Nagaarum – Homo Maleficus

L’interpretazione del black metal da parte di Nagaarum è abbastanza personale senza essere cervellotica e si sviluppa in maniera nervosa, inquietante e priva sostanzialmente di paletti stilistici, pur mantenendo un’aura di costante oscurità.

Eccoci al cospetto di un altro musicista connotato da una produttività apparente compulsiva: il suo nome é Nagaarum, proviene dall’Ungheria e Homo Maleficus è il suo quattordicesimo full length dal 2011.

Ho già detto la mia al riguardo, ma mi ripeto a scanso di equivoci: una certa iperattività è sempre benvenuta, specie viene asservita ad un talento cristallino, altrimenti è grande il rischio di disperdere il proprio potenziale in una forsennata iperattività.
Il musicista magiaro, del quale malgrado tutto scopro l’esistenza solo in questa occasione, non pare essere afflitto più di tanto da certi problemi: la sua interpretazione del black metal è abbastanza personale senza essere cervellotica (se si eccettuano gli schizofrenici cambi di tempo di Vassal Nevelt) e si sviluppa in maniera nervosa, inquietante e priva sostanzialmente di paletti stilistici, pur mantenendo un’aura di costante oscurità.
In circa tre quarti d’ora Nagaarum esprime tramite la sua musica e in lingua madre il suo punto di vista sul disastro verificatosi nel 2010 in Ungheria, quando la rottura della diga di contenimento del materiale di scarto di una fabbrica di alluminio spinse una marea di fanghiglia rossa su 40 chilometri quadrati di terreni circostanti il villaggio di Kolontar, provocando diverse vittime, l’irrimediabile danno alle attività agricole locali e la sparizione di ogni forma di vita da almeno due corsi d’acqua facenti parte del bacino del Danubio.
La musica contenuta in Homo Maleficus è quindi cupa, priva di pulsioni melodiche e colma di una tensione che sovente si sfoga con violente sfuriate black (nella magnifica Dolgunk végeztével), ottundenti riffing post metal (Mens dominium) o di matrice doom (A befalazott) per stemperarsi nell’ambient della conclusiva Kolontar.
Non mi resta quindi che fare ammenda per aver sottostimato inizialmente le potenzialità di questo bravo e prolifico musicista, capace di produrre un album dai contenuti piuttosto profondi svincolandosi dalla secche di una ordinarietà che, per uno abituato a pubblicare mediamente più di due full length all’anno, sarebbe stata anche comprensibile.
Complimenti al bravo Nagaarum, del quale non resta che andare a riscoprire (nei limiti del possibile) la consistente discografia.

Tracklist:
1. A befalazott
2. Az elvhű
3. Vassal nevelt
4. Cipelők
5. Mens dominium
6. Dolgunk végeztével
7. Kolontár

Line up:
Nagaarum – All instruments, Vocals, Lyrics

NAGAARUM – Facebook

Crematory – Live Insurrection

Non è certo il primo live che gli storici gothic/deathsters Crematory immettono sul mercato, trattandosi di opere che una volta completavano e valorizzavano le discografie dei migliori act rock e metal, ora ad appannaggio dei fans più accaniti.

Il gruppo tedesco però rilascia un ottimo lavoro, licenziato in formato cd/dvd dalla SPV/Steamhammer, che vede i veterani del gothic /death alle prese con il pubblico del Bang Your Head Festival dello scorso anno, più quattro video clips di altrettanti brani tratti dall’ultimo full length Monument.
Pur avendo in parte lasciato il genere d’elezione a favore di un sound più dark ed elettronico, i Crematory si dimostrano una sicurezza, un gruppo solido che se da tempo non si avvicina ai picchi qualitativi dei primi album, mantiene un ottimo impatto, un approccio melodico dal buon appeal ed una forma canzone che permette di andare avanti senza grossi scossoni.
Quindi dopo ventisei anni di album e palchi solcati in giro per l’Europa, i Crematory si possono certamente considerare come un buon rifugio, quando la voglia di ascoltare gothic metal dal buon appeal e dalle facili melodie è forte ed i cd di …Just Dreaming, Illusions e Crematory sono troppo in alto sullo scaffale.
Ma come spesso accade, un album live, specialmente di una band che di buona musica negli anni ne ha scritta eccome, ha la funzione di rispolverare vecchi brani, oltre alle nuove produzioni, in una sorta di best of … anche se Felix, Markus e Katrin non rinnegano sicuramente le ultime produzioni, ampiamente sfruttate in Live Insurrection.
Infatti, il gruppo dà molto spazio ai brani più recenti, non dimenticando certo brani capolavoro come Tears Of Time, inno del gruppo fin dall’uscita del bellissimo Illusions (1995) e che non a caso chiude il concerto.
Felix non rinuncia al growl e in veste live il suono risulta potente e metallico il giusto per non deludere i fans raccolti sotto il palco del famoso festival: Misunderstood, la splendida Pray, Shadowmaker, Höllenbrand (da Klagebilder del 2006) e la già citata Tears Of Time offrono agli astanti una prova convincente.
I Crematory sono un gruppo che col tempo si è creato un meritato zoccolo duro di fans e, mentre gli anni passano, Tears Of Time fa scendere qualche lacrima di nostalgia, con il buon Felix che dimostra di saperci ancora fare.

Tracklist
CD
01. Misunderstood
02. Fly
03. Greed
04. Tick Tack
05. Instrumental
06. Haus mit Garten
07. Ravens Calling
08. Pray
09. Everything
10. Instrumental
11. Shadowmaker
12. The Fallen
13. Höllenbrand
14. Die So Soon
15. Kommt näher
16. Tears Of Time

DVD
Intro
01. Misunderstood
02. Fly
03. Greed
04. Tick Tack
05. Instrumental
06. Haus mit Garten
07. Ravens Calling
08. Pray
09. Everything
10. Instrumental
11. Shadowmaker
12. The Fallen
13. Höllenbrand
14. Die So Soon
15. Kommt näher
16. Tears Of Time
Monument videoclips
01. Misunderstood
02. Ravens Calling
03. Haus mit Garten
04. Everything

Line-up
Felix Stass – vocals
Rolf Munkes – guitar
Tosse Basler – guitar
Jason Mathias – bass
Markus Jüllich – drums
Katrin Jüllich – keyboards

CREMATORY – Facebook

Infinight – Fifteen

I tedeschi Infinight tornano con questo ep, Fifteen, composto da quattro brani che continuano ad amalgamare, questa volta con risultati migliori, U.S. Metal e power di scuola europea.

Gli Infinight sono il classico gruppo power metal tedesco che, partito leggermente in ritardo sulla seconda esplosione del power (seconda metà degli anni novanta), è rimasto intrappolato nell’underground anche se tre full length e tre ep non sono affatto poca cosa per un gruppo autoprodotto.

Vi avevamo parlato del quintetto un paio di anni fa, in occasione dell’uscita del loro terzo album Apex Predator, lavoro riuscito in parte, non decollando grazie ad una fastidiosa prolissità.
Tornano con questo ep, Fifteen, composto da quattro brani che continuano ad amalgamare, questa volta con risultati migliori, U.S. Metal e power di scuola europea.
Atmosfere oscure e drammatiche che ricordano gli Iced Earth, qualche fuga ritmica sul purosangue teutonico ed il gioco è fatto, confermando il gruppo come un buon gruppo minore, da seguire se siete fans accaniti dei suoni classici di scuola classicamente heavy/power.
Goodbye II (this cruel World) è l’ esempio perfetto del sound degli Infinight e, insieme a Through The Endless Night e For The Crown, seguono il canovaccio del precedente full length: dunque heavy/power, potente ma mai troppo veloce, oscurità che man mano si fa sempre più pressante e buoni chorus, maschi e drammatici.
La seconda traccia è un brano acustico, a mio parere anche molto bello (Here To Conquer), di fatto una ballata acustica dove la chitarra e la voce riescono a mantenere la tensione alta, non alleggerendo di un grammo l’atmosfera drammatica che si respira in Fifteen.
Un ep che probabilmente traghetterà il gruppo verso il suo quarto lavoro, me che non cambia quelle che sono le sorti degli Infinight: rimanere ai margini dell’underground heavy/power mondiale.

TRACKLIST
1. Goodbye II (this cruel World)
2. Here to Conquer (unplugged)
3. For the Crown
4. Through the Endless Night

LINE-UP
Kai Schmidt – Bass
Hendrik “Harry” Reimann – Drums
Dominique Raber – Guitars
Marco Grewenig – Guitars
Martin Klein – Vocals

INFINIGHT – Facebook

GAEREA

GAEREA presentano “Endless Lapse” traccia esclusiva tratta dalla versione in VINILE del loro debutto disponibile dal 29 agosto per Everlasting Spew Records.

GAEREA presentano “Endless Lapse” traccia esclusiva tratta dalla versione in VINILE del loro debutto disponibile dal 29 agosto per Everlasting Spew Records!

GAEREA “ENDLESS LAPSE” – VINYL VERSION EXCLUSIVE TRACK
VINYL/DIGITAL PREORDERS AVAILABLE!
on oursite or on bandcamp

Everlasting Spew Records è lieta di annunciare la versione in vinile di “Gaerea” EP di debutto del gruppo che ricevette nel tardo 2016 diversi consensi. GAEREA è metal oscuro e dissonante.
Per questo ri-lancio siamo inoltre orgogliosi di potervi mostrare il video di “Endless Lapse” traccia esclusiva per la versione in vinile!

“its power deriving not only from the emotional intensity of the music and the vocals but also from the staggering force given the sound by the production” No Clean Singing

“a majestic and vast lucid nightmare of obsidian-black sonic transcendence, carved straight into solid black matter” Cvlt Nation

Formati disponibili: MCD/Digitale/Vinile
Per fan di: Mgła, Celeste, Downfall Of Gaia.
Band link: www.facebook.com/gaerea

Amiensus – All Paths Lead To Death

All Paths Lead To Death convince su tutti i fronti, e resta solo da vedere se questo percepibile scostamento stilistico verrà confermato anche in futuro.

L’etichetta francese Apathia Records è caratterizzata da un roster in gran parte autoctono, oltre che composto complessivamente da band connotate da un’irrequietezza compositiva che spinge spesso i generi suonati su un piano avanguardista.

In qualche modo gli Amiensus, quindi, costituiscono un’anomalia, in primis perché statunitensi e, in secondo luogo, in quanto il loro black metal non presenta tratti particolarmente sperimentali; questo, però, non va in alcun modo ad intaccarne la qualità, visto che questi giovani americani, con questo nuovo ep, propongono il genere in maniera del tutto convincente, fondendo abilmente il filone scandinavo con quello nordamericano e ammantando il tutto di una misurata componente atmosferica.
All Paths Lead To Death giunge due anni dopo il full length Ascension: in quel caso gli Amiensus esibivano un black più frastagliato e integrato da una voce femminile, mentre oggi paiono più orientati ad un impatto diretto e privo di fronzoli, anche se comunque sempre progressivo nel suo incedere; indubbiamente i riferimenti a molte delle band che hanno fatto la storia del genere non sono difficili da cogliere, ma i nostri sfuggono alla tentazione di aderirvi in maniera calligrafica, mettendoci in eguale misura cattiveria, convinzione e anche tecnica.
In meno di mezz’ora gli Amiensus offrono cinque brani intrisi della medesima forza di penetrazione, sviscerando senza eccessivi scostamenti la materia black e lasciando qualche bagliore melodico ed epico alla conclusiva The River, dopo che nella precedente Desolating Sacrilege avevano provveduto a surriscaldare per bene i padiglioni auricolari degli ascoltatori.
All Paths Lead To Death convince su tutti i fronti, e resta solo da vedere se questo percepibile scostamento stilistico verrà confermato anche in futuro, perché personalmente questa strada intrapresa dagli Amiensus mi piace non poco.

Tracklist:
1.Gehenna
2.Mouth of the Abyss
3.Prophecy
4.Desolating Sacrilege
5. The River

Line-up:
James Benson : Harsh Vocals, Clean Vocals, Guitar
Alec Rozsa : Keyboards, Guitars, Vocals
D. Todd Farnham : Bass
Zack Morgenthaler : Lead Guitar, Keyboards
Chris Piette : Drums

AMIENSUS – Facebook

Lost Dogs Laughter – Out Of Space

Out Of Space è un album vario e piacevole, con una sua spiccata personalità prendendo ispirazione dalla tradizione a stelle e strisce per portarla con rinnovato entusiasmo nel nuovo millennio.

L’alternative rock italiano si avvale di un’ altra band, i Lost Dogs Laughter, trio romano al debutto con Out Of Space, facendo del rock americano il proprio credo cercando di risultare il più personale possibile.

Matt Bandini (chitarra e voce) fondatore della band e Luk La Grande (basso), sono stati raggiunti in questi anni da una manciata di batteristi, ma in questo esordio sentirete picchiare sulle pelli le bacchette di Andrea Vettor.
Un altro batterista in line up (Gianluca) nel presente del gruppo romano ed un debutto che si colloca nell’alternative rock dalle reminiscenze riscontrabili negli anni novanta, quindi influenze che vanno dall’hard rock di Seattle, a sferzate punk ed atmosfere post rock progressive che donano al sound un elegante, e quanto mai maturo, prog style che fanno di Out Of Space un ascolto affascinante.
Ritmiche che nascono dalle jam di Sonic Youth con l’aiuto di Corgan e dei suoi Smashing Pumpkins, chitarre che lasciano in bocca quel gusto d’acciaio del metal moderno e buone trame melodiche, fanno di Out Of Space un album vario e piacevole, con una sua spiccata personalità che si evince da brani come Honestly, Words Unknown e la title track, esempi di un sound che prende ispirazione dalla tradizione a stelle e strisce per portarla con rinnovato entusiasmo nel nuovo millennio.

Tracklist
1. Sweeter Reaction
2. Honestly
3. Go Away
4. Words Unknown
5. Fade (September 1993)
6. Fallen Angel
7. Am I?
8. Out Of Space
9. The Forgetful

Line-up
Matt Bandini – Chitarra, Voce
Luk La Grande – Basso
Andrea Vettor – Batteria

LOST DOGS LAUGHTER – Facebook

BUSHI + VESPRO + ISTMO LIVE

Mal The Core & Deep Core Prod. presentano:
BUSHI + VESPRO + ISTMO LIVE
@IMAKE PUTIGNANO(BA)

Sabato 16 settembre ore 21 iniziano i live metal/rock mensili all’I MAKE di Putignano(BA) !

Mal the core & Deep core prod. presentano sabato 16 settembre il primo appuntamento mensile incentrato sul post metal/post hardcore all’ I Make in via Santa Caterina da Siena a Putignano(BA)
Sul palco si alterneranno i baresi ISTMO, BUSHI e VESPRO(release party).

VESPRO è un trio originario di Noci, in provincia di Bari, attivo dal 2014.
Il 18 agosto 2014 pubblicano il loro primo EP autoprodotto intitolato “L’ora blu”, registrato da Maurizio D’Aprile e scaricabile gratuitamente al sito www.vespro.rocks
Nel corso del lungo tour tra il 2014 e il 2016, condividono il palco con diverse realtà locali e hanno la possibilità di aprire i concerti di Giovanni Truppi e Spartiti (Max Collini + Jukka Reverberi).
Nell’Aprile del 2016 entrano in studio e registrano “C’è così tanto silenzio” seguiti da Giuseppe Mariani presso Officina Musicale.
Il 7 aprile 2017 pubblicano “C’è così tanto silenzio”.
#CCTS è un disco ruvido e potente ma che sa anche essere delicato e raffinato.
A partire dai lunghi silenzi notturni della propria stanza esplora l’oscurità degli individui e del mondo che ci aspetta fuori, una volta cresciuti.

BUSHI
Il progetto BUSHI nasce da un’idea di Alessandro Vagnoni, responsabile delle musiche, dei testi e del concept grafico-lirico di questo omonimo “debut album”. “Bushi” uscirà l’8 settembre 2017 su Dischi Bervisti. BUSHI è un trio composto da polistrumentisti, molto attivi nella scena musicale italiana: Alessandro “Urmuz” Vagnoni (BOLOGNA VIOLENTA, ex-INFERNAL POETRY, ex-DARK LUNACY), Davide Scode (ex-KINGFISCHER) e Matteo “Tegu” Sideri (RONIN, ABOVE THE TREE & E-SIDE, MARIA ANTONIETTA). Il disco è stato prodotto, registrato, mixato in Italia da Alessandro Vagnoni presso il Plaster Recording Studio e masterizzato da Enrico Tiberi presso il Lullaby Studio di Berlino. L’immaginario iconografico e lirico di BUSHI si ispira all’epopea dei Samurai, caratterizzato dalla contraddizione tra fierezza e disonore, raffinatezza e crudeltà, prestigio e decadenza. I testi sono brevi componimenti in versi (haiku, metro tipico della poesia giapponese), ognuno dei quali ispirato dai precetti delle scuole militari e filosofiche di tali nobili guerrieri. Musicalmente, Bushi è una creatura multiforme.

ISTMO
L’istmo è una sottile lingua di terra, bagnata su ambo i lati da ingenti masse d’acqua appartenenti a oceani, mari o laghi, che congiunge tra loro due territori più vasti di cui uno continentale e l’altro generalmente insulare o anch’esso continentale.
Ci sono posti in cui, a causa delle maree, l’istmo è temporaneo e la penisola diventa per alcuni momenti di alcuni giorni un’isola completamente circondata dalle acque.
Un istmo è il concetto opposto di uno stretto: l’istmo collega tra loro due vasti territori; lo stretto le divide.

PARTNER
Bari rock city
S-LOW
Breaking sound
Bat Awakenin
Upwind
SYNTH

SPONSOR:
InscriptaTattoo di Danilo Rotolo
Kambusa ROCK BAR
Blacksheepstore
Loadink Tattoo Studio

DATI DI CONTATTO

Tau Cross – Pillar of Fire

Secondo eccellente lavoro per questo supergruppo che, unendo ingredienti come darkwave,crust,trash, sforna un’opera intensa, coinvolgente e da non lasciarsi sfuggire.

Essenziale e potente! Con questi aggettivi si può definire la seconda prova offerta da questo supergruppo internazionale che affonda le radici in Canada, in U.S.A. e in United Kingdom.

Nel 2015 la prima opera omonima in cui grandi musicisti come Rob “The Baron” Miller alle vocals e Michael “Away” Langevin alla batteria, hanno dimostrato una volta di più il loro valore musicale; mi auguro che non ci sia bisogno di spiegare chi siano e da che band provengano! Con l’aiuto di altri quattro validi musicisti, dal passato meno importante e dopo due anni dal debutto, ci regalano altri cinquanta minuti di grande musica, dove le coordinate sonore sono similari al debutto e forse meglio messe a fuoco: l’unione tra post-punk, crust, darkwave (versante Killing Joke di Wardance e Requiem e in alcuni tratti ritmici i primi Red Lorry Yellow Lorry), trash e musica heavy genera, soprattutto nella prima parte del disco, una serie di brani potenti, trascinanti dove si erge in modo sontuoso il suono del basso, suonato da Tom Radio e dallo stesso Rob Miller (inizio di Deep State), che accompagna e crea muri sonori dove le chitarre intessono melodie semplici ma incisive; la voce rauca, ruvida, vissuta e spesso disperata di “The Baron” crea un contrasto efficace con la macchina da guerra precisa degli strumenti.
La prima parte, come si diceva, esprime la potenza e l’essenzialità di un suono (Raising Golem) seguendo derive trash, punk e post-punk, mentre la seconda parte rallenta i ritmi e da maggiore sfogo ad armonie darkwave e atmosferiche come nella splendida Killing the King, nella title track, dove si toccano vette dark-folk molto intense ricordanti le piccole gemme solistiche di Steve Von Till (Neurosis). Ultima nota di merito per il magnifico brano What Is a Man, che con suggestive note tastieristiche porta a compimento un lavoro che difficilmente lascerà il vostro lettore cd.

Tracklist
1. Raising Golem
2. Bread and Circuses
3. On the Water
4. Deep State
5. Pillar of Fire
6. Killing the King
7. A White Horse
8. The Big House
9. RFID
10. Seven Wheels
11. What Is a Man

Line-up
Rob (The Baron) Miller Bass, Vocals
Michel (Away) Langevin Drums
Andy Lefton Guitars
Jon Misery Guitars
Tom Radio Bass

TAU CROSS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=3gd3xYtars8

Nexus – The Taint

I Nexus spaziano tra il rock alternativo dalle atmosfere dark, non rinnegando le proprie influenze che vanno dai più famosi Depeche Mode fino alle nuove leve del rock dai tenui colori oscuri come HIM o Deathstars, mentre la carta d’identità tricolore si può intuire da un uso vagamente progressivo dei tasti d’avorio.

Debutto su Agoge Records per i gothic metallers Nexus, band nata per volere del cantante e chitarrista Vlad Voicu e del bassista Tony Di Marzio.

Con l’aiuto in studio di Gianmarco Bellumori, responsabile della label, licenziano questo primo album sulla lunga distanza intitolato The Taint, un gothic album pregno di sfumature elettroniche che hanno poco dell’industrial e tanto della new wave risalente agli anni ottanta, ovviamente trasportata in un contesto dove le chitarre graffiano e le ritmiche mantengono quel tocco groove che fa tanto cool di questi tempi.
Ne esce un lavoro dal buon appeal, magari mancante ancora di quel quid che fa di una buona canzone un potenziale hit, ma le premesse per un futuro roseo nel panorama dark gothic ci sono tutte.
I Nexus spaziano tra il rock alternativo dalle atmosfere dark, non rinnegando le proprie influenze che vanno dai più famosi Depeche Mode fino alle nuove leve del rock dai tenui colori oscuri come HIM o Deathstars, mentre la carta d’identità tricolore si può intuire da un uso vagamente progressivo dei tasti d’avorio.
L’album mantiene la stessa marcia per tutta la sua durata, scalando e ripartendo in quarta (qualitativamente parlando) con Funeral Pyre, N.B.N e la notevole Scrying Mirror.
Una buona partenza per i Nexus, band da seguire se siete amanti del dark/gothic metal di inizio millennio.

Tracklist
1.Solitude
2.Cancer
3.Funeral Pyre
4.Crimson Wine
5.Stillborn
6.N.B.N
7.Scrying Mirror
8.Close Your Eyes
9.To Silence Your Demons

Line-up
Vlad Voicu – lead vocals, studio guitars & programming
Tony Di Marzio – bass and backing vocals
Il Diverso – synth/keyboards & programming
Diego Aureli – live guitars
Daniele Di Gasbarro – live drums

NEXUS – Facebook

Xanthochroid – Of Erthe and Axen Act I

Of Erthe and Axen Act I è diverso dal suo predecessore, ma resta comunque un altro capolavoro rilasciato da questa band di un livello talmente superiore alla media da rendere persino irritante il fatto che non abbia ancora raggiunto il meritato successo planetario.

Per uno che ha considerato Blessed He with Boils uno dei dischi più belli pubblicati in questi decennio, il ritorno al full length degli Xanthohchroid è stata senza dubbio una splendida notizia che nascondeva però anche un sottile filo di inquietudine.

Infatti, il timore che questi giovani e geniali musicisti americani potessero aver smarrito la loro ispirazione in questi lunghi cinque anni era un qualcosa che ha aleggiato fastidiosamente a lungo nei miei pensieri, spazzato via fortunatamente dalle prime note di Of Erthe and Axen Act I, nelle quali persiste quella stessa e unica vena melodica e sinfonica.
Per parlare di questo nuovo parto degli Xanthohchroid è fondamentale partire dal fondo, non del disco ma delle note di presentazione: infatti i nostri, in un una postilla che in un primo tempo mi ero anche perso, raccomandano ai recensori di valutare l’album quale effettiva prima parte di un’opera che vedrà uscire la sua prosecuzione ad ottobre, e, pertanto, il fatto che il sound possa apparire molto meno orientato al metal e più al folk è motivato da un disegno complessivo che prevede un notevole rinforzo delle sonorità in Of Erthe and Axen Act II.
Tutto ciò è molto importante, perché si sarebbe corso il rischio di accreditare la band di una sterzata dal punto di vista stilistico che, invece, dovrà essere eventualmente certificata come tale solo dopo l’ascolto del lavoro di prossima uscita; detto ciò, appare evidente come quelle audaci progressioni, che fondevano la furia del black metal con orchestrazioni di stampo epico/cinematografico, in Act I siano ridotte all’osso, lasciando spazio ad una componente folk e acustica dal livello che, comunque, resta una chimera per la quasi totalità di chiunque provi a cimentarvisi.
Infatti, i brani che riportano in maniera più marcata ai suoni di Blessed He with Boils sono una minoranza, rappresentata essenzialmente da To Higher Climes Where Few Might Stand, The Sound Which Has No Name, e parzialmente, The Sound of Hunger Rises, laddove si ritrova intatta quella potenza di fuoco drammatica e melodica che rende gli Xanthochroid immediatamente riconoscibili in virtù di una peculiarità che non può essere in alcun modo negata; per il resto, Of Erthe and Axen Act I si muove lungo i solchi di un folk sempre intriso di una malinconia palpabile e guidato dall’intreccio delle bellissime voci di Sam Meador (anche chitarra acustica e tastiere), della moglie Ali (importante novità rispetto al passato) e di Matthew Earl (batteria e flauto).
Detto così sembra può sembrare che questo disco sia di livello inferiore al precedente ma cosi non è: anche nella sua versione più pacata e di ampio respiro la musica degli Xanthochroid mantiene la stessa magia e, anzi, potrebbe persino attrarre nuovi e meritati consensi, rivelandosi per certi versi meno impegnativa da assimilare; quel che è certa ed immutabile è la maturità compositiva raggiunta da una band che si muove ad altezze consentite solo a pochi eletti, andando a surclassare per ispirazione persino quelli che potevano essere considerati inizialmente degli ideali punti di riferimento come gli Wintersun.
Of Erthe and Axen continua a raccontare le vicende che si susseguono in Etymos, mondo parallelo creato da Meador e che nel notevole booklet è illustrato con dovizia di particolari, con tanto di cartina geografica: la storia narrata in questo caso è un prequel rispetto a Blessed He with Boils, ma questi sono particolari, sebbene importanti, destinati a restare in secondo piano rispetto al superlativo aspetto musicale
La formazione odierna ridotta a quattro elementi (assieme ai tre c’è anche Brent Vallefuoco, che si occupa delle parti di chitarra elettrica infarcendo l’album di magnifici assoli) risulta un perfetto condensato di talento e creatività che trova sbocco sia nei già citati episodi più robusti, sia nelle perle acustiche rappresentate da To Lost and Ancient Gardens, In Deep and Wooded Forests of My Youth (per la quale è stato girato dallo stesso Vallefuoco un bellissimo video) e la stupefacente The Sound of a Glinting Blade, che vive di un crescendo emotivo e vocale destinato a confluire nel furente incipit sinfonico della conclusiva The Sound Which Has No Name, andando a creare uno dei passaggi più impressionanti del lavoro.
Se a un primo ascolto l’apparente tranquillità che pervade il sound poteva aver lasciato un minimo di perplessità, il ripetersi dei passaggi nel lettore conferma ampiamente che il valore degli Xanthochroid non è andato affatto disperso, anzi: Of Erthe and Axen Act I è diverso dal suo predecessore, ma resta comunque un altro capolavoro rilasciato da questa band di un livello talmente superiore alla media da rendere persino irritante il fatto che non abbia ancora raggiunto il meritato successo planetario.
Al riguardo, è auspicabile che l’uscita ravvicinata delle due parti di Of Erthe and Axen possa consentire di mantenere viva per più tempo l’attenzione sugli Xanthohchroid, rimediando a questa evidente stortura.

Tracklist:
01. Open The Gates O Forest Keeper
02. To Lost and Ancient Gardens
03. To Higher Climes Where Few Might Stand
04. To Souls Distant and Dreaming
05. In Deep and Wooded Forests of My Youth
06. The Sound of Hunger Rises
07. The Sound of a Glinting Blade
08. The Sound Which Has No Name

Line-up:
Sam Meador – Vocals, Keyboards, Guitars (acoustic)
Matthew Earl – Drums, Flute, Vocals (backing)
Brent Vallefuoco – Guitars (lead), Vocals
Ali Meador – Vocals

XANTHOCHROID – Facebook

Jagged Vision – Death Is This World

I watt arrivano al limite in più di un’occasione, violentando l’ispirazione melodica dei Jagged Vision con dosi letali di hardcore e sludge , mentre le urla si intensificano e l’atmosfera si scalda non poco.

Partita sette anni fa come band dal sound ispirato all’hardcore, la band metallica dei Jagged Vision si è trasformata in una potentissima macchina da guerra metal/stoner, dalle dai devastanti rallentamenti sludge ed una forte attitudine death ‘n’ roll.

Un ep, l’esordio sulla lunga distanza targato 2014 ed ora questo devastante lavoro, intitolato Death Is This World, potente e melodico il giusto per non farsi dimenticare troppo in fretta nel panorama del metal dalle reminiscenze stoner, genere che riesce ancora a fare breccia nei cuori dei metal rocker modiali.
L’attitudine hardcore non è stata abbandonata del tutto dal gruppo norvegese, così come non si fanno mancare ottimi inserti melodici di stampo death scandinavo, sempre in un contesto metallico furioso, dove il gruppo spinge a tavoletta e ricorda in più di una occasione gli In Flames non ancora ammaliati dalle soleggiate coste americane (Feeble Souls).
I watt arrivano al limite in più di un’occasione, violentando l’ispirazione melodica dei Jagged Vision con dosi letali di hardcore e sludge , mentre le urla si intensificano e l’atmosfera si scalda non poco (Euthanasia, Forlorn).
Il quintetto spara dieci cannonate metalliche che fanno seri danni, con una Serpents che sbaraglia la concorrenza, un’esplosione metal/stoner/hardcore di notevole pericolosità.
Buon lavoro di genere, cattivo, melodico e devastante quanto basta per piacere non poco agli amanti di queste sonorità.

TRACKLIST
1.Betrayer
2.Euthanasia
3.Death Is This World
4.I Am Death
5.Feeble Souls
6.Emperor Of
7.Seven Seals
8.Serpents
9.Forlorn
10.Palehorse

LINE-UP
Kato Austrått -Bass
Joakim Svela – Drums
Daniel Vier – Guitars
Harald Lid – Guitars
Ole Wik – Vocals

JAGGED VISION – Facebook

BURNT OUT WRECK

Il video di Swallow, dall’album omonimo uscito a febbraio (Cherry Red Records)

Il video di Swallow, dall’album omonimo uscito a febbraio (Cherry Red Records)

https://www.facebook.com/BurntOutWreck/videos/1798211400443156/

Travelin Jack – Commencing Countdown

I Travelin Jack hanno saputo rielaborare le influenze dei maestri del genere, inventandosi la propria personale rivisitazione del classic rock.

Ora che l’hard rock dai rimandi settantiani è tornato definitivamente ad incendiare le notti dei rockers tra impatto rock’n’roll e splendide note blues, il dibattito si fa sempre più acceso tra i consumatori di musica, con una parte a difendere l’operato dei molti gruppi apparsi sul mercato (tanti davvero interessanti) e l’altra a criticare l’effetto nostalgia che il successo del genere comporta, dimenticando che, in fondo, è solo rock’n’roll.

Quindi lasciate a casa la voglia di criticare a priori e buttatevi a capofitto sul secondo album di questa band tedesca, dal monicker che ricorda passati eroi dell’hard rock blues (Travelin Jack mi ha subito portato alla mente Grand Funk Railroad e Creedence Clearwater Revival), con una cantante nata per essere una blues girl ed un lotto di brani a formare un altro bellissimo album di hard rock vintage, psichedelico e bluesy.
Attiva più o meno da una manciata di anni e con un primo album alle spalle licenziato nel 2015 dal titolo New World, la band dopo la firma per Steamhammer/SPV si presenta con il nuovissimo Commencing Countdown, provando così a scalzare dal trono di spade del rock di questo inizio millennio i vari Pristine, Blues Pills, The Answer e compagnia nostalgica.
Look glam alla T.Rex, una sirena blues al microfono (Alia Spaceface) e una serie di brani affascinanti che, amalgamando in un unico sound hard rock britannico, rock blues e psichedelia, si insinuano come serpenti usciti da un trip nella nostra mente e nel nostro corpo, scuotendolo dalle fondamenta, mentre le chitarre decollano, toccando pianeti dove in passato un essere di nome Ziggy partì verso la conquista della Terra.
Questa caratteristica è la differenza sostanziale tra i Travelin Jack ed i loro colleghi, la forte componente glam che si affaccia tra le trame hard blues di brani straordinari per intensità ed emozionalità, crescendo dall’opener per arrivare alla perfezione quando l’album entra nel vivo e ci regala musica rock d’alta scuola con Cold Blood, lo space rock pregno di blues di Galactic Blue, la sentita Time, il rock’n’roll di Miracles che ricorda opere rock come Tommy, il blues dannato e perdente di What Have I Done e Fire, brano marchiato da un’ interpretazione notevole della Spaceface.
I Travelin Jack hanno saputo rielaborare le influenze dei maestri del genere, inventandosi la propria personale rivisitazione del classic rock: questo è l’unico dato certo, mentre il sottoscritto prima o poi tornerà sulla Terra, forse.

Tracklist
1. Land Of The River
2. Metropolis
3. Keep On Running
4. Cold Blood
5. Galactic Blue
6. Time
7. Miracles
8. What Have I Done
9. Fire
10. Journey To The Moon

Line-up
Alia Spaceface – vocals, guitar
Flo The Fly – guitar
Steve Burner – bass
Montgomery Shell – drums

TRAVELIN JACK – Facebook

T-Roosters – Another Blues To Shout

Another Blues To Shout è composto da tredici splendide canzoni, tredici composizioni dove le note del delta prendono vita, tra il blues classico e lo swing.

Ai lettori della nostra webzine non facciamo mancare niente, partendo dal presupposto che, oltre allo zoccolo duro di metallari dai gusti estremi o classici, ci sia pure (come è nel nostro spirito) chi ama la buona musica a prescindere dagli stili che formano la grande famiglia del rock.

E non può mancare il blues, capostipite di tutto quello che si ascolta ai nostri giorni, specialmente ora che, come negli anni settanta, il rock ha ripreso la strada della frontiera che porta al delta del grande fiume, là dove tutto è nata tra il profumo del tabacco ed il tintinnio delle catene.
Quello che non sapete è che i protagonisti di questo viaggio/sogno tra le rive del Mississippi sono i T-Roosters, band di bluesmen italiani giunti al loro al quarto album in circa un decennio di attività.
Another Blues To Shout è composto da tredici splendide canzoni, tredici composizioni dove le note del delta prendono vita, tra il blues classico e lo swing: poco rock dunque, ma un affascinate percorso musicale nel blues delle origini, dove l’armonica diventa a tratti l’assoluta protagonista di sanguigne e ribelli boogie woogie songs e il ritmo instancabile ricorda le lunghe serate fuori dalle povere case degli schiavi, che esorcizzavano la fatica di lunghe giornate nei campi con interminabili e straordinarie jam.
Scritto a due mani da Paolo Cagnoni e Tiziano Galli (testi, musiche e produzione), Another Blues To Shout conferma l’ottima reputazione del gruppo nella scena del genere, non solo nel nostro paese visto l’exploit dello scorso anno quando i T-Rooster hanno strappato una posizione di tutto rispetto al Blues Contest “IBC”, concorso di blues internazionale tenutosi a Memphis.
L’opener Lost And Gone, i brividi suscitati dall’atmosfera accaldata e rustica della splendida Morning’ Rain Blues, lo swing protagonista di Naked Born Blues e il rock’n’roll dei pionieri nella straordinaria Livin’ On Titanic, sono solo una parte del tesoro musicale che scoprirete ascoltando Another Blues To Shout, un album passionale come solo questo genere sa essere.

Tracklist
1 Lost And Gone
2 Morning Rain Blues
3 I Wanna Achieve The Aim
4 On This Life Train
5 Naked Born Blues
6 Sugar Lines
7 Beale Street Bound
8 Livin’On Titanic
9 Black Star Blues
10 Still Walkin’ Down South
11 Missing Bones
12 The Way I Wanna Live
13 I’m Rolling’ Down Again

Line-up
Tiziano “Rooster Tiz” Galli – Voce e Chitarre
Giancarlo “Silver Head” Cova – Batteria e Background Vocal
Luigi “Lillo” Rogati – Basso, Contrabbasso e Background Vocal
Marcus “Bold Sound” Tondo – Armoniche e Background Vocal

T-ROOSTERS – Facebook

RANCHO BIZZARRO

Il video del primo singolo “Garage Part Two”, tratto dal nuovo album omonimo fuori durante l’Autunno 2017 su ARGONAUTA Records.

Gli Stoner Desert Rockers italiani RANCHO BIZZARRO pubblicano il video del primo singolo “Garage Part Two”, tratto dal nuovo album omonimo fuori durante l’Autunno 2017 su ARGONAUTA Records.

I RANCHO BIZZARRO sono il nuovo progetto di Izio Orsini, che dopo il debutto “Weedooism” a nome Bantoriak (il nuovo album uscirà nel 2018), ha deciso di dare vita a una nuova band, un quartetto strumentale formato da due chitarre (Matteo Micheli e Marco Gambicorti), basso (Izio Orsini) e batteria (Federico Melosi), con chiare influenze Stoner Desert Rock.

L’idea originale nasce da jam in sala prove, poi arrangiate in studio con un suono anni ’70 e tra le influenze possiamo annoverare Brant Bjork, MC5, Black Sabbath.

INFO:
https://www.facebook.com/desertyeah
https://www.facebook.com/ArgonautaRecords

The Black Capes – All These Monsters

All These Monsters è un album che scorre via abbastanza liscio, decisamente orecchiabile e ben costruito, ma l’utilizzo stesso di quest’ultimo termine è emblematico di quanto il tutto appaia molto più pianificato che spontaneo.

Chi apprezza sonorità gothic/rock credo che stia attendendo da un pezzo qualcuno in grado di rievocare i fasti del passato: in epoca relativamente recente ci sono riusciti i The 69 Eyes, salvo perdere progressivamente in efficacia dopo i primi 2-3 notevoli lavori.

Ci provano oggi i greci The Black Capes, i quali alla band finlandese si rifanno in maniera abbastanza evidente aggiungendovi un approccio leggermente più robusto e provando talvolta ad attingere, a seconda delle sfumature scelte, da miti del passato come Type 0 Negative, The Cult e, aggiungerei, anche Sentenced.
L’operazione non fallisce ma neppure riesce al 100%, nel senso che All These Monsters è un album che scorre via abbastanza liscio, decisamente orecchiabile e ben costruito, ma l’utilizzo stesso di quest’ultimo termine è emblematico di quanto il tutto appaia molto più pianificato che spontaneo.
Qualche potenziale hit si palesa tra la decina di brani offerti dal gruppo ateniese (Purple Heart, We Will Never Die) facendo battere il piede con convinzione, ma personalmente prediligo la vena doom di Wolf Child o quella più hard rock della title track.
All These Monsters è suonato e prodotto con tutti i crismi e ben interpretato da un vocalist sufficientemente versatile come Alexander S Wamp, bravo nell’alternare un timbro più ruvido al quello più canonico in quota Jirky/Steele, ma sussistono forti dubbi sulla capacità dell’album di restare nel lettore per più di un paio di ascolti; inoltre, fermo restando che sul genere gli spazi di manovra per differenziarsi dai propri modelli non sono moltissimi, i The Black Capes, almeno per ora, paiono saltabeccare tra una e l’altra fonte di ispirazione mettendoci poco o nulla di proprio, e forse è proprio questo lo snodo sul quale dovranno lavorare maggiormennte in futuro.

Tracklist:
1.The Invite
2.Sarah The Witch
3.Wolf Child
4.Purple Heart
5.Now Rise
6.The Black Capes
7.New Life
8.We Will Never Die
9.All These Monsters
10.The Withdrawal

Line-up:
Alexander S Wamp – Vocals
Thanos Jan – Guitar
Irene Ketikidi – Guitar
Chris Rusty – Bass
Christos Grekas – Drums

Dimitri Stathakopoulos – Keys

THE BLACK CAPES – Facebook

XANTHOCROID

Il video di In Deep and Wooded Forests of My Youth, dall’album Of Erthe And Axen Act I.

“In Deep and Wooded Forests of My Youth” finds Vera pleading with Thanos to save the forest from his brother Sindr, who plans to harvest the magical energy found in the deep Fens of Axen. Band members Sam Meador, Matthew Earl, and Ali Meador are featured in this video filmed, directed, and produced by Brent Vallefuoco.

A note from Sam – “this video is not meant to depict specific events from the Xanthochroid mythos and overall story of the album, but rather a simple, scenic performance video created with the minimal resources of an independent band. We hope to bring you true depictions of the story of Etymos in the near future; your support in sharing this video, downloading your free single, and pre-ordering this album helps to keep Xanthochroid able to bring you high-quality content and tell this epic tale…”

Filmed in Silverado Canyon, CA in April 2017.
Video teaser url: https://www.facebook.com/xanthochroidmetal/videos/1821893227828588/
FREE song download here: xanthofficial.com/singles
Pre-order “Of Erthe and Axen” Act I here: xanthofficial.com

Clouds – Destin

I quattro brani inediti rendono Destin un’altra tappa fondamentale per il doom atmosferico, facendo di questo progetto, cangiante in diversi dei suoi protagonisti ma sempre saldamente in mano al talento di Daniel Neagoe, un appuntamento frequente quanto irrinunciabile per chi ama queste sonorità.

E’ passato davvero poco tempo da quando mi ritrovai ad esaltare quel capolavoro di malinconia fatta musica intitolato Departe ed eccomi nuovamente alle prese con una nuova uscita marchiata Clouds, frutto dell’instancabile creatività di Daniel Neagoe.

Mai tale prolificità fu più gradita, visto che il livello del pathos resta elevatissimo anche in questa uscita intitolata Destin che, trattandosi di un ep, non consta solo di brani inediti ma anche di riedizioni di altri già usciti in precedenza.
Quello che conta, ovviamente, sono le quattro nuove tracce, ognuna di esse incisa con l’apporto di un diverso ospite alla voce capace di rendere sempre più peculiare e nel contempo completo l’operato di questo supergruppo del doom atmosferico.
In The Wind Carried Your Soul troviamo la voce angelica di Ana Carolina dei cileni The Mourning Sun (dei quali raccomando vivamente, a chi non lo conoscesse, lo splendido Último Exhalario) duettare con Daniel, creando un’alchimia vocale magica ed esaltata da un substrato melodico di rara bellezza; la successiva Fields of Nothingness è interpretata da Mikko Kotamäki (Swallow The Sun, lo specifico per chi fosse capitato qui per sbaglio …), sempre in grado di restituire ogni brano che lo vede protagonista al massimo del suo potenziale evocativo, cosa che avviene anche con questa magnifica canzone che ricorda per struttura quella interpretata da Pim Blanckenstein in Departe (Driftwood).
In Nothing but a Name la parte vocale viene affidata a Mihu, frontman dei meno conosciuti rumeni Abigail, dalla timbrica abbastanza simile a quella di Daniel: qui a fare la differenza è una melodia dolente delineata dal pianoforte e da una chitarra che si ritaglia un maggior spazio solistico rispetto al solito; il quarto e ultimo brano inedito, In this Empty Room, è quello più soprendente, soprattutto perché ci consente di scoprire una grande interprete come la cantante greca Gogo Melone (Aeonian Sorrow), in possesso di una voce versatile e del tutto personale: il duetto con il growl di Neagoe porta il sound su lidi diversi rispetto a quelli più consueti dei Clouds, conferendogli un aspetto meno cupo, sebbene sempre intriso di malinconia.
Destin nella sua fasce discendente presenta le versioni acustiche di You Went so Silent ed Even If I Fall (entrambe tratte da Doliu), che in tale veste perdono parte del loro pathos drammatico ma evidenziano come Daniel sia diventato un magnifico interprete anche quando si trova alle prese con le sole clean vocals, e la riedizione del singolo Errata, uscito nel 2015 nell’intervallo tra i due full length, che si conferma episodio di buona levatura senza raggiungere i picchi di gran parte della produzione dei Clouds.
Nel complesso, i quattro brani inediti rendono Destin un’altra tappa fondamentale per il doom atmosferico, facendo di questo progetto, cangiante in diversi dei suoi protagonisti ma sempre saldamente in mano al talento del musicista rumeno, un appuntamento frequente quanto irrinunciabile per chi ama queste sonorità.

Tracklist:
1. The Wind Carried Your Soul feat. Ana Carolina (Mourning Sun)
2. Fields of Nothingness feat. Mikko Kotamäki (Swallow the Sun)
3. Nothing but a Name feat. Mihu (Abigail)
4. In this Empty Room feat. Gogo Melone (Aeonian Sorrow)
5. You Went so Silent (acoustic Destin version)
6. Even if I fall (Destin version)
7. Errata (re-mixed)

Line up:
Daniel Neagoe – Vocals
Déhà – Bass
Steffan Gough – Guitars
Chris Davies – Violn
Anders Eek – Drums

CLOUDS – Facebook

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