Sixty Miles Ahead – Insanity

Il nuovo lavoro risulta energico e melodico, metallico e rockeggiante, dal feeling che scuote i nostri corpi, in un’ alternanza roboante di sfumature e generi diversi

I milanesi Sixty Miles Ahead confermano con questo secondo lavoro sulla lunga distanza, quanto di buono avevano fatto con i precedenti lavori (Million Of Burning Flames e L’ep Blank Slate) con questo riuscito pezzo di hard rock targato 2016 dal titolo Insanity, una ricetta da masterchef musicali che vede tra gli ingredienti, perfettamente dosati, modern metal, hard rock classico, spunti alternative e melodie dall’ottimo appeal per un gustoso piatto, presentato con talento e classe.

Insanity dimostra ancora una volta l’alta qualità ormai raggiunta dalla scena nazionale, tanto che non fosse per la bio, prendere una cantonata e presentarvi il gruppo come la nuova sensazione proveniente dagli States sarebbe un attimo.
Capitanati dalla sei corde di Fulvio Carlini e dalla voce calda e passionale di Sandro Casali, sostenuto da una sezione ritmica che non manca di farci saltare impazziti sul trampolino costruito sul sacrosanto groove (Luca Caserini alle pelli e Francesco Li Donni al basso), il sound del nuovo lavoro risulta energico e melodico, metallico e rockeggiante, dal feeling che scuote i nostri corpi, in un’ alternanza roboante di sfumature e generi diversi, tutti nati aldilà dell’oceano in quell’America che, se di rock si parla, è molto più vicina di quanto si possa pensare (almeno qualitativamente parlando).
Così, tra i brani che compongono l’album si trovano echi di rock americano, metal moderno, un pizzico di post grunge e hard rock: l’opener Lost In My Mind, Every Time I Try, la title track, Let Go e la rabbiosa Absence Of Light, saranno per voi un sunto, non solo della musica del gruppo e delle sue ispirazioni, ma di quello che il rock ha regalato negli ultimi quarant’anni, suonato con un approccio moderno e con lo sguardo su un futuro che, con band come i Sixty Miles Ahead, non può che essere roseo.

TRACKLIST
1. Lost In My Mind
2. Every Time I Try
3. Sign for Tomorrow
4. Insanity
5. Dirt and Lust
6. Let Go
7. Dead Space
8. Neverending Fight
9. All My Fears
10. No One Else
11. Absence of Light
12. Used to Believe

LINE-UP
Sandro Casali – Vocals
Fulvio Carlini – Guitars
Luca Caserini – Drums
Francesco Li Donni – Basso

SIXTY MILES AHEAD – Facebook

Hardbone – Tailor-Made

Un album che certamente farà saltare come pazzi i fans di Rose Tattoo e Krokus e ovviamente Ac/Dc: certamente derivativo, ma questo è il genere e da qui non si scappa.

Il rock’n’roll nella sua forma più ruvida e hard trovò molti anni fa negli Ac/Dc l’espressione più fulgida e di maggior successo, ancora oggi osannata negli stadi dove almeno tre generazioni si radunano ogni estate per il consueto e diciamolo, ormai stantio, rito con i fratelli Young come sacerdoti.

Per gli amanti dei suoni hard rock’n’roll la storia ha donato almeno una manciata di altre band che, sulla scia dei canguri australiani, ha reso immortale un genere magari ripetitivo, ma assolutamente adrenalinico.
Rose Tattoo, Krokus, ZZ Top ed ultimamente Airbourne, sono i gruppi più conosciuti e che hanno provato in epoche diverse a contrastare l’assoluto dominio della band dello scolaretto diabolico, ma la scena conta centinaia di gruppi che si cimentano nelle note nate dalla sua Gibson.
Una di queste sono i tedeschi Hardbone, gruppo di Amburgo attivo da una decina d’anni e con tre album alle spalle che, in questo tipo di musica dal divertimento assicurato, si specchia.
Ad iniziare dal timbro vocale del vocalist Tim Dammann, simile a Brian Johnson e a tutti i suoi figli d’ispirazione, alle ritmiche che viaggiano sulla Highway To Hell più famosa del rock e quell’irresistibile spruzzata di blues, la band torna con Tailor-Made, un ennesimo esempio di hard rock, sanguigno, ruvido, ignorante e senza fronzoli.
Jack che entra nelle chitarre, il ronzio dell’energia elettrica che tenta di liberarsi, ed alla prima nota siamo ancora una volta travolti da una serie di brani dedicati al dio del rock, che ai suoi fedeli chiede sudore, energia, chorus liberatori a lui dedicati in un’orgia di puro divertimento tra seni sudati, whiskey versato in boccali da litro di schiumosa birra tedesca e palchi incendiati al suono dell’opener No Man’s Land, della trascinante Blood From Hell, di Cannon Ball e When It Come Down To It.
In conclusione, un album che certamente farà saltare come pazzi i fans dei gruppi nominati, con in testa la storica band australiana: certamente derivativo, ma questo è il genere e da qui non si scappa, it’s only rock’n’roll.

TRACKLIST
1. No Man’s Land
2. It’s A Man Thing
3. Tailor-Made Woman
4. Blood From Hell
5. What’s Going On
6. Cannonball
7. When It Comes Down To It
8. We’re All Gonna Die
9. Barfly
10. Tear It Up

LINE-UP
Tim Dammann – Vocals
Sebastian Kranke – Lead Guitar
Tommy Lindemann – Rhythm Guitar
Tim Schwarz – Bass
Benjamin Ulrich – Drums

HARDBONE – Facebook

Teodasia – Metamorphosis

Basta chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare dalle melodie di brani entusiasmanti

Puntuale come promesso e di cui vi avevamo parlato nella recensione di Reloaded, arriva sul finire di questo sountuoso anno per il metal nazionale, il nuovo lavoro di inediti targato Teodasia.

La band, dopo averci presentato la nuova line up sul lavoro precedente, che vedeva i nostri riprendere vecchi brani e darli in pasto alla splendida voce di Giacomo Voli, torna con Metamorphosis, album ambizioso, vario e perfettamente in bilico tra il metal sinfonico e l’ hard rock, sia classico che moderno, con una vena progressiva sottolineata da molti cambi di ritmo ed un quid elettronico che rende il lavoro completo sotto ogni punto di vista.
Metamorphosis conquista, e non poteva essere altrimenti, d’altronde l’arrivo di Voli e del chitarrista Alberto Melinato ha portato nuova linfa ed entusiasmo, percettibili già su Reloaded, ma qui evidenziati da un lavoro di inediti che è pura arte metallica.
Quella musica dura, così bistrattata nel mondo delle sette note, trova nel talentuoso gruppo veneto quella nobiltà molte volte negata anche da chi invece dovrebbe supportarla, nonché splendidi interpreti di emozionanti e sognanti viaggi che l’ugola del cantante rende reali, basta chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare dalle melodie di brani entusiasmanti, uno diverso dall’altro, uno più bello dell’altro.
Partendo da tutto ciò, Metamorphosis conferma che l’attesa per l’ascolto di nuovi brani non è stata delusa,  e i Teodasia riescono nell’intento (non facile) di far emergere tutte le loro ispirazioni ed influenze, passando da un genere all’altro come un ape sui fiori: l’album si trasforma in un caleidoscopio di sonorità che vanno dall’hard rock di Release Yourself al power prog della potente Rise, per spostarsi su mirabolanti sinfonie nella bellissima #34 , far sognare di castelli medievali persi nel tempo con Crossroads To Nowhere, od emozionarci con dolci ballate come Two Worlds Apart, in cui Voli duetta con Chiara Tricarico dei Temperance.
Un album bellissimo per il quale la parola d’ordine è emozione, per una band che entra di diritto nelle eccellenze musicali dello stivale metallico, sempre più protagonista nella scena europea con una serie di talenti sopra le righe. Imperdibile.

TRACKLIST
1. Intro
2. Stronger Than You
3. Release Yourself
4. Rise
5. Just Old Memories
6. Idols
7. #34
8. Two Worlds Apart
9. Diva Get Out
10. Gift Or Curse?
11. Redemption
12. Crossroads To Nowhere
13. Metamorphosis

LINE-UP
Francesco Gozzo – drums, piano
Giacomo Voli – lead vocals
Alberto ‘Al’ Melinato – guitar
Nicola ‘Fox’ Falsone – bass

TEODASIA – Facebook

Tygers Of Pan Tang – Tygers Of Pan Tang

Una fantastica cavalcata nell’immortalità di un genere musicale

Sono passati trentasei anni da Wild Cat, debutto dei Tygers Of Pan Tang, una delle band più importanti uscite dalla new wave of british heavy metal e da un po’ di anni rinati sotto il segno del cantante Jacopo Meille, italiano di nascita ma dal sangue britannico, almeno a giudicare dalle prestazioni con lo storico gruppo dall’attitudine felina.

Doppia cifra raggiunta e superata con questo lavoro, almeno per quanto riguarda gli album di inediti, una carriera all’ombra dei nomi che occuparono le classifiche del vecchio continente (Def Leppard in primis), ma un livello qualitativo che non ha mai visto passi falsi clamorosi e si rinvigorisce con questo ennesimo album omonimo, davvero ispirato e travolgente nel saper sfruttare al meglio i cliché del vecchio hard & heavy britannico.
I Tygers Of Pan Tang del nuovo millennio sono nelle ottime mani del vocalist e del solo superstite Robb Weir, axeman di un’altra categoria, splendido nel rendere fresco ed attuale un genere che, nel 2016, vive in bilico tra capolavori ed opere stantie, ma che sa regalare musica metal di alto rango se a suonarlo sono gruppi come le tigri anglosassoni.
Si parte a razzo, con hard rock ed heavy metal che si rincorrono tra lo spartito con una serie di brani dall’impatto di un treno in corsa, perfettamente bilanciati tra grinta e melodia e radiofonici , se solo le radio non fossero invase dalla non musica di questi brutti tempi in cui viviamo e che si riflettono pure sulle sublime arte.
Si perché cosa sono, se non arte metallica, i quattro morsi con cui la band ci aggredisce (Only The Brave, Dust, Glad Rags e Never Give In), per poi farci rabbrividire con la semi ballad The Reason Why e ripartire con ancora più foga con la spettacolare Do It Again?
Detto di una prova clamorosa del “nostro” Jacopo e del sontuoso songwriting con cui è rivestito questo undicesimo album, vi lascio con le ultime quattro canzoni, la perfezione metallica data in pasto a noi, poveri cultori del bello aldilà di trend, mode ed altre amenità: una fantastica cavalcata nell’immortalità di un genere musicale. Bentornate tigri.

TRACKLIST
01. Only The Brave
02. Dust
03. Glad Rags
04. The Reason Why
05. Never Give In
06. Do It Again
07. I Got The Music In Me
08. Praying For A Miracle
09. Blood Red Sky
10. Angel In Disguise
11. The Devil You Know

LINE-UP
Robb Weir – guitars
Jacopo Meille – vocals
Micky Crystal – guitars
Gav Gray – bass
Craig Ellis – drums & percussion

TYGERS OF PAN TANG – Facebook

Tytus – Rises

Un album coinvolgente, ispirato e suonato con cuore e passione, hard & heavy alla massima potenza consigliato senza riserve e che farete fatica a togliere dal vostro lettore anche dopo mesi.

Boom!: il botto che sentirete al primo accordo di questo bellissimo debutto, è l’esplosione metallica della Terra al letale avvicinamento del Sole, una deflagrazione tremenda a colpi di heavy hard rock dei Tytus e del loro Rises.

Ma prima di perdervi tra le macerie, risultato dell’ armageddon sonoro creato dal gruppo, presentiamo per bene questo quartetto friulano, risultato dell’alleanza di un manipolo di musicisti provenienti da varie band già attive nella scena underground come Gonzales, La Piovra, Eu’s Arse e Upset Noise, e che, dopo la recente firma con la Sliptrick Records ci bombardano con una pioggia di meteore hard rock e di spumeggiante heavy metal, per una cinquantina di minuti dall’alto tasso adrenalinico.
Chitarre che vomitano acciaio fuso, ritmiche potenti che, pur guardando alla tradizione, mantengono un approccio fresco, una produzione che valorizza il sound senza risultare troppo patinata e un singer di razza, fanno di Rises un album imperdibile per gli hard rockers dalle mire metalliche.
Le influenze del gruppo sono da ricercare nella storia dell’hard & heavy, anche se l’album ha una sua anima, prepotente, diretta, dannatamente coinvolgente, per cui spogliatevi di inutili riverenze all’originalità e fatevi capovolgere da questi dieci martelli sparati da Asgard, caduti sul sole e colpevoli di spingere la nostra fonte naturale di luce verso il nostro pianeta.
Enorme la forza di queste tracce, un continuo susseguirsi di inni che nel metal classico sono stati plasmati e che nell’hard rock hanno trovato il perfetto alleato.
La tempesta di suoni che travolge ogni cosa, trova la sua forza nel suo insieme ed è difficile ascoltare un brano che non sia eccellente per potenza, con solos di stampo maideniano e grandi linee melodiche.
La tensione non scende, almeno fino alla conclusiva Blues on the Verge of Apocalypse, strumentale che vede i quattro rockers camminare nella desolazione lasciata dal disastroso impatto con un tappeto di suoni tastieristici di scuola Uriah Heep (quelli leggendari di Very ‘Eavy Very ‘Umble e Salisbury).
Un album coinvolgente, ispirato e suonato con cuore e passione, hard & heavy alla massima potenza, un lavoro consigliato senza riserve e che farete fatica a togliere dal vostro lettore anche dopo mesi.

TRACKLIST
1.Ode to the Migthy Sun
2.New Frontier
3.Haunted
4.325 A.D.
5.White Lines 04:48
6.Omnia Sunt Communia
7.Inland View
8.Desperate Hopes
9.New Dawn’s Eve
10.Blues on the Verge of Apocalypse

LINE-UP
Bardy – Drums
Mark Simon Hell – Guitars
Markey Moon – Vocals, Bass
Ilija Riffmeister – Vocals, Guitars

TYTUS – Facebook

Easy Trigger – Ways Of Perseverance

Album da avere e consumare, brani da urlare in quei momenti in cui ci vuole una scarica di adrenalina per ritornare in carreggiata.

Diciamolo: nel nostro paese una buona fetta delle produzioni hard rock di un certo livello passano dalla famiglia Atomic Stuff / Street Symphonies.

E’ un fatto che, nelle sonorità care al vecchio hard rock con tutte le sue varianti, i ragazzi che lavorano alle label di riferimento hanno una marcia in più e, a confermare il tutto, arriva il secondo lavoro dei rockers Easy Trigger capitanati dal chitarrista Caste, un bella botta di vita street hard rock con tutti i crismi per divertire gli amanti di queste sonorità.
Dopo quattro anni dal debutto Bullshit e con una line up rinnovata, il gruppo torna con Ways Of Perseverance, aggiunge al talentuoso chitarrista un cantante che definire spettacolare è poco (Nico) e, con una sezione ritmica che brucia bassi e spacca pelli (Vale e Pane), conquistano un posto d’onore nei migliori album del genere in questo anno che si appresta a finire.
Grezzi, metallici nel miglior senso del termine, grintosi e con impatto e attitudine da vendere, gli Easy Trigger suonano l’hard rock come se non ci fosse un domani, perfettamente a metà strada tra le nuove generazioni dello street metal/rock scandinavo e la tradizione losangelina,  facendolo bene.
A tratti l’album esplode in fuochi d’artificio elettrici che sinceramente fatico a ricordare nell’ultimo periodo, meno belli dei bravissimi Hell In The Club (tanto per fare un paragone illustre) ma più smaccatamente cattivi, potenti e diretti.
Solo Blind (la ballad di ordinanza) lascia un attimo di respiro (ma siamo arrivati alla traccia numero sette) il resto, dall’opener My Darkness è un devastante bombardamento rock’n’roll, dinamitardo, irriverente e sfacciato, con un diavoletto punk sulla spalla dei musicisti che li istiga ad essere il più cattivi possibile, con l’anima del vocalist già prenotata e un sorriso beffardo sul volto.
Nico è dannato, non potrebbe essere altrimenti, la sua prestazione urla rabbiosa il ritorno al posto che meritano queste sonorità, che se suonate come nelle varie God Is Dead, Turn To Stone, Tell Me A Story e Sold Out, non ce n’è per nessuno.
Album da avere e consumare, brani da urlare in quei momenti in cui ci vuole una scarica di adrenalina per ritornare in carreggiata.

TRACKLIST
1. My Darkness
2. Land Of Light
3. The Watchmaker
4. God Is Dead
5. Turn To Stone
6. One Way Out
7. Blind (piano by Andrea Moserle)
8. Tell Me A Story
9. Sold Out
10. The Sand

LINE-UP
Nico – vocals
Caste – guitar
Vale – bass
Pane – drums

EASY TRIGGER – Facebook

Shining Line – Shining Line

AOR nella sua massima espressione, con ospiti internazionali ma orgogliosamente tricolore nella sua creazione

La Street Symphonies, label nostrana e ottimo punto di riferimento per gli amanti dei suoni hard rock, mette le mani e ristampa il clamoroso debutto dei rockers melodici Shining Line, uscito autoprodotto cinque anni fa e ore tornato a risplendere di magnificenza melodica.

Il gruppo nasce dalla mente di Pierpaolo Monti (ex Sovversivo) che insieme ad Amos Monti (basso), Alessandro Del Vecchio alle tastiere (Edge Of Forever, Eden’s Curse, Moonstone Project), ed alla coppia di chitarristi Marco D’andrea (Planethard) e Mario Percudani (Hungryheart) compongono la line up dei Shining Line, per poi avvalersi di un sontuoso nugolo di musicisti della scena hard rock melodica internazionale e dar vita ad una meravigliosa opera prima.
Un disco internazionale non solo per gli ospiti, ma anche per la cura nei dettagli, i suoni potenti e cristallini, la produzione lasciata ad Alessandro del Vecchio, con Michael Voss (Casanova, Mad Max, Voices Of Rock) alle prese con mix e mastering, fanno di Shining Line un gioiello nascosto che, finalmente ritorna a splendere con una label a supportarne la distribuzione.
AOR del più raffinato ed elegante abbia sentito negli ultimi tempi, valorizzato come detto dagli ospiti che sono tantissimi e di cui cito Robin Beck, Mikael Erlandsson, Michael Voss, Phil Vincent, Michael Bormann e Michael Shotton.
Per ottanta minuti, di cui neanche un secondo è sotto una media eccellente, verrete trasportati in un mondo di melodie dal taglio hard rock, a tratti sognanti, in altre supportate dall’energia sprigionata da sei corde ispiratissime e regali tastiere in un’apoteosi di musica sopra le righe.
Di un’altra categoria il songwriting, che se la gioca alla pari con le top band del genere e tenere un livello così alto per oltre un’ora non è cosa facile per nessuno, credetemi.
Una raccolta di brani che spazia dunque dall’appeal radiofonico che in anni passati avrebbe portato molte canzoni nel palinsesto delle radio rock di mezzo mondo, a suadenti note melodiche, trasformate in ballad e che i fans del genere non potranno che amare alla follia (Heat Of The Light con la voce di Robin Beck è da standing ovation) così come la traccia regina di questo lavoro, Can’t Stop The Rock, hard rock melodico a stelle strisce, che entra nella testa ipnotizzandoci e vi avverto, continuerete ad ascoltarla fino alla sfinimento.
Un album bellissimo, AOR nella sua massima espressione con ospiti internazionali, ma orgogliosamente tricolore nella sua creazione, un piccolo capolavoro da non lasciarsi assolutamente sfuggire.

TRACKLIST
01. Highway Of Love (feat. Erik Martensson)
02. Amy (feat. Harry Hess)
03. Strong Enough (feat. Robbie LaBlanc)
04. Heaven’s Path (strumentale)
05. Heat Of The Light (feat. Robin Beck)
06. Can’t Stop The Rock (feat. Mikael Erlandsson)
07. The Meaning Of My Lonely Words (feat. Michael Shotton)
08. The Infinity In Us (feat. Michael Voss)
09. Still In Your Heart (feat. Bob Harris & Sue Willetts)
10. Homeless’ Lullaby (feat. Carsten “Lizard” Schulz & Ulrich Carlsson)
11. Follow the Stars (feat. Phil Vincent)
12. Unbreakable Wire (feat. Jack Meille, Bruno Kraler, Graziano De Murtas & Alessandro Del Vecchio)
13. This Is Our Life (feat. The Italian Rock Gang – BONUS TRACK ESCLUSIVA)
14. Under Silent Walls Part I – Blossom: From Night to Dawn (strumentale)
15. Under Silent Walls Part II – Alone (feat. Michael Bormann)
16. Under Silent Walls Part III – Overture: Death of Cupid (strumentale)

LINE-UP
Pierpaolo “Zorro11” Monti – Drums & Percussion
Amos Monti – Bass
Alessandro Del Vecchio – Keybs & Vocals
Marco “Dandy” D’Andrea – Guitars
Mario Percudani – Guitars

Bob Harris (Axe, Edge Of Forever)
Brian LaBlanc (Blanc Faces)
Brunorock
Carsten “Lizard” Schulz (Evidence One, Domain, Midnite Club)
Douglas R. Docker (Biloxi, Docker’s Guild)
Elisa Paganelli
Enrico Sarzi (Midnite Sun)
Erik Martensson (Eclipse, W.E.T.)
Frank Law (The Pythons)
Gabriele Gozzi (Markonee)
Graziano “Il Conte” De Murtas (Wine Spirit)
Ivan Varsi
Harry Hess (Harem Scarem)
Jacopo Meille (Tygers Of Pan Tang, Mantra, Fool’s Moon)
Johan Bergquist (Elevener, M.ill.ion)
Josh Zighetti (Hungryheart)
Luke Marsilio (Lizhard)
Marco Tansini (Big Sur)
Marco Sivo (Planethard)
Marko Pavic
Matt Albarelli (Homerun)
Matt Filippini (Moonstone Project)
Michael Bormann (Rain, Charade, Jaded Heart, The Trophy, Redrum, Zeno)
Michael Shotton (Von Groove, Airtime)
Michael T. Ross (Hardline, Lita Ford, Angel)
Michael Voss (Mad Max, Voices Of Rock, Casanova, Demon Drive)
Mikael Erlandsson (Last Autumn’s Dream, Salute)
Phil Vincent (Tragik, Circular Logik)
Robbie LaBlanc (Blanc Faces)
Robin Beck
Sue Willetts (Dante Fox)
Tank Palamara (The Lovecrave, Oxido)
Tim Manford (Dante Fox)
Tommy Ermolli (Khymera)
Ulrich Carlsson (M.ill.ion)
Vinny Burns (Dare, Ten, Asia)
Walter Caliaro (Edge Of Forever)

SHINING LINE – Facebook

Joe Robazza – Stellarly

Joe Robazza dà la sensazione d’essere un musicista giustamente ambizioso e foriero di idee brillanti ma, all’atto pratico, il risultato che scaturisce da questa prima prova solista si rivela appena sufficiente.

Primo passo solista per Joe Robazza, chitarrista degli SpiritRow, alle prese con quello che egli stesso definisce “rock filosofico”.

Appiccicare certe etichette, invero un po’ pretenziose, alle proprie opere può rivelarsi un boomerang, e questo è un rischio che il buon Joe corre seriamente, visto che, al di là del condivisibile intento di affrontare tematiche decisamente impegnative, il risultato finale non è del tutto convincente.
Stellarly è un breve Ep nel quale il musicista veneto prova a riversare tutte le influenze musicali di cui si è abbeverato nel corso della sua carriera e, fondamentalmente, uno dei problemi è proprio questa sua voglia di volerle condensare in poco più di un quarto d’ora.
Se Perfect Evolution si dimostra un brano piuttosto riuscito e sufficientemente lineare, pur nella sua variabilità, nelle tracce successive il sound sembra progressivamente sfilacciarsi, con l’aggravante di una prestazione vocale che lascia diverse perplessità nelle parti che vorrebbero essere più evocative (molto meglio, invece, quando la timbrica di Robazza si fa più aggressiva).
Il rock/metal alternativo contenuto in Stellarly si dirama verso molteplici direzioni ma senza dare mai la sensazione di essere frutto di un “caos organizzato”: il lavoro così vive di buoni spunti, rinvenibili in certi passaggi dal sapore orientaleggiante (che andrebbero maggiormente sfruttati vista l’abilità esecutiva del chitarrista) capaci di rendere efficaci anche alcuni momenti della conclusiva Cold Disaster. Anche la title track si avvale una buona linea melodica nel suo finale ma, come detto, l’ep si muove a strappi, mostrando momenti piuttosto opachi come il nu metal simil-Korn di And Believe, che risulta particolarmente indigesto.
Joe Robazza dà la sensazione d’essere un musicista giustamente ambizioso e foriero di idee brillanti ma, all’atto pratico, il risultato che scaturisce da questa prima prova solista si rivela appena sufficiente: per il futuro sarebbero auspicabili scelte differenti per le parti vocali ed uno sviluppo più organico dal punto di vista compositivo, perché sull’aspetto prettamente strumentale c’è poco o nulla da eccepire.
Il giudizio è pertanto interlocutorio, in attesa di future evoluzioni.

Tracklist:
1.Perfect Evolution
2.Stellarly
3.And Believe
4.Cold Disaster

JOE ROBAZZA – Facebook

Bolgia Di Malacoda – La Forza Vindice Della Ragione

Una band che conferma l’alto valore artistico del rock del bel paese e la sua assoluta maturità nell’affrontare il lato oscuro dell’uomo e della sua spiritualità.

Mefistofelico: non credo ci sia un’altra parola più adatta per descrivere La Forza Vindice Della Ragione, nuovo lavoro di questa band toscana, che della teatralità e della tradizione letterale nazionale ne fa il suo concept lirico per inglobarlo in un alternative rock metal assolutamente fuori dagli schemi.

Il demone metà donna e metà animale demoniaco fa bella mostra di sé nella copertina molto seventies che la Bolgia Di Malacoda ha scelto per quest’opera luciferina, cantata in italiano e suonata con un taglio internazionale, amalgamando in una bolgia infernale, metal , dark wave e progressive.
Il lato teatrale ed interpretativo sta tutto nella voce di Ferus, un Piero Pelù posseduto da un demone che lo allontana dalle ultime schermaglie politiche col portafoglio pieno di euro e lo riavvicina al ribelle proto punk dei primi anni dei Litfiba, mentre il sound passa con disinvoltura tra il metal di chitarre in stato di guerra, ritmiche che a tratti corrono sulle strade horror/punk dei Misfits, per poi illuminarsi di spettacolari cambi di tempo che avvicinano la band al progressive, genere nel quale  noi abitanti dello stivale non siamo secondi a nessuno.
E poi un taglio letterario impreziosisce il tutto, già dal titolo che cita il poeta Carducci e che viene oltremodo tributato con l’opener Inno A Satana.
E’ una sorpresa continua La Forza Vindice Della Ragione, un album da seguire passo per passo, senza perder una nota o una parola, immersi in un’atmosfera stregata, con il sacerdote pazzo al microfono che ci invita al sabba che noi, ormai posseduti dal ritmo ipnotico di Malacoda, Andremoida, la frenetica Attent’al prete e la conclusiva Le Lune Storte, non possiamo esimerci dal rifiutare.
Una band che conferma l’alto valore artistico del rock del bel paese e la sua assoluta maturità nell’affrontare il lato oscuro dell’uomo e della sua spiritualità.

TRACKLIST
1. Inno A Satana
2. Nel Dubbio Vedo Nero
3. Malacoda
4. Bimba Mia
5. Adremoida
6. A Un Metro Dal Decebalo
7. Attent’al Prete
8. Introspettiva D’Ottobre
9. Così Passa La Gloria Del Mondo
10. Le Lune Storte

LINE-UP
Ferus – voce
Diego Di Palma detto il Lotti – basso
Michele Rose detto il Vanni – batteria
Alessandro Rocchi detto il Pacciani – chitarra

BOLGIA DI MALACODA – Facebook

Whores. – Gold.

Una botta spaventosa da parte una band che potrebbe ritagliarsi fin d’ora uno spazio davvero importante.

Se non hai nelle tue corde l’ispirazione per produrre qualcosa di veramente innovativo (cosa che capita comunque di rado), hai perlomeno l’obbligo morale di mettere tutta l’intensità possibile nella musica che proponi.

Quanto sopra è ciò che accade ad una band come gli statunitensi Whores., i quali si lanciano con un approccio rabbioso e in maniera spasmodica in una corsa che rade al suolo tutto ciò che incontra.
La band di Atlanta è al proprio full length d’esordio, che arriva dopo alcuni ep, senza aver omesso di mettere in cascina il fieno rappresentato da una consistente attività live, con la possibilità di condividere il palco con i migliori gruppi della scena rock/noise a stelle e strisce.
Il risultato è tangibile: Gold. è un album che deflagra senza perdersi in troppi preamboli e, anche se supera di poco la mezz’ora di durata, il suo minutaggio ridotto basta ed avanza, visto che una tale intensità sarebbe persino difficile da sostenere più a lungo.
Punk, rock, noise e, in misura inferiore, sludge, confluiscono in un unico condotto sotto forma di rumore fragoroso che, quando fuoriesce, si trasforma assumendo una sembianza musicale ugualmente godibile e sempre contraddistinta da un filo conduttore ben delineato.
Proprio qui sta il bello: anche se i georgiani sembrerebbero farsi trascinare, a prima vista, da un istinto animalesco, in realtà il frutto del loro impegno è una decina di brani ben ponderati e costruiti con sagacia, tra i quali la noia non fa capolino neppure per un attimo. Ghost Trash, Of Course You Do e I See You Also Wearing A Black Shirt sono alcuni tra gli ordigni più efficaci scagliati sulla folla dalle “puttane” di Atlanta.
Una botta spaventosa da parte una band che potrebbe ritagliarsi fin d’ora uno spazio davvero importante.

Tracklist:
1.Playing Poor
2.Baby Teeth
3.Participation Trophy
4.Mental Illness As Mating Ritual
5.Ghost Trash
6.Charlie Chaplin Routine
7.Of Course You Do
8.I See You Also Wearing A Black Shirt
9.Bloody Like The Day You Were Born
10.I Have A Prepared Statement

Line-up:
Christian Lembach – Vocals, guitar
Casey Maxwell – Bass
Donnie Adkinson – Drums

WHORES. – Facebook

Mastribes – Blast

Che vi piaccia o meno questo è il rock che alcuni danno stupidamente per morto ma che vive, tra sigarette e tequila, in un aura di immortalità.

Lo avevano promesso lo scorso anno con Shake Boom Tequila, ep che fungeva da presentazione per il gruppo napoletano e che non mancava di farci sbattere le natiche su e giù a colpi di hard rock ‘n’ roll.

L’album sulla lunga distanza che andavano a registrare non poteva che essere una deflagrazione di sleazy rock a stelle e strisce, ed infatti puntuale Blast conferma le ottime impressioni suscitate dalle tre tracce (tutte presenti sul nuovo album) che formavano Shake Boom Tequila.
E di tequila nella gola ne è scivolata tanta, visto la copertina scelta dal gruppo per questo primo lavoro che più rock’n’roll style di così non si può, decadente, alcolica, fumosa, perfetta.
Perfetta come lo stile dei Mastribes che, come ormai il genere impone, scelgono di valorizzare il loro hard street rock, debitore della Los Angels del sogno americano degli anni ottanta (o dei fallimenti persi in cantine sporche e siringhe arrugginite, fate voi), con quel mood moderno che prende a braccetto un intero genere e lo accompagna con un ritrovato splendore nel nuovo millennio.
Una parentesi è dovuta per elogiare la nostra scena, ormai fucina di band che descrivere come entusiasmanti è un eufemismo e che, senza esagerazioni, può tranquillamente guardare dall’alto verso il basso le realtà straniere, almeno nella vecchia Europa, dove i Mastribes con Blast si riservano un posto al sole.
One, two, three, e via di rock ‘n ‘ roll sporcato dallo sleazy/street metal anni ottanta, dunque irriverente, sfacciato, con un Michael Flame che tira fuori una prestazione deliziata da un taglio punk, la chitarra di Cristian Iorio che scivola su pozze di sostanze alcoliche e la sezione ritmica (Cosimo Castorini al basso e Umberto Viro) che, con la potenza del groove, alza un muro su cui si rompono colli di bottiglie ormai vuote.
It’s only rock ‘n’ roll, che vi piaccia o no questo è il rock che alcuni danno stupidamente per morto ma che vive, tra sigarette e tequila in un aura di immortalità a colpi delle irresistibili Rock’ n’roll, Bitin’ The Dust, Wasted Youth e tutti gli altri inni alla vita da rocker che compongono Blast ... imperdibile!

TRACKLIST
1. Rock N’ Roll
2. Shake Boom Tequila
3. Bitin’ The Dust
4. She’s Got The Look
5. Forget Me
6. Everything
7. Wasted Youth
8. Pussy Crusher
9. Another Chance
10. My Game

LINE-UP
Michael Flame – Lead Vocals
Cristian Iorio – Guitars, Vocals
Cosimo Castorini – Bass Guitar
Umberto Viro – Drums

MASTRIBES – Facebook

Soul Seller – Matter Of Faith

Uno scrigno delle meraviglie hard rock, che se ricorda non poche icone della nostra musica preferita, possiede comunque marchiato in bella mostra il monicker Soul Seller.

Finiti i tempi del successo commerciale, l’hard rock melodico di stampo classico ha continuato il suo percorso musicale all’ombra dei vari generi che si sono succeduti nel cuore dei fans negli ultimi venticinque anni.

Gli amanti della musica dura dal taglio raffinato hanno comunque avuto il supporto dei paesi scandinavi e delle terre d’oltreoceano, per saziarsi di melodic rock, con nel mezzo l’Europa centrale (Germania) da sempre culla di questi suoni.
In Italia la scena è comunque ricca di talenti e nell’underground valide etichette lavorano costantemente per dare spazio ai gruppi di genere meritevoli d’attenzione da parte dei fans.
Aspettando tempi migliori per un minimo di attenzione in più, soprattutto (carta stampata in primis) da chi detta regole di mercato non scritte, noi,  che dei trend (purtroppo fastidiosi anche nell’hard & heavy) ce ne freghiamo,  godiamo delle note eleganti e splendidamente melodiche di quegli eroi poco conosciuti che di melodic rock ci fanno innamorare.
I Soul Seller, per esempio, sono una band piemontese, attiva da un po’ di anni e con una già discreta discografia alle spalle composta da un primo album autoprodotto uscito all’alba del nuovo millennio, due ep e l’ultimo parto licenziato cinque anni fa (Back To Life).
Il sestetto nostrano torna con questo nuovo e bellissimo album dal titolo Matter Of Faith, un’opera di rock melodico colma di splendide tracce, dove l’hard rock tradizionale incontra l’AOR e con l’aiuto di sfumature progressive ci delizia con una serie di canzoni che, in un’altra epoca, suonerebbero nell’autoradio di molti rocker dal cuore tenero e dai gusti raffinati.
Matter Of Faith ha l’indubbia virtù di pescare tanto dalla tradizione europea quanto da quella statunitense, i richiami all’hard rock britannico infatti si riflettono in attimi dove un’energia stradaiola ci ricorda di notti infuocate nei locali della West Coast o ci portano ad inorgoglirci di epicità in quelle lande raccontate dai maestri Ten e Dare (Get Away From The Light, apice del disco).
Qui troviamo una produzione cristallina, un cantante sopra le righe, chitarre eleganti che ricamano riff e solos dove la melodia e l’energia vanno a braccetto, ballate che sprigionano un delicato gusto AOR, tastiere ariose che a tratti giocano con la tradizione progressiva nazionale, ma soprattutto canzoni, dannatamente coinvolgenti e che ci imprigionano senza lasciarci andare via, legati mani e piedi da un songwriting di altissimo livello.
L’energia della title track mi ha ricordato i migliori Scorpions in versione U.S.A, Alchemy e poi l’opener Neverending spoiccano da par loro ma non da meno sono tutte le altre tracce che formano questo scrigno delle meraviglie hard rock, che se ricorda non poche icone della nostra musica preferita, possiede comunque marchiato in bella mostra il monicker Soul Seller.
Album di una bellezza imbarazzante, fatevi sotto.

TRACKLIST
1.Neverending
2.Given To Live
3.Tide Is Down
4.Memories
5.Get Stronger
6.Echoes From A Distant Future
7.Get Away From The Light
8.Alchemy
9.Wipe Your Tears Away
10.Matter Of Faith
11.Strangers Apart
12.Made Of Stone

LINE-UP
Eric Concas – Lead & Backing Vocals
Cris Audisio – Lead, Rhythm & Acoustic Guitar, Backing Vocals
Dave Zublena- Rhythm & Acoustic Guitar, Backing Vocals
Mike Zublena – Bass
Italo Graziana – Drums & Backing Vocals
Simone Morandotti – Keyboards & Programming

SOUL SELLER – Facebook

Fair Warning – Pimp Your Past

Un bellissimo regalo per i fans che potranno godere delle nuove interpretazioni di brani che, nel genere, erano e resteranno di un’altra categoria.

Tornano sul mercato, tramite la Steamhammer/SPV, i Fair Warning di Tommy Heart, uno dei gruppi che hanno dato più lustro all’hard rock melodico europeo, almeno da quando i loro album hanno cominciato a mostrarsi nei negozi di dischi del vecchio continente.

Una band che ha regalato almeno due capolavori, dati in pasto agli amanti del genere negli anni novanta, periodo in cui queste sonorità non erano certamente cool, surclassate dal rock proveniente dal nuovo continente.
Ma è indubbio che Rainmaker (1995) e Go (1997), portarono una calda ventata di hard rock classico a chi all’epoca doveva guardare al mercato giapponese per reperire le opere che continuavano ad uscire imperterrite ma poco considerate dai fans, così che il gruppo riuscì a ritagliarsi un suo spazio comunque.
Pimp Your Past non è un nuovo lavoro ma una compilation di brani presi dai primi tre lavori (oltre agli album citati, anche il debutto omonimo del 1991), risuonati e riarrangiati dal gruppo che dona così una nuova veste a tracce già di per sé bellissime.
Ed infatti le nuove Longing For Love, Out On The Run e compagnia tornano a risplendere, con un Heart in splendida forma e la sei corde di Helge Engelke che ricama accordi ora incendiati dal sacro fuoco del rock, ora melodici da far venire i brividi, in questa ulteriore dimostrazione del talento del quartetto tedesco (Ule W e Ritgen C.C. Behrens accompagnano e valorizzano il sound, precisi come orologi).
Angels Of Heaven (Go) rimane una delle canzoni più belle scritte dai Fair Warning, insieme alla splendida Save Me (sempre dal capolavoro del 1997) e Pimp Your Past diventa, più che una compilation, un’ulteriore dimostrazione di forza da parte di Tommy Heart e soci: non solo un album consigliato a non conosce ancora i Fair Warning, ma soprattutto un bellissimo regalo per i fans che potranno godere delle nuove interpretazioni di brani che, nel genere, erano e resteranno di un’altra categoria.

TRACKLIST
01. Longing For Love
02. One Step Closer
03. Out On The Run
04. When Love Fails
05. Long Gone
06. Burning Heart
07. Pictures Of Love
08. Angels Of Heaven
09. Rain Song
10. Save Me
11. Don’t Give Up

LINE-UP
Tommy Heart: Vocals
Helge Engelke: Guitar
Ule W. Ritgen: Bass
C.C. Behrens: Drums

FAIR WARNING – Facebook

Darkwalker – The Wastelands

Un buon lavoro nel suo complesso che potrebbe anche fare breccia se siete affezionati alle varie correnti statunitensi sviluppatesi nel rock degli ultimi venticinque anni.

Devono ancora arrivare i tempi di vacche magre per i suoni hard rock ispirati agli anni settanta, soprattutto quelli che al rock classico aggiungono atmosfere stoner, direttamente dall’America da sudare e sballare nei deserti infuocati della Sky Valley.

Il trio al debutto su Sleaszy Rider, label greca attiva come non mai in campo underground, dal metal classico ai suoni alternative, si chiama Darkwalker ed il suo primo lavoro è un buon esempio delle sonorità descritte, direttamente dagli States.
Ispirato nei testi all’opera letteraria La Torre Nera, una serie di romanzi di Stephen King molto famosa, che unisce fantasy, fantascienza, horror e western, The Wastelands si aggrega in posizione defilata ma nobile alle uscite del genere in questo 2016, confermando l’ottimo stato di salute che godono queste sonorità.
In verità il gruppo americano lascia che le ispirazioni settantiane siano appena marcate, e da band cresciuta a pane e rock alternativo imprime nel sound una forte impronta post grunge, ipnotizzata da una delicata vena psichedelica e martoriata da potenti dosi di groove stoner novantiano.
Intelligentemente il gruppo, pur ispirandosi ad un’opera prolissa, spende tutta la sua energia in poco più di mezzora, un bene visto che qualche difettuccio non manca nell’autonomia generale del disco.
Voce e chorus per esempio, pur ricordando i Corrosion Of Conformity era Blind, risultano leggermente monocordi, un dettaglio sicuramente, visto che The Wastelands non perde punti, dall’alto del suo potenziale ritmico che risulta il punto di forza del gruppo.
Manca leggermente quel fascino da jam acida che in molti album fa la differenza, puntando sul feeling e l’immediatezza delle opere orientate verso i suoni alternative, confermato da brani ritmati e molto attenti al classico meccanismo strofa-ritornello-strofa, niente di male visto la buona presa di tracce come il singolo Black Thirteen, The Dark Tower e Drawing Of The Three, mentre la palma di miglior brano del disco va alla sabbathiana (ed unica concessione al periodo seventies) The Battle Of Devar-Toi.
Un buon lavoro nel suo complesso che potrebbe anche fare breccia se siete affezionati alle varie correnti statunitensi sviluppatesi nel rock degli ultimi venticinque anni.

TRACKLIST
1. Black Thirteen
2. Gunslingers
3. The Dark Tower
4. Memories Of Another Life
5. Crimson King
6. Drawing Of The Tree
7. The Battle Of Devar-Toi
8. Black Thirteen (bonus video-clip)

LINE-UP
Derek
Hector
Dave

DARKWALKER – Facebook

Red Riot – Fight

Anche se di corta durata Fight dice già parecchio sull’impatto e sulla qualità della musica dei Red Riot

It’ s hard to live through blood and lies, but after all we fight, fight, fight!

Una dichiarazione di guerra, un urlo sguaiato all’insegna dello street sleazy metal, un ritorno alla carica e all’energia del metal irriverenete degli anni ottanta, ma con l’aggiunta di una neanche troppo velata carica thrash.
Il primo ep dei Red Riot mi piace affiancarlo al debutto dei mai troppo osannati L.A Guns di Tracy Guns, album che più di ogni altro posò le fondamenta per tutto il movimento street metal, lontano dai lustrini patinati di altre realtà con piglio radiofonico e tormentato da una carica punk che sinceramente non troverete neppure negli album di maggior successo, neppure in quelli dove facevano bella mostra di sé pistole e rose.
La differenza sostanziale è che, oltre allo scorrere del tempo, la band campana, al posto delle adrenaliniche influenze punk, potenzia il proprio sound con esplosioni di thrash metal, così da far risultare i tre brani in scaletta delle esplosive e pericolosissime fialette di nitroglicerina sballottate per le strade del tempo.
Attivo da un paio d’anni, con qualche aggiustamento da annoverare nella line up, il gruppo a luglio di quest’anno ha avuto l’onore di partecipare al primo festival organizzato dalla Volcano Promotion, il Volcano Rock Fest dove hanno diviso il palco, tra gli altri, con i Teodasia, i metal progsters DGM e i fenomenali hard rockers Hangarvain, non male per un gruppo con tre soli brani registrati.
Si diceva che la proposta del gruppo si discosta dallo sleazy metal da classifica, per un approccio molto più aggressivo, sin dall’opener Fight, passando per Squealers e Who We Are, l’irriverenza tipica del genere è potenziata da ritmiche potenti e veloci, solos di estrazione heavy e vocals che richiamano non poco l’attitudine thrash, così come i chorus scanditi come inni da battaglia metallica on stage.
Menzionare i Motorhead per il ruvido rock’n’roll punkizzato e ribelle di Squealer è doveroso, così come le smanie alternative che accompagnano lo street groove di Who We Are, tenuto a bada dal gruppo con solos che si rifanno alla scuola thrash statunitense, in un ottimo e roboante brano che chiude questo ep.
Anche se di breve  durata, Fight dice già parecchio sull’impatto e la qualità della musica dei Red Riot, una band da tenere d’occhio in un futuro che promette fuochi d’artificio.

TRACKLIST
01. Fight
02. Squealers
03. Who We Are

LINE-UP
Alpha Red- Voce
Max Power- Chitarra
JJ Riot- Chitarra
Lex Riot- Basso
Be/eR- Batteria

RED RIOT – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=MabsrUnRh38

King Dude – Sex

In definitiva Sex è un disco di folkore americano altro, ben suonato e composto ancora meglio.

Continua il viaggio nelle molteplicità dell’animo umano di King Dude, il cantautore neofolk e darkwave americano che tanto bene ha fatto in questi ultimi anni. King Dude ha cambiato i confini di un genere di nicchia ma dalle grandi potenzialità come il neoofolk, facendolo sposare alla darkwave e alla new wave.

Il suo cantato è potente, suadente e racconta viaggi nelle malebolge, negli anfratti del nostro io, angoli ciechi che non vediamo nemmeno allo specchio. La sua voce ti entra dentro, e scava alla ricerca di cose che sono dentro di noi e che a volte spingono per uscire. La sua maturazione è costante disco dopo disco, e sta portando ad una musicalità che è unica ed appartiene solo a lui. Il sasso gettato nello stagno del neofolk da King Dude sta portando una ventata di novità nel genere, che stava ristagnando. Sex è una ricerca intorno a tutto ciò che è sesso, ma è soprattutto un’indagine pasoliniana su questo sommovimento del corpo e dell’anima che si chiama sesso. Potrà sembrare una bestialità, ma King Dude mi sembra l’unico che possa raccogliere l’eredità di Johnny Cash, quel mettere in musica in altra maniera i sentimenti umani, con un codice totalmente diverso dagli altri.
Il suo stile è immediatamente riconoscibile ed è un piacere fisico stare ad ascoltare le sue storie. In definitiva Sex è un disco di folkore americano altro, ben suonato e composto ancora meglio.

TRACKLIST
1.Holy Christos
2.Who Taught You How To Love
3.I Wanna Die at 69
4.Our Love Will Carry On
5.Sex Dungeon (USA)
6.Conflict & Climax
7.The Leather One
8.Swedish Boys
9.Prisoners
10.The Girls
11.Shine Your Light

KING DUDE – Facebook

Motorfingers – Goldfish Motel

Goldfish Motel ha il pregio di non stancare e la non così scontata voglia di far premere nuovamente il tasto play porta alla promozione a pieni voti del lavoro.

E’ indubbio che le sonorità provenienti dagli states abbiano influenzato l’Europa intera, specialmente in ambito hard & heavy ed anche il nostro paese, certo non immune dalle influenze musicali provenienti dal nuovo continenente.

Così pur riconoscendo alla nostra scena un livello qualitativo molto alto, soprattutto negli ultimi tempi, è pur vero che, nell’hard rock e nel metal moderno le ispirazioni sono da sempre riscontrabili nella musica statunitense.
Questo non risulta un difetto anzi, molte volte le nostre realtà (come per esempio i Motorfingers) non sfigurano di certo al cospetto con le super produzioni americane, confrontandosi alla pari con molti gruppi, conosciuti per un martellamento a tappeto sui canali satellitari e radio, ma poi a conti fatti senza nulla da invidiare loro.
E’ dal 2008 che la band nostrana porta in giro la sua musica, una storia che riflette quella di molte altre: cambi di line up, buoni riscontri tra gli addetti ai lavori, due ep ed un primo full length (Black Mirror) uscito nel 2012 per la logic(il)logic Records, label nostrana che licenzia dopo quattro anni anche questo nuovo lavoro.
Ancora qualche aggiustamento nella line up, vede la formazione oggi composta da Max e Spezza alle chitarre, Alex alle pelli e i due nuovi entrati, il bassista Faust (ex Golden Sextion) ed il vocalist Abba dei notevoli Nightglow, autori un paio di anni fa dello splendido Orpheus .
Goldfish Motel è composto da undici tracce di metal rock moderno, grintoso ed aggressivo, dove non mancano ottime ballad dal mood drammatico ed un’anima oscura che aleggia sulla musica del gruppo.
L’alternanza tra metal ed impulsi hard rock, l’ottimo groove che sprigiona dai brani, le sei corde dai riff pieni e dai solos taglienti, le ritmiche grasse ed il cantato sopra le righe, fanno di questo lavoro un ottimo esempio di musica dura, perfettamente a suo agio in questo primo scorcio del nuovo millennio.
Il gruppo non le manda a dire, si tuffa nel rock moderno con piglio e personalità, certo la bandiera a stelle e strisce è ben posizionata dietro al drumkit di Alex, ma i brani mantengono un appeal molto alto, l’aggressività del sound è molte volte bilanciata da chorus melodici, le ritmiche moderne con solos sfacciatamente classici, facendo funzionare alla grande questo lavoro.
Le canzoni in cui dove la band spinge sulla potenza non fanno prigionieri (Obscene), i mid tempo lasciano a brani più smaccatamente rock (Day Of Dawn, l’irresistibile Eat Your Gun) il compito di tenere alta la tensione, elettrizzanti spunti che conducono dalle parti dello streets metal (Disaster) sono assopiti da ballad mai banali, e molto intense (XXXIII e Nothing but a man) variando non poco il songwriting di un lavoro riuscito in pieno.
Bersaglio centrato per i MotorfingersGoldfish Motel ha il pregio di non stancare e la non così scontata voglia di far premere nuovamente il tasto play porta alla promozione a pieni voti del lavoro.

PS. Abba si dimostra come uno dei migliori cantati in circolazione nel nostro paese, almeno per il genere, un  grande acquisto in casa Motorfingers.

TRACKLIST
01. Walk On Your Face
02. Behind This Fire
03. Obscene
04. Day Of Dawn
05. XXXIII
06. Burning Down
07. Nothing But A Man
08. Pull The Tail
09. Disaster
10. Tonight
11. Eat Your Gun

LINE-UP
Abba – Vocals
Max – Guitar
Spezza – Guitar, Backing Vocals
Faust – Bass
Alex – Drums

MOTORFINGERS – Facebook

Badmotorfinger – Heroes

Un buon lavoro, suonato con il cuore che pulsa come i pistoni di una motocicletta

Nuovo lavoro in formato ep per i bolognesi Badmotorfinger, tornati sul mercato tramite logic(il)logic Records a scaldare l’autunno dei rockers di lungo corso.

Il gruppo ha all’attivo un primo album sulla lunga distanza uscito nel 2013 (It’s Not the End) dopo il ritorno nel gruppo di uno dei fondatori, il chitarrista Federico Mengoli, successivamente all’esperienza con i Tarchon Fist.
Il mini cd si compone di tre brani inediti, più due versioni acustiche di tracce inserite a suo tempo nel primo album, ed una in una versione riveduta e corretta, dunque siamo al cospetto delle due anime del gruppo: la prima ruvida, grintosa ed diretta, la seconda intimista (Afterlife) e dai rimandi southern rock (Rebel).
Nei brani inediti il gruppo emiliano continua imperterrito il suo viaggio nell’hard & heavy più grezzo, dai rimandi classici, mai troppo veloce ma dalle ispirazioni che si piazzano tra i metallica ed i Motorhead.
Il sound richiama queste due band, senza alzare troppo il ritmo, ma imprigionandolo tra le briglie di un groove potente e massiccio, quattro tracce rocciose di fiero metal/hard rock, dal mood live, senza fronzoli e con il rock’n’roll a fare da diavoletto sulla spalla dei musicisti bolognesi.
Musica per rockers da motoraduni duri e puri, una forza sprigionata dalla passione per il genere, che non cerca novità ed originalità a tutti i costi, ma il consenso di chi il rock lo vive o lo ha vissuto sulla propria pelle.
I primi due brani inediti (Hidden Heroes e Needle in My Vein) sono mid tempo rocciosi, con buoni interventi chitarristici di scuola heavy, cantato robusto e ritmi sostenuti da un buon groove.
No Second Chance, rifatta per l’occasione, lascia spazio al rock’n’roll ipervitaminizzato di Badmotorfinger,  canzone che più si avvicina al sound motorheadiano, mentre i due brani acustici lasciano intravedere una voglia di frontiera e specialmente Rebel risulta, come detto, un piacevole brano dal gustoso mood southern rock.
Un buon lavoro, suonato con il cuore che pulsa come i pistoni di una motocicletta, roba da fottuti rockers, prendere o lasciare … io prendo!

TRACKLIST
01. Hidden Heroes
02. Needle In My Vein
03. No Second Chance (new version)
04. Badmotorfinger
05. Afterlife (acoustic version)
06. Rebel (acoustic version)

LINE-UP
Luigi Sange Sangermano – VOCALS
Alessandro Alex Mengoli – GUITAR
Federico Heavyrico Mengoli – GUITAR
Massimiliano Tommi Tommesani – BASS
Fabio Barra Bussolari- DRUMS

BADMOTORFINGER – Facebook

Scarlet Aura – Falling Sky

Hard rock melodico di gran classe tra tradizione ed appeal moderno, con tanto di voce femminile da applausi.

Se questi ragazzi apriranno i prossimi concerti della divina Tarja Turunen un motivo ci sarà.

Grosso colpo della Pure Rock Records che si aggiudica le prestazioni musicali degli Scarlet Aura, band rumena che fa dell’hard rock melodico di gran classe tra tradizione ed appeal moderno, con tanto di voce femminile da applausi.
La band di Bucarest, al secondo lavoro dopo The Rock Chick uscito nel 2014 e molte presenze live nell’est Europa in compagnia di grossi nomi del metal e dell’hard rock, mette la quinta e svernicia una buona fetta di realtà del genere con un lavoro perfetto sotto tutti i punti di vista.
Hanno le carte in regola per sfondare i ragazzi rumeni; grandi canzoni, una singer bella ma, soprattutto, bravissima nel donare feeling a profusione ai brani, ed un sound che bilancia potenza e melodie accattivanti, insomma Falling Sky potrebbe davvero affermare il gruppo nella scena del vecchio continente, così arida nei confronti dell’hard rock melodico.
Sostenuto dal gran lavoro alla sei corde dell’axeman Mihai Danciulescu, da una sezione ritmica senza freni quando si tratta di picchiare duro (Catalin Ungureanu al basso e Matthias Klaus) e valorizzata dall’affascinante voce della singer Aura Danciulescu, Falling Sky strappa applausi dalla prima all’ultima nota con il suo mix letale di hard rock elegante e melodico e la sua neanche troppo velata vena metallica dal mood moderno, pronto per essere accolto dai rockers attenti alla musica melodica e dall’appeal radiofonico.
Una raccolta di brani che non temono cedimenti e mantengono altissima l’attenzione, un susseguirsi di emozioni che dall’opener Immortal In Your Eyes, passando per My Own Nightmare, le melodie orientaleggianti di Fortune Teller, la title track e la ballad Silent Tears, conquistano l’ascoltatore, senza difese contro l’ipnotica e notevole voce della singer.
Prodotto da Roy Z, Falling Sky è nel suo genere un piccolo gioiello, e per i fans dell’hard rock melodico un acquisto obbligato.

TRACKLIST
1. Immortal In Your Eyes
2. Colour Blind
3. You’re Not Alone
4. My Own Nightmare
5. Chasing White Horses
6. Falling Sky
7. Silent Tears
8. Shamanic Eye
9. Fortune Teller
10. Riding like The Wind
11. Silent Tears (Radio Edit)

LINE-UP
Aura Danciulescu – vocals
Mihai Danciulescu – guitars, vocals
Catalin Ungureanu – bass, vocals
Matthias Klaus – drums

SCARLET AURA – Facebook

King Crimson – Radical Action (To Unseat The Hold of Monkey Mind)

Un cadeau gradito ma forse non imprescindibile, per via di alcune scelte non del tutto convincenti.

Pensare di recensire (inteso nel senso meno nobile di fargli le pulci) un disco dei King Crimson, a pensarci bene, rischia di sembrare un atto di presunzione: chi siamo noi (direbbe qualcuno) per poter giudicare uno dei più grandi musicisti che abbiano solcato il pianeta negli ultimi cinquant’anni ? Nessuno, appunto, però allo stesso modo si ha il diritto di discuterne l’operato, sotto forma di scelte commerciali, un terreno scivoloso dove l’arte lascia spazio al marketing.

Uno dei pregi della creatura inventata alla fine degli anni ’60 da Robert Fripp è sempre stata quella di non cedere in maniera spudorata alla tentazione del revival, cioè alla tanto vituperata trasformazione in cover band di sé stessi, badando a mettere in moto la macchina live per lo più solo dopo aver dato alle stampe un album di inediti, e spesso ignorando perfidamente in tale sede i brani di più vecchia data, i cosiddetti classici.
La tendenza pare esser cambiata negli ultimi anni, visto che Fripp ha messo in piedi questa strana formazione a sette, dotata di ben 3 batteristi (!), con la quale alla soglia delle sue settanta primavere se ne sta andando da un po’ in giro per il mondo a riportare il verbo crimsoniano.
La band di culto per eccellenza del progressive toccherà anche il suolo italico (il biglietto per il concerto del 5 novembre a Milano è già stato accaparrato …) e sarà l’occasione per chi, come me, nonostante la non più verde età, è riuscito a vederla una sola volta in concerto, a Genova nel 2003.
In quell’occasione il repertorio più datato si spingeva indietro per lo più fino ai dischi degli anni ’80, gli stessi che sono stati letteralmente “banditi” nella scelta della scaletta per questo triplo cd intitolato Radical Action (To Unseat The Hold of Monkey Mind); non è difficile immaginare che il tutto possa essere dovuto all’assenza nella line-up di Adrian Belew, estromesso da Fripp in questa sua ennesima incarnazione del re cremisi.
Non so neppure se possano esserci anche aspetti legati ai diritti dei brani composti in compartecipazione con il cantante-chitarrista americano, fatto sta che in questa uscita si passa a piè pari dalla storica produzione settantiana a quella degli anni novanta, bypassando un capolavoro come Discipline a favore di album ben più opachi.
Va detto anche che la voce “lakeiana” di Jakko Jakszyk mal si sarebbe prestata all’interpretazione di Elephant Talk piuttosto che di Frame By Frame o Thela Hun Ginjeet, pertanto prendiamoci quanto di buono (ed è molto) ha da offrire questo live, suddiviso come detto in 3 cd denominati, rispettivamente, Mainly Metal, Easy Money Shots e Crimson Classics.
Nel primo cd, che si apre e si chiude con le (magnifiche) due parti di Larks’ Tongues In Aspic, sono proposti alcuni dei brani composti dall’attuale formazione e mai confluiti su alcun disco, benché siano stati presentati più volte dal vivo: va detto che alcune di queste sono tracce davvero interessanti e di gran lunga superiori a quelle che facevano parte di A Scarcity Of Miracles, ultimo lavoro in studio attribuibile di fatto ai King Crimson, pur se uscito a nome di Jakszyk, Fripp e Collins.
Il secondo cd, come da manifestazione d’intenti, vede Easy Money quale suo fulcro, assieme ad estratti da In The Wake Of Poseidon (Peace e Pictures Of A City) ed Islands (The Letters e Sailor’s Tale) mentre il terzo è, alla fine, quello che farà maggiormente la gioia dei fan di vecchia data, contenendo, al netto dell’assolo di batteria di Devil Dogs Of Tessellation Row, solo pietre miliari della produzione crimsoniana quali Red, One More Red Nightmare, Epitaph, Starless, The Court Of The Crimson King e 21st Century Schizoid Man.
Fatto l’appello e constatato che, almeno, per quanto riguarda gli anni ’70, a prima vista non si segnalerebbero particolari errori od omissioni nella compilazione della scaletta se non si scoprisse, a posteriori, che anche un disco “discreto” come Starless And Bible Black è scomparso dai radar, veniamo al modus operandi, ovvero come tali brani sono stati reinterpretati da questa formazione.
Dato per certo che in sede live i King Crimson, per indole del loro creatore, non sono mai stata band da riproposizione in fotocopia dei brani rispetto alle versioni in studio, la presenza di Mel Collins in qualche modo condiziona la scelta degli arrangiamenti perché, è evidente, se hai un fior di sassofonista/flautista sul palco bisogna pure sfruttarlo. E’ per questo probabilmente che un brano metal ante litteram come Red viene appesantito da un sax che centra come i cavoli a merenda, e lo stesso succede anche in The Talking Drum; al contrario il flauto in The Court Of The Crimson King ed il sax in Starless sono elementi fondanti dei brani anche nella loro stesura originale e quindi la loro presenza si rivela essenziale per la resa finale.
Altri dubbi permangono sull’utilità del triplo batterista, all’apparenza più una bizzarria frippiana che non un’effettiva necessità, tanto più che i brani in cui tale soluzione avrebbe trovato la sua massima esaltazione  sono proprio quelli dei King Crimson ottantiani; infine, l’interpretazione vocale di Jakszyk non brilla per personalità, né nei brani cantati originariamente dal suo modello Greg Lake, né soprattutto in quelli che venivano contraddistinti dalla voce ben più calda di John Wetton.
Insomma, Radical Action (To Unseat The Hold of Monkey Mind) è un comunque gradito “malloppone” in cui alle molte luci si alternano diverse ombre, ovviamente il tutto riferito non all’impeccabile esecuzione di musicisti inattaccabili su ogni fronte, ma a scelte talvolta non condivisibili, inclusa quella di incidere un live cancellando di fatto la presenza del pubblico.
A tale proposito, rispetto alla versione audio, dovrebbe risultare senza’altro più accattivante ed appetibile quella in DVD, dove invece il pubblico (forse perché si vede ..) non è stato ammutolito.
Detto questo, non vedo l’ora di ascoltare dal vivo per la prima (e presumibilmente anche l’ultima) volta, una serie di canzoni che hanno segnato indelebilmente la mia adolescenza (se i ragazzini oggi sentono Andiamo a Comandare con l’i-pod ed io quarant’anni fa avevo Starless nel mangianastri, sarà il caso di chiedersi se il progresso culturale sia andato di pari passo con quello tecnologico); mi recherò al concerto con la coscienza a posto di chi spende il giusto per andare a vedere a teatro i cosiddetti “dinosauri”, senza dimenticare (mai) di supportare, spesso assieme a pochi intimi, le esibizioni di ottime band contemporanee che il 90% di quelli che saranno assisi agli Arcimboldi, invece, continueranno bellamente ad ignorare per partito preso. C’est la vie …

Tracklist:
DISC 1 – Mainly Metal:
01. Larks’ Tongues In Aspic Part One
02. Radical Action (to Unseat The Hold Of Monkey Mind)
03. Meltdown
04. Radical Action II
05. Level Five
06. The Light Of Day
07. The Hell Hounds Of Krim
08. The ConstruKction Of Light
09. The Talking Drum
10. Larks’ Tongues In Aspic Part Two

DISC 2 – Easy Money Shots:
01. Peace
02. Pictures Of A City
03. Banshee Legs Bell Hassle
04. Easy Money
05. VROOOM
06. Suitable Grounds For The Blues
07. Interlude
08. The Letters
09. Sailor’s Tale
10. A Scarcity Of Miracles

DISC 3 – Crimson Classics:
01. Red
02. One More Red Nightmare
03. Epitaph
04. Starless
05. Devil Dogs Of Tessellation Row
06. The Court Of The Crimson King
07. 21st Century Schizoid Man

Line-up:
Mel Collins sax, flauto
Robert Fripp chitarra, tastiere
Gavin Harrison batteria
Jakko Jakszyk – chitarra, voce
Tony Levin – basso, stick
Pat Mastelotto – batteria
Bill Rieflin – batteria, tastiere