PINO SCOTTO & ROCKY HORROR

Il primo brano e video ufficiale del side project PINO SCOTTO & ROCKY HORROR, è sempre disponibile sulle maggiori piattaforme digitali a soli 0.99€ e l’intero ricavato delle vendite di questo pezzo sarà devoluto al progetto di beneficenza Rainbow Projects.

VIA DI QUA è il primo brano e video ufficiale del side project PINO SCOTTO & ROCKY HORROR, è sempre disponibile sulle maggiori piattaforme digitali a soli 0.99€ (es. iTunes, Google Play, CD Baby, ecc.: http://cdbaby.com/cd/pinoscottorockyhorror) e l’intero ricavato delle vendite di questo pezzo sarà devoluto al progetto di beneficenza creato da PINO SCOTTO – OFFICIAL e dalla dott.sa Caterina Vetro.

Il progetto umanitario RAINBOW PROJECTS creato e promosso da Pino Scotto e dalla dott.ssa
Caterina Vetro si impegna da anni alla ricerca di fondi per le popolazioni meno fortunate del mondo.
Quest’anno il mirino punta all’America Centrale e pubblica per questo Natale un singolo scritto dai pugliesi
Rocky Horror dal titolo “Via di qua” in vendita dal 16 Dicembre in tutti gli store digitali. L’intero ricavato
dalla vendita sarà devoluto alla causa.

Al brano hanno collaborato molti volti noti dello spettacolo e del giornalismo:
Omar Pedrini (ex Timoria), Bunna (AFRICA Unite ed ex Giuliano Palma & The Bluebeaters), Madaski
(AFRICA Unite e The Dub Sync), Terron Fabio (SUD Sound System), Trevor e Tommy Talamanca
(SADIST), Andrea Rock (VIRGIN Radio e Rezophonic), Andy (BLUVERTIGO e Fluon), Pier Gonella
(NECRODEATH E Odyssea), Skandi (VALLANZASKA e Ruggero De I Timidi), Ivano Grieco (KRIKKA
Reggae), Gianni Colonna (Superzoo) e Dj Blast (ex Sona Sle)

Nel Video Appaiono Anche:
Davide Moscardelli (U.S. Lecce), Nuzzo Di Biase (QUELLI Che Il Calcio), Cisco (LE Iene), Vittoria
Hyde (VIRGIN Radio), Michele “WAD” Caporosso (RADIO Deejay), Daniele Selvitella (RADIO 105
Network), Stefano Agliati (ROCK Tv), Betty Style, E Il Cantautore E Producer Paolo Tocco (Protosound
Records).

“Via di qua” è un brano che racconta di un ragazzo chiuso in se stesso, alla ricerca della propria strada e
della propria identità…per questo decide di partire, cambiare, fisicamente e mentalmente. Un viaggio
introspettivo nel tentativo di dare una svolta a tutta la sua vita.

Negli anni il progetto RAINBOW PROJECTS (http://www.rainbowprojects.it) ha radunato a se artisti come
Enrico Ruggeri, Francesco Sarcina (ex Le Vibrazioni), Club Dogo, ‘O Zulù (99 Posse), Sud Sound System,
L’aura, Lombroso, Twin Dragons, ANDY MARCHINI (SADIST), Heddy Metal Society, ROBERTO TIRANTI (ex
LABYRINTH), Ambramarie, Tato (Fratelli Calafuria), Da Solo E Col Crazy Team (ROCK Tv), Massimo
Sabbadin, Pico Rama e tantissimi altri…

Questo brano non è che una naturale prosecuzione di una collaborazione nata con il nuovo lavoro in studio
della band pugliese dal titolo “Sciogli il Tempo” uscito nel 2014, in cui il rocker italiano duetta nel singolo e
nel video “Lo Spazio che ti Spetta” e del conseguente tour con il side project PINO SCOTTO & ROCKY
HORROR che ha firmato questo brano di beneficenza.

RAINBOW PROJECTS
di Pino Scotto e Caterina Vetro
http://www.rainbowprojects.it/

Coram Lethe – In Absence

In Absence è un album riuscito, che mette in evidenza le peculiarità del sound del gruppo, tra tecnica ed impatto, brutalità e melodie, in uno tsunami estremo di marca death metal a cui non si può sfuggire.

E’ dal 1999 che i toscani Coram Lethe ci investono con il loro death metal tecnico e potenziato da furiose parti death/black, in un’orgia di suoni estremi che formano un sound personale e riconoscibile tra le tante proposte che invadono il mondo del metal estremo.

Il quinto album arriva dopo sei anni dal precedente Heterodox, è accompagnato dalla splendida copertina dell’artista Paolo Girardi e porta con sè un nuovo cantante (Giacomo Bortone), il quarto nella storia dei Coram Lethe.
In Absence è un album riuscito, che mette in evidenza le peculiarità del sound del gruppo, tra tecnica ed impatto, brutalità e melodie, in uno tsunami estremo di marca death metal a cui non si può sfuggire.
Oscuro e pervaso da una melanconia di fondo che sfocia in parti dal taglio progressivo, In Absence non delude le attese e si candida come uno dei lavori più intensi di questa prima metà dell’anno in campo estremo nel nostro paese, ormai rappresentato nel genere da molte ottime band.
L’album, oltre ad avere il suo punto di forza nelle continue variazioni di sfumature ed atmosfere, risulta comunque diretto e fluido, conquistando fin da subito, pur nella sua struttura che rimane fortemente legata ad un approccio tecnico e progressivo.
Quello che sembra un inevitabile contrasto diventa appunto l’arma in più per queste otto tracce, splendidi esempi di metal estremo coinvolgente ed elegantemente distruttivo.
La title track, così come Not Been Born o Pain Represents Pained Rapresentatives e la conclusiva To Rise Again, continuano ad alternare death metal tecnico di ispirazione americana con il più diretto swedish death, tra scale progressive e melodie di oscuro metallo, facendo di In Absence uno spaccato affascinante del genere.
Una band fondamentale per la scena estrema nostrana è tornata a picchiare i pugni sulla tavola rotonda del metal tricolore.

Tracklist
01. Esoteric
02. In Absence
03. Food For Nothingness
04. Not Been Born
05. Cognitive Separation
06. Pain Represents Pained Rapresentatives
07. Antimateria
08. To Rise Again

Line-up
Giacomo Bortone – Vocals
Leonardo Fusi – Guitars
Filippo Occhipinti – Guitars
Christian Luconi – Bass
Francesco Miatto – Drums

CORAM LETHE – Facebook

De Profundis – The Blinding Light Of Faith

Death metal feroce ma che non manca di offrire ottimi spunti progressivi, a tratti nascosti dalla furia che la band non manca di esprimere in questi otto vorticosi brani racchiusi sotto il titolo di The Blinding Light Of Faith, nuovo lavoro dei britannici De Profundis.

Death metal feroce ma che non manca di offrire ottimi spunti progressivi, a tratti nascosti dalla furia che la band non manca di esprimere in questi otto vorticosi brani racchiusi sotto il titolo di The Blinding Light Of Faith, nuovo lavoro dei britannici De Profundis.

Il gruppo ha superato da poco i dieci anni d’attività e si presenta con questo ottimo lavoro che racchiude in sé un buon esempio di metal estremo, che trova nel thrash e nelle parti più progressive il suo valore aggiunto.
Siamo arrivati al quinto lavoro sulla lunga distanza e la band mette in campo la sua ormai decennale esperienza per creare un sound personale il giusto per non passare inosservato, tra devastanti accelerazioni, cavalcate e camei di musica progressiva, con accenni al jazz ed alla fusion, ad Atheist, Cynic e compagnia geniale, anche se i De Profundis scaricano botte adrenaliniche di thrash metal, e le loro effusioni progressive sono limitate, o almeno non così presenti come nelle opere degli storici gruppi citati.
Non mancano spunti chitarristici di stampo classico a rendere ancora più completa la proposta del combo, davvero superlativo tecnicamente, con il chirurgico lavoro della sezione ritmica (Arran Mcsporran al basso e Tom Atherton alle pelli) e quello sontuoso dei deu chitarristi, ispiratissimi (Shoi Sen e Paul Nazarkardeh).
Con Craig Land al microfono, assolutamente perfetto nella sua bestiale prova, i De Profundis danno vita ad un lavoro riuscito e coinvolgente dal quale, con il passare dei minuti e prendendo confidenza con il sound, l’ascoltatore non può che rimanere catturato dalla musica che la band albionica ha creato per questo bellissimo lavoro.
The Blinding Faith ha nelle trame delle notevoli Opiate For The Masses, Bastard Sons Of Abraham e Godforsaken i momenti più intensi, ma è tutto l’album che merita la massima attenzione degli amanti del death metal progressivo.

Tracklist
1.Obsidian Spires
2.War Be Upon Him
3.Opiate For The Masses
4.Bastard Sons Of Abraham
5.Martyrs
6.Godforsaken
7.Beyond Judgement
8.Bringer Of Light

Line-up
Craig Land – Vocals
Arran Mcsporran – Bass
Tom Atherton – Drums
Shoi Sen – Guitars
Paul Nazarkardeh – Guitars

DE PROFUNDIS – Facebook

Methedrine – Built For Speed

Built For Speed è composto da quattro brani sparati in faccia tra attitudine hardcore e stile motorheadiano, per un sound che, se trova ovviamente le sue radici negli anni ottanta, non manca di dire la sua anche di questi tempi.

I Methedrine (monicker che ricorda una delle sostanze preferite da Lemmy e Johnny Cash) sono la nuova band di vecchie volpi della scena punk/hardcore tricolore (Lou e Bone, attivi dai primi anni ottanta con gli Upset Noise e Mark dei Tytus).

Built For Speed è il loro debutto,quattro brani sparati in faccia tra attitudine hardcore e stile motorheadiano, per un sound che, se trova ovviamente le sue radici negli anni ottanta, non manca di dire la sua anche di questi tempi.
Raggiunti da Trampax alla sei corde e Chainsaw al basso, la band ci travolge, diretta e maleducata come se il tempo si fosse fermato; carichi come sveglie attaccate a letali candelotti di dinamite, iMethedrine partono con la quinta inserita e non si fermano più, sconvolgenti nelle ritmiche indiavolate, urgenti e devastanti nelle ripartenze dal piglio che tanto sa di rock’n’roll di YouPorn Generation e War Machine.
Nove minuti, d’altronde il genere concede tanto in pochissimo tempo, di puro ed elettrizzante punk/hardcore/metal tripallico e distruttivo come un ordigno in un negozio di cristalli.

Tracklist
1.YouPorn Generation
2.Alpha Loser
3.Dirty Harry
4.War Machine

Line-up
Lou – Vocals
Trampax – Guitar
Mark – Guitar
Chainsaw – Bass
Bone – Drums

METHEDRINE – Facebook

Sadistik Forest – Morbid Majesties

La band capitanata dal chitarrista Antti Heikkinen è protagonista, con Morbid Majesties, di un tornado di death metal old school violentissimo, nel quale la tradizione nord europea è presente così come il brutale sound made in U.S.A.

Sembra che nel metal estremo, per quanto riguarda le sonorità di stampo death, negli ultimi tempi ci sia la tendenza ad inglobare nello stesso sound elementi provenienti dalle due scene storiche: quella statunitense e quella scandinava.

Ovviamente parliamo di death metal old school, tornato a far sanguinare i lettori cd dei fans e tenuto a galla dalla scena underground, mai doma e sottomessa ai capricci del mercato.
Questa band finlandese. per esempio. amalgama le due correnti aggiungendo devastanti e violentissime sfumature brutal ed il risultato non può che essere un massacro sonoro di notevole intensità.
Loro sono i Sadistik Forest, sono attivi dal 2007 e  arrivano quest’anno al traguardo del terzo full length dopo aver dato alle stampe il debutto omonimo nel 2010 ed il secondo album (Death, Doom, Radiation) sei anni fa.
La band capitanata dal chitarrista Antti Heikkinen è protagonista, con Morbid Majesties, di un tornado di death metal old school violentissimo, nel quale la tradizione nord europea è presente così come il brutale sound made in U.S.A., per un oscuro e terribile armageddon senza soluzione di continuità.
Mid tempo pesantissimi, tagliati in due da riff che sono lame che affondano nella carne, lasciano il campo ad accelerazioni devastanti con l’uso sagace di growl e scream a conferire atmosfere dal death al brutal fino al black metal.
In questa terribile mezzora si viene travolti da uno tsunami di metal estremo che non lascia scampo tra le violente scudisciate di The Hour Of Dread, Destructive Art e i nove minuti di Bones Of A Giant, pezzo da novanta di questo lavoro, un mastodontico blocco di granito che conclude alla grande Morbid Majesties.

Tracklist
1.Morbidly Majestic
2.Decades Of Torment Then Death
3.The Hour Of Dread
4.Destructive Art
5.Zero Progress
6.Monsters Of Death
7.The Maelstrom Opens
8.Bones Of A Giant

Line-up
Vesa Mutka – Drums
Antti Heikkinen – Guitars
Markus Makkonen – Vocals, Bass
Matti Salo – Guitars

SADISTIK FOREST – Facebook

Scarificare – Tilasm

Tilasm è un lavoro ottimamente suonato e prodotto, impeccabile nel suo unire suoni progressivi a sfuriate di vecchia scuola.

I portoghesi Scarificare sono in circolazione da oltre un decennio per volere di Quetzalcoatl, inizialmente solo chitarrista ed in seguito vocalist e tastierista all’interno di questa sua band dedita al black metal.

Per una volta non ci troviamo di fronte a un musicista della già conosciuta scena di Lisbona, bensì bisogna spingersi verso nord fino a Porto e, se vogliamo, le coordinate del genere sembrano risentire di un influsso più moderno che non tradizionale, come abbiamo spesso riscontrato nelle band della capitale.
Se sia un bene o un male non lo so, dipende dai punti vista, di certo c’è che Tilasm è un lavoro ottimamente suonato e prodotto, davvero impeccabile nel suo unire suoni progressivi a sfuriate di vecchia scuola; il leader si dimostra un vocalist affidabile sia con il ruvido screaming sia con clean vocals efficaci, sicuramente non stonate come troppo spesso capita di ascoltare, quando alcuni vocalist si cimentano con tonalità pulite senza possedere le necessarie basi.
Gli Scarificare (oggi in modalità trio con la puntale coppia ritmica formata da Eligos e Luis Leal) offrono un’idea di black metal al passo con i tempi, alla quale manca quel gancio capace di mantenere avvinghiato l’ascoltatore che, di fronte alla moltitudine di uscite, cerca qualcosa capace di fissarsi nella memoria con maggior decisione, pure senza risultare necessariamente più leggero o di facile ascolto.
E se è proprio l’interpretazione progressiva del genere che mi soddisfa in prima battuta, non mancando di alcun tassello necessario alla sua costruzione, è sempre la stessa che non mi spinge a ripetere l’ascolto dopo due o tre passaggi.
Tutto funziona al meglio ma nulla mi smuove a livello emotivo, e ritengo che sia proprio un brano meno composito e più diretto come Consecration of the Talisman a rappresentare al meglio quello che la band potrebbe fare ottenendo un consenso che non siano solo di facciata.
Anche se l’approccio è non di poco diverso, per gli Scarificare valga quanto detto in occasione della recente recensione dei Vyre: bene, ma non benissimo, nonostante le indubbie potenzialità della band lusitana .

Tracklist:
1. Crystal Skull
2. Wandering Soul
3. Occult Radiance
4. The Quest…for a Lost Idol
5. Regression
6. Consecration of the Talisman
7. Rise

Line-up:
Luis Leal – Drums
Quetzalcoatl – Guitars, Vocals, Keyboards
Eligos – Bass

SCARIFICARE – Facebook

Bison – Earthbound

Ci sono dischi che, pur non essendo epocali, sono molto validi e rappresentano un’importante pietra miliare per un certo tipo di suono: questo è il caso dell’ep di debutto Earthbound dei canadesi Bison.

Ci sono dischi che, pur non essendo epocali, sono molto validi e rappresentano un’importante pietra miliare per un certo tipo di suono: questo è il caso dell’ep di debutto Earthbound dei canadesi Bison.

Il loro debutto del 2007 è ora ristampato dalla No List Records, ed è il viatico al prossimo tour europeo dei Bison, che però non passeranno per lo stivale. Il disco colpisce ora come ieri per la sua potenza, per le ardite soluzioni sonore che non rendono mai il suo svolgimento ovvio o scontato. In certi passaggi il combo canadese ricorda i Mastodon, ma il tutto è sempre molto originale. I Bison sono uno dei pochi gruppi che coinvolgono l’ascoltatore e rendono naturale muovere la testa su è giù. Il loro suono è molto compatto e corposo come un buon vino rosso, sia quando vanno più veloci che quando parti più lente. In un genere come il loro sarebbe facile essere scontati ma questo è un gruppo unico e molto al di sopra degli altri. Qui l’intensità si coniuga ad una capacità compositiva che riesce a cogliere differenti sfumature di musica pesante. Le canzoni dei Bison sono stanze da esplorare sia perché gli elementi sono molti, sia perché ci si diverte molto nel farlo. Earthbound è del 2007 ma suona come un qualcosa di molto attuale, e lo sarà ancora per molto tempo. Un debutto come questo ep non è fattibile per molte band mentre loro sono riusciti a migliorare ancora, progredendo ad ogni album. Un ascolto che non farà epoca ma che fa molto rumore, ed l’importante è questo.

Tracklist
1 Stokasaurus
2 Wartime
3 Dark Skies Above
4 The Curse
5 Cancer Rat
6 Earthbound

Line-up
JAAMES
DAAN
SHAANE
MAATT

BISON – Facebook

Inféren – Inféren

Il lavoro omonimo degli Inféren si rivela una prova efficace sia musicalmente sia liricamente e, se talvolta può sembrare troppo allineato a schemi consolidati, chi apprezza realmente il genere considererà tutto questo un pregio.

I bergamaschi Inféren tagliano il traguardo del primo full length, dopo essersi fatti notare all’inizio del decennio con un demo ed uno split album.

Il black metal proposto dalla band orobica è quanto mai aderente alla tradizione e, quindi, scandinavo fino al midollo nel suo approccio, ma indubbiamente la scelta di ricorrere all’uso della lingua italiana in gran parte dei brani conferisce quel tocco di peculiarità che, comunque, non rende l’album migliore di quanto già non sia, visto che il duo composto da Al Azif e Schins mette sul piatto tre quarti d’ora ineccepibili per interpretazione ed intensità.
La chitarra disegna linee melodiche ben individuabili all’interno di un drumming umano martellante, mentre come da copione uno screaming aspro illustra uno scenario apocalittico in un escalation di calamità che preludono infine alla Morte, alla successiva Purificazione, insufficiente però a scongiurare la caduta in quegli inferi evocati dalla traccia conclusiva autointitolata, scritta e cantata in dialetto dall’ospite Abibial (Imago Mortis), capace di raffigurare musicalmente quell’inferno popolare che fa bella mostra di sé sulle pareti di diverse chiese nel nord Italia.
Il lavoro omonimo degli Inféren si rivela, quindi, una prova efficace sia musicalmente sia liricamente, con il solo eventuale difetto d’essere allineato agli schemi delle band che hanno scritto la storia del genere, rifiutando in tal senso ogni spunto di modernità senza però rinunciare ad una produzione più che soddisfacente.
Chi apprezza realmente il genere considererà tutto questo in realtà un pregio, e non possiamo che allinearci a tale pensiero, accogliendo con favore questo bell’esordio su lunga distanza.

Tracklist:
1. Intro
2. Invocation
3. Pestilenza
4. Guerra
5. Winter Rage
6. Carestia
7. Morte
8. Purificazione
9. Inféren
10. Outro

Line-up:
Al Azif – Voice, Guitars
Schins – Drums

INFEREN – Facebook

Dr.Gore – From The Deep Of Rotten

Pochi cambiamenti ma importanti, come una produzione più cristallina, portano ad un nuovo manifesto estremo targato Dr.Gore, sempre ai massimi livelli per esecuzione ed un songwriting che lascia trasparire una forma canzone ben delineata.

Torna il medico pazzo, il ferale serial killer con il camice verde che, a colpi di grind/brutal death metal, sevizia, seziona e tortura pazienti trasformati in vittime.

Con una storia lunga ormai sedici anni all’insegna del metal estremo, i Dr.Gore licenziano il loro terzo full length, From The Deep Of Rotten, nuova devastante opera di tortura e massacro che succede a Viscera, risalente ormai aquattro anni fa.
Pochi cambiamenti ma importanti, come una produzione più cristallina, portano ad un nuovo manifesto estremo targato Dr.Gore, sempre ai massimi livelli per esecuzione ed un songwriting che lascia trasparire una forma canzone ben delineata, su una struttura musicale violentissima e il perfetto connubio tra grind e brutal che, a mio avviso, è il marchio di fabbrica del gruppo romano.
Un sound quindi per niente scontato, alimentato da una ferocia senza pari ed una produzione all’altezza, fanno di queste nove efferatezze in musica un ottimo ritorno: il quartetto, attivo con gli stessi componenti di quattro anni fa (Alessio “Pacio” Pacifici al basso e voce, Luigi Longo e Marco Acorte alle chitarre e Massimo “Mastino” Romano alle pelli) risulta un mostro che fagocita orrore e lo risputa sotto forma di metal estremo da macelleria, devastante e sanguinolento.
Il bisturi taglia, le mani affondano nei ventri squarciati rovistando tra le budella mentre Brutal Carnage dà il via alle danze intorno ai cadaveri, lasciando che il rito del malatissimo dottore si concluda solo alle note finali di Reanimated Dead Corpse e passando per le mostruose Cannibal Grinder, la title track e Sound Of Your Screams.
Ormai considerati dei veterani della scena estrema tricolore, i Dr.Gore confermano il valore della propria proposta e lo stato di salute del metal estremo made in Italy.

Tracklist
1.Brutal Carnage
2.Cannibal Grinder
3.From The Deep Of Rotten
4.Necrodoctor
5.Apocalypse Of The Dead
6.Self Cannibalism
7.Sound Of Your Screams
8.Skinned Alive
9.Reanimated Dead Corpse

Line-up
Alessio Pacifici – Bass,Vocals
Luigi Longo – Guitars
Marco Acorte – Guitars/Vocals
Massimo Romano – Drums

DR.GORE – Facebook

Vyre – Weltformel

Chi vuole ascoltare un metal avanguardista, atmosferico e progressivo con reminiscenze black, qualora si imbatta nei Vyre non ha sicuramente sbagliato strada, anzi …

Ritroviamo i Vyre a quattro anni dall’ottimo The Initial Frontier pt 2.

La band tedesca è formata in buona parte da musicisti che hanno fatto parte dei Geist (poi Eis) e questo è senz’altro un elemento che depone a favore della loro competenza in materia.
I Vyre possono essere assimilati alla scena black soprattutto per il background perché, in sostanza, fin dagli inizi la loro offerta è orientata ad un metal atmosferico e progressivo, con l’aggiunta questa volta di connotazioni cosmiche a livello concettuale che vanno poi a ripercuotersi anche nel sound.
Certo, quando arrivano le sfuriate che tengono fede alle origini della band, Weltformel si rivela come da pronostico un buonissimo lavoro anche se, rispetto al predecessore, mancano forse quei picchi emozionali che avevano fatto la differenza in tale frangente.
Questo non vuol dire che l’album sia deludente, tutt’altro, perché l’offerta dei Vyre è sempre a suo modo preziosa, spingendoci ad approdare in un’area musicale nella quale il black metal incontra il progressive, in qualche modo simile a quella dove operano oggi nomi come Arcturus o Ihsahn, e dopo una lunga intro atmosferica (Alles Auf Ende), Shadow Biosphere testimonia ampiamente quanto appena detto, anche se un brano splendido come A Life Decoded riporta a spunti più evocativi e impattanti emotivamente, nel suo alternare sfuriate in blast beat a delicati arpeggi chitarristici.
Tardigrade Empire spezza quel mood che si era creato nel brano precedete, con il suo incedere prevalentemente cervellotico, mentre nella strumentale The Hitch predomina un’elettronica che prelude ad una finale notevole, tra fughe di chitarra solista e riff squadrati e davvero pesanti.
Chiudono Weltformel un altro episodio sostanzialmente melodico come We are the Endless Black e una lunga ed incalzante Away Team Alpha, brani che confermano d’essere al cospetto di una band di grande livello tecnico e compositivo, forse un po’ meno ispirata che in passato in virtù di sonorità che appaiono meno spontanee sebbene ottimamente costruite.
Ribadisco che la mia è una sensazione, perché chi vuole ascoltare un metal avanguardista, atmosferico e progressivo con reminiscenze black, qualora si imbatta nei Vyre non ha sicuramente sbagliato strada, anzi …

Tracklist:
1. Alles Auf Ende
2. Shadow Biosphere
3. A Life Decoded
4. Tardigrade Empire
5. The Hitch (We Are Not Small)
6. We are the Endless Black
7. Away Team Alpha

Line-up:
Cypher – VOCALS KG
Hedrykk F. Gausenatt – GUITARS & BASS
Zyan – GUITARS
Priebot – GUITARS
Android – DRUMS
Doc Faruk – SYNTH, SOUNDS
Akku Volta – VIOLINE
Nostarion – CELLO

VYRE – Facebook

Madalena – La Vecchia Religione

Una misteriosa storia di mefistofelico occultismo che rapisce ancora prima della musica: La Vecchia Religione ha nei testi il suo punto di forza, da seguire con attenzione come all’ascolto di un audiolibro, ed è un’opera sicuramente originale ed affascinante.

Quattro ierofanti, adepti dell’ordine, celebrano il ritorno della Madalena con perverse litanie e melodie malevole che i tempi moderni avevano consegnato all’oblio.

Possano i falsi idoli e dei avere pietà dell’umana ignoranza, poiché adesso che i misteri sono stati svelati, la Vecchia Religione torna per soggiogare, punire e dominare.
Madalena sono un quartetto di musicisti nostrani che, con questo ep di debutto intitolato La Vecchia Religione, tornano a dare lustro alla cultura dell’occulto, una tradizione nel nostro paese che si fregia di nomi storici nella musica, come nel cinema e nella letterature.
Formato da musicisti provenienti da band come Eyeconoclast, Hideus Divinity, Colonnelli, Medusa e Re Dinosauro, il gruppo toscano mette in musica il culto di Madalena, ordine occulto sconosciuto ai più, ma in possesso di enorme potere.
La Vecchia Religione è un ep che alterna parti atmosferiche recitate a brani hard & heavy cantati in italiano, ovviamente i testi seguono il concept esoterico e mistico e rendono l’ascolto molto suggestivo.
Sembra di trovarci davvero in mezzo ai boschi delle colline toscane, protagonisti di qualche oscuro sabba nei quali demoni e streghe sono tenuti a bada da questi quattro sacerdoti occulti, mentre le atmosfere create dagli intermezzi recitati lasciano spazio ad esplosioni di musica metal/rock di ispirazione old school.
Misteriosa storia di mefistofelico occultismo che rapisce ancora prima della musica, La Vecchia Religione ha nei testi il suo punto di forza, da seguire con attenzione come all’ascolto di un audiolibro, ed è un’opera sicuramente originale ed affascinante, consigliata ai fans del genere la tradizione italiana per l’occulto e per il rock ad esso legato fin dai primi anni settanta.

Tracklist
1.Historia Ordo madaleenae
2.Nera Ordalia
3.Notte Di san Giovanni….Ciò che avvenne…
4.Noce Di Benevento
5.Il destino Di Babele
6.Il Voto Di Torquemada
7.La Profezia
8.La Vecchia Religione

Line-up
Fossanera Il Reietto – Bass
Santamano Il Fedele – Guitars
L’oscuro Monatto – Guitars
Malfas Di Altotas – Vocals

MADALENA – Facebook

JOHN MALKOVITCH! – The Irresistible New Cult of Selenium

Un ottimo post rock ambient di provincia, sembrerebbe facile ma non lo è affatto.

Gruppo di musica post rock e ambient di larghissimo respiro da Pontecane, frazione del comune umbro di Fratta Todino in provincia di Perugia, conferma vivente che la provincia è molto più creativa della città.

Questo è il loro disco di debutto, quattro tracce che arrivano direttamente dalle loro lunghe jam, e si sente chiaramente che questi ragazzi sono per davvero amanti della musica. La loro è un post rock ambient molto cinematografico, con tanti riverberi e una calma imperante che assume significati diversi a seconda della necessità e dell’umore compositivo. Si viaggia bene in questo disco, per chi ama un certo tipo di musica, totalmente alieno sia dal termine commerciale che da quello alternativo. La musica dei John Malkovitch! è un luogo mentale, un posto non tanto di comfort quanto di vita dei pensieri, qui nascono forme, si vedono luci e si sta bene. Questa musica aiuta il pensiero, è cerebralmente feconda e molto piacevole, invita alla calma e alla riflessione. La produzione è buona e mette in risalto le doti del gruppo; nei meandri delle loro canzoni ci si perde davvero, ed è bello condividere in questa maniera movimenti musicali da saletta. I pontecanesi non si inventano nulla, ma quello che suonano lo fanno bene e lasciano un buon sapore nelle nostre orecchie. Un ottimo post rock ambient di provincia, sembrerebbe facile ma non lo è affatto.

Tracklist
1.Darker Underneath The Surface
2.Twice In A Moment, Once In A Lifetime
3.Zenit
4.Nadir

JOHN MALKOVITCH! – Facebook

DRAKKAR

Il video di “Cold Winter’s Night”, dall’album omonimo in uscita a fine aprile (My Kingdom Music).

Italian Power Metal masters DRAKKAR have revealed a video for “Cold Winter’s Night”, titletrack of the upcoming release, due out on April 27th via My Kingdom Music.

The album will be released in limited digipack-CD including 3 new songs plus a bonus live track and in ultralimited vinyl edition with an exclusive personalized download card with customer’s name.
The tracklist is as follows: 1. Cold Winter’s Night – 2. Black Sails – 3. Leviathan Rising (Death From The Depths – part 1) – 4. Invincible (live) (bonus-track for digipackCD and digital); while DIO’s classic “Rainbow In The Dark” revisited in the DRAKKAR epic style is the bonus-track for the vinyl format.
This is also the first release with the new line-up presenting new members Marco Rusconi on guitar, Simone Pesenti Gritti on bass, Daniele Ferru on drums.

DRAKKAR are ready to weigh anchor.
HEAVY METAL NEVER DIES!

Official sites:
– PRE-ORDER CD: http://smarturl.it/DRAKKAR-CD
– PRE-ORDER LP: http://smarturl.it/DRAKKAR-LP
– PRE-ORDER iTunes: http://smarturl.it/DRAKKAR-iTunes
– MY KINGDOM MUSIC: www.mykingdommusic.net *
www.facebook.com/mykingdommusic.label
– DRAKKAR: www.facebook.com/drakkarmetal

Altar of Perversion – Intra Naos

Intra Naos è un lavoro magnifico che, sebbene sia consigliato a chiunque si professi appassionato di black metal, per le sue caratteristiche è rivolto soprattutto ad una fascia di ascoltatori che abbia una certa familiarità con la nera arte, la quale in questa occasione trova una sorta di sua sublimazione.

Per presentarsi sulla scena con un album di black metal della durata di quasi due ore distribuite su sei soli pezzi bisogna avere un grande coraggio, moltissimo da dire e grande convinzione dei propri mezzi.

Agli Altar Of Perversion, band italiana della quale si attendeva un nuovo full length da ben diciassette anni, tutte queste caratteristiche non mancano e , visto il risultato, la scelta sembrerebbe pagare almeno dal punto di vista prettamente qualitativo.
Un’operazione di questo genere in un’epoca come quella corrente, nella quale il tempo medio di attenzione di qualsiasi persona è drasticamente diminuito, sembrerebbe una sorta di suicidio commerciale, se non fosse che il black metal per sua natura non possiede queste finalità, quanto meno non nel senso più comune del termine che è quello di raggiungere il maggior numero di persone con un prodotto leggero, di fruizione immediata e dalla durata effimera.
Intra Naos è invece un qualcosa composto per immergere chi ne abbia tempo e voglia in un universo parallelo, nel quale Calus e Laran ci introducono con un’interpretazione del genere che non lascia spazio ad aperture melodiche o atmosferiche ma che vede, ovviamente, un’attenzione particolare al contenuto lirico, del quale preferisco lasciare il piacere dalla scoperta a chi ascolterà il disco, visto che argomenti filosofici ed esoterici così profondi e complessi non meritano d’essere liquidati in poche parole e, inevitabilmente, in maniera superficiale.
Veniamo invece a parlare dell’aspetto musicale di un sound che è intriso di un black metal tradizionale, reso a suo modo peculiare, però, dal costante ricorso a sonorità chitarristiche dissonanti che non appesantiscono affatto l’ascolto divenendone piuttosto il tratto e distintivo.
Davvero, nonostante la sua lunghezza (che può essere un problema solo per chi ritiene che ascoltare musica non sia un piacere ma una perdita di tempo), fatico a trovare un punto debole in un lavoro di rara intensità, capace di mantenere sempre elevato il livello di tensione anche grazie a variazioni ritmiche che talvolta riportano al doom (almeno la prima metà di Cosmic Thule, Inner Temple la si può definire tale senza alcun dubbio).
Gli Altar Of Perversion si muovono in direzione ostinata e contraria ad ogni regola o convenienza, facendo uscire un nuovo album dopo una vita (non solo in senso musicale) e riversandovi una mole di note degna più di maestri del funeral doom come Mournful Congregation o Esoteric che non delle band dedite canonicamente al black metal.
Intra Naos è un lavoro magnifico che, sebbene sia consigliato a chiunque si professi appassionato di black metal, per le sue caratteristiche è rivolto soprattutto ad una fascia di ascoltatori che abbia una certa familiarità con la nera arte, la quale in questa occasione trova una sorta di sua sublimazione.
Il black metal è appunto questo, musica eseguita senza calcoli né limitazioni, espressione di un sentire ben lontano dalle convenzioni ed alle codificazioni imposte dalla modernità; una sorta di oasi temporale nella quale rifugiarsi lasciando ad altri tutto ciò che appare più futile ed effimero.

Tracklist:
Disc 1
1. Adgnosco Veteris Vestigia Flammae
2. She Weaves Abyssal Riddles and Eorthean Gates
3. Behind Stellar Angles II

Disc 2
1. Cosmic Thule, Inner Temple
2. Subcosmos Archetypes
3. Through Flickering Stars, They Seep

Line-up:
Laran – Drums
Calus – Vocals, Guitars, Bass

LE INTERVISTE DI OVERTHEWALL: PINO SCOTTO

Grazie alla reciproca collaborazione con la conduttrice radiofonica Mirella Catena, abbiamo la gradita opportunità di pubblicare la versione scritta delle interviste effettuate nel corso del suo programma Overthewall, in onda ogni mercoledì alle 21.30 ed ogni domenica alle 22.00 su www.energywebradio.it.
Oggi è la volta di un monumento del rock/metal italiano, Pino Scotto; per correttezza segnaliamo che, vista la schiettezza del personaggio, il testo è stato leggermente “edulcorato” rispetto alla versione radiofonica …

MC Benvenuto su Overthewall, Pino, e grazie di essere qui con noi.

Ciao a tutti gli ascoltatori e ai ragazzi e alle band che suonano metal , a tutti quelli a cui non sarà mai data visibilità, a tutti quelli che credono in questo genere.

MC Una carriera che dura sin dagli inizi degli anni 80, che il tempo e le mode non sono riusciti a scalfire.In un panorama rock e metal che, specialmente in Italia, sembra sgretolarsi, tu resti un pilastro fondamentale.
Qual’è il segreto del tuo successo?

Una carriera che è iniziata negli anni ‘70, in realtà:, prima dei Vanadium ci sono state tre band, e con una che si chiamava Pulsar dovevano fare un album, ma poi purtroppo il discografico morì in un incidente stradale ed usci così solo un 45 giri.
Non c’è un segreto per il successo, io continuo solo a fare quello che mi piace, ma per conquistarmi questa libertà mi sono sciroppato 35 anni in fabbrica a scaricare camion.
Ormai è da dieci anni che sono in pensione e non dimentichiamo che ad ottobre gli anni che compirò sono un bel numero, 69: quello che non li fa pesare è la forza della passione, è credere in ciò che si fa e non la ricerca dei soldi o del successo.

MC Tu hai sempre fatto della tua sincerità il tuo stile comunicativo. Questo atteggiamento non sempre premia. Se tu dovessi fare un bilancio tuo personale diresti che a volte può servire a scendere a compromessi oppure no?
Come sarebbe Pino Scotto oggi se avesse avuto un approccio meno diretto e sincero?

Quasi mai viene premiato un simile atteggiamento. Tu non hai idea di queste offerte abbia ricevuto nella mia carriera, anche quando ero ancora con i Vanadium e ciò mi faceva litigare anche con loro; dopo di che diverse band italiane mi hanno cercato, in particolare una toscana che mi aveva proposto un pacco di soldi e al chitarrista risposi di andare sull’Arno e ficcarsi la chitarra in quel posto …
Io non se sono bravo a cantare o a scrivere, ma questo il mio sogno e non èin vendita per nessuno.

MC Parliamo delle novità. “Eye for an Eye” è il titolo del tuo nuovo disco pubblicato da Nadir Music, un lavoro discografico interessantissimo che rievoca le sonorità rock ’70/’80 più dure e graffianti.
Come prende vita quest’album e quali tematiche sono contenute nei testi?

Come ben sanno quelli che mi seguono io sono pazzo, dipende da come mi sveglio, per esempio già nel ’90, dopo lo scioglimento dei Vanadium, io avrei potuto fare subito un album a mio nome suonando come con loro, invece sono andati a cercarmi le rogne: prima mi sono messo a cantare in italiano, poi sono tornato al rock’n’roll e al blues, perché io faccio sempre quello che mi piace, e ciò è gratificante per il cuore e per la mente, significa essere liberi.
Questa volta ho voluto fare un album di sano hard rock anni 70-80 in inglese, perché mi sono proposto di scrivere una raccolta di canzoni che la gente possa cantare, quelle con le melodie che oggi non si trovano più: non so se ci sono riuscito, ma mi sono divertito molto.

MC In questo disco ritrovi la tua band originaria (Steve Angarthal alla chitarra, Dario Bucca al basso e Marco Di Salvia alla batteria). Quali novità ci porterà questo ritorno?

Erano dieci anni che non facevo un album con la mia band. Loro sono sempre stati dentro a qualche brano e ho sempre avuto degli ospiti, perché mi piace contaminare i suoni, ma questa volta ho fatto proprio tutto assieme alla mia band, l’unico ospite che c’è sempre stato fin dal primo album dopo i Vanadium e che non poteva mancare è il mio fratellone, “Mr.Blues” Fabio Treves.

MC Negli ultimi anni i media, soprattutto in Italia, hanno marcatamente snobbato il rock e il metal, che stanno diventando così sempre più un genere di nicchia, proponendo altri generi musicali che sono così dilagati tra i giovanissimi.
Secondo te perché si verifica questo fenomeno?

In Italia questo genere ha sempre funzionato poco, e già ce ne lamentavamo in passato senza immaginare cosa sarebbe successo dopo che sono arrivati i cosiddetti talent show; tu hai visto che adesso hanno chiamato Cristina dei Lacuna Coil: così diventerà un fenomeno da baraccone pure il metal, perché lì ci trovi Albano che fa le corna e parla di metal.
Io mi ricordo solo che in un piccolo festival a Cellino San Marco (il paese di Albano, n.d.a.) lui aveva dichiarato che il metal è la musica del demonio e ora ‘sto paraculo fa il metallaro, con Cristina che gli dà pure retta.
La verità è che il rock in generale ha sempre dato fastidio perché fa riflettere, emoziona, fa piangere, fa ridere, fa godere, insomma ti fa stare bene.
Quelli che stano al potere invece ci vogliono tutti depressi, senza lavoro, per poter fare comodamente i cazzi loro.

MC Tu sei un personaggio molto amato e seguito da un pubblico che comprende svariate fasce d’età. Che rapporto hai con i tuoi fans e quanto ti stimolano in tutto ciò che fai?

Io ho visto che già alla prima data sono venuti al concerto molti ragazzi giovanissimi, i quali probabilmente hanno capito, anche grazie a Rock Tv, che io sono una persona sincera, che sta dalla loro parte

MC Moltissime band si lamentano perché non si riescono a trovare spazi per potersi esibire. Com’è cambiata la scena rock dai tempi dei Vanadium e cosa consiglieresti a dei ragazzi che provano a fare musica originale?

Anche in quegli anni era difficilissimo, pensa che io ora in un mese faccio i concerti che con i Vanadium tenevo in un anno, perché a quei tempi non c’erano gli spazi per suonare: per esempio, a Milano c’era il Rolling Stone, o suonavi lì o t’attaccavi al tram.
Adesso ci sono moltissimi locali che fanno suonare solo tribute band, ma il vero problema è che la gente le va vedere e se ne fotte di band brave che fanno musica propria.
Il problema siamo noi, sono gli esseri umani, e non c’è nulla da fare

MC Il 6 Aprile a Pistoia hai presentato in prima nazionale il tuo nuovo show “Eye For An Eye Tour”, che promuove il tuo ultimo lavoro discografico. Quali sono stati i primi riscontri e dove potremo vederti esibire in Italia?

La data di Pistoia è andata sold out, tutti i cd che mi ero portato dietro sono stati comprati e la gente e stata fantastica; comunque le date le trovate sul mio sito (http://www.pinoscotto.it/) e non è detto che non se ne possano aggiungere ancora delle altre.

MC Pino, io ti ringrazio di avermi concesso questa intervista e ti lascio l’ultima parola per gli ascoltatori di Overthewall.

Io vorrei dire intanto ai ragazzi che suonano: non vi aspettate niente dalla musica, godete di quello che cantate, di quello che scrivete e di quello che suonate, tutto ciò che arriva è in più.
Questo è un sogno: trovatevi un lavoretto per sopravvivere, ma non sperate mai di poter campare con il rock perché è un’utopia, a meno che non andiate a fare le marchette dalla De Filippi, ma anche lì, dopo che ne esci, ti ritrovi cornuto e mazziato.
Io tutta quella gente lì, la De Filippi e i giudici dei talent, la manderei in galera per spaccio di demenza. Quindi continuate e credere nei vostri sogni e divertitevi .
A tutti gli altri raccomando: andate nei locali e dite ai proprietari che volete ascoltare band che fanno musica propria, appoggiate la band italiane, le band emergenti, date una possibilità a questi ragazzi perché il rock’n’roll non è solo un modo di vivere, non è solo musica, ma è un mondo fatto di sincerità e di sogni da realizzare.

Drudkh – Їм часто сниться капіж’ They Often See Dreams About The Spring

Ascoltando Їм часто сниться капіж si viene rapiti e portati in un luogo lontano, ma che sta dentro di noi, e questa musica catartica dischiude qualcosa che avevamo dimenticato; molto grande è la cura nel preparare questo disco, ogni parola non cade a caso, mentre le note si sviluppano senza forzare mai nulla.

Per parlare del gruppo ucraino di black metal Drudkh non basterebbero ore, e forse nemmeno un libro.

Ogni definizione con loro è semanticamente sbagliata, poiché bisognerebbe solo chiudere gli occhi ed ascoltarli, con una traduzione dei loro testi dall’ucraino. La loro è poesia messa in musica, un immenso e disperato tentativo di carpire qualcosa dall’animo umano, e come per qualcosa di estremamente bello, si viene quasi colpiti violentemente da questa musica, che va ben oltre il black metal. Per intenderci, i Drudkh sono uno dei migliori gruppi della storia del black metal, ma questo non è sicuramente il loro scopo, non rilasciano interviste o fanno foto e non suonano dal vivo, per loro parlano i loro dischi, come è giusto che sia. In ogni disco i Drudkh fanno qualcosa di nuovo cambiando in continuazione le loro coordinate musicali, e sono tutti capolavori. Questo ha forse un lato melodico più accentuato, il suono scorre benissimo e le canzoni hanno un’altissima intensità. I testi sono come al solito di grande livello, con estratti dalle poesie dei poeti ucraini Bohdan Ihor Antonych, Maik Yohansen, Vasyl’ Bobyns’kyi e Pavlo Fylypovych. I versi calzano a pennello alla musica dei Drudkh, un afflato vitale che porta molto lontano. Ascoltando Їм часто сниться капіж si viene rapiti e portati in un luogo lontano, ma che sta dentro di noi, e questa musica catartica dischiude qualcosa che avevamo dimenticato. Molto grande è la cura nel preparare questo disco, ogni parola non cade a caso, mentre le note si sviluppano senza forzare mai nulla. Chi ama questo gruppo non sa cosa aspettarsi musicalmente, ma è sicuro che sarà un grande lavoro. Recensire i Drudkh è praticamente impossibile, perché la loro musica parla benissimo per loro. Emozioni e pura poesia, per uno dei migliori black metal possibili.

Tracklist
01. Nakryta Neba Burym Dakhom…
02. U Dakhiv Irzhavim Kolossyu…
03. Vechirniy Smerk Okutuye Kimnaty…
04. Za Zoreyu Scho Striloyu Syaye…
05. Bilyavyi Den’ Vtomyvsya I prytykh

Line-up
Roman Sayenko: guitars
Thurios: guitar, vocals
Krechet: bass
Vlad: drums, keyboards

DRUDKH – Facebook

Tracy Grave – Sleazy Future

Con una vera e propria band alle spalle il rocker italiano trova nuove energie e dà alle stampe un album intenso, tra hard rock suonato sui marciapiedi bagnati dalla pioggia a graffianti esempi di street metal sbattuti sul viso degli astanti, dando sfogo a tutta l’attitudine di un mondo dato per morto migliaia di volte e sempre risorto, per la gioia di chi la gloriosa scena ottantiana l’ha vissuta sulla propria pelle.

Si torna a respirare aria di Sunset Boulevard con il nuovo album di Tracy Grave, cantante che dello street/sleazy rock è uno dei massimi esponenti nel nostro paese, affermazione che trova conferma dopo l’ascolto del nuovo album, Sleazy Future, licenziato dalla sempre più presente Volcano Records, ormai da considerare come una delle migliori label che lavorano sul nostro territorio in ambito rock/metal.

Da quasi vent’anni nella scena rock underground, prima come frontman di varie cover band, poi con la sua carriera solista iniziata nel 2015, Tracy torna con questo ottimo lavoro ed una band nuova di zecca, nata dal sodalizio con il chitarrista e compositore Mark Shovel e raggiunti dal basso di Nekro Viper, dalla chitarra ritmica di Enea Grave e dalla batteria di Hurricane John.
Con una vera e propria band alle spalle il rocker italiano trova nuove energie e dà alle stampe un album intenso, tra hard rock suonato sui marciapiedi bagnati dalla pioggia a graffianti esempi di street metal sbattuti sul viso degli astanti, dando sfogo a tutta l’attitudine di un mondo dato per morto migliaia di volte e sempre risorto, per la gioia di chi la gloriosa scena ottantiana l’ha vissuta sulla propria pelle.
E Sleazy Future è pregno di atmosfere che arrivano come flash da quegli anni, anche se come suggerisce il titolo la band lo porta verso il futuro, con la voce da ruvido rocker di Tracy, che alterna graffiante impatto street a sentite interpretazioni su power ballad che ricordano il suono gracchiante delle radio rock incollate al cruscotto di vecchie auto, impolverate dai chilometri consumati alla ricerca di un sogno chiamato rock’n’roll.
E fin dall’opener, nonché primo singolo estratto da Sleazy Future, Cemetery Sin, il mondo di Tracy Grave e le atmosfere stradaiole ci investono alternando graffianti brani tra L.A. Guns e Faster Pussycat a ballate che ricordano il migliore Jon Bon Jovi.
Ottima la prova dei musicisti, con uno Shovel che ci delizia con solos metallici che strappano cuori sotto ai giubbotti di pelle dei rockers, ed un motore ritmico che spara cartucce sleazy/street rock letali.
Una raccolta di brani che non trova imperfezioni nel genere con una manciata di hit come Dirty Rain, Dancing On The Sunset, la super ballata Make You Feel The Pain e Over The Top, terzo scatenato singolo che ci accompagna  presentandoci questo splendido album targato Tracy Grave.
Sleazy Future è sicuramente il lavoro migliore e la massima espressione del credo musicale del musicista nostrano fino ad oggi, ed è caldamente consigliato agli amanti di queste sonorità.

Tracklist
1.Cemetery Sin
2.Dirty Rain
3.Without Scars
4.Dancing On The Sunset
5.Freedom Without Rules
6.Make You Fell the Pain
7.My Last Goodbye
8.Over The Top
9.Pice Of Horizon
10.Return (Back In My Hands)

Line-up
Tracy Grave – Vocals
Mark Shovel – Guitars
Enea Grave – Guitars
Nekro Viper – Bass Guitars
Hurricane John – Drums

TRACY GRAVE – Facebook

ROME IN MONOCHROME

Il video di “Between the dark and shadows”, dall’album “Away From Light” (Bad Mood Man Music).

Il video di “Between the dark and shadows”, dall’album “Away From Light” (Bad Mood Man Music).

La band doom/post-rock Rome in Monochrome ha appena pubblicato il videoclip ufficiale di “Between the Dark and Shadows”, brano tratto dal full-length d’esordio “Away from Light”, uscito lo scorso Marzo per Solitude Productions/BadMoodMan Music.Il video è stato scritto, diretto ed editato dal talentuoso video-maker Roberto Simeone (The Nice Bunch), mentre la produzione è stata curata dalla Kamelia Production.

“Our hearts beat to the rhythm of the orbit, we move guided by the stars. All the universe is a symphony, we play our parts. But “what if eternity was just small?” Look for the answer, between the dark and shadows.”

Rome In Monochrome:
https://www.facebook.com/romeinmonochrome/

Solitude Productions:
https://solitude-prod.com
https://www.facebook.com/solitudeprod/
https://twitter.com/solitude_bmm
https://solitudeproductions.bandcamp.com/

The Nice Bunch:
https://vimeo.com/thenicebunch

Kamelia Production:
https://www.facebook.com/KameliaProduction/

Beneath Oblivion – The Wayward and the Lost

Un’ora abbondante di musica dolente, che si trascina senza alcuna parvenza di accelerazione, regalando a tratti aperture melodiche che non sollevano l’animo ma contribuiscono ad affliggerlo ulteriormente.

“Questa è la litania lacerante e mortifera che si viene a creare se si uniscono due reagenti sonori come lo sludge più torbido e il funeral doom. Colonna sonora ideale per un Western post apocalittico.Un impasto sonoro con brevetto a stelle e strisce, che solo dei dannati bifolchi dell’Ohio potevano partorire.”

Rubo questo brillante commento al mio amico Alberto “Morpheus”, anima della pagina facebook Doom Heart, che ha fotografato come meglio non si sarebbe potuto fare il contenuto di The Wayward and the Lost, terzo full length dei Beneath OBlivion, band di Cincinnati che ormai da oltre un decennio affligge gli appassionati di doom con le proprie sonorità plumbee e limacciose.
Ci sono voluti ben sette anni per dare un seguito al precedente From Man To Dust, ma come spesso accade l’attesa non è stata vana, perché Scotty T. Simpson e soci hanno partorito un devastante monolite che, come già detto, appare l’ideale punto d’incontro tra lo sludge ed il funeral doom.
L’equilibrio permane lungo quest’ora abbondante di musica dolente, che si trascina senza alcuna parvenza di accelerazione, regalando a tratti aperture melodiche che non sollevano l’animo ma contribuiscono ad affliggerlo ulteriormente, come accade con gli stupendi passaggi chitarristici di Liar’s Cross, dove i nostri si spingono dalle parti dei Mournful Congregation d’annata (quindi non quelli relativamente più ariosi dell’ultimo The Incubus Of Karma).
Ma nel suo complesso The Wayward and the Lost non lascia molto spazio a barlumi di luce, con un sound che si snoda con la lentezza di una colata lavica prossima alla solidificazione: cupo, sofferto e sovrastato spesso dalle aspre vocals del chitarrista e fondatore delle band, l’album raccoglie il meglio delle sfumature del doom di matrice estrema per convogliarle un un’unica lunga marcia verso a lidi nebulosi ed indefiniti, un approdo nel quale vanno a convergere le varie pulsioni che animano i migliori dischi doom, come lo è quello offerto dai Beneath Oblivion.

Tracklist:
1. The City, A Mausoleum (My Tomb)
2. Liar’s Cross
3. The Wayward and the Lost
4. Savior-Nemesis-Redeemer
5. Satyr

Line-up:
Scotty T. Simpson – Guitars, Vocals
James Rose – Drums
Allen L. Scott II – Guitars, Samples
Keith Messerle – Bass

BENEATH OBLIVION – Facebook

Barren Earth – A Complex Of Cages

Progmetal, atmosfere estreme, sfumature progressive di ispirazione settantiana, suoni dilatati che guardano verso sud, variano e accrescono questo insieme di note che dal metal prendono la forza espressiva, in un crescendo emozionale che porta ad una armonia tra le parti raramente così riuscita.

Quello che per molti sembrava un progetto nato come semplice fuga dagli Amorphis, è diventato uno dei gruppi più geniali che il “nuovo” metallo progressivo può vantare, lontano anni luce dai meri intrecci ritmici fine a sè stessi della frangia moderna tanto cara alle nuove leve e rivolto a chi dalla musica chiede sempre e comunque emozioni.

Senza cercare di mettere in competizione due realtà che risultano un patrimonio musicale infinito in arrivo dalla terra dei mille laghi, come Amorphis e Barren Earth, si può sicuramente affermare, senza essere tacciati di troppo entusiasmo, che il nuovo album del gruppo dello storico bassista Olli-Pekka Laine abbia tutte le carte in regola per essere considerato un capolavoro.
Orfani del tastierista e co-fondatore Kasper Martenson e con un Jon Aldarà ormai stabilmente dietro al microfono e protagonista con il suo talento dell’ulteriore salto verso l’olimpo del genere, con A Complex Of Cages la band raggiunge vette emozionali altissime ed una qualità compositiva straordinaria.
D’altonde, che i Barren Earth possano essere considerati alla stregua di un supergruppo non è sicuramente un’eresia, parla il curriculum vitae di cui si possono fregiare i sei musicisti, provenienti da gruppi dalle più svariate forme musicali, dagli Amorphis ai Moonsorrow, passando per i Kreator e gli Hamferð.
A Complex Of Cages quindi vive di queste ispirazioni e del talento espressivo che la band sfrutta a dovere, e non me ne vogliano i fans di band più considerate e famose se sostengo che Jon Aldarà vince per distacco contro chiunque possa posizionasi dietro ad un microfono provando ad interpretare il metal progressivo odierno: infatti, le emozioni scaturite dall’ascolto della sua voce, sommata allo stato di grazia compositivo del gruppo, portano l’ascoltatore a vivere un’esperienza d’ascolto entusiasmante.
Progmetal, atmosfere estreme, sfumature progressive di ispirazione settantiana, suoni dilatati che guardano verso sud, variano e accrescono questo insieme di note che dal metal prendono la forza espressiva, in un crescendo emozionale che porta ad una armonia tra le parti raramente così riuscita.
Al centro di questo bellissimo lavoro c’è Solitude Pith, capolavoro progressivo che ingloba tutti gli elementi di cui si fregia A Complex Of Cages, ma sarebbe perlomeno ingiusto citare un brano rispetto ad un altro, perché la moltitudine di note e colori fanno dei brani pezzi pregiati di un puzzle musicale fuori dal comune.
Citare i Barren Earth come una delle massime espressioni del metal del nuovo millennio diventa quantomeno obbligatorio dopo questo splendido ultimo album.

Tracklist
1.The Living Fortress
2.The Ruby
3.Further Down
4.Zeal
5.Scatterprey
6.Solitude Pith
7.Dysphoria
8.Spire
9.Withdrawal

Line-up
Olli-Pekka Laine – Bass, B.vocals
Marko Tarvonen – Drums
Janne Perttila – Guitars, B.vocals
Sami-Yli Sirnio – Guitars, B.vocals
Jon Aldarà – Vocals
Antti Myllynen – Keyboards

BARREN EARTH – Facebook

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