Serpent – Trinity

Trinity per i fans del doom è un album da riscoprire: non imperdibile, ma senz’altro consigliato agli appassionati del genere.

Ennesimo gioiellino metallico pescato tra polverosi scaffali e riedito dalla Vic Records.

Si parla di doom metal classico con gli svedesi Serpent, trio che nel 1993, anno della sua nascita, vedeva collaborare Lars Rosenberg (ex Entombed) e Andreas Wahl (Therion) più Johan Lundell.
La discografia del gruppo è limitata a tre album: il primo, In the Garden of Serpent uscito nel 1996, seguito da Autumn Ride dell’anno dopo, poi riedito nel 2007, anno in cui esce questo ultimo lavoro, Trinity.
Il trio ad oggi è completamente rivoluzionato e vede Piotr Wawrzeniuk (ex-Therion, basso e voce), Ulf Samuelsson alla sei corde e Per Karlsson alle pelli.
Trinity, masterizzato agli Unisound da Dan Swanö, è un buon esempio di musica del destino che da una base sabbathiana sviluppa le sue coordinate stilistiche verso il genere di ispirazione Candlemass e Count Raven.
Lunghe litanie cadenzate si danno il cambio con brani dai ritmi leggermente più sostenuti, le atmosfere messianiche e la voce evocativa rientrano nei canoni della musica del destino di stampo classico ed old school, e il gruppo dà il meglio quando il ritmo diventa un battito cardiaco che si avvia ad un lento spegnersi.
Brani più lineari si intervallano a tracce ispirate come in Serpent Bloody Serpent (chiaro tributo ai Black Sabbath) e December Mourning, un episodio sofferto, lentissimo e violentato da una sei corde satura di watt.
Chasing The Oblivion, più aperta ed heavy, torna ai Count Raven di High on Infinity, mentre la conclusione è affidata a Monolith, che come promette il titolo risulta uno strumentale granitico, dalle atmosfere nere come la pece.
Trinity per i fans del doom è un album da riscoprire: non imperdibile, ma senz’altro consigliato agli appassionati del genere.

TRACKLIST
1.Lamentation
2.Serpent Bloody Serpent
3.Nightflyer
4.Erlkönig
5.December Morning
6.Disillusions
7.Chasing The Oblivion
8.Monolith

LINE-UP
Piotr Wawrzeniuk – Bass, Lead Vocals
Perra Karlsson – Drums
Ulf Samuelsson – Guitar

Vis – Vis Et Deus

Ancora una volta la Jolly Roger si distingue per un’iniziativa che aiuta a conoscere e comprendere la scena italiana dei primordi, valorizzando il lavoro e la passione di questi autentici pionieri del metal nel nostro paese.

Per suonare hard & heavy ci vuole anche forza (in latino Vis) e il gruppo nostrano di forza hard rock ne sprigionava molta, anche se Vis Et Deus, demo autoprodotto valse alla band un contratto con la Promosound che non portò successivamente altri frutti.

Fondata nel lontano 1984 dal batterista Mario Rusconi e dal chitarrrista Marco Becchetti, con il basso di Gino Ammaddio e la voce di Johnny Salani (con un passato nella Strana Officina), la band torna a far parlare di sé grazie al prezioso lavoro della nostrana Jolly Roger, che si è premurata di rimasterizzare l’album.
Vis Et Deus è un buon esempio dell’hard & heavy che si suonava all’epoca, con uno sguardo all’heavy metal britannico, all’hard rock che arrivava dalla terra dei canguri con qualche riff ispirato dai fratelli Angus e chiaramente debitore della band leggenda di quegli anni nel nostro paese, la Strana Officina.
L’album parte benissimo con Maria Stuarda, heavy rock dal retrogusto epico, ma la ballad Lacrime nella Pioggia riporta la band sulle strade dell’hard blues.
Inno Al Rock (dal titolo scontato) è forse il brano più puramente metallico di tutto il disco, dalle ritmiche che ricordano i primi Saxon, mentre Caronte è un mid tempo dove torna quel leggero tocco epico, già evidenziato sull’opener.
Il resto dei brani sono puro ottanta Style, perciò tanto entusiasmo da parte del gruppo (all’epoca non era così facile lasciare il segno per i gruppi metal) espresso tramnite inni hard & heavy che ora possono rivelarsi scontati, ma che all’epoca inorgoglivano i fans del genere.
Ancora una volta la Jolly Roger si distingue per un’iniziativa che aiuta a conoscere e comprendere la scena italiana dei primordi, valorizzando il lavoro e la passione di questi autentici pionieri del metal nel nostro paese.

TRACKLIST

1.Maria Stuarda
2.Lacrime Nella Pioggia
3.Inno Al Rock
4.La Ballerina Nera
5.Nanà La Gatta
6.Caronte
7.Rocker Batti Il Tuo Pugno
8.Vis Et Deus

LINE-UP

Johnny Salani – Vocals
Marco Becchetti – Lead Guitar
Gino Ammaddio – Bass
Mario Rusconi – Drums

VOTO
7.50

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Perpetual Demise – Arctic

Ristampa che, per gli amanti della buona musica estrema, risulta un acquisto obbligato, ed un ringraziamento alla Vic Records per le molte chicche metalliche riportate alla luce nell’ultimo periodo.

I Perpetual Demise fanno parte della scena olandese dei primi anni novanta, un nido di talenti che ha dato alla scena metallica estrema più di quello che molti esperti sostengano, anche a distanza di decenni.

Un manipolo di band che al death metal ha sempre avuto un approccio progressivo, chi imbastardendolo con sonorità doom/gothic, chi evolvendolo con suoni provenienti da generi agli antipodi come jazz e fusion, chi invece, mantenendo un approccio furioso e selvaggio, ma sempre condizionato da sperimentazioni ed una fantasia mai doma.
Nato a cavallo tra gli anni ottanta ed il decennio successivo, il gruppo proveniente dalla terra dei tulipani rientra nella schiera delle realtà dell’epoca, con un modo di suonare metal estremo che conciliava la pesantezza e brutalità del death metal con atmosfere vicine al doom ed una tecnica che permetteva alle band di avvicinarsi al progressive, prime avvisaglie di quello che poi si sarebbe sviluppato e diventato suo malgrado un trend, specialmente nei paesi scandinavi.
La ristampa in questione presenta il primo e solo album sulla lunga distanza targato 1996, più vari brani presenti nei primi demo della band, in particolare When Fear Becomes…, uscito nel 1993.
La musica dei Perpetual Demise, pur con la sua vena progressiva e doom, conquista subito l’ascoltatore: il sound pesante e a tratti monolitico ha, nel combinare growl e voce pulita, il suo punto di forza (non così abituale ai tempi), coniugato ad un’ottima tecnica strumentale e a cambi repentini di tempo e sfumature.
Più di settanta minuti, praticamente tutto quello che in sette anni il gruppo ha saputo offrire ai fans dell’epoca, non poco vista la qualità della musica proposta, di livello altissimo come nella scena estrema olandese dell’epoca.
Ristampa che, per gli amanti della buona musica estrema, risulta un acquisto obbligato, ed un ringraziamento alla Vic Records per le molte chicche metalliche riportate alla luce nell’ultimo periodo.

TRACKLIST
1.Of Confusion and Brutality
2.The Lord Paramount
3.Arctic
4.The Observer
5.Pyramids
6.Fall
7.Triangle Eye
8.The Tower
9.Upon Dark Grounds
10.On the Edge
11.Denial & Faith
12.Where the Ancients Remains
13.Cynical Control
14.Scarred by Silence
15.Awaiting the Unexpected
16.Conspiracy of Fear
17.Massacre To Be

LINE-UP
Mike Antoni – Guitars
Alex Krouwel – Bass
Alex Dubbeldam – Drums
Armand Wijskamp – Guitars, Vocals

Pestilence – Reflections Of The Mind

Reflections Of The Mind rimane un’opera comunque di valore, specialmente per i fans accaniti del gruppo olandese e della importantissima scena che si creò in quel periodo.

L’importanza di una band come gli olandesi Pestilence sullo sviluppo delle sonorità estreme è risaputo, basterebbe nominare un album come il capolavoro Spheres per mettere in riga una bella fetta di storia del death metal.

Il gruppo capitanato da Patrick Mameli, specialmente nei suoi primi anni di attività si può considerare come un gruppo cardine del metal estremo, sperimentatore di sonorità lontane dai soliti cliché estremi e, nei primi anni novanta insieme ai Cynic precursore di tutto un movimento che cercava altre vie per l’evoluzione di tali sonorità.
La Vic Records mette sul mercato questa compilation di demo e brani in fase embrionale che andarono poi a comporre i tre album della prima fase del gruppo proveniente dal paese dei tulipani: Consuming Impulse, Testimony of the Ancients e appunto il capolavoro Spheres.
Rimasterizzato dal guru Dan Swanö con il supporto dell’artwork creato da Roberto Toderico, firma prestigiosa anche in casa Asphyx e Sinister, la raccolta riprende il titolo della storica compilation uscita dopo lo split del gruppo nel 1994 (Mind Reflections).
Si torna così ai primi anni novanta e le registrazioni, pur con il supporto del musicista e produttore svedese, non sono delle migliori, molti brani soffrono il passare inesorabile del tempo, anche se le chicche non mancano, con canzoni nella loro versione primaria poi riveduta e corretta al momento di inserirle negli storici lavori.
Reflections Of The Mind rimane un’opera comunque di valore, specialmente per i fans accaniti del gruppo olandese e della importantissima scena che si creò in quel periodo, primi sussulti di un metal estremo divenuto in seguito uno dei generi più importanti della musica moderna.

TRACKLIST
1 Reflections of the Mind
2 Searching the Soul
3 Times Demise
4 Changing Perspectives
5 Level of Perception
6 Multiple Being
7 Spheres
8 Land of Tears
9 Stigmatized
10 Presence of the Dead
11 Prophetic Revelation
12 Twisted Truth
13 Pat & Pat
14 Echoes of Death
15 Secrecies of Horror
16 Testimony
17 Omens of Revelations
18 Testimonial Ideas

LINE-UP
Patrick Mameli – Bass, Guitars,Vocals
Patrick Uterwijk – Guitars
David Haley – Drums
Georg Maier – Bass

PESTILENCE – Facebook

Crossbones – Crossbones

Un’iniziativa assolutamente consona al valore dell’opera in questione

Siamo ancora negli anni ottanta, anche se ormai il decennio successivo è alle porte, ed i venti alternativi spingono il rock verso una nuova frontiera: nell’Italia metallica, ancora lontana dai fasti degli ultimi anni e difesa da un manipolo di eroi contro l’esterofilia dilagante di fans e molti addetti ai lavori , continuano ad affacciarsi gruppi che, con un po’ di ritardo, dei suoni heavy metal fanno il loro credo, in un paese ancorato alla canzone popolare ed al progressive del decennio precedente.

Molti rockers con meno primavere sulle spalle, del chitarrista ligure Dario Mollo ricorderanno le collaborazioni con Tony Martin nel progetto The Cage (The Cage 1998, The Cage2 2002 e The Third Cage 2012) e con Glenn Hughes nei Voodoo Hill (Voodoo Hill nel 2000, Wild Seed of Mother Earth del 2004 e Waterfall uscito lo scorso anno).
Il talentuoso musicista e produttore nostrano, oltre ad altre importanti collaborazioni ha un passato nei Crossbones, autori di questo ottimo lavoro licenziato nel 1989 e oggi ristampato dalla Jolly Rogers Records per la gioia degli amanti dell’hard & heavy old school.
Prodotto da Kit Woolven (Thin Lizzy, UFO) e con alle tastiere il contributo dell’ospite internazionale Don Airey, l’esordio omonimo dei Crossbones aveva tutte le carte in regola per tatuarsi nel cuore degli amanti dei suoni scolpiti nell’acciaio: una produzione che per quei tempi soddisfaceva non poco, una serie di canzoni superlative e l’enorme talento (senza nulla togliere alla precisa ed efficiente sezione ritmica composta da Ezio Secomandi alle pelli e Fulvio Gaslini al basso) dei due indiscussi protagonisti, Dario Mollo con la sua sei corde che sprigionavano suoni blackmoriani a profusione ed il cantante Giorgio Veronesi, grande interprete dei suoni duri e regali del gruppo.
Diventato in breve tempo un oggetto di culto, anche per non aver avuto un seguito (almeno fino ad oggi), Crossbones segue le coordinate stilistiche del metal/rock britannico, aggressivo, raffinato e con quelle sfumature epiche avvicinabili proprio ai Rainbow, messe in evidenza da un Mollo straordinario alla sei corde ed un songwriting di altissimo livello.
L’opener Fallen Angel, la diretta Rock ‘n’ roll , il metallo epico della gloriosa The Promised Land, l’omaggio a Vivaldi nella classica Winter sono solo fiocchi di un pacco regalo confezionato alla perfezione dal gruppo ligure che, all’epoca, con questo lavoro, salì sul podio dei migliori lavori usciti dalla ancora bistrattata ( metallicamente parlando) penisola.
Bene ha fatto la Jolly Roger ha curare questa ristampa in cd, un’iniziativa assolutamente consona al valore dell’opera in questione, da non perdere.

TRACKLIST
1.Fallen Angel
2.Iron in the Soul
3.Rock ‘n’ Roll
4.Cry from the Heart
5.The Promised Land
6.Venom
7.Bad Dreams
8.Winter
9.Fire

LINE-UP
Fulvio Gaslini – Bass
Ezio Secomandi – Drums
Dario Mollo – Guitars
Giorgio Veronesi – Vocals

Ceremony – Tyranny From Above

Un’opera per deathsters che vogliono conoscere le varie scene che si sono susseguite nel corso degli anni

Tempi di ristampe in casa Vic Records, intenta a riesumare storici album estremi come questo Tyranny From Above, primo ed unico full length dei Ceremony, band proveniente dalla scena olandese che all’alba degli anni novanta dettava legge in campo death metal.

Nati nel sul finire del decennio precedente il gruppo di Peter Verhoef (per un periodo anche nei Phlebotomized) e che ha visto devastare bassi da Ron van de Polderm, membro originario dei Sinister, ha lasciato ai posteri, oltre a questo lavoro, un demo, un ep ed un promo.
Erano altri tempi ed anche un solo album poteva regalare una sorta d’aura di culto ai gruppi estremi, in un periodo in cui le uscite discografiche erano ancora limitate all’uscita nei negozi e non vomitate dal web.
La band olandese si creò quindi questa sorta di immortalità artistica, sicuramente meritata con questo album, un ottimo esempio di death metal dell’epoca, oscuro, soffocante pregno di ritmiche al limite del thrash, growl brutale e rallentamenti doom/death.
Death metal cupo, reso ancora più oscuro da una produzione old school che ne aggrava la componente estrema, all’epoca riassunta in vortici di musica dal mood dark e mitragliate in blast beat.
Nel disco troviamo come bonus l’ep del 1992 Inclemency e il demo, ultimo vagito della band del 1994.
Un’opera ad esclusiva dei deathsters che vogliono conoscere le varie scene che si sono susseguite nel corso degli anni, ed una band storica del death metal suonato nei Paesi Bassi, genere che ha fatto scuola anche alle nuove legioni sparse per il mondo.

TRACKLIST
1. Inner Demon
2. Drowned in Terror
3. Solitary World
4. Ceremonial Resurrection
5. When Tears Are Falling
6. Humanity
7. Beyond the Boundaries of This World
8. Tribulation Foreseen
9….Humanity…
10. Tribulation Foreseen
11. Essence of Alteration
12. Immortality of the Gods
13. Tyranny from Above

LINE-UP
Micha Verboom-vocals
Johan van der Sluijs-guitar
Patrick van Gelder-drums
Peter Verhoef-guitar

CEREMONY – Facebook

Fil Di Ferro – Hurricanes / Fil Di Ferro

Due buone ristampe, sicuramente importanti per conoscere una band storica del panorama italiano o per i rockers dal capello grigio, un incontro con dei vecchi amici mai dimenticati.

Tempi di ristampa per la Jolly Roger che tributa una delle band storiche del panorama heavy metal nazionale, torinesi i Fil Di Ferro.

Dal 1979 band che accomuna l’hard & heavy con la cultura biker, in mano al batterista Michele De Rosa, fondatore ed unico membro ancora attivo nel gruppo, i Fil Di Ferro fanno parte di quel manipolo di eroi della prima ondata di gruppi nazionali passati addirittura sul piccolo schermo dalla molto più seria RAI, che (sembra un paradosso) risultava all’epoca molto più libera culturalmente, se vero è che passarono all’epoca anche i Maiden ancora in mano a Paul Di Anno.
I due album in questione, venduti singolarmente, sono il debutto Hurricanes uscito nel 1986 ed il seguente full length omonimo di due anni dopo.
Il gruppo, diede poi alle stampe altri tre album, Rock Rock Rock del 1992 e poi, dopo tredici anni di silenzio, entrarono nel nuovo millennio con It Will Be Passion del 2005 e It’s Always Time, licenziato quattro anni fa.
Il titolo del primo album tributa il mondo dei bikers, Hurricanes infatti è il gruppo di motociclisti che De Rosa contribuì a fondare: il sound acerbo, ma dall’ottimo impatto, risulta New Wave Of British Heavy Metal al 100% con almeno un paio di brani divenuti in seguito dei classici della discografia del gruppo piemontese come la title track, Burning Metal e Get Ready.
La Jolly Roger ci ha messo del suo aggiustando le pecche di una produzione deficitaria, senza togliere l’atmosfera old school che aleggia sui brani e regalando ai fans un album storico ormai introvabile se non nei banchetti dell’usato.
Nel 1988 la band torna più decisa che mai con il lavoro omonimo: Fil Di Ferro cambia non poco le carte in tavola, con una produzione in linea con le uscite dell”epoca, curata da Guy Bidmead, già al lavoro con Lemmy ed i suoi Motorhead .
Il sound del gruppo acquista una piega più internazionale, non sfigurando certo con i lavori degli allora dei del metal britannico, anche grazie ad una line-up ormai rodata in cui il solo chitarrista Michele Fiorito risulta la novità rispetto al primo album.
Una serie di brani rocciosi, che hanno in Licantropus, Street Boy e Wanted degli splendidi esempi di cavalcate metalliche, questa volta su roboanti motociclette delle quali Fil Di Ferro portano fieri la cultura ed il messaggio della vita da bikers.
In conclusione due buone ristampe, sicuramente importanti per conoscere una band storica del panorama italiano o, per i rockers dal capello grigio, un incontro con dei vecchi amici mai dimenticati.

TRACKLIST
Hurricanes
1. Hurricanes
2. Rock Fever
3. The Fox
4. Burning Metal
5. King Of The Night
6. Over The Light
7. Get Ready
8. Fil Di Ferro

Fil di Ferro
1. Hurricanes
2. Crazy Horse
3. Street Boys
4. Nightmare
5. I’m Free
6. Licantropus
7. Wanted
8. Ambush
9. Professional Meeting
10. Dropping Down

LINE-UP
Hurricanes
Michele De Rosa-Drums
Bruno Gallo Balma-Bass
Claudio De Vecchi-Guitars
Sergio Zara-Vocals

Fil di Ferro
Michele De Rosa-Drums
Bruno Gallo Balma-Bass
Miky Fiorito-Guitars
Sergio Zara-Vocals

FIL DI FERRO – Facebook

Detonation – Reprisal

I Detonation sono sicuramente un gruppo da riscoprire e Reprisal un lavoro immancabile sugli scafali degli amanti dei suoni estremi

Altra ristampa per la Vic Records, questa volta il gruppo in questione sono i Detonation, deathsters olandesi attivi nel primo decennio del nuovo millennio con un ep, due demo e quattro full length, di cui l’ultimo è questo ottimo Reprisal uscito nel 2011.

Il quintetto di Utrecht si è fermato a questo lavoro, un peccato perché l’album risulta una mazzata niente male.
Death/thrash, furioso, ma pregno di melodie chitarristiche di ispirazione melodic death metal, così da coinvolgere non poco.
Il cantato si avvicina a quello di Mikael Stanne dei Dark Tranquillity, il sound non lascia dubbi basandosi su criteri moderni, con le ritmiche incentrate su accelerazioni devastanti e lasciando a tratti che andamenti marziali siano attraversati da ottimi solos di scuola scandinava.
Reprisal si discosta dalla scuola olandese e si avvicina a quella scandinava, in uno smottamento creato da terremotanti impulsi estremi e da vorticosi riff e blast beat.
Poco più di mezz’ora ma tanto basta ai Detonation per procurare danni, i brani si susseguono in un massacro, che conosce attimi di lucida follia metallica soprattutto per il gran lavoro delle due asce davvero ispirate.
Death, thrash e melodic death metal sono uniti nel portare distruzione ai nostri padiglioni auricolari, ma il bello è che tracce devastanti come There Is No Turning Back, Absentia Mentis o la bordata distruttrice Falling Prey, mantengono una forma canzone strepitosa.
I Detonation sono sicuramente un gruppo da riscoprire e Reprisal un lavoro immancabile sugli scaffali degli amanti dei suoni estremi, grazie ad una ristampa decisamente opportuna.

TRACKLIST
1. Enslavement
2. There Is No Turning Back
3. Feeding on the Madness
4. Ruptured
5. Absentia Mentis
6. Washing Away the Blood
7. Falling Prey
8. Insults to My Heritage

LINE-UP
Mike Ferguson – Guitars
Koen Romeijn – Guitars, Vocals
Otto Schimmelpenninck van der Oije – Bass
Michiel van der Plicht – Drums
Danny Tunker – Guitars

DETONATION – Facebook

Satanic Warmaster – Black Metal Kommando / Gas Chamber

Pur essendo esecrabile, Satanic Warmaster è uno dei pochi del giro black metal a non essersi mai compromesso, nemmeno con sé stesso, continuando a rimanere credibile, e questo disco è l’inizio della sua avventura.

Ristampa da parte della finlandese Werewolf Recrods in combutta con la Hellsheadbangers Records.

Questa compilation fu originariamente pubblicata nel 2005, e contiene quello che sarebbe dovuto essere il primo disco del gruppo, Black Metal Kommando, mentre invece la sua prima uscita fu Strenght and Honour. In questi sei tracce si può sentire la dedizione totale di Satanic Warmaster al credo black metal. Questo è puro black metal, non è musica, né lo si deve intendere come tale. Il finlandese non rincorre le mode, le ammazza piuttosto, ed il suo suono è totalmente nero e misantropico. Pur essendo assai controverso, Satanic Warmaster è uno dei pilastri del black metal mondiale, con il suo suono grezzo e particolare, al di fuori della media del genere. Innanzitutto la produzione è abbastanza buona e i suoni son distanziati fra loro in sede di missaggio, e ciò porta la voce leggermente in primo piano, fatto non usuale per un gruppo black metal classico. In più il ritmo non è quasi mai ai mille all’ora, si predilige la narrazione sonora, pur essendo fedele l’esecuzione ai dettami del black. Il disagio e la misantropia satanica la fanno da padrone, radendo al suolo, ma proprio tutto, in nome di un nichilismo che resiste alla furia del tempo e anche a se stesso. Il black metal di Satanic Warmaster non ha età, è il tentativo di resistere al cambiamento intorno, sfornando un black metal intenso e genuinamente arrabbiato. Pur essendo esecrabile, Satanic Warmaster è uno dei pochi del giro black metal a non essersi mai compromesso, nemmeno con sé stesso, continuando a rimanere credibile, e questo disco è l’inizio della sua avventura. Black Metal Kommando si discosta leggermente da quello che poi troveremo in Strenght and Honour, e personalmente lo trovo migliore. I tre pezzi di Gas Chamber fotografano Satanic Warmaster con un taglio maggiormente noise e sperimentale. In questo ep l’inedito è solo uno, mentre gli altri due pezzi sono dei Beherit, gruppo che ha influenzato molto Satanic Warmaster.

TRACKLIST
1.Intro (2005 Remix)
2.Distant Blazing Eye
3.The Burning Eyes of the Werewolf
4.Black Metal Kommando
5.Wolves of Blood and Iron
6.Raging Winter
7.Macht & Ehre
8.The Blood of Our Fathers
9.D.S.O. 2000
10.Fish (Beherit cover)
11.Paradise (Part II) (Beherit cover)
12.The Seventh Oath of Demonomancy

SATANIC WARMASTER – Facebook

Anata – The Infernal Depths of Hatred (remastered)

I deathsters svedesi Anata ripartono dalla ristampa del loro primo lavoro The Infernal Depths of Hatred

Sono ormai passati dieci anni dall’ultimo The Conductor’s Departure e i deathsters svedesi Anata ripartono dalla ristampa del loro primo lavoro The Infernal Depths of Hatred, uscito originariamente nel 1998 e pubblicato oggi dalla label francese Kaotoxin: l’album è già in streaming, ma l’uscita in tiratura limitata a 300 copie in vinile è prevista per i primi di ottobre.

Avrete così tutto il tempo per prenotare la vostra copia e sentirete che ne sarà valsa la pena , specialmente se apprezzate per il Goteborg sound nato nella prima metà degli anni novanta.
Il quartetto di Varberg fa parte della seconda ondata di gruppi che continuarono lo sviluppo di queste sonorità estreme: nato proprio a metà dei novanta debuttarono con questo ottimo lavoro che ebbe ancora tre successori sulla lunga distanza di cui l’ultimo è proprio l’album di cui sopra uscito nel 2006.
Detto che questa nuova edizione presenta come bonus track la cover di Day of Suffering dei Morbid Angel (tratta dallo split con i Betsaida “Guerra, Vol.II”, del 1999) e che l’album è stato rimasterizzato presso i Conkrere Studio, addentriamoci nel suono creato dagli Anata.
Death metal melodico, valorizzato da un’impronta technical death da infarto e qualche sconfinamento nella furia del black, specialmente nell’uso dello scream in alcune parti, sono gli elementi preponderanti per far sìche questo lavoro risulti un piccolo gioiello estremo.
Da amare alla follia se siete fans del death melodico di scuola scandinava, ma da non perdere se vi crogiolate nel technical death di scuola americana; un ibrido insomma, che non manca di sorprendere nella sua follia compositiva dalle qualità estreme altissime.
Quaranta minuti abbondanti di metal estremo di ottimo livello, con ritmiche veloci ed intricate, mostruose parti cadenzati, solos melodici, ed una vena brutal che risulta l’anima a stelle e strisce dell’album.
Immaginatevi un incrocio tra i primi Dark Tranquillity, gli At The Gates ed i mostri americani come Morbid Angel e Suffocation ed avrete idea di che abominevole parto riuscirono a creare gli Anata, un piccolo mostro di musica talmente estremo e ben suonato da risultare irresistibile.
Quasi vent’anni sono passati da quando questa raccoltavide la luce , ma brani come Under Azure Skies, Vast Lands/Infernal Gates e soprattutto Dethrone the Hypocrites godono di una freschezza compositiva e di un talento per ritmiche intricate, furiose accelerazioni e melodie estreme da sembrare scritto ieri.
Per i collezionisti di vinili e gli amanti del metal estremo un’opera assolutamente da non perdere.

TRACKLIST
1. Released When You Are Dead
2. Let the Heavens Hate
3. Under Azure Skies
4. Vast Lands / Infernal Gates
5. Slain Upon His Altar
6. Those Who Lick the Wounds of Christ
7. Dethrone the Hypocrites
8. Aim Not at the Kingdom High
9. Day of Suffering [Morbid Angel cover]

LINE-UP
Andreas Allenmark – guitars
Henrik Drake – bass
Robert Petersson – drums
Fredrik Schälin – Vocals, Guitars, Lyrics

ANATA – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=w_ESJ01NtiU

Abomination – Tragedy Strikes

Tragedy Strikes è la fotografia di un gruppo fondamentale del thrash mondiale nel suo momento migliore, con una prova maiuscola ristampata per la prima volta in 25 anni in vinile dalla Doomentia Records.

Secondo disco per gli Abomination di Chicago, precisazione quanto mai utile, poiché il nome è assai usato nel metal.

Dopo l’omonima opera del 1990, nel 1991 i nostri pubblicano questo disco,un manifesto del thrash metal con fortissime influenze hardcore. Questo disco è la produzione più arrabbiata e politica degli Abomination, cosa che poi il leader Paul Speckmann ripeterà con il suo gruppo successivo, i Master. Il thrash di suo è già un genere abbastanza politicizzato, anche a causa delle sue origini tra hardcore e metal venne usato per protestare. Questo disco in particolare è contro la politica estera del governo Usa. Erano i tempi della guerra nel golfo, ovvero una delle tante bugie raccontate dagli Usa al mondo per fare i propri interessi. Dopo quella guerra il nemico numero uno Saddam Hussein rimarrà tranquillamente al suo posto, ed il resto è storia nota e continua anche ai giorni nostri. Il secondo disco degli Abomination è un thrash hardcore più maturo e meglio prodotto rispetto al precedente, certamente più cupo e potente. Si sente che il gruppo è migliorato e più compatto, maggiormente convinto dei propri mezzi. Tragedy Strikes è la fotografia di un gruppo fondamentale del thrash mondiale nel suo momento migliore, con una prova maiuscola ristampata per la prima volta in 25 anni in vinile dalla Doomentia Records. Spicca anche l’acume politico dei testi di Speckmann, che non sapeva ancora però che il futuro sarebbe stato persino peggiore.

TRACKLIST
1. Blood for Oil
2. They’re Dead
3. Pull the Plug
4. Will They Bleed
5. Industrial Sickness
6. Soldier
7. Kill or Be Killed
8. Oppression

ABOMINATION

Abomination – Abomination

Ascoltare un disco come questo è andare alle radici del thrash, e coglierlo nel suo momento forse migliore, anche se fortunatamente il thrash è un’erba maligna e non morirà mai.

Ristampa in lp di un album fondamentale per la scena thrash death metal degli anni ottanta e novanta. Uscito originariamente nel 1990, venne dopo un demo omonimo, e vide la luce grazie agli sforzi soprattutto di Paul Speckmann, figura leggendaria della scena metal statunitense, già nei Master, Deathstrike e al tempo di questo disco anche nei Funeral Bitch.

Come raccontato dallo stesso Speckmann lui praticamente provò in segreto con altri musicisti, e si può affermare che rubò il nome Abomination dal gruppo dove suonava come batterista Aaron Nickeas. Il gruppo firmò un contratto con la Nuclear Blast, pubblicando il primo omonimo disco, ora ristampato per la prima volta in vinile dalla Doomentia Records. Questo disco è il figlio perfetto della sua epoca, e non erano tempi facili, ma forse migliori di questi che stiamo vivendo. L’eroina stava vivendo i suoi ultimi tempi d’oro, come raccontato nella iniziale The Choice, otto minuti di durata per aprire la carriera di un gruppo thrash death non è certo quella che si può definire una scelta facile. Lo stile del gruppo è un thrash metal molto potente e vicino all’hardcore, come usava all’epoca. La band di Chicago, Illinois fa particolarmente bene questo genere, e vi aggiunge in qualche passaggio un timido avvicinamento al death. Abomination è un disco ancora grezzo nel suo nucleo, ma molto potente e sicuramente sopra la media, sia dell’epoca che di quella attuale. I temi sono personali e politici, dato che questa musica era di protesta, cosa che poi gli Abomination sublimeranno con il disco successivo Tragedy Strikes. Ascoltare un disco come questo è andare alle radici del thrash, e coglierlo nel suo momento forse migliore, anche se fortunatamente il thrash è un’erba maligna e non morirà mai.
Grande opera di riscoperta per un ottimo disco, che è anche l’occasione per chi non lo conoscesse ancora di addentrarsi nella notevole opera metallica di Paul Speckmann.

TRACKLIST
1 The Choice
2 Murder, Rape, Pilage and Burn
3 Reformation
4 Redeem Deny
5 Possession
6 Suicidal Dreams
7 Life and Death
8 Victim of the Future
9 Tunnel of Damnation

LINE-UP
Paul Speckmann – Vocals, Bass
Aaron Nickeas – Drums
Dean Chioles – Guitars

ABOMINATION – Facebook

Colemesis – Vivisección (re​-​release)

Il gruppo agitava le acque davanti alle coste del paese centroamericano con dosi massicce di growl profondi ed assassini, e la poca tecnica veniva sostituita dall’impatto e dalla voglia di far male.

Uscito originariamente in cassetta nel lontano 1992, viene ora ristampato dalla Symbol of Domination Prod. il primo demo dei costaricani Colemesis, band come detto attiva dai primi anni novanta e realtà della scena del loro paese.

Solo due full length per il gruppo centroamericano (Still Oppression Rules del 1995 e Hellritage uscito tre anni fa), una carriera interrotta più volte ed una serie di ep e singoli, troppo poco per considerarli una band storica del genere, anche se Vivisección ,considerato l’anno di uscita, mostra una sufficiente vena estrema dal classico stile sudamericano, pescando dal death metal Bay Area e infarcendolo di sonorità thrash con una predisposizione evil senza compromessi.
Il gruppo all’epoca agitava le acque davanti alle coste del paese che divide il continente americano con dosi massicce di growl profondi ed assassini, e la poca tecnica veniva sostituita dall’impatto e dalla voglia di far male; la produzione non è delle migliori ovviamente, ma in giro si sente di peggio, specialmente se consideriamo l’anno di uscita e i pochi mezzi a disposizione dei quattro deathsters costaricani.
Massiccio pezzo di metal estremo che più underground di così non si può, Vivisección aggiunge poco al genere ma promette di far conoscere una realtà estrema che vive ancora oggi, pur con tutte le difficoltà che la provenienza impone.
Siamo nel death metal old school di estrazione statunitense e i Colemesis richiamavano il sound delle migliori band dei primi anni novanta come Morbid Angel e Obituary: dunque, se siete fans accaniti del genere un ascolto potrebbe riservarvi il piacere nel conoscere vecchi adepti, magari sconosciuti ai più delle sonorità estreme di scuola death metal.

Tracklist:
1. Intro Otomicosis
2. Paralelismo Humano
3. Viviseccion
4. Hypergeo
5. Equilibrio Capital
6. Outro
7. Maldicion Malinche

Lineup:
Fabbian Bonilla: Vocals / Guitar
Gabriel Molares: Guitar
Michael Mory: Bass
Emilio Cortes: Drums

COLEMESIS – Facebook

Sarcófago – Rotting Reissue

Se hanno un senso le ristampe per album di gruppi sconosciuti ai più, figuriamoci quelle di lavori estremamente importanti come la discografia di questa storica band brasiliana.

L’importanza dei deathsters brasiliani Sarcofago nello sviluppo della musica estrema di stampo death/tharsh è inequivocabile: nato nel 1985 per volere Wagner ”Antichrist” Lamounier, cantante dei primissimi Sepultura, il gruppo di Belo Horizonte è citato tra le influenze di molte band che poi fecero sfracelli negli anni novanta.

Idolatrati e rispettati da tutti, i Sarcofago furono uno dei primi gruppi ad usare in maniera continua e devastante i blast beat, in un delirio di violenza death/thrash e tematiche sataniste e anticristiane che fanno del gruppo uno dei primi esempi del sound devoto al maligno per eccellenza, il famigerato black metal.
La Greyhaze Records pubblica la riedizione dell’ep Rotting, licenziato dalla band nel lontano 1989 via Cogumelo Records su vinile, con l’aggiunta di un bonus dvd ed un nuovo artwork.
Il dvd è senz’altro la parte più interessante perché immortala il gruppo sul palco nel 1991 di supporto ai Morbid Angel, in tour per supportare quel capolavoro estremo dal titolo Altar Of Madness.
Cinque brani più intro, Rotting fece parte di una discografia colma di perle estreme, e ci scaraventa al tempo in cui la band era una dei gruppi più estremi in circolazione: il loro sound equivale ad un’apocalisse di death/thrash sulla scia dei Venom, un sound che da lì a poco troverà lustro e nuova vita nelle lande innevate della Scandinavia e del famigerato unholy black metal della scena norvegese, che all’epoca muoveva i primi passi in quello che, in seguito, diventerà un movimento importantissimo per le vicende musicali (ed extra musicali) del metal estremo.
Rotting confermava la vena distruttrice del trio già sulla bocca di tutti per una manciata di demo, ma soprattutto per il primo devastante lavoro I.N.R.I, uscito due anni prima.
Wagner Antichrist, Gerald Incubus e M. Joker vomitavano tutto l’odio contro la religione e la chiesa in particolare su di un sound primordiale, estremo in tutte le sue componenti, arrivando a toccare vette di violenza ancora oggi irraggiungibili per molti dei gruppi odierni; il loro furore si scagliava contro i cristiani in maniera inequivocabile, con testi blasfemi e un sound che era pura e violentissima guerra in musica.
Scream/growl cattivissimo, riff assassini e furiose accelerazioni ritmiche facevano di Alcoholic Coma, Tracy e la title track (su tutte) un’apoteosi di violenza, distruzione e luciferine urla inneggianti la totale distruzione del sistema religioso e la glorificazione del regno di Satana.
Precursori nell’amalgamare death/thrash e black metal in un unico massacro sonoro, i Sarcofago sono la classica band che ogni amante del metal estremo deve sfoggiare nella propria discografia; se hanno un senso le ristampe per album di gruppi sconosciuti ai più, figuriamoci quelle di lavori estremamente importanti come la discografia di questa storica band brasiliana.

TRACKLIST
01. The Lust
02. Alcoholic Coma
03. Tracy
04. Rotting
05. Sex, Drinks & Metal
06. Nightmare

LINE-UP
Wagner Antichrist – Vocals, guitars
Gerald Incubus – Bass, voclas, guitars
M. Joker – Drums, vocals

Rotting Christ – Sleep Of The Angels

Riedizione quanto mai opportuna per l’album più “commerciale” mai pubblicato dai Rotting Christ.

Non sono poche le band di nome che, ad un certo punto della loro carriera, hanno inciso un disco che in qualche modo andava a rompere in maniera netta il loro stile stile consolidato.

Quasi sempre, al momento dell’uscita, le manifestazioni di dissenso superavano gli elogi, non tanto per il valore intrinseco dei lavori quanto per l’incapacità momentanea dei fan più accaniti (e anche di buona parte della critica) di accettare il fatto che per qualsiasi artista dovrebbe essere un fatto normale, ogni tanto, provare a sperimentare qualcosa di diverso.
Questo capitò in particolare a quattro nomi storici del metal, per tutti negli ultimi due anni dello scorso millennio, quasi che in quegli anni l’aria fosse permeata da un’urgenza creativa che spingeva i musicisti ad osare di più: i Moonspell (con Sin/Pecado), i My Dying Bride (con 34.788%… Complete), i Kreator (con Endorama) ed i Rotting Christ (con Sleep Of The Angels).
Ed è proprio di quest’ultimo album che ci viene data l’occasione di riparlare, grazie alla riedizione curata dall’etichetta ellenica Sleaszy Rider: diciamo subito che, rispetto agli esempi citati, Sleep Of The Angels appariva molto meno un azzardo, mostrando semmai una maggiore apertura verso un sound gothic che andava ad ammorbidire non poco le pulsioni black della band di Sakis, un processo che comunque aveva già mostrato dei segnali nel precedente A Dead Poem. Indubbiamente, rispetto alla svolta elettronica intrapresa sia dai Moonspell che dai My Dying Bride ed al brusco passaggio dal tetragono thrash di scuola teutonica ad un elegante sound gotico da parte dei Kreator, quello dei Rotting Christ appariva soprattutto l’approdo ad una maggiore orecchiabilità legata ad un ricorso maggiore a quelle progressioni melodiche di stampo chitarristico che sono sempre state, comunque, marchio di fabbrica della band greca.
Non a caso, mentre tutte gli altri gruppi citati, a partire dai dischi successivi invertirono la rotta per riapprodare a sonorità più in linea con la loro storia, i Rotting Christ, pur tornando ad inasprire il suono, con Khronos e Genesis non andarono del tutto ad abiurare quanto fatto con Sleep Of the Angels.
Non a caso tutti questi dischi, per così dire controversi, dopo quasi vent’anni sono stati unanimemente rivalutati e considerati dai fan come ottimi lavori, pur nella loro discontinuità stilistica: per i Rotting Christ il discorso è diverso, visto che il black dei nostri è sempre stato sui generis proprio perché molto personale e, quindi, l’apertura a sonorità più catchy corrispondente alla pubblicazione di Sleep Of The Angels non venne vissuta come un tradimento, bensì come una naturale progressione stilistica; non a caso, una traccia come After Dark I Feel è annoverata ancora oggi tra i cavali di battaglia di Sakis e soci.
Sleep Of The Angels è un album che andrebbe fatto ascoltare a chi non conosce i Rotting Christ, vuoi per la poca attitudine a sonorità estreme, vuoi per l’impatto innegabilmente esercitato da un monicker ”pesante”: in questo caso potrebbe rivelarsi l’ideale grimaldello per accedere alla discografia di uno dei migliori gruppi che abbiano veleggiato lungo gli ultimi tre decenni metallici.

Tracklist:
1.Cold Colours
2.After Dark I Feel
3.Victoriatus
4.Der Perfekte Traum
5.You My Flesh
6.The World Made End
7.Sleep the Sleep of Angels
8.Delusions
9.Imaginary Zone
10.Thine Is the Kingdom

Line-up:
Sakis Tolis – guitars and vocals
Andreas – bass
Kostas – guitars
George – keyboards
Themis Tolis – drums

ROTTING CHRIST – Facebook

Even Vast – Hear Me Out

La riedizione dell’album d’esordio può rivelarsi utile nel tornare a far parlare degli Even Vast, ma rischia d’essere fuorviante per chi intendesse seguirli nella loro nuova avventura.

La Sleaszy Rider è un’etichetta piuttosto attiva che, oltre a segnalarsi per un buon roster, è specializzata anche nella riedizione di album usciti diverso tempo fa; così, assieme all’utile e gradita rilucidatura  di Sleep Of The Angels dei Rotting Christ, troviamo anche la riproposizione di Hear Me Out, disco d’esordio degli Even Vast.

Tale scelta, relativa ad una lavoro che non può essere certo paragonabile per valore a quello della band di Sakis, trova una sua motivazione con la recente firma della band italiana con l’etichetta ellenica, ma non ne fotografa la massima espressione artistica e dubito che possa anche rappresentare un’utile introduzione a quello che verrà, alla luce dei preannunciati cambiamenti stilistici e di line-up.
Hear Me Out uscì originariamente nel 1999, andando a collocarsi all’interno del filone del gothic doom con voce femminile che, in quel decennio, visse i momenti di massimo splendore: lo stile della band aostana era molto più asciutto e privo di fronzoli atmosferici rispetto a modelli quali Theatre Of Tragedy o Within Temptation, ma quell’esordio si rivelava ancora acerbo, soprattutto nell’interpretazione vocale di una Antonietta Scilipoti che, nei dischi successivi, sarebbe decisamente progredita contribuendo fattivamente alla riuscita di un buon lavoro come Outsleeping (2003).
Dopo qualche anno di silenzio, gli Even Vast diedero infine alle stampe nel 2007 Teach Me How to Bleed, album che mostrava una svolta elettronica sulla falsariga di quanto fecero a inizio millennio i già citati Theatre Of Tragedy con Musique, per poi non dare più segnali di attività fino a quest’anno.
Tornando a Hear Me Out, non mancavano brani di buona fattura (su tutti Foolish Game) ma la sensazione, oggi, è quella di ascoltare una band che si trovava ancora in una fase embrionale nella quale alcuni ottimi spunti risultavano frammisti a diverse imperfezioni, e le bonus track inserite nella riedizione, trattandosi di tracce registrate dal vivo, non fanno altro che accentuare gli aspetti negativi.
Della line-up originale è rimasto oggi il solo Luca Martello, nel frattempo trasferitosi in Inghilterra dove ha ridato vita alla band che dovrebbe aver virato decisamente verso lo sludge doom, abbandonando le pulsioni gotiche del decennio scorso.
Anche per questo, la riedizione dell’album d’esordio può rivelarsi utile nel tornare a far parlare degli Even Vast, ma rischia d’essere fuorviante per chi intendesse seguirli nella loro nuova avventura.

Tracklist:
1. Never Hear Me
2. Once Again
3. The One You Wish
4. Foolish Game
5. Memories
6. Energy
7. Believe Me
8. RU
9. The One You Wish (live) * bonus track
10. Once Again (live) * bonus track
11. Over (live) * bonus track

Line-up:
Antonietta Scilipoti – vocals
Luca Martello – guitars
Diego Maniscalco – bass
Paolo Baltaro – drums, keyboards

EVEN VAST – Facebook

Wildernessking – … And The Night Swept Us Away/The Devil Within

La label transalpina Les Acteurs De L’Ombre, dopo gli ottimi riscontri avuti dal primo full length, ristampa in un unico formato in vinile i primi due ep dei sudafricani Wildernessking.

Mystical Future aveva ben impressionato gli addetti ai lavori, un album sorprendente sotto tutti i punti di vista, a partire dal paese di provenienza del quartetto fuori dai soliti circuiti fino alla maturità artistica ed allo spessore dell’opera.
… And The Night Swept Us Away e The Devil Within risalgono rispettivamente nel 2012 e nel 2014 e rispecchiano in toto tutte le virtù riscontrate in seguito; il quartetto di Città del Capo conferma il proprio talento nel saper amalgamare il metal estremo dai rimandi black con atmosfere ricche di parti oniriche e malinconiche, risultando maturo già da questi splendidi primi passi.
La furia del black metal alternata a passaggi melodici ed atmosferici, chiamata superficialmente e più semplicemente post black, trova in questi brani una delle sue forme migliori, un’urgenza espressiva e rabbiosa che si scontra con delicate ed intimiste parti melodiche, tragiche e drammatiche nella loro perenne oscurità, ma in grado di trasmettere emozioni forti, con un talento non comune e riscontrabile con il contagocce anche nei paesi che hanno dato i natali a queste sonorità.
Improvvisi impulsi elettrici che si trasformano in tempeste di suoni estremi, si placano all’arrivo di atmosferici passaggi acustici, malinconici ed intimisti, ma assolutamente privi di forzature come se i Wildernessking avessero trovato lungo le strade della loro lontana ed affascinante terra il segreto per riuscire ad amalgamare sonorità così distanti tra loro, ma perfettamente inglobate nel loro songwriting, traducendolo in un susseguirsi di saliscendi emozionali, lungo il doloroso e sofferto spartito.
La titletrack del primo ep seguita, dalle trame acustiche di Morning, ne sono il perfetto esempio, passando dalle tempeste black della prima alle stupende melodie della seconda con una facilità disarmante, come la fine di una tempesta su Capo di Buona Speranza ed il ritorno naturale alla quiete, con il mare che piano ritorna ad addormentarsi.
L’album per intero si sviluppa su queste coordinate, passando dal capolavoro The Devil Within, title track del secondo ep, dove il black metal del gruppo non è mai stato così devastante e le parti atmosferiche così oscure e pregne di umori oscuri ed onirici.
Una band quella sudafricana alla quale, anche grazie a questa uscita, la definizione di cult band calza a pennello: un altro esempio di come la musica non abbia confini geografici, superateli, anche voi vi farete solo del bene.

TRACKLIST
… And The Night Swept Us Away:
1. 1. Adrift 03:33
2. 2. And The Night Swept Us Away 05:26
3. 3. Morning 06:01

The Devil Within:
4. 1. Lurker 04:22
5. 2. Flesh 04:27
6. 3. The Devil Within 10:05

Bonus Track:
Decay 02:56
And The Night Swept Us Away (live studio version) 05:11″

LINE-UP
Keenan Nathan Oakes – Vocals Bass
Dylan Viljoen – Guitars
Jesse Navarre Vos – Guitars
Jason Jardim – Drums

WILDERNESSKING – Facebook

Circle – Meronia

Meronia è un disco davvero grande e bellissimo, dove ci si può perdere nelle mille soluzioni sonore dei Circle, che producono un gran caleidoscopio sonoro.

La missione principale della gloriosa Svart Records è di portare alla luce i tesori nascosti dell’underground finlandese, e Meronia dei Circle è uno dei più lucenti.

Questa ristampa del disco del 1994 vede la luce in un doppio vinile con bonus track e in un cd. Originariamente editi da Bad Vugum, un’etichetta finlandese con un interessante catalogo, i Circle sono un gruppo di una piccola città della Finlandia, Pori, origine condivisa con i Deep Turtle, che li proposero all’etichetta. I Circle fanno tutto quello che facevano le vostre band preferite degli anni novanta ed anche di più. Noise, shoegaze, improvvisazione, in una mirabile commistione sonora di America e Gran Bretagna. Meronia è un disco davvero grande e bellissimo, dove ci si può perdere nelle mille soluzioni sonore dei Circle, che producono un gran caleidoscopio sonoro. Il disco all’epoca fu apprezzato moltissimo sia dal sottobosco che dal mainstream e segnò un’importante evoluzione dell’underground finlandese. Fuori dalla patria ebbe meno eco, e questa è una sfortuna perché è un disco eccezionale, che non è consigliato solo agli amanti del suono anni novanta, ma anche a tutti quelli che cercano cose solide e nuove, perché ancora adesso Meronia è molto avanti rispetto alla media attuale. I Circle ci accompagnano per mano in una lunga escursione sul pianeta Meronia, e ciò provoca dipendenza e voglia di ascoltarlo cambiando l’ordine delle tracce, sentendo in ripetizione una traccia, un rumore, una nota che pare essere l’architrave del tutto. Tutte le canzoni potrebbero essere un singolo e due o tre canzoni prese a caso sarebbero degli ottimi 7”. Ogni pezzo ha dentro almeno uno o due generi diversi. Meronia è certamente figlio di un clima musicale difficilmente ripetibile, dove le commistioni diventavano naturali e si faceva il tutto con molta naturalezza e voglia di divertirsi. Il disco è davvero bello, intenso e fortunatamente lungo. I Circle son ancora in attività e fanno sempre grande musica, ma Meronia è oltre la grande musica, è Meronia.

TRACKLIST
1.Ed-Visio
2.Curwen
3.Wherever Particular People Congregate
4.Meronia
5.DNA
6.Hypto
6.Nude
7. Colere
8.Staalo
9.Kyberia
10.Gravion
11.Ferrous
12.Scoop
13.Merid
14.Espirites

LINE-UP
J. Jääskeläinen – guitar
P. Jääskeläinen – guitar
J. Lehtisalo – bass, vocals
M. Rättö – keyboards, vocals
T. Leppänen – drums
J. Westerlund – guitar, vocals

CIRCLE – Facebook