Angerfish – Get Uncovered

Gli Angerfish hanno senz’altro buone potenzialità, che vengono espresse in particolare nei brani in cui regnano atmosfere in linea con il rock americano degli ultimi trent’anni, dimostrandosi assolutamente sul pezzo quando il sound assume una matrice doom/stoner, più in affanno invece nei brani accelerati da un’urgenza thrash/punk.

Gli Angerfish sono un quartetto di rockers provenienti da Fidenza, attivi dal 2015 e con un ep omonimo alle spalle rilasciato lo scorso anno.

Dopo alcuni cambi di line up la band ha trovato stabilità, ed è composta oggi da Elia Buzzetti (voce e chitarra), Enrico Lisè (chitarra), Alex Petrolini (basso) ed Emmanuel Costa (voce e batteria), protagonisti di questo debutto sulla lunga distanza intitolato Get Uncovered.
Il sound proposto dal gruppo nostrano si muove tra l’hard rock, il doom e lo stoner di matrice statunitense, con qualche puntata thrash/punk oriented nelle dirette From Outside e Wash Your Crap, quelli che risultano gli episodi meno riusciti dell’album.
Gli altri brani invece mostrano un sound potente, con gli Angerfish ad esibire i muscoli con una serie di mid tempo che tra le note lasciano intravedere spunti di quei generi che hanno fatto la storia del rock di fine millennio.
L’opener Lazy Woman, la doom/stoner Chaos e la conclusiva Facing Death sono gli episodi che alzano di molto il giudizio su questo lavoro: potenti e monolitici, a tratti drogati di grunge e stoner, risultano l’anima desertica del gruppo, ispirato da Black Sabbath, Black Label Society, Sleep, Kyuss e Soundgarden.
Gli Angerfish hanno senz’altro buone potenzialità, che vengono espresse in particolare nei brani in cui regnano atmosfere in linea con il rock americano degli ultimi trent’anni, dimostrandosi assolutamente sul pezzo quando il sound assume una matrice doom/stoner, più in affanno invece nei brani accelerati da un’urgenza thrash/punk che, a mio avviso, appaiono fuori contesto rispetto a quelle che sono le coordinate di base del sound esibito in Get Uncovered.

Tracklist
1.Lazy Woman
2.Wrapped
3.From Outside
4.Chaos
5.Face to Face
6.Wash your Crap
7.Facing Death

Line-up
Elia Buzzetti – Vocals and Guitar
Enrico Lisè – Lead Guitar
Alex Petrolini – Bass Guitar
Emmanuel Costa – Vocals and Drums

ANGERFISH – Facebook

Dion Bayman – Better Days

Un rock raffinato, a tratti graffiante, pregno di refrain accattivanti ma strutturato su un tappeto di suoni duri e puri, con i piedi saldi negli anni ottanta ma portati in questo nuovo millennio con convinzione, grazie ad arrangiamenti al passo con i tempi.

Ennesimo prodotto di spessore in ambito melodic rock da parte della Art Of Melody Music / Burning Minds, label nostrana facente parte della famiglia Atomic Stuff, da anni impegnata a supportare l’hard rock ed il rock melodico nazionale ed internazionale.

Questa volta si vola in Australia. dove veniamo travolti da una valanga di note radiofoniche di matrice aor e melodic rock con il quarto album di Dion Bayman, polistrumentista e produttore che solo soletto ha dato vita ad uno splendido lavoro intitolato Better Days.
Si tratta di un rock raffinato, a tratti graffiante, pregno di refrain accattivanti ma strutturato su un tappeto di suoni duri e puri, con i piedi saldi negli anni ottanta ma portati in questo nuovo millennio con convinzione, grazie ad arrangiamenti al passo con i tempi.
Una raccolta di canzoni piacevoli, dall’ottimo appeal ma senza che si rinunci alla grinta, un tocco di West Coast in qualche passaggio e poi tanto rock a stelle e strisce, da smanettare fino al massimo del volume per un viaggio con la sesta inserita e l’ugola che brucia per il canto sfrenato, accompagnando i chorus creati dall’artista australiano nell’opener Ready For The Real Thing, la title track, la splendida The Best Times Of My Life, Pieces e la conclusiva If I Could.
Non mancano le ballad come Leap The Faith che mantengono comunque un forte legame elettrico, così da non smorzare l’atmosfera hard rock che aleggia sull’album, tra Bryan Adams e Richard Marx.
Better Days risulta quindi una raccolta di splendidi brani, consigliati senza riserve a chi si nutre di queste sonorità, a conferma del talento compositivo di questo bravissimo artista australiano.

Tracklist
01. Ready For The Real Thing
02. Rise And Fall 03. Better Days
04. The Best Times Of My Life
05. Leap Of Faith 06. Fallin’ For You
07. Pieces
08. Out Of Mind Out Of Sight
09. Cold
10. If I Could

Line-up
Dion Bayman – All Vocals & Instruments

DION BAYMAN – Facebook

Northward – Northward

Northward è un progetto che merita un futuro alla luce dell’eccellente qualità messa in mostra in ogni dettaglio: questo lavoro sarà sicuramente apprezzato dagli amanti dell’hard & heavy, grazie al suo piglio energico, graffiante e splendidamente melodico.

Nel mondo del metal e del rock è accaduto spesso: due talenti si incontrano, magari ad un festival, e scoprono di avere delle affinità, specialmente nei gusti musicali, e così decidere di provare a scrivere qualcosa è un attimo, mentre è molto più difficile trovare il tempo di concretizzare progetti e idee.

E’ quello che è successo una decina di anni fa, quando Floor Jansen, attuale sirena dei Nightwish, e Jorn Viggo Lofstad dei Pagan’s Mind e songwriter di spessore (Jorn), conosciutisi all’epoca dietro le quinte del Progpower USA Festival, decisero di avviare una collaborazione che ha dato vita solo oggi a questo bellissimo lavoro che prende il nome del progetto, Northward.
Ben dieci anni sono passati prima che queste undici canzoni fossero imprigionate sul dischetto ottico, undici tributi all’hard rock classico che, se vede le sue radici ben piantate nella tradizione settantiana, non dimentica il terremoto alternative statunitense né l’approccio al rock duro tipico delle fredde terre del nord.
Ne esce un album che alterna potenza e melodia, leggermente più moderno ma non lontano dal sound del re scandinavo (per quanto riguarda il genere) Jorn Lande: d’altronde Lofstad ha collaborato non poco con il cantante norvegese, e il tutto si rivela un bene visto che tra le varie ispirazioni il Lande solista è quella che più marchia a fuoco il sound di Northward.
Morty Black (TNT), Stian Kristoffersen, Django Nilsen, Ronnie Tegner (Pagan’s Mind) e la sorella della Jansen, Irene, sono gli ospiti che aiutano il duo a rendere questo progetto un album per cui vale la pena spaccare il salvadanaio e correre al negozio di fiducia, pregno di potenza melodica come pochi, a tratti pervaso da un groove micidiale e cantato da Floor come se il suo passato e presente nel metal sinfonico (oltre ai Nightwish non dimentichiamoci i notevoli e ormai defunti After Forever) non esistesse, risultando una vera tigre e dimostrando un eclettismo straordinario.
I brani da annotare sul taccuino corrispondono di fatto all’intera tracklist, ma è pur vero che il singolo While Love Died, la bellissima e accattivante Storm In Glass, la seguente Driftings Islands, l’esaltante Big Boy e la potentissima Let Me Out fanno ancor più la differenza.
Northward è un progetto che merita un futuro alla luce dell’eccellente qualità messa in mostra in ogni dettaglio: questo lavoro sarà sicuramente apprezzato dagli amanti dell’hard & heavy, grazie al suo piglio energico, graffiante e splendidamente melodico.

Tracklist
1. While Love Died
2. Get What You Give
3. Storm In A Glass
4. Drifting Islands
5. Paragon
6. Let Me Out
7. Big Boy
8. Timebomb
9. Bridle Passion
10. I Need
11. Northward

Line-up
Floor Jansen – Vocals
Jorn Viggo Lofstad – Guitars

NORTHWARD – Facebook

Grey Czar – Boondoggle

La passione ed il talento portano a fare dischi come questo, una piccola grande gemma che suona molto bene e che potrà piacere trasversalmente agli ascoltatori di generi diversi fra loro.

Attivi dal 2010, gli austriaci Grey Czar propongono un’inusuale miscela di prog, doom e stoner, il tutto con un taglio molto personale e particolare.

La loro musica contiene molti spunti, i ritmi cambiano spesso e i riff vanno a creare un affresco vicino alle opere prog degli anni settanta, seppure con maggiore durezza. Ci sono elementi musicali in questo gruppo che non si possono ritrovare altrove, una certa drammatizzazione della canzone che viene divisa in molti rivoli che poi vanno a sfociare in un fiume che porta al mare. La voce di Roland Hickmann viene utilizzata come uno strumento, elevando ad un altro livello anche i quelli veri che sono sempre ben amalgamati, con una produzione che riesce ad incanalare bene tutto facendoli rendere al massimo. Il respiro delle canzoni tende sempre verso l’alto, per arrivare al cielo con un’epicità che ha preso qualcosa dall’heavy metal, pur essendo fortemente diversa da quel genere. La storia di questi quattro austriaci è comune alla maggior parte dei musicisti nel globo terrestre, ovvero gente che prova e suona sottraendo tempo ad affetti e famiglia, quasi sempre in qualche scantinato dopo aver lavorato tutto il giorno, eppure quel fuoco arde sempre e ti porta, come nel caso dei Grey Czar, a produrre e far uscire il proprio lavoro senza l’ausilio di promoter o etichette. Nella fattispecie, Boondoggle è un’ottima prova, che mostra tante facce diverse di un gruppo dalle notevoli dote e ancora tanta potenzialità. Ciò che stupisce maggiormente è la disinvoltura con la quale cambiano spesso il passo dei loro pezzi, accentuando ora una caratteristica ora un’altra, ma rimanendo sempre fedeli ad un forte struttura, perché si sente che sono un gruppo molto solido. La passione ed il talento portano a fare dischi come questo, una piccola grande gemma che suona molto bene e che potrà piacere trasversalmente agli ascoltatori di generi diversi fra loro. Inoltre i dischi dei Grey Czar sono sempre trampolini per spiccare il volo nei loro infuocati concerti.

Tracklist
1.Age of Man
2.Fire Water Holy Ghost
3.Profession of Faith
4.Weight of Worlds
5.Thunder Bay
6.Forlorn March
7.Sail Away
8.White Velvet
9.Create Break or Animate
10.Vast Empyrean
11.Everqueen
12.Deep Sea

Line-up
Roland Hickmann – Guitar & Vocals
Wolfgang Brunauer – Bass & Vocals
Florian Primavesi – Guitar & Vocals
Wolfgang Ruppitsch – Drums

GREY CZAR – Facebook

Hank Von Hell – Egomania

Non ci sono in giro dischi come questo che divertono e fanno riflettere, ma la cosa più importante e bella è vedere una persona che ha visto la morte tante volte rialzarsi e fare un disco che spacca i culi, senza pose o imitazioni, con un gran lavoro e con la sicurezza di essere Hank Von Hell, e non è poco: come dice nell’ultima traccia …il mio oceano è il futuro…

Riuscire a vincere i propri demoni, cadere più e più volte, rialzarsi sempre e tornare più forte di prima non è una cosa affatto facile, ma Hank Von Hell ci è riuscito alla grande.

Hans Erik Dyvik Husby, dalla Norvegia, ha una traiettoria di vita non comune a molti: in principio fu il cantante della prima formazione dei Turbonegro, la loro incarnazione che ha dato il meglio, e a causa dei suoi problemi con l’eroina il gruppo si sciolse nel 1998, per poi riformarsi, ma Hank lo abbandonò perché aveva cambiato vita. Il nostro norvegese andò in riabilitazione presso un centro Narconon, la struttura riabilitativa di Scientology, per poi riapparire nel 2009 con un singolo in coppia con Maria Solheim che raggiunse il numero uno in Norvegia, avendo un gran successo. E ora è il momento del vero ritorno con questo Egomania, e per togliere subito i dubbi, è un gran disco, sincero, veloce e molto divertente anche quando parla di argomenti non certo leggeri. Hank è una delle poche persone al mondo in grado di fare un disco punk rock in maniera mai ovvia e con un quoziente musicale più alto della media, e lo ha fatto con questo lavoro che esce per Century Media Records. Il suono è fresco e solare, un punk rock o rock punk a seconda dei momenti, con la voce di Hank in gran spolvero. Ottima anche la scelta del gruppo che lo accompagna, tutti musicisti di buon livello. Il suono non è assolutamente riconducibile ai Turbonegro dei tempi che furono, ma è un punk con forti tendenze al glam, ed è un disco molto piacevole e ben strutturato, una vera sorpresa, perché Hank aveva sempre risposto picche a chi chiedeva un ritorno sulle scene. Doveva essere lui a scegliere il momento, perché con la sua storia alle spalle e il suo carisma un flop sarebbe stato duro da digerire, invece il disco è ottimo e per tutta la sua durata l’ascoltatore viene portato in un mondo di corpse painting, glam punk e con una forte carica di sincerità e di ironia che è sempre stata una delle doti di Hank. Il disco parla della sua vita come di cose più frivole, il tutto con uno sguardo assai poco convenzionale, come la sua musica. Non ci sono in giro dischi come questo che divertono e fanno riflettere, ma la cosa più importante e bella è vedere una persona che ha visto la morte tante volte rialzarsi e fare un disco che spacca i culi, senza pose o imitazioni, con un gran lavoro e con la sicurezza di essere Hank Von Hell, e non è poco: come dice nell’ultima traccia …il mio oceano è il futuro…

Tracklist
1. Egomania
2. Pretty Decent Exposure
3. Blood
4. Dirty Money
5. Bum To Bum
6. Never Again
7. Bombwalk Chic
8. Wild Boy Blues
9. Too High
10. Adios (Where’s My Sombrero?)

HANK VON HELL – Facebook

Run Chicken Run – Don’t Forget The Wine

Un album che risulta un piacevole ascolto per gli amanti dell’hard rock suonato alla scuola dei fratelli Young, un sound immortale di cui i Run Chicken Run risultano fieri portabandiera.

I Run Chicken Run sono una band attiva da qualche anno e con un album alle spalle intitolato Open The Grill.

Dopo la firma con la Volcano Records arriva sul mercato il nuovo e secondo full length , un concentrato di adrenalinico hard rock pregno di attitudine rock ‘n’ roll ed una dose di letale blues dal titolo Don’t Forget The Wine.
Il sound proposto da Michele Montesi (chitarra e voce), Paolo Scarabotti (basso), Leonardo Piccioni (chitarra) e Simone Medori (batteria) è una versione più heavy di quello che ha fatto la fortuna degli Ac/Dc, Rose Tattoo e i più giovani Airbourne, che delle due storiche band australiane sono i legittimi eredi.
Hard rock e blues, scudisciate heavy su di un sound che sprizza irriverente ribellione rock ‘n’ roll, la ricetta è semplice ed efficace, una musica creata per non fare prigionieri in sede live, la migliore per questo genere immortale che i Run Chicken Run a modo loro tributano con questa raccolta di brani che non vedono cali di tensione: l’elettricità si sparge intorno a noi, saette di watt che illuminano il vostro spazio sulle note dell’opener Rust From Space, primo video e singolo di Don’t Forget The Wine.
La voce di Montesi è ruvida, dall’attitudine rock, le chitarre graffiano in brani che costringono a dimenarsi ballando senza freni al ritmo di Louder On You, assolutamente “australiana”, così come Good Brewer, mentre il riff di Black Shadow si contorna di drappi a stelle e strisce, ricordando i Twisted Sister.
Un album che risulta un piacevole ascolto per gli amanti dell’hard rock suonato alla scuola dei fratelli Young, un sound immortale di cui i Run Chicken Run risultano fieri portabandiera.

Tracklist
1.Rust from Space
2.Your Girl
3.Louder on You
4.Sun
5.My Heart Is a Stone
6.Black Shadow
7.Good Brewer
8.Boredom Killers
9.Real Man
10.Blackout Out

Line-up
Michele Montesi – Guitars, Vocals
Paolo Scarabotti – Bass
Leonardo Piccioni – Guitars
Simone Medori – Drums

RUN CHICKEN RUN – Facebook

Massimo Canfora – Create Your Own Show

Non ci si stanca mai con la raccolta di brani che compongono Create Own Your Show, la chitarra “parla” così, oltre ad un solo brano cantato, tutte le tracce si distinguono per un loro andamento senza che Canfora soffochi il sound sotto una valanga di note.

Nell’underground metal/rock tricolore non sono pochi i chitarristi di talento che si cimentano nella non facile impresa di scrivere album strumentali, molti fin dall’inizio della loro carriera, altri invece a suggellare anni di esperienze e nel mondo musicale.

Massimo Canfora è un chitarrista romano e Create Your Own Show è la sua prima uscita solista, scelta dovuta all’esigenza di riassumere in un album una parte della sua vita artistica.
Aiutato da musicisti e amici della scena capitolina, Canfora dà vita d un album molto interessante, nel quale le doti tecniche sono messe al servizio di una raccolta di brani che fluiscono in note melodiche, mantenendo in alcuni casi una forte impronta heavy e spaziando con disinvoltura tra una manciata di generi che compongono il vasto universo del metal/rock.
Hard rock, rock ‘n’ roll, metal, progressive e poi un’infinità di piccoli camei compositivi spostano gli equilibri su altrettanti generi, usati dal musicista romano per creare un lavoro interessante e dall’ascolto piacevole.
Non ci si stanca mai con la raccolta di brani che compongono Create Your Own Show, la chitarra “parla” così, oltre ad un solo brano cantato (No Right), tutte le tracce si distinguono per un loro andamento senza che Canfora soffochi il sound sotto sotto una valanga di note.
Create Your Own Show e Crysis aprono l’album con un hard & heavy robusto, a seguire si susseguono piccole gemme come Fake Papyrus (psichedelica e settantiana), Sun In The Box (dall’iniziale atmosfera che ricorda il pop anni cinquanta) e le due parti di Screamers.
Un album molto interessante, consigliato agli amanti del metal/rock strumentale e dell’hard & heavy progressivo, vario e melodico quanto basta per tenere inchiodati alle cuffie godendo del talento di questo ottimo musicista e compositore nostrano.

Tracklist
01 – Create Your Own Show
02 – Crysis
03 – Transmission
04 – Fake Papyrus
05 – Sun In The Box
06 – Blue Snow On The Beach
07 – Valiant & Valiant
08 – CR7
09 – Screamers Part 1
10 – Screamers Part 2
11 – Zubrowska Republic
12 – No Right
13 – Pay The Ticket

Line-up
Massimo Canfora

MASSIMO CANFORA – Facebook

Rough Grind – Trouble Or Nothing

Ep di rodaggio, da parte dei Rough Grind, con quattro brani piacevoli e dalle buone melodie: ci aspettiamo un altro passo avanti fin dal prossimo lavoro.

Debutto per i Rough Grind, band finlandese proveniente da Jyvaskla che, con questi quattro brani, entra nel mondo del mercato discografico di buon passo.

Le porte si aprono al cospetto dell’opener Gilded Cage, brano di hard rock melanconico e dalle melodie tastieristiche di scuola aor, ma già dalla successiva e roboante Leap Of Faith i richiami a certo alternative rock moderno e di scuola statunitense si fanno più incisivi.
Diciamolo subito, urge un cantante: il buon Sami è ruvido il giusto nei momenti in cui la band attacca la spina e suona graffiante e massiccia, ma cede il passo e risulta forzato nei chorus melodici (Bulletproof).
Siamo arrivati in un attimo alla conclusiva Hereafter, semi ballad in crescendo che conclude Trouble Or Nothing, ep che porta con sé molti pregi, con un sound composto da un piacevole mix di hard rock americano (Alice In Chains), atmosfere dal piglio dark romantico ed una variante melodica dei Poisonblack, e qualche difetto da correggere in corso d’opera.
Un ep di rodaggio, quindi, da parte dei Rough Grind, con quattro brani piacevoli e dalle buone melodie: ci aspettiamo un altro passo avanti fin dal prossimo lavoro.

Tracklist
1.Gilded Cage
2.Leap Of faith
3.Bulletproof
4.Hereafter

Line-up
Sami – Vocals, And Guitars
Ville – Guitars
Ari – Bass
Killi – Drums

ROUGH GRIND – Facebook

Hate – Useful Junk

Useful Junk segna il ritorno degli Hate, storica hard rock band genovese che ebbe un buon successo nella seconda metà degli anni ottanta.

A dispetto di una tecnologia preistorica rispetto al giorno d’oggi e al passaparola che in molti casi sostituiva il web, gli anni ottanta sono stati per i suoni hard & heavy il periodo d’oro, con l’interesse e l’amore dei fans che non finiva all’ultima nota di un brano o, per i più fortunati ,di un demo tape, ma alimentava la fiamma del rock che ancora brucia in molti di noi.

Settecento presenze ad un concerto sono numeri che oggi si ritengono inarrivabili per qualsiasi band underground, tristemente chiuse in piccoli locali con il più delle volte poche decine di appassionati e quasi tutti con un’età media purtroppo troppo alta, eppure in quegli anni band come i genovesi Hate, con solo due demo tape all’attivo, riuscirono a scrivere questi esaltanti numeri nella storia dell’hard & heavy nazionale: quattro ragazzi genovesi, Enzo Vittoria (bassista e cantante), David Caradonna (chitarra) e Luca Lopez (batteria) e Daniele Ainis (chitarra), ed un sogno che si spezzò quando quest’ultimo scomparve nel 1989 (anche se la band in quel periodo era in una fase di stand by), dopo aver appunto licenziato quei due demo che valsero loro i complimenti degli addetti ai lavori e concerti sempre più seguiti, tra cui si ricorda quello con i giovani Necrodeath di supporto.
Dopo quasi trent’anni gli Hate tornano con questo nuovo album licenziato dalla Diamonds Prod., con un nuovo chitarrista nella persona di Sebastiano Rusca e sette brani di hard & heavy che viaggia nel tempo per poi tornare nel nuovo millennio, forte di quell’appeal che non fa prigionieri, almeno se chi ascolta è un rocker di origine controllata.
Presi per mano dalla bellissima interpretazione di Enzo Vittoria al microfono, ci tuffiamo nel sound di questo pezzo di storia dell’hard rock tricolore con il benvenuto dell’opener Play It Louder, brano roccioso e bluesy di scuola Whitesnake.
Jenny e Do The Right Thing continuano ad alternare rock duro di matrice settantiana a quello più ruffiano del decennio successivo, tra riff massicci e melodie in quota Whitesnake tra lustrini e pailettes del periodo americano.
Il grosso rettile parte sul dirigibile zeppeliniano, e il sound ricorda in effetti l’unico testamento musicale lasciato dalla strana coppia Coverdale/Page (Do The Right Thing), mentre atmosfere southern alla Bon Jovi ammantano di polvere e whiskey la power ballad Pouring Rain e il blues torna a nobilitare il rock duro nella conclusiva This Game.
Useful Junk è un album del quale tutto si può dire ma non che appaia nostalgico, grazie ad un sound che vive di tradizione ma risulta fresco e suonato da un gruppo il cui unico “difetto” è quello di aver atteso troppo per tornare sulla scena.

Tracklist
01.Play It Louder
02.Jenny
03.Do The Right Thing
04.Your Troubles
05.Pouring Rain
06.City Of Dreams
07.This Game

Line-up
Enzo Vittoria – Vocals / bass
Luca Lopez – Drums
David Dido Caradonna – Guitar
Sebastiano “Seba” Rusca – Guitar

HATE – Facebook

Powerdrive – Rusty Metal

Rusty Metal si rivela un lavoro imperdibile grazie a dieci brani perfetti, dieci inni al rock’n’roll style, dai chorus che, dopo un solo ascolto, sono già lì a ronzarvi in testa, dieci candelotti di nitroglicerina dai riff scolpiti sulle tavole della legge del rock.

Girate la chiave, accendete i motori e lasciate che la vostra macchina metallica sfrecci nella notte tra le curve della riviera del ponente ligure fino al ponte immaginario che vi collegherà alle coste degli States, tra la città degli angeli e le strade della polverosa frontiera.

L’ascolto del debutto dei rockers savonesi Powerdrive sarebbe da vietare mentre si è alla alla guida; troppo pericoloso, troppi effetti collaterali, troppa voglia di schiacciare il piede sul pedale dell’acceleratore e portare la vostra auto e i vostri sensi al limite: d’altronde The Road Is My Best Friend come canta Machine Gun Miche, vocalist dei Machine Gun Kelly, uno che di hard rock se ne intende.
I Powerdrive nascono nel 2013, ma dopo poco tempo l’attività si ferma per ricominciare nel 2015, con una line up che vede, oltre al cantante, Dr. Rock (ex Sfregio, Denial, Hastur) e Jacopo Napalm (Eligor ex Sacradis, Hastur) alle chitarre, Roby Grinder (Winternius, ex Sacradis, Sfregio, Hastur) al basso e Ylme (ex Sfregio, Lethal Poison) alla batteria.
Dopo essere stata chiusa ai Blackwave Studios quel tanto che basta per uscirsene con questa esplosiva raccolta di brani, la band piazza uno straccio dentro il serbatoio del bolide che li ha portati in giro nella notte, avvicina la fiamma dell’accendino e mentre le prime note dell’opener riempiono lo spazio, il botto e le fiamme fanno da coreografia al loro hard & heavy, pregno di rock ‘n’roll di scuola Ac/Dc, Motorhead e della scuola losangelina.
Rusty Metal si rivela un lavoro imperdibile grazie a dieci brani perfetti, dieci inni al rock’n’roll style, dai chorus che, dopo un solo ascolto, sono già lì a ronzarvi in testa, dieci candelotti di nitroglicerina dai riff scolpiti sulle tavole della legge del rock.
Solo Lady Of The Moonlight, power ballad posta a metà album, raffredda i bollenti spiriti dell’ascoltatore, travolto dalla forza dei quattro brani che danno il via al bombardamento targato Powerdrive; rilassate le membra si riparte con Serpent Seib e non ci si ferma più.
Hard To Survive, Living, il punk rock di Singin’ In The Cemetery (che tanto sa di Ramones) e la canzone autointitolata vi strapperanno un sorriso maligno: è l’ora di togliersi la cravatta, sbottonare la camicia, salire in auto e sfrecciare nella notte con l’acceleratore a tavoletta e il rock’n’roll dei Powerdrive nelle orecchie.

Tracklist
1.The road is my best friend
2.Hard to survive
3.Living hell
4.On the run
5.Moonlight lady
6.Serpent seib
7.Fire in the small club
8.Midnight dancer
9.Powerdrive
10.End of the world

Line-up
Machine Gun Miche – Vocals
Dr. Rock – Guitars
Jacopo Napalm – Guitars
Roby Grinder – Bass
Ylme – Drums

POWERDRIVE – Facebook

Wyatt Earp – Wyatt Earp

Un ottimo disco che profuma di antico, di hard pomp inglese settantiano per la precisione, calato nel nostro tempo in forma aggiornata ed impeccabile.

Provenienti da Verona, i Wyatt Earp sono all’esordio su compact.

Il nome del quintetto – composto da Leonardo Baltieri alla voce, Matteo Finato alla chitarra, Fabio Pasquali al basso, Silvio Bissa alla batteria e Flavio Martini alle tastiere – viene da quello del famoso sceriffo e cacciatore di bisonti del selvaggio West. Non si tratta però di una band southern, ma di cinque musicisti, insieme dal 2013, innamorati della storica lezione dell’hard anni Settanta e del pomp rock (Deep Purple, Uriah Heep, Kansas e Grand Funk Railroad). Una tradizione che il gruppo scaligero ripensa in chiave personale, realizzando un debutto che suona molto fresco e con ottime idee, per nulla schiavo del passato, ma capace semmai di confermarne oggi la forza espressiva e meta-temporale attraverso sei tracce che ci lasciano ben sperare in vista del futuro. Da ascoltare, in particolare, Ashes e Back From Afterworld, ma tutte le songs si attestano su un ottimo livello globale. La strada per diventare i nuovi Vanadium è quella giusta.

Tracklist
1- Dead End Road
2- Ashes
3- Live On
4- With Hindsight
5- Back From Afterworld
6- Gran Torino

Line-up
Leonardo Baltieri – voce
Matteo Finato – chitarra
Fabio Pasquali – basso
Silvio Bissa – batteria
Flavio Martini – tastiere

WYATT EARP – Facebook

Mindwalker – Burning Past

Burning Past è una piacevole sorpresa in arrivo da uno dei paesi del Sudamerica meno conosciuti in ambito metal/rock, e se amate il genere il consiglio è quello di non perdervelo.

Hard rock melodico di classe attraversato da una vena gotica e romantica per una raccolta di brani piacevolmente raffinati racchiusi in una quarantina di minuti.

Loro sono i Mindwalker, progetto del musicista peruviano Daniel Roman (Battlerage / Valkiria) e Burning Past è il secondo lavoro sulla lunga distanza dopo l’esordio licenziato un paio di anni fa (Walking Alone).
Accompagnato dal singer Chris Clancy (Mutiny Within/Wearing Scars) Roman crea un sound molto intrigante, sempre in bilico tra la decadenza romantica del gothic/dark moderno e l’hard rock melodico, con il vocalist che interpreta le tracce con il dovuto trasporto, e le tastiere che ricamano tappeti musicali su cui poggia tutta la struttura del sound.
Burning Past non rinuncia alla giusta dose di grinta hard & heavy, la chitarra tiene le ritmiche alte, specialmente nei brani più grintosi, anche se l’eleganza del songwriting fa dell’album un ottimo esempio di rock melodico.
Street Of Dust apre le danze entrando subito nel vivo, con tastiere e chitarra in evidenza così come l’ottima interpretazione di Clancy che fanno di Burned To A Crisp e Heart Of Stone piccoli gioielli gothic rock, nei quali le raffinate melodie fanno la differenza.
Cercando di trovare degli utili paragoni per i lettori, direi che siamo al cospetto di un sound che unisce le parti meno progressive dei Nightingale di Dan Swano con gli Him e i Sentenced più melodici (Chains Of Fear).
Burning Past è una piacevole sorpresa in arrivo da uno dei paesi del Sudamerica meno conosciuti in ambito metal/rock, e se amate il genere il consiglio è quello di non perdervelo.

Tracklist
1.Street Of Dust
2.Fearlessly
3.Burned To A Crisp
4.Mad World
5.Heart Of Stone
6.Puppeteers
7.I Can´t Breathe
8.Signs
9.Chains Of Fear
10.Nothing There

Line-up
Daniel Roman – Composed , recorded , mixed and mastered
Chris Clancy – Vocals
Mike Lukanz – Drums

MINDWALKER – Facebook

Toy Called God – Socialvangelism

Il gruppo riesce a mettere assieme l’heavy metal, momenti di hard rock molto piacevoli ed durezze più vicine al groove, il tutto senza fare confusione e perdere la propria identità.

Viviamo in un’epoca in cui si è smarrito il senso delle cose e in cui la vita si svolge più sui social che in strada o in famiglia.

Attraverso i social noi vendiamo una visione di noi stessi appetibile e spendibile con altre uguali a noi: tutto ciò si potrebbe chiamare Socialvangelism, come l’ultimo disco dei californiani Toy Called God. Questi americani fanno un groove metal tendente all’heavy metal con testi molto intelligenti e mai ovvi. Non cambieranno la storia della musica e non saranno mai delle stelle che faranno interminabili tour di addio alle scene, ma possono cambiarvi in meglio la giornata e far capir qualcosa in più di questo mondo, o semplicemente regalarvi qualche bel momento di metallico piacere. Il gruppo riesce a mettere assieme l’heavy metal, momenti di hard rock molto piacevoli ed durezze più vicine al groove, il tutto senza fare confusione e perdere la propria identità. Il suono è solido e ben prodotto, e loro incarnano il meglio che possa avere un gruppo underground, ovvero talento, dedizione e cose da dire. I testi sono taglienti e non fanno sconti a nessuno, soprattutto a noi stessi, nel senso che ci buttano addosso le nostri croci, specialmente quelle che seminiamo nelle nostre penosità sui social. La musica è varia e riesce a tenere vivo l’interesse e l’ascolto, con un timbro molto americano che ben si sposa con il loro suono. In definitiva Socialvangelism è un disco da ascoltare come quelli precedenti dei Toy Called God, che si confermano un gruppo valido che produce sempre dischi divertenti ed interessanti, con testi che spiccano e sono duri ed ironici al contempo. Se darete loro una possibilità non ne rimarrete certamente delusi.

Tracklist
1 United Corporations of America
2 Just You and Me
3 Punch Life in the Face
4 Nothing but a Lie
5 Stain of Mind
6 She
7 Pretend
8 Miss Me
9 Take a Bullet Not a Selfie
10 Eleanor Rigby
11 #Socialvangelism

Line-up
Marcus Lance – Vox
Jacob Baptista- drums
Damian Lewin – bass
Patrick Donovan – guitar

TOY CALLED GOD – Facebook

Pat Heaven – To Heaven Again

Un pezzo importante nella storia dell’hard & heavy made in Italy, ristampato su CD in formato 45 giri da collezione.

Una ristampa attesa trent’anni.

I goriziani Pat Heaven nacquero nel 1986 e si conquistarono presto un folto seguito, anche e soprattutto grazie alla attività concertistica, in Italia e non solo (suonarono anche nell’allora Jugoslavia). Una vera rarità divenne il loro unico disco, uscito in tiratura limitata per la Docam nel 1988. E a tiratura limitata è anche questa fondamentale riedizione, che esce grazie alla Andromeda Relix di Gianni Della Cioppa. Il quintetto era composto da Massimo Deviter (alla voce), Roberto Gattolin (alla chitarra), Luca Collovati (al basso), Gianandrea Garancini (batteria) e Dario Trevisan (alle tastiere). Il loro era un ottimo hard rock, sulla scia di Deep Purple e Rainbow e, quindi, giocato sull’interplay chitarra-tastiere, tra parti rocciose e melodie accattivanti, figlio della grande tradizione inglese degli anni Settanta e dei primi Ottanta. All’epoca non furono in moltissimi a poterlo apprezzare, il che rende questa benemerita ristampa ancora più interessante, testimonianza di quanto ricca e florida fosse la scena hard & heavy nostrana lungo gli Eighties. Un disco che non potrà non incontrare, pertanto, i favori di tutti coloro che amano senza riserve l’hard rock più puro e classico. Possiamo così riscoprire un’altra grande voce italiana del passato. Quel passato che, come diceva William Faulkner, non passa mai. Giustamente e per fortuna, aggiungiamo noi non senza una grande gioia. Dedicato al tastierista del gruppo, Dario Trevisan, da poco scomparso.

Tracklist
1 Runnin’ Alone
2 The Rush of the Thunder
3 Loneliness of Rock
4 Zero
5 Don’t You Know
6 Never Cry
7 Hope For a Man
8 The Rush of the Thunder (reprise)
9 The Second
10 Here Is My Love
11 Hey You
12 Reach Me Now
13 Doctor Doctor
14 Break in the Cages
15 Mistreated

Line-up
Massimo Deviter – voce
Roberto Gattolin – chitarra
Luca Collovati – basso
Gianandrea Garancini – batteria
Dario Trevisan – tastiere

PAT HEAVEN – Facebook

Bad Bones – High Rollers

High Rollers è un disco composto da dieci hit che non risparmiano grinta ed energia, sprizzando attitudine da tutti i pori, valorizzati poi da melodie ruffiane ed irresistibili: una vere bomba hard rock che vi esploderà tra le mani in questo autunno che si preannuncia caldissimo.

Torna una delle band più rappresentative dell’hard rock targato Italia, i piemontesi Bad Bones, al quinto album licenziato dall’attivissima Sliptrick Records.

Prodotto da due icone del metal tricolore come Simone Mularoni e Roberto Tiranti, il nuovo lavoro sfodera una sagacia compositiva straordinaria vantando una raccolta di brani entusiasmanti, adrenalinici, potenti e dal grande appeal, grazie ad una valanga di melodie che travolgono l’ascoltatore, impegnato a dimenarsi e cantare i ritornelli dopo un paio di ascolti.
High Rollers è un album duro e roccioso, uno tsunami di riff che si collocano tra gli anni settanta ed il decennio successivo, con atmosfere che passano agevolmente dalla polvere delle highways della frontiera a quelle dei locali del Sunset Boulevard, ed una serie di tracce che dall’opener e singolo American Days arrivano fino alla semi ballad Solitary Fields in un crescendo rock ‘n’ roll per poi lasciare alla fine dell’ascolto tanta soddisfazione ed un pizzico di nostalgia.
Con il proprio sound rude e melodico, perfettamente bilanciato tra le due caratteristiche, il gruppo piemontese un po’ di anni fa avrebbe fatto sfracelli, transitando regolarmente sui canali musicali grazie a brani magnifici come Wild Rose, Blood TrailsRock’ n Me.
High Rollers è un disco composto da dieci hit che non risparmiano grinta ed energia, sprizzando attitudine da tutti i pori, valorizzati poi da melodie ruffiane ed irresistibili: una vera bomba hard rock che vi esploderà tra le mani in questo autunno che si preannuncia caldissimo.

Tracklist
1 American Days
2 Lost Again
3 Wild Rose
4 Midnight Rider
5 Solitary Fields
6 Now Or Never
7 Blood Trails
8 Wolf Town
9 Story Of A Broken Bone
10 Rock’ N Me

Line-up
Max Malmerenda – vocals
Sergio Aschieris – guitar
Steve Balocco – bass guitar
Lele Balocco – drums

BAD BONES – Facebook

Blood Of The Sun – Blood’s Thicker Than Love

I Blood Of The Sun non si lasciano attrarre troppo dalle lisergiche atmosfere desertiche, ma strappano il segreto del successo di Led Zeppelin e Deep Purple, facendo propria la lezione e personalizzandola con un’overdose di rock ‘n’ roll straordinariamente vintage, assolutamente irriverente e devoto al sound settantiano.

Danno letteralmente spettacolo i Blood Of The Sun, sestetto americano che, infilato a forza nel calderone stoner rock, si dimostra una straordinaria hard rock/blues band rifilando in questo ultimo lavoro una serie di sei lunghi brani che definire irresistibili è un eufemismo, almeno per chi ama questo tipo di sonorità.

I Blood Of The Sun non si lasciano attrarre troppo dalle lisergiche atmosfere desertiche, ma strappano il segreto del successo di Led Zeppelin e Deep Purple, facendo propria la lezione e personalizzandola con un’overdose di rock ‘n’ roll straordinariamente vintage, assolutamente irriverente e devoto al sound settantiano.
Non ci sono momenti di stanca in questa raccolta di brani dalla potenza rock di un carro armato impazzito, con le tastiere che dettano tempi, creando tappeti atmosferici potenziati dai riff e da ritmiche sferzanti che, ad ogni passaggio, soffocano chi osa ribellarsi al potere del rock.
Keep The Lemmy’s Coming è l’opener, un biglietto da visita diretto come una serie di pugni in pieno volto, My Time non lascia spazio, si trattiene il fiato e si corre su autostrade sulle quali gli autovelox vengono bruciati, prima che Air Rises As You Drown si impossessi delle nostre anime in un rincorrersi tra chitarre e tastiere, e Staned Glass Window si presenti come un blues sporco di sabbia e whiskey.
Blood Of The Road è un blues rock che, in un crescendo di atmosfere desertiche ed on the road, ricorda gli Steppenwolf, in una jam tremendamente coinvolgente e con le tastiere di Dave Gryder vere mattatrici di questo bellissimo lavoro.
Irresistibile e benedetto dal rock’n’roll, Blood’s Thicker Than Love è uno dei lavori più belli dell’ultimo periodo per quanto riguarda i suoni vintage.

Tracklist
1.Keep The Lemmys Comin’
2.My Time
3.Livin’ For The Night
4.Air Rises As You Drown
5.Staned Glass Window
6.Blood Of The Road

Line-up
Henry Vasquez – Drums, vocals
Dave Gryder – Keyboards
Wyatt Burton – Guitar
Alex Johnson – Guitar, vocals
Roger “Kip” Yma – Bass
Sean Vargas – Vocals

BLOOD OF THE SUN – Facebook

Electric Boys – The Ghost Ward Diaries

The Ghost Ward Diaries è un robusto e sano disco di hard rock, con buone melodie e molte canzoni che potrebbero essere tranquillamente dei singoli e, soprattutto, un disco molto divertente e ben fatto.

Gli svedesi Electric Boys sono un gruppo di hard rock, con forti radici negli anni sessanta e settanta, in giro dal lontano 1988 per separarsi nel 1994 e, quindi, riformarsi nel 2009 per riproporsi ancora molto validi come testimonia questo buona ultima uscita.

Il loro giardino è l’hard rock tendente al glam, più classico rispetto agli Hanoi Rocks con i quali condividono il chitarrista e cantante Conny Bloom e il bassista Andy Christell. In mezzo a tutto ciò i nostri non hanno perso l’attitudine hard rock e, anzi, con l’avanzare degli anni migliorano, anche se il music business è cambiato moltissimo dai tempi del loro debutto Funk-O-Metal Carpet Ride, prodotto dal celeberrimo Bob Rock, che arrivò al numero venti di Billboard e fu in heavy rotation su Mtv. Molte cose sono cambiate, ma non la qualità e la passione del combo svedese, che anche grazie ad una buona produzione produce un album che soddisferà anche i palati più fini dell’hard rock. I testi possiedono anche una discreta dose di ironia, il che rende il tutto ancora più piacevole, così come il ricorso assai gradevole alle voci e cori femminili, il tutto sempre in maniera credibile. Gli svedesi sono anche piacevoli dal vivo, come possono testimoniare i passeggeri della crociera Monsters O f Rocks, a cui i nostri hanno preso parte nel 2017, riscuotendo un ottimo successo. The Ghost Ward Diaries è un robusto e sano disco di hard rock, con buone melodie e molte canzoni che potrebbero essere tranquillamente dei singoli e, soprattutto, un disco molto divertente e ben fatto. L’hard rock di qualità è un genere che non morirà mai grazie a gruppi come gli Electric Boys.

Tracklist
01. Hangover In Hannover
02. There She Goes Again
03. You Spark My Heart
04. Love Is A Funny Feeling
05. Gone Gone Gone
06. Swampmotofrog
07. First The Money, Then The Honey
08. Rich Man, Poor Man
09. Knocked Out By Tyson
10. One Of The Fallen Angels

Line-up
Conny Bloom – Guitaris, Vocals
Andy Christell- Bassist
Franco Santunione – Guitars
Niclas Sigevall – Drums
Jolle Atlagic – Drums

ELECTRIC BOYS – Facebook

Hence – Hence

Licenziato dalla Volcano Records, questo omonimo ep di debutto si compone di cinque brani che si rifanno ai generi descritti, con quel tocco attuale che si traduce in una potenza controllata lasciata libera di esprimersi in un contesto indie rock raffinato.

Il mondo del rock alternativo è più vasto di quello che si può credere superficialmente, essendo capace di superare confini musicali all’apparenza irraggiungibili.

Dal rock duro al crossover, dall’indie al noise, passando dal post dark e dalla new wave, per non dimenticare le ultime tendenze progressive, il rock ha molte strade per esprimersi, ed una di queste porta nella provincia di Reggio Emilia da dove provengono gli Hence.
Attivo prima come Wheresmyplanet, il trio composto da Francesco Giro (batteria), Filippo Bonacini (chitarra) e Matteo Iotti (basso) ha unito le forze con il tastierista Edoardo Vandelli creando questa nuova realtà musicale che si muove nel mondo del rock alternativo con il passo elegante del post rock e della new wave.
Licenziato dalla Volcano Records, questo omonimo ep di debutto si compone di cinque brani che si rifanno ai generi descritti, con quel tocco attuale che si traduce in una potenza controllata lasciata libera di esprimersi in un contesto indie rock raffinato.
Seguendo le note alternative, a tratti liquide e sfumate di elettronica che compongono piacevoli brani come Castaway, l’indie rock dell’opener From a Star to AnotherOne o della conclusiva Untitled, ci si ritrova nel mondo colorato di tenui colori rock del gruppo emiliano, in parte graffiato da chitarre più robuste, o valorizzato dal pop/rock del gioiellino Letters From The End Of The World, brano emozionante nel suo crescendo emotivo nel quale non viene smarrita un’oncia dell’innata eleganza compositiva degli Hence, gruppo decisamente consigliato agli amanti dei suoni indie rock ed alternativi.

Tracklist
Edoardo Vandelli – Keyboards, Synth, Lead Vocals
Filippo Bonacini – Guitar, Backing Vocals
Matteo Iotti – Bass Guitar, Backing Vocals
Francesco Giro – Drums, Pads

Line-up
1.From a Star to AnotherOne
2.I’ve Been Looking Inside of Me
3.Letters from the End of the World
4.Castaway
5.Untitled

HENCE – Facebook

Hardcore Superstar – You Can’t Kill My Rock’N Roll

You Can’t Kill My Rock’N Roll si mantiene su livelli consoni alla fama del gruppo, arrivando alla fine senza intoppi e con una manciata di canzoni, quindi i fans del gruppo possono dormire sonni tranquilli, almeno finché il tasto play non darà nuovamente fuoco alla miccia del rock’n’roll targata Hardcore Superstar.

Turbonegro, The Hellacopters, Gluecifer, Backyard Babies e Hardcore Superstar sono solo le più importanti e seguite band, in arrivo dalla Scandinavia, che presero a spallate il mercato discografico tra la fine degli anni novanta e l’inizio del nuovo millennio a suon di rock’n’roll irriverente, esagerato, ribelle ed assolutamente travolgente.

Come sempre succede nel mondo del rock, finita la scorpacciata, andò scemando l’entusiasmo per questa nuova ondata di band che, ognuna con il proprio stile, tornava a battere le strade sporche che videro diversi anni prima gli Hanoi Rocks quali sovrani incontrastati,.
Ne è passato di tempo da quando gli Hardcore Superstar irruppero sul mercato con Bad Snakers And A Pina Colada, seguito dall’ottimo Thank You (For Letting Us Be Ourselves): un ventennio circa ed altri otto album, nove con questo dinamitardo lavoro intitolato You Can’t Kill My Rock’N Roll.
Ovvio che l’entusiasmo dei primi anni del millennio abbia lasciato al mestiere e all’esperienza il comando delle operazioni: la band di Goteborg risulta comunque una garanzia di divertimento, anche se nel corso della carriera qualche passo falso c’è stato.
Per i fans del gruppo il nuovo lavoro permette di godere degli Hardcore Superstar in una delle vesti migliori degli ultimi tempi: Jocke Berg e soci sono tornati con un songwriting ottimo e per lunga parte di You Can’t Kill My Rock’N Roll si respira aria di potenziale hit ad ogni traccia.
Prodotto dal gruppo nei pressi di Goteborg e mixato a Stoccolma da Dino Medanhodzic, l’album si presenta con l’irriverente copertina dove tre suore votate al rock fumano e bevono, magari ascoltando la band, intenta a darci dentro con Electric Rider o con i riff metal delle possenti My Sanctuary e Hit Me Where It Hurts.
It’s only rock ‘n’roll, mai frase può risultare più adatta per The Others, uno dei brani più belli dell’album, e Baboon, uno dei singoli già usciti sul mercato per alzare il livello di attesa tra i fans del gruppo.
L’album, come scritto, si mantiene su livelli consoni alla fama del gruppo, arrivando alla fine senza intoppi e con una manciata di canzoni irresistibili (da citare ancora Have Mercy On Me), quindi i fans del gruppo possono dormire sonni tranquilli, almeno finché il tasto play non darà nuovamente fuoco alla miccia del rock’n’roll targata Hardcore Superstar.

Tracklist
1.ADHD
2.Electric Rider
3.My Sanctuary
4.Hit Me Where It Hurts
5.YCKMRNR
6.The Others
7.Have Mercy On Me
8.Never Carred For Snobbery
9.Baboon
10.Bring The House Down
11.Medicine Man
12.Goodbye

Line-up
Jocke Berg – Vocals
Vic Zino – Guitars
Martin Sandvick – Bass
Adde Andreasson – Drums

HARDCORE SUPERSTAR – Facebook

The Vintage Caravan – Gateways

La formula del trio nato nel gelido nord è un caldo hard rock psichedelico, infarcito di riff che passano dalla potenza del mito sabbathiano al blues rock zeppeliniano fino a fumose melodie stoner, finendo per lasciare agli ascoltatori un tocco moderno e belle canzoni.

Il revival dell’hard rock di matrice settantiana continua a regalare ottimi gruppi e album da custodire gelosamente sotto l’etichetta vintage.

Non me ne vogliano i tanti gruppi che dalla Scandinavia agli Stati Uniti si sono dedicati al ritorno del sound che ha fatto grandi icone come Led Zeppelin, Jimi Hendrix, Black Sabbath o Deep Purple, ma l’aggettivo in questione riassume perfettamente l’attitudine di band come i The Vintage Caravan, provenienti dall’Islanda e al quarto lavoro in uscita per Nuclear Blast.
La formula del trio nato nel gelido nord è un caldo hard rock psichedelico, infarcito di riff che passano dalla potenza del mito sabbathiano al blues rock zeppeliniano fino a fumose melodie stoner, finendo per lasciare agli ascoltatori un tocco moderno e belle canzoni.
Óskar Logi (chitarra e voce), Alex Örn (basso) e Stefán Ari (betteria), come i Blues Pills o i Radio Moscow, tornano alle origini del rock duro, lo drogano di psichedelia e blues acido, lo potenziano con riff pesanti come incudini e ci ricamano sopra solos hendrixiani, per un risultato assolutamente cool, almeno per questi tempi che, come già scritto in precedenza, sono già da un po’ forieri di ventate revivaliste, dopo tanto modern rock e metal dei primi anni del millennio.
Gateways è un buon lavoro, i brani mantengono un appeal assolutamente conforme ai gusti dei rockers senza affondare troppo le componenti psichedeliche, e i brani ci guadagnano in scorrevolezza, formando una raccolta di tracce che dall’opener Set Your Light, passando per Reflections e il blues di All This Time centrano il bersaglio, dirette e senza indugi.
Nebula apre la parentesi trip stoner/psych rock, rivelandosi una jam settantiana dalle melodie che passeggiano su nuvole di vapore che si tramutano in gocce di drammatico blues acido: a seguire Farewell e Tune Out, per una chiusura sicuramente più psichedelica rispetto a quanto ascoltato in precedenza, anche se la componente melodica rimane in primo piano.
Album che farà la gioia degli amanti dei suoni vintage, Gateways non concede pause e risulta un lavoro piacevole, in particolare se si è amanti dei gruppi storici citati precedentemente.

Tracklist
1. Set Your Sights
2. The Way
3. Reflections
4. On The Run
5. All This Time
6. Hidden Streams
7. Reset
8. Nebula
9. Farewell
10. Tune Out

Line-up
Óskar Logi – Guitar, Vocals
Alex Örn – Bass
Stefán Ari – Drums

THE VINTAGE CARAVAN – Facebook