VV.AA. – Thirteeen: An Ethereal Sound Works Compilation

Thirteen è la compilation che celebra i tredici anni di attività della label portoghese Ethereal Sound Works, nel cui roster sono comprese band lusitane dedite ai generi più disparati, ma tutte accomunate da una notevole qualità di fondo e da altrettanta verve creativa.

Thirteen è la compilation che celebra i tredici anni di attività della label portoghese Ethereal Sound Works, nel cui roster sono comprese band lusitane dedite ai generi più disparati, ma tutte accomunate da una notevole qualità di fondo e da altrettanta verve creativa.

Sono ben 19 i brani contenuti in questa raccolta piuttosto esaustiva con la quale il buon Gonçalo esibisce i suoi gioielli, anche quelli più preziosi ma, purtroppo, non più attivi come i Vertigo Steps.
Così, in questo caleidoscopio di suoni ed umori, troviamo il metal con il death dei Rotem e il power/thrash degli Hourswill, il rock alternativo di Secret Symmetry, Painted Black, Dream Circus e Artic Fire, il punk di The Levities, Chapa Zero e Punk Sinatra, il dark di And The We Fall, Rainy Days Factory e My Deception, l’indie dei The Melancholic Youth Of Jesus, il folk dei Xicara , la sperimentazione pura dei Fadomorse e l’ ambient degli Under The Pipe e dei Soundscapism Inc., quest’ultimo fresco progetto di Bruno A., successivo allo split dei Vertigo Steps, qui rappresentati dalla splendida Silentground.
L’eclettismo è il vero marchio di fabbrica della ESW, grazie alla quale abbiamo la possibilità di constatare come in Portogallo si produca tanta musica di qualità, in più di un caso oggetto delle nostre recensioni (che possono essere lette nella sezione sottostante denominata articoli correlati).
Non ci sono solo i Moospell o il fado, quindi, a rappresentare il fatturato musicale lusitano, e questa compilation offre una ghiotta possibilità di farsi un’idea più precisa di quel movimento, portando alla luce diverse realtà oltremodo stimolanti.

Tracklist:
1.Secret Symmetry – Disarray And Silver Skies
2.Vertigo Steps – Silentground
3.Painted Black – Quarto Vazio
4.Hourswill – Atrocity Throne
5.My Deception – Daylight Deception
6.Dream Circus – Ticking
7.Rotem – The Pain
8.The Levities – Split Lip
9.Chapa Zero – Vai Lá Vai
10.Punk Sinatra – Nunca Há Paciência
11.Under The Pipe – No Need Words
12.Artic Fire – Running
13.The Melancholic Youth Of Jesus – Insensivity
14.And Then We Fall – Ancient Ruins
15.Rainy Days Factory – Deep Dive
16.Fadomorse – Deicídio
17.Xícara – Cantiga (Deixa-te Estar na Minha Vida)
18.Dark Wings Syndrome – In My Crystal Cage (2015)
19.Soundscapism Inc. – Planetary Dirt

ETHEREAL SOUND WORKS – Facebook

Tusmørke – Fort Bak Lyset

Tutto è magnifico in questo disco.

Capolavoro tra prog e folk, per questi giganti norvegesi.

Disco davvero illuminante e bellissimo per questi bardi nordici che musicano le storie del folclore della zona di Oslo, soprattutto delle storie che trattano della morte e dei mondi dentro e fuori di noi. Tutto è magnifico in questo disco, innanzitutto un senso pervasivo e fantastico di grande prog, con composizioni curatissime in tutti i dettagli, mai noiose e con un sottobosco folk quasi metal. Tute le canzoni sono suonate e cantate come se fossero favole autosufficienti, che ci conducono nottetempo per stagni, fiumi e tronchi che nascondono altre vite ed altre storie. I Tusmørke hanno imparato moltissimo dalla psichedelia settantiana anatolica, ma hanno rielaborato personalmente il tutto dando vita ad una fantastica miscela. Fort Bak Lyset significa andare dietro alla luce, e la luce dei Tusmørke si fa seguire più che volentieri. Un lavoro straordinario, di un’atmosfera incredibile, dove tutto è bellissimo, e nel quale si può praticare un vero escapismo, cercandovi e trovandovi rifugio dalla pazzia del nostro mondo. In alcuni punti possiamo addirittura sentire odore di funky psichedelico, amazing.
Ennesimo ottimo disco norvegese non black metal, conferma che la Norvegia è una ricchissima terra musicale.

TRACKLIST
1. Ekebergkongen
2. Et Djevelsk Mareritt
3. De Reiser Fra Oss
4. Fort Bak Lyset
5. Spurvehauken
6. Nordmarka
7. Vinterblot

LINE-UP
Benediktator
Krizla
HlewagastiR
The phenomenon Marxo Solinas.
DreymimaðR.

TUSMØRKE – Facebook

Samcro – Colpevoli

I Samcro, duo blues/hard rock toscano composto da Mario Caruso e Nicola Cigolini, ritornano, a distanza di quasi due anni da “Terrestre”, con gli undici brani di Colpevoli. Il disco, pubblicato da Soffici Dischi e impreziosito dalla presenza di Paolo Benvegnù (nel brano La Ricostruzione), suona grasso e corposo, ma coinvolge a fatica e risulta poco convincente nel suo insieme.

Il calore strumentale di Dalle Ceneri, apre il disco creando il terreno giusto per il trascinante procedere della torrida La Ricostruzione e per il sudato citare di Reagire Al Dolore (parte del testo arriva da “La Cognizione Del Dolore” di Carlo Emilio Gadda).
Il cantato/gridato ai limiti del punk di Opponibile, tagliando l’aria con il rabbioso graffiare di chitarre, cede spazio al procedere energico (ma piuttosto dispersivo) di Martin X, mentre Similitudine, non riuscendo a disegnare i deserti hard rock che vorrebbe, lascia che a seguire sia la poco incisiva Mahmud.
Kingsley, invece, provando a mordere con la sua energia, introduce il trambusto incolore di Colpevoli e le grasse chitarre de Il Mare Dentro Di Te.
La meno distorta e più introversa Benvenuto, infine, chiude il disco provando a mettere in mostra il lato più intimo e riflessivo della band.

Nonostante gli sforzi, l’energia e i tentativi, questo Colpevoli non risulta memorabile in nessuna occasione. Gli undici brani presentati, infatti, provano a creare un sound granitico, corposo e trascinante, ma ogni volta, si spengono in idee poco convincenti e in testi non proprio coinvolgenti. Insomma, l’impressione è che ci sia tanta passione e voglia di fare, ma che manchino ancora i contenuti necessari per rendere il sogno realtà. Un disco monotono e al di sotto delle aspettative.

TRACKLIST
01. Dalle Ceneri
02. La Ricostruzione
03. Reagire Al Dolore
04. Opponibile
05. Martin X
06. Similitudine
07. Mahmud
08. Kingsley
09. Colpevoli
10. Il Mare Dentro Di Te
11. Benvenuto

LINE-UP
Mario Caruso
Nicola Cigolini

SAMCRO – Facebook

Lamori – To Die Once Again

To Die Once Again è un potenziale top album, specialmente per chi ama il lato più romantico e melodico del gothic/dark

La Finlandia ha una lunga tradizione per le sonorità ispirate al gothic metal di estrazione dark rock, genere che, negli anni ottanta, ha visto il suo massimo splendore specialmente con il successo delle band britanniche capitanate da Sister Of Mercy, The Mission e Fields Of The Nephilim, ed in parte dal filone tedesco degli anni novanta con in testa i Lacrimosa.

Molti gruppi partiti come death metal band (Sentenced) o ispirati ai suoni rock’n’roll ( The 69 Eyes), si sono, nel corso degli anni, convertiti al lato più oscuro e romantico del rock, rifilando album bellissimi e rimpolpando la scena, così avara di realtà sopra le righe.
Il genere in questi anni è stato messo in ombra dal successo del gothic metal, figlio tanto del dark, quanto delle sonorità più estreme, diventato l’ascolto principale delle anime della notte nei più oscuri locali europei.
Ma, fortunatamente, a volte capita di imbattersi in creature della notte che, a discapito delle mode, guardano con i loro occhi felini alle storiche band citate, lasciando giustamente che gli ultimi vent’anni di musica oscura non siano passati invano.
To Die Once Again, licenziato dalla nostrana Wormholedeath secondo full lenght dei finlandesi Lamori, è uno di questi esempi.
Attiva dal 2009, con un primo ep dal titolo The Reservoirs of Darkness, seguito dall’album Deadly Desires, la band sforna un secondo capitolo che incorpora, da tradizione del gruppo, elementi presi dal sound ottantiano, amalgamandoli con il mood hard rock/metal, caro alle band che più hanno entusiasmato negli anni a cavallo dei due millenni: nelle trame e nelle atmosfere notturne di brani come l’opener Until Death (Do Us Part), Lost In Love, la dolce e tenebrosa titletrack e Palace Of Pleasure, troverete richiami al sound dei vari Him, Poisonblack e compagnia di vampiri.
Nulla a che fare, quindi, con le trame orchestrali dei gruppi capitanati dalle ugole celestiali delle varie muse gotiche: molto più diretti e rock oriented, i Lamori vanno subito al sodo (al collo), tramutando in schiavi di sangue i poveri malcapitati fans.
Melodie dall’appeal molto alto, un sound da far sballare orde di pipistrelli e tanto feeling notturno, non passeranno inosservati, facendo di To Die Once Again un potenziale album top, specialmente per chi ama il lato più romantico e melodico del genere, ed occhio alla giugulare.

TRACKLIST
1. T.D.O.A Prelude
2. Until Death (Do Us Part)
3. Lost in Love
4. Chapter IV
5. To Die Once Again
6. Follow the Ghost
7. Drown Me
8. The Beauty of a Wilted Rose
9. Intermezzo
10. Wicked Little Things
11. Palace of Pleasure
12. T.D.O.A Postlude

LINE-UP
Matias – Vocals
Pellas – Guitar
Mikael – Bass
Jens – Keys
Sanchez – Drums

LAMORI – Facebook

Bastian – Rock Of Daedalus

Un album compatto, valorizzato dalla prova di un Vescera sontuoso, di un Macaluso che sfodera tutta la sua esperienza alle pelli, ben sostenuto dal basso di Giardina, e dalla sei corde dell’axeman nostrano, un chitarrista sanguigno che lascia ad altri virtuosismi fini a se stessi e mette il suo talento a disposizione dei brani

Quello che poteva sembrare un progetto estemporaneo, ha trovato la sua definitiva consacrazione con l’uscita di questo secondo album e i Bastian di Sebastiano Conti possono essere considerati una band a tutti gli effetti.

Due anni fa il chitarrista siciliano aveva stupito tutti con Among My Giants, un bellissimo album di hard’n’heavy che vedeva il buon Conti circondato da un nugolo di musicisti storici della scena come Vinnie Appice, Mark Boals, Michael Vescera e John Macaluso.
Lo scorso anno Among My Giants tornava a far parlare di sé con la riedizione curata dall’Underground Symphony, label per cui esce questo nuovo Rock Of Daedalus con il gruppo ridotto a quattro elementi : Sebastiano Conti alla sei corde, Michael Vescera al microfono, John Macaluso alle pelli e Corrado Giardina al basso.
Rock Of Daedalus non sposta di una virgola il concept musicale su cui si destreggia il chitarrista siciliano: il sound influenzato dalla scena ottantiana e dai mostri sacri del genere, perfettamente bilanciato tra hard rock ed heavy metal, continua a mietere vittime con questi dieci brani ruvidi e diretti, aggressivi e potenti ma tremendamente efficaci.
Una album compatto, valorizzato dalla prova di un Vescera sontuoso, di un Macaluso che sfodera tutta la sua esperienza alle pelli, ben sostenuto dal basso di Giardina, e dalla sei corde dell’axeman nostrano, un chitarrista sanguigno che lascia ad altri virtuosismi fini a se stessi e mette il suo talento a disposizione dei brani, così che possano esplodere in tutta la loro carica hard rock.
Massiccio è forse il termine più adatto per descrivere il sound di questo lavoro, e la band, fin dall’opener Strange Toughts, sfodera ritmiche dal groove viscerale, molto più zeppeliniane rispetto al suo predecessore.
Il mid tempo roccioso di The Pide Piper torna ad esplorare il sound dei Black Sabbath era Tony Martin, mentre Vlad e Terminators confermano la voglia di far male di questa multinazionale dell’hard & heavy, supportata da un Vescera in stato di grazia, epico ed emozionale.
Conti ricama di solos sanguigni e riff tutta grinta e potenza le varie songs, e siamo già alla metallica Steel Heart, apice di questo bellissimo lavoro, un brano heavy metal disegnato coi colori dell’arcobaleno più famoso della nostra musica preferita.
Smokin’ Joe e la ballad Wind Song, chiudono questo ritorno sopra le righe dei Bastian, confermando quello di Sebastiano Conti un gruppo che non può mancare tra gli ascolti degli amanti dell’hard’n’heavy di estrazione classica.

TRACKLIST
1.Strange Thoughts
2.The Pide Piper
3.Vlad
4.Terminators
5.Man Of Light
6.Man In Black
7.18 In Woodstock
8.Steel Heart
9.Smokin’ Joe
10.Wind Song

LINE-UP
Sebastiano Conti- Guitars
Michael Vescera- Vocals
John Macaluso- Drums
Corrado Giardina- Bass

BASTIAN – Facebook

Pino Scotto – Live For A Dream

Con il blues signore e padrone del suo background, Pino ci delizia con questi diciotto brani dove non manca una marea di ospiti illustri della scena meta/rock tricolore, a conferma dell’eclettismo di un musicista non rinuncia a collaborare con le nuove generazioni di musicisti, che siano di provenienza metal, rock o addirittura rap.

Mi è difficile parlare di Pino Scotto, un artista che amo profondamente, non solo per la sua carriera musicale che, senza ombra di dubbio, è una della più importanti e gloriose in ambito hard rock ed heavy metal del nostro paese, ma soprattutto come persona, un uomo che incarna il mio pensiero al 100%, fuori da inutili ed obsoleti discorsi di una politica che purtroppo è diventato solo un circo, puro e fuori dagli schemi in modo talmente naturale, che quello che dice, molte volte forzando la mano, anche per una persona non più di primo pelo come il sottoscritto, diventa l’unica ineluttabile verità.

Ed è così che diventa un onore scrivere qualche riga per la nostra ‘zine sull’ultimo lavoro del rocker italiano per antonomasia, una raccolta di brani che ne ripercorre la carriera, dai Pulsar, passando per i gloriosi Vanadium, i Fire Trails e l’esperienza solista.
Un rocker che ha attraversato quarant’anni di musica rock in Italia, un paese dove ancora oggi la musica del diavolo è vista come una fastidiosa sottocultura, anche in questi ultimi anni in cui i talenti continuano a moltiplicarsi.
Con il blues signore e padrone del suo background, Pino ci delizia con questi diciotto brani dove non manca una marea di ospiti illustri della scena meta/rock tricolore, a conferma dell’eclettismo di un musicista non rinuncia a collaborare con le nuove generazioni di musicisti, che siano di provenienza metal, rock o addirittura rap.
Il suo tono graffiante da rocker navigato spadroneggia su questo nuovo Live For A Dream, gli ospiti valorizzano brani stupendi, profondi, molti composti da testi di denuncia contro un mondo ed un sistema a cui il musicista partenoopeo non ha mai concesso nulla, tirando dritto per la sua strada che continua a non avere un punto d’arrivo sul proprio navigatore.
Una truppa di talenti della scena tra cui Roberto Tiranti, Fabio Lione, Ambramarie, Dario Cappanera, Stef Burns, Steve Angarthal, Rob Iaculli, Alex Del Vecchio e Fabio Treves, tra gli altri, fornisce il proprio contributo nel far risplendere questa raccolta, tra classici, ultime produzioni ed inediti (Don’t Touch The Kids e The Eagle Scream, brano scritto in memoria del suo vecchio amico Lemmy, e di cui uscirà un video).
Non mancano, chiaramente, oltre alle più datate produzioni i brani simbolo della sua carriera solista, ora più che mai sulla cresta dell’onda anche per il programma Database che conduce da ormai tredici anni su Rock Tv.
Morta La Città, Quore Di Rock’N’Roll, Signora Del Voodoo e Angus Day, e poi le stupende Dio Del Blues e Third Moon (made in Fire Trails) e via via tutte le altre, fanno di Live For A Dream una completa e suggestiva panoramica sul mondo di Pino Scotto, supportata da un DVD contenente immagini live delle registrazioni in studio, interviste e videoclips, in attesa di ritrovare in giro per i palchi nostrani per l’ennesimo tour questo inesauribile condottiero del rock’n’roll.

PS. Nel 2011, insieme a Caterina Vetro, Pino Scotto fonda Rainbow Projects, un progetto di educazione, sanità e sviluppo nato per contribuire a migliorare le condizioni di vita di bambini estremamente svantaggiati come gli orfani e le vittime di abusi in Belize, quelli della discarica di Coban in Guatemala o a forte rischio di prostituzione minorile e mendicanza in Cambogia: questo, tanto per chiarire, a chi se ne fosse fatta un’idea precostituita o travisata, di che pasta è fatto questo monumento vivente alla vera cultura rock’n’roll.
Un artista che musicisti, fans e addetti ai lavori dovrebbero solo ringraziare ogni volta che fa mattina e ci si alza dal letto …

TRACKLIST
1.Don’t Touch the Kids
2.The Eagle Scream
3.A Man on the Road
4.We Want Live Rock ‘n’ Roll
5.Easy Way to Love
6.Streets of Danger
7.Too Young to Die
8.Dio del Blues
9.Gamines
10.Leonka
11.Spaces and Sleeping Stones
12.Third Moon
13.Come noi
14.Quore di Rock ‘n’ Roll
15.Morta è la città
16.Che figlio di Maria
17.Signora del Voodoo
18.Angus Day

DVD
1.A Man on the Road
2.We Want Live Rock ‘n’ Roll
3.Easy Way to Love
4.Streets of Danger
5.Too Young to Die
6.Dio del Blues
7.Gamines
8.Leonka
9.Spaces and Sleeping Stones
10.Third Moon
11.Come noi
12.Quore di Rock ‘n’ Roll
13.Morta è la città
14.Che figlio di Maria
15.Signora del Voodoo
16.Angus Day

LINE-UP
Pino Scotto-Vocals
Roberto Tiranti, Fabio Lione, Ambramarie – Vocals
Stef Burns, Steve Angarthal, Igor Gianola, Dario Cappanera, Filippo Dallinferno, Ale “Fuzz” Regis – Guitars
Rob Iaculli, Alex Mansi, Marco di Salvia – Drums
Dario Bucca, Ciccio Li Causi – Bass
Alex Del Vecchio. Maurizio Belluzzo – Keyboards
Valentina Cariulo – Violin
Fabio Treves – Haromonica

PINO SCOTTO – Facebook

Temple of Dust – Capricorn

Otto brani, otto viaggi lisergici nella musica dura, otto composizioni che si nutrono di heavy rock, psichedelia, stoner e sostanze illegali, otto danze sabbatiche, litanie messianiche che portano allo sfinimento fisico e mentale.

Otto brani, otto viaggi lisergici nella musica dura, otto composizioni che si nutrono di heavy rock, psichedelia, stoner e sostanze illegali, otto danze sabbatiche, litanie messianiche che portano allo sfinimento fisico e mentale.

Capricorn, debutto sulla lunga distanza dei lombardi Temple Of Dust, prodotto rigorosamente in vinile dalla label romana Phonosphera Records, non concede nulla in facili melodie, bisogna lasciarsi andare e farsi trasportare dalle note sporcate dal blues, violentato da noise e fuzz e dal cantato ruvido e allucinato da effetti e riverberi, come in un trip lungo quaranta minuti.
La band, nata in Brianza da un’idea del bassista/cantante Miky Bengala, a cui si aggiungono il chitarrista Mr. Diniz ed il batterista Beppe Gagliardi, arriva all’esordio dopo due ep, Capricorn del 2014 e Requiem For The Sun dello scorso anno, con questo album che riprende tutti i brani contenuti nei precenti lavori.
Difficile trovare una descrizione precisa per la musica del gruppo, inglobate nel sound del trio vivono molte anime, imprigionate da questo terribile demone lisergico in un unico spartito.
Capricorn va ascoltato come una lunga jam dove al suo interno umori diversi compongono una sola lunga danza messianica, drogata di psichedelia, stravolta da elettricità noise, appesantita dal groove stonerizzato e dalle reminiscenze sludge, un altare costruito con pietra vulcanica e reso monolitico da una gettata di cemento lavico dalla pesantezza sovraumana.
Non un minuto di questo lavoro è concesso a note in linea con le mode di questi tempi, la base su cui si staglia questo tempio di musica, che più underground di così non si può, riconduce agli anni settanta e verrà sicuramente apprezzata dagli amanti di Blue Cheer, Hawkwind e Black Sabbath.
Dalla title track fino alla conclusiva White Owl è un lungo discendere nella bocca di un vulcano verso il centro della terra, per incontrare il demone carceriere e tentare di liberare le anime imprigionate nel sound di Capricorn, ma non ci riuscirete, capitolerete prima, molto prima.

TRACKLIST
1.Capricorn
2.Temple of Dust
3.Requiem For The Sun
4.Szandor
5.Thunder Blues
6.Goliath
7.Lady Brown
8.White Owl

LINE-UP
Miki Bengala- Vocal, Bass
Mr. Diniz-Guitar
Beppe Gagliardi-Drums

TEMPLE OF DUST – Facebook

Mr.Bison – Asteroid

Stoner rock suonato molto bene da due chitarre e una batteria, con una forte influenza hard e southern rock.

Stoner rock suonato molto bene da due chitarre e una batteria, con una forte influenza hard rock e southern rock.

I Mr.Bison vengono da Cecina per migliorare la nostra triste vita, con un suono che non può non farti muovere, molto rock nella sua essenza profonda, e molto stoner nel suo outfit. Dal debutto del 2011 sono cambiate un po’ di cose per questo gruppo che sta compiendo un percorso molto valido nell’ambito stoner rock, senza lasciarsi influenzare dall’esterno. Asteroid è il loro lavoro più potente e strutturato, con una fortissima vocazione rock nella totalità del genere. I Mr.Bison hanno un groove loro molto bello e particolare, e pur non facendo un genere originale lo fanno molto bene, con molti elementi diversi. Il disco è molto piacevole e vario, induce a diversi ascolti ed è il lasciapassare per gustarseli dal vivo.

TRACKLIST
1.BLACK CROW
2.WISKER JACK
3.FULL MOON
4.HANGOVER
5.BURN THE ROAD
6.RUSSIAN ROULETTE
7.RESIST
8.CANNIBAL
9.PRISON
10.HELL

MR.BISON – Facebook

Fall Has Come – Time To Reborn

Il sound che riempe di melodie rock Time To Reborn è quanto di più american style troverete in giro, specialmente se guardate al sound alternativo

Dovete sapere che il sottoscritto ha un amico ai piedi del Vesuvio che non manca di farlo partecipe delle nuove realtà del panorama rock alternativo nazionale, tutte dall’alta qualità e pronte per il salto verso un mondo dove finalmente la loro musica possa avere i meritati consensi.

Attenzione, non parlo di successo ma di consensi, perché il nostro paese purtroppo è avaro, specialmente quando si parla di rock, della minima attenzione verso band e album come questo notevole Time To Reborn, debutto dei casertani Fall Has Come, appena tornati, in questa prima metà dell’anno da un’esaltante turnè in compagnia dei rockers Hangarvain, freschi di stampa di quel monumento all’hard rock che risulta il loro secondo lavoro Freaks, in territorio spagnolo.
Il trio campano è formato dal bravissimo singer Enrico Bellotta e qui mi fermo un’attimo: il bassista casertano è dotato di una voce dall’appeal stratosferico, la sua performance è quanto di meglio mi sia capitato di sentire nel genere, colma di feeling, radiofonica, e dotata di una personalità che si fatica a trovare anche nelle migliori band statunitensi.
Sì,  perché il sound che riempe di melodie rock Time To Reborn è quanto di più american style troverete in giro, specialmente se guardate al sound alternativo, ed alle riminiscenze del primo decennio del nuovo millennio, quello passato alla storia come alternative rock e post grunge.
Accompagnato dai due chitarristi Raffaele Giacobbone e Enrico Pascarella che compongono la line up dei Fall has Come, il singer con la sua performance regala emozioni a non finire, ciliegina sulla torta di un lavoro intenso e maturo, melodico ma dall’animo rock, alternativo forse, sicuramente conturbante e colmo di hit pregevoli.
Non credo di essere smentito se dichiaro che l’opener Cover The Sun, la semiballad I Will, l’hard rock oriented Burn Up To River, l’intimista Remember, la graffiante Urban Chaos ( con quegli accordi southern ad inizio brano che ci spingono a forza nell’America sudista dei fratellini Hangarvain) e la favolosa title track, sono bombe rock dall’alto tasso esplosivo e, in un mondo migliore, non solo musicalmente, vere mine vaganti di classifiche radiofoniche lasciate a bombardare le orecchie di migliaia di ragazzi sulle spiaggie assolate, dall’Italia alla California.
Qualcuno vi parlerà di gruppi famosi ed ora persi nel dimenticatoio del music biz, per cercare in qualche maniera di spiegarvi di che pasta è fatto questo bellissimo lavoro, io mi astengo da inutili paragoni e vi lascio alle note di Time To Reborn, debutto di questa fenomenale band tutta italiana.
P.S : fate molta attenzione perché Time To Reborn è come una droga, non potrete più farne a meno.

TRACKLIST
1. Cover the Sun
2. I Will
3. Swallow my Tears
4. Hidden Life of Dreams
5. Burn Up to River
6. Forsaken World
7. Remember
8. Start To Be Free
9. Urban Chaos
10. Time To Reborn
11. Wherever (Bonus Track)

LINE-UP
Enrico Bellotta – ocals, bass
Raffaele Giacobbone – guitars
Enrico Pascarella – guitars

FALL HAS COME – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=O8R1FNgr3WY

Pristine – Reboot

Il rock è vivo e vegeto, si rigenera per mezzo dei suoi figli e voi non avete scuse

Non credo che nelle fredde lande scandinave vi siano crocicchi ove si possa vendere l’anima al diavolo, così da suonare la sua musica con magico talento, eppure all’ascolto di questo lavoro, rimane il dubbio che i Pristine qualcuno abbiano incontrato, tra le strade ricoperte di ghiaccio del loro paese, la Norvegia.

Terzo lavoro per il gruppo di Oslo, dopo l’esordio del 2011 Detoxing, ed il seguente No Regret di tre anni fa, mentre la band è pronta per la calata nella nostra penisola in questo periodo, a supporto degli svedesi Blues Pills.
Capitanati dalla notevole singer Heidi Solheim, una via di mezzo tra Patty Smith, PJ Harvey e Bjork, i Pristine fanno il botto, con questo straordinario Reboot, un concentrato di rock blues ad alta gradazione emozionale, colmo di psichedelia e rock’n’roll, uno sguardo attento sul sound americano, un viaggio nei meandri più sanguigni della musica del diavolo.
Reboot è composto da un lotto di brani uno diverso dall’altro, uno più emozionante dell’altro, con il blues che spadroneggia, lasciando però spazio a momenti di psichedelia lisergica in un trionfale tributo agli anni settanta e agli dei dell’hard rock.
Il nostro viaggio tra le fiamme, nella casa di satanasso, inizia con il blues energico dell’opener Derek, i Bad Company sono lì, a farci l’occhiolino, mentre senza voltarci saliamo sul dirigibile zeppeliniano con All My Love.
All I Want Is You è il primo tuffo nella psichedelia, un blues drammatico ricamato da una chitarra pinkfloydiana e da un hammond dai colori porpora, che ritroveremo nel capolavoro The Middlemen, ma prima c’è da muovere le natiche con il rock’n’roll di Bootie Call seguito dal blues messianico della title track.
The Middlemen, il capolavoro di questo album, canzone lisergica ed emozionale, valorizzata da una prova sontuosa della vocalist e dell’axeman Espen Elverum Jakobsen, porta il gruppo norvegese molto vicino all’olimpo dove riseidono i grandi; con l’inno California, la song più moderna e hard rock dell’intero lavoro, il sole brucia l’asfalto e siamo lontani dal freddo norvegese, con la temperatura che sale con il blues tragico (cantato dalla Solheim con un trasporto tale da sconvolgere) di Don’t Save My Soul.
The Lemon Waltz chiude il lavoro, una ballad rock blues che ricorda nei suoi accordi e armonie i Beatles di Sgt.Peppers, chiudendo un cerchio iniziato con i Bad Company, i Led Zeppelin, i Pink Floyd e l’america sudista raccontata dai The Allman Brothers Band e Grand Funk Railroad.
Reboot è un album superbo, un esempio di come nel 2016 si può suonare rock ad altissimi livelli, prendendo ispirazione dalle proprie influenze ma senza risultare patetici come molti dinosauri inchiodati al proprio portafoglio.
Il rock è vivo e vegeto, si rigenera per mezzo dei suoi figli e voi non avete scuse, fatelo vostro.

TRACKLIST
1.DEREK
2.ALL OF MY LOVE
3.ALL I WANT IS YOU
4.BOOTIE CALL
5.REBOOT
6.THE MIDDLEMEN
7.CALIFORNIA
8.LOUIS LANE
9.DON’T SAVE MY SOUL
10.THE LEMON WALTZ

PRISTINE . Facebook

Wonderworld – II

Un ascolto piacevole che ci prende per mano accompagnandoci in territori cari a Uriah Heep, Led Zeppelin, Deep Purple era Hughes e Coverdale, con una sound grintoso e raffinato, irruente ed estremamente elegante, come ci hanno abituato da tempo tutti il lavori che vedono coinvolto Tiranti.

Secondo lavoro per la band italo/norvegese Wonderworld, che vede il nostro Roberto Tiranti insieme alla coppia di musicisti scandinavi Ken Ingwersen e Tom Fossheim, rispettivamente alla chitarra e alla batteria.

Anche questo secondo lavoro si distingue per un elegante classic rock di scuola settantiana, pennellato di blues e soul, suonato divinamente e dal songwriting sontuoso.
Scritto a quattro mani da Tiranti e Ingwersen, II conferma ancora una volta l’eclettico talento del musicista genovese, instancabile artista e vocalist sopraffino, alle prese con questa raccolta di brani che svaria tra ruvidità ed eleganza, grinta e melodia, vorticosi sali e scendi nel rock e nell’hard & heavy di stampo classico.
Gruppo di tre elementi, quindi pochi fronzoli e sound che va dritto al punto, con un Ingwersen che si dimostra chitarrista fenomenale, raffinato quando i brani lo richiedono, tostissimo quando le atmosfere si irrobustiscono ed il gruppo se ne esce potenti bordate hard rock.
Sempre magistrale il lavoro di Tiranti al microfono e chirurgico il drumming di Fossheim, così che II si rivela un altro bellissimo album caratterizzato da sonorità classiche, magari poco considerate nel superficiale mondo del music biz odierno, ma assolutamente imprescindibili per gli amanti della buona musica.
Le ritmiche raffinate di brani come Elements, It’s Not Over Yet e Echo Of My Thoughts si scontrano con le atmosfere adrenaliniche di Evil In Disguise, Forever Is The Line e della sabbathiana In The End; in mezzo una serie di songs che fanno dell’hard rock raffinato il loro credo, magistralmente interpretate da questo power trio, che non lascia da parte emozionalità e feeling.
Un ascolto piacevole che ci prende per mano accompagnandoci in territori cari a Uriah Heep, Led Zeppelin, Deep Purple era Hughes e Coverdale, con una sound grintoso e raffinato, irruente ed estremamente elegante, come ci hanno abituato da tempo tutti il lavori che vedono coinvolto Tiranti.
Non perdete altro tempo e fate vostro questo bellissimo album, ulteriore dimostrazione dell’immortalità della nostra musica preferita, specialmente se suonata a questi livelli.

TRACKLIST
1. Forever Is A Lie
2. Remember My Words
3. Elements
4. It’s Not Over Yet
5. Echo Of My Thoughts
6. The Evil In Disguise
7. Return To Life
8. Memories
9. In The End
10. Down The Line

LINE-UP
Roberto Tiranti – vocals, bass
Ken Ingwersen- Guitars
Tom Fossheim- Drums

WORDERWORLD – Facebook

Hollow Illusion – Hollow Illusion

Hollow Illusion è un album adatto a qualsiasi palato abituato a nutrirsi dei suoni classici hard’n’heavy

Il lavoro omonimo del duo formato da Magnus Mikkelsen Hoel e Ove Mikkelsen Hoel, chiamati Hollow Illusion, conferma il talento per i suoni classici dei musicisti nati tra i fiordi e le immense pianure innevate, mostrando diverse influenze ed atmosfere, che pescano tanto dall’heavy metal quanto dall’hard rock, alternando sfumature old school e più moderni salti nel groove rock.

L’album, oltretutto, ha potuto fregiarsi di varie collaborazioni importanti in fase di registrazione, prodotto da Trond Hotler (Wig Wam e Jorn), per il mix la band è volata negli States ed ha lasciato il materiale nelle sapienti mani di Roy Z (Judas Priest, Halford, Bruce Dickinson), mentre Andy Horn ha curato il master in Germania.
Hollow Illusion è un ottimo tuffo nelle sonorità classiche, tra le varie songs si avvicendano influenze e stili diversi: si passa quindi dall’hard rock dei Thin Lizzy all’heavy metal old school, da melodie care ai rockers conterranei del duo come i TNT al groove ruvido che guarda alle sonorità statunitensi (come Zakk Wilde insegna).
Voce maschia, melodica e sanguigna, ottimi solos ed un buon songwriting fanno di Hollow Illusion un buon biglietto da visita per il duo norvegese, che quando picchia sa far male con God Of Rock e Lights Go Down, apertura tutta grinta dell’album.
Belli i chorus, che imperversano su un po tutti i brani, dalla solida Now Or Never, alla ballatona Mountain On Solid Gorund, mentre Rain si aggiudica la palma di migliore composizione pregna di hard rock solare e refrain da urlo.
Hollow Illusion è un album adatto a qualsiasi palato abituato a nutrirsi dei suoni classici hard & heavy, non manca la grinta ma neppure la melodia, quindi cari rockers, ascoltatelo ed innamoratevene.

TRACKLIST
1.Mercury Rising
2.God Of Rock
3.Lights Go Down
4.I Don’t Care
5.Now Or Never
6.Mountain On Solid Ground
7.Can’t Stand Still
8.Rain
9.Fighter
10.Voodoo Medicine Man
11.Come Back

LINE-UP
Magnus Mikkelsen Hoel – Vocals
Ove Mikkelsen Hoel – Bass

HOLLOW ILLUSION – Facebook

Zaibatsu – Zero

Gli Zaibatsu descrivono fini, stritolamenti post industriali e ricatti di metastasi senzienti, il tutto con un magnifico piglio post industrial.

Ci sono rari momenti di illuminazione nei quali, pur guardando un magnifico cielo fatto di bellissimi colori, senti che la fine è vicina, e ti avvolge uno strano senso di pace.

Purtroppo da quel momento alla pace eterna il cammino è ancora duro e pieno di pericoli. Gli Zaibatsu descrivono fini, stritolamenti post industriali e ricatti di metastasi senzienti, il tutto con un magnifico piglio post industrial. Ci sono accelerazioni, momenti chiari e concisi, impastamenti sonori e tante tante cose suonate con il cuore. Riferimenti al loro suono potrebbero oscillare dal grunge all’industrial, ma gli Zaibatsu per fortuna sono un qualcosa di unico e forse irripetibile, poiché fanno generi che non hanno patria, se non nel significato che vogliono attribuirgli chi li suona. Il disco scorre imponente e magnifico, descrivendo un fallimento globale che è solo nostro, poiché ci lasciamo avvelenare in ogni dove, sia fisicamente che spiritualmente, e paghiamo pure per morire di tumori ed essere legati ad un carrello della spesa. Zero è un disco rimarchevole e duro, che potrebbe essere tranquillamente pubblicato dalla Dischord. In Italia abbiamo dimostrato che siamo bravissimi a fare dischi apocalittici, e questo è magnifico. Da sentire e contorcersi, in una danza zero.

TRACKLIST
1. Plastic Machine Head
2. Oppenheimer’s Sister
3. Chemtrails
4. Mantra 3P
5. Pirates
6. Gnomes
7. Technocracy
8. Abac
9. Starless
10. Collateral Language

ZAIBATSU – Facebook

Highrider – Armageddon Rock

Quattro brani deflagranti, devastanti e potenti, eppure non siamo nei meandri del metal estremo, bensì nel più classico e all’apparenza più innocuo hard rock.

Tempesta, tuoni, fulmini, terremoti e tsunami che si riversano sull’ascoltatore come in una pellicola di genere catastrofico, un’onda altissima di metallo fumante, rock ruvido accompagnato da una voce che gronda rabbia e angoscia.

Un armageddon, appunto, di rock settantiano ipervitaminizzato da scariche metalliche fuse nell’acciao, impreziosito da un hammond signore e padrone del sound, apocalittico e dannatamente vintage, ma fondamentale nell’economia di queste splendide quattro canzoni.
Gli Highrider sono un quartetto svedese, Armageddon Rock è il loro debutto, licenziato dalla The Sign Records, registrato da Leo Moller, mixato da Henke Magnusson e masterizzato da Linus Anderson ai Kust studio di Gotheborg così da straripare letteralmente dalle casse, come l’acqua liberata dal crollo di una diga.
Quattro brani deflagranti, devastanti e potenti, eppure non siamo nei meandri del metal estremo, bensì nel più classico e all’apparenza più innocuo hard rock.
Il fantastico lavoro alle tastiere di Christopher Ekendahl, che riporta indietro agli anni settanta e ai mai troppo osannati Uriah Heep, avvolge il metal, a tratti stonerizzato, rabbioso e devastante suonato dai suoi compari, con la sei corde di Eric Radegard che illumina la scena con solos dal saporeclassico (S= T x I) e la sezione ritmica che ci investe con una forza disumana (Carl-Axel Wittbeck alle pelli e Andreas Fageberg al basso).
Il concept dell’album è chiaramente ispirato alla deriva intrapresa dal genere umano e la musica, che mantiene un mood apocalittico, forma insieme alle urla drammatiche e rabbiose del bassista una clamorosa denuncia degli effetti distruttivi delle politiche nucleari.
Venti minuti esaltanti, da ascoltare a volume altissimo, un enorme suono che si sviluppa e si rigenera tra le trame bombastiche di Agony Of Limbo, The Moment (Plutonium) e Semen Mud And Blood.
Un grandissimo debutto che incorona gli Highrider come una delle sorprese di questa metà dell’anno di grazia 2016, il che induce ad aspettarli per la prima prova sulla lunga distanza che, se si attestasse su questi livelli, sarebbe trionfale.
Non c’è ne tregua ne speranza, solo la colonna sonora della fine del mondo.

TRACKLIST
1.S= T x I
2.Agony Of Limbo
3.The moment (Plutonium)
4.Semen Mud And Blood

LINE-UP
Eric Radegard-Guitar
Carl-Axel Wittbeck-Drums
Andreas Fageberg-Bass
Christopher Ekendahl-Keyboards

HIGHRIDER – Facebook

Thenighttimeproject – Thenighttimeproject

Il lavoro omonimo dei Thenighttimeproject è senz’altro apprezzabile ed è vivamente consigliato a chi si nutre di quelle sonorità delicate e soffuse alle quali ci hanno abituato, appunto, i Katatonia.

Probabilmente, qualche anno dopo essere uscito dai Katatonia per dedicarsi quasi a tempo pieno agli October Tide, a Fredrik Norrman cominciano a mancare quelle sonorità più pacate e rarefatte.

Potrebbe essere nata da qui l’esigenza di dar vita ad un progetto come Thenighttimeproject, con il quale il musicista svedese si ritrova a competere sullo stesso terreno della premiata ditta Nyström/Renkse.
Ovviamente, di suo Norrman ci mette un gusto più dark, con qualche spruzzatina di elettronica che avvicina la proposta, in certi frangenti, alla new wave più intimista.
L’operazione riesce abbastanza bene, anche se, così come per tutta la produzione dei Katatonia nel nuovo millennio, non riesce a conquistarmi totalmente; il disco scorre via fluido, con le sue sonorità crepuscolari che disegnano sullo sfondo uno scenario grigio e brumoso, in cui l’apparizione di qualche raggio di sole pare essere un’opzione non prevista, ma la tragedia umana che covava sotto sotto le magnifiche melodie di capolavori come Discouraged Ones e Tonight’s Decision è ben lungi dall’essere rievocata sia dalla band che ne è stata autrice, sia dalle sue varie derivazioni.
Qui, in un contesto dal buon livello medio, alcuni brani colpiscono per la loro dolente eleganza, in particolare l’accoppiata Caustic Reflection, efficace e malinconica pennellata di classe cristallina, e la successiva e più ammiccante Dissolve, che spicca per il suo andamento più sincopato rispetto agli altri episodi.
La voce di Tobias Netzell (In Mourning) si confà al genere anche se il suo registro mostra ben poche variazioni sul tema, mentre Norrman (che per una volta si occupa in prima persona anche del basso rinunciando al contributo del fratello Mattias) si destreggia mostrando la consueta maestria con tutti gli strumenti , ad eccezione della batteria affidata a Nicklas Hjertton.
Il lavoro omonimo dei Thenighttimeproject è senz’altro apprezzabile, pur non facendo gridare al miracolo, ed è vivamente consigliato a chi si nutre di quelle sonorità delicate e soffuse alle quali ci hanno abituato, appunto, i Katatonia o gli stessi Antimatter.

Tracklist:
1. The Annual Loss
2. Oneiros
3. Caustic Reflection
4. Dissolve
5. Among Reptiles
6. Empty Signs
7. Amends
8. Desert Prayers

Line-up:
Tobias Netzell – Vocals
Fredrik Norrman – Guitars, Bass, Keyboards
Nicklas Hjertton – Drums

THENIGHTTIMEPROJECT – Facebook

BlackRain – Released

A mio parere un’occasione in parte mancata, anche se sono sicuro che l’album farà sicuramente conquistare nuovi fans al gruppo francese ma, se volete ascoltare fottuto rock’n’roll puro Los Angels style, rivolgetevi altrove.

Ecco arrivato sulla mia scrivania quello che si prospetta come l’album hard rock del 2016: Released, dei transalpini BlackRain, licenziato dalla UDR/Warner.

Il quartetto di rockers formatosi dieci anni fa nelle alpi francesi, dopo una lunga gavetta fatta di importantissimi live al fianco di Europe, Alice Cooper, Scorpions ed i nuovi eroi dell’hard rock mondiale come Steel Panthers, Kissin’ Dynamite e Crash Diet e con quattro full length alle spalle, con It Begins (il precedente lavoro uscito nel 2013) quale il picco qualitativo, è pronto al grande salto e Released conferma l’attesa degli addetti ai lavori, per un album che dovrebbe rivelarsi un’esplosione di suoni street/hard rock, direttamente dalla Los Angeles del periodo ottantiano.
Prodotto da Jack Douglas, nome di spicco del panorama rock americano (Aerosmith, Cheap Trick, Alice Cooper, The New York Dolls e John Lennon) l’album è stato registrato tra Parigi ed ovviamente la città degli angeli, con il mix finale curato da Douglas insieme a Warren Huart, ingegnere del suono della band di Steven Tyler e Joe Perry.
Tanto spiegamento di forze, ha dato i suoi frutti e Released non può che essere destinato al successo: tutto è perfetto, il suono patinato e cristallino, le canzoni formano una raccolta di hits che trent’anni fa avrebbe fatto tremare il music biz, con la leggera attitudine stradaiola della band e quel tocco ruffiano che è la chiave per entrare nei cuori dei vecchi e nuovi rockers sparsi per il mondo.
Tra le note di brani dall’appeal conclamato come l’opener Back In Town, l’esplosiva Mind Control, Puppet On A String, la semi ballad strappa lacrime Home, l’irriverente Rock My Funeral, troverete di che crogiolarvi se continuate ad infilare nella vostra autoradio i greatest hits di Motley Crue, Skid Row, Poison ed in parte, ma solo in parte, Guns’n’Roses.
Tutto fila liscio come l’olio, le songs entrano in testa alla velocità della luce e non meravigliatevi se, dopo un solo ascolto, vi ritroverete a canticchiare uno dei ritornelli di questi tredici brani, costruiti per piacere senza se e senza ma.
E allora, vi chiederete, perché il voto non rispecchia del tutto queste valutazioni ?
Perché, a mio modesto parere, Released è “troppo” perfetto per un album che dovrebbe trasudare sporco rock’n’roll: il tutto risplende di una luce asettica, a causa di un’attenzione ai particolari che è sintomatica dell’intento di costruire a tavolino un lavoro in grado di sfondare, ma che lascia qualche dubbio sull’effettivo impatto e molti di più sulla reale attitudine della band.
Ci si aspetta da un momento all’altro che l’album esploda davvero, che la voce lasci intravedere gli effetti collaterali di serate da sballo, e le sei corde ci facciano godere di un riffing di matrice street, dai richiami punk/blues cari a band storiche come L.A Guns o primi Gunners, ed invece si scivola nel compitino, nello schema strofa-ritornello-strofa, carino, perfetto per le radio, ma alla lunga abbastanza prevedibile.
A mio parere un’occasione in parte mancata, anche se sono sicuro, l’album farà sicuramente conquistare nuovi fans ai BlackRain, ma se volete ascoltare fottuto rock’n’roll puro Los Angels style, rivolgetevi altrove.

TRACKLIST
01. Back In Town
02. Mind Control
03. Killing Me
04. Run Tiger Run
05. Puppet On A String
06. Words Ain’t Enough
07. Eat You Alive
08. Home
09. For Your Love
10. Fade To Black
11. Electric Blues
12. Rock My Funeral
13. One Last Prayer
14. True Survivor (Bonus)
15. Jenny Jen (Bonus)

LINE-UP
Swan Hellio – Lead vocals, Guitars
Axel “Max 2” Charpentier – Lead guitars
Matthieu De La Roche – Bass
Frank Frusetta – Drums

BLACKRAIN – Facebook

Bridgeville – Aftershock

Aftershock non scende mai di livello mantenendo una qualità notevole, i brani sono tutti molto belli e fanno l’occhiolino ai Bon Jovi così come agli Whitesnake nella versione USA ottantiana

I paesi nordici sono da sempre patria dei generi melodici di stampo hard rock, anche se spesso si pensa solo alle espressioni musicali più esteme.

Ed è proprio dalla fredda Norvegia che arrivano i Bridgeville con il loro sound fatto di caldo hard rock classico, molto melodico e dall’ottimo appeal.
Una raccolta di brani che parla al cuore di ogni rocker innamorato di chitarre ruvide, refrain irresistibili e da cantare in qualche locale riscaldato dai watt che esplodono nella sala, avvolgendo gli astanti di melodie provenienti direttamente dagli anni ottanta, anni in cui il rock, quello vero, spadroneggiava nelle radio di tutto il pianeta.
Il gruppo nasce nel 2013 per volere del vocalist Martin Steene, già in line up con i metallers danesi Iron Fire e l’hard rock band norvegese Absinth, e recluta tra le fila della nuova band, i chitarristi Erik Norheim e Kenneth Jacobsen, Roger Svenkesen al basso e Thomas Furuvald alle pelli.
Il gruppo così composto si prepara al debutto licenziando il singolo Absinthia, arriva poi la firma per la Crime Records e la band, nello scorso anno, entra in studio con Jacob Hansen e Tommy Hansen per registare Aftershock, debutto sulla lunga distanza che spezzerà cuori, muoverà fondoschiena e piacerà non poco ai rockers orfani dell’hard rock classico, svolazzando tra le varie influenze come un’ape tra i fiori.
Ottime trame chitarristiche, atmosfere che si alternano tra arena rock e ed elettrizzante e grintoso hard’n’roll, semiballad che ricordano nostalgici road movie, il tutto raccontato tramite una voce che risulta il primo comandamento di come si suona il genere (ovvero, avere un cantante con le palle).
Aftershock non scende mai di livello mantenendo una qualità notevole, i brani sono tutti molto belli e fanno l’occhiolino ai Bon Jovi così come agli Whitesnake nella versione USA ottantiana, mentre l’ascoltatore non mancherà certo di divertirsi con l’adrenalina che scorre tra i solchi di Save Me, Black Rain e Absinthia, mentre con Bridge To A Broken Heart e Homeland, la lacrimuccia non mancherà di scendere sul viso di tipacci dal cuore tenero.
Aftershock ci regala una quarantina di minuti di ottime melodie, che vanno a comporre un debutto di tutto rispetto, fatelo vostro.

TRACKLIST
01. Get On Top
02. Mystic River
03. Save Me
04. Aftershock
05. Black Rain
06. Keep Holding On
07. Bridge To A Broken Heart
08. Freakshow
09. Homeland
10. Anthem Of The World
11. Absinthia

LINE-UP
Martin Steene – Vocals
Erik Norheim – Guitars, B. Vocals
Thomas Furuvald – Drums
Roger Svenkesen – Bass
Kenneth Jacobsen – Guitars

BRIDGEVILLE – Facebook

Zippo – After Us

After Us è forse il disco più diretto della loro discografia, un gradino ancora più alto di una già magnificente produzione.

Torna la band pescarese veterana della scena pesante italiana.

Quarto disco per uno dei migliori gruppi stoner sludge dello stivale, in attività dal 2004, quando questi generi di musica non erano ancora popolari come ora.
After Us è un disco di grande qualità, come tutte le opere degli Zippo, con ancora qualcosa in più rispetto agli altri lavori. Ascoltandoli si ha un’impressione di grande solidità, di potenza sempre sotto controllo, con un forte retrogusto grunge, specialmente nei momenti maggiormente melodici.
Otto canzoni per circa quaranta minuti di distorsioni, riverberi psichedelici pesanti e voli heavy.
Questo è anche il primo disco non concept del gruppo, ma è ispirato alla vita di tutti i giorni, cosa assai più complicata di una storia di fantasia. Gli Zippo stupiscono sempre, non sono mai ovvi, e hanno una graniticità davvero notevole.  After Us è forse il disco più diretto della loro discografia, un gradino ancora più alto di una già magnificente produzione. Una sicurezza.

TRACKLIST
1. Low Song
2. After Us
3. Comatose
4. Familiar Roads
5. Adrift (Yet Alive)
6. Stage 6
7. Summer Black
8. The Leftovers

LINE-UP
Dave – Vocals
Sergente – Guitar
Stonino – Bass
Ferico – Drums

ZIPPO – Facebook

The Phoenix – My Turn To Deal

Rock’n’roll dall’anima sleazy o hard rock di ispirazione losangelina, fate voi, rimane il fatto che queste quattro tracce racchiuse in My Turn Deal, primo lavoro delle The Phoenix, convincono e ci regalano un’altra bomba sexy dall’alto concentrato elettrico.

Rock’n’roll dall’anima sleazy o hard rock di ispirazione losangelina, fate voi, rimane il fatto che queste quattro tracce racchiuse in My Turn Deal, primo lavoro delle The Phoenix, convincono e ci regalano un’altra bomba sexy dall’alto concentrato elettrico.

Il gruppo nasce nel 2001 e dopo una buona gavetta live arriva la firma per l’americana Demon Doll, con i ragazzi dell’Atomic Stuff a garantire la promozione dell’esordio discografico, registrato presso il Pri Studio di Bologna la scorsa estate.
My Turn To Deal conferma la tradizione delle band dell’altro sesso che, quando c’è da suonare il genere, fanno mangiare la polvere ai rudi colleghi maschi, ed infatti i brani che compongono il mini cd sono un concentrato di hard’n’heavy dall’alto tasso melodico, una piccola macchina del tempo che ci riporta ai fasti ottantiani ma, attenzione, il sound prodotto dalle The Phoenix risulta fresco, per niente nostalgico e, soprattutto, con un elevato appeal, così da rendere le varie canzoni tutte possibili hits.
La title track ha nel chorus il pezzo forte e mette subito in evidenza l’ottima voce della singer ed un assolo di chiara matrice heavy; un bel brano , molto accattivante, ma ecco che un pugno in pieno volto ci investe: Dangerous Girl esplode in tutta la sua carica heavy alla Motley Crue, un anthem da urlare al cielo in pieno trip live, pura adrenalina rock’n’roll come si suonava nella Sunset Strip.
Al primo ascolto You Can’t Stop The Rock ‘N’ Roll pare la classica ballatona di genere: niente di più sbagliato, altro colpo mortale, la song esplode in un altro chorus da stadio e noi non ci possiamo assolutamente esimere dal cantare con loro “che non si può fermare il rock’n’roll”.
Arriviamo all’ultima canzone, Party Hard, la più heavy del lotto: il riff risulta più moderno ed in your face, le vocals si fanno sensuali ed aggressive il giusto, le chitarre si incendiano, scudisciate di rock sanguigno che non ammettono repliche e confermano l’attitudine stradaiola del gruppo nostrano.
In soli quattro brani le The Phoenix lanciano il loro ruggito rock’n’roll, sta a voi ora far sì che il richiamo di queste quattro leonesse arrivi a chi del genere si nutre, in attesa di un prossimo passo, magari un full length di questo stesso livello.

TRACKLIST
1. My Turn To Deal
2. Dangerous Girl
3. You Can’t Stop The Rock ‘N’ Roll
4. Party Hard

LINE-UP
Lena McFrison – Lead Guitar, Vocals
Alice Schecter – Rhythm Guitar, Vocals
Luna RocketQueen – Bass, Vocals
Giuli McMousse – Drums

THE PHOENIX – Facebook

Mr.Riot – Same Old Town

Same Old Town è un vero spasso se vi piace il genere e non potete fare a meno di vecchi volponi del rock’n’roll statunitense come Van Halen, Twisted Sisters, Poison, Skid Row e Motley Crue.

Il singolo America, mette subito in chiaro il concept che sta dietro a questi cinque ragazzi di Novara: suonare rock’n’roll come lo si faceva nella Sunset Strip negli anni ottanta e credeteci, lo fanno pure molto bene.

La band si chiama Mr.Riot ed è in giro a far danni da soli due annetti, la label greca Sleazsy Rider non se li è fatti sfuggire e Same Old Town arriva a noi come primo parto di questa creatura di hard rock a stelle strisce, che guarda al passato, anche se la sua musica giunge a noi come un prodotto fresco e molto ben fatto.
Chiaro che il genere (un hard rock, ricco di spunti sleaze e street) è quello e le influenze sono chiare, richiamando a più riprese i mostri sacri dell’America sex, drugs and rock’n’roll, ma l’album dei nostri suona alla grande, i brani funzionano ed il tutto risulta un concentrato di pura adrenalina riversato sui rockers con qualche lustrino di troppo.
Si viaggia su ritmi altissimi, inframmezzati da piccole gemme in formato ballad, d’altronde la vita da rocker è molto dura, ed ogni tanto bisogna ricaricare le pile, ma questo non inficia l’energia che sprigionano i brani contenuti nell’esordio della band piemontese, che parte alla grande (dopo un’intro recitato da una Riot girl’s) con il riff dell’energica Scream And Shout, sulle tracce dei Van Halen del pluridecorato 1984, prima di rivolgersi in toto ai grandi Twisted Sisters.
Rock’n’roll è la song che Dee Snider potrebbe invidiare alla band, cantata come se non ci fosse un domani dal convincente vocalist Stevie Lee, mentre Mr.Riot si arma di un micidiale hard’n’heavy e spara melodia come un cannone da una nave da guerra.
Illusion è la classica ballad di ordinanza, prima che l’arena rock di America risulti un sontuoso esempio di rock arioso e melodicissimo, puro e sognante brano ottantiano, mentre si torna alla ruvidità street rock ed ai Van Halen con Sexy Photograph.
L’album continua il suo viaggio, tra brani energici e splendide aperture melodiche, mentre la ballad acustica Spread Our Love spezza il ritmo prima di lasciare alla title track la chiusura del disco con un’altra bordata di grintoso e ruvido rock’n’roll.
Detto che i musicisti ci sanno fare, con la coppia d’asce che fa scintille (Mr.LadiesMan e Angeless), Same Old Town è un vero spasso se vi piace il genere e non potete fare a meno di vecchi volponi del rock’n’roll statunitense come, Van Halen, Twisted Sisters, Poison, Skid Row e i sempre presenti (quando si parla di queste sonorità) Motley Crue.

TRACKLIST
01 – Wake up!
02 – Scream and shout
03 – Rock ‘n’ roll
04 – Mr. Riot
05 – Illusion
06 – America
07 – Sexy photograph
08 – Close your eyes
09 – Wild raw
10 – Spread our love
11 – Same old town

LINE-UP
Stevie Lee – Voice, Keytar
Mr.LadiesMan – Guitars
Angeless – Guitar
Tommy Beefy – Bass Guitar
Denny Riot – Drums, Backing Vocals

MR.RIOT – Facebook