Vandallus – On The High Side

Un buon debutto per il gruppo di Cleveland , se siete degli attempati rocker come il sottoscritto o giovanotti dai gusti vintage, On The High Side non vi deluderà

Quando si parla di hard rock spesso si fa riferimento alla scena statunitense o a quella britannica, dimenticando colpevolmente molte band che hanno fatto la storia del rock duro provenienti da altri paesi e che hanno avuto un’importanza epocale nello sviluppo dell’hard & heavy.

Due di queste sono il power trio canadese Triumph e gli Scorpions dei fratelli Schenker, la prima spesso paragonata ai progsters Rush, anche per il paese di provenienza, la seconda regina dell’hard rock melodico europeo.
On The High Side, debutto del trio statunitense Vandallus, riprende le sonorità del gruppo canadese e le fa proprie aggiungendo melodie a frotte sotto il segno dello scorpione, confezionando un buon album vintage, sicuramente debitore nei confronti dei due mostri sacri ma composto da buone canzoni.
Attenzione però, la band non fa un passo indietro ma due, andando a riprendere il sound settantiano, specialmente per quanto riguarda la band tedesca, lasciando le produzioni patinate del periodo ottantiano, per un approccio dallo spiccato groove.
Jason Vanek si dimostra un buon cantante, personale e melodico, le chitarre scintillano sotto le dita sue e dell’altro Vanek, Shaun anche alle prese con basso e batteria, e con l’aiuto alle pelli del buon Steve Dukuslow.
Hard rock settantiano dunque, grintoso e molto melodico, con un taglio decisamente vintage, curato nel songwriting e suonato molto bene con le sei corde in evidenza, autrici di gustosi riff power e solos in linea con i chitarristi dell’epoca .
Rat è una fulminante intro che sfocia nel hard power di Break The Storm, il ritornello è pura melodia made in Scorpions e da qui in poi veniamo catapultati dalla macchina del tempo in pieni anni settanta con l’ottima title track, la semi ballad Running Lost e l’irresistibile refrain di On Top Of The World.
Un buon debutto per il gruppo di Cleveland , se siete degli attempati rocker come il sottoscritto o giovanotti dai gusti vintage, On The High Side non vi deluderà.

TRACKLIST
1. Rat
2. Break The Storm
3. On The High Side
4. Who’s Chasing Me
5. Running Lost
6. Back To The Grind
7. Get Out
8. On Top Of The World
9. A Fool You’re Right

LINE-UP
Jason Vanek – vocals, guitar
Shaun Vanek – guitar, drums, bass
Steve Dukuslow – drums

VANDALLUS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=GcC9aAlP4KM

Gallows Pole – Doors Of Perception

Una via di mezzo tra Tom Petty e l’heavy metal, così è scritto sulla presentazione dei Gallows Pole curata dalla Pure Rock , band austriaca che ha attraversato più di trent’anni di rock ai margini del giro che conta, licenziando otto album sulla lunga distanza, da In Rock We Trust del lontano 1982 a questo ottavo lavoro dal titolo Doors Of Perception.

La verità sta nel mezzo, il sound di cui si veste questo lavoro è un rock appena accentuato in qualche ritmica di chitarra, specialmente nell’opener Burn It Down, il brano più hard fra tutti quelli presenti, con un ottimo solo che effettivamente profuma di rock statunitense.
Attenzione però, il cantato sembra provenire da una band new wave ottantiana, accentuata dal controcanto profondo ma che si ispira non poco all’elettronica tedesca.
Dalla successiva Angel Eyes cambia non poco il mood del disco, dove l’acustica la fa da padrone con una serie di semiballad in cui la chitarra si approccia in modo molto timido e la voce non cambia di tono risultando monocorde e a mio parere colpevole di appiattire non poco i brani del disco.
Learn To Fly torna a donarci visioni di musica pop ottantiana, leggermente più dinamica per qualche arpeggio più grintoso.
Bring Me Through The Night ci regala qualche brivido metallico, un mid tempo dove la solista ricama una bella serie di solos, rovinata da un ritornello ripetuto e stancante.
Siamo arrivati al sesto brano, sono passati una ventina di minuti che sembrano ore, l’album non decolla e quando si vivacizza, quella sensazione di pop music rivestita di verve elettrica non dà scampo.
Il finale è lasciato alla title track , forse il brano che nei suoi nove minuti mostra un crescendo emotivo adeguato per risultare la song più riuscita dell’intero lavoro, un po’ poco per andare oltre una risicata sufficienza, tenendo conto che la band non è certo ai primi passi e la label è di quelle che difficilmente sbaglia un colpo.

TRACKLIST
1. Burn It Down
2. Angel Eyes
3. Learn To Fly
4. Watching The Sun Go Down
5. Bring Me Through The Night
6. Someday Soon
7. Your Own Demons
8. A Rainbow Just For Me
9. Doors Of Perception

LINE-UP
Alois Martin Binder – vocals, guitars, bass
Harald Prikasky – guitars
Andy Wagner – drums
Günther Steiner – keyboards
Harry “El” Fischer – guitars

GALLOWS POLE – Facebook

Brutus – Wandering Blind

Tutto funziona alla perfezione per un disco di hard blues rock che farà felice molta gente.

Terzo album per questo combo composto da due norvegesi e tre svedesi, nato per fare blues hard rock in stile anni sessanta/settanta senza compromessi.

Il revival di quell’epoca, specialmente in campo hard rock, è leggermente inflazionato negli ultimi anni, e onestamente non tutti i gruppi sono all’altezza del compito. I Brutus sono fra i migliori, se non il gruppo migliore del lotto, loro hanno davvero classe e riescono comporre canzoni bellissime ed analogiche nel dna. Il disco è stato registrato dal vivo in cinque giorni all’Engfelt & Forsgren Studios di Oslo da Christian Engflet, ottimo produttore già con Cato Salsa Experience e Big Bang. Christian ha ulteriormente arricchito il suono dei Brutus facendoli incidere il master su cassetta, con pre amplificatori d’epoca e con il suo sapiente tocco. Il risultato è un disco che trasuda passione, classe e perfetta comprensione di cosa fare. Wandering Blind è una prova maiuscola, con tutti i requisiti sia vintage che soprattutto di estrema godibilità. Non ci sono pezzi noiosi o momenti artefatti, tutto funziona alla perfezione per un disco di hard blues rock che farà felice molta gente.

TRACKLIST
1. Wandering Blind
2. Drowning
3. Axe Man
4. Whirlwind Of Madness
5. The Killer
6. Blind Village
7. Creepin
8. My Lonely Room
9. Living In A Daze

LINE-UP
Jokke Stenby
Johan Forsberg
Kim Molander
Knut-Ole Mathisen
Christian Hellqvist

Darkness Light – Living With The Danger

Ci sono parecchi dettagli da sistemare nell’economia sonora dei Darkness Light, magari lasciando il microfono ad un cantante più personale ed emozionale ed accentuando la parte più metallica, dove si riscontrano le migliori virtù.

Chi vive di sonorità hard rock e metal classiche sa molto bene di quante differenti atmosfere sia composto questo mondo musicale, all’apparenza tutte uguali ma con background molto diversi, dall’hard rock settantiano a quello statunitense del Sunset Boulevard, fino a quello europeo, tanto per citare le correnti che più hanno segnato gli ultimi quarant’anni di rock duro.

In Europa negli anni ottanta l’hard rock si accompagnò con l’allora fulminante new wave of british heavy metal, creando nuovi sottogeneri che allargarono ancora di più i confini della musica dura.
Se nel regno unito band come Rainbow e Dio, si nutrirono di atmosfere epiche, nell’Europa centrale gli storici Accept indurirono ancora di più le ritmiche, di fatto creando il power, genere figlio della scena metallica tedesca.
E dalla Germania arriva questo duo, formato nel 2011 e giunto all’esordio sul finire dello scorso anno con questo Living With The Danger.
Il duo di Augusta è composto da Cristian Bettendorf , chitarra e tastiere e Dixie Krauser, voce, basso, chitarra e tastiere: il debutto vive di alti e bassi, confrontandosi con un hard rock di stampo classico, tra ruvide reminiscenze power e metal melodico, senza dare l’impressione di affondare il colpo, rimanendo in un limbo sempre in bilico tra aggressività e melodia.
Una decina di canzoni che si perdono nei meandri della storia del genere, tra Accept, atmosfere purpleiane, accenni all’hard rock melodico britannico (Ten e Dare), ma senza brillare.
Manca il feeling per far funzionare questa raccolta di brani, importantissimo nel genere, specialmente quando le armonie prendono il comando dei brani, lasciando le asperità di un hard rock incisivo in panchina, per giocarsi la carta della melodia.
La voce ci mette del suo per non far decollare i brani, troppo monocorde e poco interpretativa e così, a parte qualche song più metallica, dove il duo se la cava, Living With The Danger scivola senza sussulti fino alla fine, con qualche sbadiglio di troppo da parte dell’ascoltatore.
Ci sono parecchi dettagli da sistemare nell’economia sonora dei Darkness Light, magari lasciando il microfono ad un cantante più personale ed emozionale ed accentuando la parte più metallica, dove si riscontrano le migliori virtù.

TRACKLIST
1. Adrenaline
2. Living With The Danger
3. Darkness Light
4. No No More
5. Bad Boys Are Better
6. Song For You
7. It Was Just Dreaming
8. For Another Sunny Day
9. Long Ago
10. Alone

LINE-UP
Dixie Krauser – Vocals, bass, keyboards, guitars
Cristian Bettendorf – Guitars, keyboards

DARKNESS LIGHT – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Midnight Sin – Never Say Never

Godiamoci le tre canzoni che compongono Never Say Never ed aspettiamo fiduciosi il nuovo full length, ci sarà da divertirsi.

Ci eravamo occupati un paio di anni fa del debutto dei Midnight Sin, uscito per Bakerteam, che risultava un ottimo esempio di hard rock, dalle atmosfere sleazy e glam in puro Sunset Boulevard style, anche se tra le note di Sex First non mancavano riferimenti alle nuove generazioni di street band da lustrini, paillettes, belle donne e tanto divertimento.

Tutto confermato, ora che Never Say Never, ep di tre brani a fare da ponte tra il primo album ed il nuovo lavoro che non tarderà ad arrivare, riempie di suoni rock’n’roll tredici minuti della nostra fin troppo triste e alquanto noiosa vita.
Due songs inedite, la travolgente e divertentissima title track e la rocciosa BJ@Job, che vi lasceranno senza fiato, due hit tra passato e presente dello street, glam, sleazy hard rock, tra Poison, Motley Crue, Steel Panthers, Crashdiet e compagnia di ragazzacci perduti tra party di puro rock’n’roll style.
La cover di Satisfaction della premiata ditta Jagger/Richards impreziosisce questo mini cd e la band ne esce alla grande con una riedizione tosta dalle ritmiche aggressive e dal gran tiro.
Il gruppo nostrano si conferma come una delle band di punta del genere, ora che i suoni classici e stradaioli degli anni ottanta stanno tornando in auge, almeno nell’underground che non fa mancare nuove realtà dalle ottime potenzialità e molte di queste provenienti dalle città del nostro paese.
Godiamoci le tre canzoni che compongono Never Say Never ed aspettiamo fiduciosi il nuovo full length, ci sarà da divertirsi.

TRACKLIST
1.Never Say Never
2.BJ@Job
3.Satisfaction

LINE-UP
Albert Fish – Vocals
LeStar – Lead Guitar
Acey Guns – Bass
Dany Rake – Drums

MIDNIGHT SIN – Facebook

VV.AA. – Thirteeen: An Ethereal Sound Works Compilation

Thirteen è la compilation che celebra i tredici anni di attività della label portoghese Ethereal Sound Works, nel cui roster sono comprese band lusitane dedite ai generi più disparati, ma tutte accomunate da una notevole qualità di fondo e da altrettanta verve creativa.

Thirteen è la compilation che celebra i tredici anni di attività della label portoghese Ethereal Sound Works, nel cui roster sono comprese band lusitane dedite ai generi più disparati, ma tutte accomunate da una notevole qualità di fondo e da altrettanta verve creativa.

Sono ben 19 i brani contenuti in questa raccolta piuttosto esaustiva con la quale il buon Gonçalo esibisce i suoi gioielli, anche quelli più preziosi ma, purtroppo, non più attivi come i Vertigo Steps.
Così, in questo caleidoscopio di suoni ed umori, troviamo il metal con il death dei Rotem e il power/thrash degli Hourswill, il rock alternativo di Secret Symmetry, Painted Black, Dream Circus e Artic Fire, il punk di The Levities, Chapa Zero e Punk Sinatra, il dark di And The We Fall, Rainy Days Factory e My Deception, l’indie dei The Melancholic Youth Of Jesus, il folk dei Xicara , la sperimentazione pura dei Fadomorse e l’ ambient degli Under The Pipe e dei Soundscapism Inc., quest’ultimo fresco progetto di Bruno A., successivo allo split dei Vertigo Steps, qui rappresentati dalla splendida Silentground.
L’eclettismo è il vero marchio di fabbrica della ESW, grazie alla quale abbiamo la possibilità di constatare come in Portogallo si produca tanta musica di qualità, in più di un caso oggetto delle nostre recensioni (che possono essere lette nella sezione sottostante denominata articoli correlati).
Non ci sono solo i Moospell o il fado, quindi, a rappresentare il fatturato musicale lusitano, e questa compilation offre una ghiotta possibilità di farsi un’idea più precisa di quel movimento, portando alla luce diverse realtà oltremodo stimolanti.

Tracklist:
1.Secret Symmetry – Disarray And Silver Skies
2.Vertigo Steps – Silentground
3.Painted Black – Quarto Vazio
4.Hourswill – Atrocity Throne
5.My Deception – Daylight Deception
6.Dream Circus – Ticking
7.Rotem – The Pain
8.The Levities – Split Lip
9.Chapa Zero – Vai Lá Vai
10.Punk Sinatra – Nunca Há Paciência
11.Under The Pipe – No Need Words
12.Artic Fire – Running
13.The Melancholic Youth Of Jesus – Insensivity
14.And Then We Fall – Ancient Ruins
15.Rainy Days Factory – Deep Dive
16.Fadomorse – Deicídio
17.Xícara – Cantiga (Deixa-te Estar na Minha Vida)
18.Dark Wings Syndrome – In My Crystal Cage (2015)
19.Soundscapism Inc. – Planetary Dirt

ETHEREAL SOUND WORKS – Facebook

Samcro – Colpevoli

I Samcro, duo blues/hard rock toscano composto da Mario Caruso e Nicola Cigolini, ritornano, a distanza di quasi due anni da “Terrestre”, con gli undici brani di Colpevoli. Il disco, pubblicato da Soffici Dischi e impreziosito dalla presenza di Paolo Benvegnù (nel brano La Ricostruzione), suona grasso e corposo, ma coinvolge a fatica e risulta poco convincente nel suo insieme.

Il calore strumentale di Dalle Ceneri, apre il disco creando il terreno giusto per il trascinante procedere della torrida La Ricostruzione e per il sudato citare di Reagire Al Dolore (parte del testo arriva da “La Cognizione Del Dolore” di Carlo Emilio Gadda).
Il cantato/gridato ai limiti del punk di Opponibile, tagliando l’aria con il rabbioso graffiare di chitarre, cede spazio al procedere energico (ma piuttosto dispersivo) di Martin X, mentre Similitudine, non riuscendo a disegnare i deserti hard rock che vorrebbe, lascia che a seguire sia la poco incisiva Mahmud.
Kingsley, invece, provando a mordere con la sua energia, introduce il trambusto incolore di Colpevoli e le grasse chitarre de Il Mare Dentro Di Te.
La meno distorta e più introversa Benvenuto, infine, chiude il disco provando a mettere in mostra il lato più intimo e riflessivo della band.

Nonostante gli sforzi, l’energia e i tentativi, questo Colpevoli non risulta memorabile in nessuna occasione. Gli undici brani presentati, infatti, provano a creare un sound granitico, corposo e trascinante, ma ogni volta, si spengono in idee poco convincenti e in testi non proprio coinvolgenti. Insomma, l’impressione è che ci sia tanta passione e voglia di fare, ma che manchino ancora i contenuti necessari per rendere il sogno realtà. Un disco monotono e al di sotto delle aspettative.

TRACKLIST
01. Dalle Ceneri
02. La Ricostruzione
03. Reagire Al Dolore
04. Opponibile
05. Martin X
06. Similitudine
07. Mahmud
08. Kingsley
09. Colpevoli
10. Il Mare Dentro Di Te
11. Benvenuto

LINE-UP
Mario Caruso
Nicola Cigolini

SAMCRO – Facebook

Bastian – Rock Of Daedalus

Un album compatto, valorizzato dalla prova di un Vescera sontuoso, di un Macaluso che sfodera tutta la sua esperienza alle pelli, ben sostenuto dal basso di Giardina, e dalla sei corde dell’axeman nostrano, un chitarrista sanguigno che lascia ad altri virtuosismi fini a se stessi e mette il suo talento a disposizione dei brani

Quello che poteva sembrare un progetto estemporaneo, ha trovato la sua definitiva consacrazione con l’uscita di questo secondo album e i Bastian di Sebastiano Conti possono essere considerati una band a tutti gli effetti.

Due anni fa il chitarrista siciliano aveva stupito tutti con Among My Giants, un bellissimo album di hard’n’heavy che vedeva il buon Conti circondato da un nugolo di musicisti storici della scena come Vinnie Appice, Mark Boals, Michael Vescera e John Macaluso.
Lo scorso anno Among My Giants tornava a far parlare di sé con la riedizione curata dall’Underground Symphony, label per cui esce questo nuovo Rock Of Daedalus con il gruppo ridotto a quattro elementi : Sebastiano Conti alla sei corde, Michael Vescera al microfono, John Macaluso alle pelli e Corrado Giardina al basso.
Rock Of Daedalus non sposta di una virgola il concept musicale su cui si destreggia il chitarrista siciliano: il sound influenzato dalla scena ottantiana e dai mostri sacri del genere, perfettamente bilanciato tra hard rock ed heavy metal, continua a mietere vittime con questi dieci brani ruvidi e diretti, aggressivi e potenti ma tremendamente efficaci.
Una album compatto, valorizzato dalla prova di un Vescera sontuoso, di un Macaluso che sfodera tutta la sua esperienza alle pelli, ben sostenuto dal basso di Giardina, e dalla sei corde dell’axeman nostrano, un chitarrista sanguigno che lascia ad altri virtuosismi fini a se stessi e mette il suo talento a disposizione dei brani, così che possano esplodere in tutta la loro carica hard rock.
Massiccio è forse il termine più adatto per descrivere il sound di questo lavoro, e la band, fin dall’opener Strange Toughts, sfodera ritmiche dal groove viscerale, molto più zeppeliniane rispetto al suo predecessore.
Il mid tempo roccioso di The Pide Piper torna ad esplorare il sound dei Black Sabbath era Tony Martin, mentre Vlad e Terminators confermano la voglia di far male di questa multinazionale dell’hard & heavy, supportata da un Vescera in stato di grazia, epico ed emozionale.
Conti ricama di solos sanguigni e riff tutta grinta e potenza le varie songs, e siamo già alla metallica Steel Heart, apice di questo bellissimo lavoro, un brano heavy metal disegnato coi colori dell’arcobaleno più famoso della nostra musica preferita.
Smokin’ Joe e la ballad Wind Song, chiudono questo ritorno sopra le righe dei Bastian, confermando quello di Sebastiano Conti un gruppo che non può mancare tra gli ascolti degli amanti dell’hard’n’heavy di estrazione classica.

TRACKLIST
1.Strange Thoughts
2.The Pide Piper
3.Vlad
4.Terminators
5.Man Of Light
6.Man In Black
7.18 In Woodstock
8.Steel Heart
9.Smokin’ Joe
10.Wind Song

LINE-UP
Sebastiano Conti- Guitars
Michael Vescera- Vocals
John Macaluso- Drums
Corrado Giardina- Bass

BASTIAN – Facebook

Pino Scotto – Live For A Dream

Con il blues signore e padrone del suo background, Pino ci delizia con questi diciotto brani dove non manca una marea di ospiti illustri della scena meta/rock tricolore, a conferma dell’eclettismo di un musicista non rinuncia a collaborare con le nuove generazioni di musicisti, che siano di provenienza metal, rock o addirittura rap.

Mi è difficile parlare di Pino Scotto, un artista che amo profondamente, non solo per la sua carriera musicale che, senza ombra di dubbio, è una della più importanti e gloriose in ambito hard rock ed heavy metal del nostro paese, ma soprattutto come persona, un uomo che incarna il mio pensiero al 100%, fuori da inutili ed obsoleti discorsi di una politica che purtroppo è diventato solo un circo, puro e fuori dagli schemi in modo talmente naturale, che quello che dice, molte volte forzando la mano, anche per una persona non più di primo pelo come il sottoscritto, diventa l’unica ineluttabile verità.

Ed è così che diventa un onore scrivere qualche riga per la nostra ‘zine sull’ultimo lavoro del rocker italiano per antonomasia, una raccolta di brani che ne ripercorre la carriera, dai Pulsar, passando per i gloriosi Vanadium, i Fire Trails e l’esperienza solista.
Un rocker che ha attraversato quarant’anni di musica rock in Italia, un paese dove ancora oggi la musica del diavolo è vista come una fastidiosa sottocultura, anche in questi ultimi anni in cui i talenti continuano a moltiplicarsi.
Con il blues signore e padrone del suo background, Pino ci delizia con questi diciotto brani dove non manca una marea di ospiti illustri della scena meta/rock tricolore, a conferma dell’eclettismo di un musicista non rinuncia a collaborare con le nuove generazioni di musicisti, che siano di provenienza metal, rock o addirittura rap.
Il suo tono graffiante da rocker navigato spadroneggia su questo nuovo Live For A Dream, gli ospiti valorizzano brani stupendi, profondi, molti composti da testi di denuncia contro un mondo ed un sistema a cui il musicista partenoopeo non ha mai concesso nulla, tirando dritto per la sua strada che continua a non avere un punto d’arrivo sul proprio navigatore.
Una truppa di talenti della scena tra cui Roberto Tiranti, Fabio Lione, Ambramarie, Dario Cappanera, Stef Burns, Steve Angarthal, Rob Iaculli, Alex Del Vecchio e Fabio Treves, tra gli altri, fornisce il proprio contributo nel far risplendere questa raccolta, tra classici, ultime produzioni ed inediti (Don’t Touch The Kids e The Eagle Scream, brano scritto in memoria del suo vecchio amico Lemmy, e di cui uscirà un video).
Non mancano, chiaramente, oltre alle più datate produzioni i brani simbolo della sua carriera solista, ora più che mai sulla cresta dell’onda anche per il programma Database che conduce da ormai tredici anni su Rock Tv.
Morta La Città, Quore Di Rock’N’Roll, Signora Del Voodoo e Angus Day, e poi le stupende Dio Del Blues e Third Moon (made in Fire Trails) e via via tutte le altre, fanno di Live For A Dream una completa e suggestiva panoramica sul mondo di Pino Scotto, supportata da un DVD contenente immagini live delle registrazioni in studio, interviste e videoclips, in attesa di ritrovare in giro per i palchi nostrani per l’ennesimo tour questo inesauribile condottiero del rock’n’roll.

PS. Nel 2011, insieme a Caterina Vetro, Pino Scotto fonda Rainbow Projects, un progetto di educazione, sanità e sviluppo nato per contribuire a migliorare le condizioni di vita di bambini estremamente svantaggiati come gli orfani e le vittime di abusi in Belize, quelli della discarica di Coban in Guatemala o a forte rischio di prostituzione minorile e mendicanza in Cambogia: questo, tanto per chiarire, a chi se ne fosse fatta un’idea precostituita o travisata, di che pasta è fatto questo monumento vivente alla vera cultura rock’n’roll.
Un artista che musicisti, fans e addetti ai lavori dovrebbero solo ringraziare ogni volta che fa mattina e ci si alza dal letto …

TRACKLIST
1.Don’t Touch the Kids
2.The Eagle Scream
3.A Man on the Road
4.We Want Live Rock ‘n’ Roll
5.Easy Way to Love
6.Streets of Danger
7.Too Young to Die
8.Dio del Blues
9.Gamines
10.Leonka
11.Spaces and Sleeping Stones
12.Third Moon
13.Come noi
14.Quore di Rock ‘n’ Roll
15.Morta è la città
16.Che figlio di Maria
17.Signora del Voodoo
18.Angus Day

DVD
1.A Man on the Road
2.We Want Live Rock ‘n’ Roll
3.Easy Way to Love
4.Streets of Danger
5.Too Young to Die
6.Dio del Blues
7.Gamines
8.Leonka
9.Spaces and Sleeping Stones
10.Third Moon
11.Come noi
12.Quore di Rock ‘n’ Roll
13.Morta è la città
14.Che figlio di Maria
15.Signora del Voodoo
16.Angus Day

LINE-UP
Pino Scotto-Vocals
Roberto Tiranti, Fabio Lione, Ambramarie – Vocals
Stef Burns, Steve Angarthal, Igor Gianola, Dario Cappanera, Filippo Dallinferno, Ale “Fuzz” Regis – Guitars
Rob Iaculli, Alex Mansi, Marco di Salvia – Drums
Dario Bucca, Ciccio Li Causi – Bass
Alex Del Vecchio. Maurizio Belluzzo – Keyboards
Valentina Cariulo – Violin
Fabio Treves – Haromonica

PINO SCOTTO – Facebook

Pristine – Reboot

Il rock è vivo e vegeto, si rigenera per mezzo dei suoi figli e voi non avete scuse

Non credo che nelle fredde lande scandinave vi siano crocicchi ove si possa vendere l’anima al diavolo, così da suonare la sua musica con magico talento, eppure all’ascolto di questo lavoro, rimane il dubbio che i Pristine qualcuno abbiano incontrato, tra le strade ricoperte di ghiaccio del loro paese, la Norvegia.

Terzo lavoro per il gruppo di Oslo, dopo l’esordio del 2011 Detoxing, ed il seguente No Regret di tre anni fa, mentre la band è pronta per la calata nella nostra penisola in questo periodo, a supporto degli svedesi Blues Pills.
Capitanati dalla notevole singer Heidi Solheim, una via di mezzo tra Patty Smith, PJ Harvey e Bjork, i Pristine fanno il botto, con questo straordinario Reboot, un concentrato di rock blues ad alta gradazione emozionale, colmo di psichedelia e rock’n’roll, uno sguardo attento sul sound americano, un viaggio nei meandri più sanguigni della musica del diavolo.
Reboot è composto da un lotto di brani uno diverso dall’altro, uno più emozionante dell’altro, con il blues che spadroneggia, lasciando però spazio a momenti di psichedelia lisergica in un trionfale tributo agli anni settanta e agli dei dell’hard rock.
Il nostro viaggio tra le fiamme, nella casa di satanasso, inizia con il blues energico dell’opener Derek, i Bad Company sono lì, a farci l’occhiolino, mentre senza voltarci saliamo sul dirigibile zeppeliniano con All My Love.
All I Want Is You è il primo tuffo nella psichedelia, un blues drammatico ricamato da una chitarra pinkfloydiana e da un hammond dai colori porpora, che ritroveremo nel capolavoro The Middlemen, ma prima c’è da muovere le natiche con il rock’n’roll di Bootie Call seguito dal blues messianico della title track.
The Middlemen, il capolavoro di questo album, canzone lisergica ed emozionale, valorizzata da una prova sontuosa della vocalist e dell’axeman Espen Elverum Jakobsen, porta il gruppo norvegese molto vicino all’olimpo dove riseidono i grandi; con l’inno California, la song più moderna e hard rock dell’intero lavoro, il sole brucia l’asfalto e siamo lontani dal freddo norvegese, con la temperatura che sale con il blues tragico (cantato dalla Solheim con un trasporto tale da sconvolgere) di Don’t Save My Soul.
The Lemon Waltz chiude il lavoro, una ballad rock blues che ricorda nei suoi accordi e armonie i Beatles di Sgt.Peppers, chiudendo un cerchio iniziato con i Bad Company, i Led Zeppelin, i Pink Floyd e l’america sudista raccontata dai The Allman Brothers Band e Grand Funk Railroad.
Reboot è un album superbo, un esempio di come nel 2016 si può suonare rock ad altissimi livelli, prendendo ispirazione dalle proprie influenze ma senza risultare patetici come molti dinosauri inchiodati al proprio portafoglio.
Il rock è vivo e vegeto, si rigenera per mezzo dei suoi figli e voi non avete scuse, fatelo vostro.

TRACKLIST
1.DEREK
2.ALL OF MY LOVE
3.ALL I WANT IS YOU
4.BOOTIE CALL
5.REBOOT
6.THE MIDDLEMEN
7.CALIFORNIA
8.LOUIS LANE
9.DON’T SAVE MY SOUL
10.THE LEMON WALTZ

PRISTINE . Facebook

Wonderworld – II

Un ascolto piacevole che ci prende per mano accompagnandoci in territori cari a Uriah Heep, Led Zeppelin, Deep Purple era Hughes e Coverdale, con una sound grintoso e raffinato, irruente ed estremamente elegante, come ci hanno abituato da tempo tutti il lavori che vedono coinvolto Tiranti.

Secondo lavoro per la band italo/norvegese Wonderworld, che vede il nostro Roberto Tiranti insieme alla coppia di musicisti scandinavi Ken Ingwersen e Tom Fossheim, rispettivamente alla chitarra e alla batteria.

Anche questo secondo lavoro si distingue per un elegante classic rock di scuola settantiana, pennellato di blues e soul, suonato divinamente e dal songwriting sontuoso.
Scritto a quattro mani da Tiranti e Ingwersen, II conferma ancora una volta l’eclettico talento del musicista genovese, instancabile artista e vocalist sopraffino, alle prese con questa raccolta di brani che svaria tra ruvidità ed eleganza, grinta e melodia, vorticosi sali e scendi nel rock e nell’hard & heavy di stampo classico.
Gruppo di tre elementi, quindi pochi fronzoli e sound che va dritto al punto, con un Ingwersen che si dimostra chitarrista fenomenale, raffinato quando i brani lo richiedono, tostissimo quando le atmosfere si irrobustiscono ed il gruppo se ne esce potenti bordate hard rock.
Sempre magistrale il lavoro di Tiranti al microfono e chirurgico il drumming di Fossheim, così che II si rivela un altro bellissimo album caratterizzato da sonorità classiche, magari poco considerate nel superficiale mondo del music biz odierno, ma assolutamente imprescindibili per gli amanti della buona musica.
Le ritmiche raffinate di brani come Elements, It’s Not Over Yet e Echo Of My Thoughts si scontrano con le atmosfere adrenaliniche di Evil In Disguise, Forever Is The Line e della sabbathiana In The End; in mezzo una serie di songs che fanno dell’hard rock raffinato il loro credo, magistralmente interpretate da questo power trio, che non lascia da parte emozionalità e feeling.
Un ascolto piacevole che ci prende per mano accompagnandoci in territori cari a Uriah Heep, Led Zeppelin, Deep Purple era Hughes e Coverdale, con una sound grintoso e raffinato, irruente ed estremamente elegante, come ci hanno abituato da tempo tutti il lavori che vedono coinvolto Tiranti.
Non perdete altro tempo e fate vostro questo bellissimo album, ulteriore dimostrazione dell’immortalità della nostra musica preferita, specialmente se suonata a questi livelli.

TRACKLIST
1. Forever Is A Lie
2. Remember My Words
3. Elements
4. It’s Not Over Yet
5. Echo Of My Thoughts
6. The Evil In Disguise
7. Return To Life
8. Memories
9. In The End
10. Down The Line

LINE-UP
Roberto Tiranti – vocals, bass
Ken Ingwersen- Guitars
Tom Fossheim- Drums

WORDERWORLD – Facebook

Hollow Illusion – Hollow Illusion

Hollow Illusion è un album adatto a qualsiasi palato abituato a nutrirsi dei suoni classici hard’n’heavy

Il lavoro omonimo del duo formato da Magnus Mikkelsen Hoel e Ove Mikkelsen Hoel, chiamati Hollow Illusion, conferma il talento per i suoni classici dei musicisti nati tra i fiordi e le immense pianure innevate, mostrando diverse influenze ed atmosfere, che pescano tanto dall’heavy metal quanto dall’hard rock, alternando sfumature old school e più moderni salti nel groove rock.

L’album, oltretutto, ha potuto fregiarsi di varie collaborazioni importanti in fase di registrazione, prodotto da Trond Hotler (Wig Wam e Jorn), per il mix la band è volata negli States ed ha lasciato il materiale nelle sapienti mani di Roy Z (Judas Priest, Halford, Bruce Dickinson), mentre Andy Horn ha curato il master in Germania.
Hollow Illusion è un ottimo tuffo nelle sonorità classiche, tra le varie songs si avvicendano influenze e stili diversi: si passa quindi dall’hard rock dei Thin Lizzy all’heavy metal old school, da melodie care ai rockers conterranei del duo come i TNT al groove ruvido che guarda alle sonorità statunitensi (come Zakk Wilde insegna).
Voce maschia, melodica e sanguigna, ottimi solos ed un buon songwriting fanno di Hollow Illusion un buon biglietto da visita per il duo norvegese, che quando picchia sa far male con God Of Rock e Lights Go Down, apertura tutta grinta dell’album.
Belli i chorus, che imperversano su un po tutti i brani, dalla solida Now Or Never, alla ballatona Mountain On Solid Gorund, mentre Rain si aggiudica la palma di migliore composizione pregna di hard rock solare e refrain da urlo.
Hollow Illusion è un album adatto a qualsiasi palato abituato a nutrirsi dei suoni classici hard & heavy, non manca la grinta ma neppure la melodia, quindi cari rockers, ascoltatelo ed innamoratevene.

TRACKLIST
1.Mercury Rising
2.God Of Rock
3.Lights Go Down
4.I Don’t Care
5.Now Or Never
6.Mountain On Solid Ground
7.Can’t Stand Still
8.Rain
9.Fighter
10.Voodoo Medicine Man
11.Come Back

LINE-UP
Magnus Mikkelsen Hoel – Vocals
Ove Mikkelsen Hoel – Bass

HOLLOW ILLUSION – Facebook

Highrider – Armageddon Rock

Quattro brani deflagranti, devastanti e potenti, eppure non siamo nei meandri del metal estremo, bensì nel più classico e all’apparenza più innocuo hard rock.

Tempesta, tuoni, fulmini, terremoti e tsunami che si riversano sull’ascoltatore come in una pellicola di genere catastrofico, un’onda altissima di metallo fumante, rock ruvido accompagnato da una voce che gronda rabbia e angoscia.

Un armageddon, appunto, di rock settantiano ipervitaminizzato da scariche metalliche fuse nell’acciao, impreziosito da un hammond signore e padrone del sound, apocalittico e dannatamente vintage, ma fondamentale nell’economia di queste splendide quattro canzoni.
Gli Highrider sono un quartetto svedese, Armageddon Rock è il loro debutto, licenziato dalla The Sign Records, registrato da Leo Moller, mixato da Henke Magnusson e masterizzato da Linus Anderson ai Kust studio di Gotheborg così da straripare letteralmente dalle casse, come l’acqua liberata dal crollo di una diga.
Quattro brani deflagranti, devastanti e potenti, eppure non siamo nei meandri del metal estremo, bensì nel più classico e all’apparenza più innocuo hard rock.
Il fantastico lavoro alle tastiere di Christopher Ekendahl, che riporta indietro agli anni settanta e ai mai troppo osannati Uriah Heep, avvolge il metal, a tratti stonerizzato, rabbioso e devastante suonato dai suoi compari, con la sei corde di Eric Radegard che illumina la scena con solos dal saporeclassico (S= T x I) e la sezione ritmica che ci investe con una forza disumana (Carl-Axel Wittbeck alle pelli e Andreas Fageberg al basso).
Il concept dell’album è chiaramente ispirato alla deriva intrapresa dal genere umano e la musica, che mantiene un mood apocalittico, forma insieme alle urla drammatiche e rabbiose del bassista una clamorosa denuncia degli effetti distruttivi delle politiche nucleari.
Venti minuti esaltanti, da ascoltare a volume altissimo, un enorme suono che si sviluppa e si rigenera tra le trame bombastiche di Agony Of Limbo, The Moment (Plutonium) e Semen Mud And Blood.
Un grandissimo debutto che incorona gli Highrider come una delle sorprese di questa metà dell’anno di grazia 2016, il che induce ad aspettarli per la prima prova sulla lunga distanza che, se si attestasse su questi livelli, sarebbe trionfale.
Non c’è ne tregua ne speranza, solo la colonna sonora della fine del mondo.

TRACKLIST
1.S= T x I
2.Agony Of Limbo
3.The moment (Plutonium)
4.Semen Mud And Blood

LINE-UP
Eric Radegard-Guitar
Carl-Axel Wittbeck-Drums
Andreas Fageberg-Bass
Christopher Ekendahl-Keyboards

HIGHRIDER – Facebook

BlackRain – Released

A mio parere un’occasione in parte mancata, anche se sono sicuro che l’album farà sicuramente conquistare nuovi fans al gruppo francese ma, se volete ascoltare fottuto rock’n’roll puro Los Angels style, rivolgetevi altrove.

Ecco arrivato sulla mia scrivania quello che si prospetta come l’album hard rock del 2016: Released, dei transalpini BlackRain, licenziato dalla UDR/Warner.

Il quartetto di rockers formatosi dieci anni fa nelle alpi francesi, dopo una lunga gavetta fatta di importantissimi live al fianco di Europe, Alice Cooper, Scorpions ed i nuovi eroi dell’hard rock mondiale come Steel Panthers, Kissin’ Dynamite e Crash Diet e con quattro full length alle spalle, con It Begins (il precedente lavoro uscito nel 2013) quale il picco qualitativo, è pronto al grande salto e Released conferma l’attesa degli addetti ai lavori, per un album che dovrebbe rivelarsi un’esplosione di suoni street/hard rock, direttamente dalla Los Angeles del periodo ottantiano.
Prodotto da Jack Douglas, nome di spicco del panorama rock americano (Aerosmith, Cheap Trick, Alice Cooper, The New York Dolls e John Lennon) l’album è stato registrato tra Parigi ed ovviamente la città degli angeli, con il mix finale curato da Douglas insieme a Warren Huart, ingegnere del suono della band di Steven Tyler e Joe Perry.
Tanto spiegamento di forze, ha dato i suoi frutti e Released non può che essere destinato al successo: tutto è perfetto, il suono patinato e cristallino, le canzoni formano una raccolta di hits che trent’anni fa avrebbe fatto tremare il music biz, con la leggera attitudine stradaiola della band e quel tocco ruffiano che è la chiave per entrare nei cuori dei vecchi e nuovi rockers sparsi per il mondo.
Tra le note di brani dall’appeal conclamato come l’opener Back In Town, l’esplosiva Mind Control, Puppet On A String, la semi ballad strappa lacrime Home, l’irriverente Rock My Funeral, troverete di che crogiolarvi se continuate ad infilare nella vostra autoradio i greatest hits di Motley Crue, Skid Row, Poison ed in parte, ma solo in parte, Guns’n’Roses.
Tutto fila liscio come l’olio, le songs entrano in testa alla velocità della luce e non meravigliatevi se, dopo un solo ascolto, vi ritroverete a canticchiare uno dei ritornelli di questi tredici brani, costruiti per piacere senza se e senza ma.
E allora, vi chiederete, perché il voto non rispecchia del tutto queste valutazioni ?
Perché, a mio modesto parere, Released è “troppo” perfetto per un album che dovrebbe trasudare sporco rock’n’roll: il tutto risplende di una luce asettica, a causa di un’attenzione ai particolari che è sintomatica dell’intento di costruire a tavolino un lavoro in grado di sfondare, ma che lascia qualche dubbio sull’effettivo impatto e molti di più sulla reale attitudine della band.
Ci si aspetta da un momento all’altro che l’album esploda davvero, che la voce lasci intravedere gli effetti collaterali di serate da sballo, e le sei corde ci facciano godere di un riffing di matrice street, dai richiami punk/blues cari a band storiche come L.A Guns o primi Gunners, ed invece si scivola nel compitino, nello schema strofa-ritornello-strofa, carino, perfetto per le radio, ma alla lunga abbastanza prevedibile.
A mio parere un’occasione in parte mancata, anche se sono sicuro, l’album farà sicuramente conquistare nuovi fans ai BlackRain, ma se volete ascoltare fottuto rock’n’roll puro Los Angels style, rivolgetevi altrove.

TRACKLIST
01. Back In Town
02. Mind Control
03. Killing Me
04. Run Tiger Run
05. Puppet On A String
06. Words Ain’t Enough
07. Eat You Alive
08. Home
09. For Your Love
10. Fade To Black
11. Electric Blues
12. Rock My Funeral
13. One Last Prayer
14. True Survivor (Bonus)
15. Jenny Jen (Bonus)

LINE-UP
Swan Hellio – Lead vocals, Guitars
Axel “Max 2” Charpentier – Lead guitars
Matthieu De La Roche – Bass
Frank Frusetta – Drums

BLACKRAIN – Facebook

Bridgeville – Aftershock

Aftershock non scende mai di livello mantenendo una qualità notevole, i brani sono tutti molto belli e fanno l’occhiolino ai Bon Jovi così come agli Whitesnake nella versione USA ottantiana

I paesi nordici sono da sempre patria dei generi melodici di stampo hard rock, anche se spesso si pensa solo alle espressioni musicali più esteme.

Ed è proprio dalla fredda Norvegia che arrivano i Bridgeville con il loro sound fatto di caldo hard rock classico, molto melodico e dall’ottimo appeal.
Una raccolta di brani che parla al cuore di ogni rocker innamorato di chitarre ruvide, refrain irresistibili e da cantare in qualche locale riscaldato dai watt che esplodono nella sala, avvolgendo gli astanti di melodie provenienti direttamente dagli anni ottanta, anni in cui il rock, quello vero, spadroneggiava nelle radio di tutto il pianeta.
Il gruppo nasce nel 2013 per volere del vocalist Martin Steene, già in line up con i metallers danesi Iron Fire e l’hard rock band norvegese Absinth, e recluta tra le fila della nuova band, i chitarristi Erik Norheim e Kenneth Jacobsen, Roger Svenkesen al basso e Thomas Furuvald alle pelli.
Il gruppo così composto si prepara al debutto licenziando il singolo Absinthia, arriva poi la firma per la Crime Records e la band, nello scorso anno, entra in studio con Jacob Hansen e Tommy Hansen per registare Aftershock, debutto sulla lunga distanza che spezzerà cuori, muoverà fondoschiena e piacerà non poco ai rockers orfani dell’hard rock classico, svolazzando tra le varie influenze come un’ape tra i fiori.
Ottime trame chitarristiche, atmosfere che si alternano tra arena rock e ed elettrizzante e grintoso hard’n’roll, semiballad che ricordano nostalgici road movie, il tutto raccontato tramite una voce che risulta il primo comandamento di come si suona il genere (ovvero, avere un cantante con le palle).
Aftershock non scende mai di livello mantenendo una qualità notevole, i brani sono tutti molto belli e fanno l’occhiolino ai Bon Jovi così come agli Whitesnake nella versione USA ottantiana, mentre l’ascoltatore non mancherà certo di divertirsi con l’adrenalina che scorre tra i solchi di Save Me, Black Rain e Absinthia, mentre con Bridge To A Broken Heart e Homeland, la lacrimuccia non mancherà di scendere sul viso di tipacci dal cuore tenero.
Aftershock ci regala una quarantina di minuti di ottime melodie, che vanno a comporre un debutto di tutto rispetto, fatelo vostro.

TRACKLIST
01. Get On Top
02. Mystic River
03. Save Me
04. Aftershock
05. Black Rain
06. Keep Holding On
07. Bridge To A Broken Heart
08. Freakshow
09. Homeland
10. Anthem Of The World
11. Absinthia

LINE-UP
Martin Steene – Vocals
Erik Norheim – Guitars, B. Vocals
Thomas Furuvald – Drums
Roger Svenkesen – Bass
Kenneth Jacobsen – Guitars

BRIDGEVILLE – Facebook

The Phoenix – My Turn To Deal

Rock’n’roll dall’anima sleazy o hard rock di ispirazione losangelina, fate voi, rimane il fatto che queste quattro tracce racchiuse in My Turn Deal, primo lavoro delle The Phoenix, convincono e ci regalano un’altra bomba sexy dall’alto concentrato elettrico.

Rock’n’roll dall’anima sleazy o hard rock di ispirazione losangelina, fate voi, rimane il fatto che queste quattro tracce racchiuse in My Turn Deal, primo lavoro delle The Phoenix, convincono e ci regalano un’altra bomba sexy dall’alto concentrato elettrico.

Il gruppo nasce nel 2001 e dopo una buona gavetta live arriva la firma per l’americana Demon Doll, con i ragazzi dell’Atomic Stuff a garantire la promozione dell’esordio discografico, registrato presso il Pri Studio di Bologna la scorsa estate.
My Turn To Deal conferma la tradizione delle band dell’altro sesso che, quando c’è da suonare il genere, fanno mangiare la polvere ai rudi colleghi maschi, ed infatti i brani che compongono il mini cd sono un concentrato di hard’n’heavy dall’alto tasso melodico, una piccola macchina del tempo che ci riporta ai fasti ottantiani ma, attenzione, il sound prodotto dalle The Phoenix risulta fresco, per niente nostalgico e, soprattutto, con un elevato appeal, così da rendere le varie canzoni tutte possibili hits.
La title track ha nel chorus il pezzo forte e mette subito in evidenza l’ottima voce della singer ed un assolo di chiara matrice heavy; un bel brano , molto accattivante, ma ecco che un pugno in pieno volto ci investe: Dangerous Girl esplode in tutta la sua carica heavy alla Motley Crue, un anthem da urlare al cielo in pieno trip live, pura adrenalina rock’n’roll come si suonava nella Sunset Strip.
Al primo ascolto You Can’t Stop The Rock ‘N’ Roll pare la classica ballatona di genere: niente di più sbagliato, altro colpo mortale, la song esplode in un altro chorus da stadio e noi non ci possiamo assolutamente esimere dal cantare con loro “che non si può fermare il rock’n’roll”.
Arriviamo all’ultima canzone, Party Hard, la più heavy del lotto: il riff risulta più moderno ed in your face, le vocals si fanno sensuali ed aggressive il giusto, le chitarre si incendiano, scudisciate di rock sanguigno che non ammettono repliche e confermano l’attitudine stradaiola del gruppo nostrano.
In soli quattro brani le The Phoenix lanciano il loro ruggito rock’n’roll, sta a voi ora far sì che il richiamo di queste quattro leonesse arrivi a chi del genere si nutre, in attesa di un prossimo passo, magari un full length di questo stesso livello.

TRACKLIST
1. My Turn To Deal
2. Dangerous Girl
3. You Can’t Stop The Rock ‘N’ Roll
4. Party Hard

LINE-UP
Lena McFrison – Lead Guitar, Vocals
Alice Schecter – Rhythm Guitar, Vocals
Luna RocketQueen – Bass, Vocals
Giuli McMousse – Drums

THE PHOENIX – Facebook

Mr.Riot – Same Old Town

Same Old Town è un vero spasso se vi piace il genere e non potete fare a meno di vecchi volponi del rock’n’roll statunitense come Van Halen, Twisted Sisters, Poison, Skid Row e Motley Crue.

Il singolo America, mette subito in chiaro il concept che sta dietro a questi cinque ragazzi di Novara: suonare rock’n’roll come lo si faceva nella Sunset Strip negli anni ottanta e credeteci, lo fanno pure molto bene.

La band si chiama Mr.Riot ed è in giro a far danni da soli due annetti, la label greca Sleazsy Rider non se li è fatti sfuggire e Same Old Town arriva a noi come primo parto di questa creatura di hard rock a stelle strisce, che guarda al passato, anche se la sua musica giunge a noi come un prodotto fresco e molto ben fatto.
Chiaro che il genere (un hard rock, ricco di spunti sleaze e street) è quello e le influenze sono chiare, richiamando a più riprese i mostri sacri dell’America sex, drugs and rock’n’roll, ma l’album dei nostri suona alla grande, i brani funzionano ed il tutto risulta un concentrato di pura adrenalina riversato sui rockers con qualche lustrino di troppo.
Si viaggia su ritmi altissimi, inframmezzati da piccole gemme in formato ballad, d’altronde la vita da rocker è molto dura, ed ogni tanto bisogna ricaricare le pile, ma questo non inficia l’energia che sprigionano i brani contenuti nell’esordio della band piemontese, che parte alla grande (dopo un’intro recitato da una Riot girl’s) con il riff dell’energica Scream And Shout, sulle tracce dei Van Halen del pluridecorato 1984, prima di rivolgersi in toto ai grandi Twisted Sisters.
Rock’n’roll è la song che Dee Snider potrebbe invidiare alla band, cantata come se non ci fosse un domani dal convincente vocalist Stevie Lee, mentre Mr.Riot si arma di un micidiale hard’n’heavy e spara melodia come un cannone da una nave da guerra.
Illusion è la classica ballad di ordinanza, prima che l’arena rock di America risulti un sontuoso esempio di rock arioso e melodicissimo, puro e sognante brano ottantiano, mentre si torna alla ruvidità street rock ed ai Van Halen con Sexy Photograph.
L’album continua il suo viaggio, tra brani energici e splendide aperture melodiche, mentre la ballad acustica Spread Our Love spezza il ritmo prima di lasciare alla title track la chiusura del disco con un’altra bordata di grintoso e ruvido rock’n’roll.
Detto che i musicisti ci sanno fare, con la coppia d’asce che fa scintille (Mr.LadiesMan e Angeless), Same Old Town è un vero spasso se vi piace il genere e non potete fare a meno di vecchi volponi del rock’n’roll statunitense come, Van Halen, Twisted Sisters, Poison, Skid Row e i sempre presenti (quando si parla di queste sonorità) Motley Crue.

TRACKLIST
01 – Wake up!
02 – Scream and shout
03 – Rock ‘n’ roll
04 – Mr. Riot
05 – Illusion
06 – America
07 – Sexy photograph
08 – Close your eyes
09 – Wild raw
10 – Spread our love
11 – Same old town

LINE-UP
Stevie Lee – Voice, Keytar
Mr.LadiesMan – Guitars
Angeless – Guitar
Tommy Beefy – Bass Guitar
Denny Riot – Drums, Backing Vocals

MR.RIOT – Facebook

Ivory – A Moment, A Place, A Reason

A Moment, A Place, A Reason è un grande disco di hard rock, da ascoltare, assaporare e consigliare

Gran bel disco hard heavy con puntate aor per questo combo di veterani di Torino.

Attivi dalla fine degli anni novanta ma in maniera organica dal 2005, gli Ivory propongono un suono molto debitore del passato ma proiettato nel futuro, forte del fatto che i fans di queste sonorità sono tenacissimi. Ci sono molte cose in questo cd, pubblicato da Buil2 Kill Records, ma soprattutto c’è una grande voglia di fare hard rock, un’ottima produzione e tanta tanta melodia resa sempre in maniera impeccabile. Il sentimento contenuto in questo disco è difficilmente ravvisabile nelle migliaia di uscite hard rock, poiché gli Ivory fanno tutto molto bene, e sarebbe un gran peccato se questo disco passasse inosservato. Il gruppo torinese non fa solo sfoggi odi una grande tecnica, ma sono anche fini compositori e le canzoni hanno un’ossatura importante. A Moment, A Place, A Reason è un grande disco di hard rock, da ascoltare, assaporare e consigliare.

TRACKLIST
01. Bad News
02. The Hawk
03. Feeling Alive
04. Who Am I
05. Take A Ride
06. A Drink At The Village (Instrumental)
07. Come Together (The Beatles Cover)
08. Inner Breath
09. Through Gloria’s Eye
10. Blues For Fools

LINE-UP
Roby Bruccoleri – Vocals.
Salvo Vecchio – Guitars.
Luca Bernazzi – Bass.
Claudio Rostagno – Drums.

IVORY – Facebook

Magnum – Sacred Blood “Divine” Lies

Per i fans del rock d’autore, raffinato, melodico ed elegante, questo nuovo album dei Magnum è l’espressione più alta che l’hard rock melodico possa offrire, acquisto obbligato.

Scrivere di un nuovo album dei Magnum è come entrare in un mondo fatato, da sempre infatti il gruppo britannico ha sempre affrontato il rock come farebbe un moderno cantastorie, regalando avventure fantastiche, tutte da vivere all’ascolto dei vari lavori che, dall’uscita di Kingdom Of Madness nel lontano 1978, ha fatto sognare centinaia di appassionati, dai rockers innamorati dell’AOR, ai progsters che flirtano più con l’emozionalità che con la tecnica, fino a raggiungere i metallers dai gusti musicali raffinati.

E’ un fatto che il gruppo di Birmingham ha scritto pagine epocali dell’hard rock con capolavori (On a Storyteller’s Night e Wings of Heaven su tutti) che hanno contribuito a fare del gruppo una realtà intoccabile della scena, anche se in termini commerciali il successo non è mai andato pari passo con la qualità della musica proposta, ma la band è sempre qui, ad elargire stupende armonie prog/folk/pomp su di un tappeto di regale hard rock.
La Steamhammer/SPV ha fatto le cose in grande per il ritorno dopo due anni dal precedente Escape from the Shadow Garden, ed il nuovo lavoro del gruppo del divino Bob Catley e dell’arcigno axeman Tony Clarkin, esce in tre diverse releases : CD+DVD, CD e vinile colorato, cose d’altri tempi, abituati ormai agli store sul web, o, al massimo il solo formato su dischetto ottico.
Come ormai abituati da più di trent’anni di uscite targate Magnum, il sound di questa nuova opera riesce a mettere d’accordo un po tutti, conquistando con meravigliose armonie dalle riminiscenze folk, tante melodie AOR e un’impronta progressiva, non facendo mancare una buona dose di grinta, specialmente nella ruvida chitarra di Clarkin che parte aggressiva e grintosa sula title track posta in apertura.
Crazy Old Mothers torna a far risplendere i tasti d’avorio, eleganti e pomposi di Mark Stanway e si entra nella nuova fiaba, scritta da questi menestrelli dell’hard rock, che tanto hanno influenzato gruppi fantastici come Ten o Ayreon, che alla band di Catley dovrebbero ereggere un monumento.
Gipsy Queen torna a rockare, la sei corde di Clarkin sforna un riff esplosivo su cui il gruppo costruisce una marcia rock dedicata alla regina degli zingari, mentre Princess In Rags (The Cult) è un pomp rock dal piglio drammatico, molto Ten oriented.
Sacred Blood “Divine” Lies continua la sua marcia verso il finale con altre perle di rock raffinato, elegantemente incorniciato dai sontuosi ricami di cui il gruppo è maestro, con picchi qualitativi come L’emozionale e orchestrale Afraid Of The Night e la superba Twelve Men Wise and Just, song che se ce ne fosse ancora bisogno, riassume l’eleganza e la straordinaria padronanza del songwriting di questi grandi musicisti britannici.
Arriviamo alla conclusione dell’album con la consapevolezza di aver ascoltato un’altra storia, un’altra splendida opera, da parte di un gruppo che non ne vuol sapere di lasciare la testa della classifica del genere, e ha ragione, vista la qualità della musica che sa ancora donare a chi li segue imperterriti dopo così tanti anni.
Per i fans del rock d’autore, raffinato, melodico ed elegante, questo nuovo album dei Magnum è l’espressione più alta che l’hard rock melodico possa offrire, acquisto obbligato.

TRACKLIST
01. Sacred Blood “Divine” Lies
02. Crazy Old Mothers
03. Gypsy Queen
04. Princess in Rags (The Cult)
05. Your Dreams Won’t Die
06. Afraid of the Night
07. A Forgotten Conversation
08. Quiet Rhapsody
09. Twelve Men Wise and Just
10. Don’t Cry Baby

LINE-UP
Tony Clarkin – guitars
Bob Catley – vocals
Mark Stanway – keyboards
Al Barrow – bass
Harry James – drums

MAGNUM – Facebook

Hangarvain – Freaks

Freaks conferma ancora una volta il talento compositivo di questi musicisti, superando il già bellissimo esordio con un lavoro più duro, maturo, intimista, come se l’entusiasmo dell’esordio avesse lasciato il passo alla consapevolezza di essere una grande band

Un giorno, qualche anno fa, un gruppo di ragazzi napoletani con la voglia di essere liberi e suonare hard rock, caricarono la loro cinquecento e partirono dai piedi del Vesuvio alla conquista dello stivale; tanta passione accompagnata da un talento smisurato per il rock americano, li portò sulle strade che al loro passaggio, mentre l’autoradio suonava i brani di Best Ride Horse (il loro debutto), come d’incanto si trasformavano nelle polverose e lunghissime highway di quell’America da vivere fino all’ultimo respiro.

Un anno dopo serviva riprendere fiato e, a Natale 2014 le armonie acustiche dell’ep Naked vedevano gli Hangarvain finalmente riposare, fare un sunto del viaggio che li aveva visti bruciare chilometri e chilometri d’asfalto, mentre i loro strumenti si accendevano su molti dei palchi in giro per le città della penisola, portando un po’ di quell’America, tra hard rock, southern e rock style a chi li voleva ascoltare.
Quasi tre anni sono passati e la band ha sudato, sognato e fatto divertire tanti ragazzi, nel suo lungo viaggiare tra strade impervie e mille difficoltà, ma è ora di tornare verso casa, affrontando un viaggio di ritorno che porta al traguardo di un nuovo lavoro.
E Freaks conferma ancora una volta il talento compositivo di questi musicisti, capitanati dal vocalist Sergio Toledo Mosca e dal chitarrista Alessandro Liccardo, superando il già bellissimo esordio con un lavoro più duro, maturo, intimista, come se l’entusiasmo dell’esordio avesse lasciato il passo alla consapevolezza di essere una grande band, il che si trasforma in molta più personalità e convinzione.
Ora la loro musica non è più solo una stupenda rilettura di un modo di fare rock’n’roll, il viaggio intrapreso li ha fatti tornare maturi e appunto consapevoli, così da imprimere al loro sound il proprio marchio di fabbrica.
Freaks, i diversi, quante volte negli ultimi tempi abbiamo sentito e letto su media e giornali questa parola riguardo allo squallore in cui è piovuta la nostra società, riguardo a problemi che, noi per primi sottovalutiamo, non concedendo chance a chi non è fortunato, che sia un uomo arrivato da un altro paese o di tendenze sessuali sulle quali continuiamo a costruire tabù, imprigionati in un assurdo medioevo spazio temporale.
Ecco questo disco è dedicato a chi non si arrende, a chi vivrà sempre contro, a chi non si piega e vive per il suo sogno, lottando per i propri ideali o molto più prosaicamente, per il prprio lavoro, cercando di non farsi sopraffare da una società che non accetta debolezze.
Il punto di partenza per questa nuova raccolta di songs non poteva essere più azzeccato e la band, ancora senza un’etichetta, ha fondato la propria fregandosene di un music biz sordo come non mai: lottando, ha portato a termine questo stupendo concentrato di hard rock made in U.S.A., amalgamando alla perfezione, sound sudista, post grunge e hard rock classico, questa volta velato di un’oscurità quasi tragica, introspettiva, e portando la propria musica ad un livello emotivo ancora superiore.
Freaks emoziona, aldilà dei fantastici riff scaldati dal sole del sud creati dall’axeman Liccardo, della straordinaria voce di un Toledo Mosca cresciuto tantissimo in personalità, o della sezione ritmica che sanguina groove di Francesco Sacco al basso e Mirkko De Maio alle pelli; emoziona e scava dentro di noi, tra canzoni che sprigionano hard rock moderno (Keep Falling, la title track e Sliding To Hell, per un inizio da infarto), ballad d’autore che tolgono il respiro, energiche come Dancing On A Wispher o meravigliosamente poetiche come Like Any Other, song d’autore che avvicina il gruppo ai Pearl Jam, salti nel puro southern rock con la magnifica A Life For Rock’n’Roll o hard blues sanguigni come A Coke Shot e Stuck In Arizona.
Ten Years Waiting è il commiato: orgogliosamente sudista, trasuda tutta la malinconia di cui è rivestito gran parte di questo capolavoro e ci dà appuntamento sulla piazza, una mattina di primavera, per ripartire verso altri luoghi dove raccontare di diversità, di libertà, di battaglie da vincere e sogni da conquistare, insieme a questa fantastica band chiamata Hangarvain.

TRACKLIST
1.Keep falling
2. Freaks
3. Sliding to hell
4. Dancing on a whisper
5. Devil of the South
6. Like any other
7. A coke shot
8. A life for rock’n’roll
9. Stuck in Arizona
10. Ten years waiting

LINE-UP
Sergio Toledo Mosca – Lead Vocals
Alessandro Liccardo – Guitars, Backing Vocals
Francesco Sacco – Bass
Mirkko De Maio – Drums

HANGARVAIN – Facebook