John Holland Experience – John Holland Experience

Una bella sorpresa, un distorto e marcio blues di provincia.

Trio della fertile provincia cuneese nato in una cantina nel 2013, quando hanno unito le forse Alex Denina, Simone Calvo che abbiamo già avuto modo di ammirare nei Flying Disk e Francesco Martinat.

Questo trio fa un noise stoner molto bello e vario, con una forte attitudine punk, senza disdegnare ottime aperture melodiche. Il disco è condiviso in download libero e presenta molte sorprese, tra le quali spiccano la solidità e la capacità di cambiare registro, come quella di cambiare repentinamente velocità, il tutto con testi intelligenti e con un gusto beat anni sessanta. I John Holland Experience funzionano molto bene, si fanno ascoltare molto bene e sono anche originali, con quel senso della musica e della vita che solo la gaudente provincia cuneese ti sa dare. Un disco molto interessante coprodotto da tante etichette in 500 cd e in free download. Una bella sorpresa, un distorto e marcio blues di provincia.

TRACKLIST
01. Intro
02. Malvagio
03. Elicottero
04. Revival
05. Canzone D’Amore
06. Festa Pesta
07. Tieni Botta
08. Ti Piace

LINE-UP
Simone Calvo : voce, basso
Alex Denina : batteria
Francesco Martinat : voce, chitarra

JOHN HOLLAND EXPERIENCE – Facebook

Atom Made Earth – Morning Glory

I sette brani di cui si compone Morning Glory formano una lunga jam che vi trascinerà in un vortice di suoni e colori irresistibile

Premessa: Il rock è morto, anzi no!

Lontane dai deliri di certi scribacchini che, alla scomparsa di una bella fetta delle icone rock che hanno imperversato negli ultimi trent’anni di storia della musica contemporanea, hanno creduto di celebrare la messa funebre al genere, ed immersi nelle vicissitudini di una scena underground mai così prolifica e dall’altissima qualità, le ‘zine di riferimento continuano imperterrite a presentarvi realtà di spessore provenienti da ogni parte del mondo.
A fare la voce grossa c’è anche il nostro paese, troppo spesso dimenticato soprattutto dai fans nati sul territorio nazionale e che all’ombra delle luci accese su spettacoli indecorosi trasmessi in tv, o a festival imbruttiti da una ricerca spasmodica del nuovo re del pop melodico, risulta patria di splendide realtà in tutti i generi con cui il rock ed il metal si nutrono.
Morning Glory conferma l’ottima salute che gode il rock nel nostro paese e ci presenta una band formata da quattro straordinari musicisti che, senza barriere e schemi prestabiliti, inglobano nel proprio sound diverse atmosfere, sfumature ed ispirazioni creando musica totale ed assolutamente progressiva.
Non smetterò mai di affermare che album come questo secondo lavoro del gruppo marchigiano sia quanto di più progressivo il rock del nuovo millennio possa riservare ai suoi estimatori, splendidamente strumentale ma intenso, cangiante e tecnicamente ineccepibile.
Non è assolutamente semplice trovare un lavoro di sole note, dove il canto sarebbe un di più, ci pensano gli strumenti a raccontare l’emozionante viaggio che gli Atom Made Earth hanno memorizzato sul loro navigatore musicale in un crescendo di sorprese che vi accompagneranno per tutta la durata dell’opera e la voglia irrefrenabile che avrete di schiacciare il tasto play ancora una volta.
Accompagnato dalla bellissima copertina curata dall’artista argentino Hernàn Chavar, registrato da Gianni Manariti e masterizzato dall’ex leader dei Khanate James Plotkin, Morning Glory è un album di rock progressivo che, da una forte base pinkfloydiana si dirama in più direzioni, e come un fiume in piena trascina con sé svariati mood, passando con disinvoltura dai Goblin allo stoner rock degli anni novanta, da soluzioni funky care a band come i Primus a divagazioni alternative e post rock inglobate in un sound che sprizza psichedelia da tutti i pori.
I sette brani di cui si compone Morning Glory formano una lunga jam che vi trascinerà in un vortice di suoni e colori irresistibile, confermando come detto non solo l’assoluto valore del gruppo di Ancona, ma l’inesauribile falda aurifera di cui si nutre la scena underground dello stivale.

TRACKLIST

1.Noil
2.Thin
3.October Pale
4.Reed
5.Baby Blue Honey
6.staC
7.Lamps Like An African Sun

LINE-UP

Daniele Polverini – Guitars, Loop, Synth, Effects
Nicolò Belfiore – Keyboards, Synth, Piano
Testa “Head” – Drum, Percussions
Lorenzo Giampieri – Bass

ATOM MADEEARTH – Facebook

Psychedelic Witchcraft – The Vision

The Vision è quello che dice il titolo, ovvero una bella visione di un tempo andato e di sensazioni dimenticate ma estremamente piacevoli.

Secondo disco per l’emergente Virginia Monti che cambia band ed etichetta per il suo nuovo disco.

I Psychedelic Witchcraft sono un gruppo giovane fondato nel marzo 2015 che, con la vecchia line up, aveva pubblicato per la Taxi Driver il 10″ di esordio Black Magic Man, che era andato presto esaurito, ed è anche un pezzo da collezione poiché vi era la playlist sbagliata. Il nuovo lavoro per Soulseller Records mette maggiormente in risalto l’aspetto settantiano del gruppo, che riesce a riportare molto bene un certo clima musicale che si muoveva fra hippy ed occultismo, senza estremizzare come i Coven, e con solide basi musicali. Virginia ha una voce ed un eclettismo canoro che le permette di spaziare molto bene fra i vari registri, ed il resto del gruppo è notevole. I Psychedelic Witchcraft ci portano in un mondo dove si luce e tenebre si fondono e la ricerca è costante, senza mai rimanere fermi. The Vision è quello che dice il titolo, ovvero una bella visione di un tempo andato e di sensazioni dimenticate ma estremamente piacevoli. In un settore dove ci sono molti dischi simili, questo spicca per solidità e per l’avere una Virginia Monti che fa la differenza. Addentratevi in un’oscura luce e in sottili piaceri.

TRACKLIST
1. A Creature
2. Witches Arise
3. Demon Liar
4. Wicked Ways
5. The Night
6. The Only One That
7. War
8. Different
9. Magic Hour Blues

LINE-UP
Virginia Monti – Vocals
Riccardo Giuffrè – Bass
Jacopo Fallai – Guitar
Daniela Parella – Drums

PSYCHEDELIC WITCHCRAFT – Facebook

Attalla – Attalla

Il risultato è una macchina di suono in veloce e poderoso movimento verso di voi, per aumentare il vostro trip lisergico che qui è garantito.

Attacco sonoro con trip power lisergico dalle lande del Wisconsin. Debutto per questo quartetto americano che usa riffoni potenti e calibrati per portare l’ascoltatore su di un altro piano dimensionale.

Per realizzare il loro piano di straniamento musicale gli Attalla usano l’hard rock, un doom bello duro e cadenzato e anche un bel pò di tenebre.
I titoli dell tracce sono brevi e stringati poiché l’attenzione maggiore deve essere sulla musica, ed ascoltandoli gli Attalla attirano benissimo al nostra attenzione. Sono retrò senza esagerare, hanno un impianto sonoro che è stato costruito negli anni settanta, ma lo attualizzano molto bene. La durezza della loro musica è molto ben calibrata, non esagerano, armonizzandola con la voce che è molto valida. Il risultato è una macchina di suono in veloce e poderoso movimento verso di voi, per aumentare il vostro trip lisergico che qui è garantito. Ottimo debutto, disponibile in cd, cassetta e digitale.

TRACKLIST
1.Light
2.Haze
3.Lust
4.Thorn
5.Veil
6.Doom

LINE-UP
Cody Stieg – Lead Guitar/Vocal
Brian Hinckley – Rhythm Guitar
Bryan Kunde – Bass
James Slater – Drums

ATTALLA – Facebook

Stonewall Noise Orchestra – The Machine, The Devil & The Hope

The Hope si candida come una delle migliori uscite targate Steamhammer/SPV in ambito classic e hard rock

Che la penisola scandinava sia una terra molto ricettiva per i suoni hard rock non è certo una novità, storicamente la musica dura di stampo melodico e AOR ha sempre trovato terreno fertile nelle sconfinate ed innevate lande nord europee, ma ultimamente sempre più realtà di vaglia scendono verso il sud portando proprio i suoni caldi dell’hard rcok settantiano, sporcato dal blues e da reminiscenze stoner.

La Stonewall Noise Orchestra (S.N.O) sono ormai più di dieci anni che, dalla Svezia propone questo tipo di sound, vintage certo, ma terribilmente coinvolgente specialmente per chi ama i suoni rock di stampo americano.
The Machine, the Devil & the Dope è il quinto full length di questa macchina da guerra rock’n’roll, il primo lavoro datato 2005 (Vol. 1), ha dato il via ad una discografia che ha visto licenziare un album ogni due/tre anni, una buona costanza per le innumerevoli band di oggi, arrivando nel 2013 con quello che fino ad oggi era l’ultimo parto, Salvation.
Il quintetto svedese ci consegna un’altro gioiellino di classic rock, che svaria tra le atmosfere che in oltre quarant’anni hanno attraversato il genere, inglobando sfumature che vanno dal blues, allo stoner, dalla psichedelia all’hard rock sabbatico, così da comporre un album vario, pur mantenendo inalterato lo spirito vintage che contraddistingue in concept del gruppo.
Riff ora colmi di groove stonato, ora drogati di blues, un approccio ruvido reso a tratti potentissimo da mid tempo sabbathiani e tanta melodia sono la chiave di lettura di The Machine, The Devil & The Hope, una raccolta di songs che come un documentario sulla storia della nostra musica preferita vede passare in rassegna, Led Zeppelin, Black Sabbath, Soundgarden, Kyuss e Spiritual Beggars, in un viaggio temporale tra i decenni passati fino a quello attuale.
Il songwriting, così come la produzione sono a livelli sopra la media, i brani, dalla sabbathiana The Fever che apre le danze, passando dall’energico rock’n’roll di Welcome Home, dallo stoner desertico di Into The Fire, dalla splendida e travolgente Superior #1 e dalla psichedelica e liquida I,The Servant non mancano di regalare emozioni calde e sanguigne, come devono elargire opere di questo genere.
Con Jonas Kjellgren (Scar Symmetry, Carnal Forge) alla produzione e l’artwork curato da Per Wiberg (Opeth, Spiritual Beggars, Arch Enemy) The Machine, The Devil & The Hope si candida come una delle migliori uscite targate Steamhammer/SPV in ambito classic e hard rock, non fatevelo sfuggire.

TRACKLIST
1. The Fever
2. Welcome Home
3. Into the Fire
4. Don’t Blame the Demons
5. Superior #1
6. Stone Crazy
7. I, the Servant
8. On a Program
9. The Machine, the Devil & the Dope

LINE-UP
Snicken – Guitar
Mike – Guitar
Tony – Vocals
Mr Pillow – Drums
Jonas – Bass

STONEWALL NOISE ORCHESTRA – Facebook

Sixx A.M. – Prayers For The Damned Vol. 1

Stavate cercando una band da far sedere sul trono dell’hard rock mondiale? L’avete trovata.

Negli ultimi mesi non sono state poche le band tornate in campo hard rock a far parlare la propria musica, gruppi ormai famosi che hanno attraversato con alterne fortune gli ultimi vent’anni, ancora comunque tutte ben inserite in un music biz sull’orlo di una crisi di nervi, nel trovare la band trainante per tutto il movimento.

La moria delle cosidette ultime icone del rock’n’roll, ed una crisi economica mondiale che ha influito negativamente anche sul mondo musicale, stanno dando ragione (ma solo in termini economici) a chi continua a sostenere che il rock è morto, aiutati dai passi falsi delle ultime band storiche che pur di attaccarsi agli ultimi dollari si inventano collaborazioni ridicole (la storia AC/DC-Axl Rose ne è il più clamoroso esempio).
Ed allora chi prenderà per mano il rock’n’roll per accompagnarlo in questi primi anni del nuovo millennio?
I Sixx A.M., liberati dallo scioglimento dei Motley Crüe (Nikki Sixx) e dalle bizze di Axel Rose (Dj Ashba), con questo nuovo lavoro potrebbero essere tra le band cardine di questi prossimi anni a venire, intanto per il carisma dei protagonisti e poi per la qualità della musica proposta che si colloca perfettamente tra il rock tradizionale, quello più moderno ed easy listening con una componente metal, che potrebbe davvero mettere d’accordo tutti e fare del gruppo statunitense una bomba pronta ad esplodere sul mercato discografico.
Una collaborazione, quella tra il bassista dei leggendari Crüe ed il chitarrista dei fenomenali Beautiful Creatures (il loro debutto omonimo del 2001 è un capolavoro assoluto), iniziata nel 2007 per dare una colonna sonora al libro The Heroins Diaries, cronache della tossicodipendenza di Sixx che, a molti, dava l’impressione di un progetto estemporaneo, anche per il rientro in campo dei Crüe con una serie infinita di live e l’entrata del chitarrista tra le file dei gunners del solo Rose.
Non è andata così fortunatamente, ed il gruppo arriva al traguardo del quarto lavoro, il quale avrà un seguito sul finire dell’anno (Vol.2) e che succede, oltre al debutto ad altri due ottimi lavori come This Is Gonna Hurt (2011) e Modern Vintage di due anni fa.
Prayers For The Damned Vol.1 è un lavoro colmo di canzoni bellissime, con irresistibili refrain e quella vena tragica che è nel DNA della band, ed appunto una perfetta amalgama tra tradizione e modernità.
Non un brano che qualsiasi artista non venderebbe l’anima per scrivere, non un riff che non sia perfettamente inserito in un contesto che funziona, tra melodia e scintille metalliche al servizio del rock’n’roll.
Chorus che si insinuano nella testa, scavano nella mente e si costruiscono una nicchia per non uscire più, mentre le emozioni si susseguono, vagando tra queste undici canzoni che semplicemente rapiscono.
Fin dall’opener Rise è un’apoteosi di rock moderno, confermato ed accentuato da piccoli capolavori come le metalliche When We Were Gods e Belly of the Beast o alla vena drammatica e seriosa della title track, passando dall’hard rock dannatamente moderno e a stelle e strisce di I’m Sick, Everything Went To Hell (splendidamente Beautiful Creatures) e You Have Come To The Right Place.
Detto di una prova mostruosa di James Michael al microfono, del talento di un D.J Asbha che si dimostra uno dei più validi interpreti alla sei corde nel genere, oltre ovviamente di un Nikki Sixx che si fa beffe degli anni e di un passato “turbolento”, non rimane che inchinarsi davanti ad un album superbo.
Stavate cercando una band da far sedere sul trono dell’hard rock mondiale? L’avete trovata.

TRACKLIST
1. Rise
2. Have You Come The Right Place
3. I’m Sick
4. Prayers For The Damned
5. Better Man
6. Can’t Stop
7. When We Were Gods
8. Belly Of The Beast
9. Everything Went To Hell
10. The Last Time (My Heart Will Hit The Ground)
11. Rise Of The Melancholy Empire

LINE-UP
Nikki Sixx – bass guitar, backing vocals, keyboards, additional guitar
James Michael – lead vocals, rhythm guitar, keyboards
Dj Ashba – lead guitar, backing vocals

SIXX A.M. – Facebook

Liveevil – Black Tracks

Mettete il volume al massimo e fatevi travolgere dal sound di Black Tracks, trasformerete la vostra stanza in una pista di qualche club perso tra le vie di Praga.

Anche l’industrial metal dalle tinte dark, dopo l’exploit di qualche anno fa con il successo di Rammstein e Deathstars, ha trovato in questi ultimi anni qualche ostacolo, più che altro in termini commerciali, mentre nei locali di mezza Europa si continua a ballare sui ritmi sincopati del genere.

I cechi Liveevil non sono certo gli ultimi arrivati, attivi da ormai tredici anni, arrivano al traguardo del quarto album dopo che il loro cyber metal dall’ottimo appeal ha fatto scintille su Arctangel del 2007, Unique Constellation del 2009 e 3 Altering uscito un paio di anni fa.
Nel frattempo il gruppo di Ostrava è rimasto un trio composto da Colossen, Spinach e Angel formando la line up che ha firmato il nuovo Black Tracks.
E di tracce elettro/gothic/metal/dark è composto questo lavoro, nove brani che in poco più di mezz’ora sparano bombe sincopate, ipermelodiche, colme di riffoni metallici, ritmi marziali, e liquide divagazioni elettroniche che scateneranno più di una gothgirl nelle piste di oscuri e ambigui locali darkrock.
Niente che non sia il sound portato al successo dalle band di riferimento, con il gruppo che alterna brani più lineari alla Deathstars ed altri più irruenti, sincopati e marziali come i maestri tedeschi insegnano.
Non un brano che non abbia un’appeal sopra la media, Black Tracks prodotto da Kärtsy Hatakka e registrato tra Praga ed Helsinki, concentra nello stesso sound una buona fetta dei generi di cui si nutre il dark rock, l’elettronica (elemento predominante nel sound) rende il tutto trascinante ed atmosfericamente modernissimo, andando incontro ai gusti degli amanti del gothic rock, mai troppo metallico, ma a tratti grintoso quanto basta per piacere ai fans dell’industrial tout court.
Tra le songs spicca Tomorrow’s Call, posta in dirittura d’arrivo e che ricorda non poco il sound dei tedeschi Secret Discovery, band da rivalutare se siete amanti del genere.
Mettete il volume al massimo e fatevi travolgere dal sound di Black Tracks, trasformerete la vostra stanza in una pista di qualche club perso tra le vie di Praga …

TRACKLIST
1. Ended Run
2. Amper
3. Devilation
4. Vibes
5. Midnight Bay
6. Encounter
7. Hypercharger
8. Tomorrow’s Call
9. We Stand Alone

LINE-UP
Colossen-vocal, guitar
Spinach-vocal, bass guitar
Angel-guitar

LIVEEVIL – Facebook

Le Scimmie – Colostrum

Il risultato è forte ed oscuro, quasi un magia sessuale e musicale che scaturisce da una parte della nostra psiche molto forte e che giace addormentata, ma che quando urla esce fuori pesantemente.

Se si volesse dare un nome ed una connotazione alla musica de Le Scimmie si potrebbe dire stoner estremo, o ambient stoner.

In realtà Le Scimmie vanno ascoltate e soppesate fisicamente, poiché creano una barriera sonora che è una forza che ci porta in dimensioni diverse dalla nostra.
Nati a Vasto nel 2007 come devastante duo, Le Scimmie pubblicano nello stesso anno un ep chiamato L’Origine, per poi incidere nel 2010 la prima fatica su lunga distanza Dromomania. Il cammino era cominciato e con esso una certa evoluzione sonora, la creazione di un territorio potente e primordiale, una forza sonica notevole che scava dentro cose e persone. In alcuni passaggi si possono sentire in loro echi e lezioni degli Ufomammut, ma non è certamente un difetto, anche se sono solo alcuni passaggi e non vi sono copie od imitazioni.
Colostrum nasce dopo anni di silenzio ed un grosso cambiamento, ovvero l’ingresso nel gruppo di un terzo musicista, Simone D’Annunzio, da sempre dentro al mondo de Le Scimmie ed ora agli effetti sonori dopo una carriera spesa tra l’ambient ed il noise. Il risultato è forte ed oscuro, quasi un magia sessuale e musicale che scaturisce da una parte della nostra psiche molto forte e che giace addormentata, ma che quando urla esce fuori pesantemente. Ci sono maggiormente elementi ambient e di atmosfera rispetto a prima, e tutto è molto strutturato e funzionale. Un disco di terra e di sangue.

TRACKLIST
1. Colostrum
2. Crotalus Horridus
3. Triticum
4. Helleborus

LINE-UP
Angelo “Xunah” Mirolli.
Gianni Manariti.
Simone D’Annunzio.

LE SCIMMIE – Facebook

Soundscapism Inc. – Soundscapism Inc.

Questo nuovo progetto di Bruno A., denominato Soundscapism Inc., è una sorta di scarnificazione di ciò che furono i Vertigo Steps, dei quali viene mantenuta l’aura intimista privandola però di gran parte delle sue pulsioni rock

E’ con grande piacere che ritroviamo Bruno A. dopo la chiusura (si spera solo temporanea) dell’avventura dei suoi Vertigo Steps.

Oggi il musicista portoghese vive a Berlino, città che indubbiamente è una delle fucine della cultura europea e che ben si addice, quindi, come base per chi abbia nelle proprie corde espressioni artistiche meno convenzionali.
Questo nuovo progetto denominato Soundscapism Inc. è una sorta di scarnificazione di ciò che furono i Vertigo Steps, dei quali viene mantenuta l’aura intimista privandola però di gran parte delle sue pulsioni rock, rendendo l’album di fatto una gradevole esibizione di musica ambient e acustica di matrice prevalentemente strumentale.
Risalta, così, all’interno di un lavoro di questo tipo, l’accoppiata centrale Sommerregen / Planetary Dirt, due brani in cui ritmiche più marcate e, nel primo, il contributo vocale di Flávio Silva, vanno a costituire un’anomalia all’interno di paesaggi sonori che nel resto della tracklist sono contrassegnati per lo più da atmosfere liquide e pacate.
Bruno si conferma musicista di talento cristallino, anche se questa sua nuova proposta possiede nell’immediato un impatto inevitabilmente inferiore a quello che ebbe un album splendido come Surface/Light, ma non sarebbe neppure giusto mettere a confronto due realtà musicali lontane per scelte espressive, per quanto contigue trattandosi comunque del frutto di una comune sensibilità compositiva.
Del resto è lo stesso musicista lusitano ad invitarci a considerare Soundscapism Inc. come una raccolta di frammenti di colonne sonore di film mai realizzati, e la definizione ci sta tutta, specie quando si può godere della purezza di brani come The Quiet Grand ed Eucaliptus Song, o anche di Tomorrow´s Yesterdays, che viene riproposta in coda all’album come bonus track arricchita dall’intervento vocale di Silva.
Un lavoro che se, a prima vista, potrebbe apparire interlocutorio, in realtà si rivela un passo necessario a Bruno A. per porre nuove fondamenta ad un percorso musicale mai scontato e foriero di produzioni sempre di ottimo livello.

Tracklist:
1.The Breath Of Life And All Things The Sky Looked Upon
2.The Quiet Grand
3.Tomorrow´s Yesterdays
4.Sommerregen (feat. Flávio Silva)
5.Planetary Dirt
6.The Mourning After (pt. I)
7.Eucaliptus Song (Lullabye For Summer´s End)
8.Alone In Every Crowd
9.Tomorrow´s Yesterdays (feat. Flávio Silva)

Line-up:
Bruno A. : electric & acoustic guitars, ebow, bass, keyboards (piano, mellotron, celesta, etc.), loops, sampling & programming.

Guest musicians:
Flávio Silva – vocals
Sharalalanda Laya – violin
Aki Heikinheimo – double-bass

SOUNDSCAPISM INC. – Facebook

Vandallus – On The High Side

Un buon debutto per il gruppo di Cleveland , se siete degli attempati rocker come il sottoscritto o giovanotti dai gusti vintage, On The High Side non vi deluderà

Quando si parla di hard rock spesso si fa riferimento alla scena statunitense o a quella britannica, dimenticando colpevolmente molte band che hanno fatto la storia del rock duro provenienti da altri paesi e che hanno avuto un’importanza epocale nello sviluppo dell’hard & heavy.

Due di queste sono il power trio canadese Triumph e gli Scorpions dei fratelli Schenker, la prima spesso paragonata ai progsters Rush, anche per il paese di provenienza, la seconda regina dell’hard rock melodico europeo.
On The High Side, debutto del trio statunitense Vandallus, riprende le sonorità del gruppo canadese e le fa proprie aggiungendo melodie a frotte sotto il segno dello scorpione, confezionando un buon album vintage, sicuramente debitore nei confronti dei due mostri sacri ma composto da buone canzoni.
Attenzione però, la band non fa un passo indietro ma due, andando a riprendere il sound settantiano, specialmente per quanto riguarda la band tedesca, lasciando le produzioni patinate del periodo ottantiano, per un approccio dallo spiccato groove.
Jason Vanek si dimostra un buon cantante, personale e melodico, le chitarre scintillano sotto le dita sue e dell’altro Vanek, Shaun anche alle prese con basso e batteria, e con l’aiuto alle pelli del buon Steve Dukuslow.
Hard rock settantiano dunque, grintoso e molto melodico, con un taglio decisamente vintage, curato nel songwriting e suonato molto bene con le sei corde in evidenza, autrici di gustosi riff power e solos in linea con i chitarristi dell’epoca .
Rat è una fulminante intro che sfocia nel hard power di Break The Storm, il ritornello è pura melodia made in Scorpions e da qui in poi veniamo catapultati dalla macchina del tempo in pieni anni settanta con l’ottima title track, la semi ballad Running Lost e l’irresistibile refrain di On Top Of The World.
Un buon debutto per il gruppo di Cleveland , se siete degli attempati rocker come il sottoscritto o giovanotti dai gusti vintage, On The High Side non vi deluderà.

TRACKLIST
1. Rat
2. Break The Storm
3. On The High Side
4. Who’s Chasing Me
5. Running Lost
6. Back To The Grind
7. Get Out
8. On Top Of The World
9. A Fool You’re Right

LINE-UP
Jason Vanek – vocals, guitar
Shaun Vanek – guitar, drums, bass
Steve Dukuslow – drums

VANDALLUS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=GcC9aAlP4KM

Gallows Pole – Doors Of Perception

Una via di mezzo tra Tom Petty e l’heavy metal, così è scritto sulla presentazione dei Gallows Pole curata dalla Pure Rock , band austriaca che ha attraversato più di trent’anni di rock ai margini del giro che conta, licenziando otto album sulla lunga distanza, da In Rock We Trust del lontano 1982 a questo ottavo lavoro dal titolo Doors Of Perception.

La verità sta nel mezzo, il sound di cui si veste questo lavoro è un rock appena accentuato in qualche ritmica di chitarra, specialmente nell’opener Burn It Down, il brano più hard fra tutti quelli presenti, con un ottimo solo che effettivamente profuma di rock statunitense.
Attenzione però, il cantato sembra provenire da una band new wave ottantiana, accentuata dal controcanto profondo ma che si ispira non poco all’elettronica tedesca.
Dalla successiva Angel Eyes cambia non poco il mood del disco, dove l’acustica la fa da padrone con una serie di semiballad in cui la chitarra si approccia in modo molto timido e la voce non cambia di tono risultando monocorde e a mio parere colpevole di appiattire non poco i brani del disco.
Learn To Fly torna a donarci visioni di musica pop ottantiana, leggermente più dinamica per qualche arpeggio più grintoso.
Bring Me Through The Night ci regala qualche brivido metallico, un mid tempo dove la solista ricama una bella serie di solos, rovinata da un ritornello ripetuto e stancante.
Siamo arrivati al sesto brano, sono passati una ventina di minuti che sembrano ore, l’album non decolla e quando si vivacizza, quella sensazione di pop music rivestita di verve elettrica non dà scampo.
Il finale è lasciato alla title track , forse il brano che nei suoi nove minuti mostra un crescendo emotivo adeguato per risultare la song più riuscita dell’intero lavoro, un po’ poco per andare oltre una risicata sufficienza, tenendo conto che la band non è certo ai primi passi e la label è di quelle che difficilmente sbaglia un colpo.

TRACKLIST
1. Burn It Down
2. Angel Eyes
3. Learn To Fly
4. Watching The Sun Go Down
5. Bring Me Through The Night
6. Someday Soon
7. Your Own Demons
8. A Rainbow Just For Me
9. Doors Of Perception

LINE-UP
Alois Martin Binder – vocals, guitars, bass
Harald Prikasky – guitars
Andy Wagner – drums
Günther Steiner – keyboards
Harry “El” Fischer – guitars

GALLOWS POLE – Facebook

Brutus – Wandering Blind

Tutto funziona alla perfezione per un disco di hard blues rock che farà felice molta gente.

Terzo album per questo combo composto da due norvegesi e tre svedesi, nato per fare blues hard rock in stile anni sessanta/settanta senza compromessi.

Il revival di quell’epoca, specialmente in campo hard rock, è leggermente inflazionato negli ultimi anni, e onestamente non tutti i gruppi sono all’altezza del compito. I Brutus sono fra i migliori, se non il gruppo migliore del lotto, loro hanno davvero classe e riescono comporre canzoni bellissime ed analogiche nel dna. Il disco è stato registrato dal vivo in cinque giorni all’Engfelt & Forsgren Studios di Oslo da Christian Engflet, ottimo produttore già con Cato Salsa Experience e Big Bang. Christian ha ulteriormente arricchito il suono dei Brutus facendoli incidere il master su cassetta, con pre amplificatori d’epoca e con il suo sapiente tocco. Il risultato è un disco che trasuda passione, classe e perfetta comprensione di cosa fare. Wandering Blind è una prova maiuscola, con tutti i requisiti sia vintage che soprattutto di estrema godibilità. Non ci sono pezzi noiosi o momenti artefatti, tutto funziona alla perfezione per un disco di hard blues rock che farà felice molta gente.

TRACKLIST
1. Wandering Blind
2. Drowning
3. Axe Man
4. Whirlwind Of Madness
5. The Killer
6. Blind Village
7. Creepin
8. My Lonely Room
9. Living In A Daze

LINE-UP
Jokke Stenby
Johan Forsberg
Kim Molander
Knut-Ole Mathisen
Christian Hellqvist

Tombeto Centrale – Il Silenzio della Collina

Se amate i suoni alternativi degli ultimi ventanni non potete ignorare questo lavoro.

Un’altra ottima band si affaccia sulla scena alternativa nostrana, i lucchesi Tombeto Centrale.

Il trio toscano, vincitore del Qua’rock contest, entrano nel roster della label di Gabriele Bellini, non prima di aver condiviso il palco con ottime realtà del rock/metal nazionale come Quintorigo, Zen Circus e Rebeldevil.
Il Silenzio della Collina è il loro primo lavoro, un album irruento, molto vario e piacevolmente metallico, là dove il gruppo lascia le redini del sound così che la propria musica possa esplodere in un crossover che riprende l’ultimo ventennio di rock, plasmandolo e facendolo proprio.
Luca Giannotti (chitarra e voce), con Riccardo Franchi alla batteria e Luca Franchi al basso, creano questo sound nervoso e adrenalinico, amalgamandolo a reminiscenze psichedeliche e nutrendosi di tensione rabbiosa ma positiva, nei brani che più spingono sull’acceleratore.
Rigorosamente cantato in italiano e supportato da testi ispirati, disperati ed a tratti intimisti, Il Silenzio della Collina, non lascia molte indicazioni sulla strada intrapresa dal gruppo, che varia atmosfere e sfumature ad ogni brano, regalandoci una raccolta d canzoni che alternano rock elettrizzato da cascate di watt, a più dolci ed armoniose ballate.
Ne sentirete delle belle inoltrandovi nel mondo dei Tombeto Centrale, dal crossover metal dei Jane’s Addiction, al grunge dei Nirvana, fino ai ritmi nervosi dei Red Hot Chili Peppers, ed al prog moderno, psichedelico ed alternativo dei Tool, ma il cantato in lingua madre ed un entusiasmo che conquista anche l’ascoltatore più intransigente, fanno dell’album un ottimo prodotto, fresco e maturo.
Se amate i suoni alternativi degli ultimi vent’anni non potete ignorare questo lavoro che ha nelle bellissime Social Network, Il Venditore di Tappeti e Viandante, i picchi qualitativi di una raccolta di canzoni davvero ispirate.
Assolutamente buona la prima.

TRACKLIST
1.Fa# economico
2.Social network
3.Fiori, Serpenti
4.Il venditore di tappeti
5.Mr. beaver
6.Desiderio semplice
7.Viandante (sul mare di nebbia)
8.L’altra
9.Scrooge MD
10.Il silenzio della collina

LINE-UP
Luca Giannotti-chitarra e voce
Riccardo Franchi-batteria
Luca Franchi-basso

TOMBETO CENTRALE – Facebook

Earthless / Harsh Toke – Acid Crusher / Mount Swan

Quando due band di San Diego dedite al rock psichedelico uniscono le loro forze per dare vita ad uno split album, non può che scaturirne oltre mezz’ora di musica dall’alto tasso lisergico.

Quando due band di San Diego dedite al rock psichedelico uniscono le loro forze per dare vita ad uno split album, non può che scaturirne oltre mezz’ora di musica dall’alto tasso lisergico.

Gli Earthless e gli Harsh Toke presentano un brano ciascuno, che poi altro non sono se non lunghe jam nelle quali i ragazzi californiani danno sfogo alle loro personali ed allucinate visioni musicali.
I primi possiedono un tocco più blues e si fanno preferire, specie se si è alla ricerca di un sound pulito e ricco di sfumature che un’ottima produzione esalta fin nei minimi particolari, mentre i secondi rappresentano il volto più diretto e privo di fronzoli del genere, con una propensione verso sonorità più rallentate e distorte.
Entrambi i brani, alla fine, vivono sulla reiterazione di un giro di basso sul quale poi si vanno ad innestare tutti gli altri interventi strumentali con la struttura tipica delle jam sesssion: diciamo che la soluzione degli Earthless funziona leggermente meglio, intanto perché un po’ più breve e forse anche per il suo essere meno legata alla conditio sine qua non di un ascolto in uno stato di alterazione psicofisica.
Infatti, mi riesce difficile immaginare che il fan ideale di queste due band sia un tizio che vada avanti ad acqua minerale, ma va anche detto che l’effetto dopante è già abbastanza insito nella musica che Earthless ed Harsh Toke propongono, per cui sconsiglierei di ascoltare questo split album in cuffia prima di partecipare ad una competizione sportiva: la positività all’antidoping sarebbe inevitabile …

Tracklist:
1. Acid Crusher (EARTHLESS)
2. Mount Swan (HARSH TOKE)

Line-up:
Earthless
Isaiah Mitchell
Mike Eginton
Mario Rubalcaba

Harsh Toke
Austin Ayub
Richie Belton
Gabe Messer
Justin Figueroa

EARTHLESS – Facebook

HARSH TOKE – Facebook

Darkness Light – Living With The Danger

Ci sono parecchi dettagli da sistemare nell’economia sonora dei Darkness Light, magari lasciando il microfono ad un cantante più personale ed emozionale ed accentuando la parte più metallica, dove si riscontrano le migliori virtù.

Chi vive di sonorità hard rock e metal classiche sa molto bene di quante differenti atmosfere sia composto questo mondo musicale, all’apparenza tutte uguali ma con background molto diversi, dall’hard rock settantiano a quello statunitense del Sunset Boulevard, fino a quello europeo, tanto per citare le correnti che più hanno segnato gli ultimi quarant’anni di rock duro.

In Europa negli anni ottanta l’hard rock si accompagnò con l’allora fulminante new wave of british heavy metal, creando nuovi sottogeneri che allargarono ancora di più i confini della musica dura.
Se nel regno unito band come Rainbow e Dio, si nutrirono di atmosfere epiche, nell’Europa centrale gli storici Accept indurirono ancora di più le ritmiche, di fatto creando il power, genere figlio della scena metallica tedesca.
E dalla Germania arriva questo duo, formato nel 2011 e giunto all’esordio sul finire dello scorso anno con questo Living With The Danger.
Il duo di Augusta è composto da Cristian Bettendorf , chitarra e tastiere e Dixie Krauser, voce, basso, chitarra e tastiere: il debutto vive di alti e bassi, confrontandosi con un hard rock di stampo classico, tra ruvide reminiscenze power e metal melodico, senza dare l’impressione di affondare il colpo, rimanendo in un limbo sempre in bilico tra aggressività e melodia.
Una decina di canzoni che si perdono nei meandri della storia del genere, tra Accept, atmosfere purpleiane, accenni all’hard rock melodico britannico (Ten e Dare), ma senza brillare.
Manca il feeling per far funzionare questa raccolta di brani, importantissimo nel genere, specialmente quando le armonie prendono il comando dei brani, lasciando le asperità di un hard rock incisivo in panchina, per giocarsi la carta della melodia.
La voce ci mette del suo per non far decollare i brani, troppo monocorde e poco interpretativa e così, a parte qualche song più metallica, dove il duo se la cava, Living With The Danger scivola senza sussulti fino alla fine, con qualche sbadiglio di troppo da parte dell’ascoltatore.
Ci sono parecchi dettagli da sistemare nell’economia sonora dei Darkness Light, magari lasciando il microfono ad un cantante più personale ed emozionale ed accentuando la parte più metallica, dove si riscontrano le migliori virtù.

TRACKLIST
1. Adrenaline
2. Living With The Danger
3. Darkness Light
4. No No More
5. Bad Boys Are Better
6. Song For You
7. It Was Just Dreaming
8. For Another Sunny Day
9. Long Ago
10. Alone

LINE-UP
Dixie Krauser – Vocals, bass, keyboards, guitars
Cristian Bettendorf – Guitars, keyboards

DARKNESS LIGHT – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

The 69 Eyes – Universal Monsters

Il buon disco di un gruppo che ormai ha finito di sorprendere ma che sa regalare ancora musica piacevolmente intrisa di decadenti melodie e di buone trame rock.

Il ciuffo in stile Misfits, che Jyrki sfoggia sulla copertina del nuovo album dei The 69 Eyes , poteva far pensare in un primo momento ad un clamoroso ritorno alle sonorità rock’n’roll degli esordi, ed in effetti in Universal Monsters i fantasmi del passato tornano ad elettrizzare il sound dei vampiri di Helsinki.

Niente paura, per le anime dark che ormai sono la maggioranza nelle nutrite truppe di fans del gruppo, chiarisco subito che il sound per cui la band è famosa non corre pericolo e continua la sua strada nei meandri della musica dark rock, o gotica come è di moda chiamarla nel mondo musicale di oggi, ma in questo lavoro ci scontriamo con la voglia del gruppo finlandese di riscoprire in parte la voglia di rock esibita in passato.
D’altronde, ormai più di vent’anni fa, i The 69 Eyes si fecero strada a colpi di rock’n’roll con due album straordinari come Savage Garden e Wrap Your Troubles in Dreams, poi come d’incanto la trasformazione con quello che per molti fu un disco di transizione, ma che per il sottoscritto rimane il loro capolavoro, Wasting The Dawn che pescava non poco dal sound gotico (questo sì) dei Type 0 Negative, allora signori e padroni del genere.
Il dopo Wasting The Dawn fu un’ascesa di popolarità e la definitiva consacrazione nel mondo del dark rock molto più raffinato, e in qualche modo patinato, con Blessed Be e Paris Kills, ed il gruppo ha mantenuto tali coordinate stilistiche per tutti questi anni, fino a questo nuovo lavoro che tra alti e, fortunatamente pochi, bassi non deluderà gli amanti delle sonorità ormai note al combo vampiresco.
Universal Monsters ha nella bellissima Jerusalem il brano capolavoro, una song inusuale per la band, impostata con trame acustiche ed elettricità tenuta a freno da ritmi ipnotici e con un Jyrki splendido, con la sua voce profonda e tremendamente emozionale.
Dolce Vita apre l’album con quegli impulsi rock di cui si scriveva in precedenza, un’apertura tremendamente efficace, con un refrain che più classico non si può in pieno The 69 Eyes style.
In Shallow Graves si respira aria di cimiteri gotici, con i corvi in lontananza che sorvegliano la sepoltura, mentre subito prima Miss Pastis aveva riconfermato l’atmosfera rock’n’roll che a tratti si respira sull’album.
Rock’n’roll Junkie conclude questo Universal Monsters, un brano che si riempie di umori settantiani alla Stones in versione oscura, bellissimo esempio di come il gruppo sa essere eclettico e vario quando lascia le briglie che lo tiene legato agli stilemi del dark per riesplorare l’universo rock.
Un disco buono di un gruppo che ormai ha finito di sorprendere ma che sa regalare ancora musica piacevolmente intrisa di decadenti melodie e di buone trame di quel rock, che se non racchiude più il seme della ribellione, è costruito su una base di talento sopra la media.

TRACKLIST
01. Dolce Vita
02. Jet Fighter Plane
03. Blackbird Pie
04. Lady Darkness
05. Miss Pastis
06. Shallow Graves
07. Jerusalem
08. Stiv & Johnny
09. Never
10. Blue
11. Rock’N’Roll Junkie

LINE-UP
Jyrki 69 – Vocals
Bazie – Guitar
Timo-Timo – Guitar
Archzie – Bass
Jussi 69 – Drums

THE 69 EYES – Facebook

Midnight Sin – Never Say Never

Godiamoci le tre canzoni che compongono Never Say Never ed aspettiamo fiduciosi il nuovo full length, ci sarà da divertirsi.

Ci eravamo occupati un paio di anni fa del debutto dei Midnight Sin, uscito per Bakerteam, che risultava un ottimo esempio di hard rock, dalle atmosfere sleazy e glam in puro Sunset Boulevard style, anche se tra le note di Sex First non mancavano riferimenti alle nuove generazioni di street band da lustrini, paillettes, belle donne e tanto divertimento.

Tutto confermato, ora che Never Say Never, ep di tre brani a fare da ponte tra il primo album ed il nuovo lavoro che non tarderà ad arrivare, riempie di suoni rock’n’roll tredici minuti della nostra fin troppo triste e alquanto noiosa vita.
Due songs inedite, la travolgente e divertentissima title track e la rocciosa BJ@Job, che vi lasceranno senza fiato, due hit tra passato e presente dello street, glam, sleazy hard rock, tra Poison, Motley Crue, Steel Panthers, Crashdiet e compagnia di ragazzacci perduti tra party di puro rock’n’roll style.
La cover di Satisfaction della premiata ditta Jagger/Richards impreziosisce questo mini cd e la band ne esce alla grande con una riedizione tosta dalle ritmiche aggressive e dal gran tiro.
Il gruppo nostrano si conferma come una delle band di punta del genere, ora che i suoni classici e stradaioli degli anni ottanta stanno tornando in auge, almeno nell’underground che non fa mancare nuove realtà dalle ottime potenzialità e molte di queste provenienti dalle città del nostro paese.
Godiamoci le tre canzoni che compongono Never Say Never ed aspettiamo fiduciosi il nuovo full length, ci sarà da divertirsi.

TRACKLIST
1.Never Say Never
2.BJ@Job
3.Satisfaction

LINE-UP
Albert Fish – Vocals
LeStar – Lead Guitar
Acey Guns – Bass
Dany Rake – Drums

MIDNIGHT SIN – Facebook

Diana Spencer Grave Explosion – O

L’elemento forse più forte della loro musica è l’escapismo sonoro, il disegnare ampi territori nei quali la nostra mente possa correre libera. Un esordio molto positivo.

0 come tondo, espressione di perfezione geometrica anche nel suono, allucinazioni che ritornano in visioni cicliche.

I Diana Spencer Grave Explosion sono un gruppo pugliese di stoner, space, psych e pure fuzz, ed esordiscono con questo ep di tre pezzi, molto ben composto, sognante e fumoso. Come molti altri gruppi, i numi tutelari dei Diana Spencer Grave Explosion sono i soliti della musica pesante, dai Kyuss ai Neurosis con una spruzzata in alcuni momenti di post rock. La band suona molto dal vivo e ciò lo si nota durante l’ascolto. Ci sono elementi sia in nuce che effettivi che fanno pensare che il gruppo pugliese in futuro farà ancora meglio, poiché possiede solide basi. L’elemento forse più forte della loro musica è l’escapismo sonoro, il disegnare ampi territori nei quali la nostra mente possa correre libera. Un esordio molto positivo.

TRACKLIST
1. Space Cake
2. Avalanche
3. Long Death to the Horizon

LINE-UP
Piercarlo Resta – vocals, guitar.
Costantino Temerario – vocals, guitar, synth. Francesco Maria Antonicelli – vocals, guitar. Giampaolo Giannico – bass.
Gianluca Girardi – drums

DIANA GRAVE EXPLOSION – Facebook

Il Castello di Atlante – Arx Atlantis

Arx Atlantis è un bellissimo e quanto mai riuscito affresco di rock progressivo

Si torna a parlare di rock progressivo sulle pagine della nostra zine con l’ultima opera di Il Castello Di Atlante, storica band piemontese, attiva dal 1974 e con otto precedenti album usciti dall’inizio degli anni novanta in avanti.

L’esordio infatti è datato 1992 (Sono io il signore delle terre a nord), poi una serie di lavori che portano il gruppo fino a Cap. 8 Live di due anni fa.
Arx Atlantis è un bellissimo e quanto mai riuscito affresco di rock progressivo, che immortala la tradizione dello stivale nel genere, traghettata dal decennio settantiano fino ai nostri giorni da un numero di band dall’alto tasso qualitativo, con lavori che sono entrati di diritto nel gotha del rock progressivo internazionale.
Storie di altri tempi dai rimandi folk, stupende e ariose armonie tastieristiche, il violino che riempie l’atmosfera di melodie trasportate nel tempo, un viaggio tra racconti che donano una magica aura di immortalità, sono le prime impressioni suscitate dall’ascolto di canzoni sognanti come l’opener Non Ho Mai Imparato o Il Tempo del Grande Onore, rigorosamente cantate in italiano e suonate meravigliosamente dai sette musicisti, con l’aiuto dei tasti d’avorio di Tony Pagliuca delle ombre sulla splendida e medievale Ghino e L’Abate di Clignì.
Un genere il progressive che spesso si è chiuso in sé stesso, costruendosi un mondo a parte nel vasto panorama della musica rock, importantissimo per lo sviluppo della musica contemporanea, non solo quindi sfoggio di mera tecnica strumentale ( in abbondanza su questo lavoro) ma scrigno di emozioni senza tempo che Il Castello Di Atlante regala all’ascoltatore, come dei moderni cantastorie, menestrelli in questo mondo dove la realtà, specialmente quella più orrenda, supera la fantasia.
Ed allora salutate il mondo per una cinquantina di minuti e fatevi travolgere dalle melodie che escono sublimi dallo spartito di Arx Atalantis, opera che dalla prima all’ultima nota del capolavoro Il Tesoro Ritrovato (brano che chiude il cd), non risparmia travolgenti cambi d’ atmosfere, ritmi che si rincorrono, sinfonie progressive di rara bellezza in un crescendo
di emozioni senza fine.
Per chi ama il genere Arx Atlantis è l’ennesimo album imperdibile creato dal gruppo piemontese, l’anno di nascita ed il curriculum di cui la band si può vantare mi inducono a non parlare di influenze ma al limite di paragoni, che vanno dai Genesis ed E.L.P. ai nostri mostri sacri come Il Banco Del Mutuo Soccorso, Le Orme e PFM.

P.S. Un consiglio per i più giovani : ascoltate e riascoltate gruppi come Il Castello Di Atlante, fonte del lungo fiume di band che alimentano il mare del metallo progressivo contemporaneo.

TRACKLIST
1. Non Ho Mai Imparato
2. Il Vecchio Giovane
3. Ghino e L’Abate di Clignì
4. Il Tempo del Grande Onore
5. Il Tesoro Ritrovato

LINE-UP
Aldo Bergamini – guitar, vocals
Andrea Bertino – violin
Davide Cristofoli – piano, keyboards, synths
Massimo Di Lauro – violin on track 4
Paolo Ferrarotti – vocals, keyboards, drums on track 5
Dino Fiore – bass
Mattia Garimanno – drums

Guest:
Tony Pagliuca – keyboards on track 3

IL CASTELLO DI ATLANTE – Facebook