Horisont – About Time

About Time è un ottimo oldies but goldies, una raccolta di tracce che sanno splendidamente di già sentito nel loro replicare le atmosfere della musica dei mostri sacri del genere, ma per gli Horisont il tutto funziona al meglio.

Classic rock proveniente dalla Scandinavia, vintage quanto si vuole, ma molto coinvolgente.

Gli Horisont confermano quanto di buono fatto in passato e, superati i dieci anni di attività, tornano sul mercato con un altro bellissimo lavoro.
About Time segue di due anni il concept fantascientifico creato con Odyssey e si torna indietro al classic hard rock suonato dai gruppi storici del genere a cavallo tra gli anni settanta ed il decennio successivo.
La bontà della proposta del gruppo svedese sta nel non affidarsi ad un’unica ispirazione, assecondando invece le varie influenze che di fatto costituiscono lo zoccolo duro, non solo del sound ad appannaggio della band, ma di chiunque ami l’hard rock classico.
Quindi, oltre all’uso perfetto dei chorus che, nell’opener The Hive, sanno tanto di opera rock, le ottime cavalcate classic metal, genere contiguo ma qui sottomesso al più maturo rock duro, predominano nelle trame degli Horisont che fanno spallucce all’originalità e se ne escono con dieci brani in cui, tra le loro note, si sprecano riferimenti a Uriah Heep, Scorpions, Thin Lizzy, Led Zeppelin ed addirittura Who in versione progressiva (la stupenda Point Of Return).
About Time è un ottimo oldies but goldies, una raccolta di tracce che sanno splendidamente di già sentito nel loro replicare le atmosfere della musica dei mostri sacri del genere, o almeno una buona parte di essi, ma per il gruppo svedese il tutto funziona al meglioe l’album si rivela una vera goduria per gli amanti dei suoni classic rock.
Electrical, il blues lynottiano di Night Line, l’hard rock purpleiano della drammatica ed intensa Hungry Love, ed il blues progressivo della title track, sono delle piccole gemme musicali, magari datate nel loro spirito old school ma tremendamente affascinanti.

TRACKLIST
1. The Hive
2. Electrical
3. Withour Warning
4. Letare
5. Night Line
6. Point Of Return
7. Boston Gold
8. Hungry Love
9. Dark Sides
10. About Time

LINE-UP
Axel – Vocals
Charles – Guitar
David – Guitar
Magnus – Bass
Pontus – Drums

HORISONT – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO
e l’album risulta una vera goduria per gli amanti dei suoni classic rock.

AFI – The Blood Album

Gli AFI sicuramente non sono inferiori a molti gruppi odierni, anzi, ma qui sembrano la brutta copia di un gruppo emo punk odierno, loro che hanno scritto grandi pagine di musica.

Decimo disco in studio per i veterani AFI, ed è subito un gran successo commerciale, se oggi si può ancora parlare di successo commerciale per un disco.

The Blood Album arriva quattro anni dopo Burials, ed è un album di cui francamente non se ne sentiva il bisogno. Gli AFI in passato sono stati un grande gruppo di punk hardcore melodico con molte influenze esterne, dal gothic al dark in stile The Cure, ed erano riusciti ad essere uno dei gruppi più interessanti nel panorama del boom del punk negli anni novanta e duemila. In tanti si sono emozionati ascoltando gli AFI, e tanti lo faranno ancora adesso. Ma c’è una grande differenza fra il prima ed il dopo degli AFI, poiché i dischi precedenti erano di buona qualità, mentre questo disco è pieno di commercialità, piattezza e ritornelli tutti uguali, per un prodotto davvero medio basso. Le canzoni sembrano tutte uguali e quando non lo sono è perché, per brevi istanti, riecheggiano i vecchi fasti, ma sono davvero pochi momenti. Gli AFI sicuramente non sono inferiori a molti gruppi odierni, anzi, ma qui sembrano la brutta copia di un gruppo emo punk, loro che hanno scritto grandi pagine di musica. E’ un gran peccato ascoltarli così, ma ora sono anche più famosi rispetto a prima e ciò la dice lunga sui tempi musicali (e non) che stiamo vivendo.

TRACKLIST
1. Dark Snow
2. Still a Stranger
3. Aurelia
4. Hidden Knives
5. Get Hurt
6. Above the Bridge
7. So Beneath You
8. Snow Cats
9. Dumb Kids
10. Pink Eyes
11. Feed from the Floor
12. White Offerings
13. She Speaks the Language
14. The Wind That Carries Me Away

LINE-UP
Davey Havok – vocals
Jade Puget – guitars
Hunter Burgan – bass
Adam Carson – drums

AFI – Facebook

Fabio La Manna – EBE

In EBE potrete trovare progressive metal, progressive rock, post rock e ambient, il tutto perfettamente inglobato in un’opera davvero riuscita, complimenti.

Godere di opere progressive in tempi come questi, in cui la musica si è adeguata allo scorrere velocissimo del tempo senza dare più tempo alle persone di metabolizzare alcunché, diviene un rito a cui purtroppo pochi si assoggettano, consumati dall’usa e getta abituale purtroppo anche nella musica rock.

E così diventa una battaglia contro i mulini a vento cercare di raccontare a chi non è amante dei suoni progressivi un album come EBE, ancora di più se pensiamo ad un opera strumentale.
La musica dell’album si sviluppa su un concept fantascientifico e sull’incontro con UFO ed altre civiltà, ed è stato creato dal musicista Fabio La Manna, polistrumentista con un passato nei metal progsters Alchemy Room e nei My Craving, band gothic rock.
EBE è il secondo album solista, successore di Res Parallela uscito nel 2013, in cui La Manna si avvalse dell’aiuto del batterista Andy Monge, come in questo ultimo lavoro, mentre per le uscite live è prevista l’entrata in formazione di un bassista nella persona di Fausto Poda.
EBE è un viaggio tra mondi e civiltà perdute in compagnia del talentuoso musicista e compositore nostrano, che non lascia dubbi sulle sue notevoli capacità di creare musica strumentale senza scadere in una semplice dimostrazione tecnica, ma lasciando che ha parlare siano le emozioni.
Un album progressive tout court che mantiene un approccio classico, solo a tratti attraversato da venti metallici, provenienti da pianeti sconosciuti, mentre accenni alla musica progressiva dai rimandi settantiani guidano l’ascoltatore, poi deliziato da una musica che riesce a descrivere situazioni e scenari fuori dai nostri canoni grazie allo spartoto di brani come la bellissima title track , l’incedere doomy di Elohim Song o i raffinati ricami dell’elegante Starchild.
Come suggerisce Fabio La Manna in sede di presentazione all’album, su EBE potrete trovare progressive metal, progressive rock, post rock e ambient il tutto perfettamente inglobato in un’opera davvero riuscita, complimenti.

TRACKLIST
1.Being Of Light
2.EBE
3.Closer
4.In Love And Silence
5.Elohim Song
6.The Little People
7.The Vanishing Of Enoch
8.Starchild
9.Luna2

LINE-UP
Fabio La Manna – All Instruments
Andy Monge – Drums

FABIO LA MANNA – Facebook

Black Rainbows – Carmina Diabolo

Carmina Diabolo è forse il loro disco maggiormente duro, con meno spazio alla psichedelia rispetto ad altri momenti, qui c’è più velocità ed aderenza al verbo desertico.

Dolcissimo perdersi nuovamente nella musica di Carmina Diabolo dei romani Black Rainbows, che riassumono molto bene il meglio della musica pesante psichedelica.

Una delle caratteristiche migliori del trio è quella di saper sintetizzare in ottima maniera generi diversi, riproponendo il tutto in maniera personale ed originale. La cosa che risalta maggiormente è però il loro groove, poiché quando suonano sembra di avere davanti una ragazza sinuosa che balla musiche lascive e sensuali, e si viaggia lontano, perché bisogna abbandonarsi a questa musica. Riascoltando Carmina Diabolo, alla luce degli album successivi, si rimane stupiti della maturità musicale del progetto romano fin dagli inizi. Certamente il loro suono deriva da grandi nomi come Kyuss, Mc5, Hawkwind ed altri, ma il novanta per cento del risultato è loro. Le canzoni sono strutturate molto bene e sono delle jam portate in fondo e perfezionate. La musica ipnotica e coinvolgente del trio romano è un qualcosa che è uscito molto presto dall’Italia, basti vedere dove hanno suonato nella loro carriera, e per non smentirsi ora sono in America, terra che li ama, poiché i Black Rainbows non sbagliano un disco, cosa che non si può affermare per molti gruppi a stelle e strisce. Carmina Diabolo è forse il loro disco maggiormente duro, con meno spazio alla psichedelia rispetto ad altri momenti, qui c’è più velocità ed aderenza al verbo desertico. Sia come sia, è davvero un gran disco, che doveva essere ristampato perché stava diventando difficile trovarlo, e per un lavoro così ne vale davvero la pena.

TRACKLIST
1.himalaya
2.babylon
3.under the sun
4.what’s in your head
5.bulls & bones
6.carmen diabolo
7.in the city
8.return to volturn
9.the witch
10.space kingdom

LINE-UP
GABRIELE FIORI
ALBERTO CROCE
GIUSEPPE GUGLIELMINO

BLACK RAINBOW – Facebook

The Hero – Miracles

Dopo tanto metal estremo, farsi cullare tra le note dark/gotiche dei The Hero, magari in compagnia di una affascinante creatura della notte, è un toccasana irrinunciabile.

Arrivano da Stoccolma i The Hero, band melodic metal con influenze gotiche, alle prese con Miracles, album che non lascia dubbi sulle loro ispirazioni, mentre scorrono una ad una varie band che si sono affacciate sul mercato negli ultimi venti/venticinque anni.

Voce profonda ed espressiva, chitarre e ritmiche a tratti potenti e con qualche accenno al groove tanto di moda di questi tempi, giri di piano malinconici e dark fanno di Miracles un buon album sia per gli appassionati di sonorità gothic/dark che hard rock.
L’ascolto rimane piacevole, tra dolci armonie notturne e riff che accentuano non poco la componente hard rock, con qualche brano che sopra agli altri alza la media, come la title track, Via Dolorosa, Corpus Christi (in stile Saviour Machine) e la super melodica Crying In The Rain.
Inutile scrivere che l’originalità non abita tra le note di Miracles, ma se siete amanti di Him, ultimi Sentenced e Saviour Machine l’ album possiede spunti e sfumature interessanti ed una facilità d’ascolto che conferisce alle tracce la virtù di entrare subito in sintonia con l’ascoltatore.
Dopo tanto metal estremo, farsi cullare tra le note dark/gotiche dei The Hero, magari in compagnia di una affascinante creatura della notte, è un toccasana irrinunciabile.

TRACKLIST
1.Kill the Monster
2.The Broken Hearted
3.Miracles
4.Tell the World
5.Via Dolorosa
6.Corpus Christi
7.Melancholiah
8.Crying In the Rain
9.Join Me in Life
10.When Evil Blooms
11.Shot
12.Mr Rigot Mortis
13.Viva Victoria
14.The Swedish National Anthem

LINE-UP
Michael Hero – Lead Vocals & Guitar
Daniel Mouton – Drums & Vocals
Emanuel Wärja – Guitar & Vocals
Henrik Deleskog – Bass

THE HERO – Facebook

Wolvennest – Wolvennest

I belgi Wolvennest arrivano in punta di piedi ad illuminare repentinamente questo inizio di 2017 con un album di rara bellezza.

I Wolvennest arrivano in punta di piedi ad illuminare repentinamente questo inizio di 2017 con un album di rara bellezza.

La band raccoglie un manipolo di musicisti belgi ai quali si aggiunge, con un contributo sonoro e compositivo, niente meno che Albin Julius (Der Blutharsch), uno dei maggiori esponenti di quella che fu alla fine del secolo scorso la scena martial – neo folk.
Il risultato è un qualcosa di stupefacente, perché il sound in questo lavoro si dipana da una base fondamentalmente non lontana dal doom, per poi svilupparsi verso coordinate atmosferiche che lo portano a veleggiare ben al di sopra delle definizioni di genere.
Il combo belga, come prevedibile, non si attiene ad una scontata forma canzone lasciando che la musica fluisca ora solenne, come nell’opener Unreal, ora più orientata ad una forma di ambient avvolgente (Partir), arrivando ad una forma di ossessiva ritualità in Out Of Darkness Deep, traccia posseduta da un chitarrismo psichedelico che si spinge oltre i venti minuti di durata.
Gli interventi vocali, affidati alla tastierista Shazzula, sono misurati ed efficaci, costituendo in fondo il solo sottile collegamento ad un certo tipo di doom alla Jex Thoth-Blood Ceremony, in virtù del suo particolare timbro vocale, ma i nostri sono fondamentalmente una band capace di esprimere al meglio il proprio sentire musicale attraverso diluite e spesso sperimentali parti strumentali, in più di un caso accostabili anche al kraut rock.
L’opera prima autointitolata dei Wolvennest è una prova di spessore ben oltre la media, in quanto possiede il dono di non tediare nonostante sia caratterizzata da una ridotta fruibilità, e potrebbe trovare consensi trasversali rispetto ai generi, sempre che chi ascolta sia disposto a farsi sommergere per quasi un’ora da quest’onda sonora.

Tracklist:
1. Unreal
2. Partir
3. Tief Unter
4. Out Of Darkness Deep
5. Nuit Noire de L’Âme

Line-up:
Michel Kirby – guitars
Corvus von Burtle – guitars
Marc De Backer – guitars
John Marx – bass
Shazzula – vocals, synth
Jason Van Gullick – drums

WOLVENNEST – Facebook

Capuchin Punks – Metal Dalla Cripta Dei Monaci

“Volevamo fare i Misfits inserendovi qualche riff preso in prestito da mister Iommi, ma non ci siamo riusciti”, forse questo titolo era più lungo ma sicuramente più adatto.

Ci sono o ci fanno i Capuchin Punks?

Il quintetto americano proveniente dal Missouri per il suo debutto usa un titolo in lingua italiana e prende ispirazione da un luogo sacro ubicato nella nostra capitale.
Metal Dalla Cripta Dei Monaci si riferisce, infatti, alla cripta che si trova sotto la chiesa di santa Maria della Concezione a Roma, costruita dai frati cappuccini, una tomba decorata con i resti dei loro fratelli religiosi.
Titolo ed ispirazione così originale non vanno però di pari passo con la musica prodotta dal gruppo, un miscuglio neanche troppo riuscito di heavy metal, hard rock e punk, con qualche atmosfera rallentata dai richiami sabbatiani, prodotto che sembra arrivare davvero dalla cripta e con una cantante monocorde che appiattisce il sound non certo eccelso del gruppo statunitense.
Il punk rock è forse il genere in cui la band riesce ad essere più convincente, poi vine proposto un minestrone di generi che si annullano l’un l’altro senza lasciare traccia: peccato, perché l’idea iniziale non era male, ma quello che si ci aspettava era un qualcosina di più organizzato.
Accompagnato da una copertina davvero brutta, con cinque scheletri vestiti da monaci, l’album non decolla, rimanendo fermo sulla pista ad attendere che il motore si spenga ed il silenzio torni a regnare.
“Volevamo fare i Misfits inserendovi qualche riff preso in prestito da mister Iommi, ma non ci siamo riusciti”, forse questo titolo era più lungo ma sicuramente più adatto.
Lasciamo riposare in pace i monaci e passiamo oltre.

TRACKLIST
1.Rise of the Capuchins​
2.​Jet Black Chevette​
3. Martigney Creek​ ­
4.The War​
5.Dust and Ash​
6.One of Them
7.My Addiction​
8.Former Crowns​
9.Better Not Ask

LINE-UP
Donna Katherine -​ ­Vocals
Danny Nichols​­ – Guitar
Isaac Bryan​­ – Guitar
Josh Sanderson -​­ Bass, Guitar
Matt Bryan ​­- Drums

http://www.facebook.com/capuchinpunks/?fref=ts

Rudhen – Imago Octopus

Il groove di Imago Octopus è profondo e fresco, come una birra ghiacciata nel deserto che ci circonda.

Assai vasto è il mare magnum dello stoner nostrano e non solo, dato che è un genere che negli ultimi anni ha conosciuto notevole diffusione.

Partendo da questo presupposto bisogna anche dire però che molte delle band si assomigliano, dividendosi all’incirca per gruppi di influenza, con chi è più desertico, chi più sabbatico, chi più regina dell’età di pietra, però essere originali non é affatto facile. I Rudhen invece ci riescono molto bene, dando alle stampe un ep di stoner di derivazione desertica, ma con una forte anima psichedelica, e quasi prog in certi frangenti. Le canzoni dei Rudhen sono concepite come dei potenti viaggi da compiere, e la meta è quella che ognuno di noi preferisce e si crea. Raramente si ascolta un gruppo stoner con questa profondità di espressione musicale, dove una stessa traccia può mutare in diversi e multiformi disegni di luce nelle ombre. Con i Rudhen si parte e non si sa dove si arriva, ed è questo il bello. Il gruppo nasce in Veneto e tra un pub e l’altro nel 2013 si mettono insieme, nel 2014 iniziano a suonare e subito riescono a creare interesse intorno a loro, ed ascoltandoli non si fa fatica a capirne il perché. Questo loro secondo ep è sicuramente il loro lavoro più maturo e, a livello compositivo, è assai notevole: il loro suono non annoia mai, anzi si ha voglia di annidarsi comodamente in questi corridoi di suono vitaminico ed arioso. I Rudhen, grazie alle loro diverse influenze ed al loro talento, emergono nettamente dal resto degli altri gruppi ed assicurano ottimo stoner e soprattutto un grande divertimento.
Il groove di Imago Octopus è profondo e fresco, come una birra ghiacciata nel deserto che ci circonda.
La provincia colpisce ancora molto forte.

TRACKLIST
1.Sorrow For Your Life
2.Rust
3.Flying Into the Mirror
4.Lost
5.Arabian Drag

LINE-UP
Alessandro Groppo – Voice
Fabio Torresan – Guitar
Maci Piovesan – Bass
Luca De Gaspari – Drums

RUDHEN – Facebook

Fankaz – Seities

Tanta melodia ed un’equilibrata durezza per un disco che fa star bene e che davvero ci voleva. Lasciatevi andare, al resto ci pensano i Fankaz.

I Fankaz pubblicano un disco che riallinea le stelle e il globo terracqueo con l’hardcore melodico, genere troppo spesso stuprato da ignoranti senza arte né parte.

I Fankaz hanno qualcosa in più rispetto alle altre band del genere e lo si sente subito, grazie anche alla loro grande padronanza tecnica, che li porta ad eccellere. Il disco sarà uno dei più grandi successi che la vostra cameretta abbia mai visto, con dita alzate e cori che volano, e tanto tanto amore. Finalmente con un disco come Seities ci si può abbandonare alla musica, lasciando da parte generi, sottogeneri, pose o dichiarazioni rilasciate all’asilo dal cantante o in piscina a nove anni dal bassista. Questo è un disco da godere, abbandonarsi e lasciarsi andare, nella migliore tradizione dell’hardcore melodico tecnico. Una delle loro maggiori ispirazioni, e lo dichiarano anche loro, sono i magnifici Belvedere, un gruppo canadese di hardcore melodico fatto con gran tecnica che è un piacere solo pronunciarne il nome. E i Fankaz sono anche meglio in alcuni frangenti. Questi ragazzi, che sono già in giro da un po’, hanno un sacco di registri e di idee, ma soprattutto emozionano e hanno quel suono che è davvero bello risentire riproposto in questa maniera, così appassionata e competente. Musica da adolescenti ? No di certo, perché le emozioni non devono avere età, e risentire che da qualche parte battono ancora i cuori al ritmo di Belvedere, Lagwagon e Strung Out, non può che riempire di gioia. Seities è un disco davvero ben fatto e suonato benissimo, e dal vivo deve essere una bomba. Tanta melodia ed un’equilibrata durezza per un disco che fa star bene e che davvero ci voleva. Lasciatevi andare, al resto ci pensano i Fankaz.

TRACKLIST
01-Intro
02-Screams of Lies
03-Overwhelmed
04-I Feel Sorry
05-Broken City
06-Behind the Curtains
07-Petrified
08-My Stories
09-Something Personal
10-Day by Day
11-Fale Witness
12-Symptoms

LINE-UP
RICKY – Guitar – Voice
ELIO – Guitar – Voice
MORA – Bass – Voice
POLE – Drums

FANKAZ – Facebook

Paolo Baltaro – The Day After the Night Before

The Day After the Night Before va scoperto piano, senza fretta, abbandonandosi tra le note di questi splendidi brani.

Certo che la scena underground nazionale non smette di regalare sorprese e così, lasciando per un attimo la frangia metallica ed estrema, ci facciamo travolgere dalla musica totale del polistrumentista Paolo Baltaro, al secondo album da solista dopo i trascorsi con varie band, tra le quali Arcansiel, Mhmm, Roulette Cinese, S.A.D.O. e Sorella Maldestra.

Questo nuovo lavoro segue il debutto licenziato per Musea nel 2011 (Low Fare Flight to the Earth) ed entusiasma per la varietà della musica proposta che, se può senz’altro essere considerata come rock progressivo, è composta da una moltitudine di anime musicali perfettamente amalgamate nel suo insieme.
Ogni brano è stato composto come una colonna sonora di film inesistenti, in cui Baltaro canta e suona tutti gli strumenti aiutato da molti altri musicisti, eccetto le due versioni di Do It Again, colonna sonora reale dell’ultimo film di Ricky Mastro, in preparazione questi giorni e in uscita prevista per la prima metà del 2017, e le due cover Bike (Syd Barrett) e It’s Alright With Me (Cole Porter).
Registrato a Londra al Pkmp Soho Studios e ad Amsterdam allo Studio 150, masterizzato da Cristian Milani al Rooftop Studio di Milano, l’album è un’opera affascinante dove la parola d’ordine è stupire.
Progressivo nel più puro senso del termine, The Day After the Night Before – Original Soundtracks for Imaginary Movies si compone di una dozzina di brani l’uno diverso dall’altro, l’uno più intrigante dell’altro, dove il musicista nostrano vola oltre i confini ed i muri costruiti per imprigionare i generi, per raccogliere il meglio che la musica rock può offrire donandolo all’ascoltatore.
Dagli anni settanta ai giorni nostri, si compie un viaggio su una nuvola di note che solca il cielo mentre progressive, jazz, rock e fusion compongono quella che risulta di fatto un’opera rock.
Preparatevi all’ascolto dell’album come se doveste incontrare in una quarantina di minuti tutti gli artisti e musicisti che hanno segnato la storia della nostra musica preferita, dai Pink Floyd, ai Beatles, da Jimi Hendrix a Frank Zappa: in totale libertà artistica e con una facilità disarmante Paolo ce li presenta tutti prima che il loro contributo, tradotto in ispirazione, lasci un segno indelebile su questo splendido album.
The Day After the Night Before va scoperto piano, senza fretta abbandonandosi tra le note di questi splendidi brani: l’opera è scaricabile dal sito del musicista (www.paolobaltaro.com), mentre è disponibile all’acquisto la versione in vinile più cd, quindi non ci sono scuse per perdersi un lavoro di questa portata.

TRACKLIST
1.Do It Again (Acoustic Version)
2.Postcard From Hell
3.Cole Porter At Frankz’s Birthday Party
4.Goodnight
5.Another Sunny Day
6.Bike
7.Nowhere Street Part II
8.Pills
9.Silent Song
10.It’s All Right With Me
11.Do It Again (Electric Version)
12.Revolution N.13-11 (Hidden Track)

LINE-UP
Paolo Baltaro – Vocals, all Instruments
Andrea Beccaro – Drums
Andrea Fontana – Drums
Alessandro De Crescenzo – Guitars
Paolo Sala – Guitars
Gabriele Ferro – Guitars
Gabriel Delta – Guitars
Simone Morandotti – Piano
Barbara Rubin – Chorus
Luca Donini – Sax, Flute
Sandro Marinoni – Sax, Flute
Alberto Mandarini – Tromba

PAOLO BALTARO – Facebook

Thrownness – The Passage And The Presence

I Thrownness hanno piazzato un primo colpo da ko, e spero ne seguano tanti altri che ci lasceranno sanguinanti e barcollanti come questo.

Totale massacro hardcore per questo giovane gruppo milanese: Thrownness è un concetto filosofico introdotto dal filosofo tedesco Heidegger, che viene dai più additato come pessimista e catastrofico, ma che invece aveva ragionato molto profondamente sulle gesta umane e ne aveva ricavato una giusta consapevolezza.

Riassumendo in breve il concetto di Thrownness, lo si può descrivere come un disagio derivante dal fatto di essere stati buttati nel mondo senza averlo potuto scegliere, e che abbiamo un disagio atavico nato per la differenza tra la vita che viviamo e quella che vorremmo vivere, quindi frustrazioni, deliri, etc. Insomma Thrownness è disagio, e il gruppo milanese col supporto del disagio fa un disco di hardcore metal clamoroso, velocissimo, molto potente e suonato con un piglio da consumati veterani, a conferma del fatto che non conta tanto la sapienza nell’hardcore ma l’importante è avere la futta, la rabbia e se la razionalizzi musicalmente ne viene fuori un disco come The Passage And The Distance. Il disco, in download libero sul bandcamp della Drown Within Records (date un’occhiata anche alle loro altre produzioni che sono tutte ottime), è un continuo fluire di lava metallicamente hardcore, con molti riferimenti a gruppi e situazioni anni novanta e anche al meglio dei duemila. No, non è metalcore, che non è un genere totalmente disprezzabile, ma qui è hardcore metal, che è un’altra roba, anche se i generi come sempre sono etichette pressoché inutili. In alcuni momenti si arriva addirittura a congiungere l’hardcore con cose come i Dillinger Escape Plan, o avvicinarsi alle dinamiche del crossover. Ciò che davvero conta è che questi ragazzi hanno fatto un grandissimo disco, trascinante e coinvolgente dal primo all’ultimo secondo, con una potenza davvero unica e un grande produzione a supportarli. I Thrownness hanno piazzato un primo colpo da ko, e spero ne seguano tanti altri che ci lasceranno sanguinanti e barcollanti come questo.

TRACKLIST
1.Verfall
2.Unclean Lips
3.The Fertile Abyss
4.Olympus of Appearance
5.Error Sewer
6.Servant and Supplicant
7.Thalassic Regression
8.Fragment of a Crucifixion, 1950

THROWNNESS – Facebook

The Ossuary – Post Mortem Blues

Bellissimo album di hard rock/doom sulla scia dei maestri settantiani da parte dei The Ossuary, band formata da musicisti della scena estrema e metallica nazionale.

Non è la prima volta che dei musicisti attivi nella scena death metal lasciano i suoni estremi per tornare indietro nel tempo, fino alla fine degli anni settanta per ricreare l’atmosfera ipnotica ed occulta di molte delle opere hard rock uscite in quel periodo, magari perse tra le nebbie di fumi illegali, basti pensare agli Spiritual Beggars ed ai trascorsi estremi dei suoi componenti.

Questa nuova band pugliese è formata da tre musicisti che facevano parte degli storici Natron, più Stefano Fiore dei Twilight Gates alla voce, si chiama The Ossuary ed è attiva da un paio d’anni.
Nell’ossario troviamo uno straordinario esempio di hard rock/doom metal dal titolo Post Mortem Blues, una messianica opera dove il blues è più concettuale che suonato, mentre aumenta la voglia di farci travolgere da questo sabba settantiano, in compagnia di un sound che, da frangia dell’hard rock, si trasformò in qualcosa di più pesante.
Post Mortem Blues è un bellissimo lavoro, il suo compito non è quello di stupirci, ma di farci vivere ancora una volta le atmosfere dei primi lavori di Black Sabbath e Pentagram, aggiungendo dosi massicce di Rainbow e Deep Purple, interpretando in maniera straordinaria i suoni rock a cavallo tra gli anni settanta ed il decennio successivo, divenuto poi il periodo d’oro dell’heavy metal che stava nascendo.
Un enciclopedia rock; questo possiamo definire l’album, con la voce di Fiore che richiama il Dio alla corte di Iommi ed il Gillan più introspettivo, mentre si passa da brani hard rock come l’opener The Curse o la melodica title track a molossi doom metal come Graves Underwater ed Evil Churns.
Band già da culto, grazie ad un album da conservare tra gli altri gioielli di un prolifico underground tricolore.

TRACKLIST
01. Black Curse
02. Witch Fire
03. Blood On The Hill
04. Graves Underwater
05. Post Mortem Blues
06. The Crowning Stone
07. Evil Churns
08. The Great Beyond

LINE-UP
Stefano “Stiv” Fiore – vocals
Domenico Mele – guitars
Dario “Captain” De Falco – bass
Max Marzocca – drums

THE OSSUARY – Facebook

Psychedelic Witchcraft – Magick Rites and Spells

Al di là del buon valore della musica contenuta, sfugge l’utilità di un’uscita retrospettiva per una band che all’attivo ha solo un Ep ed un full length.

Autori di due lavori già trattati all’epoca dal nostro Massimo Argo sulle pagine di In Your Eyes, i Psychedelic Witchcraft cercano di mantenere elevata l’attenzione nei loro confronti con l’uscita di questa raccolta che presenta, di fatto, la riedizione dell’intero Ep Black Magic Man (a sua volta già oggetto di una precedente riedizione), un brano inedito, due cover e due altre canzoni ri-registrate che erano già uscite come singolo.

In buona sostanza, i motivi di interesse reale non sono moltissimi, a meno che non si sia dei fan sfegatati della band, alla luce anche di una produzione ancora troppo scarna (oltre all’Ep, il full length The Vision del 2015) per condividere del tutto l’immissione di un simile prodotto su un mercato già abbastanza saturo.
Questo non perché la musica ivi contenuta non sia meritevole di attenzione, visto che il rock psichedelico dalle sfumature doom della band fiorentina è senz’altro avvincente, nonostante personalmente la voce di Virginia Monti non mi convinca sempre del tutto, specialmente nelle tracce iniziali. Non a caso, resta piuttosto marcata la differenza qualitativa tra la seconda metà della raccolta, ovvero quella corrispondente a Black Magic Man, e la prima composta, al netto delle cover, dall’inedito Come A Little Closer e dalle riproposizioni nella nuova veste di Wicked Dream e Set Me Free, nonostante la vena blues di quest’ultimo brano sia tutt’altro che disprezzabile.
La sensazione è che la Monti indulga troppo, in queste tracce, su toni alti che non le si addicono, al contrario di quanto avveniva in ottimi brani quali Angela, Lying On Iron, Black Magic Man e Slave Of Grief, dove l’interpretazione era talvolta più grintosa ma nel contempo maggiormente controllata.
Ma al di là di questo, che è un parere derivante da gusti personali che, come tali, possono essere del tutto opinabili, quella che non si riesce a rinvenire è la reale utilità di un’operazione che aggiunge davvero poco a quanto già si sapeva dei Psychedelic Witchcraft, una band che comunque prosegue meritoriamente la sua strada a ritroso rivolta verso un rock che sarà pure vintage ma non per questo meno affascinante.

Tracklist:
1. Come A Little Closer (exclusive to this release)
2. Godzilla (Blue Öyster Cult cover, exclusive to this release)
3. Set Me Free (Re-recording, exclusive to this release)
4. Wicked Dream (Re-recording, exclusive to this release)
5. The Dark Lord (originally performed by Sam Gopal with Lemmy)
6. Angela (taken from the Black Magic Man EP)
7. Lying On Iron (taken from the Black Magic Man EP)
8. Black Magic Man (taken from the Black Magic Man EP)
9. Slave Of Grief (taken from the Black Magic Man EP)

Line-up:
Virginia Monti – Singer
Riccardo Giuffrè – Bass
Jacopo Fallai – Guitar
Mirko Buia – Drums

PSYCHEDELIC WITCHCRAFT – >Facebook

Krokus – Big Rocks

Un album di sole cover lascia sempre qualche dubbio, ma se siete fans accaniti del gruppo o solo amanti delle compilation rock, l’album diverte, e probabilmente ha fatto divertire gli stessi Krokus nel registrarlo.

Anche per gli storici hard rockers svizzeri Krokus è arrivati il momento di licenziare un album di cover.

Certo è che da un gruppo attivo dalla metà degli anni settanta non si può certo parlare di un tributo ai grandi interpreti del rock, ma piuttosto un omaggio a dei colleghi, magari molti più famosi del gruppo di Marc Storace anche se vorrei ricordare che i Krokus rimangono la band più famosa proveniente dal suolo elvetico.
Big Rocks raccoglie tredici brani famosissimi per gli amanti del rock, più Backseat Rock’ n’ roll rifatta dal gruppo per l’occasione, un viaggio spazio temporale tra la storia della nostra musica preferita con la S maiuscola.
I nomi sono quelli di Led Zeppelin, Queen, The Who, Steppenwolf, Neil Young, Bob Dylan, The Rolling Stones e molti altri, con brani che non mancano di entusiasmare, altri dove le versioni originali ne escono vincitrici, ma in generale possiamo sicuramente affermare che l’operazione è riuscita.
D’altronde stiamo parlando di musicisti con un’esperienza che supera i quarant’anni nel mondo dell’hard rock, con uno Storace che non perde un colpo, con la sua voce cartavetrata, sanguigno come la sua band, che tanto ha dato all’hard rock, ma che non ha mai dimenticato suo padre il blues.
Un album da lasciare sull’auto a vita, adrenalinico il giusto per non addormentarsi nelle notti passate a correre sulle strade delle Highway To Hell europee, tra una Whole Lotta Love davvero riuscita, My Generation degli Who, quel piccolo capolavoro blues che risulta Summertime Blues di Eddie Cochran, il brano hard rock più coverizzato della storia nelle note di Born To Be Wild, inno biker dei Steppenwolf, e Jumpin’ Jack Flash scritta dalla premiata ditta Jagger/Richards.
In conclusione, Big Rocks non è affatto male, certo un album di sole cover lascia sempre qualche dubbio, ma se siete fans accaniti del gruppo o solo amanti delle compilation rock, l’album diverte, e probabilmente ha fatto divertire gli stessi Krokus nel registrarlo.
Niente di più, niente di meno, it’s only rock ‘n’roll.

TRACKLIST
1. N.I.B.(originally by Black Sabbath)
2. Tie Your Mother Down (originally by Queen)
3. My Generation (originally by The Who)
4. Wild Thing (originally by The Troggs)
5. The House Of The Rising Sun (originally by The Animals)
6. Rockin’ In The Free World (originally by Neil Young)
7. Gimme Some Lovin’(originally by Spencer Davis Group)
8. Whole Lotta Love (originally by Led Zeppelin)
9. Summertime Blues (originally by Eddie Cochran)
10. Born To Be Wild (originally by Steppenwolf)
11. Quinn The Eskimo (originally by Bob Dylan)
12. Jumpin’ Jack Flash (originally by The Rolling Stones)
13. Backseat Rock N’ Roll (KROKUS original recording 2017)

LINE-UP
Marc Storace – Lead Vocals
Chris von Rohr – Bass, Vocals
Fernando von Arb – Guitars,Vocals
Mark Kohler – Guitars
Mandy Meyer – Guitars
Flavio Mezzodi – Drums

KROKUS – Facebook

Snake Bite Whisky – Dirty

Rock ‘n’ roll metallizzato, irriverente e senza compromessi, sex drugs & rock ‘n’ roll con annessi e connessi, completamente devoto al sound americano con i suoi difetti e le sue mille virtù.

Gli Snake Bite Whisky sono una delle più promettenti sleazy street bands australiane.

Attivi dal 2014 hanno dato alle stampe un singolo ed un ep, Two Steps To Oblivion, accolto molto bene negli States, tanto che il gruppo ci ha passato mesi a suonare in lungo e in largo. Tornano con Dirty, altro ep composto da cinque brani di hard rock ‘n’ roll, come lo si suonava nella città degli angeli negli anni ottanta.
Dunque rock’n’roll metallizzato, irriverente e senza compromessi, sex drugs & rock’n’roll con annessi e connessi, completamente devoto al sound americano con i suoi difetti e le sue mille virtù.
La biografia che accompagna l’opera parla di Guns’n’Roses e Motorhead, ma se per i primi se ne può parlare Lemmy lasciamolo dov’è, qui si fa rock emulando gruppi nati aldilà dell’oceano, perciò tra i solchi delle indiavolate Comes Around, Dirty Mouth e Shoot You Down troverete neanche troppo velati riferimenti a Motley Crue, Faster Pussycat, L.A Guns e teppaglie varie che dettavano legge sul Sunset Boulevard trent’anni fa.
Niente male, l’attitudine c’è ma il senso di copia incolla in certi frangenti supera la semplice ispirazione; in Italia ultimamente sappiamo fare sicuramente di meglio e come ho scritto molte volte la nostra scena pullula di realtà con molto più talento e personalità. Insomma qui c’è da lavorare ancora un po’.

TRACKLIST
1.Comes Around
2.Dirty Mouth
3.Let’s Fuck
4.Lost saints
5.Shoot You Down

LINE-UP
Jay R – Vocals
David Arens – Guitars
Stacii Blake – Bass
Nick Dysart – Drums

SNAKE BITE WHISKY – Facebook

Fabiano Andreacchio And The Atomic Factory – Bass Guitar Hero

Fabiano Andreacchio si dimostra musicista dalla grande tecnica: aspettiamo ora un nuovo lavoro di inediti di questo suo progetto a suo modo originale e da seguire senza remore.

Torna, a pochi mesi di distanza dall’ottimo Living Dead Groove, Fabiano Andreacchio, attuale bassista dei Gory Blister e leader dei The Atomic Factory, band con cui ha registrato il lavoro precedente.

Bass Guitar Hero è una compilation di brani più datati a cui Fabiano Andreacchio And The Atomic Factory hanno dato una veste più attuale e conforme al sound del gruppo.
Invero, rispetto ai brani di Living Dead Groove, questa raccolta sottolinea in modo più marcato la tecnica individuale del bassista lombardo, davvero un eroe del basso, stupefacente nel disegnare arabeschi di intricate ritmiche metal progressive.
Le tracce si sviluppano quindi sul basso di Andreacchio, abbandonando la forma canzone più marcata nel disco uscito qualche mese fa e indirizzandosi maggiormente verso la tecnica strumentale.
Un album per musicisti e per chi apprezza le opere strumentali, con pochi punti di riferimento stilistici come ormai ci ha abituato il bassista e con qualche chicca che non manca di valorizzare l’album, come la bellissima e progressiva One Step Closer To Heaven e la cover di Transylvanya degli Iron Maiden.
Fabiano Andreacchio si dimostra musicista dalla grande tecnica: aspettiamo ora un nuovo lavoro di inediti di questo suo progetto a suo modo originale e da seguire senza remore.

TRACKLIST
1.HeartQuake
2.Hell Is Now NGA
3.Unforgivable (acoustic)
4.Sexonia NGA
5.One Step Closer To Heaven
6.Curious (acoustic)
7.Strange KInd NGA
8.The Gentle Hand 8acoustic)
9.Transylvanya NGA
10.Ascent (dub mix)

LINE-UP
Fabiano Andreacchio – Bass and Vocals
Mikahel Shen Raiden – Guitar and Backing Vocals
Nicola De Micheli – Drums

FABIANO ANDREACCHIO – Facebook

Fear Of The Storm – Madness Splinters (1991-1996)

Esauriente retrospettiva su una delle più interessanti realtà italiane dedite alla gothic dark wave nella prima metà degli anni ’90.

I Fear Of The Storm sono stati protagonisti di una vicenda piuttosto frequente in ambito musicale, tanto più se il genere proposto pone le sue radici nell’underground ed il paese in cui tutto ciò si verifica è l’Italia.

La band siciliana, all’inizio degli anni novanta, si rese protagonista di una serie di demo su cassetta che riscossero una certa attenzione tra gli appassionati di darkwave e che, prima di fare il salto di qualità definitiva pubblicando il primo lavoro su lunga distanza, a causa di incomprensioni con la loro etichetta dell’epoca di fatto cessarono l’attività, lasciando in nel limbo anche una certa quantità di musica che sarebbe rimasta inedita per molto tempo.
Del resto io stesso, benché abbia amato non poco Cure, Bauhaus e Joy Division, tanto per citare i tre nomi principali, e, ad occhio e croce, sia più o meno coetaneo dei musicisti che diedero vita ai Fear Of The Storm, ne ignoravo l’esistenza prima di ricevere il promo da Francesco Palumbo (My Kingdom Records), l’artefice di questa meritoria riscoperta.
Già, perché senza la sua iniziativa, favorita dal fatto che due ex FOTS, Carlo Disimone e Valeria Buono, oggi fanno parte del roster della label salernitana con il loro ottimo progetto Dperd, quelli come me, distratti all’epoca da sonorità altrettanto oscure ma ben più metalliche (nel ’91 Forest Of Equibrium dei Catherdal avviò un’esplorazione senza ritorno dei cunicoli più oscuri e reconditi del doom) e soprattutto i più giovani, non avrebbero mai avuto l’opportunità di riscoprire questa band che poco aveva da invidiare per freschezza e creatività alle band d’oltremanica.
Madness Splinters (1991-1996) contiene, distribuiti su tre CD, i demo tape R.I.P., The Key Of My Silence e ...So Sad To Die In Oblivion…, il mini cd 1995 e II, l’album rimasto fino ad oggi inedito, per un totale di 41 brani ed oltre 3 ore e mezza di dark wave d’autore.
Il promo in nostro possesso contiene solo un parte di questa mole di musica ma si rivela comunque più che sufficiente per farsi un’idea quanto di buono i Fear Of The Storm abbiano prodotto nel corso della loro carriera, oltre che constatare, grazie alla disposizione dei brani in ordine cronologico, l’evoluzione del sound che dagli esordi genuini e ruspanti, aventi per riferimento la dark wave più asciutta ed essenziale (primi Cure e Joy Division), era giunto ad una forma davvero matura e quasi per nulla derivativa di gothic wave (da ascoltare con attenzione le splendide A Wondrous Sensation e The Factory Of Dreams, tratte appunto da II), passando per pulsioni nefiliane rinvenibili, ad esempio, in Eyes (dove in certi momenti il sound si avvicina a quello dei Rubicon, ovvero i FOTN senza Carl McCoy).
Da rimarcare, oltre all’operato degli attuali Dperd (con Disimone mai scontato con la sua chitarra), il fondamentale lavoro al basso di Antonio Oliveri e la prestazione dietro il microfono di Tony Colina, perfetto per il genere con la sua voice, spesso affiancata da quella di Valeria Buono (alle prese anche con le tastiere).
Gli amanti di queste sonorità dovrebbero essere irresistibilmente attratti da questa raccolta, mentre, per quanto riguarda il futuro dei Fear Of The Storm, non ci sono notizie certe su un loro ritorno né una tantum dal vivo né con materiale di nuovo conio, anche se le porte non paiono essere del tutto sbarrate ad entrambe le opzioni. Vedremo, nel frattempo Madness Splinters possiede tutte le caratteristiche per colmare qualsiasi vuoto.

Tracklist:
CD I
“R.I.P.”
1. Into The Storm
2. Eyes Of Death
3. Hatred
4. R.I.P. (abridged)
5. Images (Into The Helter Skelter)
6. Walking Through The Town
7. The Little Girl
8. Dreams Are Trasforming

“The Key Of My Silence”
9. Blood
10. Tears Of Sand
11. The Key
12. Around The Fire
13. Jungle And Desert
14. Towers Of Silence
15. Epitaph
16. Fear

CD II
“…So Sad To Die In Oblivion…”
1. Madness Splinters
2. Adrift In Limbo
3. Sunset
4. Ghostown
5. Sadness
6. The Dark River Of Oblivion
7. Drop After Drop
8. Eyes
9. Weightless

“1995”
10. The Return
11. Tears Of Sand
12. Marble Dust
13. Adrift In Limbo
14. Timeless Wailing Of Ageless Souls

CD III
“2”
1. Bleeding Fingers
2. Dancing Amid The Clouds
3. Her
4. The Factory Of Dreams
5. R.I.P. (Including A Descent Into The Well)
6. Higher And Farther
7. In Quest Of…
8. The Eyes Of Death
9. A Wondrous Sensation
10. Slow Motion
11. Sleepless Dreams(bonus track)

Line-up:
Valeria Buono: keys, vox
Carlo Disimone: guitars, drums programming, vox
Antonio “Mad” Oliveri: bass, slider pestering, vox
Tony Colina: male vox, bits of keys, piano on CD II and III
Massimiliano Busa: drums on CD I from song 1 to 8

FEAR OF THE STORM – Facebook

88 Mile Trip – Blame Canada

Gli 88 Mile Trip trasformano le montagne del Canada nel deserto della Sky Valley e ci consegnano un’altra bordata di hard rock stonato, questa volta intitolato Blame Canada, ep composto da cover di nomi conosciuti o meno del panorama rock.

Come per il precedente full length la band stoner 88 Mile Trip trasforma le montagne del Canada nel deserto della Sky Valley e ci consegna un’altra bordata di hard rock stonato, questa volta intitolato Blame Canada, ep composto da cover di nomi conosciuti o meno del panorama rock.

Per chi si era perso la recensione del primo lavoro ricordo che la band di Vancouver è al quarto parto, dopo il primo ep omonimo del 2013 (anno di fondazione del gruppo), un live e, appunto il primo album Through the Thickest Hazem, uscito due anni fa.
Un viaggio iniziato tra le nevi e le foreste del Canada e lungi dall’essere concluso, persi nel deserto, miglia e miglia verso sud dove gli 88 Mile Trip si ritrovano a ballare in un sabba, in compagnia di Kyuss, Orange Goblin, Fu Manchu ed una buona fetta dei nomi storici dell’hard rock settantiano.
Il quintetto ci scarica una montagna di watt stonati ed in venti minuti abbondanti ci consegna un macigno di hard rock drogato, un passo avanti rispetto ai precedenti lavori, grazie alle cover di vari artisti tra cui Crosby, Stills Nash and Young (Ohio).
Blame Canada è pesantissimo ma allo stesso tempo fruibile, gli accordi e le armonie bruciate dal sole del deserto dell’opener Not Fragile (Bachman Turner Overdrive) confermano l’ottima vena del gruppo così come Cowboys In Hong Kong dei Red Rider.
Cathedral, Black Sabbath e Kyuss sono al servizio del doom acido di cui gli 88 Mile Trip sono i sacerdoti tossici, i cerimonieri settantiani (in Tomcat Prowl) o i rockers nostalgici di un momento storico per la musica rock (60/70) che non tornerà mai più (Ohio).
A volte ritornano, e si tratta di band del cui cammino MetalEyes è fiero di continuare a farvi partecipi, in un mondo come quello del rock sempre e comunque in continuo movimento.

TRACKLIST
1. Not Fragile (Bachman Turner Overdrive cover)
2. Cowboys In Hong Kong (Red Rider cover)
3. Tomcat Prowl (Doug and The Slugs Cover) Feat. Simon Kendall
4. Ohio (Crosby, Stills Nash and Young Cover)
5. Wild Eyes (Stampeders cover)

LINE-UP
David Bell – Vocals
Pat Hill – Guitar
Darin Wall – Bass
Eddie Riumin – Drums

88 MILE TRIP – Facebook

Evilgroove – Cosmosis

Cosmosis erutta dieci brani di hard groove rock, la voce alla Zakk Wilde accompagna ritmiche ipnotiche, chitarre piene tra scariche metalliche, atmosfere southern e grunge rock.

C’è né voluto di tempo, ma alla fine anche gli Evilgroove arrivano al traguardo del primo lavoro sulla lunga distanza grazie alla nostrana Atomic Stuff.

Attivi sotto il monicker di Sunburn dal 1997 in quel di Bologna, Daniele “Doc” Medici alla chitarra, Matteo “Matte” Frazzoni al basso e Luca “Fraz” Frazzoni alla voce, dopo un paio di demo nel 2005 cambiano il nome in Evilgroove, prendendo parte a varie compilation e tributi.
Il 2014 è l’anno dell’entrata in formazione del batterista Christian “Sepo” Rovatti , e un paio di anni dopo iniziano a lavorare a Cosmosis, album che ci fa tornare indietro fino ai primi anni novanta, tra metal e grunge, hard rock e groove metal tra Pantera e Black Label Society, insomma una goduria per gli amanti del rock americano con il quale abbiamo attraversato l’ultimo decennio del secolo scorso.
I primi anni novanta per molti sono stati un periodo di vacche magre per l’heavy metal, mentre il grunge, l’alternative ed il metal estremo seminavano per raccogliere i frutti artistici tra crossover, nuove tendenze e voglia di mettersi in gioco.
Con il successo della musica di Seattle il rock americano ha vissuto un periodo d’oro, non solo per merito delle truppe del grunge: Corrosion Of Conformity, Tool, Black Label Society sono realtà che poco hanno a che fare con le note create nella piovosa città dello stato di Washington, ma è indubbia l’importanza dei loro album per il metal/rock di quel periodo.
Oggi, chi segue le vicende intorno al rock raccoglie i frutti di quella semina, anche e soprattutto per merito della scena underground colma di band che, ispirate dal suono di quello splendido periodo, creano lavori intensi e sopra la media.
E gli Evilgroove, con Cosmosis, fungono da perfetto esempio, proponendo un lavoro che trae ispirazione dai gruppi di cui si accennava in precedenza, dunque non un lavoro che brilla per originalità (ma chi di questi tempi, suonando hard rock chi può vantarsene?), bensì un ottimo album hard rock/metal con tutti i crismi per soddisfare gli amanti dei suoni americani.
Cosmosis erutta dieci brani di hard groove rock, la voce alla Zakk Wilde accompagna ritmiche ipnotiche, chitarre piene tra scariche metalliche panteriane, atmosfere southern tra Corrosion Of Conformity e Black Label Society e grunge più vicino ai Soundgarden che ai Nirvana, tanto per ribadire che qui si fa hard rock, alternativo quanto si vuole ma con i piedi ben piantati nel genere.
I brani meriterebbero tutti una menzione ma, oltre a ricordarvi le portentose Locusta, I The Wicked e Soul River, vi invito semplicemente a far vostro Cosmosis senza indugi.

TRACKLIST
01. Turn Your Head
02. Lucusta
03. Space Totem
04. I, The Wicked
05. Kick The Can
06. Physalia
07. Voodoo Dawn
08. Soul River
09. What I Mean
10. Cosmosis

LINE-UP
Daniele “DOC ” Medici – Guitar
Matteo “MATTE” Frazzoni – Bass
Luca “FRAZ” Frazzoni – Vocals
Christian Rovatti – Drums

EVILGROOVE – Facebook

Magnet – Feel Your Fire

E’ difficile che Feel Your Fire, con un sound così vintage, possa entrare nei gusti dei rockers attuali, mentre piacerà molto a chi con queste sonorità ci è cresciuto e si ritrova il mento imbiancato da un pizzetto mefistofelico.

Atmosfere occulte, suoni vintage di matrice rock blues, linee chitarristiche eleganti e sfumature sabbatiche e lascive donano un tocco sacrilego e magico al rock settantiano suonato da questo gruppo capitanato da Riccardo Giuffrè, bassista dei Psychedelic Witchcraft, qui alle prese con voce e chitarra.

E di blues è pregno Feel Your Fire, un album che continua imperterrito a solcare la strada dei Magnet, anche se il sound risulta più dinamico e rock ‘n’roll, specialmente nell’opener Buried Alive With Thee.
Le atmosfere vintage donano all’album un’aura di magia musicale, e i riferimenti espliciti a nomi di spicco del panorama hard rock non inficiano la buona riuscita di brani dal forte sentore di incenso, messianici pur non essendo esplicitamente doom.
Un rito, musica che non insegue la chimera dell’originalità, ma che sa donare ancora forti emozioni, così esposta ai delicati venti blues pur mantenendo una buona verve hard e leggere sfumature psichedeliche: si viaggia in un trip settantiano per tutta la durata dell’album, con atmosfere che passano dal rock’n’roll al blues occulto e ricco di magia (Ouroborus, Little Moon) al finale tutto dedicato ai Black Sabbath con Magnet Caravan, brano tributo alla Planet Caravan di Iommi e soci.
E’ difficile che Feel Your Fire, con un sound così vintage, possa entrare nei gusti dei rockers attuali, mentre piacerà molto a chi con queste sonorità ci è cresciuto e si ritrova il mento imbiancato da un pizzetto mefistofelico.

TRACKLIST
1. Buried Alive With Thee
2. Ouroboros
3. Light
4. Little Moon
5. Drive Me Crazy
6. Feel Your Fire
7. Satan’s Daughter
8. Magnet Caravan

LINE-UP
Riccardo Giuffrè
Jacopo Fallai
Mirko Buia
Vanni Fanfani

MAGNET – Facebook