciando Two Matches, traccia leggermente fuori contesto dove il singer duetta con l’ospite Caterina Minguzzi, Stray Ideals è un susseguirsi di emozioni forti sulla route che collega Los Angeles a Seattle in compagnia del quartetto e delle varie Gray Matter Brain, Unnameables, la title track, la stupenda Ambush e l’hard rock arrabbiato di Noise Of Silence.
Stray Ideals conferma l’ottima forma che sta attraversando l’hard rock made in Italy, la bravura dei Vicolo Inferno, ed il fiuto della label nostrana, una garanzia per i suoni hard rock melodici, tradizionali o come in questo caso, moderni.

TRACKLIST
01. Gray Matter Brain
02. Dirty Magazzeno
03. Rude Soul
04. Stray Ideals
05. Two Matches
06. Unneameables
07. Ambush
08. Heartwoofer
09. On Road’s Edge (Intro)
10. The Rough Hills
11. Noise Of Silence
12. Crosses Market
13. Blood Mist

LINE-UP
Igor Piattesi – Vocals
Marco Campoli – Guitar
Wallace – Bass
Michele “Gollo” Gollini – Drums

VICOLO INFERNO – Facebook

Roxin’ Palace – Freaks Of Society

Tredici brani per far rivivere ancora una volta il rito del rock’n’roll, con i suoi eccessi, le sue contraddizioni, i suoi successi e gli inevitabili fallimenti, ma assolutamente consolidato anche nel nuovo millennio.

Nell’underground metal/rock il ritorno della sonorità street/hard rock è diventato un piacevole dato di fatto, così a MetalEyes non passa giorno senza che arrivino pacchi virtuali al cui interno sono pronte ad esplodere travolgenti bombe a base di nitroglicerina rock’n’roll direttamente dal Sunset Boulevard.

E così vi presentiamo i Roxin’ Palace, gruppo italiano che, tramite la Sleaszy Rider Records, ci fa partecipi del secondo e selvaggio party, dopo la prima festa omonima licenziata nel 2013.
Nato da un’idea del chitarrista Alex Corona dei Revoltons, il gruppo conferma con Freaks Of Society l’ottimo livello della scena hard rock dai richiami street e sleazy che si è formata lungo lo stivale, un migliaio e rotti di chilometri su e giù per l’Italia a botte di sguaiato hard rock, come una lunghissima strada ad attraversare una Los Angeles ottantiana, in questo caso facendo pure l’occhiolino alla più attuale scena scandinava.
Freaks Of Society sta tutto qui e non è poco, aggiungo, con tredici brani inclusa ballad d’ordinanza a far rivivere ancora una volta il rito del rock’n’roll, con i suoi eccessi, le sue contraddizioni, i suoi successi e gli inevitabili fallimenti, ma assolutamente consolidato anche nel nuovo millennio.
Anche se il genere difficilmente tornerà a far bella mostra di sé nelle classifiche radiofoniche, è indubbio che negli ultimi tempi la fiamma è tornata a scaldare i cuori dei rockers tutti chiodo, mascara e Jack Daniels, con il nostro paese che non si è fatto trovare impreparato dando i natali ad almeno una decina di band tranquillamente in grado di conquistarsi un posto d’onore nel panorama odierno.
L’album dei Roxin’ Palace si posiziona nella parte più alta dell’ideale classifica, con il suo sound che regala quegli intramontabili spunti per i quali continuiamo ad essere innamorati di questo genere musicale, e allora, via con chorus da urlare in piena notte tra le vie di una città ormai deserta, solos taglienti che vi bruceranno dentro peggio dell’alcool ingurgitato per tutta la sera, riff scolpiti sui muri del Sunset Strip e ballatone per smaltire notti brave.
Monsters Love, Thai Of Mine, Monkey Junkie, Fading Idol: provate voi stare fermi, se ci riuscite …

TRACKLIST
1. Freaks Of Society
2. Monsters Love
3. Gangs Eraser
4. Thai Of Mine
5. Postatomic Hotel
6. L.A. Mist
7. Monkey Junkie
8. Rockers Of The Eagle
9. Neighbourhood Stars
10. Fading Idol
11. Freak
12. F.A.N.
13. Little Lizzy (bonus track)

LINE-UP
Al – Vocals
Crown – Guitars
Riggs – Guitars
Gian Roxx – Bass
Hell – Drums

ROXIN’ PALACE – Facebook

Phil Campbell And The Bastard Sons – Phil Campbell And The Bastard Sons

Cinque brani spumeggianti, con le sei corde che impazzano in veloci rincorse per spiccare il volo, magari non con questo ep ma, se le premesse verranno mantenute, con un prossimo ed eventuale full length.

Non deve essere stato facile per Phil Campbell e Mikkey Dee ripartire dopo la morte i Lemmy.

I Motörhead sono e resteranno un’ istituzione e la mancanza, oltre che di un grande artista, di un amico e fratello come lo storico bassista li tormenterà per tutta la vita.
Ma l’anima del musicista è più forte delle tragedie, così Mikkey Dee si è accomodato dietro ad un drum kit sontuoso come quello degli Scorpions, mentre il chitarrista trasforma la sua band famigliare in qualcosa di più che un passatempo con i propri figli.
Cambio di monicker da Phil Campbell All Star al più rock style Phil Campbell and the Bastard Sons e primo ep licenziato dall’etichetta che porta il nome dei Motörhead, in collaborazione con Warner.
Il gruppo è formato dalla famiglia Campbell (Phil, Todd alla seconda chitarra, Dane alla batteria e Tyla al basso) con l’aiuto dell’ottimo singer Neil Starr, un animale dotato di una voce calda e sanguigna.
E di hard rock’n’roll si tratta, tra tradizione e nuove influenze, ben collocato in questi primi anni del nuovo millennio senza guardare troppo allo scomodo passato dell’illustre axeman.
Ne escono cinque brani spumeggianti, con le sei corde che impazzano in veloci rincorse per spiccare il volo, magari non con questo ep ma, se le premesse verranno mantenute, con un prossimo ed eventuale full length.
Un sound che pesca a piene mani dal rock americano di questi ultimi tempi e si colloca tra i Velvet Revolver, qualche accenno alla scena scandinava e chiaramente un pizzico di verve motorheadiana, con l’opener Big Mouth che carica come un toro infuriato.
Spiders è un mid tempo dal buon groove che Campbell impreziosisce con un solos tagliente e metallico, mentre Take Aim è rock ‘n’ roll di origine controllata con non pochi riferimenti ai Backyard Babies.
No Turning Back torna alle famose ritmiche Lemmy/Dee, mentre il refrain odora di Velvet Revolver, con un Neil Starr ispiratissimo, mentre l’arrivederci al prossimo giro di whiskey è lasciata alle armonie acustiche di Life In Space, che ricordano sorprendentemente il terzo lavoro targato Led Zeppelin.
Non male davvero, il vecchio Phil è ancora in pista ed è tornato a far battere i cuori dei rockers sparsi per il globo, attendiamo con ansia nuovi sviluppi perché il progetto merita.

TRACKLIST
1.Big Mouth
2.Spiders
3.Take Aim
4.No Turning Back
5.Life In Space

LINE-UP
Phil Campbell – Guitars
Todd Campbell – Guitars
Dane Campbell – Drums
Tyla Campbell – Bass
Neil Starr – Vocals

PHIL CAMPBELL AND THE BASTARD SONS – Facebook