Tuna De Tierra – Tuna De Tierra

Le canzoni si protraggono mediamente molto di più rispetto alle durate tradizionali, ma qui il tempo è un concetto davvero relativo e superfluo, bisogna immergersi in queste musiche desertiche senza fretta o cognizione dell’esterno.

Dalla sempre musicalmente fertile Napoli arrivano i Tuna De Tierra con il loro stoner rock desertico, piacevole e psichedelico.

Il loro suono è un’ambientazione sonora di un tramonto nel deserto, o l’esatta descrizione di un viaggio lisergico, con molti riferimenti ai maestri del genere quali sono i Kyuss, i quali hanno asfaltato le strade desertiche per poterle farle percorrere ad altri. Tutto il resto è però opera dei Tuna De Tierra, che hanno un tocco di classe superiore nella loro musica, un gusto quasi bizantino per la perfetta unione tra accordi di chitarra e sezione ritmica, con una voce ipnotica che parla al nostro subconscio. Musica pesante eppure molto eterea e dolce, un ritorno a qualcosa di atavico che vive dentro di noi e che quotidianamente seppelliamo sotto tonnellate di merda. I Tuna De Tierra fanno fondamentalmente musica da meditazione, ci si perde in questo suono pieno di vita e di segreti da scoprire. Il gruppo nasce dalla lunga amicizia fra Alessio De Cicco, alle chitarre e voce, e Luciano Marra al basso, agli albori con Jonathan Maurano alla batteria, poi sostituito da Marco Mancaniello. Il loro esordio discografico è stato l’ep del 2015 EPisode I: Pilot, che già aveva in nuce molto di ciò che possiamo ascoltare qui. Da quell’ep i Tuna De Tierra sono cresciuti dando un maggiore respiro alle loro composizioni, ampliando maggiormente il loro spettro compositivo, trovando sempre soluzioni diverse per i loro suoni. Le canzoni si protraggono mediamente molto di più rispetto alle durate tradizionali, ma qui il tempo è un concetto davvero relativo e superfluo, bisogna immergersi in queste musiche desertiche senza fretta o cognizione dell’esterno. Questa è musica fatta per il piacere di esplorare, e per il piacere del musicista e dell’ascoltatore. Il deserto c’è anche a Napoli, ed è un gran bel deserto.

Tracklist
1.Slow Burn
2.Morning Demon
3.Out of Time
4.Long Sabbath’s Day
5.Raise of the Lights
6.Mountain
7.Laguna

Line-up
Alessio De Cicco – guitar and vocals
Luciano Mirra – bass
Marco Mancaniello – drums

TUNA DE TIERRA – Facebook

MaidaVale – Tales Of The Wicked West

Le quattro sacerdotesse di Fårösund, senza cercare di stupire a tutti i costi, svolgono il compito prefissato nel migliore dei modi, ed il loro album ne esce alla grande, vintage fino al midollo, suggestivo e pregno di atmosfere stregate dal blues e dalla psichedelia-

Ora che i suoni vintage, nel metal e nell’hard rock, sono la nuova via per piacere agli ascoltatori, i gruppi dediti a queste sonorità spuntano come i funghi, un male se pensiamo ad un ennesima inflazione del mercato, un bene per i fans dei suoni nati nella seconda metà del secolo scorso.

Nell’ underground non mancano nuove realtà che arrivano all’esordio prendendo come esempio le nuove new sensation dell’hard rock dai rimandi blues e psichedelici come i Blues Pills.
Dalla Svezia (e non è un caso, visto la tradizione per i suoni settantiani nel paese scandinavo) arrivano dunque le MaidaVale, gruppo tutto al femminile che tramite la Sign Records esordisce con Tales Of The Wicked West, bellissimo esempio di hard rock psichedelico e blues, ipnotico come una danza sotto la luna splendente sui boschi delle foreste nordiche.
Le quattro sacerdotesse di Fårösund, senza cercare di stupire a tutti i costi, svolgono il compito prefissato nel migliore dei modi, ed il loro album ne esce alla grande, vintage fino al midollo, suggestivo e pregno di atmosfere stregate dal blues e dalla psichedelia, con quel tocco sabbathiano che avvicina il sound agli hard rockers dai gusti vintage.
Blues e psichedelia sono un binomio più pericoloso di quello che si possa pensare, esaltato dalla voce di Matilda Roth in (If You Want The Smoke) Be The Fire o Restless Wanderer, con una Find What You Love And Let It Kill You che trasforma il verde della natura svedese nel color sabbia del deserto americano, in un trip che la voce femminile accentua facendo sognare dentro ad un caleidoscopio di musica rock sopra le righe.
Finirà questo fiume in piena che porta a valle tanta musica vintage e come sempre rimarranno solo i migliori, e le MaidaVale sono candidate a restare, non perdetevele.

TRACKLIST
01. (If You Want the Smoke) Be The Fire
02. Colour Blind
03. The Greatest Story Ever Told
04. Truth/Lies 05. Dirty War
06. Restless Wanderer
07. Standby Swing
08. Wish I’d Been Born At Sea
09. Find What You Love And Let It Kill You

LINE-UP
Johanna Hansson – Drums
Matilda Roth – Vocals
Linn Johannesson – Bass
Sofia Ström – Guitar

MAIDAVALE – Facebook

From Oceans To Autumn – Ether​/​Return To Earth

Il campo base del viaggio è il post rock, ovvero una musica ariosa e sognante, ma poi si arriva ad esplorare territori come i migliori Rosetta, e ci si spinge a regalare momenti molto simili alle atmosfere pinkfloydiane.

La musica può essere un mezzo per raggiungere svariati scopi, e la stessa canzone è altamente soggettiva se ascoltata da due persone differenti.

A volte però la musica è soltanto un velo di maya che nasconde altre cose, ed in questo caso tantissimi altri mondi e multiversi. From Oceans To Autumn è un creatore di mondi, una tensione continua verso l’infinito usando la musica come un vettore spaziale per portarci lontano. Già nel precedente A Perfect Dawn ci eravamo stupiti di fronte ad un disegno musicale davvero superiore e completamente diverso dai nostri parametri abituali. Qui è tutto ancora più maestoso ed etereo. Brandon Helms diventa un David Lynch musicale e disegna scena per scena un doppio disco incredibile e bellissimo. Il campo base del viaggio è il post rock, ovvero una musica ariosa e sognante, ma poi si arriva ad esplorare territori come i migliori Rosetta, e ci si spinge a regalare momenti molto simili alle atmosfere pinkfloydiane. I due cd sono un viaggio verso lo sconosciuto, verso galassie di suoni e rumori, atmosfere rarefatte e poi fughe verso il centro della stanza, e il momento dopo si apre la finestra e si vola. Le differenze fra i due dischi sono abbastanza sostanziali, nel senso che il primo cd offre un taglio maggiormente post rock, mentre il secondo è allo stesso tempo maggiormente ambient ma anche più chiuso e meno arioso, più inquieto. Impossibile stabilire quale dei due sia meglio, anche perché sono quasi due dischi diversi anche se c’è un filo che li lega, e che è quello di essere stati composti da un genio che risponde al nome di Brandon Helms, un compositore classico nato fortunatamente nei nostri tempi. Questa potrebbe benissimo essere infatti musica classica, per consistenza, forza e potenza, ma anche per la delicatezza e la negazione di barriere musicali. Molto coraggiosa anche la scelta di produrre due cd che devono essere ascoltati a fondo il più possibile, in un momento in cui la fruizione della musica è quella dello streaming, un rubinetto velocissimo dove tutto scorre ascoltato in superficie, mentre questo è un nettare divino che va degustato. Meraviglie.

TRACKLIST
disc 1 “ether”:
1. quintessence/core
2. medium
3. air/elysium
4. stratus/vapor

disc 2 “return to earth”:
1. arrival
2. live again
3. visible light II
4. keep awatchful eye
5. Isle
6. 211 south
7. Reconnect
8. through the ages

FROM OCEANS TO AUTUMN – Facebook

L’Ira Del Baccano – Paradox Hourglass

La psichedelia pesante raggiunge qui uno dei suoi apici, arrivando a toccare vette molto alte, sempre imprevedibile e con l’avvertenza che questo è solo uno delle possibili versioni de L’Ira Del Baccano.

Torna uno dei migliori gruppi di improvvisazione psichedelica pesante. Il viaggio de L’Ira Del Baccano continua potentissimo senza scendere mai, come una psichedelia di soglia inconscia.

I suoni questa volta sono maggiormente melodici, mentre lo schema di composizione rimane invariato, ovvero non c’è, essendo un flusso di coscienza musicale che diventa una magnifica e lunga jam, passibile di mutazioni ad ogni atto de L’Ira del Baccano. Il disco è quindi la fotografia del momento, uno splendido bassorilievo magico che può variare, increspandosi come le onde di un mare capriccioso, o seguendo il disegno di muse capricciose, ma è sempre una musica magnifica. Paradox Hourglass è una nuova terra inesplorata in un mappamondo bellissimo come quello della musica di questo gruppo, che lascia sempre un bellissimo gusto nel padiglione auricolare dell’ascoltatore. La psichedelia pesante raggiunge qui uno dei suoi apici, arrivando a toccare vette molto alte, sempre imprevedibile e con l’avvertenza che questo è solo una delle possibili versioni de L’Ira Del Baccano, perché ve ne possono essere altre in molti multiversi.

TRACKLIST
1. PARADOX HOURGLASS – Part 1(L’Ira Del Baccano)
2. PARADOX HOURGLASS – Part 2 (No Razor for Occam)
3. ABILENE
4. THE BLIND PHOENIX RISES

LINE-UP
Alessandro “Drughito” Santori – guitar/direction and architecture of Baccano
Roberto Malerba – guitar/synth
Sandro “fred” Salvi – drums
Ivan Contini Bacchisio – bass

L’IRA DEL BACCANO – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Dead Man’s Blues Fucker – Phase II

Un sound grezzo, una produzione volutamente sporca come un carburatore insabbiato ed un’attitudine stoner/psichedelica pervadono dieci brani bellissimi.

E’ tempo di lasciare i facili sentieri di una vita casa – lavoro – famiglia, e rispolverare il vecchio giubbotto di pelle e la bandana di ordinanza, buttare in una scarpata lo scooter e lucidare la vecchia moto, perché quello che promette questo album non vorrete solo sognarlo tramite la musica, ma viverlo ancora una volta sulla vostra pelle troppo profumata per essere quella di un vecchio rockers.

E Phase II, primo lavoro dei Dead Man’s Blues Fucker, è l’album giusto per ritrovare il vecchio spirito, soffocato da una pila di scartoffie che vi aspettano in ufficio tutte le mattine.
Se poi non avete mai smesso di vivere la vostra vita come un’avventura sperduti nella frontiera, allora la nuova band del polistrumentista Diego Potron è quanto di meglio possiate ascoltare tra la polvere del deserto in questa prima metà dell’anno.
Dieci anni di solo project, prima di unire le forze con il batterista Christian Amen Amendolara, in questa nuova realtà che lascia senza fiato per intensità ed impatto, un muro sonoro, stonerizzato, psichedelico e spettacolarmente southern.
Dimenticatevi dunque i facili viaggetti coast to coast, qui si cerca l’estremo in una lunga jam stonata, tra il bruciore dell’asfalto, il caldo delle marmitte sollecitate dal motore a pieni giri, persi in un deserto sconfinato dove i miraggi sono tenuti lontani dagli incubi.
Un sound grezzo, una produzione volutamente sporca come un carburatore insabbiato ed un’attitudine stoner/psichedelica pervadono dieci brani bellissimi, in un’atmosfera opprimente come la testa che scoppia tra il caldo e i postumi di una sbornia nel locale della frontiera americana, che esce prepotentemente diabolica dal blues violento di The Power Of Your Love, dallo stoner/southern di Birthday Cake, o dalla più rilassata The Cornfields Queen Brotherhood.
Un album affascinante, ricco di sfumature, vario e dannatamente coinvolgente, pur rimando fortemente ancorato all’underground, in una parola … bellissimo.

TRACKLIST
01. Blind Sister’s Home
02. The Power Of Your Love
03. Black Woman
04. Birthday Cake
05. The Cornfields Queen Brotherhood
06. One Kind Favor
07. Bad Awakening
08. Crow Jane
09. Song For Mr. Occhio
10. The Place For You

LINE-UP
Diego DeadMan Potron – guitar, bass, organ,vocals
Christian Amen Amendolara – drums

DEAD MAN’S BLUES FUCKERS – Facebook

Olneya – Olneya ep

Un rituale completamente strumentale, psichedelico e stonerizzato.

Chiudete gli occhi ed immaginate la nostra costa adriatica completamente spoglia delle catene di alberghi, parchi di divertimento e cittadine affollate dal turismo estivo, quello del divertimento a tutti i costi, delle facili conquiste e delle balere che hanno fatto illudere di vivere una vita diversa ad una moltitudine di generazioni.

Una distesa sabbiosa che dalle coste venete scende fino alla Puglia, sabbia e mare, un deserto caldissimo dove l’ombra è un tesoro ed il sale ha già riempito la nostra bocca, dopo pochi chilometri in riserva di ossigeno e acqua dolce.
Un trip, un incubo che vi si ripresenterà ogni qualvolta vi metterete in ascolto di questo rituale completamente strumentale, psichedelico e stonerizzato, l’ep omonimo degli Olneya, trio nostrano composto da Maurizio Morea alla Chitarra, PJ alle pelli e Enry Cava al basso.
I piedi bruciano sopra la sabbia arsa dal sole desertico, mentre Mantra e Zerouno ci accompagnano nei primi passi di questo che sarà un viaggio relativamente corto, ma totalmente destabilizzante.
Il basso pulsa e ci dà il ritmo da tenere per non perdere terreno, mentre la sei corde ci tortura, a tratti psichedelica e settantiana, in altri momenti più vicina alle sonorità americane del caldissimo decennio che accompagnò la fine del millennio, tra l’assolato stoner rock della Sky Valley ed il piovoso grunge di Seattle.
Siamo già a Zerotre, liquida, avvolgente e pericolosa come le spire di un serpente mostruoso creato dalla nostra mente in balia del caldo opprimente e degli effetti collaterali causati dall’abuso di questo ep e altro, mentre la musica sfuma, l’incubo sparisce e la spiaggia torna ad animarsi di uomini, donne e bambini, incuranti di noi e del nostro delirio.

TRACKLIST
1.Mantra
2.Zerouno
3.Zerodue
4.Road to Aokigahara
5.Zerotre

LINE-UP
Maurizio Morea – Guitars
Pj – Drums
Enry Cava – Bass

OLNEYA – Facebook

No Good Advice – From The Outer Space

From The Outer Space è un piacevolissimo e molto ben scritto disco di musica pesante che sicuramente farà la gioia di molti, testimoniando l’assoluta bontà della scena italiana.

I No Good Advice sono attivi a Torino dal 2012 e, dopo alcuni cambi di formazione, si sono ora assestati e hanno prodotto il loro primo disco su lunga distanza, dopo l’ep del 2015 Prehistoric Overdrive.

Se dovessi dirvi, come un venditore di qualcosa, in cosa differiscono i No Good Advice dagli altri gruppi, rimarcherei il grande equilibrio che hanno tra melodia e potenza, tra la forte armoniosità della voce e l’impero del resto del gruppo. Questo non è solo stoner o qual dir si voglia, ma è un rock and roll potente ed altro, che colpisce per ricchezza, struttura e lussuria. I No Good Advice fanno dischi concept, questo parla dello spazio ed è accompagnato da uno splendido libretto del cd di 24 pagine, praticamente un fumetto, che è parte essenziale del progetto. Il loro suono pieno riesce a soddisfare totalmente l’ascoltatore in cerca di musica, potente ma bilanciata melodicamente, con frequenti accenni al meglio della scena pesante anni settanta. Dischi come questi sono possibili poiché teenagers di tanti anni fa ribassarono le chitarre, fecero lunghe jams nelle quali il trip non era solo fiori e amore. From The Outer Space è un piacevolissimo e molto ben scritto disco di musica pesante che sicuramente farà la gioia di molti, testimoniando l’assoluta bontà della scena italiana. In certe aperture melodiche, specialmente in Stoned Jesus, oltre ai riferimenti più classici, sembra davvero di poter sentire qualcosa dei Ritmo Tribale, e per estensione maggiore di un certo rock italiano che per fortuna non muore mai, ma si ripropone in altre forme e battaglie.

TRACKLIST
1 The Great Dawn
2 Space Surfers
3 Black Monolith
4 Napalm
5 Suicide Inside
6 Stoned Jesus
7 Super Looper Groover
8 Astronaut Superstar
9 Mother of the Void
10 Tears of the Universe
11 Into Your Grave
12 Between the Earth and Space

LINE-UP
Livio Cadeddu : Guitars, Voice
Lorenzo Moffa : Guitars
Marco Nalesso : Bass
Giacomo Passarelli : Drums

NO GOOD ADVICE – Facebook

Furious Georgie – Sono Mama!

Si respira a pieni polmoni rock ispirato alla cultura hippy ed agli anni sessanta, con una mistica calata nel mondo Zen al quale il titolo riporta, mentre Trombino magistralmente regala musica da interpretare ognuno secondo la propria sensibilità.

Archiviato il bellissimo album dei deathsters Haemophagus pensavo che per questo 2017 non avrei più incontrato note musicali in arrivo dalla scena palermitana, ma non avevo fatto i conti con Giorgio Trombino, straordinario polistrumentista e compositore, qui nei panni di Furious Georgie, progetto solista di folk psichedelico, rock acustico e beatlesiano ed ennesima sorpresa che questo fantastico musicista riserva ad ogni passo.

Le giornate per Trombino hanno una durata superiore al normale, altrimenti come potrebbe avere il tempo per scrivere suonare e creare così tanta ottima musica?
Ma lasciando da parte complicate spiegazioni sul lavoro del musicista, presentiamo questa nuova veste, almeno per gli amanti dell’hard stoner rock (Sergeant Hamster, Elevators to the Grateful Sky), del funky/jazz ( The Smuggler Brothers) e del metal estremo (Haemophagus, Cavernicular) chiamata Furious Georgie.
Con Sono Mama! (che, in giapponese, significa “proprio così”), il secondo lavoro licenziato con questo monicker, il musicista siciliano dimostra, oltre ad una creatività musicale impressionante per qualità e varietà di stili, di saperci fare con qualsiasi strumento, suonando tutto quanto possa produrre note, magiche, intense, emozionanti.
Ora, non tutti quelli che leggono i miei deliri su MetalEyes sanno della passione che da sempre mi porto per i Beatles, così che da fan e tuttologo dei Fab Four mi viene sicuramente più facile parlarvi di opere come SGT Pepper’s… e Magical Mistery Tour per introdurvi alla musica di Sono Mama!, il tutto ovviamente riveduto e corretto da Furious Georgie, maestro nel saper confondere le idee, ora con accenni al jazz, ora con rintocchi di note progressive ed una solare predisposizione per il rock americano, dalle spiagge della California al deserto della Sky Valley.
Si respira a pieni polmoni rock ispirato alla cultura hippy ed agli anni sessanta, con una mistica calata nel mondo Zen al quale il titolo riporta, mentre Trombino magistralmente regala musica da interpretare ognuno secondo la propria sensibilità: magari ci avvicineremo allo spirito del musicista, magari saremo lontani da tutto ciò, rimane il fatto che come tutte le forme d’arte la musica regala sensazioni diverse ad ognuno di noi, libera di entrare nella nostra mente e nel nostro corpo per donarci emozioni e brividi.
E con Jubilee, Down To The Belice Valley (un passo nel country rock), Love You All The Time e gli altri brani che compongono questo bellissimo lavoro, Giorgio Trombino ci è riuscito ancora una volta.

Tracklist:
1. Jubilee
2. Strange Neighbour
3. Down to the Belice Valley
4. Let Me Sit You Down
5. Love You All the Time
6. Lascio spazio al vuoto
7. Nothing Special at All
8. Shouting in a Desert Street
9. Sono-Mama! 10. Lunar Baby
11. Strange Windy Day
12. What About that Buzz?
13. Dream Matter

Line-up:
Giorgio Trombino – voce, chitarra elettrica e acustica, basso, batteria, pianoforte verticale, synth, sassofono soprano e contralto, lap steel, flauto, mandolino, percussioni

FURIOUS GEORGIE – Facebook

Witchwood – Handful Of Stars

Siamo al cospetto di un gruppo straordinario che mette in fila tante realtà molto più blasonate

Con un po’ di ritardo rispetto all’uscita, torniamo a parlare degli Witchwood, i rockers nostrani, nati dalle ceneri dei Buttered Bacon Biscuits, che ci avevano entusiasmato con il loro primo full length, quel Litanies From The Woods che risultava una bellissima jam tra hard rock, folk, psichedelia e progressive, il tutto a formare un arcobaleno di suoni vintage d’alta scuola.

Handful Of Stars è la seconda uscita ufficiale in pochi mesi, un ep della durata di quarantacinque minuti, e la band anche qui non fa sconti con un songwriting che rimane di altissimo livello grazie a cinque perle rock retrò quanto si vuole, ma affascinanti ed attraversate da attimi di pura magia.
Il gruppo vede un primo cambio nella line up, il nuovo chitarrista Antonio Stella, e Handful Of Stars ci offre, oltre alle cinque nuove canzoni, due cover d’autore: Flaming Telepaths dei Blue Oyster Cult e Rainbow Demon degli Uriah Heep.
Gli Witchwood si confermano uno dei gruppi più convincenti nel saper ricreare le atmosfere in voga negli anni settanta, maestri nel saper coniugare una vena hard rock classica ricca di sfumature e suoni che, come strisce di colori nel cielo, formano un arcobaleno musicale ispirato ai gruppi storici ma sapientemente amalgamato in un sound unico.
Ed allora lasciatevi rapire dall’opener strumentale Presentation: Under The Willow, che tanto sa di Jethro Tull, o dall’hard rock classico, sempre velato di un’aura magica, delle bellissime Like A Giant In a Cage e A Grave Is The River, dalle atmosfere folk progressive della stupenda Mother, dalle ottime e personali interpretazioni delle due cover, per finire con la versione alternativa di Handful Of Stars, con le tastiere che, per qualche minuto, ricordano i Goblin, per tornare a jammare tra Pink Floyd e Jethro Tull in un sontuoso e organico fiume progressivo.
Siamo al cospetto di un gruppo straordinario che mette in fila tante realtà molto più blasonate: in questi anni in cui il il ritorno a certe sonorità riscuote grande interesse, specialmente nel nord Europa, l’acquisto di questo lavoro è dunque consigliato e va a comporre, con il primo lavoro, un inizio di carriera qualitativamente folgorante.

TRACKLIST
1.Presentation: Under The Willow
2.Like A Giant In A Cage
3.A Grave Is The River
4.Mother
5.Flaming Telepaths
6.Rainbow Demon
7.Handful Of Stars (New Version)

LINE-UP
Riccardo “Ricky” Dal Pane – Vocals, Guitars, percussion
Antonino Stella – Guitars
Stefano “Steve” Olivi (Hammond, Piano, Synth, Mood
Samuele “Sam” Tesori – Flute
Luca “Celo” Celotti – Bass
Andrea “Andy” Palli – Drums

WITCHWOOD – Facebook

Mexican Chili Funeral Party – Mexican Warriors’ Revenge

Con i Mexican Chili Funeral Party si parte per un viaggio lisergico in compagnia di Led Zeppelin, Doors, Kyuss e Queen Of The Stone Age, con un pizzico di grunge e accenni funk rock.

Chissà se, fra qualche decennio, questi primi anni del nuovo millennio verranno ricordati come il ritorno dei suoni vintage ed old school.

Certo è che nel metal, così come nel rock, un’alta qualità che fa il pari con le molte uscite, stanno portando la nostra musica preferita ad una nuova sfida.
Chi avrà ragione? Quelli che sostengono che non esiste futuro per il rock ma solo un presente da vivere giorno dopo giorno, anno dopo anno, o quelli che hanno già partecipato alla cremazione del malato, da anni terminale e morto tra le nebbie di Seattle o i deserti della Sky Valley?
Come sempre la verità sta nel mezzo e così, a fronte di una crisi dei consumi che tocca inevitabilmente anche la musica, si continua a parlare di rock, magari old school, stonato o drogato dal blues ma pur sempre musica del diavolo che, in quanto tale, è viva e vegeta e brucia nel petto degli appassionati di tutte le età.
Ok, mi sono dilungato, forse troppo, ma una precisazione andava fatta, anche perché qui mi ritrovo con l’ennesimo top album, questo selvaggio e bellissimo Mexican Warriors’ Revenge, nuovo lavoro dei nostri Mexican Chili Funeral Party.
I cinque rockers brianzoli sono attivi più o meno dal 2009, almeno da quando hanno trasformato il loro territorio in un caldissimo e arido deserto, modello Sky Valley appunto, e da qui sono partiti per un trip chi li ha fatti viaggiare attraverso il rock del ventesimo secolo, prima con l’ep La Ballata del Korkovihor uscito nel 2010, poi con il primo full length omonimo licenziato tre anni fa, ed ora con questo bellissima seconda prova sulla lunga distanza in uscita per Sliptrick Records.
Hard rock, stoner e psichedelia, il tutto unito da uno spirito vintage che li porta ad avvicinarsi ai mostri sacri, ma con una personalità debordante, tanto che la band non ha paura di far incontrare i dinosauri settantiani con i grandi gruppi rock nati in uno dei decenni più prolifici della musica contemporanea (per chi scrive il più prolifico in assoluto), gli anni novanta.
Con i Mexican Chili Funeral Party si parte per un viaggio lisergico in compagnia di Led Zeppelin, Doors (bellissima la cover del classico Waiting For The Sun), Kyuss e Queen Of The Stone Age, con un pizzico di grunge e accenni funk rock che danno un senso musicale alla parola “chili” che fa bella mostra di sé nel monicker.
La prima parte si concentra sull’hard rock stonato con una serie di brani che fanno pensare a quello che accadrà in seguito (Vespucci, Power Of Love), ma dalla cover di Waiting For The Sun in poi è puro trip stoner psichedelico da infarto, con il sabba Lu Curt agitato da una chitarra zeppeliniana in overdose.
Un album bellissimo, intenso, selvaggio e primordiale: questo è rock, il resto sono solo chiacchiere.

TRACKLIST
1.01
2.Vespucci
3.Power of Love
4.La Ballata Del Korkovihor, Pt. II
5.Ranger
6.Waiting for the Sun
7.1605
8.Lu Curt
9.Tomahawk
10.11
11.Seul B

LINE-UP
Alessio Capatti – Voice and guitar
Andrea Bressa – Guitar
Andrea Rastelli – Drums
Carlo Perego – Bass
Mr. Diniz – Keyboards and guitar

MEXICAN CHILI FUNERAL PARTY – Facebook

Green Meteor – Consumed By A Dying Sun

I Green Meteor sono un rumoroso collettivo che ha la precisa funzione di farci viaggiare il più rumorosamente possibile con la loro musica, un misto di fuzz, psichedelia e space rock in quota Hawkwind.

Space fuzz rock con voce femminile da Philadelphia. I Green Meteor sono un rumoroso collettivo che ha la precisa funzione di farci viaggiare il più rumorosamente possibile con la loro musica, un misto di fuzz, psichedelia e space rock in quota Hawkwind.

Questo suono è affascinante e morboso, nasce dalla salita alle stelle attraverso le asperità dei Grateful Dead, passando per la tradizione psichedelica pesante americana. I Green Meteor tracciano ardite rotte spaziali, fondono chitarre ed organi sia musicali che umani per arrivare alla meta. Nati nel 2015, cominciano un’intensa attività musicale per poi arrivare al questo debutto attraverso Argonauta Records. Il disco è molto originale, distorto e marcio al punto giusto per essere gustato dalla platea di rumoristi che sta diventando sempre più esigente e che qui troverà moltissimo. I Green Meteor salgono e scendono, guidando il loro mezzo spaziale in mezzo a turbolenze e a momenti di puro piacere. La voce femminile è decisiva nel determinare il successo di questo suono, perché riesce a creare atmosfere molto particolari, arrivando a connotare decisamente il tutto. Consumed By A Dying Sun è un ottimo disco di psichedelia pesante, composto anche da una forte componente di fuzz che aiuta a caricare maggiormente il lavoro nel suo insieme. Ascoltando il disco si riesce a carpire anche una vena punk hardcore che spinge la band a fare qualche passaggio molto più veloce dando una scarica all’ascoltatore. In definitiva questo debutto è l’apertura di una ottima miniera di musica pesante e psichedelica che riesce a salire molto in alto.

TRACKLIST
01 – Acute Emerald Elevation
02 – Sleepless Lunar Dawn
03 – In the Shadow of Saturn
04 – Mirrored Parabola Theory
05 – Consumed by a Dying Sun

LINE-UP
Leta
Amy
Tony
Algar

GREEN METEOR – Facebook

Void Cruiser – Wayfarer

Lenta possenza, giri acidi, grunge e space desert stoner fanno di questo disco un qualcosa di davvero interessante, dove chi ama la musica pesante troverà la sua raison d’etre.

A chi piace la musica pesante viene difficile spiegarne il perché.

Certamente la musica spiega la propria essenza molto meglio di qualsivoglia discorso, perché solo certe vibrazioni che vogliamo cogliere ci entrano dentro. Di vibrazioni e riverberi questo disco ne è pieno, come di riff e lentissimi ma possenti giri di basso e batteria. In Wayfarer giace l’essenza della musica pesante, che è una materia vastissima, perché al suo interno possono convivere molti elementi e definizioni. In questo caso siamo davanti ad un grandissimo disco di stoner desert estremo con puntate nello space più visionario e psichedelico, degli Hawkwind più lisergici ed interessanti. Il gruppo finlandese fa decollate nello spazio profondo un desert rock molto dilatato, distorto e magnifico. Si parte dal deserto per arrivare a quello che è illustrato sulla bella copertina, ovvero una desolata catena montuosa, che potrebbe sia essere sul nostro pianeta che su qualsiasi altro nell’universo. Ascoltando i Void Cruiser essi tengono fede al loro nome, facendoci viaggiare davvero tanto e lungamente. La voce sussurra quasi nelle nostre orecchie ed ha una forte impronta grunge, perché l’incedere tipico di quel genere è molto radicato in queste composizioni, perché gli Alice In Chains in particolare fanno capolino in desertiche cime lunari, in tute dove viene rilasciato il soma per far sopravvivere i nuovi coloni. I Void Cruiser sono insieme dal 2011, legati prima di tutto da forti vincoli di amicizia cementati dall’amore comune per certe musiche. Nel 2015 hanno esordito positivamente con Overstaying My Welcome, ma Wayfarer è il disco più riuscito fa i due.
Lenta possenza, giri acidi, grunge e space desert stoner fanno di questo disco un qualcosa di davvero interessante, dove chi ama la musica pesante troverà la sua raison d’etre.

TRACKLIST
1. A day on which no man was born
2. I didn’t lie but I know now that I should have
3. As we speak
4. Madonnas and whores
5. Seven years late
6. All over nowhere
7.Maailman kallein kaupunki

LINE-UP
T-Hug – Low Frequency Engine.
V-Salo – Soundscape System.
T-Bag – Battering Apparatus.
S-Salo – Fuzz Machinery & Communications.

VOID CRUISER – Facebook

Rhino – The Law Of Purity

I Rhino riescono sempre a trovare la giusta concatenazione di note, il ritornello adatto e la sfuriata di classe, ed è gran stoner rock.

Dall’assolata e bellissima Catania arriva questo ottimo gruppo di stoner e fuzz, che fanno musica di gran spessore.

Il loro suono è un distorto e potente stoner rock di forte impronta psichedelica, costruito su jam molto potenti con un groove notevole. Il suono del deserto si sente prepotentemente nel dna di questo gruppo, ma non è derivativo, bensì è ulteriore carburante per il loro suono. Le influenze spaziano temporalmente tra anni settanta e novanta, che sono poi le coordinate spazio temporali comuni a molti gruppi stoner. I Rhino di loro ci mettono una particolare furia, e suonano come fossero dal vivo e i loro concerti devono essere infuocati, perché qui ci sono le stimmate del rock passionale e dionisiaco. L’impronta dei Rhino si sente in maniera netta, il loro suono è molto riconoscibile, tra un incedere rock e momenti maggiormente duri. Tutte le tracce del disco sono coinvolgenti e potenti, tenendo sempre l’ascoltatore incollato alla cassa, trascinandolo come su di un cavallo impazzito nella prateria. Il gruppo catanese sa quando usare l’acceleratore e quando rallentare, e tutto suona davvero bene, di grande effetto. Fondamentalmente qui c’è lo spirito rock, ma non quello finto e strombazzato, bensì quel substrato che anche se fai principalmente stoner ti accompagna come uno spirito guida. I Rhino riescono sempre a trovare la giusta concatenazione di note, il ritornello adatto e la sfuriata di classe, ed è gran stoner rock.

TRACKLIST
1.Intro
2.The Law of Purity
3.Bursting Out
4.Grey
5.Nuclear Space
6.Eat My Dust
7.Nine Months
8.A.&B. Brown
9.Cock of Dog
10.I See the Monsters

LINE-UP
Marco “Frank The Door” – Bass
Seby “Red Frank” – Rhythm Guitar
Alfredo “Lord J.Frank” – Drums
Luca “Frank Real Tube” – Lead Guitar
Niko “Frank The Doc” – Lead Vocal

RHINO – Facebook

Black Rainbows – Carmina Diabolo

Carmina Diabolo è forse il loro disco maggiormente duro, con meno spazio alla psichedelia rispetto ad altri momenti, qui c’è più velocità ed aderenza al verbo desertico.

Dolcissimo perdersi nuovamente nella musica di Carmina Diabolo dei romani Black Rainbows, che riassumono molto bene il meglio della musica pesante psichedelica.

Una delle caratteristiche migliori del trio è quella di saper sintetizzare in ottima maniera generi diversi, riproponendo il tutto in maniera personale ed originale. La cosa che risalta maggiormente è però il loro groove, poiché quando suonano sembra di avere davanti una ragazza sinuosa che balla musiche lascive e sensuali, e si viaggia lontano, perché bisogna abbandonarsi a questa musica. Riascoltando Carmina Diabolo, alla luce degli album successivi, si rimane stupiti della maturità musicale del progetto romano fin dagli inizi. Certamente il loro suono deriva da grandi nomi come Kyuss, Mc5, Hawkwind ed altri, ma il novanta per cento del risultato è loro. Le canzoni sono strutturate molto bene e sono delle jam portate in fondo e perfezionate. La musica ipnotica e coinvolgente del trio romano è un qualcosa che è uscito molto presto dall’Italia, basti vedere dove hanno suonato nella loro carriera, e per non smentirsi ora sono in America, terra che li ama, poiché i Black Rainbows non sbagliano un disco, cosa che non si può affermare per molti gruppi a stelle e strisce. Carmina Diabolo è forse il loro disco maggiormente duro, con meno spazio alla psichedelia rispetto ad altri momenti, qui c’è più velocità ed aderenza al verbo desertico. Sia come sia, è davvero un gran disco, che doveva essere ristampato perché stava diventando difficile trovarlo, e per un lavoro così ne vale davvero la pena.

TRACKLIST
1.himalaya
2.babylon
3.under the sun
4.what’s in your head
5.bulls & bones
6.carmen diabolo
7.in the city
8.return to volturn
9.the witch
10.space kingdom

LINE-UP
GABRIELE FIORI
ALBERTO CROCE
GIUSEPPE GUGLIELMINO

BLACK RAINBOW – Facebook

Wolvennest – Wolvennest

I belgi Wolvennest arrivano in punta di piedi ad illuminare repentinamente questo inizio di 2017 con un album di rara bellezza.

I Wolvennest arrivano in punta di piedi ad illuminare repentinamente questo inizio di 2017 con un album di rara bellezza.

La band raccoglie un manipolo di musicisti belgi ai quali si aggiunge, con un contributo sonoro e compositivo, niente meno che Albin Julius (Der Blutharsch), uno dei maggiori esponenti di quella che fu alla fine del secolo scorso la scena martial – neo folk.
Il risultato è un qualcosa di stupefacente, perché il sound in questo lavoro si dipana da una base fondamentalmente non lontana dal doom, per poi svilupparsi verso coordinate atmosferiche che lo portano a veleggiare ben al di sopra delle definizioni di genere.
Il combo belga, come prevedibile, non si attiene ad una scontata forma canzone lasciando che la musica fluisca ora solenne, come nell’opener Unreal, ora più orientata ad una forma di ambient avvolgente (Partir), arrivando ad una forma di ossessiva ritualità in Out Of Darkness Deep, traccia posseduta da un chitarrismo psichedelico che si spinge oltre i venti minuti di durata.
Gli interventi vocali, affidati alla tastierista Shazzula, sono misurati ed efficaci, costituendo in fondo il solo sottile collegamento ad un certo tipo di doom alla Jex Thoth-Blood Ceremony, in virtù del suo particolare timbro vocale, ma i nostri sono fondamentalmente una band capace di esprimere al meglio il proprio sentire musicale attraverso diluite e spesso sperimentali parti strumentali, in più di un caso accostabili anche al kraut rock.
L’opera prima autointitolata dei Wolvennest è una prova di spessore ben oltre la media, in quanto possiede il dono di non tediare nonostante sia caratterizzata da una ridotta fruibilità, e potrebbe trovare consensi trasversali rispetto ai generi, sempre che chi ascolta sia disposto a farsi sommergere per quasi un’ora da quest’onda sonora.

Tracklist:
1. Unreal
2. Partir
3. Tief Unter
4. Out Of Darkness Deep
5. Nuit Noire de L’Âme

Line-up:
Michel Kirby – guitars
Corvus von Burtle – guitars
Marc De Backer – guitars
John Marx – bass
Shazzula – vocals, synth
Jason Van Gullick – drums

WOLVENNEST – Facebook

Magnet – Feel Your Fire

E’ difficile che Feel Your Fire, con un sound così vintage, possa entrare nei gusti dei rockers attuali, mentre piacerà molto a chi con queste sonorità ci è cresciuto e si ritrova il mento imbiancato da un pizzetto mefistofelico.

Atmosfere occulte, suoni vintage di matrice rock blues, linee chitarristiche eleganti e sfumature sabbatiche e lascive donano un tocco sacrilego e magico al rock settantiano suonato da questo gruppo capitanato da Riccardo Giuffrè, bassista dei Psychedelic Witchcraft, qui alle prese con voce e chitarra.

E di blues è pregno Feel Your Fire, un album che continua imperterrito a solcare la strada dei Magnet, anche se il sound risulta più dinamico e rock ‘n’roll, specialmente nell’opener Buried Alive With Thee.
Le atmosfere vintage donano all’album un’aura di magia musicale, e i riferimenti espliciti a nomi di spicco del panorama hard rock non inficiano la buona riuscita di brani dal forte sentore di incenso, messianici pur non essendo esplicitamente doom.
Un rito, musica che non insegue la chimera dell’originalità, ma che sa donare ancora forti emozioni, così esposta ai delicati venti blues pur mantenendo una buona verve hard e leggere sfumature psichedeliche: si viaggia in un trip settantiano per tutta la durata dell’album, con atmosfere che passano dal rock’n’roll al blues occulto e ricco di magia (Ouroborus, Little Moon) al finale tutto dedicato ai Black Sabbath con Magnet Caravan, brano tributo alla Planet Caravan di Iommi e soci.
E’ difficile che Feel Your Fire, con un sound così vintage, possa entrare nei gusti dei rockers attuali, mentre piacerà molto a chi con queste sonorità ci è cresciuto e si ritrova il mento imbiancato da un pizzetto mefistofelico.

TRACKLIST
1. Buried Alive With Thee
2. Ouroboros
3. Light
4. Little Moon
5. Drive Me Crazy
6. Feel Your Fire
7. Satan’s Daughter
8. Magnet Caravan

LINE-UP
Riccardo Giuffrè
Jacopo Fallai
Mirko Buia
Vanni Fanfani

MAGNET – Facebook

Blind Marmots – Spore

Una mezza dozzina di brani intriganti, coinvolgenti, sufficientemente freschi e irriverenti il giusto per cogliere nel segno.

Ritroviamo i padovani Blind Marmots due anni dopo l‘ep d’esordio autointitolato: questo nuovo Spore è di poco più lungo ed arriva dopo diversi cambi di formazione che, alla fine, paiono aver dato dei buoni risultati.

La band fagocita, rumina e restituisce (meglio non sapere attraverso quale orifizio) svariate influenze che fanno capo al rock e al metal alternativo, lasciando sul terreno un melting pot di stoner, sludge, grunge, funky, psichedelia, che si rivela piuttosto organizzato nonostante l’ approccio scanzonato alla materia possa far temere, in prima battuta, il contrario.
Ne deriva così una mezza dozzina di brani intriganti, coinvolgenti, sufficientemente freschi e irriverenti il giusto per cogliere nel segno: i Blind Marmots manifestano apertamente il proprio atteggiamento ironico e pungente (in questo vedo una certa similitudine con gli alassini Carcharodon), a partire da testi che ci portano a spasso tra maniaci incendiari, marmotte, topolini, sbronze e conseguenti minzioni, ma ciò non impedisce loro di fare molto sul serio a livello musicale, visto che la mezz’oretta scarsa che ci vene offerta riesce a lasciare il segno specialmente nei primi tre brani, davvero eccellenti nella loro spontanea robustezza e molto più diretti rispetto a restanti, pervasi invece da un più accentuato mood psichedelico
Il potenziale per emergere c’è tutto, ma è chiaro quanto non sia semplice in un settore piuttosto frequentato e nel quale, al di là dello spingere in una direzione musicale piuttosto che in un’altra, il rischio è quello di restare confinati allo status di band divertente (e non c’è dubbio alcuno che il quartetto padovano lo sia), specie dal vivo.
Ma, immaginando che quest’obiettivo, peraltro ampiamente raggiunto, sia una delle priorità per i Blind Marmots, in attesa di risentirli all’opera magari su lunga distanza, non resta che unirci alla loro invocazione: Dio salvi la marmotta!

Tracklist:
1. Pyromaniac
2. God Save The Marmot
3. Mice In The Attic
4. The Hangover
5. Pissing
6. Storm

Line-up:
Carlo Titti – Lead Guitar
Ale “Teuvo” – Voice
Luca Cammariere – Drums
Pietro Gori – Bass

BLIND MARMOTS – Facebook

Electric Hoodoo – Electric Hoodoo

Heavy blues rock con cadenza lenta per questo gruppo tedesco, che ripropone cose note in una maniera molto originale.

Heavy blues rock con cadenza lenta per questo gruppo tedesco, che ripropone cose note in una maniera molto originale.

Gli Electric Hoodoo provengono dall’ex DDR e più precisamente da Dresda, che ha una fiorente scena musicale. Il loro scopo è quello di fare una musica dedita agli anni settanta con un piglio personale ed originale. E ci riescono benissimo poiché il loro incedere è molto personale ed è davvero legato alle scale blues. Sono anche pesanti ed incisivi, e la loro musica risulta molto interessante. Si possono anche sentire gli echi del dirigibile inglese, ma non ci sono solo quelli, anche perché l’impronta della frontiera americana, è forte.
Il sostrato fondamentale per questa opera è il blues, che marca tutto in questo disco. Blues non è solo certi dettami, ma un sentire superiore che permea l’opera musicale. I ragazzi sono giovani ma sono alright come direbbero gli Who, e confezionano un ottimo disco. Le chitarre e la sezione ritmica cullano dolcemente l’ascoltatore ma la differenza la fa l’incredibile voce di Philip Ohlendorf che è davvero unica, ora potente, ora suadente, ma sempre incredibilmente potente, un mezzo davvero notevole.
Bel disco, fatto con passione, consapevolezza dei propri mezzi e chiarezza degli obiettivi.

TRACKLIST
1.Station Blues
2.The Phoenix
3.Wade in the water
4.What’s going on
5.Guiding light

LINE-UP
Philip Ohlendorf – Vocals
Max Georgi – Guitar
Florian Escherlor – Harp, Guitar
Jonathan Bogdain – Bass
Benjamin Preuß – Drums

ELECTRTIC HOODOO – Facebook

Joy – Ride Along!

Se non ci siamo persi nel deserto americano finiremo in dipendenza da Joy, aspettando il prossimo fantastico viaggio tra le note vintage del trio di San Diego.

L’hard rock dalle sonorità vintage e psichedeliche, in questi anni ha trovato molti estimatori ed il fiume di gruppi che inonda il mercato si è diviso in vari torrenti musicali di cui i principali sono quelli che portano al blues ed allo psych rock.

Come da tradizione sono però i gruppi statunitensi quelli che regalano le migliori soddisfazioni, con una serie di realtà dall’alto tasso psichedelico come questo trio di San Diego che di nome fa Joy e che arriva al suo secondo bellissimo lavoro.
Guidato dal chitarrista e cantante Zachary Oakley, anche produttore dell’album, la band si completa con il fantastico batterista Thomas DiBenedetto e dal bassista Justin Hulson, creatori di questo manifesto al psych rock, colmo di sonorità fuzz e sporcato da iniezioni di blues acido.
Oakley fa prodigi con la sua sei corde ricordando non poco il mood hendrixiano e i brani sono caratterizzati da un’aura di jam tipica del genere.
Numerosi sono gli ospiti che intervengono a valorizzare le varie canzoni, tutti musicisti della scena come il drummer Mario Rubacala (Earthless, OFF!), Brendan Dellar, chitarrista dei Sacri Monti e soprattutto quella macchina di riff che risulta Parker Griggs, axeman e leader dei clamorosi Radio Moscow.
Da Misunderstood, passando per Evil Woman e la cover degli ZZ Top Certified Blues, l’album è un trip rock blues psichedelico dall’alto tasso elettrico, la sei corde spara riff saturi, mentre Help Me e Red White And Blues ci aprono la strada per la clamorosa Peyote Blues, song acustica che mischia Led Zeppelin e southern rock in pieno effetto collaterale da funghi allucinogeni, ed il risultato non ci fa smettere di danzare, penzolando in pieno trip settantiano.
Gypsy Mother’s Son conclude il lavoro, il più lungo dei brani raccolti nel disco non può che essere una jam di rock adrenalinico e psichedelico, che ci trascina a suon di watts al gran finale.
Se non ci siamo persi nel deserto americano finiremo in dipendenza da Joy, aspettando il prossimo fantastico viaggio tra le note vintage del trio di San Diego.

TRACKLIST
1. I’ve Been Down (Set Me Free)
2. Misunderstood
3. Evil Woman
4. Going Down Slow
5. Certified Blues (ZZ Top – Cover)
6. Help Me
7. Red, White and Blues
8. Peyote Blues
9. Ride Along!
10. Gypsy Mother’s Son

LINE-UP
Zachary Oakley – Guitar & Vox
Justin Hulson – Bass
Thomas DiBenedetto – Drums

http://www.facebook.com/JOYBANDOFFICIAL”>JOY – Facebook