ESHUNA

Il music video di Victory, nuovo singolo degli Eshuna.

La progressive death metal band romana Eshuna rilascia il nuvo singolo Victory.

“Il brano tratta sia a livello testuale che musicale la tematica del conflitto intrinseco nella natura umana. La vittoria, in questione, rappresenta il punto di equilibrio raggiunto tra le due forze primordiali presenti nell’uomo: l’apollineo e il dionisiaco, la mente e il corpo, la terra e il mare.
Musicalmente è possibile percepire questa conflittualità dall’assiduo accostamento di cori e melodie, quasi angeliche, che contrastano con voci ed atmosfere tetre.
Il brano si evolve in un crescendo di ritmiche incalzanti che hanno il loro culmine in una serie di parti solistiche strumentali.”

https://www.facebook.com/EshunaOfficialBand/

Behemoth – Messe Noire

Mastodontico live che fotografa i Behemoth nel 2018, Messe Noire è un lavoro da non perdere per i fans del gruppo di Nergal e per gli amanti del metal estremo.

Più che un semplice live, Messe Noire è la celebrazione del pensiero di Nergal, uomo libero da dogmi, diventato un simbolo dell’indipendenza da imposizioni di qualunque genere: un delirio estremo che se, nel formato in cd viene limitato da una scaletta stringata ed indulgente verso l’ultimo The Satanist, nella versione DVD/Blu-Ray si trasforma in un prodotto imperdibile per i fans della band e del death/black metal.

Per chi ha amato l’ultimo lavoro, questa versione è comunque perfetta per entrare nel mondo live del gruppo, l’atmosfera che si respira all’ascolto risulta ipnotica e d’impatto, con il pubblico soggiogato dal carisma di Nergal e compagni, “sacerdoti” di una liturgia satanica che affascina e stordisce, nel suo essere blasfema e terrorizzante con il suo lucido e chirurgico andamento.
I brani seguono pedissequamente la scaletta di The Satanist, dall’opener Blow Your Trumpets Gabriel, passando per la title track, Ora Pro Nobis Lucifer, valorizzata da un lavoro ritmico straordinario, e per la terrificante e quanto mai ricca di atmosfere sacrileghe The Satanist.
O Father O Satan O Sun!, nel suo epico e ed oscuro incedere, conclude questo viaggio all’inferno in compagnia di Nergal e compagni, una delle più grandi band che il genere possa vantare al momento, famosa e rispettata quel tanto che basta per giungere con la sua nera arte ed il suo oltraggioso pensiero a tutti gli amanti del metal estremo di scuola death/black.
Come scritto, la versione DVD/Blu-Ray risulta più completa e consigliata ai fans del gruppo, mentre quella in cd/vinile, pur registrando la presenza delle sole tracce che compongono The Satanist, risulta comunque un manifesto live affascinante e perfetto nel fotografare i Behemoth nel 2018.

Tracklist
‘Live Satanist‘ (Warsaw 2016):
01 – “Blow Your Trumpets Gabriel”
02 – “Furor Divinus”
03 – “Messe Noire”
04 – “Ora Pro Nobis Lucifer”
05 – “Amen”
06 – “The Satanist”
07 – “Ben Sahar”
08 – “In The Absence Ov Light”
09 – “O Father O Satan O Sun!”
10 – “Ov Fire And The Void”
11 – “Conquer All”
12 – “Pure Evil And Hate”
13 – “At The Left Hand Ov God”
14 – “Slaves Shall Serve”
15 – “Chant For Ezkaton 2000”

‘Live Assault‘ (‘Brutal Assault‘ 2016):
01 – “Blow Your Trumpets Gabriel”
02 – “Furor Divinus”
03 – “Messe Noire”
04 – “Ora Pro Nobis Lucifer”
05 – “Amen”
06 – “The Satanist”
07 – “Ben Sahar”
08 – “In The Absence Ov Light”
09 – “O Father O Satan O Sun!”
10 – “Ov Fire And The Void”
11 – “Conquer All”
12 – “Chant For Ezkaton 2000”

‘The Satanist: Cinematic Archive (music videos):
“Blow Your Trumpets Gabriel”
“Messe Noire”
“Ora Pro Nobis Lucifer”
“The Satanist”
“Ben Sahar”
“O Father O Satan O Sun!”

CD Track list:
01 – “Blow Your Trumpets Gabriel”
02 – “Furor Divinus”
03 – “Messe Noire”
04 – “Ora Pro Nobis Luficer”
05 – “Amen”
06 – “The Satanist”
07 – “Ben Sahar”
08 – “In The Absence Ov Light”
09 – “O Father O Satan O Sun!”

Line-up
Nergal – Vocals & Guitars
Seth – Guitars
Orion – Bass
Inferno – Drums

BEHEMOTH – Facebook

Emerald Sun – Under The Curse Of Silence

Rage, Firewind e Gamma Ray: se siete fans di questi gruppi troverete in Under The Curse Of Silence un vostro fedele alleato, colmo com’è di cavalcate arrembanti e mid tempo forgiati sul monte dove dimorano gli dei. Un album con alti e bassi consigliato solo ai fans accaniti del genere che potranno ritrovarci tutti gli stratagemmi usati ed abusati dalle band storiche dei suoni power.

Il power metal classico, ormai lasciato ad agonizzare nelle sabbie mobili dell’underground, continua a faticare per riemergere sul mercato come una ventina d’anni fa , anche se i gruppi validi non mancano, specialmente nel sud Europa che sembra ormai diventata la culla del genere scalzando Germania e Scandinavia.

La mappa del power metal si è spostata sulle rive del Mediterraneo, con l’Italia in primissimo piano e la Spagna e la Grecia a seguire.
Gli Emerald Sun provengono proprio dalla terra del Monte Olimpo e sono attivi invero già dalla fine del secolo scorso, con tre full length pubblicati prima di questo ultimo capitolo intitolato Under The Curse Of Silence.
Il sestetto proveniente da Salonicco torna dunque all’assalto con il suo power metal che si nutre di tutti i cliché del genere nato in territorio tedesco, ma che non disdegna a tratti qualche finezza alla Firewind, sovrani del power metal ellenico.
Il problema di questo lavoro è la durata, quasi un’ora di suoni ed atmosfere che si ripetono senza oltrepassare la soglia della sufficienza, problema che diventa serio dopo una quarantina di minuti persi tra mid tempo, solos melodici, accelerazioni e doppia cassa che va di pari passo con chorus epici.
Un taglio alla track list avrebbe giovato ad un album che parte bene con Kill Or Be Killed, All As One e Carry On, ha nell’epica e battagliera Weakness And Shame il punto più alto e poi però comincia a perdere colpi fino ad arrivare alle ultime battute zoppicando non poco.
Rage, Firewind e Gamma Ray: se siete fans di questi gruppi troverete in Under The Curse Of Silence un vostro fedele alleato, colmo com’è di cavalcate arrembanti e mid tempo forgiati sul monte dove dimorano gli dei. Un album con alti e bassi consigliato solo ai fans accaniti del genere che potranno ritrovarci tutti gli stratagemmi usati ed abusati dalle band storiche dei suoni power.

Tracklist
01.Kill Or Be Killed
02.All As One
03.Carry On
04.Blast
05.Weakness And Shame
06.Journey Of Life
07.Rebel Soul
08.Land Of Light
09.Slaves To Addiction
10.Fame
11.World On Fire
12.La Fuerza Del Ser (bonus Track)

Line-up
Fotis “Sheriff” Toumanides – Bass
George Baltas – Drums
Paul Georgiadis – Guitars
Johnnie Athanasiadi – Guitars
Sefis Gioldasis – Keyboards
Stelios “Theo” Tsakirides – Vocals

EMERALD SUN – Facebook

Freitot – Freitot

Freitot è un godimento per orecchie magari un po’ usurate, ma non abbastanza da diventare refrattarie a certi suoni, e se death metal dev’essere questo è proprio del tipo che non ci si stanca mai di ascoltare.

Freitot è un trio francese, al suo esordio con un album autointitolato, nel quale troviamo musicisti già abbastanza conosciuti della scena transalpina.

Se Fabien Desgardins ed Etienne Sarthou sono noti soprattutto agli adepti del death metal, Arno Strobl è sicuramente un vocalist che non ha bisogno di troppe presentazioni a chi è attento anche a sonorità più sperimentali, come quelle dei Carnival in Coal o degli We All Die Laughing (dove ha fatto coppia con il geniale Déhà).
L’album in questione, invece, di innovativo non ha proprio un bel niente, ma non è detto che ciò sia un male, anzi: se si decide si suonare un death metal tradizionale, scevro da pulsioni moderniste, ammorbidimenti melodici o ghirigori progressivi, ecco, questo è il modo giusto.
Il growl di Strobl non teme confronti, mentre i suoi due compari erigono montagne di riff senza dimenticare ottimi passaggi solisti: il sound tratteggia umori degni di luoghi poco accoglienti, come testimonia la copertina, e oscilla tra pulsioni più brutali e momenti più accattivanti e ricchi di groove, la ricetta magica che consente di godere appieno e a lungo di un lavoro di tal fatta.
Un brano fantastico come Father lo possono scrivere solo musicisti capaci di padroneggiare la materia con estrema disinvoltura, ma è solo il picco di un lavoro che ha il grande pregio di non annoiare, soprattutto se queste sonorità fanno parte dei propri ascolti fin dal secolo scorso, quando una band come per esempio i Gorefest (con i quali trovo diversi punti di contatto) era in grado di mettere a ferro e fuoco l’audience, non solo annichilendola sotto violente bordate ma aggredendola, semmai, con le proprie evolute trame musicali.
Freitot è un godimento per orecchie magari un po’ usurate, ma non abbastanza da diventare refrattarie a certi suoni, e se death metal dev’essere questo è proprio del tipo che non ci si stanca mai di ascoltare.

Tracklist:
1. The Human Drawer
2. Mission
3. …And Your Enemy Closer
4. Father
5. Love Is All Around
6. Lost In Meaning
7. The Last Room on the Left
8. Yoko

Line-up:
Fabien “Fack” Desgardins – Guitars (lead)
Arnaud Strobl – Vocals
Etienne Sarthou – Guitars (rhythm), Bass, Drums

Jyotiṣavedāṅga – Thermogravimetry Warp Continuum

Thermogravimetry Warp Continuum è un impressionante monolite death/black/noise.

Primo abominoso parto su lunga distanza (ma nemmeno troppo, considerando che non raggiunge la mezz’ora di durata) per questa band composta da musicisti indiani e russi.

Jyotiṣavedāṅga è un testo di astronomia vedica, il che fa presupporre che difficilmente ci ritroveremo alle prese con sonorità scontate: Thermogravimetry Warp Continuum è infatti un impressionante monolite death/black/noise che lascia uno spazio pressoché nullo alla melodia.
Il trio esibisce un sound cupo, che si snoda tra accelerazioni più vicine al grind che al black, solo di tanto in tanto rese più intelligibili da brevi pause e rallentamenti sconfinanti nel doom, ingentiliti anche da qualche notevole intarsio chitarristico come avviene nella spaventosa traccia conclusiva Imploding Linear Fusion Propulsion System.
Un growl impietoso, poggiato su un lavoro strumentale dai toni quanto mai ribassati, ci respinge al mittente, impedendoci l’ingresso in un qualche universo parallelo dove alberga una sapere che è all’uomo è per sempre negato.
I brani sono vere e priore deflagrazioni, il suono di corpi celesti che collidono, creando nuovi modi dall’annientamento di altri, con la morte a generare vita in un ciclo continuo: l’opera dei Jyotiṣavedāṅga è qualcosa che non può lasciare indifferenti, a patto di non farsi condizionare negativamente da un fragore che, quando si fa musica, diviene a tratti irresistibile.

Tracklist:
1. Distress Signal: Source Unknown
2. Quantum Integers Systematic Deduction
3. Bilateral Indexing Theory
4. Protocol Hyper Sterilization on Initialize
5. Vector Photon Gammaburst
6. Imploding Linear Fusion Propulsion System

Line-up:
Sadist – Guitars
H. – Synths, Noise, Effects
AR – Vocals

JYOTISAVEDANGA – Facebook

Synaptik – Justify & Reason

Tecnicamente bravissima, ma con ancora qualcosa in termini di personalità da perfezionare, la band inglese è una realtà metallica da seguire con attenzione cercando di non perderne le tracce, perché l’opera sopra le righe potrebbe arrivare da un momento all’altro.

I Synaptik sono una band inglese attiva dal 2012 ma poco conosciuta dalle nostre parti.

Suonano progressive thrash metal e Justify & Reason è il loro secondo album che segue di tre anni il debutto The Mechanisms of Consequence, riprodotto nel secondo cd che completa l’opera.
Meriterebbero molta più attenzione di quella che gli è stato attribuito fino ad ora i thrashers britannici, perché il sound prodotto su queste due fatiche risulta un devastante, tecnicissimo e melodico esempio di thrash metal progressivo accostabile alle opere di Sanctuary e Nevermore, così come Fates Warning e Watchtower, con il vocalist Alan Tecchio (anche con gli Hades) in veste di ospite su Your Cold Dead Trace, brano tratto dal primo lavoro.
Grande tecnica al servizio di brani trascinati e dalle atmosfere drammatiche, un cantante (John Knight) che segue le orme del compianto Warrel Dane e per i Synaptik il gioco è fatto, semplice a dire molto più difficile da elaborare.
Il sound del gruppo, a tratti, si specchia un po troppo nelle intricate trame del metal progressivo, affacciandosi sullo spartito in mano ai Dream Theater, mentre si rivelano un portento quando attaccano al muro con ritmi incalzanti e sfumature nevermoriane.
Justify & Reason va giudicato per quello che è, un ottimo lavoro supportato da un songwriting di buon livello e dall’ottima tecnica dei suoi protagonisti: brani come The Incredible Machine o Esc Ctrl hanno il solo difetto di seguire trame già scritte a suo tempo dai gruppi citati, un peccato veniale che non inficia la buona qualità generale della loro musica.
Tecnicamente bravissima, ma con ancora qualcosa in termini di personalità da perfezionare, la band inglese è una realtà metallica da seguire con attenzione cercando di non perderne le tracce, perché l’opera sopra le righe potrebbe arrivare da un momento all’altro

Tracklist
Disc 1
1.The Incredible Machine
2.Human / Inhuman
3.Conscience
4.White Circles
5.Esc Ctrl

Disc 2
1.Truths That Wake
2.A Man Dies
3.I Am The Ghost
4.Your Cold Dead Trace (feat. Alan Tecchio)
5.Irresistable Shade
6.Vacancy Of Mind
7.As I Am, As I Was
8.Utopia In Our Eyes
9.All Lies
10.Allies
11.Your Cold Dead Trace [Tecchio Mix]

Line-up
John Knight – Vocals
Ian knight – Guitars
Kev Jackson – Bass
Jack Murton – Guitars
Pete Loades – Drums

Lou Quinse – Lo Sabbat

Un bellissimo canto di ribellione, un non sottomettersi alla Chiesa, ai padroni e all’autorità, un cantico di povertà e di tendini sanguinanti, la storia dei perdenti che per la durata di un sabba sono liberati dal demonio: musicalmente è un tesoro unico, una gioia, bellissimo, perfino difficile da esprimere a parole, ascoltatelo.

Quando arriva Lou Quinse il Sabbat può cominciare. Questo gruppo ha una potenza, una poetica talmente debordante che in un attimo vi troverete a muovervi come ossessi sulle montagne occitane, mentre l’inquisitore Eymerich vi sta cercando più a valle.

I Lou Quinse sono la nostra radice medioevale, dove Cristo non era ancora così radicato, e in certe valli e montagne non lo è ancora adesso. Questi misteriosi musicisti torinesi hanno fondato il gruppo nel 2006 sulle montagne di Balme in val D’Ala, in piena regione occitana, e ci portano dentro le nostre tradizioni più vere e demoniache. Le storie che raccontano i Lou Quinse sono le vite di coloro che la Storia ha definito perdenti, ma che hanno continuato a vivere i loro luoghi e a pregare il nero signore, perché quando si ha fame e si è poveri Dio è molto lontano. I Lou Quinse sono un gruppo unico, hanno uno stile ed una potenza inarrivabile, mischiano perfettamente folk e black o death metal, e fanno un genere unico, da loro stessi definito alpine extreme metal folkcore. Il diavolo è qui il protagonista di questo sabba in tra atti di quattro canzoni ciascuno, dove i Lou Quinse reinterpretano a loro maniera un repertorio tradizionale. Il disco è bellissimo come il primo omonimo, anzi di più. Qui c’è una corrente che scorre impetuosa da migliaia di anni e non muore mai, perché viene dalla terra stessa, ed è legata ai veri ritmi dell’uomo della natura, una carnalità luciferina nel vero senso della parola, totalmente umana. Musicalmente è un disco impressionante, gli strumenti antichi e quelli nuovi si fondono perfettamente in una combinazione magica da sabba vero. Alla produzione c’è Tino Paratore, del quale basterebbe anche solo il nome, e poi il disco è stato ulteriormente perfezionato da Tom Kvalsvoll ad Oslo. Un bellissimo canto di ribellione, un non sottomettersi alla Chiesa, ai padroni e all’autorità, un cantico di povertà e di tendini sanguinanti, la storia dei perdenti che per la durata di un sabba sono liberati dal demonio, sia sempre lode a lui.
Musicalmente è un tesoro unico, una gioia, bellissimo, perfino difficile da esprimere a parole, quindi ascoltatelo. Inoltre il libretto è una piccola opera d’arte a se stante, in stile liberty.
Parliamo tranquillamente di capolavoro demoniaco.

Tracklist
1.Sus la Lana
2.Chanter, Boire et Rire Rire
3.Diu Fa’ ma Maire Plora
4.La Dançarem Pus
5.Lo Cuer dal Diaul
6.Dessus la Grava de Bordeu
7.Giga Vitona
8.Purvari e Palli
9.Lo Boier
10.La Martina
11.La Marmota
12.Sem Montanhols

Line-up
IX.L’ERMITE – voice and growls
I.LO BAGAT – diatonic accordeon
VII.LO CARRETON – flutes and pipes
XIX.LO SOLELH – guitars and Irish bouzouki
XVIII.LA LUNA – bass guitar
.LO MAT – drums and percussions

LOU QUINSE – Facebook

MAZE OF SOTHOTH

Il video di “The Outsider” dal’album “Soul Demise” (Everlasting Spew).

Il video di “The Outsider” dal’album “Soul Demise” (Everlasting Spew).

Official videoclip for the track “The Outsider” off the album “Soul Demise”

Hogs – Fingerprints

Fingerprints rappresenta tre quarti d’ora di puro divertimento, suonato a meraviglia e con la sorpresa dietro al microfono del giovane cantante Simone Cei, un mostro di bravura ed emozioni al servizio del rock di questo supergruppo nostrano.

Difficile rimanere indifferenti al ritmo imposto da questa raccolta di brani creati dagli Hogs, band che tra le sue fila accoglie musicisti di un certo spessore come Francesco Bottai (turnista per Irene Grandi, Articolo 31), Pino Gulli (Dharma, Anhima e C.S.I) e Luca Cantasano, dal 2010 nei Diaframma, a cui si aggiunge il cantante Simone Cei.

Fingerprints è il loro secondo album licenziato da Red Cat, come il primo Hogs In Fishnets (uscito nel 2015), ed è caratterizzato da un sound che si muove tra gli anni settanta e novanta, caldo come il funky ed il blues, generi che vivono tra le note di brani irresistibili così come il miglior rock’n’roll.
Fingerprints rappresenta tre quarti d’ora di puro divertimento, suonato a meraviglia e con la sorpresa dietro al microfono del giovane cantante Simone Cei, un mostro di bravura ed emozioni al servizio del rock di questo supergruppo nostrano.
L’anima funky del sound è l’asso nella manica degli Hogs che, senza tregua, ci regalano undici splendide tracce tra Led Zeppelin, Glenn Hughes e Primus, con l’opener Man Size che dà fuoco alle polveri che esplodono in fuochi d’artificio hard rock.
La band il suo mestiere lo sa fare alla grande, ci costringe a muovere il corpo, a battere piedi, a cantare ritornelli che entrano in testa al primo passaggio, a seguire le linee di un basso che comanda le operazioni e ordina alla sei corde di esaltarci con riff di scuola settantiana, mentre le pelli tremano sotto il ritmo funky/rock di Stinking Like A Dog o il reggae della splendida Down To The River.
Another Down ricorda il miglior Lenny Kravitz, l’album scivola via tra il rock duro di Can’t Find My Home e le ballate blues Jewish Vagabond, Just For One Day, finale emozionante di questo gioiellino fuori dal tempo.
Grandi musicisti, bellissime canzoni ed atmosfere che ricordano il più puro spirito rock’n’roll: Fingerprints diverte, incanta e sorprende.

Tracklist
1.Man Size
2.Stinking Like A Dog
3.Mr.Hide
4.Australia Summerland
5.Down To The River
6.Another Down
7.Man Of The Scores
8.Can’t Find My Home
9.Jewish Vagabond
10.Don’t Stop Moving
11.Just For One Day

Line-up
Simone Cei – Vocals
Francesco Bottai – Guitars
Luca cantasano – Bass
Pino Gulli – Drums

HOGS – Facebook

Adversvm – Aion Sitra Ahra

Un’opera notevole, in grado di portare in grande evidenza in ambito funeral un nome nuovo come quello degli Adversvm.

Adversvm è un progetto proveniente dalla Bassa Sassonia del quale poco si sa se non che Aion Sitra Ahra è il primo lavoro su lunga distanza che esce sotto l’egida della label.

Il genere offerto, comunque, lascia poco spazio a digressioni particolari, trattandosi di un funeral doom di grande ortodossia ed altrettanta competenza esecutiva, doti facilmente riscontrabili fin dall’opener Anti-Stellar Gnosis To The Acausal Nexus, lunga traccia che era già presente nel demo pubblicato lo scorso anno.
Il funeral degli Adversvm è sufficientemente melodico e allo stesso tempo dolente lasciando fin da subito notevoli sensazioni: anche la seconda traccia PS. XIII Maledictvm faceva parte del suddetto demo ed è difficile trovare grande discontinuità, quindi, rispetto a quanto già sentito, anche se qui affiorano riferimenti al versante più dissonante del genere, quindi Mournful Congregation, Esoteric, senza dimenticare un nome meno titolato ma di grande spessore come quello dei Doomed del connazionale Pierre Laube.
Questi venti minuti di musica paiono già sufficienti per constatare come gli Adversvm siano una sorpresa davvero gradita, ma l’album offre ancora molto dopo l’interludio strumentale Disequilibrium Evokes The Fifth Coronation; la title track si dimostra, infatti, una bella prova di forza quando i ritmi si intensificano privilegiando l’impatto alla melodia, mentre Est In Fatis è piuttosto particolare, con la stentorea voce campionata che viene accompagnata da riff catacombali.
Chiudono il lavoro i sei minuti dronici di Current 218, pietra tombale su un’opera notevole, in grado di portare in grande evidenza un nome nuovo come quello degli Adversvm.

Tracklist:
1. Anti-Stellar Gnosis To The Acausal Nexus
2. PS. XIII Maledictvm
3. Disequilibrium Evokes The Fifth Coronation
4. Aion Sitra Ahra
5. Est In Fatis
6. Current 218

Line-up:
S.B.  – vocals, guitars, bass

Celtachor – Fiannaíocht

Il disco è molto piacevole, ben composto e suonato: si rimane incollati ad ascoltare vicende sempre vive nel cuore degli uomini e il celtic black metal è un ottimo modo per continuare a tramandare queste tradizioni che sono sempre vive.

L’Irlanda è una terra di tenaci miti e leggende dove il cristianesimo è radicato, ma dietro a questa religione resistono molto bene figure e racconti che provengono da lontano, come quello messo in musica dal gruppo dublinese Celtachor, che qui mette in musica le gesta di Finn dei Fianna, una figura mitologica fra le più importanti nell’isola di smeraldo.

I Celtachor sono attivi dal 2010 e fanno un ottimo celtic black metal, con forti influenze folk e carico di momenti epici, con grandi prati macchiati di sangue. Rispetto ad altri gruppi connazionali i Celtachor non usano sempre il black metal, che rimane comunque nel loro carnet musicale, anche se non è l’unica peculiarità. La loro musica è una narrazione epica essa stessa, scandita da un cantato sia in chiaro che più raramente in growl, e da una forte sottotraccia doom metal, che regala maggior malinconia e forza al quadro generale. I Celtachor non sono assolutamente un gruppo scontato e riservano molte sorprese, ma soprattutto una narrazione possente e piena. Ascoltando Fiannaíocht sembra davvero di essere al fianco di Finn, il mitico guerriero cacciatore e della sua gente, i Fianna. Le sue gesta compongono il ciclo feniano che è uno dei corpus centrali della mitologia celtica ed irlandese. I Celtachor musicano perfettamente queste narrazioni archetipe, di una sapienza e di un folclore lontano nel tempo ma non nella sua essenza. Il disco, il secondo per la Trollzorn dopo Nuada Of The Silver Arm, è molto piacevole, ben composto e suonato: si rimane incollati ad ascoltare vicende sempre vive nel cuore degli uomini e il celtic black metal è un ottimo modo per continuare a tramandare queste tradizioni che sono sempre vive. L’Irlanda colpisce ancora con uno dei migliori gruppi di celtic black metal.

Tracklist
01. Sons Of Morna
02. King Of Tara
03. Tuiren
04. The Search For Sadbh
05. Caoilte
06. Great Ships Came From Over The Waves
07. The Battle On The Shore
08. Tears Of Aoife
09. Cauldron Of Plenty
10. Dubh, Dun Agus Liath

Line-up
Stephen Roche – Vocals/Whistles
David Quinn – Guitar/Backing Vocals
Anaïs Chareyre – Drums/Bodhran/Backing Vocals
Fionn Stafford – Guitar/Backing Vocals
Robert Macdomhnail – Bass/Bouzouki/Harp
Liam Henry – Violin/Harp

CELTACHOR – Facebook

Nox Interna – A Minor Road

A Minor Road dice ancora poco sui Nox Interna odierni, se non il fatto d’esser in presenza di un musicista dal buon potenziale che deve trovare ancora la sua forma d’espressione ideale e più completa.

Nox Interna è il nome del progetto gothic rock del musicista spagnolo Richy Nox, di stanza però da diversi anni a Berlino.

Il sound offerto in questo ep contenente tre brani e del tutto in linea con le aspettative del genere, con un’offerta che si colloca nella scia di band ben note sul suolo tedesco come Mono Inc., quindi dal buon impatto melodico ed una spruzzata di ruvidezza inferta da qualche riff più deciso, anche se a livello di influenze vengono citati tra gli altri i Sisters Of Mercy dei quali, francamente, non è che se ne rivengano soverchie tracce oggi, a differenza dei lavori precedenti nei quali il sound appariva molto più cupo e screziato di pulsioni industriali.
La title track è senz’altro gradevole ma non esalta, molto meglio allora Doom Generation, più accattivante e varia e dalle maggiori chances di fare breccia negli ascoltatori.
Il terzo brano è la stracoverizzata Entre Dos Tierras degli Heroes del Silencio, brano che si ascolta sempre volentieri e che Richy Nox ripropone in versione più ritmata, senza ovviamente sfigurare nella parte cantata potendolo interpretare in lingua madre.
A Minor Road dice ancora poco sui Nox Interna odierni, se non il fatto d’esser in presenza di un musicista dal buon potenziale che deve trovare ancora la sua forma d’espressione ideale e più completa.

Tracklist:
1. A Minor Road
2. Doomed Generation
3. Entre Dos Tierras

Line-up:
Richy Nox

NOX INTERNA – Facebook

Niamh – Corax

Corax è un buon lavoro, l’appeal e il taglio internazionale del sound rendono consigliato l’ascolto di una raccolta di canzoni che richiamano tanto la band del compianto Chester Bennington, quanto i Deftones in versione metalcore.

Alternative metal di buon livello è il sound proposto dai Niamh, gruppo proveniente da Vercelli composto da musicisti con passate esperienze in band come Indigesti e Arcadia.

La band piemontese offre un metal moderno ed alternativo ispirato al sound dominante nei primi anni del nuovo millennio, bilanciato con spaccati metalcore: questo troverete in Corax, album composto da sette tracce inedite più la cover di Maniac, brano tratto dalla colonna sonora del film Flashdance.
Rock, metal e non poche divagazioni elettroniche sono la ricetta con cui i Niamh deliziano i palati dei fans del genere, le sfuriate metalcore sono addolcite da un uso abbondante di melodie accattivanti di scuola Linkin Park, rendendo vario l’ascolto.
Davvero ottime le linee vocali, specialmente (e non è così scontato nel genere) nei ritornelli ultra melodici, colme di groove le ritmiche che quando alzano il muro di mattoni core fanno male.
Corax è un buon lavoro, l’appeal e il taglio internazionale del sound rendono consigliato l’ascolto di una raccolta di canzoni che richiamano tanto la band del compianto Chester Bennington, quanto i Deftones in versione metalcore; un esordio che piace per una band che ha già trovato una sua strada ben delineata, per farsi spazio nel mondo affollato dell’alternative metal.

Tracklist
1. Putting The Fun In FUNeral
2. The WOW Effect
3. Eat. Pray. Kill.
4. Mrs Fletcher’s Relatives
5. My Antichrist Anaemia
6. The Voices Made Me Do It
7. Paracetamolotov
8. Maniac

Line-up
Bellix – Drums
Mike – Vocals
Tommy – Guitars
Mateja – Bass

NIAMH – Facebook

GRIND ZERO

Il video di Master’s Pleasure, dall’album Concealed In The Shadow di prossima uscita.

Il video di Master’s Pleasure, dall’album Concealed In The Shadow di prossima uscita.

GRIND ZERO – Master’s Pleasure (OFFICIAL VIDEO).
Taken from the album “Concealed In The Shadow”, out May 25th, 2018.

Kino – Radio Voltaire

Radio Voltaire è un lavoro dedicato non solo ai fans dei gruppi da cui i musicisti provengono, ma ad uso e consumo anche di tutti quelli che amano la musica rock infarcita di grandi melodie.

Tredici anni dopo il loro debutto Picture tornano i Kino, super gruppo che vede impegnati John Mitchell (Arena, It Bites, Lonely Robot), Pete Trewavas (Marillion), Craig Blundell (Steven Wilson) e John Beck (It Bites), pubblicano questo sognante esempio di rock progressivo dal titolo Radio Voltaire.

Un album, questo, che conferma il talento dei musicisti, soprattutto per quanto riguarda il songwriting di altissima qualità supportato dalla tecnica sopraffina, ma che lascia spazio a canzoni che risultano una più bella dell’altra.
Rock e pop vengono rivisitati in chiave progressiva e moderna, per una raccolta di emozionanti brani che, nel corso dei cinquantacinque minuti di durata, non scendono mai da un livello qualitativo eccellente, regalando note ariose, magnificamente melodiche e progressive, come se i Genesis orfani di Peter Gabriel e Steve Hackett, incontrati gli Yes e i Marillion, cominciassero a suonare diretti da Gary Hughes dei Ten (I Don’t Know Why).
Radio Voltaire sorprende ad ogni passaggio, alternando brani dal piglio radiofonico a delicate ballad dal sapore folk, in un saliscendi emozionale che vede l’ascoltatore circondato da un sound pieno e a tratti melodicamente pomposo, o cullato da note acustiche di rara bellezza.
Non c’è un brano che sia uguale all’altro nella track list di questo lavoro, arrivato dopo una lunga attesa dei fans, i quali vengono ripagati dalle trame progressive di Out Of Time, dai ritmi rock wave di Grey Shapes On Concrete Fields e dalla ballad dal sapore aor Keep The Faith.
In poche parole, Radio Voltaire è un lavoro dedicato non solo ai fans dei gruppi da cui i musicisti provengono, ma ad uso e consumo anche di tutti quelli che amano la musica rock infarcita di grandi melodie.

Tracklist
1. Radio Voltaire
2. The Dead Club
3. Idlewild
4. I Don’t Know Why
5. I Won’t Break So Easily Any More
6. Temple Tudor
7. Out Of Time
8. Warmth Of The Sun
9. Grey Shapes On Concrete Fields
10. Keep The Faith
11. The Silent Fighter Pilot
Bonus tracks
12. Temple Tudor (Piano Mix)
13. The Dead Club (Berlin Headquarter Mix)
14. Keep The Faith (Orchestral Mix)
15. The Kino Funfair

Line-up
John Mitchell – Vocals, Guitars
Pete Trewavas – Bass, Synths
Craig Blundell – Drums
Special guest:
John Beck – keyboards

KINO – Facebook

Johansson & Speckmann – From The Mouth Of Madness

From The Mouth Of Madness segue di pari passo il suo predecessore, con la coppia che sfoga i suoi istinti estremi, ma in maniera più diretta e fruibile che in passato e quindi ancora più meritevole d’attenzione.

Torna con un nuovo lavoro una delle tante collaborazioni del buon Rogga Johansson, quella con lo storico vocalist e bassista americano Paul Speckmann dei Master.

La coppia, accompagnata in questo nuovo massacro da Kjetil Lynghaug alla sei corde e Brynjar Helgetun (che si è occupato anche del mixaggio e della masterizzazione) alle pelli, arriva al traguardo del quarto full lenght di una fruttuosa collaborazione iniziata nel 2012, su di un brani inserito nel primo album dei Megascavenger.
Come ormai da tradizione, il duo ci attacca al muro con mezzora di death metal più americano che scandinavo, anche se in qualche riff e assolo non manca di ricordarci la band madre di Johansson, i Paganizer.
Death metal old school con un’impronta hardcore come nei lavori precedenti, uno Speckmann dall’ugola cartavetrata ed il suo compagno che, con Lynghaug, rifila riff su riff, supportati dal drumming forsennato di Helgetun.
Una mazzata che, veloce come un lampo, passa e distrugge come una tromba d’aria, con l’opener The Demons Night che ci inganna con il suo piglio nord europeo, mentre già dalla successiva Is This Just Virtual?, il sound si sposta decisamente verso un death metal disseminato di sfumature thrash/core.
From The Mouth Of Madness segue di pari passo il suo predecessore, con la coppia che sfoga i suoi istinti estremi, ma in maniera più diretta e fruibile che in passato e quindi ancora più meritevole d’attenzione.

Tracklist
1. The Demons Night
2. Is This Just Virtual?
3. Remove The Creep
4. Condemned
5. Why Fear
6. Heal The Strain
7. The Heathen Of The Night
8. The Fallen Angel
9. Kill And Kill

Line-up
Paul Speckmann – Vocals
Rogga Johansson – Guitars, Bass
Kjetil Lynghaug – Lead Guitars
Brynjar Helgetun – Drums

JOHANSSON & SPECKMANN – Facebook

Matalobos – Until Time Has Lost All Meaning

Breve ep per i messicani Matalobos, fautori di un death doom melodico di buona fattura.

Breve ep per i messicani Matalobos, fautori di un death doom melodico di buona fattura.

La band centroamericana ha all’attivo un solo full length, ma decisamente il contenuto di Until Time Has Lost All Meaning fa pensare che i tempi siano maturi per compiere un ulteriore sotto di qualità.
Il lavoro si apre con la traccia più lunga, Of Ghosts and Yearning, un esempio pratico del buon potenziale in possesso del quartetto di Leon, il quale ovviamente si muove lungo le coordinate ben codificate del genere ma mettendoci abbastanza del proprio, tra passaggi acustici, dolenti progressioni melodiche ed un growl incisivo; il secondo più breve brano, In Flesh Engraved, appare più orientato al death metal andandosi a collocare sulla scia dei Novembers Doom in più di un frangente.
Chiude l’ep il sognante strumentale La luz del día muere, episodio che depone a favore anche di un sicuro talento esecutivo.
Se con Arte Macabro i Matalobos avevano posto le basi per arrivare a produrre un death doom di sicuro spessore, con Until Time Has Lost All Meaning arriva quel consolidamento che non può che sfociare in un’opera su lunga distanza in grado di imporre all’attenzione della scena il gruppo messicano, almeno questo è l’auspicio.

Tracklist:
1. Of Ghosts and Yearning
2. In Flesh Engraved
3. La luz del día muere

Line-up:
E. Santamaría – Guitars
Dante – Vocals
De Anda – Bass
C. Escalona – Drums
Germán N. – Guitars, strings

MATALBOS – Facebook

2017

Cabrakaan – Songs From Anahuac

Un ep molto originale e pieno di pathos, di vitalità messicana e di melodie ragionate, dove anche le durezze stanno bene nel contesto, dato che i Cabrakaan sono un gruppo molto particolare e lo fanno sentire molto bene.

Ep del 2014 per questo gruppo messicano che fa un buon folk metal con molte influenze che si potrebbero definire new age.

I Cabrakaan però non hanno molto di messicano, ma sono piuttosto un gruppo che va ad inserirsi in una maniera di fare folk metal che si potrebbe definire sinfonica. La loro musica non è segnata dalla durezza o dalla velocità, ma dalla costante ricerca del bilanciamento tra metal e folk, cercando sempre di trovare soluzioni sonore originali. La voce di Pat Cuikäni è molto bella e piena, carica di epicità e di possibilità canore, quasi come una guida in un mondo differente dal nostro. Le peculiarità di questo gruppo sono molte, e i ragazzi di Toluca hanno una forte personalità. Questo ep a volte sembra una colonna sonora di un manga o di un anime, come quelli di Miyazaki, dove la realtà è davvero sfumata e il sogno diventa tangibile. Anche il gioco fra aulica voce femminile e voce in growl è molto funzionale e ben fatto. La band trae una grossa ispirazione dalle tradizioni azteche e riesce a renderle molto bene anche dal vivo. Infatti, nonostante sia stato fondato solo nel 2012, il gruppo ha una solida reputazione internazionale, dato che ha partecipato a molti festival in giro per il mondo. I nostri si sono trasferiti da poco a Calgary in Canada, e da lì stanno preparando il nuovo disco che, ascoltato il loro primo ep, fa nascere una bella attesa. Un ep molto originale e pieno di pathos, di vitalità messicana e di melodie ragionate, dove anche le durezze stanno bene nel contesto, dato che i Cabrakaan sono un gruppo molto particolare e lo fanno sentire molto bene.

Tracklist
1. Cipactli
2. Citalmina
3. Obsidian
4. La Leyenda
5. La Llorona
6. Meshika

Line-up
Pat Cuikäni – Lead Vocals/Ocarinas
Marko Cipäktli – Drums/Harsh Vocals
Alex Navarro – Guitar
Paul Belmar – Guitar
Rex Darr – Bass

CABRAKAAN – Facebook

CARONTE

Il video di Moonchild, dall’album Yoni.

Seven month have passed since the release of our last album Yoni during which we played all over Europe sharing the stage with so many brothers.

Now, a new magic path is born but before leaving for this trip we have this nice gift for you.
This video was taken in collaboration with the artist and director Stefano Grilli.

Even if the Beast 666 and the Blavatsky didn’t get along so well, the best incipit for the view of this video is:

“There is no religion higher than truth”

So Sit back, relax, smoke your best weed and enjoy.

Love is the Law. Love under Will.

childthemewp.com