The National Orchestra of the United Kingdom of Goats – Huntress

Storie e musica come queste fanno respirare il cuore ed il cervello e lasciano spazio alla fantasia, e qui di fantasia e di voglia di sognare ce n’è moltissima.

Quartetto assolutamente fuori dal comune proveniente dal Sud Tirolo, che propone una musica che ha mille riferimenti e davvero tanto da raccontate.

Nei The National Orchestra of the United Kingdom of Goats non si può scindere l’aspetto musicale da quello visivo ed artistico, questo è il loro terzo album su lunga distanza e continua la narrazione iniziata con il primo ep The Chronicles of Sillyphus e proseguita con gli altri episodi discografici, di cui questo è il terzo lp. Protagonista di questa saga è la misteriosa Kolepta, della quale vediamo dipanarsi le gesta accompagnate dalla musica del gruppo. La proposta musicale viene descritta come symphonic grind pop extravaganza, e potrebbe andare benissimo, ma c’è di più. La costruzione della canzone è sicuramente progressiva, con una forte ossatura pop ed una grande attenzione quasi gotica alla drammatizzazione, che è una delle cose più rimarchevoli di questo gruppo. I nostri suonano dal vivo con costumi e pitture facciali, ognuno ha il suo ruolo nella grande storia che stanno narrando e la musica lascia il segno. Tutto scorre bene, anche se ci sono alcuni passaggi ancora acerbi che, contrastando con altri momenti davvero notevoli del disco, indicano che c’è ancora qualcosa da migliorare. Però questi piccoli difetti non si notano quasi nel quadro d’insieme che è molto originale ed unico, almeno in Italia, dove l’art rock ha avuto grandi episodi ma non una gloriosa storia. Nel libretto del disco c’è anche un fumetto che spiega il concept, disegnato molto bene da Digitkame e scritto da Thomas Torggler; inoltre sul sito della The National Orchestra of the United Kingdom of Goats compaiono ulteriori passi del racconto. Huntress è un disco piacevolmente fuori dal comune, che regala piacere nelle mattinate terse e fredde in cui il mondo appare sotto una luce diversa e forse è davvero qualcosa di diverso da quello che siamo abituati a vivere e vedere. Storie e musica come queste fanno respirare il cuore ed il cervello e lasciano spazio alla fantasia, e qui di fantasia e di voglia di sognare ce n’è moltissima.

Tracklist
1.Beast
2.Scent
3.Thrill
4.Attunement
5.Kill

Line-up
The Admiral
The Coachman
The Seer
The Insane

THE NATIONAL ORCHESTRA OF THE UNITED KINGDOM OF GOATS – Facebook

The Sea Within – The Sea Within

La sensazione che regna al termine dell’ascolto di questo lavoro è che si sia persa l’occasione di dare alle stampe qualcosa di memorabile, derubricando invece il tutto ad un album di qualità sopra la media a livello tecnico, ma non altrettanto dal punto di vista dell’impatto emotivo.

I supergruppi sono da sempre croce e delizia per gli appassionati, perché se è  vero che l’unione di più talenti può fornire frutti prelibati, oltre a convogliare sulla nuova creatura i fans delle band di provenienza degli artisti coinvolti, è anche innegabile che più di una volta la somma dei valori finisce per essere di gran lunga inferiore alle aspettative.

Per i The Sea Within possono rivelarsi valide entrambe le eventualità, a seconda di quale sia il background dell’ascoltatore e il musicista preferito tra quelli che fanno parte del progetto in questione.
Intanto partiamo con il dire che la band è a trazione per lo più svedese, essendo nata dalla fervida ed instancabile mente di Roine Stolt (The Flower Kings, Transatlantic, tra gli altri), il quale ha chiamato a sé un altro gigante della scena come Daniel Gildenlow (Pain Of Salvation) oltre ad un suo fedele sodale come Jonas Reingold al basso, due musicisti statunitensi di sicuro spessore come Tom Brislin (tastierista che ha suonato dal vivo con Yes, Camel e Meat Loaf) e l’altro vocalist Casey McPherson (Flying Colors), ed il tedesco ma ormai americano d’adozione Marco Minneman, batterista del quale non citiamo le innumerevoli e proficue collaborazioni per problemi di spazio …
Con un tale spiegamento di forze, The Sea Within non può che risultare un buonissimo album progressive, più vicino però ai The Flower Kings che non ai Pain Of Salvation, per essere chiari, e questo alla fine può diventare lo spartiacque per quanto riguarda il gradimento del lavoro: l’interpretazione del genere più soffusa, e spesso contigua ad un raffinato pop di Stolt, ha per lo più il sopravvento sull’enfasi e sull’emotività di Gilldenlow, il quale offre la solita prestazione maiuscola nei due brani più belli per distacco dell’album, l’opener Ashes Of Dawn, splendida traccia nella quale i King Crimson paiono unirsi carnalmente con i Pain Of Salvation, e la chiusura del secondo cd intitolata Denise, canzone struggente nella quale il vocalist offre un’interpretazione da brividi.
Il resto del lavoro, che consta appunto di due cd (con il primo che si attesta attorno ai cinquanta minuti ed il secondo pari più o meno alla metà), si snoda in maniera soddisfacente seppure non esaltante, con qualche guizzo di classe piazzato qua là (notevoli anche la vorticosa e jazzata An Eye For An Eye For An Eye, l’intensa Goodbye, una delle tre canzoni interpretate da McPherson, e la composita benché forse un po’ troppo diluita Broken Cord, nella quale la convivenza tra i due cantanti appare piuttosto efficace).
Se aggiungiamo anche la presenza in qualità di ospiti di Jon Anderson e Jordan Rudess (invero entrambi coinvolti in maniera piuttosto marginale) e del bravissimo Rob Townsend (Steve Hackett) con il suo sax, non manca proprio nulla, sulla carta, per rendere questa opera prima dei The Sea Within un qualcosa di irrinunciabile: in realtà, l’assenza che più si nota è quella di almeno altrettante canzoni dall’incisività pari a quelle citate, a favore di una levità ed eleganza che sovente rappresentano pregio e difetto di parte delle produzioni di Roine Stolt, senza che questo sminuisca il suo meritato status di grande musicista (ci mancherebbe altro).
Come detto, deriva forse più dal mio amore per i Pain Of Salvation la sensazione che in questo lavoro si sia persa l’occasione di dare alle stampe qualcosa di memorabile, derubricando invece il tutto ad un album di qualità sopra la media a livello tecnico, ma non altrettanto dal punto di vista dell’impatto emotivo.
The Sea Within comunque farà senz’altro breccia nel cuore dei molti estimatori dei musicisti coinvolti; resta da vedere se il progetto avrà un suo seguito (oltre al programmato tour che vede, però, l’assenza di Gildenlow sostituito in toto da McPherson): se così sarà, allora penso che, aggiustando un po’ il tiro, l’auspicato capolavoro possa vedere davvero la luce.

Tracklist:
Disc ONE:
1 Ashes Of Dawn
2 They Know My Name
3 The Void
4 An Eye For An Eye For An Eye
5 Goodbye
6 Sea Without
7 Broken Cord
8 The Hiding Of Truth

Disc TWO:
The Roaring Silence
Where Are You Going?
Time
Denise

Line-Up:
Marco Minneman: Drums, Percussion, Vocal, Guitar
Jonas Reingold: Bass
Tom Brislin: Keyboards,Vocals
Roine Stolt: Guitars,Vocals, Add. keyboards
Daniel Gildenlow: Vocals & additional guitar
Casey McPherson: Vocals (Broken Cord, The Hiding of Truth, Goodbye)

Guests:
Jon Anderson: Vocals (Broken Cord)
Jordan Rudess: Grand Piano (The Hiding of Truth)
Rob Townsend: Soprano Saxophone (The Ashes of Dawn)

THE SEA WITHIN – Facebook

 

Osada Vida – Variomatic

Variomatic è un lavoro che vuol essere raffinato e a tratti ci riesce, ma risulta discontinuo nel tenere alta l’attenzione dell’ascoltatore.

Le strade del rock progressivo questa volta ci portano verso est e precisamente in Polonia, dove gli Osada Vida, una delle band di genere più popolari da quelle parti, licenziano il loro settimo full length intitolato Variomatic.

Il gruppo dà quindi un seguito al precedente Particles, uscito tre anni fa, senza cambiare nulla della solita formula che li vede approcciarsi ad un progressive rock tra tradizione settantiana ed ispirazioni in linea con i nuovi protagonisti odierni del genere.
Variomatic risulta quindi un quadro musicale vario, nutrito da molti dei colori del rock progressivo e lontano da quelle soluzioni heavy ormai di prassi nel genere.
Tastiere presenti in abbondanza, ritmiche che non alzano mai il tono soft e chitarre che a tratti si sfogano in solos raffinati, smarriscono parzialmente il loro impatto quando la voce, troppo monocorde, prende il sopravvento ed appiattisce l’atmosfera di brani tecnicamente suonati discretamente ma che non trovano mai la chiave emozionale giusta.
Di fatto, Variomatic è un lavoro che vuol essere raffinato e a tratti ci riesce, ma risulta discontinuo nel tenere alta l’attenzione dell’ascoltatore alle prese con brani come l’opener Missing o l’ottima Catastrophic, dalle reminiscenze progressive di estrazione britannica, episodi che consentono di elevare il valore dell’album fino alla sufficienza.
Yes, Steve Wilson e il new prog inglese sono sicuramente i paragoni più calzanti con il sound di Variomatic, un album che difficilmente uscirà dai confini del genere e quindi dai gusti degli amanti del progressive rock.

Tracklist
1.Missing
2.Eager
3.Fire Up
4.The Line
5.The Crossing
6.Melt
7.Catastrophic
8.In Circles
9.Good Night Return
10.Nocturnal

Line-up
Łukasz Lisiak – bass
Janek Mitoraj – guitars
Rafał “r6” Paluszek – keys
Marek Romanowski – drums

OSADA VIDA – Facebook

La Fantasima – Notte

Notte è un disco totalmente strumentale, e questo impasto sonoro sembra quasi doom fatto con un altro codice, con quella cifra stilistica che parla di malinconia ma anche di adorazione delle poche cose belle che ci circondano.

I La Fantasima sono un trio di Roma che vuole rendere omaggio alle atmosfere e ai colori del nostro paese, cercando una poetica musicale molto differente e totalmente personale.

La loro musica è per nostra fortuna e godimento difficilmente classificabile, dal momento che troviamo diversi stili in essa. La struttura è prevalentemente progressive, nel senso che è musica fatta per andare avanti senza ritornelli od inutili abbellimenti, ma è prodotta per creare uno stato d’animo nell’ascoltatore attraverso dilatazioni sonore che fanno sia meditare sia elevare. Notte è un disco totalmente strumentale, e questo impasto sonoro sembra quasi doom fatto con un altro codice, con quella cifra stilistica che parla di malinconia ma anche di adorazione delle poche cose belle che ci circondano. Qualcuno potrebbe anche sentirci dentro qualcosa di post rock, ma i La Fantasima sono un gruppo devoto alla tradizione, anche se sono molto moderni nel porsi in maniera originale. Lo scopo di Notte è di creare una mitopoiesi di questo paese che si chiama Italia e che forse non è mai stata una nazione, ma che ha dei luoghi unici, dove è meglio andare quando in cielo comanda la luna, perché certe cose con una luce differente si vedono assai meglio. Le atmosfere create dal trio romano, qui al secondo disco, sono molto belle e godibili: si gusta a fondo questo disco inforcando le cuffie e pensando solo a quello che stiamo ascoltando. La nuova fatica dei La Fantasima è preziosa, fa parte di quel poco tempo che strappiamo al panopticon che ci circonda, dove possiamo essere noi stessi e rincorrere ancora le lucertole sui muri, o impressionarci per un albero visto di notte. C’è tanta dolcezza in questo disco, ma anche la consapevolezza che siamo stati recisi dal nostro vero io, che possiamo trovare nelle cose e nei rari momenti in cui tutto si allinea e noi con esso, rare apparizioni di sapienza come questo disco che parla direttamente alla nostra anima, come poche altre cose sanno fare.

Tracklist
1.Notte
2.Placida Musa
3.Dea mia
4.Amante Silente
5.Sino Al Mattino

Line-up
Chris: Guitars
Maxbax: Bass
Artifex: Drums

LA FANTASIMA – Facebook

Marillion – All One Tonight (Live At The Royal Albert Hall)

Due ore abbondanti di musica spettacolare, di un’intensità e di uno spessore difficilmente riscontrabili oggi, qualsiasi possa essere il genere preso in considerazione.

Non dovrebbe esserci molto da dire sull’ennesimo album dal vivo dei Marillion, alla luce della fama e della credibilità acquisita dalla band, nonché per l’inconfutabile qualità che ha contraddistinto ogni sua uscita lungo un carriera lunghissima, in studio o sul palco che fosse.

Questa ennesima prova di bravura, il classico prodotto rivolto ai fans più fedeli, non sposta chiaramente di una virgola quello che è lo status di un gruppo che, dopo quasi trent’anni nell’attuale configurazione, è riuscito a rendere l’ingombrante passato rappresentato dall’era Fish un qualcosa di riconducibile ad una band di fatto diversa, nonostante i 4/5 della formazione siano gli stessi, fatta eccezione ovviamente per Steve Hogarth.
Lasciato così, giustamente, al fondatore Steve Rothery e alla sua band il compito di riprodurre le magiche note del passato più remoto, i Marillion odierni possiedono un repertorio talmente vasto che, persino in un concerto di dimensioni così ampie, si vedono costretti ad escludere dalla scaletta brani che in altri frangenti storici sarebbero apparsi imprescindibili.
L’esibizione, tenutasi alla Royal Albert Hall, consta di due parti ben distinte, con la prima dedicata alla riproposizione integrale dell’ottimo F.E.A.R., ultimo album in studio pubblicato nel 2016, mentre nella seconda, che vede anche la presenza sul palco di una mini orchestra, viene offerto un greatest hits che si spinge a ritroso sino a Seasons End (con The Space e Easter), Holidays In Eden (Waiting to Happen) e soprattutto il capolavoro assoluto dei Marillion novantiani intitolato Brave (The Great Escape).
Trovano il giusto spazio anche altri album come Afraid Of Sunlight, con la title track, This Strange Engine (Man of a Thousand Faces), marillion.com (Go!), Marbles (Neverland), oltre alla ripresa della trascinante parte finale di The Leavers, da F.E.A.R., quale conclusivo bis.
Il tutto per due ore abbondanti di musica spettacolare, di un’intensità e di uno spessore difficilmente riscontrabili oggi, qualsiasi possa essere il genere preso in considerazione.
Il solo neo, tanto per voler fare l’incontentabile, è mio avviso quello d’avere escluso dalla scaletta quello che è il mio brano preferito dell’intera epoca hogarthiana, ovvero The Invisible Man, la splendida traccia d’apertura di Marbles, e qui non escludo che tale scelta possa derivare dalla fisiologica difficoltà da parte del sempre bravo Steve nell’interpretare adeguatamente, ancora oggi, una canzone così lunga, drammatica e, conseguentemente, molto stressante dal punto di vista vocale.
Per il resto nulla da aggiungere, se non il fatto che queste due righe di commento derivano dall’ascolto della versione audio, ma consiglio a chi voglia farsi un bel regalo di optare per il dvd che immortala la band sul palco durante questa lunga e del tutto soddisfacente esibizione, in una location peraltro unica e prestigiosa come quella londinese.

Tracklist:
CD 1 – F E A R Live

1. El Dorado – 19:55
2. Living in F E A R – 9:10
3. The Leavers – 20:07
4. White Paper – 7:42
5. The New Kings – 16:48
6. Tomorrow’s New Country – 1:46

CD 2 – All One Tonight, featuring In Praise of Folly & Special Guests

1. The Space – 8:32
2. Afraid of Sunlight – 7:47
3. The Great Escape – 11:11
4. Easter – 7:05
5. Go! – 8:59
6. Man of a Thousand Faces – 9:19
7. Waiting to Happen – 6:43
8. Neverland – 12:29
9. The Leavers: V. One Tonight – 6:24

Line up:
Steve Hogarth – voce, chitarra e tastiera aggiuntive, hammered dulcimer (CD1: traccia 5)
Steve Rothery – chitarra
Pete Trewavas – basso, cori
Mark Kelly – tastiera
Ian Mosley – batteria

Altri musicisti
Michael Hunter – arrangiamento strumenti ad arco, flauti e corno

In Praise of Folly
Nicole Miller – viola
Margaret Hermant – violino
Annemie Osborne – violoncello
Maia Frankowski – violino

Sam Morris – corno francese
Emma Halnan – flauto

MARILLION – Facebook

June 1974 – Nemesi

Nemesi risente talvolta delle difficoltà oggettive nell’assemblare pulsioni e stili differenti dei vari ospiti, per di più da parte di un compositore che si cimenta per la prima volta con sonorità di questo genere, ma una simile operazione alla fine va vista con favore, avvicinandovisi possibilmente con la giusta mentalità.

Se, fino ad oggi, chi ascolta abitualmente metal non ha mai sentito nominare i June 1974 è tutto sommato giustificato, nonostante la marea di lavori pubblicati sotto questo monicker negli ultimi anni.

Il perché è presto spiegato: per la prima volta Federico Romano, il musicista che sta dietro al progetto, ha deciso di approdare in territori a noi più familiari dopo avere esplorato svariate forme musicali; così , con la collaborazione di Tommy Talamanca, che ha registrato il lavoro presso i suoi Nadir Studios, ha chiamato in qualità di ospiti nei diversi brani nomi piuttosto illustri della scena rock e metal, italiana ed internazionale.
Non si può negare, quindi, che alla luce del cast messo assieme da Romano, comprendente, tra gli altri, musicisti come Patrick Mameli , Andy LaRocque, James Murphy, Paul Masdival e lo stesso Talamanca, si finisce per prefigurare un disegno stilistico che alla fine non corrisponde del tutto al vero.
Nemesi è, infatti, un lavoro di stampo progressivo, interamente strumentale e virato più sul rock che sul metal, e non è che questo sia di per sé un male, l’importante è appunto non farsi traviare da idee precostituite; è anche vero, d’altro canto, che a livello di consuntivo i brani che più convincono sono quelli che vedono coinvolti ospiti non di estrazione metal, come Sognando Klimt con Gionata Mirai (Il Teatro Degli Orrori) e Home con Francesco Conte (Klimt 1918), oppure specialisti di altri strumenti che non siano la chitarra, come Nothing Man con Jørgen Munkeby (sassofonista degli Shining norvegesi) e Beloved con Francesco Sosto (tastierista dei The Foreshadowing).
Molto bello è anche Narciso, il brano che vede impegnato John Cordoni dei Necromass, con un chitarrismo morbido e melodico, in antitesi con l’appartenenza dell’ospite alla band più estrema tra quelle rappresentate, ma in generale l’album è comunque molto vario e si lascia ascoltare senza che la mancanza di parti vocali presenti più di tanto il conto.
Quello che non convince del tutto, finendo per inficiare parzialmente la resa finale del lavoro, è però l’elemento percussivo che si rivela il più delle volte troppo invadente, se non addirittura fuori luogo, nell’accompagnare uno sviluppo melodico che avrebbe richiesto un approccio più morbido e meno incalzante.
Detto questo, Nemesi, pur non essendo un’opera imprescindibile, contiene diversi motivi di interesse anche se, guardando le forze messe in campo da Federico Romano, potrebbe sembrare a prima vista soprattutto un’occasione perduta; indubbiamente il lavoro risente delle difficoltà oggettive nell’assemblare pulsioni e stili differenti dei vari ospiti, per di più da parte di un compositore che si cimenta per la prima volta con sonorità di questo genere, ma una simile operazione alla fine va vista con favore, avvicinandovisi possibilmente con la giusta mentalità.

Tracklist:
1.”Sognando Klimt” featuring Gionata Mirai (Il Teatro Degli Orrori)
2.”Inoubliable” featuring Tommy Talamanca (Sadist)
3.”Narciso” featuring John Cordoni (Necromass)
4.”Home” featuring Francesco Conte (Klimt 1918)
5.”Panorama” featuring Andy LaRocque (King Diamond)/Tommy Talamanca(Sadist)
6.”Nothing Man” featuring Jørgen Munkeby (Shining/Ihsahn)
7.”Death Note” featuring Patrick Mameli (Pestilence)
8.”Arcadia” featuring Paul Masvidal (Cynic/Death)
9.”Creed” featuring James Murphy (Obituary/Death/Testament/Cancer/Gorguts)
10.”Beloved” featuring Francesco Sosto (The Foreshadowing)

Line-up:
Federico Romano

JUNE 1974 – Facebook

Haken – L-1VE

Gli Haken sono forse uno dei gruppi che meglio è riuscito a convogliare nella propria proposta tutti gli elementi presenti nel rock progressivo dagli anni settanta ai giorni nostri, creando un inusuale best of di quello che l’amante dei suoni progressivi ha ascoltato in oltre quattro decenni.

E’ arrivato anche per i britannici Haken il momento di suggellare i primi dieci anni di attività con un doppio live DVD/CD.

La band ci abbraccia dall’alto del palco con la propria musica, per due ore di viaggio nel progressive rock metal d’autore, con un sound che pesca a piene mani dalla storia del genere a 360° come da tradizione.
Gli Haken, infatti, sono forse uno dei gruppi che meglio è riuscito a convogliare nella propria proposta tutti gli elementi presenti nel rock progressivo dagli anni settanta ai giorni nostri, creando un inusuale best of di quello che l’amante di quei suoni ha ascoltato in oltre quattro decenni.
L’opera fotografa la band nel tour a seguito dell’uscita del bellissimo Affinity, arrivato proprio nel decimo anno di attività e quindi festeggiato a dovere con una scaletta che pesca da tutte le opere fin qui licenziate, in un apoteosi di suoni e meraviglie progressive suonate il 13 aprile 2017 presso il Melkweg di Amsterdam.
La splendida 1985, i ventidue minuti di Acquamedley la crimsoniana Cockroach King dal capolavoro The Mountain, The Architect, ed il gran finale lasciato alla lunga Visions, sono i momenti più significativi di questo mastodontico live che torna davvero a far risplendere il progressive rock e questa sontuosa band che, partendo da King Crimson e Yes, passa attraverso i gruppi del new prog inglese ed abbraccia i nuovi eroi progressivi come Leprous, Between The Buried An Me e perché no, Opeth.
Gli Haken sono una band eccezionale, magari sottovalutata ma che sa regalare emozioni a getto continuo, quindi lasciatevi catturare dalla loro proposta, iniziando magari proprio da questo bellissimo live che racchiude (nella versione DVD), oltre all’intero concerto al Melkweg, 4 bonus track filmate durante il ProgPower USA 2016, che vede anche la partecipazione di Mike Portnoy, e i video ufficiali tratti dai brani dell’ultimo lavoro; scommetto che cercare i precedenti album in studio diventerà subito dopo la vostra priorità musicale.

Tracklist
L-1VE CD 1
1. affinity.exe/Initiate
2. In Memoriam
3. 1985
4. Red Giant
5. Aquamedley

L-1VE CD 2
6. As Death Embraces
7. Atlas Stone
8. Cockroach King
9. The Architect
10. The Endless Knot
11. Visions

L-1VE DVD 1
1. affinity.exe/Initiate
2. In Memoriam
3. 1985
4. Red Giant
5. Aquamedley
6. As Death Embraces
7. Atlas Stone
8. Cockroach King
9. The Architect
10. The Endless Knot
11. Visions

L-1VE DVD 2
1. Falling Back To Earth – Live At Prog Power 2016
2. Earthrise – Live At Prog Power 2016
3. Pareidolia – Live At Prog Power 2016
4. Crystallised – Live At Prog Power 2016
5. Initiate – official video
6. Earthrise – official video
7. Lapse – official video

Line-up
Ross Jennings – vocals
Richard Henshall – guitars, keyboards, backing vocals
Raymond Hearne – drums, backing vocals, tuba
Charles Griffiths – guitars, backing vocals
Diego Tejeida – keyboards, backing vocals
Conner Green – bass guitar, backing vocals

HAKEN – Facebook

Devin Townsend Project – Ocean Machine – Live at the Ancient Roman Theatre Plovdiv

Devin Townsend si odia o si ama, e sicuramente non ha lasciato indifferente chi ha seguito l’evoluzione della musica rock/metal negli ultimi due decenni e anche più: Ocean Machine – Live at the Ancient Roman Theatre Plovdiv è l’imperdibile giusto tributo al suo talento.

Il genio di Devin Townsend viene celebrato in questo monumentale lavoro che raccoglie, nei formati 3CD/2DVD/Blu-Ray con un documentario (Reflecting The Chaos), 3CD/DVD Digipak, Blu-Ray e in digitale, il concerto tenuto nel teatro romano di Plovdiv in Bulgaria per festeggiare i vent’anni dall’uscita dell’album Ocean Machine, più una serie di brani suonati con la State Opera Orchestra e richiesti dai fans.

Un vero e proprio monumento eretto in omaggio alla musica dell’artista canadese, una colossale opera che può sicuramente essere definita come il suggello definitivo di chi ha fatto dell’imprevedibilità e della ricerca dell’originalità un modo per differenziarsi nel mondo del metal mondiale.
Ovviamente la versione video è sicuramente quella più spettacolare, ma risulta ottima e gustosissima anche quella in cd, dove nei primi due troviamo i brani richiesti dai fans e suonati con l’orchestra e nel terzo la sola band a rendere onore allo storico lavoro.
L’orchestra riempie i brani scelti di gloriosa 23trasformando splendidi esempi del genio del musicista canadese come Truth e Stormbending o la devastante Be Your Command, lasciando che la festa si trasformi in uno spettacolare tributo alle tante vie e strade che la musica di Townsend prende, con una naturalezza che ha del sorprendente tra un capolavoro come Gaia o Deadhead, da Accelerated Evolution.
La monumentale Canada, la folle Bad Evil danno il via la secondo cd, prima che l’orchestra lasci la band alle prese con il clou di questo enorme spettacolo, ed i brani di Ocean Machine tornino a ricordarci di quanta genialità è intrisa la musica di questo musicista e compositore che per molti è un folle, ma che è in realtà uno dei più autentici innovatori della musica moderna, un visionario che ha sempre composto e suonato musica avanti di almeno due decenni rispetto a tutti gli altri.
Devin Townsend si odia o si ama, e sicuramente non ha lasciato indifferente chi ha seguito l’evoluzione della musica rock/metal negli ultimi due decenni e anche più: Ocean Machine – Live at the Ancient Roman Theatre Plovdiv è l’imperdibile giusto tributo al suo talento.

Tracklist
By Request Set with Orchestra
1. Truth
2. Stormbending
3. Om
4. Failure
5. By Your Command
6. Gaia
7. Deadhead
8. Canada
9. Bad Devil
10. Higher
11. A Simple Lullaby
12. Deep Peace

Ocean Machine
1. Seventh Wave
2. Life
3. Night
4. Hide Nowhere
5. Sister
6. 3 A.M.
7. Voices in the Fan
8. Greetings
9. Regulator
10. Funeral
11. Bastard
12. The Death of Music
13. Truth
Line-up
Line-Up: By Request Set

Devin Townsend – Vocals, Guitar, Keys, Programming Ryan
Van Poederooyen – Drums
Dave Young – Guitar, Keys
Brian ‘Beav’ Waddell – Bass
Mike St-Jean – Keyboards, Synths, Programming
+ Orchestra and Choir of State Opera Plovdiv

Ocean Machine:

Devin Townsend – Vocals, Guitar, Keys, Programming
The Project
Ryan Van Poederooyen – Drums
Dave Young – Guitar, Keys
John ‘Squid’ Harder – Bass
Mike St-Jean – Keyboards, Synths, Programming

DEVIN TOWNSEND – Facebook

Wolfen Reloaded – Changing Time

Un album da ascoltare con la massima rilassatezza, così da poter assaporare l’elettricità sprigionata dal nobile metallo progressivo, sposata con il rock dal taglio moderno e valorizzata da splendide linee vocali e raffinate melodie.

A volte ritornano, come scriveva Stephen King su uno dei suoi più famosi romanzi: una frase che calza a pennello per i tedeschi Wolfen Reloaded, tornati sul mercato grazie all’etichetta napoletana Volcano Records, sempre più attiva anche oltre confine.

La band, attiva come Wolfen addirittura da metà anni ottanta, e dal 1996 tornata con il nuovo monicker, licenzia questo ottimo esempio di elegante metal/rock che si muove tra tradizione e modernità, senza rinunciare ad un tocco progressivo che nobilita il sound di Changing Time.
Composto da dieci brani raffinati e mai fuori dai binari di una controllata potenza, l’album vive di emozioni progressive, toccando corde riscontrabili in gruppi che hanno fatto la storia del metal più elegante come i Queensryche ed in parte i King’s X, le fonti di più moderne del gruppo ed in linea con il rock alternativo di fine secolo scorso.
Ne esce un lavoro introspettivo, mai fuori dai binari di un’urgenza rock che non esplode ma lascia che l’anima progressiva la prenda per mano e l’accompagni tre le trame di brani come Promised Land o Frozen, e solo a tratti si liberi dalle briglie che la tiene legata per ruggire con classe (All The Heroes, Cyber Nation).
Changing Time si rivela così un lavoro riuscito, nel quale il metal è al servizio della melodia progressiva ed a suo modo alternativa, ma con il gusto e l’eleganza quale comune denominatore di tutti i brani presenti.
Un album da ascoltare con la massima rilassatezza, così da poter assaporare l’elettricità sprigionata dal nobile metallo progressivo, sposata con il rock dal taglio moderno e valorizzata da splendide linee vocali e raffinate melodie.

Tracklist
1.Amazing
2.Promised Land
3.All the Heroes
4.A Million Faces
5.Frozen
6.Tomorrow Never Comes
7.Judgement Day
8.All Hope Is Lost
9.Cyber Nation
10.New Horizon

Line-up
Christian Freimoser -Vocals
Wolfgang Forstner -Guitars
Thomas Rackl -Bass
Manuel Wimmer -Drums

WOLFEN RELOADED – Facebook

Old Man Wizard – Blame It All On Sorcery

Un’altalena tra le trame progressive e le potenti divagazioni heavy, questo risulta Blame It All On Sorcery senza mai sconfinare nei cliché del progmetal, bensì mantenendo un approccio hard rock ispirato ai nomi storici del progressive di quarant’anni fa.

Nuovo lavoro per il trio progressive heavy rock degli Old Man Wizard, dei quali MetalEyes vi aveva parlato riguardo al singolo apripista per questo album uscito sul finire dello scorso anno.

Attiva da sei anni e con un full length risalente ormai a cinque anni fa ed intitolato Unfavorable, uscito anche in versione strumentale, la band mantiene le promesse continuando imperterrita sulla strada a ritroso verso il progressive rock settantiano, qui rivisto in chiave più heavy, a tratti estrema con il contrasto tra la voce melodica ed il sound smaccatamente metallico e pregno di groove.
Un’altalena tra le trame progressive e le potenti divagazioni heavy, questo risulta Blame It All On Sorcery senza mai sconfinare nei cliché del prog metal, bensì mantenendo un approccio hard rock ispirato ai nomi storici del progressive di quarant’anni fa.
Innocent Hands e The Blind Prince sono i due brani ereditati dal singolo, con le restanti otto canzoni che sono ancora più incentrate su questo contrasto, a suo modo originale, tra i due generi che compongono l’idea di musica del gruppo americano, bravissimo nel partire con sferzate ritmiche al confine con il metal estremo per poi ritornare su lidi progressive di matrice Jethro Tull / Gentle Giant e poi riavvicinarsi al nuovo millennio con momenti di rock americano in Seattle style.
Quando il progressive rock prende il sopravvento, Somehow ci delizia con trame acustiche, mentre The Long-Nosed Wiseman conclude l’album in modo splendido, tra King Crimson e Black Sabbath.
Promesse mantenute dunque, ed album che trova posto tra i lavori di spicco nel panorama del metal/rock con un occhio rivolto al passato.

Tracklist
1.Beginnings and Happenstance
2.Sorcerer
3.The Blind Prince
4.Never Leave
5.Cosmo
6.Somehow
7.Innocent Hands
8.Last Ride of the Ancients
9.The Vision
10.The Long-Nosed Wiseman

Line-up
Andre Beller – Bass Guitar, Vocals
Francis Roberts – Guitar, Vocals, etc.
Kris Calabio – Drums, Vocals

OLD MAN WIZARD – Facebook

Hollowscene – Hollowscene

Gli Hollowscene sono una grande band lombarda di progressive rock. Il loro è un prog di stampo vintage, caldo e analogico, capace di guardare alla grande tradizione – britannica, soprattutto – degli anni Settanta.

Gli Hollowscene sono una grande band lombarda di progressive rock.

Recentemente si sono esibiti al FIM 2018 insieme a Prowlers, Anekdoten e La Fabbrica dell’Assoluto. Il loro è un prog di stampo vintage, caldo ed analogico, capace di guardare alla grande tradizione – inglese, soprattutto – degli anni Settanta. Non stupisce quindi, al riguardo, che questo loro interessantissimo lavoro sia uscito per Black Widow, da sempre attentissima al suono valvolare e primigenio di ciò che è progressive rock. Il disco si apre con la suite in cinque atti Broken Coriolanus: un vero e proprio caleidoscopio di suoni e sensazioni, di creatività ed emozioni, guidate dalla doppia tastiera e dalla doppia chitarra, sorrette da una sezione ritmica inappuntabile, non senza opportune spezie folk dovute al flauto. La suite è multiforme e cangiante, densa di cromatismi sonori e cambi di situazione, nello stesso tempo oscura e melodica, non priva di una tensione quasi drammatica e vagamente teatrale. Molto bella ed azzeccata poi l’idea di inserire, in chiusura dell’album, una cover di The Moon Is Down dei mitici Gentle Giant, con cui gli Hollowscene confermano una volta di più, non solo a livello timbrico, la ascendenza della loro visione musicale. Davvero un bellissimo disco.

Track list
1 Broken Coriolanus
2 The Worm
3 The Moon Is Down

Line up
Andrea Massimo – Guitar, Vocals
Walter Kesten – Guitar, Vocals
Demetra Fogazza – Flute, Vocals
Lino Cicala – Piano, Keyboards
Andrea Zani – Piano, Keyboards
Tony Alemanno – Bass
Matteo Paparazzo – Drums

HOLLOWSCENE – Facebook

Una Stagione all’Inferno – Il mostro di Firenze

Un inquietante viaggio musicale nella storia di un mistero italiano forse mai del tutto risolto, reso in musica attraverso altrettanto inquietanti barocchismi, oscuri e progressivi.

Non poteva che essere la Black Widow di Genova, forte della sua competenza in materia, a distribuire questo disco, vero gioiello di dark prog d’alta scuola.

Il nome scelto dal gruppo – accompagnato da diversi e prestigiosi ospiti, tra i quali Roberto Tiranti e Pier Gonella – rimanda a Rimbaud, mentre il titolo ai drammatici e tragici fatti di cronaca nera che insanguinarono il capoluogo toscano dalla metà circa degli anni ’80. Una Stagione all’Inferno vuole mettere pertanto in musica quegli inquietanti e mai troppo distanti avvenimenti, la cui radice riporta al fondo buio dell’animo umano: un’impresa non facile, ma anche una scommessa vinta sul piano artistico e musicale. Classico e moderno nello stesso tempo, Il Mostro di Firenze – una sorta di concept, la cui tessitura complessiva non consente quasi di separare i singoli momenti che lo vanno a comporre – si rivela un gran bel disco di oscuro rock sinfonico (è forse questa la migliore definizione possibile dell’intero lavoro), quasi un viaggio barocco nelle tenebre condito da eccellenti parti strumentali e malinconiche melodie, in un sapiente alternarsi di situazioni, ora più pompose ed ora più intimiste. Veramente un ottimo lavoro, superbo sotto il profilo sia della scrittura sia dell’esecuzione.

Track list
1. Novilunio
2. La ballata di Firenze
3. Nella notte
4. Lettera anonima
5. Interludio macabro
6. L’enigma dei dannati
7. Serial Killer Rock
8. Il dottore
9. Plenilunio

Line up
Laura Menighetti – Vocals, Keyboards
Fabio Nicolazzo – Vocals, Guitars
Roberto Tiranti – Bass, Chorus
Pier Gonella – Guitars
Marco Biggi – Drums
Paolo Firpo – Sax, Akai Ewi 4000S
Kim Schiffo, Daniele Guerci, Laura Sillitti – Strings

UNA STAGIONE ALL’INFERNO – Facebook

Goad – Landor

Nuovo lavoro da parte dello storico gruppo toscano, interprete di un incantevole hard prog gotico, dalle inflessioni ora più folk ora più doomeggianti. Puro romanticismo dark in musica, malinconico e melodico insieme.

In pista ormai dal lontano 1983, i fiorentini Goad confermano con questo loro nuovo lavoro tutta la propria creatività artistica, forti di un’identità che li vede pressoché unici nel panorama musicale di casa nostra.

La persistenza della tradizione: forse solo così si potrebbe definire la loro musica, erede del prog (King Crimson, Pink Floyd, VDGG), dell’hard rock anni Settanta (Led Zeppelin, Triumph, Rush, primi Uriah Heep) e del dark più occulto (High Tide, Atomic Rooster, Goblin, Devil Doll). In questa nuova opera – la dicitura non è casuale, in quanto Landor è una sorta di mono-traccia d’oltre cinquanta minuti suddivisa in tredici parti (o movimenti, se si vuole) – l’amore dei quattro toscani, a cui si aggiunto in veste di pianista e ingegnere del suono il lucchese Freddy Delirio (tastierista già con i Death SS e solista notevolissimo), per tematiche romantiche e decadenti trova una ulteriore e nuova declinazione, sonora e canora: progressive tastieristico, doom e impasti folk (con la passione per il gotico a fare, ogni volta, da collante) intersecano i loro piani, in quello che è un concept dalla struggente bellezza, letteraria, oltre che musicale. Non a caso, il secondo CD di questo doppio è un omaggio a Edgar Allan Poe, registrato dal vivo, al Parterre di Firenze, nel luglio dell’oramai lontano 1995: un documento davvero storico, quindi, inciso da una formazione della quale è rimasto solo il vocalist, che arricchisce ulteriormente questa pubblicazione. Alchimisti e teatrali interpreti dell’hard prog, non senza una profonda consistenza materica (si veda l’uso della doppia batteria in Landor), i Goad allora come oggi erano e restano da apprezzare senza riserve, coraggiosi e coerenti.

Tracklist
1- Written on the First Leaf of My Album
2- On Music
3- To One Grave
4- Bolero
5- Goodbye, Adieu
6- Life’s Best
7- Where Are Sights
8- Decline of Life
9- An Old Philosopher
10- The Rocks of Life
11- Defiance
12- Brevities
13- Evocation
14- I’ll Celebrate You
15- Fairyland
16- Dream Within a Dream
17- The Sleeper
18- To One in Paradise
19- Dreamland
20- Alone
21- The Haunted Palace
22- The City in the City
23- The End

Line up
Alessandro Bruno – Guitars, Reeds, Violin
Maurilio Rossi – Vocals, Bass, Guitar, Keyboards
Paolo Carniani – Drums
Enrico Ponte – Drums

GOAD – Facebook

Flynotes – Child in the Woods

C’è ben poco da eccepire su un lavoro che scorre piacevolmente ma, per il quale, la natura esclusivamente strumentale diviene il limite che impedisce una più immediata assimilazione nonché una più duratura permanenza della musica dei Flynotes nella nostra memoria.

Sempre dalla grande madre Russia eccoci altre prese con i Flynotes, terzetto alle prese con un progressive strumentale che porta con sé pregi e difetti derivanti dalla rinuncia alle parti vocali.

Diciamo che gli aspetti positivi, almeno in questo caso, superano di gran lunga quelli negativi, in quanto questi ragazzi ci sanno fare e, soprattutto, non abusano delle loro capacità tecniche bensì le veicolano al meglio per esplorare i diversi territori che vanno a comporre il mondo rock e metal.
Il sound si appoggia molto sul lavoro della chitarra solista, alla quale viene affidato il compito di trasportare l’ascoltatore in un piacevole viaggio che vede i suoi momenti migliori allorché è una psichedelia in quota Ozric Tentacles a prendere il sopravvento (Green Rodeo), ma anche quando vengono messe in evidenza pulsioni più metalliche (Marble) le cose non vanno affatto male.
Per il resto c’è ben poco da eccepire su un lavoro che scorre piacevolmente ma, per il quale, la natura esclusivamente strumentale diviene, come detto, il limite che impedisce una più immediata assimilazione nonché una più duratura permanenza della musica dei Flynotes nella nostra memoria.

Tracklist:
1. Dark Floyd
2. Wolf
3. Green Rodeo
4. Witch
5. Flower Machine
6. Marble
7. Harvest Time
8. Child in the Woods

Line up:
Ilya Rytov – Bass
Natalia Bogulyan – Drums
Roman Komarov – Guitars, Keyboards

FLYNOTES – Facebook

Alchem – Viaggio Al Centro Della Terra

Viaggio Al Centro Della Terra è un bellissimo esempio dell’arte dark progressiva della quale nel nostro paese siamo precursori ed indiscussi maestri.

Sicuramente di non facile catalogazione, la musica degli Alchem è un viaggio onirico e raffinato nelle note misteriose del dark rock progressivo, un genere di culto che nel nostro paese ha trovato ammiratori, grandi band nel passato e nel presente ed etichette che ci si sono costruite meritevoli reputazioni, cullando e proponendo artisti di indiscusso spessore.

Gli Alchem sono nati quasi vent’anni fa dal connubio tra il talento del chitarrista Pierpaolo Capuano e quello della splendida interprete Annalisa Belli.
Nel corso degli anni i due musicisti hanno collaborato con vari esponenti della scena progressiva tricolore, e al duo nel frattempo si è unito il bassista Luca Minotti, che completa la line up ufficiale.
Su Viaggio al Centro della Terra troviamo ancora una serie di ospiti come Emilio Antonio Cozza (Emian) al violino, Diego Banchero (Il Segno del Comando) al basso, Manuel de Petris al violino, Paolo Tempesta al basso e alla seconda chitarra, Massimiliano Fiocco (Ragno 89) alla batteria e Alessandra Trinity Bersiani (Glareshift). Il tutto valorizza non poco un’opera affascinante, con i brani che sono flashback, immagini in bianco e nero, progressivi ed elegantemente dark, gotici nella forma più pura, sorprendentemente metallici come Il Canto Delle Sirene, sinuosi come la danza di un serpente nell’opener Behind The Door, o spettacolari nel sound che rimanda ai Goblin più duri della title track.
La Belli a tratti lascia senza fiato: stupenda sirena dark, si avvicina in I Don’t Belong Here alle vette espressive di Kate Bush, mentre la musica viaggia tra liquide parti elettroniche, ritmiche progressive di scuola King Crimson e sfuriate elettriche tra alternative rock e prog metal.
Viaggio Al Centro Della Terra è un bellissimo esempio dell’arte dark progressiva della quale nel nostro paese siamo precursori ed indiscussi maestri: l’opera, di una bellezza a tratti disarmante, vive della raffinata interpretazione della cantante così come del pathos trasmesso dai musicisti che donano emozioni a non finire nel crescendo della superba Pioggia D’Agosto, piccolo capolavoro che conclude questo imperdibile lavoro.

Tracklist
1. Behind the Door
2. Spirit of the Air
3. Il canto delle sirene
4. In My Breath
5. Viaggio al centro della Terra
6. I Don’t Belong Here
7. Butterflies Are Singing
8. Armor of Ice
9. Viaggio al centro della Terra – Fragments of Stars
10. Pioggia d’agosto

Line-up
Annalisa Belli – Vocals, Keys
Pierpaolo Capuano – Guitars, Drums, Flute
Luca Minotti – Bass & Programming

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Dite – The Hollow Connection

Lavoro che sprigiona emozioni ad ogni passaggio, The Hollow Connection ci consegna una band notevole ed un sound maturo ed ispirato, un’altro piccolo gioiello musicale battente bandiera tricolore.

Un rock alternativo che si colora di pastelli progressivi, un quadro musicale quanto mai vario tra impulsi elettrici moderni e cambi umorali in un sound che guarda anche al passato senza perdere un briciolo di quella naturale propensione al rock del nuovo millennio che i Dite esprimono ad ogni nota di The Hollow Connection, il loro primo lavoro sulla lunga distanza.

I Dite sono sono un quartetto di musicisti originari della provincia di Belluno con esperienze in altre band con le quali si sono confrontati con generi diversi come il folk metal, l’alternative rock e il prog metal, ed unite le forze hanno dato vita al gruppo nel 2014 con l’intento di unire le loro esperienze ed ispirazioni in un unico sound.
Il loro primo ep, An Explanation, viene riproposto in nuova veste all’interno di questo nuovo lavoro: The Hollow Connection, registrato ai Nadir Studio di Tommy Talamanca, leader storico dei Sadist, in quel di Genova, risulta un’ora abbondante di rock emozionante, tecnico e fuori per lunghi tratti dai soliti schemi predefiniti che ormai incatenano la musica moderna.
I Dite fin da subito cercano una loro strada, anche se molte delle atmosfere di questo album possono portare alla mente i Tool, magari con toni meno introspettivi e più aperti a soluzioni ed emozioni delicatamente rock.
Ma i parallelismi con band più famose finiscono quando la band con maturità ci confonde piacevolmente, tra parti marcatamente pop, coinvolgenti armonie semiacustiche o elettriche sfumature alternative e post rock.
Cambiano le immagini e i colori con cui i Dite giocano con lo spartito, mettendo a disposizione dell’ascoltatore non solo un bagaglio tecnico di tutto rispetto, ma la bellissima ed emozionante voce di Mattia Fistarol.
L’album ha nelle prime tracce più spinta ed urgenza espressiva (il singolo In Pills, Leap Of Faith) per poi deliziarci con un rock progressivo d’autore e concedere almeno due brani capolavoro: Selling A Friend e God’s Bowl, dove Fistarol duetta con una splendida voce femminile.
In Sharp Eye  un canto estremo sottolinea il ritorno ad un sound più energico, sempre in bilico tra post rock e progressive e, con l’anima bagnata dalla pioggia di Seattle, ci lascia alla conclusiva e strumentale title track.
Lavoro che sprigiona emozioni ad ogni passaggio, The Hollow Connection ci consegna una band notevole ed un sound maturo ed ispirato, un altro piccolo gioiello musicale battente bandiera tricolore.

Tracklist
1.In Pills
2.Leap Of Faith
3.Fill This Page
4.If So
5.Selling A Friend
6.Normal Being
7.God’s Bowl
8.About Chance
9.Scars Of Light
10.Venus
11.Sharp Eyes
12.The Hollow Connection

Line-up
Mattia Fistarol – Vocals, Guitars
Filippo Viel – Guitars
Simone Giovinazzo – Bass
Emil Bortoluzzi – Drums

DITE – Facebook

Armonite – And The Stars Above

Affascinante progetto che troverete sicuramente tra le uscite prog, ma che in realtà di progressive classico ha solo la musicalità totale della propria proposta.

Gli Armonite sono nati per volontà di due musicisti classici residenti a Pavia nel 1996, (Paolo Fosso e Jacopo Bigi): il primo lavoro si intitola Inuit, uscito nel 2000, prima di una lunga pausa ed il ritorno con il secondo lavoro, The Sun Is New Each Day, licenziato nel tre anni fa e che vede la band completarsi con Colin Edwin al basso (Porcupine Tree) e Jasper Barendregt alla batteria.
And The Stars Above è dunque il nuovo lavoro, un’opera interamente strumentale se si esclude l’intervento della splendide voci delle cantanti Diletta Fosso e Maria Chiara Montagnari, a rendere elegante e raffinata l’atmosfera di brani come l’opener The March Of The Stars, Ghosts o Clouds Collide.
Dotati ovviamente di una tecnica strumentale di altissimo livello, gli Armonite danno vita a questo viaggio nella musica classica supportata dalla una sezione ritmica rock, con violino elettrico e tastiere protagonisti indiscussi dello spartito, anche se i cambi di tempo ritmici non mancano nei brani più spinti (Blue Curaçao, What’s The Rush?).
Ne esce un lavoro piacevole, sicuramente originale nel suo andamento, che evita confronti con altre realtà per cercare una sua strada, trovando probabilmente più estimatori nel mondo della musica progressiva, abituati alle digressioni classiche delle band storiche del progressive rock (E.L.P.).
And The Stars Above conferma il talento e la bontà della proposta dei musicisti e compositori nostrani: un’opera a suo modo interessante che coniuga ancora una volta musica classica e rock, due mondi molto più vicini di quanto si possa pensare.

Tracklist
1.The March Of The Stars
2.Next Ride
3.District Red
4.Plaza De España
5.Clouds Collide
6.Blue Curaçao
7.By Heart
8.Freaks
9.By The Waters Of Babylon
10.The Usual Drink
11.What’s The Rush?
12.Ghosts

Bonus Track
13.A Playful Day (for Strings Quartet)
14.The Fire Dancer (for Piano Solo)

Line-up
Paolo Fosso – Piano, Keyboards
Jacopo Bigi – Violin

Alberto Fiorani,Colin Edwin, Giacomo Lampugnani, Gianmarco Straniero – Bass
Corrado Bertonazzi, Emiliano Cava,Jasper Barendregt – Drums
Diletta Fosso, Maria Chiara Montagnari – Vocals

ARMONITE – Facebook

Wandering Vagrant – Get Lost

Gli Wandering Vagrant regalano tre quarti d’ora circa di musica davvero ricca di spunti destinati ad imprimersi nella memoria.

Gli Wandering Vagrant sono una band nata per volere del musicista umbro Alessandro Rizzuto, il cui intento dichiarato è quello di offrire agli ascoltatori una forma di progressive coinvolgente e sfrondato da tecnicismi.

Con questo album d’esordio intitolato Get Lost l’obiettivo sembrerebbe ampiamente raggiunto perché, pur non rinunciando alle caratteristiche tipiche di un sound che per sua natura è instabile e cangiante, gli Wandering Vagrant regalano tre quarti d’ora circa di musica davvero ricca di spunti destinati ad imprimersi nella memoria.
Intanto appare riuscito il connubio tra la voce maschile di Rizzuto e quella femminile fornita dalla tastierista Francesca Trampolini, le quali si completano naturalmente in diversi frangenti, mentre il lavoro strumentale è altrettanto efficace e ben focalizzato alla resa della forma canzone, anche nei momenti in cui la band lascia sfogare comunque le proprie capacità tecniche; è emblematico, in tal senso, un brano come l’opener Human Being As Me, nel quale la ruvidità e la ritmica incisiva del prog metal va di pari passo con brillanti intuizioni melodiche, andando ad anticipare temi e strutture che si ripeteranno con puntualità pari alla freschezza nel corso dell’intero lavoro.
Il successivo lungo brano, The Hourglass, alza ancor di più il tiro, mettendo sul piatto tutto il background musicale del leader, il cui frutto è un’esibizione di progressive dall’animo antico ma rivestito di modernità nella misura necessaria per non snaturarne l’identità: se ci deve essere un’influenza più evidente di altre, personalmente vi ritrovo quella dei migliori Porcupine Tree, ovvero, per quanto mi riguarda, quelli più vigorosi e meno stucchevoli di In Absentia, ma tale accenno non deve rivelarsi fuorviante perché, come detto, Get Lost possiede una sua identità, per quanto sia possibile esprimerla in un genere che tra miriadi di rivoli e variazioni sul tema entra nelle nostre case da oltre mezzo secolo.
Così il prog metal di matrice statunitense di Struggle non stona affatto a fianco della delicatezza acustica di Forgotten o del caleidoscopico ed inquieto incedere delle due parti della title track, per finire con il notevole crescendo screziato di elettronica del conclusivo strumentale Home.
Get Lost è una delle sempre più frequenti e gradite sorprese che ci riserva il panorama rock/metal undeground italiano e l’augurio agli Wandering Vagrant è quello di poter raccogliere consensi ed attenzioni che, alla luce del valore di questo loro esordio, appaiono quanti mai meritati.

Tracklist:
1.Human Being As Me
2.The Hourglass
3.Struggle
4.Forgotten
5.Get Lost, Pt. 1 (Fade Away)
6.Get Lost, Pt. 2 (The Hunger)
7.Home

Line up:
Alessandro Rizzuto – Vocals, Guitars
Christian Bastianoni – Guitars, Backing vocals
Francesca Trampolini – Keyboards, Backing vocals
Michele Carlini – Basso
Marco Severi – Batteria

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Red Morris – Time

Lavoro difficile da rinchiudere tra le pareti di un solo genere e per questo affascinante e ricco di sorprese, Time conferma la bontà del progetto Red Morris che ci regala un altro piccolo gioiello musicale.

Se cercate qualcosa in più del solito album di genere e vi piacciono le sfide, arriva il secondo album del chitarrista e compositore bresciano Maurizio Parisi, alias Red Morris, accompagnato da una manciata di ottimi musicisti tra cui suo figlio Alberto al basso, Beppe Premi alle tastiere, Mirco Parisi alla tromba, Marco Carli alla batteria e Marcello Spera alla voce.

Time segue di tre anni Lady Rose, primo lavoro interamente strumentale che fece parlare non poco di Red Morris e del suo progetto gli addetti ai lavori, i quali saranno sicuramente ancora più entusiasti quando premeranno il tasto play e si immergeranno all’ascolto di quest’opera che, se vede la novità del cantato (il primo album era interamente strumentale), conferma l’alta qualità della musica proposta dal chitarrista nostrano.
Time è un condensato di musica che supera barriere fino ad oggi invalicabili, accomunando nello stesso spartito mondi musicali lontani nel tempo; progressive, hard rock settantiano, arena rock e metal del decennio successivo, il tutto viene  splendidamente tenuto legato dalla chitarra di Parisi, concettualmente shred, ma perfettamente inserita nel sound che accompagna i vari brani, uno diverso dall’altro.
Varietà è la parola d’ordine e i Red Morris riescono nell’impresa di risultare una fonte inesauribile di idee, mantenendo un filo conduttore che attraversa l’album, dalle prime note di San Sebastian passando per le splendide New York, Blessed Imelda e la spettacolare Opera, un geniale incrocio tra ritmiche soul, tromba che segue un filo di notturno jazz ed epiche atmosfere orchestrali.
L’apporto di tromba e tastiere aiutano non poco l’album nel suo apparire uno scrigno di ispirazioni, spettacolari ed efficaci le seconde che passano dal classico tocco alla Deep Purple a quello più pomposo dell’hard & heavy radiofonico degli anni ottanta.
Lavoro difficile da rinchiudere tra le pareti di un solo genere e per questo affascinante e ricco di sorprese, Time conferma la bontà del progetto Red Morris che ci regala un altro piccolo gioiello musicale.

Tracklist
1. San Sebastian
2. My Father
3. Transylvania
4. New York
5. Time
6. Money Kills
7. Blessed Imelda
8. Opera

Line-up
Red Morris – chitarra
Alberto Parisi – basso
Marco Carli – batteria
Beppe Premi – tastiera
Mirco Parisi – tromba
Marcello Spera – voce

RED MORRIS – Facebook

Spock’s Beard – Noise Floor

Noise Floor è un album che non delude le attese di chi ricerca un progressive d’autore di qualità garantita, e pazienza se l’ispirazione non è esattamente quella di un tempo perché, come si suol dire, “chi si accontenta gode” …

Se una ventina d’anni fa gli Spock’s Beard erano tra gli esponenti emergenti di maggior spicco del new prog di marca statunitense, oggi ci avviciniamo al loro ultimo lavoro con la deferenza ma anche con il disincanto di chi si trova al cospetto di una band storica che nulla deve più dimostrare.

Nel bene e nel male, questo è l’approccio naturale ad un disco come Noise Floor, al quale non si chiede certo di entrare nel novero delle opere imprescindibili del 2018, bensì di consolidare lo status di suoi autori ed offrire musica di qualità inattaccabile ai sempre numerosi estimatori del genere.
Per chi approdasse a queste righe da un diverso pianeta musicale è bene ribadire che, come per molte altre band in ambito prog (e non solo), c’è stato un momento per gli Spock’s Beard che ha rappresentato il classico spartiacque, corrispondente in questo caso alla fuoriuscita del fondatore e principale compositore Neal Morse; appare quindi naturale scindere la disocgrafia fino a Snow da tutto ciò che ne è venuto in seguito.
Il ricorso ad una soluzione interna, promuovendo al ruolo di vocalist il batterista Nick D’Virgilio ci ricorda senz’altro ciò che avvenne con i Genesis, quando Gabriel lasciò la band e venne rimpiazzato da Collins (tra l’altro anche il quel caso dopo aver pubblicato un doppio album di grande successo). La differenza sostanziale sta nel fatto che Neal Morse, come detto, si faceva carico di gran parte dell’aspetto compositivo, per cui ciò ha comportato anche un cambio di registro, che ha dato vita subito dopo ad album dalla struttura leggermente più robusta ma privi sostanzialmente di quelle intuizioni melodiche che ne caratterizzavano la precedente produzione.
Nel nuovo decennio la band statunitense ha visto un nuovo cambio dietro al microfono, con la sostituzione del defezionario D’Virgilio da parte di Ted Leonard, vocalist dei magnifici Enchant e dalla timbrica ancor più differente da quella del fondatore; Noise Floor ci riporta piacevolmente ad atmosfere più datate, offrendo una serie di brani invero molto belli, con menzione per quelli che rinverdiscono i fasti del passato come Have We All Gone Crazy Yet su tutti, senza tralasciare un singolo efficace e di immediata presa come l’opener To Breathe Another Day o l’evocativa Beginnings, degna chiusura di un lavoro certo non trascurabile.
Il ritorno di D’Virgilio alla batteria conferisce una marcia in più ad un tessuto sonoro dalla qualità esecutiva ovviamente ineccepibile, grazie alla maestria di musicisti formidabili come i vari Alan Morse, Dave Meros e Ryo Okumoto (il cui funambolico contributo si può apprezzare in Armageddon Nervous, una delle quattro tracce facenti parte del bonus Ep Cutting Room Floor, inserito in coda all’album).
Anche se, naturalmente, la voce di Leonard porta ad un’“enchantizzazione” dell’insieme, Noise Floor è un album che non delude le attese di chi ricerca un progressive d’autore di qualità garantita, e pazienza se l’ispirazione non è esattamente quella di un tempo perché, come si suol dire, “chi si accontenta gode” …

Tracklist:
Noise Floor
1 To Breathe Another Day
2 What Becomes Of Me
3 Somebody’s Home
4 Have We All Gone Crazy Yet
5 So This Is Life
6 One So Wise
7 Box Of Spiders
8 Beginnings

Cutting Room Floor EP
1 Days We’ll Remember
2 Bulletproof
3 Vault
4 Armageddon Nervous

Line up:
Alan Morse – Guitar, Vocals
Dave Meros – Bass Guitar, Vocals
Ryo Okumoto – Keyboards
Nick D’Virgilio – Drums, Vocals
Ted Leonard – Vocals, Guitar

SPOCK’S BEARD – Facebook