Evoke Thy Lords – Lifestories

Gli Evoke Thy Lords imperterriti il loro percorso obliquo all’interno del doom, anche se l’impressione è che ora il sound sia più compatto, lasciando al solo flauto e a qualche assolo di chitarra il compito di di far provare qualche vertigine lisergica all’ascoltatore.

Quarto full length per i siberiani Evoke Thy Lords, doom band dall’approccio quanto mai psichedelico alla materia, accentuato dalla presenza in pianta stabile in line-up dell’ottima flautista Irina Drebuschak.

I nostro proseguono imperterriti il loro percorso obliquo all’interno del genere, anche se l’impressione è che ora il sound sia più compatto, lasciando al solo flauto e a qualche assolo di chitarra il compito di di far provare qualche vertigine lisergica all’ascoltatore.
Emblematica al riguardo è la traccia d’apertura Regressed, che in più di un frangente riporta ai  mai abbastanza rimpianti Type 0 Negative, mentre la successiva Still Old, in fondo, si muove su un piano non dissimile.
Ben diverso è invece il mood di Life Is A Trick, un doom blues micidiale nel quale una lasciva voce femminile (probabilmente della stessa Irina, ma non ho certezze in merito) conduce le danze assieme al sempre presente flauto che si conferma elemento essenziale nello sviluppo del songwriting.
Ancora qualche sentore blues accompagna la lunga Heavy Weather, che oscilla appunto tra riff pesanti, sovrastati dal growl aspro di Alexey Kozlov, e fughe psichedeliche, andando a comporre un quadro sfaccettato e allo stesso tempo altamente lisergico.
Una nuovamente più lineare Stuff It chiude un lavoro breve ma intenso, con il quale gli Evoke Thy Lords confermano la particolare dicotomia termica tra il loro gelido luogo di provenienza e le torride atmosfere stoner doom rovesciate su disco, alle quali hanno la capacità di conferire con il loro particolare modus operandi quel tocco di imprescindibile peculiarità.

Tracklist:
1. Regressed
2. Still Old
3. Life Is A Trick
4. Heavy Weather
5. Stuff It

Line-up:
Irina Drebuschak – Flute
Yuriy Koziko – Guitars
Sergey Vagin – Guitars
Alexey Kozlov – Vocals, Bass

EVOKE THY LORDS – Facebook

Tytan – Justice Served

Un album da ascoltare senza pregiudizi, anche se l’operazione nostalgia è dietro l’angolo ma, a difesa del gruppo inglese, c’è una grande conoscenza della materia ed uno spirito vintage che accomuna tutti i generi.

La macchina del tempo metallica che da un po’ mi porta in giro per i vari decenni ora che i suoni vintage e classici sono tornati all’attenzione dei fans mi spinge indietro fino al 1981 quando il bassista Kevin Riddles, lascia gli storici Angel Witch per formare i Tytan.

Del gruppo però, dopo il primo ep (Blind Man And Fools) licenziato nel 1982 ed il full lenght Rough Justice del 1985, se ne perdono le tracce fino al 2012 ed alla partecipazione dei riformati Tytan al Keep It True Festival.
Con nuovi musicisti e un ritrovato entusiasmo il gruppo londinese arriva oggi a licenziare il secondo lavoro dopo ben trentadue anni, dall’esordio sulla lunga distanza tramite la High Roller.
Justice Served risulta così un ritorno alle sonorità classiche nate all’alba degli anni ottanta e conosciute come new wave of british heavy metal.
Ritmiche alla Saxon e melodie di scuola Praying Mantis compongono la struttura portante del suono Tytan, che avvalendosi di una produzione in linea con la musica suonata porta l’ascoltatore nella Londra dei primi anni ottanta, quando l’heavy metal capitanato dagli Iron Maiden e dai loro colonnelli sul campo (Saxon, Praying Mantis, Angel Witch, Tygers Of Pan Tang, Def Leppard) stava rimpiazzando nei gusti il successo veloce e distruttivo del punk.
Kevin Riddles torna con i suoi Tytan e lo fa alla grande, con un album piacevole, puro heavy metal britannico, dove la melodia ha un’importanza primaria nel creare atmosfere che si fanno talvolta settantiane, con l’hard rock che a tratti prende il sopravvento.
Un album da ascoltare senza pregiudizi, anche se l’operazione nostalgia è dietro l’angolo ma, a difesa del gruppo inglese, c’è una grande conoscenza della materia ed uno spirito vintage che accomuna tutti i generi.

TRACKLIST
1. Intro
2. Love You To Death
3. Fight The Fight
4. Spitfire
5. Reap The Whirlwind
6. Midnight Sun
7. Forever Gone
8. Billy Who
9. Hells Breath
10. One Last Detai
11. Worthy Of Honour
12. The Cradle

LINE-UP
Tom Barna – Vocals & Rythmn Guitar
Dave Strange – Vocals & Lead Guitar
Kevin Riddles – Bass, Vocals & Keyboards
James Wise – Drums
Andy Thompson – Keyboards

TYTAN – Facebook

Blodiga Skald – Ruhn

Le cose positive che si erano ascoltate su Tefaccioseccomerda, qui vengono ampiamente superate, ed il risultato è un ottimo disco di folk metal, che merita molta attenzione dagli amanti del genere, anche perché si lega al discorso originario del genere, che è anche la sua parte più feconda.

Ritornano gli orchi più cattivi delle nostre foreste, pronti a buttarsi ubriachi in nuove avventure. Il disco è stato realizzato con il contributo dei fans, ed esce per la russa Soundage Productions, specializzata in folk metal di qualità.

I Blodiga Skald nascono a Roma nel 2014 da un’idea del batterista Nicola Petricca e del chitarrista Daniele Foderaro. Nel 2015 esce Tefaccioseccomerda, un ep che ha avuto un buon successo, e che ha dato la cifra stilistica di questo gruppo, ovvero un folk metal spensierato, veloce e di grande effetto. Nel nuovo disco i romani continuano a darci dentro, spostano maggiormente il tiro verso il nord dell’Europa, con un suono maggiormente curato rispetto al primo ep, che era comunque ottimo. La produzione di John Macaluso ai Trip In Music ha dato sicuramente i suoi frutti, rendendo maggiormente organico e potenziando ulteriormente il loro suono. Non si sono perse le maggiori peculiarità di questo gruppo, ovvero la potenza e la voglia di divertire e far divertire, con un folk metal riportato alle origini del genere, ovvero una diversa proposta con suoni particolari, mai noiosa ma anzi festaiola e metallica: proprio come il suono dei Blodiga Skald, i quali divertono moltissimo, non come alcuni gruppi compagni di genere che hanno perso la maniglia. Ruhn èbasato sulle storie del mondo che ha lo stesso nome del titolo del disco, e qui seguiamo i nostri orchi attraverso molte storie. Il suono è maturato molto, e i Blodiga Skald offrono una prova molto buona, con un suono compatto, potente e davvero folk metal. Le cose positive che si erano ascoltate su Tefaccioseccomerda, qui vengono ampiamente superate, ed il risultato è un ottimo disco di folk metal, che merita molta attenzione dagli amanti del genere, anche perché si lega al discorso originario del genere, che è anche la sua parte più feconda. Di folk ne troviamo tanto nel disco, anche grazie alla violinista Vittoria Nagni, mentre il metal è ben rappresentato dal death, da spruzzate balck, ma soprattutto dall’insieme che è esclusivamente e fortemente Blodiga Skald.

Tracklist
1.Epicavendemmia
2.Ruhn
3.No Grunder No Cry
4.I Don’t Understand
5.Sadness
6.Follia
7.Blood and Feast
8.Laughing with the Sands
9.Panapiir
10.Too Drunk To Sing

Line-up
Screamer – Axuruk “jejune” Kaleniuk
Strummer – Ghâsh “Barbarian Know-All” (Daniele Foderaro)
Orcordion and Orcboard – Tuyla “The Glorious One” (Ludovica Faraoni)
Fiddlerer – Maerkys “Handless” (Vittoria Nagni)
Farmerer – Rükreb “The Noble One” (Emanuele Viali)
Tupa Tupa – Vargan “Shepherd Tambourine” (Nicola Petricca)

BLODIGA SKALD – Facebook

Burning Ground – Last Day Of Light

Last Day Of Light risulta davvero un ottimo esempio di metallo proveniente dal nuovo mondo, teatrale e drammatico, epico e a tratti progressivo, mettendo subito in chiaro che qui siamo al cospetto di una band da non sottovalutare.

Le vie del power metal sono infinite e arrivano a Cagliari, in una delle nostre due isole maggiori, portando nobile metallo oscuro e drammatico come da tradizione americana.

La band in questione, all’esordio discografico tramite la Minotauro Records, si chiama Burning Ground, è attiva dal 2002 ma solo ora arriva a fermare la propria musica su disco e, come una foto o un’immagine, lasciare finalmente qualcosa di sé a chi la segue.
E bene ha fatto la Minotauro a non lasciarsi sfuggire il quintetto sardo, all’opera su un lavoro notevole, heavy power che non disdegna passaggi al limite del thrash, atmosfere epiche ed oscure, ed un’eleganza insita nel songwriting del gruppo ed assolutamente di scuola americana.
Last Day Of Light risulta davvero un ottimo esempio di metallo proveniente dal nuovo mondo, teatrale e drammatico, epico e a tratti progressivo, mettendo subito in chiaro che qui siamo al cospetto di una band da non sottovalutare, con un singer di razza (Maurizio Meloni) ad interpretare i brani con grinta e pathos, una chitarra solista che sciorina solos forgiati nel sacro fuoco del metal (Andrea Alvito), accompagnata dalle ritmiche del buon Alberto Bandino.
Il basso di Alessio Melis pompa sangue power, le pelli bruciano sotto i colpi inferti da Angelo Melis, mentre Dark Ages è l’intro che ci dà il benvenuto in questo piccolo gioiellino di metal classico.
Non ci si muove dal territorio americano, The Killing Hand conferma la totale devozione del gruppo all’heavy power classico, le atmosfere sono da subito aggressive ed oscure, ma elegantemente impreziosite da un grande lavoro melodico della sei corde.
Darkened Desire è uno splendido brano dove le ritmiche la fanno da padrone così come la cura nei chorus, e Facing The Shame è un bombardamento metallico, così come Before I See.
Primi Savatage, Metal Church e Sanctuary, ma pure Nevermore ed Iced Earth, nella musica del gruppo passa una buona fetta del metal classico statunitense, proveniente dagli anni ottanta , ma senza dimenticare i più giovani interpreti della musica dura, ormai da anni nel cuore dei true metallers, messo a dura prova dal The Burning Ground e dalla title track.
Una gradita sorpresa, un album ed una band da non lasciarsi sfuggire, specialmente se vi nutrite di pane ed U.S. power metal.

Tracklist
1.Dark Ages
2.The Killing Hand
3.Darkened Desire
4.Facing the Shame
5.Before I See
6.The Burning Ground
7.Last Day of Light
8.Dawn of Hope

Line-up
Alessio Melis – Bass
Maurizio Meloni – Vocals
Angelo Melis – Drums
Andrea Alvito – Guitars (lead)
Alberto Bandino – R.guitars

BURNINGROUND – Facebook

TESSERACT

“SMILE” – il nuovo singolo con lyric video

“SMILE” – il nuovo singolo con lyric video

Venerdì 23 Giugno i TesseracT hanno iniziato il tour in Nord America con Megadeth e Meshuggah e pubblicato il nuovo singolo con lyric video “Smile”

TesseracT online:
https://www.facebook.com/tesseractband
https://www.instagram.com/TesseractBand
http://tesseractband.co.uk
http://www.kscopemusic.com/artists/tesseract

ECNEPHIAS

Il lyric video di Quimbanda, dall’album The Sad Wonder Of The Sun in uscita a luglio (My Kingdom Music).

“Quimbanda”: a lyric video to enter ECNEPHIAS’ new album

ECNEPHIAS’ mastermind Mancan said: “The Sad Wonder Of The Sun” is Mediterranean Dark Metal at 101%, and you must wait for something really gothic, murky and darker than ever”.
Well, now it’s time to let you enter their world with the first track off new album. It is “Quimbanda” and you’ll discover it with a great lyric video created by ADHIIRA ART. Be prepared to an upsetting lascivous embrace!

ECNEPHIAS will release their sixth studio album, “The Sad Wonder Of The Sun”, on July 7 via My Kingdom Music.
The CD was recorded with the important Federico Falasca’s help as producer who worked at the mixing too, and mastered by Mauro Andreolli at Das Ende Der Dinge (Extrema, Vision Divine, Flash Terrorist, Negrita).
ECNEPHIAS’ new album will confirm them as one of the darkest Metal band around. It will surprise you all for the obscure and mystic power of its music and themes.

You can pre-order the CD at: http://smarturl.it/ECNEPHIAS-CD

Keep your eyes well open!

Official sites:
– MY KINGDOM MUSIC: www.mykingdommusic.net *
www.facebook.com/mykingdommusic.label
– ECNEPHIAS: www.facebook.com/ecnephias

“The Sad Wonder Of The Sun” track listing: 1. Gitana – 2. Povo De Santo – 3. Sad Summer Night – 4. The Lamp – 5. Nouvelle Orleans – 6. A Stranger – 7. Quimbanda – 8. Maldiluna – 9. You
and cover

Heathen Beast – $cam

Tornano gli agitatori sonori Heathen Beast, voce musicale del dissenso anti governativo in un paese come l’India, nel quale il livello della corruzione e dell’asservimento dei politici ai ai poteri forti e a quelli religiosi riesce persino a superare quello della nostra povera Italia.

L’urgenza compositiva che ha fatto scaturire questo nuovo ep da parte del misterioso trio, sempre alle prese con la propria rischiosa missione di denuncia, nasce dalla delirante decisione presa dal primo ministro Modi quando, nello scorso autunno, senza alcun preavviso, ha comunicato alla popolazione che sarebbero state messe fuori corso da subito tutte le banconote da 500 e da 1000 rupie (l’85% dei tagli in circolazione) allo scopo di stanare gli evasori fiscali. Non era necessario essere dei grandi economisti per capire che tali misure avrebbero avuto il solo effetto immediato di ridurre alla fame le fasce più deboli della popolazione, costrette a file oceaniche per le operazioni di cambio delle banconote/carta straccia presso banche incapaci di fare fronte alla situazione. Così i più ricchi continuano a prosperare, visto che i grandi evasori, per lo più, non detengono i loro beni in contanti, mentre la low-middle class si ritrova depauperata di gran parte dei propri beni, causa l’impossibilità di cambiare nei termini previsti il proprio denaro per finire, nella migliore delle ipotesi,  nella rete  del mercato nero.
Di fronte a tutto questo resta solo rabbia, da parte di chi almeno riesce a svincolarsi dall’ideologia religiosa, che rende gran parte degli indiani convinti che anche la misura più impopolare faccia parte di un «bisogno collettivo di sofferenza per la nazione, sicuri che la sofferenza li renda liberi, e che sia la strada per la salvezza personale e collettiva»
Gli Heathen Beast interpretano il rifiuto nei confronti di questo stato delle cose con tutta la furia e la convinzione che in questi anni hanno messo nella loro musica, stavolta utilizzando uno stile ancora più estremo del solito, sostituendo il black death relativamente più accessibile e contaminato dalla musica tradizionale indiana con nove granate di grind/black inframmezzate da numerosi voci campionate, mantenendo qualche sfumatura etnica per lo più nel particolare uso delle percussioni.
Ancor più che nelle precedenti occasioni, l’operato musicale degli Heathen Beast corre il rischio di passare in secondo piano rispetto al potente impatto della denuncia sociale che ritengo sia, comunque, il loro obiettivo primario. Ma è da sempre questo il destino di chi ritiene la musica non solo una forma d’arte ma anche lo strumento ideale per scuotere le coscienze, specialmente in paesi in cui le forme di dissenso vengono sopite da un controllo pressoché totale degli organi di informazione da parte delle classi dominanti (ci siamo di mezzo anche noi, non crediate, andare a vedere dove è collocata l’Italia nella graduatoria mondiale relativa al livello di libertà di stampa).
Resta il fatto che il trio indiano è una delle realtà più fresche e, a suo modo, innovative della scena metal mondiale, peccato solo che si manifesti con poca frequenza e con lavori per lo più dal minutaggio ridotto, ma si tratta ovviamente di un fatto contingente alla condizione di una band non convenzionale ed ad una vita artistica irta di ostacoli.

Tracklist:
1. Surgical Strike (De-modi-tisation)
2. It’s Only A Minor Inconvenience
3. Fuck Poor People, I Have Paytm
4. Reliance Is The Secret Of My Energy, Jio Mere Lal!
5. If The Army Can Do It, So Can You
6. Bailing Out The Banks
7. If You Disagree You Are Anti-national, Go To Pakistan
8. My Note Has GPS
9. Chutiya Banaya Bada Maza Aaya

Line up:
Carvaka – Vocals/Guitars
Samkhya – Bass
Mimamsa – Drums

HEATHEN BEAST – Facebook

Ten – Gothica

E’ un ritorno importante questo dei Ten, per riprendere le redini della scena hard rock internazionale con un album che lascia sprigionare emozioni come non succedeva dai tempi di The Robe e Spellbound.

I Ten sono uno dei gruppi più importanti dell’hard rock melodico di matrice britannica che gli ultimi vent’anni abbiano visto all’opera: a braccetto con i connazionali Dare hanno saputo nobilitare un genere caduto in disgrazia all’inizio degli anni novanta e tornato di recente prepotentemente in auge.

Il gruppo, guidato dal talento del cantante e compositore Gary Hughes, ebbe tra il 1996 ed il 2000 il suo momento magico con almeno quattro album che fanno parte della storia del rock duro europeo, dal secondo e bellissimo The Name Of The Rose a Babylon, passando per i due capolavori The Robe e Spellbound.
Il leader, che passava da lavori solisti a collaborazioni illustri (Bob Catley), ed una popolarità che cresceva tra gli amanti del genere, portò i Ten sulle copertine delle riviste di settore, mentre la discografia si ampliava con album sempre molto belli ma a cui mancava la scintilla che infiammava le opere precedenti.
Qualche cambio in formazione ed un leggero calo, del tutto naturale anche per una band come i Ten, non hanno inficiato la voglia di scrivere del mastermind inglese, tornato da alcuni anni a riempire di pelle d’oca le braccia dei suoi ammiratori con almeno due lavori eccellenti, Albion e l’ultimo Isla de Muerta ,usciti rispettivamente nel 2014 e due anni fa.
Siamo arrivati nel 2017 e tocca a Gothica, il nuovo album prodotto da Hughes, masterizzato e mixato da Dennis Ward e suonato da un gruppo che raccoglie la crema dell’hard rock, ben sette musicisti che, con l’ospite Karen Fell, diventano otto anime che danno all’album quel particolare tocco alla Ten che non lascia scampo.
Ancora grande musica rock, dunque, ultra melodica, anche se Hughes ha dichiarato (per i temi trattati più che altro) di aver puntato su qualcosa di più sinistro ed oscuro, ma sempre straordinariamente melodico come solo la band di Arcadia, The Name Of The Rose o We Rule The Night sa suonare.
Gothica è un album bellissimo, pregno di melodie fuori dal comune, avvolto in alcuni brani da una vena ombrosa che conferisce al sound sfumature melanconiche mai toccate dal gruppo, con almeno la metà dei brani che risplendono del talento non solo del suo leader ma di tutti i musicisti del gruppo, con una menzione particolare per il raffinato ed elegante lavoro ai tasti d’avorio di Darrel Treece-Birch.
La magia di The Grail apre l’album, facendo capire subito che con Gothica il gruppo conferma il ritorno ad una forma eccellente, melodica, oscura ed epica, seguita dal singolo Travellers, dalla grintosa The Wild King Of Winter, dalla moderna  Welcome To The Freak Show e dalle trame aor di La Luna Dra-cu-la.
E’ un ritorno importante questo dei Ten, per riprendere le redini della scena hard rock internazionale con un album che lascia sprigionare emozioni come non succedeva dai tempi di The Robe e Spellbound; inutile dirvi, quindi, che l’album risulta impedibile per tutti gli amanti dell’hard rock melodico.

Tracklist
1. The Grail
2. Jekyll And Hyde
3. Travellers
4. Man For All Seasons
5. In My Dreams
6. The Wild King Of Winter
7. Paragon
8. Welcome To The Freak Show
9. La Luna Dra-cu-la
10. Into Darkness

Line-up
Gary Hughes – Vocals, Backing Vocals, Guitar, Bass and Programming
Dann Rosingana – Guitar
Steve Grocott – Guitar
John Halliwell – Guitar
Steve McKenna – Bass Guitar
Darrel Treece-Birch – Keyboards
Max Yates – Drums and Percussion

Additional Backing Vocals – Karen Fell

TEN – Facebook

Deep Valley Blues – Deep Valley Blues

Prendete quattro musicisti calabresi, già protagonisti con altri progetti più o meno conosciuti nella scena nazionale, lasciateli per un po’ a jammare in un delirio stonerizzato e psichedelico, pesante come una meteora in caduta libera sulla Sila, ed avrete i Deep Valley Blues.

Prendete quattro musicisti calabresi, già protagonisti con altri progetti più o meno conosciuti nella scena nazionale, lasciateli per un po’ a jammare in un delirio psichedelico, pesante come una meteora in caduta libera sulla Sila, ed avrete i Deep Valley Blues, che negli studi della Black Horse ha dato vita in presa diretta a questo mostro stoner/blues.

La band di Catanzaro ha messo la propria esperienza ed attitudine al servizio di questo progetto, rigorosamente in autoproduzione, giusto per alzare di molti gradi la colonnina di mercurio e raggiungendo così temperature vulcaniche.
Deep Valley Blues, ovvero tornare da una drammatica settimana persi nel deserto, dissetarsi il giusto per non lasciare questo mondo, prendere in mano il proprio strumento e tuffarsi in quello parallelo delle visioni e dei trip hard rock, tra una neanche troppo velata attitudine southern, accenni allo psych-hard rock settantiano e lo stoner della famosa valle che ha fatto da parco giochi e maestra ai vari Kyuss e compagnia.
L’urgenza rock del quartetto però è farina del suo sacco, con una vena punk che attraversa i vari capitoli di questa odissea, tra la terra che brucia sotto i piedi ed il sole nemico della ragione, mentre in mezz’ora veniamo travolti da questo sabba desertico, schiaffeggiati dai vari capitoli che si susseguono e formano questa lunga jam.
Space Orgasm è la parte del viaggio che più preferisco, ma Deep Valley Blues rimane un lavoro da mandare giù tutto d’un fiato, altrimenti si rischia di perdere molto della magia drogata del sound di questi sacerdoti dell’hard rock stoner.

1. Death Valley Blues
2. Prey
3. Struggle of Interest
4. Hell of a Month
5. Space Orgasm
6. Banzai
7. Ashes in the Wind

Line-up
Umberto Arena – Guitars and Backing Vocals
Alessandro Morrone – Guitars
Giando Sestito – Bass and Vocals
Giorgio Faini – Drums

DEEP VALLEY BLUES – Facebook

KLOGR

Il video del primo singolo “Prison Of Light”, dall’album “Keystone” (Zeta Factory).

KLOGR annunciano titolo e data di uscita del nuovo album “Keystone”
Con all’attivo due album, un DVD e un tour europeo di 23 date con i Prong, l’alternative rock metal band, KLOGR, torna sulle scene più carica e potente che mai e annuncia oggi l’uscita del terzo full-length intitolato “Keystone”, prevista per il 6 Ottobre 2017 su Zeta Factory (distribuzione Goodfellas).

In occasione dell’annuncio dell’uscita del nuovo album “Keystone”, i KLOGR lanciano il video del primo singolo “Prison Of Light”.

“Keystone, ‘la chiave di volta’, è un elemento indispensabile attorno al quale ruota un sistema, una dottrina, una scuola di pensiero, una serie di eventi” commenta Rusty, il mastermind della band, “Il nuovo album è infatti la massima rappresentazione del nostro lavoro, di quello in cui crediamo e di quello che vogliamo esprimere con la nostra musica.”

“Keystone” è stato registrato ai Zeta Factory Studio e mixato ai Mainstation Studio di Toronto, Canada, da David Bottrill (Peter Gabriel, Kid Rock, Smashing Pumpkins, Tool).

“Abbiamo scelto di lavorare con un produttore del calibro di David per dare una svolta alla discografia della band” commenta Rusty, “David ha saputo portare quello che alla band mancava, una visione esterna focalizzata solo sulla musica e non su cosa potesse essere “trendy”. La sua sensibilità musicale e la sua esperienza professionale ci ha permesso di metterci in gioco e sperimentare soluzioni che hanno dato al disco una potenza e un carattere unico. Siamo estremamente orgogliosi e soddisfatti del risultato ottenuto, questo è il nostro miglior lavoro fatto fino ad oggi. Non vediamo l’ora di farvelo ascoltare!”

Acquista “Prison Of Light” in digitale:
http://smarturl.it/prisonoflight_single

Maggiori dettagli sull’album verranno svelati a breve!

I KLOGR sono:
Gabriele “Rusty” Rustichelli: voce/chitarra
Pietro Quilichini “PQ”: chitarra/backing vocals
Maicol Morgotti: Batteria
Roberto Galli: Basso

Maggiori info:
klogr.net
facebook.com/klogr

Decapitated – Anticult

Anticult si può leggere come un ulteriore passo verso una camaleontica trasformazione iniziata con il precedente Blood Mantra, riuscita in parte, ancora da registrare ma che lascia buone sensazioni per il prosieguo della carriera del gruppo polacco.

Evoluzione, involuzione, tradimento o solo voglia di suonare qualcosa di diverso (anche perché non credo che con il metal estremo si possa parlare di soldi), fatto sta che quando una band storica lascia l’ormai abituale via per seguire altre strade, porta sempre malumore tra i fans e gli addetti ai lavori, poche volte bilanciato da commenti entusiastici.

E’ il caso dei polacchi Decapitated, una vita a suonare death metal tecnico e brutale, ora trasformatisi in una groove metal band, rabbiosa e melodica.
Potrà anche non piacere la svolta, ma rimane indubbio che Anticult sia un lavoro pesante e melodico, sicuramente rivolto ad un altro tipo di ascoltatori e non ai soliti fruitori della musica del gruppo di Vogg e compagni.
Ovviamente potete pure mettere la classica pietra sopra al vecchio sound proposto dai Decapitated, perché questo nuovo lavoro non è neppure avvicinabile ai deliri tecnici ed estremi dei passati album del gruppo, qui si fa death metal melodico e cool, con il groove ben in evidenza ed una spiccata propensione alla melodia che si evidenzia in molti passaggi, anche se manca ai brani quel quid per essere ricordati.
Anticult si può leggere come un ulteriore passo verso una camaleontica trasformazione iniziata con il precedente Blood Mantra, riuscita in parte, ancora da registrare ma che lascia buone sensazioni per il prosieguo della carriera del gruppo polacco.
In breve, i Decapitated non esistono più, o meglio stanno lasciando la vecchia pelle in una lenta mutazione che li sta portando, attraverso brani come la devastante opener Impulse, o la pesantissima Kill The Cult, verso lidi groove melodic death più vicini a gruppi come Arch Enemy, The Haunted e Darkane.
Se ne parlerà e tanto di questo lavoro, il sottoscritto consiglia l’ascolto prima di giudicare la scelta del gruppo che, a conti fatti, non risulta così male.

Tracklist
1. Impulse
2. Deathvaluation
3. Kill The Cult
4. One Eyed Nation
5. Anger Line
6. Earth Scar
7. Never
8. Amen

Line-up
Vogg – Guitars
Rafał Piotrowski – Vocals
Młody – Drums
Hubert Więcek – Bass

DECAPITATED – Facebook

Babylon Pression – Heurex D’ Etre Content

Ascoltando Heureux D’ Etre Content troverete l’incrocio del metal con i più svariati generi, come l’hardcore, a volte il rap, ma potrebbe essere anche il blues.

Torna il ciclone francese chiamato Babylon Pression, gruppo che porta alta la bandiera del metal bastardo francese.

Ascoltando Heureux D’ Etre Content troverete l’incrocio del metal con i più svariati generi, come l’hardcore, a volte il rap o potrebbe essere anche blues.Tutto ciò non porta al crossover ma ad uno stile meticcio che ha un nome ben preciso: Babylon Pression. Il disco è un ulteriore passo in avanti di una carriera da sempre guidata dalla voglia di scuotere e di far muovere i giovani e meno giovani. I Babylon Pression sono nati nell’ormai lontano 1989 e da quel momento hanno prodotto diversi dischi e fatto molti live non solo in patria, ma anche all’estero. La loro parabola è stata fino ad un certo punto in comune con alcuni gruppi come i Lofofora, anche loro tra i principali artefici della nuova onda metal francese. Dal 2010 in poi prenderanno la via del do it yourself, ed infatti questo disco esce in crowdfunding, e i fans lo sapevano già che sarebbe stato ottimo. L’ascoltatore viene calato in un musica frenetica e coinvolgente, con un substrato punk hardcore ma con uno sviluppo melodico assai inconsueto, anche grazie alle loro particolari tecniche di canto. Si viaggia veloci tra le onde insidiose di questa nostra maledetta società e si gusta il particolare gusto della libertà creativa, poiché i ragazzi sono padroni in toto della loro musica. L’intensità non viene mai meno per tutta la durata del disco, e ci si diverte moltissimo perché ad ogni accordo può spuntare un momento diverso da quello precedente. In Italia, forse per la barriera linguistica, ma è un scusa davvero labile, snobbiamo questa magnifica scena francese che dà davvero ottimi frutti come questo disco, che dall’inizio alla fine è un concentrato di metal altro, ottime idee e soprattutto di furia sensata.

Tracklist
1 J’arrive quand j’arrive
2 Verse ta javel
3 La pinte
4 La loi de la rue
5 Je m’en sortira
6 La boite à Partouze
7 Toutes des mères sauf ma pute
8 Couche confiance
9 Pépé violeur
10 La raclure

Line-up
Mat – Voic
Julien – Guitar
Roswell – Bass
JB – Drum

BABYLON PRESSION – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=9AC45Jsj-3I

Diesanera – Crumbs

Crumbs è un lavoro ispirato e vario, dove ci si confronta con un gruppo che ha trovato un’alchimia perfetta tra le sue varie influenze, senza mai ripetersi, variando e giocando con le atmosfere care all’alternative gothic rock.

I Diesanera con il loro debutto passeggiano tra le strade del gothic/dark rock e, come in un ombroso labirinto, si perdono tra le molte ispirazioni, ritornando sulla via oscura non prima di aver creato Crumbs.

E Crumbs non deluderà chi di notte si aggira per i vicoli di città decadenti, fuori dagli schemi di generazioni mordi e fuggi, solitarie creature della notte affamate di poesie gotiche.
Il gruppo nasce un paio di anni fa per volere di Valerio Voliani (ex singer di Icycore, Absolute Priority e Motus Tenebrae) e Ilario Danti (ex chitarrista dei Death SS e Madness Of Sorrows), raggiunti nel frattempo dal chitarrista Yuri Giannotti, da Matt Langella al basso e da Alessio Toti alle pelli.
La firma per l’etichetta napoletana Volcano Records & Promotions e l’uscita di Crumbs in questa assolata estate non sono che l’ottima partenza per il gruppo toscano che si inserisce di prepotenza tra le migliori novità in ambito gothic/dark, almeno per quanto riguarda la scena underground dello stivale.
L’album si presenta come un riuscito riassunto di quello che il genere ha regalato in questi anni, elaborato in modo personale così da trovare subito una propria identità, partendo dal dark rock classico, passando per le trame gotiche in uso nelle notti a cavallo dei due millenni per trovare nell’alternative rock il modo per firmare in calce questo lotto di brani con il monicker Diesanera.
Volian.i singer che non ha nulla da invidiare ai vampiri che si sono succeduti come icone del genere, ma che sa dare ai brani la giusta interpretazione, passando dai toni baritonali di Pete Steele a quelli più cool di Jirki 69, varia il suo canto arrivando a toccare lidi modern rock, mentre la band passa agevolmente tra tracce gotiche e notturne ad altre più dirette e metal.
Ne esce, come detto, un lavoro ispirato e vario, dove ci si confronta con un gruppo che ha trovato un’alchimia perfetta tra le sue varie influenze, senza mai ripetersi, variando e giocando con le atmosfere care all’alternative gothic rock, passando per le trame dell’opener Mad Man,del singolo Pills Of Lies, della sensuale Ghosts, del capolavoro The Last Funeral, della superba The Mission ed arrivando alla cover di Such A Shame dei Talk Talk, a conferma dell’amore per la new wave ottantiana dei protagonisti.
Un debutto affascinante che non passerà sicuramente inosservato tra le creature della notte e di chi si nutre del sangue che sgorga dalle note di Type 0 Negative, The 69 Eyes, Sisters Of Mercy, Secret Discovery e Poisonblack.  Dark/ Gothic 8.20

Tracklist
1 Mad Man
2 My Lonely Hell
3 Pills Of Lies
4 Ghosts
5 DiesAnEra
6 The Spell
7 Sadness
8 The Last Funeral
9 S.I.R.I.A.
10 The Mission
11 In The Name Of God
12 Such A Shame

Line-up
Valerio Voliani – vocals
Ilario Danti – guitars
Yuri Giannotti – guitars
Matt Langella – bass
Alessio Toti – drums

DIESANERA – Facebook

Alchimia – Release Party

Il release party della band Alchimia, progetto gothic metal con influenze tipiche del folk mediterraneo, si terrà il 14 Luglio al Cellar Theory di Napoli.

Evento facebook

Ad accompagnare dal vivo Emanuele Tito (voce, chitarra) ci saranno:

David Folchitto (Novembre, Prophilax, Stormlord) – batteria
Luca Fusco – chitarra
Oliver Tobyn – basso

Ospiti speciali della serata i Nebulae, che presenteranno alcuni estratti dal nuovo album di prossima uscita.

“Musa”, l’album di debutto di Alchimia, è uscito lo scorso 21 aprile per Buil2Kill Records/Nadir Music.

Uncommon Evolution – Junkyard Jesus

Ritmiche grasse, chitarre sature ed attitudine selvaggia sono le maggiori caratteristiche degli Uncommon Evolution e la loro musica, un macigno sonoro che passa per i Clutch e si ferma tra le trame del sound dei Corrosion Of Conformity, aggiunge preziose sfumature southern metal trasformando il tutto in hard rock pesantissimo.

Gli Uncommon Evolution si sono formati nel 2013, arrivano dal Montana e sono stati catturati dalla Argonauta Records, per la quale esce il terzo ep Junkyard Jesus.

Prodotto da Machine (Clutch, Lamb of God, Crobot), il lavoro è composto da quattro brani per una ventina di minuti circa che trasportano sulle montagne degli States.
Deserti che diventano paradisi e viceversa, mentre il caldo soffocante del giorno lascia spazio al freddo polare della notte, in un’escursione termica che si riflette nella musica del quartetto, un hard rock pregno di sonorità stoner, duro come la vita nelle provincie americane, maschio e pesante come una band di taglialegna in trip per suoni stonerizzati e a tratti psichedelici.
Ritmiche grasse, chitarre sature ed attitudine selvaggia sono le maggiori caratteristiche degli Uncommon Evolution e la loro musica, un macigno sonoro che passa per i Clutch e si ferma tra le trame del sound dei Corrosion Of Conformity, aggiunge preziose sfumature southern metal trasformando il tutto in hard rock pesantissimo.
I quattro musicisti statunitensi ci sanno fare con la materia e già dalla title track la loro musica è sparata per fare danni, mentre il chorus di Highly Modified Son of a Bitch si stampa in testa così come l’ottimo refrain, mentre il solo arriva direttamente dalla vetta di una montagna.
La discesa si fa dura e l’ andamento cadenzato di Feather Short of Flight segna il ritorno a valle, mentre King Of The Heep concede un momento di gloria al doom settantiano, compresso e destabilizzato da un’atmosfera satura di elettricità.
Un ottima prova per la band ed ennesimo buon colpo per l’etichetta ligure: gli Uncommon Evolution potrebbero regalare grosse soddisfazioni con un auspicabile prossimo full lenght.

TRACKLIST
1.Junkyard Jesus
2.Highly Modified Son of a Bitch
3.Feather Short of Flight
4.King of the Heep

LINE UP
Matt Niles – drums
Rick Bushnell – bass
River Riotto – lead guitar
Briar Gillund – guitar and vocals

UNCOMMON EVOLUTION – Facebook

Ecnephias – The Sad Wonder Of The Sun

Oscuri, melodici e atmosferici come mai era accaduto prima: questi sono gli Ecnephias del 2017, fieri portabandiera di un’identità “mediterranea” in ambito rock e metal, ai quali non viene mai meno quella peculiarità  che è caratteristica solo delle band di categoria superiore.

Ogni volta che gli Ecnephias pubblicano un nuovo album, nel mio caso l’attesa dell’estimatore della prima ora è contrastata dalla necessità di scrivere quali impressioni mi abbia destato e, avendo a che fare con una band che innegabilmente non ha mai fatto uscire un disco stilisticamente contiguo a quello precedente, è sempre difficile immaginare cosa attendersi.

Ormai da tempo, con una cadenza biennale, Mancan e soci offrono lavori di grande spessore qualitativo, partendo dal dirompente Inferno (2011), passando per il più estremo Necrogod (2013) per giungere al più darkeggiante album omonimo del 2015.
Personalmente ritenevo che le sonorità presenti in quell’ultimo lavoro rappresentassero stilisticamente le colonne d’Ercole per la band lucana, immaginando che si trattasse del punto più lontano dal metal entro il quale si potesse spingere: The Sad Wonder Of The Sun smentisce puntualmente questa mia congettura, rappresentando al contrario il veleggiare libero di musicisti scevri da condizionamenti stilistici di sorta verso territori finora inesplorati.
Per capire cosa intendo può essere utile partire dalla quinta traccia Nouvelle Orleans, dove si viene accolti da accenni di reggae che sono lontani anni luce dalle asprezze di Necrogod (per non parlare del black/death/doom, per quanto di volta in volta cangiante, di Dominium Noctis e Ways Of Descention) ma che, paradossalmente, non vanno ad intaccare il trademark Ecnephias; peraltro, questo brano non rappresenta neppure il massimo scostamento rispetto ad un’ipotetica strada maestra metallica, visto che la conclusiva You è un ottimo episodio di rock quasi radiofonico, con una chitarra che si erge a protagonista più che in altri frangenti.
Detto delle tracce più emblematiche del nuovo corso, l’album si rivela una raccolta di nove canzoni senz’altro fruibili, almeno se raffrontate con quelle contenute nel precedente lavoro, ma ciò non deve assumere un significato negativo rappresentando, piuttosto, una forma di evoluzione anche rischiosa, in quanto non è detto che possa trovare unanimi consensi, specie da chi considera i primi due album del decennio i più significativi della carriera degli Ecnephias.
La verità è che la musica dei potentini, in tutte le sue vesti possibili, si rivela sempre un veleno che insinua lentamente e che, dopo ogni passaggio nel lettore, acquisisce spessore e fa salire nell’ascoltatore la consapevolezza d’essersi imbattuto nell’ennesimo album di grande spessore.
E allora, quel pizzico di smarrimento iniziale nel rinvenire i retaggi del passato solo nei rari passaggi in growl di un Mancan sempre più cantante ed interprete, nel senso più completo del termine, svanisce al cospetto dei chorus ficcanti che ogni canzone riserva, con menzione d’onore nella prima parte per Gitana e Povo de Santo, e nella seconda metà per Quimbanda e Maldiluna, nelle quali il cantato in italiano torna a lasciare il segno, assieme ad un’ispirazione melodica che, nel primo caso, è asservita ad una ritmica più incalzante e nel secondo, invece, va a toccare il punto più alto del disco per evocatività ed afflato poetico, nonostante accattivanti spunti elettronici possano inizialmente trarre in inganno.
Gli agganci alla produzione passata comunque non mancano, specialmente con la magnifica Sad Summer Night, traccia che riconduce ai momenti più emotivamente intensi di Inferno, e lo stesso in parte vale per l’altrettanto oscura A Stranger.
The Sad Wonder Of The Sun è un album elegante e ricco di atmosfere e melodie vincenti,  che deve essere ascoltato senza alcun pregiudizio, cosa che del resto è da sempre è il modo giusto per approcciarsi con la musica degli Ecnephias: in questo caso, però, non si può parlare di un balzo in avanti rispetto al precedente lavoro omonimo, bensì, metaforicamente, del salto in corsa da un treno all’altro per finire su un binario che potrebbe condurre verso nuovi ed inaspettati scenari futuri, facendo ritenere al momento improbabile una possibile inversione di marcia.
Oscuri, melodici e atmosferici come mai era accaduto prima: questi sono gli Ecnephias del 2017, fieri portabandiera di un’identità “mediterranea” in ambito rock e metal, ai quali non viene mai meno quella peculiarità che è caratteristica solo delle band di categoria superiore.

Tracklist:
1. Gitana
2. Povo De Santo
3. Sad Summer Night
4. The Lamp
5. Nouvelle Orleans
6. A Stranger
7. Quimbanda
8. Maldiluna
9. You

Line-up:
Mancan: Vocals, Guitars
Nikko: Guitars
Khorne: Bass
Sicarius: Keyboards and piano
Demil: Drums

Female voice on song 2 and 7 by Raffaella Cangero (LA JANARA)

ECNEPHIAS – Facebook

childthemewp.com