Sangue Nero – Viscere

I Sangue Nero, i quali hanno senza dubbio il merito di riportare il black metal alla sua funzione originaria, ovvero quella di infrangere incancreniti canoni stilistici, etici e filosofici.

La Third I Rex appartiene al novero di quelle etichette che pongono tra le loro priorità la pubblicazione di album anticonvenzionali o, quanto meno, molto lontani da quello che potrebbe essere definito come un prodotto spendibile a livello commerciale.

Con i Sangue Nero, trio italiano all’esordio con questo Viscere, si viene addirittura scaraventati in una forma di black metal estrema nel senso più autentico del termine: qui, infatti, non vi è alcuna concessione melodica o atmosferica, e il tessuto sonoro è essenzialmente il mezzo per rivoltare come un guanto coscienze assopite, provando con decisione a scuoterle dal loro torpore piuttosto che blandirle.
In poco meno di mezz’ora i Sangue Nero esibiscono un’interpretazione del genere che si potrebbe definire avanguardistica, se non fosse che tale aggettivo non si sposa granché con l’approccio al black tutt’altro che cerebrale del trio: il titolo Viscere non credo sia casuale, proprio perché i suoni, per quanto sghembi e spesso ai limiti dell’improvvisazione (specialmente per quanto riguarda l’interpretazione vocale) sono oltremodo diretti e impattanti.
Il vocalist e bassista T. utilizza anche uno strumento inusuale come il didgeridoo, conferendo un’aura del tutto particolare ai due episodi ambient I e IV, mentre i brani contrassegnati dai numeri II, III e V non risparmiano ruvidezze strumentali e vocali, con una sviluppo che a tratti può anche apparire cacofonico ma che finisce, invece, per conferire al tutto un notevole potenziale ipnotico e straniante.
La decisione di limitare il minutaggio di un lavoro di tali caratteristiche è senz’altro azzeccata, perché oltre un certo limite l’inevitabile calo di tensione potrebbe rendere difficilmente assimilabile l’operato dei Sangue Nero, i quali hanno senza dubbio il merito di riportare il black metal alla sua funzione originaria, ovvero quella di infrangere incancreniti canoni stilistici, etici e filosofici.

Tracklist:
1.I
2.II
3.III
4.IV
5.V

Line up:
T . – Bass, Didgeridoo, Vocals
V . – Guitars
M . – Drums

SANGUE NERO – Facebook

Incantation – Profane Nexus

Un’apoteosi di scorribande in doppia cassa, lentissimi e claustrofobici passaggi doom ed atmosfere malvagie: Profane Nexus ribadisce l’assoluta qualità della proposta degli Incantation, band che risulta una garanzia ed una delle poche dal sound personale.

Il 2017 verrà sicuramente ricordato dai fans del metal estremo per il ritorno di molte bands storiche del panorama death metal mondiale, con album che non andranno sicuramente ad intaccare la loro reputazione, degni successori delle opere uscite negli anni di maggior fama per il genere.

Si aggiungono a questa invasione di vecchie glorie gli statunitensi Incantation, gruppo proveniente dalla Pensylvania che John McEntee ha tenuto attivo dal 1989 con undici album licenziati ed una marea di lavori minori, sempre all’insegna di un blasfemo death metal dalla forte componente doom.
Anche in questo nuovo lavoro intitolato Profane Nexus la formula non cambia, con il gruppo che continua imperterrito ad alternare, amalgamare e modellare death metal old school e doom funereo, come da tradizione.
Niente di nuovo direte voi, vero è che anche questo oscuro e diabolico album non mancherà di crogiolare le anime possedute dal verbo Incantation, tra devastanti ripartenze e lunghe cadute nell’abisso dove le anime soffrono di una infinita e tragica disperazione, seviziate e torturate dalla lava che lenta scorre ai loro piedi.
McEntee, con il suo satanico growl, detta i tempi di questa macchina infernale, assecondato da Sonny Lombardozzi alla sei corde, Chuck Sherwood al basso e Kyle Severn alle pelli, con il valore aggiunto del lavoro in studio di Dan Swanö e la “benedizione” della Relapse.
E’ un’apoteosi di scorribande in doppia cassa, lentissimi e claustrofobici passaggi doom ed atmosfere malvagie: Profane Nexus ribadisce l’assoluta qualità della proposta di una band che risulta una garanzia ed una delle poche dal sound personale.
Gli Incantation da anni suonano come … gli Incantation, se sia difetto o virtù dipende dai punti di vista, l’importante è che brani come Visceral Hexahedron, Incorporeal Despair, Lus Sepulcri continuino a dispensare metal estremo oscuro e blasfemo suonato da uno schiacciasassi.

Tracklist
01. Muse
02. Rites of the Locust
03. Visceral Hexahedron
04. The Horns of Gefrin
05. Incorporeal Despair
06. Xipe Totec
07. Lus Sepulcri
08. Stormgate Convulsions from the Thunderous Shores of Infernal Realms Beyond the Grace of God
09. Messiah Nostrum
10. Omens to the Altar of Onyx
11. Ancients Arise

Line-up
John McEntee – Guitar, Vocals
Sonny Lombardozzi- Lead Guitar
Chuck Sherwood – Bass
Kyle Severn – Drums

INCANTATION – Facebook

Syn Ze Sase Tri – ZĂUL MOȘ

Il metal romeno in tutte le sue accezioni continua a stupire e a sfornare ottime opere, e questo è un gran disco di sympho pagan black metal.

Quarto album per i Syn Ze Sase Tri, per un massacro sympho pagan black metal.

I romeni con i tre dischi precedenti si erano già costruiti una solida e rumorosa reputazione di gruppo molto al di sopra della media, e con questo lavoro compiono un ulteriore salto di qualità. Il loro suono è un veloce e rabbioso sympho balck metal, con grandi parti di pagan e atmosfere folk metal, ma la loro peculiarità è una velocità metallica e sinfonica di grande effetto. Le tastiere qui non sono mero complemento ma protagoniste molto importanti di un disegno sonoro sofisticato e di grande impatto, che aggredisce l’ascoltatore dal primo minuto e non lo lascia mai, stupendolo per la varietà e la grande versatilità. L’immaginario è quello sconfinato delle leggende transilvane, quella fertile terra al confine tra oriente ed occidente, attraversata da molte culture ed altrettanti demoni, che prendono corpo nella musica dei Syn Ze Sase Tri, sembrando molto reali. La Transilvania e la Romania tutta hanno un corpus mitologico di grande rilievo ed importanza, che meriterebbe di essere ulteriormente approfondito, come fece Stoker per il suo celeberrimo Dracula, punta di un iceberg fatto di ghiaccio nerissimo. Il disco è un vortice di neve e metallo, un perdersi a rotta di collo vedendo l’antica Dacia con gli occhi di un lupo a caccia, o attraversando rituali innominabili, il tutto con un metal potente di una cifra stilistica unica. Il gruppo romeno è veramente efficace, e il suo quarto disco spicca per velocità, potenza e capacità compositiva, in un trionfo di sangue e metallo. Non ci sono momenti di stanca o tentativi di riempire spazi, perché la spontaneità e la carica sono tali da non lasciare spazio ad altro che non sia opera meritoria dei Syn Ze Sase Tri. Il metal romeno in tutte le sue accezioni continua a stupire e a sfornare ottime opere, e questo è un gran disco di sympho pagan black metal.

Tracklist
01-TĂRÎMU’ DE LUMINĂ
02-DÎN NEGRU GÎND
03-SOLU’ ZEILOR
04-DE-A DREAPTA OMULUI
05-ZĂUL MOŞ
06-PLECĂCIUNE ZĂULUI
07-URZEALA CERIULUI
08-COCOŞII NEGRI
09-ÎN PÎNTECU’ PĂMÎNTULUI (electric version)

Line-up
Șuier (Vocals)
Corb (Guitars, Vocals)
Moș (Guitars)
Dor (Drums)

SYN ZE SASE TRI – Facebook

Zurvan – Gorge Of Blood

Molto lineare per esecuzione e produzione, Gorge Of Blood incuriosisce inizialmente per la provenienza dei musicisti coinvolti, ma poi all’atto pratico si rivela un lavoro sufficiente ma nulla più.

Zurvan è un nome che appare nel zoroastrismo, religione preislamica originaria della Persia: questo è anche il monicker  che vuole rimarcare con forza il rimpianto l’attaccamento a tradizioni e culti azzerati dall’abbruttimento fondamentalista, adottato da questo progetto musicale fondato dal musicista iraniano Nâghēs e che ha oggi la sua base in Germania, nazione nella quale naturalmente è più semplice suonare metal.

Gorge Of Blood segue di tre anni l’esordio Hichestan e vede il mastermind occuparsi di tuti gli strumenti ad eccezione della batteria affidata a Tarōmad; il sound proposto è un black death molto aspro e ritmato, che presenta quale particolarità un’interpretazione vocale che esula dal canonico stile del genere esibendo una sorta di growl sincopato: ad ogni buon conto, tanto per fornire un’idea di massim,a il territorio sul quale ci si muove è quello degli Al Namrood, anche se l’interpretazione del genere da parte degli Zurvan appare ancor più ortodossa.
I tredici brani proposti prevedono quindi poche variazioni sul tema, se non un assalto sonoro piuttosto compatto e raramente caratterizzato di aperture melodiche, così come di accenni di stampo etnico: da questo ne deriva un lavoro di notevole impatto ma nel contempo monotematico, dal discreto livello medio ma con pochi picchi, corrispondenti alle tracce meno esasperate ritmicamente ed in possesso di un andamento più ragionato, come Kiss of Death o Hallucination.
Molto lineare per esecuzione e produzione, Gorge Of Blood incuriosisce inizialmente per la provenienza dei musicisti coinvolti, ma poi all’atto pratico si rivela un lavoro sufficiente ma nulla più: aspetti sui quali limare qualcosa per raggiungere un livello superiore ce ne sono diversi, vedremo in futuro se, effettivamente, Nâghēs avrà la forza e la capacità di imprimere una maggiore varietà alla propria proposta musicale.

Tracklist:
01. Gorge Of Blood
02. Convulsion
03. Kiss Of Death
04. Isolation Of Sense
05. Self-Mutilation
06. Kafir
07. Zurvancide
08. Agression
09. Hallucination
10. Swamp
11. Filthy Calendar Of The Time
12. Freezing
13. Massacre

Line up:
Nâghēs – Guitars, Vocals
Tarōmad – Drums

ZURVAN – Facebook

Paralysis – Life Sentence

Tutto funziona esattamente come deve essere un album di genere, la voce cartavetrata e l’alternanza tra potentissimi mid tempo ed accelerazioni sono il pane dei Paralysis che non fanno nulla, però, per uscire dai binari del genere.

Il thrash meta è più che mai vivo e vegeto: Europa e Stati Uniti, ma pure la nuova frontiera rappresentata dai paesi asiatici, continuano a proporre band capaci di offrire album di genere molto interessanti, e Life Sentence degli americani Paralysis è uno di questi.

La band del New Jersey licenzia il primo full length dopo che nei tre anni precedenti sono usciti tre diversi ep, dunque un momento prolifico per il quartetto composto da Jon Plemenik (chitarra e voce), Patrick Harte (basso), Ron Iglesias (chitarra) e Matt Pavlik (batteria).
Life Sentence risulta un bel macigno thrash metal, di matrice old school ovviamente, senza il minimo compromesso, rabbioso, graffiante e di scuola americana.
Non ci sono alternative, tutto funziona esattamente come deve essere un album di genere, la voce cartavetrata e l’alternanza tra potentissimi mid tempo ed accelerazioni sono il pane dei Paralysis, che non fanno niente per uscire dai binari del genere.
Dieci brani che urlano l’ urgenza di far male, senza preamboli, cercando di abbatterci mentre riff e ripartenze segnano il sound del gruppo e delle varie Ignorance, Misery e Nothing But Death.
Un lavoro dedicato ai fans del thrash metal più incazzoso e dal taglio punk e di gruppi come Whiplash, Municipal Waste e Nuclear Assault.

Tracklist
1.Ignorance
2.Your Will
3.Life Sentence
4.Misery
5.Think It’s Right
6.Deepest Void
7.All Your Lies
8.Nothing but Death
9.Cut Deep
10.Karma

Line-up
Matt Pavlik – Drums
Ron Iglesias – Guitars (lead), Vocals (backing)
Jon Plemenik – Vocals (lead), Guitars (rhythm)
Patrick Harte – Vocals (backing), Bass

PARALYSIS – Facebook

Concordea

Il video di “Wings’ Motion”, dall’ultimo album “Over Wide Spaces”

Nuovi arrivati nella famiglia Rock On Agency, i Concordea, sono felici di condividere con voi un video nuovo di zecca.

Si tratta di “Wings’ Motion”, dall’ultimo album “Over Wide Spaces”.
Dice la chitarrista Daria Piankova:
“TA-DAN!!! C’è qualcuno? Ehiehiehi! Accendete il vostro pc o qualcosa… tipo cellulare!
Due città e un homemade video.
Che cosa è? Cronaca domestica? Videoclip? Playing through? Guida turistica?
Tipo… e niente di quello che abbiamo elencato.
Semplicemente guardatelo e godete i momenti divertenti con noi. Il video è stato girato a Verona in Veneto e a Ekaterinburg in Urali.
“You like it”! “La rana aveva ragione”! 😉
Fateci sapere che cosa ne pensate! e buona visione!”.

Concordea :
Filippo Tezza (vocals)
Ilya Reyngard (bass)
Daria Piankova (guitars)
Aleksei Turetckov (keyboards)

Info:
https://www.facebook.com/concordea/

https://concordea.bandcamp.com/releases

Motograter – Desolation

Desolation, pur non arrivando alle vette artistiche degli album storici del genere, risulta un’oasi di metal moderno in mezzo al deserto di proposte metalcore che inondano il mercato discografico odierno. 

Gli americani non solo hanno inventato il metal moderno ma lo sanno suonare dannatamente bene, anche se il nu metal ormai non è più cosa per il mercato mondiale ed album come Desolation rischiano di non avere più i riscontri di una quindicina di anni fa.

Eppure i Motograter non sono un nome così famoso, almeno per chi, gli anni d’oro del genere li ha vissuti superficialmente: attivi dalla metà degli anni novanta, non sono mai stati prolifici per quanto riguarda le uscite che si fermano a tre ep ed un full length prima di questo nuovo lavoro.
Un’autentica tribù di musicisti si sono dati il cambio tra le fila del gruppo proveniente da Santa Barbara (California), forse anche per questo che la band non ha mai trovato quella stabilità utile per definire sound ed impegni, ma ci riprova con una formazione nuova di zecca ed un lavoro che, di fatto, non delude, risultando melodico e metallico, moderno ma radicato nella scuola nu metal.
Quindi dimenticate suoni e ritmi core e concentratevi su quello che suonavano nella scena statunitense a cavallo del millennio, aggiungendo reminiscenze alternative rock che si muovono come fantasmi tra le sfuriate di Desolation, album che si fa ascoltare, melodicamente sopra le righe, magari non d’impatto come le uscite a cui siamo abituato oggi, ma duro quanto basta per non mollare la presa sui genitali di chi ama il sound che rese famosi gente come i Korn, gli Spineshank, i P.O.D. e i Papa Roach.
Un buon lavoro, dunque, che utilizza le caratteristiche peculiari del genere, ci aggiunge alternative rock e post grunge a piccole dosi ed ogni tanto ci va giù duro, accontentando un po’ tutti i gusti.
Bisogna essere capaci a rendere la propria proposta varia senza lasciare che la tensione scenda, e questo succede in brani come l’opener Parasite, la potente Victim eLa notevole Misanthropical, traccia che sembra uscita dalle session del discusso The Burning Red dei Machine Head.
Prodotto da Ahrue Luster (Ill Nino/Ex-Machine Head), Desolation, pur non arrivando alle vette artistiche degli album storici del genere, risulta un’oasi di metal moderno in mezzo al deserto di proposte metalcore che inondano il mercato discografico odierno.

Tracklist
1.Parasite
2.Dorian
3.Victim
4.Paragon
5.Bleeding Through
6.Misanthropical
7.Daggers
8.Portrait of Decay
9.Locust
10.Rise (There Will Be Blood)
11.Shadows

Line-up
Matt “Nuke” Nunes – Guitar
James Anthony “Legion” – Vocals
Mylon Guy – Bass
Noah “The Shark” Robertson – Drums
Joey “Vice” – Back Vocals, Percussions, Programming

MOTOGRATER – Facebook

Impalers – The Celestial Dictator

Ovviamente siamo nel mondo del thrash metal e di qui non ci si schioda, ma se siete amanti della scuola tedesca The Celestial Dictator è un album da non perdere.

Se credete ancora che nel 2017 non si possa suonare thrash metal old school tripallico, violentissimo e senza compromessi, ma attraversato da una vena melodica sopra le righe, allora senza indugi fate vostro The Celestial Dictator, nuovo lavoro dei thrashers danesi Impalers.

Terzo album e squadra di musicisti al proprio posto ed in assetto di guerra per la nuova avventura del quartetto di Haderslev, che quest’anno festeggia il decimo anno dalla nascita con un esplosivo full length  di thrash/speed metal influenzato dalla scena teutonica ma fatto proprio con una prova convincente.
Già all’epoca del precedente God From The Machine, Søren Crawack e compagni avevano dimostrato buone potenzialità e, passati due anni ed un ep, possiamo senz’altro affermare che gli Impalers non hanno tradito le attese confermando le buone impressioni suscitate.
Ovviamente siamo nel mondo del thrash metal e di qui non ci si schioda, ma se siete amanti della scuola tedesca The Celestial Dictator è un album da non perdere.
Il padre, il figlio e lo spirito santo del thrash metal teutonico guidano gruppo danese, inferocito alla partenza con una doppietta (Terrestrial Demise e Terrorborn) da far impallidire il giovane Petrozza, per poi placarsi (Into Doom) e tornare più violenti che mai con What Is One.
E’ ottima Believe, maligna e diretta, una vera thrash speed song con la voce cartavetrata che nel chorus torna melodica, mentre il gruppo non leva il piede dal pedale dell’acceleratore con il contachilometri inchiodato sui 200.
La title track, varia nelle atmosfere, funge da sunto di tutto l’album che alterna metal estremo e cattivissimo, ottime soluzioni melodiche e chorus riusciti, mentre in un attimo siamo già ad Antithesis, brano che chiude le ostilità.
Gli Impalers si confermano come ottima band underground, in un genere che ha trovato nuova verve in questi ultimi tempi, sia per le ultime buone prove dei gruppi storici e, soprattutto, per le ottime proposte in arrivo dal sottosuolo metallico internazionale.

Tracklist
1.Intro
2.Terrestrial Demise
3.Terrorborn
4.Color Me White
5.Into Doom
6.What Is One
7.Sun
8.Believe
9.Celestial Dictator
10.Antithesis

Line-up
Søren Crawack – Rhythm Guitar & Vocals
Kenneth Frandsen – Bass Guitar
Rasmus Kjær – Drums
Thomas Carnell – Lead Guitar

IMPALERS – Facebook

Zarthas – Reflections

Un album piacevole, un lotto di canzoni facili da memorizzare, dalle buone melodie e ben strutturate, dove le chitarre premono contro un tappeto melodico, le ritmiche mantengono uno sguardo cattivo e l’elettronica a tratti accende momenti di nostalgico dark rock.

Se cerchiamo bene tra le valli ed i laghi finlandesi non troveremo solo metal estremo, ma come da tradizione dei paesi dell’estremo Nordeuropa anche tanto hard rock.

E’ un tradizione consolidata quella del rock duro a quelle latitudini, ora non più ad appannaggio esclusivo del rock melodico, ma pure territorio fertile per quello moderno.
Gli Zarthas, da Oulu, hanno imparato bene la lezione che in questi ultimi anni le legioni del rock alternativo statunitense hanno impartito al mondo musicale, ed ecco che, tramite la Wormholedeath, licenziano Reflections, album composto da una dozzina di brani che spostano il tiro tra il rock alternativo, l’hard rock dalle venature post grunge e quel malinconico tocco dark che risulta innato nei rockers passati dagli ascolti di Crimson, dei mai troppo osannati Sentenced, al rock moderno dal groove obbligatorio ed il chorus facile.
Ne esce un album piacevole, un lotto di canzoni facili da memorizzare, dalle buone melodie e ben strutturate, dove le chitarre premono contro un tappeto melodico, le ritmiche mantengono uno sguardo cattivo e l’elettronica a tratti accende momenti di nostalgico dark rock.
Buona la voce (Lauri Huovinen) che corre dietro il sound alternando parti graffianti ad altre più sofferte, mentre si fanno ricordare con piacere l’opener Riot Now!, Back To A Black Hole e le orchestrazioni dalle reminiscenze gothic di Outside.
In conclusione, un album godibile e vario nel suo alternare le sfumature di generi in apparenza lontani tra loro, ma ben affiatati sotto la bandiera degli Zarthas.

Tracklist
1.Riot Now
2.The Green and the Red Light
3.Bad Wannabe 4.Back to a Black Hole
5.Pulse!
6.First Night of Forever
7.Outside 8.Isolate
9.Ever After (Isolate Reprise)
10.Illusion of Immortality
11.Where the Heart is
12.Reflection

Line-up
Sanni Luttinen – Keyboards
Lauri Huovinen – Vocals / Guitars
Jani Vahera – Drums
Pekka Junttila – Bass
Jarmo Luttinen – Guitars

ZARTHAS – Facebook

Dementia – Persona

Persona lo si ascolta e scivola addosso, pur essendo consapevoli che è il disco di un gruppo che potrebbe fare ben altro.

I Dementia sono un gruppo nato nella regione parigina nel 2009, con l’intento di fare un rock metal moderno.

Le loro influenze attraversano uno specchio molto ampio della musica veloce, dal metal più groove passando per cose più melodiche e radiofoniche, con uno spizzico di cadenza nu metal in alcuni momenti. Il suono dei francesi è il risultato di un accurata ricerca sonora, figlio di molti ascolti e di una capacità compositiva al di sopra della media. Il problema del disco è che pur essendo piacevole non decolla mai, non si ha mai l’impressione che si riesca ad andare oltre. Persona è un disco ben costruito e ben suonato, il gruppo ha qualità innegabili, eppure non si rimane colpiti da questo metal moderno un po’ freddo. Le tracce sono molto simili fra loro, nonostante i mezzi possano permettere ben altro, e il risultato è quello di rendere il disco un compitino bene fatto ma nulla più. La produzione di Francis Caste, già con Refused e Bukowski fra gli altri, è accurata ed appropriata, ma è proprio il peso specifico del disco che rimane basso: lo si ascolta e scivola addosso, pur essendo consapevoli che è opera di un gruppo che potrebbe fare ben altro. Il rammarico più grande è proprio questo, l’essere consapevoli che la band abbia grandi possibilità ma che sia preoccupata dal piacere ad un pubblico il più ampio possibile. Può darsi che questo disco piaccia al pubblico, il cui giudizio è sovrano, perché ognuno ha il proprio metro di giudizio, ma aspettiamo la prossima prova dei Dementia per poter cancellare quanto detto prima.

Tracklist
01 BLUR
02 SPEEDBALL
03 LIES
04 TOO LONG
05 DRIVE
06 RED PANDA
07 ENDGAME
08 HATE
09 ENTER PHOENIX
10 INTERLUDE
11 SCREENSAVER
12 LOVE TONIGHT
13 REASON TO CALL
14 LITTLE BOAT

Line-up
Chrisuke – VOCALS
Nicolas – Leade Guitar
Arnaud – Rhythm Guitar
Thierry – Bass

DEMENTIA – Facebook

WITCHWOOD

Disponibile il nuovo video “A Grave is the River”

I faentini WITCHWOOD hanno reso disponibile il nuovo videoclip “A Grave is the River”.
Il brano è tratto dall’ ultima uscita “Handful of Stars” pubblicato su Jolly Roger Records lo scorso Novembre nei formati Lp, Cd, Digitale. A testimonianza degli apprezzamenti ricevuti anche all’ estero la band è stata invitata a suonare live alle prossime edizioni dell’ Hammer of Doom Festival (Germania) in Novembre insieme a Cirith Ungol, Lucifer’s Friend, Count Raven ed altri, e del Malta Doom Festival (Malta) in Ottobre, con Hell, Atlantean Kodex e altri.

Witchwood “A Grave is the River” – Videoclip
I promo digitali dei Witchwood “Handful of Stars” e del debutto “Litanies from the Woods” (album interi, mp3, 320 Kb) sono disponibili (clicca sui titoli).
Essendo links protetti, effettua il log-in con la tua email (quella che riceve questa email) e la password HEAVY.
Avrai accesso anche a tutti gli ultimi promo JRR.
Non esitare a contattarmi se dovessi aver bisogno di altre info o dettagli, di eventuali files WAV o per inviarmi le tue migliori proposte commerciali o di collaborazione.

“Handful of Stars”
Disponibile da November 2016
File under: Hard Rock, 70’s, Progressive
Distribuzione: Goodfellas (Italy), Cargo Germany (G.A.S.), Plastic Head (Uk), Rock Inc. (Benelux), Pick Up Export (Export)

BIO
I Witchwood da Faenza nascono dalle ceneri dei Buttered Bacon Biscuits, che pubblicano nel 2010 l’album “From The Solitary Woods” (appena ristampato dalla Jolly Roger Records – promo disponibile qui), recensito positivamente da moltissime testate musicali e siti web italiani e stranieri. Suonano molti concerti in giro per l’Italia, anche supportando importanti band come Uriah Heep, Jethro Tull, Bud Spencer Blues Explosion e pubblicano nel 2013 la cover di “A National Acrobat” dei Black Sabbath per il tributo “Hands Of Doom” uscito per la Mag Music Production.
Dopo lo scioglimento dei BBB, il mastermind Ricky (voce, chitarra e principale compositore di tutti i brani targati BBB e Witchwood) riunisce con sé Andy (batteria), Steve (hammond, synth, tastiere, già con i BBB), Sam (flauto) e Luca Celotti (basso) per il progetto Witchwood. Si tratta di tutti musicisti attivi da decenni, con esperienze di registrazione con altre band e collaborazioni con artisti del calibro di Martin Grice (Delirium) e Nik Turner (Hawkwind).
Il debut album “Litanies From The Woods” è il frutto di quasi due anni di composizione, lunghe sessioni di prove e registrazioni ed esce per Jolly Roger Records nel maggio 2015 in CD e digitale e ottobre 2015 in doppio vinile. Il disco della durata di 78 minuti (!) è composto da dieci pezzi che spaziano dall’hard rock di stampo settantiano, al progressive, psych, southern rock, blues e riceve unanimi consensi da tutta la critica specializzata, italiana e straniera, ed apprezzamenti anche in termini di vendite (il CD è già alla seconda stampa, mentre il doppio vinile brucia quasi 500 copie in pochi mesi, una nuova tiratura è uscita a Giugno), fino al riconoscimento di “band emergente del 2015” da parte dei lettori di Rock Hard Italia ed alla recente partecipazione della Wacken Metal Battle che porta i Witchwood sino alla finale.
‘Handful Of Stars’ rappresenta un ipotetico ciclo della band visto che contiene anche materiale sviluppato su idee risalenti al periodo di registrazione di ‘Litanies From The Woods’, ma lasciate in quel momento da parte per ovvi motivi di spazio, visto che l’album raggiungeva già quasi gli 80 minuti di durata”, spiega Ricky Dal Pane.
“Oltre a tre pezzi inediti abbiamo anche reso omaggio a due delle nostre band preferite di sempre: i Blue Öyster Cult con ‘Flaming Telepaths’ e gli Uriah Heep con ‘Rainbow Demon’. Inoltre abbiamo inserito la versione estesa con l’aggiunta di parti inedite del brano ‘Handful of Stars’. È un disco ben curato e ricco di materiale interessante, molto distante dall’essere solo un riempitivo tra due full-length visto che ha anche una durata complessiva di 45 minuti. Siamo molto soddisfatti del risultato finale e speriamo che non deluda le aspettative”.
“Handful Of Stars” è il giusto modo di celebrare gli apprezzamenti ricevuti per il debut album e per presentare il nuovo chitarrista Antonino Stella, stimato session man e amico di lunga data di Ricky. Il videoclip della titletrack uscito lo scorso Settembre è stato realizzato dalle tavole dell’artista Dimitri Corradini (bassista dei Distruzione).
Il disco è disponibile nei formati Lp, Cd, Digitale.

Tracklist:
1. Presentation: Under The Willow
2. Like A Giant In A Cage
3. A Grave Is The River
4. Mother
5. Flaming Telepaths
6. Rainbow Demon
7. Handful Of Stars (New Version)

Line-up:
Riccardo “Ricky” Dal Pane – Voce, Chitarra elettrica ed acustica
Andrea “Andy” Palli – Batteria
Stefano “Steve” Olivi – Hammond B3
Luca “Celo” Celotti – Basso
Samuele “Sam” Tesori – Flauto
Antonino “Woody” Stella – Chitarra solista

Antipathic – Autonomous Mechanical Extermination

La ridotta durata complessiva di Autonomous Mechanical Extermination (circa sei minuti) impedisce di trarre conclusioni definitive, anche se quanto ascoltato fornisce comunque indicazioni sufficienti per inserire gli Antipathic tra le band da tenere sotto osservazione.

Breve ep di presentazione per gli Antipathic, progetto italo americano che vede la presenza di Tat0, bassista cantante che abbiamo già avuto modo di apprezzare all’opera nei validi calabresi Zora, assieme al chitarrista e batterista d’oltreoceano Chris.

Il genere proposto è, secondo le attese, un brutal death piuttosto circoscritto nel perimetro del genere, ma ben eseguito e curato nei particolari, e i tre brevi brani proposti tengono fede alle premesse, nel bene e nel male: infatti il brutal, quando è suonato con tutti i crismi, almeno per me è sempre un bel sentire, ma allo stesso tempo capita raramente di rinvenire spunti capaci di rendere sufficientemente peculiari tali sonorità.
Ovviamente la ridotta durata complessiva di Autonomous Mechanical Extermination (circa sei minuti) impedisce di trarre conclusioni definitive, anche se quanto ascoltato fornisce comunque indicazioni sufficienti per inserire gli Antipathic tra le band da tenere sotto osservazione, in attesa di una prova quantitativamente più cospicua.

Tracklist:
1. Apparatus
2. Molecular Deviations
3. Autonomous Mechanical Extermination

Line-up:
Chris – chitarra e batteria
Tat0 – voce e basso

ANTIPATHIC – Facebook

In Human Form – Opening of the Eye by the Death of the I

Quella degli In Human Form è un’espressione musicale oggettivamente elevata quanto ambiziosa, ma rivolta inevitabilmente ad un’audience molto ristretta, che corrisponde appunto a chi apprezza in toto tutto quanto sia sperimentale ed avanguardista.

Gli americani In Human Form appartengono a quella categoria di band che, indubbiamente, non hanno tra le loro priorità quella di suonare musica accattivante allo scopo di ricevere consensi immediati.

Il progressive black offerto dal gruppo del Massachusetts è quanto di più ostico e dissonante sia possibile immaginare e non stupisce più di tanto, quindi, il fatto che sia finito nell’orbita di un’etichetta come la I,Voidhanger.
Patrick Dupras, con il suo screaming aspro, strepita le proprie liriche su un’impalcatura musicale nella quale solo apparentemente ogni strumento sembra andare per proprio conto ma, in realtà, appare evidente che cosi non è, anche se in più di un passaggio sembra di cogliere le stimmate di un’improvvisazione che tale resta a livello di fruibilità, per quanto evoluta.
La stessa struttura dell’album, con tre tracce della durata media attorno al quarto d’ora, inframmezzate da altrettanti brevi iintermezzi strumentali, conferma, semmai ce ne fosse stato bisogno, la volontà di lasciar fluire senza alcun limite un’ispirazione obliqua che, oggettivamente, se respinge al mittente ogni tentativo di approccio benevolo all’opera, pare aprirsi leggermente non dico ad una forma canzone, che resta un idea lontana anni luce dall’immaginario degli In Human Form, almeno a passaggi che vengono resi meno criptici da lampi melodici.
Sia Zenith Thesis, Abbadon Hypothesis che Through an Obstructionist’s Eye, infatti, sono ampie dimostrazioni di quanto i nostri abbiano la capacità di rendere meno ostica la loro proposta in ogni frangente, ma facendolo perfidamente in maniera ben più che sporadica: nel primo troviamo passaggi meditati assieme a sfuriate di stampo black più canoniche, ma è chiaro che, comunque, il sound resta inquieto e cangiante anche se in questo frangente sembra aprirsi più di un varco nelle spesse recinzioni sonore erette dalla band, mentre nel secondo, posto in chiusura dell’album, trova posto persino un bell’assolo di chitarra, strumento che nell’arco del lavoro viene offerto con un’impronta per lo più jazzistica.
Per quanto mi riguarda, nel lavoro ho riscontrato in eguale misura passaggi davvero eccellenti assieme altri eccessivamente cervellotici e, contrariamente a quanto affermo solitamente, qui la voce appare sovente un elemento di disturbo piuttosto che un completamento del lavoro strumentale.
Quella degli In Human Form è un’espressione musicale oggettivamente elevata quanto ambiziosa, ma rivolta inevitabilmente ad un’audience molto ristretta, che corrisponde appunto a chi apprezza in toto tutto quanto sia sperimentale ed avanguardista, caratteristiche che certo non fanno difetto a Opening of the Eye by the Death of the I.

Tracklist:
1. Le Délire des Négations
2. All is Occulted by Swathes of Ego
3. Apollyon Synopsis
4. Zenith Thesis, Abbadon Hypothesis
5. Ghosts Alike
6. Through an Obstructionist’s Eye

Line up:
Nicholas Clark – Guitars, bass guitar, alto saxophone, keyes, backup vocals
Rich Dixon – Drums, percussion, guitars
Patrick Dupras – Vocals, lyrics

IN HUMAN FORM – Facebook

Hitwood – Detriti

Il viaggio di Hitwood continua e ad ogni passo la sua musica si trasforma, completandosi senza perdere la sua personale visione di un metal moderno che si fa estremo, pur lasciando alle melodie la loro fondamentale importanza.

A distanza di un mese circa , torniamo a parlarvi di una nuova uscita targata Hitwood, la creatura musicale creata dalla mente del polistrumentista Antonio Boccellari.

Archiviato il primo full length When Youngness … Fly Away … uscito lo scorso anno ed il precedente ep di cui ci siamo occupati (As A Season Bloom), Hitwood torna a descrivere in musica i suoi sogni che prima di Detriti erano lasciati alla sola musica.
Questa volta l’influenza melodic death di estrazione scandinava è ancora più marcata rispetto ai suoi predecessori, soprattutto per l’ausilio delle voci che sono le protagoniste della musica creata per l’occasione dal bravissimo musicista lombardo.
Dietro al microfono troviamo dunque due ottimi singer. Carlos Timaure al growl ed Eveline Schmidiger, protagonista con growl e clean vocals.
Inutile negare che, con l’inserimento delle voci la musica di Hitwood lascia il mondo della musica strumentale, bellissima ma molto limitata nelle preferenze degli ascoltatori, per raggiungere sicuramente un’audience più ampia.
Rimane un death metal melodico sui generis quello di Boccellari, sempre molto intimista ed atmosferico, ma indubbiamente più completo ed estremo ora che il growl fa il bello e cattivo tempo sulla maggioranza dei brani.
A parte l’intro As Far As I Can Remember e lo strumentale More Winters To Face…, vicino al precedente lavoro come atmosfere e sound, i brani di Detriti risultano sempre molto melodici ma anche più diretti, come la splendida My Path To Nowhere, canzone che ci riporta in pieni anni novanta ed ai lavori di In Flames (padrini del sound Hitwood), Dark Tranquillity ed ai paladini del suono melodico nel metal estremo.
Years Of Sadness conferma l’ottima scelta di Boccellari, dall’alto di un brano robusto valorizzato da un tappeto di cori, che enfatizza la componente sognante del concept degli Hitwood, mentre Chromatic lascia campo al lato più estremo del sound e Venus Of My Dreams ci porta alla fine di questo ottimo lavoro, lasciandoci con le trame epico melodiche classiche dei gruppi provenienti dal profondo nord.
Il viaggio di Hitwood continua e ad ogni passo la sua musica si trasforma, completandosi senza perdere la sua personale visione di un metal moderno che si fa estremo, pur lasciando alle melodie la loro fondamentale importanza.

Tracklist
1.As Far As I Can Remember
2.My Path To Nowhere
3.Years Of Sadness
4.More Winters To Face…
5.Chromatic
6.Venus Of My Dreams

Line-up
Antonio Boccellari – guitars, bass, drums

Guest :
Carlos Timaure – growl vocals
Eveline Schmidiger – growl/clean vocals

HITWOOD – Facebook

MASTRIBES

I Mastribes rilasciano il loro nuovo singolo dal titolo “Body Talk”.

Dopo mesi di assenza, cambio line up e tanta stressante attesa, i Mastribes rilasciano finalmente il loro nuovo singolo dal titolo “Body Talk”; brano che lo scorso lunedì, oltre ad essere distribuito su tutte le piattaforme digitali, è stato messo in anteprima perfino su Youporn, una delle case pornografiche più famose al mondo.
Se avete dunque apprezzato alcune chicche del loro primo album, come la ormai famosa “Shake Boom Tequila” o “She’s Got The Look”, tenetevi forte perché la nuova perla di casa Mastribes sarà il vostro avversario più difficile!
“Siamo entrati in studio con una demo malconcia e tante idee per la testa, ma nonostante tutto c’era tantissima adrenalina nell’aria.
Eravamo tutti consapevoli del fatto che provenivamo da background musicali diversi… chi dall’Hardcore, chi dal Southern e chi dallo Sleaze o Glam Rock, quindi fondere le nostre attitudini stilistiche, anche se per chiunque sarebbe stato impensabile, ha giovato molto alla canzone.” spiega il frontman Michael Flame.

“Il brano era in cantiere da quasi due anni e non vi nascondo che ha subito una marea di modifiche, oltre a quelle che poi avremmo definitivamente apportato in studio.
Pensate che nella demo originale, prima dell’assolo, c’erano addirittura una ventina di secondi dedicati ad un cantato rap, cosa che poi abbiamo bocciato per non far allungare di troppo il pezzo. Probabilmente è stata una buona scelta o forse no…
Oggi il pubblico “rock” è molto strano e spesso categorizza obbligatoriamente delle band in un determinato genere musicale, imponendo di conseguenza alle stesse band di servire la solita minestra ai propri fans per poter vendere.
Credo che tutto ciò sia frutto di una tremenda chiusura mentale e di un incapacità di stare al passo con i tempi, ma logicamente è solo un mio parere.
Con i Mastribes ormai ho deciso di non impormi nessun tipo di limite e non mi importa del giudizio altrui.
Adoro il Rock e suoi derivati, ma il mondo musicale è così variopinto che sarebbe un vero peccato costringersi a girare sempre intorno ad un unico genere”

Alla chitarra inoltre troviamo “Max Power”, che, per chi non lo conoscesse, è uno dei cinque membri dei Red Riot; anche loro band della scena napoletana, con all’attivo un EP “Fight” e una marea di concerti condivisi con band di spessore e con gli stessi Mastribes.

“Non ho mai avuto dubbi su chi scegliere in caso di future collaborazioni, i Red Riot sono dei ragazzi che ho sempre stimato, rispettato e seguito fin dalle prime volte che condividemmo il palco insieme.
Tra l’altro ne abbiamo passate talmente tante che credo non si possa neanche più parlare di un semplice rapporto tra band.
Ogni passo o traguardo positivo di uno è motivo di gioia per l’altro, poiché ormai è una montagna che abbiamo deciso di scalare insieme e siamo tremendamente determinati a raggiungerne la vetta.”

Aspettiamoci dunque di tutto da questo nuovo singolo e auguriamo il meglio per i nostri Mastribes che a quanto pare hanno ancora tante sorprese in serbo per noi.

Amazon: https://www.amazon.it/Body-Talk-Explicit/dp/B074DBB8FR/ref=sr_1_1?s=music&ie=UTF8&qid=1502719071&sr=8-1&keywords=body+talk+mastribes

I Mastribes nascono nel novembre del 2014 dall’incontro di quattro musicisti, provenienti da Napoli e provincia: Michael Flame (voce), Cristian Iorio (chitarra), Cosimo Castorini (basso) e Umberto Viro (batteria). La band si dedica dai primi istanti alla composizione di inediti, lasciandosi influenzare dal rock in ogni sua forma e, parallelamente all’intensa attività live, pubblica il 12 ottobre 2015 il primo singolo “Shake Boom Tequila”, accompagnato da un EP contenente altri due brani “Pussy Crusher” e “Everything”.
Dalla sua nascita la band ha avuto modo di calcare diversi palchi, partecipando a rassegne come il Rocka in Musica e il Volcano Rock Fest, avendo l’onore di suonare con gruppi e artisti del calibro dei DGM, Teodasia e Pino Scotto.
Nei mesi successivi all’uscita del primo EP, la band continua il lavoro in studio ultimando i brani che compongono il primo full lenght. Il 22 luglio 2016 viene pubblicato il secondo singolo “She’s Got The Look”, mentre il 12 ottobre 2016 viene rilasciato il singolo “Rock N’ Roll”. Il primo album della band viene pubblicato per Volcano Records il 21 ottobre 2016 e si intitola “Blast”.

Dopo un tour devastante, che li ha portati a calcare palchi in compagnia di artisti come Warrior Soul e Marco Mendoza, nell’aprile 2017 tre quarti della band molla ed avviene l’immediato cambio line up con consecutivo distacco dalla Volcano.
L’attuale formazione consiste in Francesco Sacco (basso), Vincenzo Mussolino (chitarra), Enrico Esposito (batteria) e Michael Flame (voce ed ultimo membro della formazione originale).
Il tutto porta al rilascio, in data 31 Luglio 2017, di un nuovo singolo “Body Talk”, il quale viene prima messo in anteprima, accompagnato da un lyric video, su YouPorn per poi essere distribuito su tutti i digital stores e Youtube.

Execration – Return to the Void

Un riuscito blend tra innovazione e tradizione in ambito Death da parte di una band con capacità non comuni.

Quarto full length per quest’ottimo quartetto norvegese attivo dal 2007 con il demo “Language of the dead”: ora, dopo aver portato a compimento pieno il loro stile, gli Execration escono per la prima volta con la Metal Blade.

Il suono, attraverso una lenta evoluzione in tre album usciti con cadenza triennale, è pienamente death nella forma ma con strutture particolarmente elaborate, lavorate su un suono di chitarra che inserisce dissonanze e crea atmosfere molto particolari; niente di ostico e sperimentale, ma un’opera di qualità dove il mix tra tradizione e innovazione crea brani dall’andamento sempre stimolante ed imprevedibile.
Il songwriting è di alto livello, i brani sono trascinanti ergendo un muro sonoro che ha la capacità di variare grazie all’incessante incrociarsi delle due chitarre; fino dall’opener Eternal Recurrence l’energia non manca, il growl intenso e intellegibile da quel “quid” in più che cerca di differenziare con coraggio il suono di questi artisti, le strutture elaborate sono ben studiate (Hammers of Vulcan) e i due chitarristi si lanciano in digressioni che mantengono sempre alto il livello di attenzione, senza annoiare mai, lambendo territori trash senza mai creare tecnicismi fini a sé stessi. Non ci sono filler e anche i due brevi intermezzi (Blood Moon Eclipse e Through the Oculus) sono piacevoli e fanno tirare il fiato prima dei successivi massacri; le atmosfere sinistre e dissonanti di Cephalic Transmissions danno un ulteriore tocco di imprevedibilità e personalità ai norvegesi.
La splendida title track suggella un disco pienamente riuscito e come al solito sta a noi, con ripetuti ascolti, dargli la giusta attenzione sperando di poter ascoltare live nelle nostre terre gli Execration.

Tracklist
1. Eternal Recurrence
2. Hammers of Vulcan 3. Nekrocosm
4. Cephalic Transmissions
5. Blood Moon Eclipse
6. Unicursal Horrorscope
7. Through the Oculus
8. Return to the Void
9. Det uransakelige dyp

Line-up
Cato Syversrud Drums
Jørgen Maristuen Guitars, Vocals
Chris Johansen Guitars, Vocals
Jonas Helgemo Bass

EXECRATION – Facebook

Alpha Tiger – Alpha Tiger

Un album che alla lunga non riesce a decollare, facendo perdere un po’ d’attenzione all’ascoltatore, in affanno verso il traguardo dell’ultimo brano: da un gruppo al terzo album per una label così importante ci si aspetta sicuramente di più.

Nuovo album e nuovo cantante (Benjamin Jaino al posto di Stephan Dietrich) per i giovani metallers tedeschi Alpha Tiger, gruppo su cui punta non poco la Steamhammer/SPV.

Il sound proposto dal quintetto si allontana non poco dal classico heavy/power dei gruppi connazionali per un approccio più classico e old school.
Heavy metal quindi, potenziato ma non distante dai gruppi ottantiani, con un uso invece settantiano dei tasti d’avorio, chitarre che si rincorrono in solos taglienti ed una sezione ritmica presente ma non invadente, puntuale ma che rimane stabilmente su tempi medi.
Manca il classico brano che alza le antenne all’ascoltatore e Alpha Tiger come i suoi predecessori (Man Or Machine del 2011 e Beneath The Surface uscito nel 2013) risulta un buon lavoro, pur non avendo quei due o tre brani che fanno la differenza ed alzano l’adrenalina, rimanendo livellato su una qualità sufficiente per non sfigurare nell’immenso mondo dell’heavy metal ma nulla più.
L’album parte bene, Comatose e Feather In The Wind rompono gli indugi e ci introducono nel cuore del lavoro, che perde qualche colpo con il passare dei minuti, per tornare a far male con l’ottimo hard & heavy di Vice e soprattutto con Welcome To The Devil’s Town.
Il nuovo singer si conferma come un buon acquisto per il gruppo, mentre si continua a salire e scendere tra tracce più riuscite ad altre che prendono la strada della monotonia.
E questo è il difetto più grosso di Alpha Tiger, quello d’essere un album che alla lunga non riesce a decollare, facendo perdere un po’ d’attenzione all’ascoltatore, in affanno verso il traguardo dell’ultimo brano: da un gruppo al terzo album per una label così importante ci si aspetta sicuramente di più.

Tracklist
1. Road To Vega
2. Comatose
3. Feather In The Wind
4. Singularity
5. Aurora
6. To Wear A Crown
7. Vice
8. Welcome To Devil’s Town
9. My Dear Old Friend
10. If The Sun Refused To Shine
11. The Last Encore

Line-up
Peter Langforth – guitars
Benjamin Jaino – vocals
Alexander Backasch – guitars
Dirk Frei – bass
David Schleif – drums

ALPHA TIGER – Facebook

Taberah – Sinner’s Lament

Sinner’s Lament è un album riuscito che non mancherà di soddisfare gli appetiti metallici dei defenders di lunga data, ai quali va l’ invito di non perdersi questa nuova fatica dei Taberah.

Suoni classici ed old school a tutta birra con gli heavy/power metallers Taberah, quartetto di diavoli provenienti dalla Tasmania.

E proprio come il famoso ed agguerrito animaletto, la band australiana ci travolge con il suo heavy metal d’assalto, infarcito di melodie e reso portentoso da ritmiche ed accelerazioni power.
Attivi da ormai una dozzina d’anni, i Taberah tagliano il traguardo del terzo full length: Sinner’s Lament è un buon lavoro, sicuramente da non sottovalutare se siete defenders incalliti, con una manciata di brani interessanti e metallici il giusto per inorgoglire anche il più pacato dei fans.
Della cover in versione power della storica Hotel California degli Eagles posta in chiusura, lascio a voi ogni commento, mentre il resto dei brani si mantiene su una buona qualità aiutato da una produzione che, senza far gridare al miracolo, rende giustizia alla title track, alla maideniana Harlot, al singolo Child Of Storm, alla semi ballad The Dance Of The Damned ed alla power oriented The Final March of Man.
I Taberah danno l’impressione d’essere un gruppo con buone potenzialità, i brani funzionano con chorus che entrano in testa al primo giro, solos ricchi di pathos metallico ed una neanche troppo velata strizzatina d’occhio ad Iron Maiden, Helloween, Hammerfall e Sinner.
In conclusione, un album riuscito che non mancherà di soddisfare gli appetiti metallici dei defenders di lunga data, ai quali va l’ invito di non perdersi questa nuova fatica dei Taberah.

Tracklist
1.Sinner’s Lament
2.Wicked Way
3.Harlott
4.Horizon
5.Child of Storm
6.The Dance of the Damned
7.Crypt
8.The Final March of Man
9.Heal Me
10.Hotel California (The Eagles cover)

Line-up
Dave Walsh – Bass, Vocals
Tom Brockman – Drums, Percussion, Vocals
Myles “Flash” Flood – Guitars, Vocals
Jonathon Barwick – Guitars, Vocals

TABERAH – Facebook

Moth’s Circle Flight

“Raise Your Head”, nuovo videoclip dei Moth’s Circle Flight, è online sul canale YouTube della band

“Raise Your Head”, nuovo videoclip dei Moth’s Circle Flight, è online sul canale YouTube della band. Il pezzo fa parte dell’ultimo album “My Entropy”, pubblicato da Logic Il Logic Records.

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