Långfinger – Crossyears

Segnatevi il monicker Långfinger perché tornerà presto a tormentare le serate in compagnia del vostro amato stereo, riempiendo il vostro spazio di ottima musica rock, dove hard sta per potenza e blues per attitudine

Un’altra perla di hard rock vintage arriva a fare il paio con il bellissimo album dei rockers Captain Crimson, a conferma del talento per un certo tipo di rock rinvenibile in terra svedese.

Da Goteborg arriva questo power trio che, sotto il monicker Långfinger, ci strapazza con Crossyears, album dal sound che pesca dalla tradizione ma non manca di sfondare crani sotto macigni ritmici pieni di groove ed un attitudine alternativa che rompe, a tratti, l’alone settantiano che avvolge i brani dell’album.
Pura potenza hard rock, Crossyears parte sgommando con tre brani che lasciano per strada una spessa traccia di pneumatico che brucia sotto il sole e l’asfalto caldo del blues rock, mentre la title track è un’irresistibile traccia semiacustica, attraversata da una solista sanguigna, un inno blues rock d’altri tempi dove i riff hendrixiani fanno da contorno ad un’atmosfera rituale e dertica.
Atlas è comandata da un hammond purpleiano e nel deserto ci accompagna, con i suoi umori stonerizzati e un’atmosfera da sabba perennemente avvolto in un trip da cui non si esce, se non con i ritmi cladi della southern Buffalo, mentre il basso risulta un cuore che batte impazzito sulla potentissima Caesar’s Blues.
Perdendoci in questo trip, dove hard rock e blues fanno da colonna sonora a fumosi viaggi zeppeliniani non è così difficile incontrare note riconducibili ai primi passi dell’hard rock statunitense nato nelle cantine della piovosa Seattle, così che tra una jam e l’altra si finisce per godere di melodie settantiane e hard rock che ricorda i Soundgarden più selvaggi (Window In The Sky).
Segnatevi il monicker Långfinger perché tornerà presto a tormentare le serate in compagnia del vostro amato stereo, riempiendo il vostro spazio di ottima musica rock, dove hard sta per potenza e blues per attitudine.

TRACKLIST
1. Feather Beader
2. Say Jupiter
3. Fox Confessor
4. Crossyears
5. Atlas
6. Silver Blaze
7. Buffalo
8. Caesar’s Blues
9. Last Morning Light
10. Window in the Sky

LINE-UP
Victor Crusner – Vocals, Bass, Keyboards
Kalle Lilja – Guitars
Jesper Pihl – Drums

LANGFINGER – Facebook

Distressful Project – Fucked Up Songs

Il sound, ondeggia tra il gothic ed il death doom, con maggior propensione verso il primo, in virtù di una propensione ad una malinconica orecchiabilità, ma con superiore efficacia nell’affrontare il secondo.

Fucked Up Songs, nonostante risulti quale secondo full length di questo duo russo, è in realtà una nuova versione del precedente Neverending Pain, del quale ricalca fedelmente la scaletta mantenendone in comune persino la copertina.

Inoltre, per quanto le tracce siano state oggetto di una revisione, il materiale ivi contenuto è stato composto quasi dieci anni fa, quindi è difficile stabilire quanto possa essere indicativo delle inclinazioni attuali della band.
Il sound, comunque, ondeggia tra il gothic ed il death doom, con maggior propensione verso il primo, in virtù di una propensione ad una malinconica orecchiabilità, ma con superiore efficacia nell’affrontare il secondo, visto che la canzone migliore del lotto è per distacco la conclusiva Blindness, che non a caso è quella che più di altre affonda con più decisione le radici nel doom più estremo, con il suo incedere rallentato sorretto da evocative tastiere e da un bellissimo lavoro chitarristico.
Sullo stesso filone si va a collocare anche At Eternity’s Gate, altra ottima traccia in cui l’ottimo growl ne ammanta di oscurità le trame dolenti meglio di quanto non avvenga con le clean vocals.
Il resto dell’album viaggia invece su coordinate più canonicamente gothic, rievocando a tratti qualcosa dei primi Evereve, ma con una vena drammatica ed un enfasi vocale di molto inferiore, offrendo comunque canzoni pregevoli come Skotodini, Soulless e Paranoia.
Pur non risultando un’opera imprescindibile, Fucked Up Songs (non un gran titolo, peraltro, meglio quello precedente) mostra a tratti la buona qualità compositiva del duo composto da Alextos e Yanis e, in considerazione di quanto detto in fase introduttiva riguardo al periodo di composizione dell’album, non è escluso che un eventuale prossimo lavoro possa mostrare un volto diverso o comunque più definito dei Distressful Project.

Tracklist:
1….
2.Tristia
3.Skotodini
4.At Eternity’s Gate
5.The Curse
6.Volition
7.Twilight
8.Soulless
9.Paranoia
10.Blindness

Line-up:
Alextos – Vocals, Bass, Programming
Yanis – Vocals, Guitars, Keyboards, Programming

Lunar Shadow – Far From Light

Il songwriting degno di una grande band e l’ottima tecnica strumentale fanno di quest’opera un gioiello epico che i fans di Solstice, Warlord, Slough Feg e del metal classico in generale non possono assolutamente perdersi.

Affascinante esordio sulla lunga distanza per questa giovane band tedesca, al secolo Lunar Shadow, in uscita per Cruz Del Sur  con Far From Light, un bellissimo esempio di heavy metal old school, epico e melodico.

Puntano tutto sulle atmosfere i Lunar Shadow e fanno bene, visto l’ottimo risultato ottenuto grazie ad emozionanti passaggi acustici, cavalcate metalliche dall’incedere epico e un uso delle melodie che, partendo dalla splendida voce di Alex Vornam per passare ad intrecci chitarristici sopra le righe, portano Far From Light ad un giudizio più che lusinghiero.
Metallo forgiato negli anni ottanta, puro come l’acqua di sorgente da dove si dissetano gli dei, il sound del gruppo tedesco, fino ad ora sul mercato con il solo ep Triumphator uscito un paio di anni fa, ha del sorprendente per intensità ed per un’epicità che non va mai oltre il buon gusto, lasciando all’heavy metal classico il compito di portare la band verso la battaglia a colpi di spade e scudi, mentre la ricerca del sacro graal del metal old school si ferma davanti alla grotta illuminata, raffigurata nella splendida copertina che sa tanto di primi Candlemass.
Ma il paragone con la famosa doom metal band si ferma qui: i Lunar Shadow fanno heavy metal puro ed incontaminato, fiero nelle trame di Hadrian Carrying Stones o gli intrecci acustici della superba The Hour Of Dying, la cavalcata metallica di The Kraken che lascia spazio ad atmosferici passaggi acustici per poi esplodere in fiammeggiante metallo, mentre i minuti passano (l’album dura un’ora scarsa), e l’alta qualità non scende, mantenendo Far From Light su livelli davvero alti per il genere.
Un songwriting degno di una grande band e l’ottima tecnica strumentale, fanno di quest’opera un gioiello epico che i fans di Solstice, Warlord, Slough Feg ed il metal classico in generale non possono assolutamente perdersi.

TRACKLIST
1. Hadrian Carrying Stones
2. They That Walk The Night
3. Frozen Goddess
4. Gone Astray
5. The Hour Of Dying
6. The Kraken
7. Cimmeria
8. Earendil (Gone Are The Days)

LINE-UP
Max ‘Savage’ Birbaum – Lead Guitar
K. Hamacher – Guitars
S. Hamacher – Bass Guitar
A. Vornam – Vocals
J. Zehner – Drums

LUNAR SHADOW – Facebook

Black Cilice – Banished From Time

Black Cilice documenta questa sofferenza, questo dilaniamento continuo, portandoci totalmente in un’altra dimensione, dove si interrompe il normale flusso della vita.

Il mistero ammanta la figura di Black Cilice, musicista portoghese che da anni è uno dei migliori dell’ottima scena black metal portoghese. Dopo Mysteries del 2015, il nostro ritorna con questo gran disco di black metal classico e lo fi, completamente devoto all’oscuro verbo del nero metallo.

Black Cilice usa il black metal per introdurci in un’atmosfera altra, in una dimensione diversa dalla nostra, dove l’uomo è completamene trasfigurato in un sentimento dilaniato, figlio della frattura tra la nostra anima e ciò che siamo nella nostra dimensione normale e quotidiana. Noi indossiamo ogni giorno delle maschere per sottosta ai diktat di una società che non vole che siamo noi stessi, ed ogni giorno soffriamo, sanguinando con un falso sorriso. Black Cilice documenta questa sofferenza, questo dilaniamento continuo, portandoci totalmente in un’altra dimensione, dove si interrompe il normale flusso della vita. La dimensione in cui ci porta Black Cilice è puro dolore distillato in musica, dove la sua voce in lontananza è un lamento disperato, e la musica è un diluvio di black metal lo fi, formando un magma che converge su di noi, non dandoci punti di riferimento e portandoci lontano, o forse molto vicino ad un qualcosa che abbiamo dimenticato. Black Cilice non sbaglia un disco, confermandosi uno dei più validi nella scena europea e non solo, con un black metal davvero particolare ed unico. Quest’ultimo parte dalla fase classica del genere, per arrivare ad una sintesi personale, unica ed esoterica, per un mistero che si rinnova in continuazione.

TRACKLIST
01 Timeless Spectre
02 On the Verge of Madness
03 Possessed by Night Spirits
04 Channeling Forgotten Energies
05 Boiling Corpses

BLACK CILICE – Facebook

Sanctuary – Inception

Inception potrà a molti sembrare un’operazione volta a riempire il tempo necessario al gruppo per creare il nuovo album, ma è indubbio che il valore di queste composizione vada ben oltre la classica operazione nostalgica.

Come ogni leggenda che si rispetti, anche la storia dei Sanctuary di Warrel Dane e Lenny Rutledge si avvolge di mistero ed un pizzico di magia.

E l’ultimo capitolo della storia di questa storica band statunitense vede il chitarrista ripulire il proprio magazzino e, tra cianfrusaglie e vecchi ricordi, trovare quello che è il sacro Graal della band e di una buona fetta dell’US power metal, i nastri su cui l’allora giovane gruppo incise quello che in gran parte andò a formare il primo entusiasmante album dei Sanctuary, Refuge Denied.
Quello che poi la storia vide scritto fu un secondo album altrettanto fondamentale (Into The Mirror Black, 1990) ed un lungo silenzio fino al 2014 con il ritorno con un album di inediti intitolato The Year the Sun Died.
Ma torniamo a questa monumentale raccolta ed alla sua storia che porta i Sanctuary, dopo il ritrovamento, ad affidare i preziosi nastri al produttore Chris “Zeus” Harris (Queensryche, Hatebreed), il quale trasforma la musica di cui si compongono in canzoni prodotte perfettamente, in linea con il metal del nuovo millennio, così da poter godere in toto della bravura di questa straordinaria band.
Accompagnato dalla copertina di Ed Repka, che richiama senza mezzi termini quella del primo album del gruppo, Inception potrà sembrare a molti un’operazione volta a riempire il tempo necessario al gruppo per creare il nuovo album, ma è indubbio che il valore di queste composizione vada ben oltre la classica operazione nostalgica.
Detto del gran lavoro fatto da Harris, in modo che il tutto non appaia la classica demo che fa a pugni con le nostre orecchie abituate alle produzioni moderne, l’album ci presenta la band al massimo della forma, magari leggermente acerba, ma con un Dane sugli scudi, teatrale e nervoso, sospinto da una carica selvaggia indomabile, ed una serie di brani che sono storia del metal statunitense alla pari con i primi lavori di Queensryche e Metal Church.
Le due tracce inedite sono all’altezza di quelle conosciute e finite su Refuge Denied: teatrali, drammatiche ed oscure, in perfetta linea con il metal suonato negli anni ottanta e diventato una tradizione classica dell’ America hard & heavy.
Curato in ogni dettaglio, Inception è accompagnato da un libretto con foto e notizie sulla scena metal di Seattle, prima che camicioni di flanella e jeans strappati arrivassero a mettere nell’ombra giubbotti di pelle e polsini borchiati.

TRACKLIST
1. Dream Of The Incubus
2. Die For My Sins
3. Soldiers Of Steel
4. Death Rider / Third War
5. White Rabbit (Jefferson Airplane cover)
6. Ascension To Destiny
7. Battle Angels
8. I Am Insane
9. Veil Of Disguise

LINE-UP
Lenny Rutledge – Guitars
Warrel Dane – Vocals
Dave Budbill – Drums
George Hernandez – Bass
Nick Cordle – Guitars (live)

VOTO
8.50

URL Facebook
http://www.facebook.com/sanctuaryfans

THE UNITY

https://www.youtube.com/watch?v=8OPA4i3xdtk&feature=youtu.be

Il lyric video di Rise And Fall, tratto dall’album omonimo in uscita il 5 maggio.

Quando bellissime canzoni hard rock e melodic metal incontrano le eccellenti qualità musicali e l’esperienza dei musicisti affermati nascono i THE UNITY, band fondata dal batterista Michael Ehré e dal chitarrista Henjo Richter dei Gamma Ray!!!

il primo è stato parte della scena Power Metal di Amburgo degli ultimi vent’anni militando in band come i Firewind, Uli Jon Roth e Unisonic prima di approdare ai Gamma Ray. Le fantastiche doti compositive del duo Richter e Ehré sono affiancate dalla straodinaria voce del cantante italiano Giamba Manenti, dal Chitarrista Stef E, dal bassista Jogi Sweers e dal tastierista Sascha Onnen.

il debut album omonimo uscirà il 5 Maggio su Spv/Steamhammer ed è stato anticipato dal lyric video del primo singolo “Rise And Fall”

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Tracklisting:
1. Rise And Fall 5:26
2. No More Lies 5:07
3. God Of Temptation 5:27
4. Firesign 5:18
5. Always Just You 6:02
6. Close To Crazy 3:30
7. The Wishing Well 5:47
8. Edens Fall 4:30
9. Redeemer 4:54
10. Super Distortion 1:03
11. Killer Instinct 5:52
12. Never Forget 5:40

Ghost Iris – Blind World

Un lavoro riuscito solo in parte ed apprezzabile solo per i fans accaniti del genere, tutti gli altri ci si avvicinino con le precauzioni del caso.

Con un altra proposta che si inserisce nel metallo progressivo moderno, i danesi Ghost Iris tornano con un album che non cambia le carte in tavola, specialmente se si guarda al passato e a quello proposto con il debutto licenziato un paio di anni fa (Anecdotes of Science and Soul): un metalcore dai caratteri progressivi, meno cervellotico dei Meshuggah e molto melodico, con l’utilizzo della classica voce pulita in contrasto allo scream/growl.

Ottimo l’uso dei cori e davvero super la sezione ritmica, che pennella potentissime ritmiche dai rimandi post metal e prog, mentre sfuriate core ed atmosfere più rilassate fanno da cornice ad un sound che di originale ormai ha poco e che, a tratti, risulta freddino.
Tesseract è il nome che si può accostare senza indugi al quartetto danese, che non ne vuole sapere di partiture semplici e cerca in tutti i modi di stupire, talvolta riuscendoci, altre volte inciampando in un intricato songwriting, costruito esclusivamente per mera ambizione tecnica.
E’ questo il più grosso difetto di questo Blind World: se non si è amanti di questi suoni si finisce per passare oltre, confusi dalla marea di note che, perfette a livello tecnico, lasciano per strada qualcosa sotto l’aspetto dell’appeal: un genere non facile e che, ultimamente, risulta inflazionato porta l’ascoltatore verso altri lidi, con la pienezza spesso disturbante dei Ghost Iris che si salvano in zona Cesarini (calcisticamente parlando) con le buone The Flower Of Life e Time Will Tell.
Un lavoro riuscito solo in parte ed apprezzabile solo per i fans accaniti del genere, tutti gli altri ci si avvicinino con le precauzioni del caso.

TRACKLIST
01. Gods Of Neglect
02. Save Yourself
03. The Flower Of Life
04. Pinnacle
05. No Way Out
06. Blind World
07. Time Will Tell
08. The Silhouette
09. After The Sun Sets
10. Detached

LINE-UP
Nicklas – Guitar, Bass
Peter – Guitar, Bass
Jesper – Vocals
Sebastian – Drums

GHOST IRIS – Facebook

TETHRA

Like Crows For The Earth è stato decisamente uno dei migliori lavori usciti in assoluto in questi primi due mesi del nuovo anno: ne sono autori i Tethra, band del nord ovest italico guidata oggi da Clode, il solo musicista rimasto nella band rispetto alla formazione che diede alle stampe l’album d’esordio quattro anni fa.
Gli abbiamo posto così alcune domande per cercare di sapere qualcosa di più sulla genesi del nuovo disco e su altri argomenti riguardanti lo stato di salute del metal nel nostro paese.

MetalEyes: Like Crows For The Earth è il vostro secondo album, a quattro anni di distanza da Drown Into The Sea Of Life e con una line-up completamente rivoluzionata rispetto ad allora: oltre alle facce, cosa è cambiato nei Tethra in questo lasso di tempo?

Sicuramente è cambiato l’approccio a livello umano, anche se la vita può assestare duri colpi la band reagisce ora come una famiglia, infatti parliamo spesso delle nostra quotidianità e cerchiamo di aiutarci l’uno con l’altro. La musica ha subito lo stesso cambiamento perché in fase compositiva tutti danno il massimo, aggiungendo elementi personali che vanno ad arricchire il sound della band.

ME L’ascolto di Like Crowns For The Earth mi ha lasciato sensazioni diverse rispetto al suo predecessore, che era senz’altro un bellissimo lavoro, ma questo mi sembra ancora più maturo, completo e soprattutto vario. L’impressione è quella che abbiate voluto esplorare diverse sfaccettature del doom, dal gothic al classico fino a quello dalle venature death, sei d’accordo?

Certamente, abbiamo passato un periodo difficile perché ci hanno lasciato persone a noi molto care e questa cosa, oltre ad averci unito umanamente, ha portato il nostro sound ad essere più intimista e riflessivo senza dover essere a tutti i costi più accessibile. Infatti, non ci siamo fatti troppi problemi sul fatto che la nostra musica stava cambiando perché a livello umano stavamo facendo la stessa cosa e perché, personalmente, ritengo assolutamente normale che il nuovo lavoro differisca da quello vecchio in qualche modo. Io la vedo un po’ come un viaggio: c’è sicuramente qualcosa che non va se spostandoti continui a vedere sempre lo stesso panorama, no?

ME Ho notato che hai cercato di variare ulteriormente anche il tuo range vocale, inserendo anche delle parti in screaming. In general quali sono i cantanti che ti ispirano maggiormente?

Io nasco come screamer e solo successivamente arrivo a cantare anche in pulito e growl, nei Tethra questa caratteristica era stata messa un po’ da parte in favore di un approccio più cupo ma in questo nuovo lavoro ci sono state un paio di occasioni in cui questo particolare tipo di voce era la cosa giusta da fare, ai miei compagni la cosa è piaciuta molto quindi ho deciso di tornare alle mie origini con grande piacere. Più che farmi ispirare da una voce quello che mi colpisce di più di un’artista è il suo modo di stare sul palco, prediligo quei cantanti che vivono in modo intenso i loro brani e che hanno un approccio introspettivo e passionale con questo importante aspetto dell’essere musicista. Nel metal non posso non ricordare Aaron Stainthorpe dei My Dying Bride e Fernando Ribeiro dei Moonspell, mentre sono sempre rimasto affascinato dalla teatralità e dal linguaggio del corpo di Piero Pelù dei Litfiba, di Bjork, di Dave Gahan dei Depeche Mode e di Edith Piaf.

ME A livello lirico anche il nuovo album ha un suo filo conduttore, come accadeva con Drown Into The Sea Of Life dove il tratto comune era l’elemento acquatico?

Come ho già avuto modo di dire è stato un anno molto duro nel quale ci hanno lasciato persone a noi molto care, inevitabilmente buona parte delle liriche del nuovo album girano attorno a tematiche come il senso di perdita e abbandono ma, come ormai sa chi ci segue fin dall’inizio, siamo persone tutt’altro che depresse e infatti queste canzoni nascondono sempre un messaggio positivo, se si ha la voglia di cercare oltre la superficie. L’intro dell’album racchiude un po’ la filosofia che ci accompagna durante gli ultimi tempi: la resilienza … che, per dirla in modo semplicistico, è la capacità di una persona (ma anche di un materiale) di far fronte ad un trauma in maniera positiva adattandosi alla situazione senza “spezzarsi”. In questo nuovo lavoro c’è spazio anche per una tematica ecologica che mi è sempre stata a cuore ma che non ho avuto mai la possibilità di trattare: infatti, i “Corvi per la Terra” sono gli esseri umani che, proprio come fanno questi uccelli, depredano il suolo e le specie che ci vivono fino a quando non è rimasto nulla da sfruttare. La nostra speranza è che si possa arrivare a prendere coscienza del problema, tentando di invertire la rotta di marcia che ci sta portando inesorabilmente vicini ad una catastrofe di massa.

ME Dei ragazzi che fanno parte dei Tethra oggi non è che si sappia molto, ci puoi raccontare qualcosa di loro, come sono entrati a far parte della band e quale è stato il loro contributo a livello compositivo?

Dopo la fuoriuscita di buona parte dei membri della prima line up della band ho cercato di trovare dei musicisti che avessero, grossomodo, le stesse qualità che hanno reso il suono dei Tethra così caratteristico, dovevano avere oltre ad una buona tecnica anche la voglia di sperimentare in un genere a loro quasi sconosciuto. Infatti, anche se tutti i nuovi membri della band amano le sonorità Death/Doom dai primi anni novanta fino ad oggi, nessuno di loro si era mai cimentato con questo genere. È un po’ come se stessimo creando ed idealizzando il Doom perfetto per noi, mai troppo lento e monotono, con le chitarre tipiche di un certo Death Metal e la voce che spazia fino al Gothic. Tutti noi, arriviamo di base dal Death, anche se c’è chi ha suonato Brutal, Depressive Black e persino Epic: tutte queste differenze non fanno altro che rafforzare il sound della band apportando delle continue migliorie, pur rimanendo coerenti con il nostro passato. La composizione dei brani nasce sempre dal un riff di chitarra dove poi ogni elemento è libero di inserire le parti che ritiene più appropriate al momento, a volte un brano nasce in modo spontaneo e risulta già praticamente perfetto fin dall’inizio, mentre altre volte abbiamo bisogno di più tempo per poter avere il risultato che cerchiamo, ma il tutto procede sempre con lo stesso aplomb che potrebbero avere vecchi amici e compagni di bevute.

ME Chi ama il doom non può fare a meno di sentirsi una specie di alieno in una società come quella che ci circonda , così sbilanciata verso tutto ciò che è effimero e di immediata fruibilità, ovviamente in antitesi rispetto ad un genere musicale che fa della profondità il suo punto di forza. Secondo te siamo una specie inesorabilmente in via d’estinzione?

Certo, il Doom non è un genere per molti, visto le sue tematiche che ti obbligano a guardarti dentro ed alla sua musica che sembra creata apposta per questo scopo, con i suoi momenti di grande introspezione, ma secondo me siamo arrivati ad una fase di grande cambiamento non solo per questo particolare genere ma per tutto il Metal. Complice la grande espansione di internet, siamo ormai troppo abituati ad ascoltare ottima musica in modo così facile che abbiamo dimenticato che, una volta, quello che ci faceva amare questo genere era la sua aura di mistero, quando per avere un cd dovevi magari prendere il treno ed andare nella città più vicina e, nel momento in cui arrivava il momento di ascoltare l’album ti approcciavi alla cosa con un rituale quasi religioso, fatto di oscurità, cuffie e stereo e al massimo qualcosa di giusto da bere. Ora ci sono una marea di ottimi gruppi che rilasciano album competitivi, girando video tutto sommato professionali e suonando in giro con regolarità. Una volta a questi tre step ci arrivavi dopo anni di gavetta ed arrivarci voleva dire che la band aveva raggiunto il successo, da qualche anno a questa parte c’è confusione in questo campo e in questo modo si perdono nel marasma di gruppi nella media anche quelli veramente ottimi, e questo è un peccato. Aggiungici poi il problema dei live in Italia, e le poche persone che sembrano dare ancora il giusto peso a questo rituale di aggregazione, ed avrai il quadro completo di una situazione che sta peggiorando di anno in anno e che, se non cambierà nulla, porterà il metal ad una crisi mai vista o più probabilmente ad un’inaspettata trasformazione.

ME Se i Germania primi in classifica sono i Kreator e qui da noi nomi che neppure voglio citare, è solo “colpa di Sanremo” oppure c’è qualcosa da rivedere in profondità a livello di cultura musicale nel nostro paese?

Per come la vedo io ognuno di noi è libero di ascoltare quello che vuole, il metal più di altri stili musicali è un genere elitario perché chi lo ascolta ha attraversato (o almeno dovrebbe averlo fatto) una fase della sua vita di solito particolarmente triste, dove alla fine si ha una specie di epifania che porta ad una maggiore introspezione e ad una più profonda conoscenza di sé. Ovviamente non succede a tutti e c’è chi ascolta questo genere per passare il tempo o per darsi la carica e, ovviamente, va benissimo così. Questo genere musicale non sarà mai mainstream fino a quando sarà più semplice spegnere il cervello davanti alle brutture della vita, magari facendosi aiutare dalla canzonetta del momento al posto di fronteggiare realmente i problemi di tutti i giorni e i nostri fantasmi; sarebbe comodo dare la colpa a Sanremo o alla chiesa ma purtroppo non è così, è una questione che ognuno deve risolvere da sé e che, per qualcuno, porta sulla nostra stessa strada musicale.

ME A proposito di thrash tedesco, in questi giorni è esplosa la querelle sui Destruction, relativa al loro comportamento poco elegante più consono a capricciose rockstar del pop piuttosto che a truci e sporchi metallari come vorrebbero apparire. Al di là dell’episodio specifico, l’attenzione di promoter e locali italiani nei confronti di chi suona è davvero mediamente inferiore rispetto a quanto avviene all’estero, oppure si tratta di un pregiudizio nei confronti di una nazione che purtroppo, in campo metal, non è mai riuscita ad avere un ruolo rilevante come altre, anche per tutti i motivi di cui abbiamo parlato prima?

Credo che non sapremo mai la verità sul “caso Destruction” perché avremmo dovuto essere fisicamente sul posto quella sera per poter giudicare ma, per esperienza personale, posso dire che da una parte le band a volte hanno delle pretese che esulano in modo eccessivo dal lato prettamente musicale, mentre dall’altro alcuni locali, pur avendo tutto l’impianto che serve per far suonare una band di medio livello, sono inseriti in un contesto che storicamente non è nato per far musica e immagino che questo possa far storcere il naso a chi della musica fa il proprio mestiere e ha bisogno di certe condizioni per poter suonare uno show degno del proprio nome. In Italia ci sono promoter e locali assolutamente all’altezza di quelli esteri, ovviamente, ma come in tutte le cose si trova sempre qualcuno senza troppi scrupoli che cerca di tagliare su qualcosa per aumentare la propria fetta di guadagno, per fortuna sono la minoranza.

ME Un musicista che si dedica ad un genere di nicchia come il doom, quali aspettative ha, realisticamente, dopo la realizzazione di un disco di grande valore come Like Crows For The Earth?

Ti ringrazio per le belle parole, noi siamo tutte persone con i piedi per terra e sappiamo che il genere che proponiamo non arriverà mai al grande pubblico e che è un periodo davvero pessimo per la musica underground. Procediamo a piccoli passi, rilasceremo quante più interviste possibili e cercheremo di suonare dove ancora non siamo stati per portare la nostra musica a chi ancora non l’ha sentita; l’album è appena uscito e fino ad ora le reazione di critica e pubblico sono state unanimemente entusiastiche quindi, realisticamente parlando, cercheremo di bissare e se possibile superare il successo del precedente album.

ME La serata dedicata alla presentazione del nuovo album , in quel di Cassano d’Adda, è stata pressoché perfetta, a parte i problemi che hanno parzialmente inficiato la prestazione degli Abyssian, non per loro colpa. Questo è solo l’inizio di una serie di concerti per i Tethra?

In questo momento la nostra booking agency, la Red Mist, è all’opera per trovarci il maggior numero di date possibili sui palchi di tutta Europa più adatti a noi. Come dicevo prima, tutti i giorni nascono gruppi eccellenti che vogliono suonare live ed ogni giorno in Europa chiude qualche locale dedicato alla nostra musica. Il risultato è che è sempre più difficile, persino rispetto ad un paio di anni fa, trovare il posto adatto per suonare, se poi aggiungiamo che le persone preferiscono vedersi un video su Youtube piuttosto che uscire ed andare ad un concerto capirai quanto la situazione sia drammatica.

ME Per chiudere, ci saranno da attendere ancora diversi anni prima di ascoltare un nuovo album dei Tethra, oppure questo nuovo corso darà i suoi frutti anche a livelli di fertilità compositiva?

Mai dire mai, solo il tempo potrà rispondere a questa domanda, certo con questa line up ci sono tutti i presupposti tecnici ed umani per avere quella stabilità che abbiamo sempre cercato. Posso dire che per un po’ ci concentreremo nel trovare sempre nuovi modi affinché  la nostra musica possa raggiungere il maggior numero di fan del Doom, del Death e del Gothic Metal; poi, come abbiamo fatto per questo disco, raggiungeremo il nostro eremo montano per comporre il successore di Like Crows for the Earth. Aspettatevi di vederci spesso in giro durante il prossimo periodo e fino ad allora abbiate cura di voi stessi.

Bathsheba – Servus

“Open your eyes,open your mind”un gioiello di heavy,dark doom da una giovane realta’che promette meraviglie.

Un grande, atteso, esordio quello dei Bathsheba, quartetto dedito a un evocativo, atmosferico effluvio di arte doom.

Nati nel 2014 e già autori di un demo e di un EP (Sleepless Gods), i belgi arrivano sulla magnifica Svart Records a questo opus di spettrale heavy doom: i testi si immergono in storie di occultismo e il loro suono è imbevuto di pura arte doom con un suono denso, avvolgente, lento, spirituale già a partire dall’opening Conjuration of Fire, che scalda gli animi preparandoci a ulteriori meraviglie; queste immediatamente emergono dal secondo brano Ain Soph dove un inizio dalle forti tinte black si sfibra in un arcigno heavy doom accompagnato dalla voce di Michelle Nocon, vocalist anche nei Death Penalty di Gaz Jennings, chitarra dei mai dimenticati Cathedral, che intona litanie sinistre modulando le sue vocal su toni ora aspri ora soavi, e la presenza di un sax accresce e arricchisce l’atmosfera opprimente creata dalle chitarre per un brano notevole da ascoltare a lungo.
Le altre quattro tracce sono ricche di sfumature, sempre rimanendo all’interno della musica del “destino”, con la ammaliante voce di Michelle che può ricordare Jex Thoth, altra grande female vocalist, e il suono oscuro, mastodontico, ricco delle chitarre che si librano in assoli misurati ed evocativi.
Un’atmosfera cupa, ben resa dalla ottima produzione, penetra profondamente nelle ossa regalandoci tre quarti d’ora di intenso piacere che porta assuefazione e ci induce a continui assaggi: la final track dal suggestivo titolo I, at the end of everything, con i suoi aromi darkwave, suggella infine una grande opera da un band che promette ulteriori meraviglie.

TRACKLIST
1. Conjuration of Fire
2. Ain Soph
3. Manifest
4. Demon 13
5. The Sleepless Gods
6. I at the End of Everything

LINE-UP
Raf Meuken Bass
Jelle Stevens Drums
Dwight Goosens Guitars
Michelle Nocon Vocals

BATHSHEBA – Facebook

Cripta Oculta – Lost Memories

Lost Memories è un viaggio dentro un passato che riposa dentro di noi e che non aspetta altro che risvegliarsi, ed è anche un ottimo disco di black metal selvaggio e fatto con passione.

Tornano con il loro quarto album i portoghesi Cripta Oculta, uno dei gruppi principali della scena black metal portoghese. Il duo pubblica, con la label di riferimento portoghese Signal Rex, un altro grande disco di black metal classico, intriso di misticismo e di ricerca di qualcosa che va molto oltre gli schemi di questa società.

Il Portogallo è una terra antica ed inquieta, che da moltissimo tempo vive di inquietudine e di uno strano modo di sentire le cose, che ha portato il suo popolo a sviluppare una sensibilità molto particolare, con uno sguardo melanconico verso la vita. Tutto ciò si è spesso tradotto in svariati capolavori nelle più disparate discipline, e Lost Memories si inserisce a pieno titolo in questa casistica. I Cripta Oculta sono difensori e diffusori delle tradizioni lusitane, e in questo disco ci conducono per antichi sentieri grazie al loro black metal selvaggio, lo fi e classicheggiante, di grande impatto. Qui la musica è un mezzo per comunicare empaticamente qualcosa che non potrebbe essere comunicato qualcosa, e chi apprezza il black metal conosce benissimo questo processo. La narrazione ci porta in boschi, sentieri e nel cuore del Portogallo, e il black metal dei Cripta Oculta ci fa vedere cose celate allo sguardo dell’uomo moderno. Si torna indietro in un’esperienza davvero coinvolgente, grazie ad un gruppo assolutamente fuori dal comune per capacità di comunicare e per la sua potenza di fuoco. Si cambia spesso registro in questo disco, passando da cavalcate black metal a momenti di dark ambient con strumenti tradizionali lusitani, andando a ricercare un passato che non è solo nostalgia, ma riproposizione di una tradizione che era e che ora non è più. Lost Memories è un viaggio dentro un passato che riposa dentro di noi e che non aspetta altro che risvegliarsi, ed è anche un ottimo disco di black metal selvaggio e fatto con passione.

TRACKLIST
1.Mistérios do Sangue
2.Uma Noite de Trevas
3.Para o reavivar das Tradições
4.Batalha Nocturna
5.A Dança do Fado Negro
6.A Mão de Ferro que Esmaga Sião

SIGNAL REX – Facebook

New Disorder – Deception

Se vi siete persi Straight To Pain due anni fa, la Agoge Records vi dà modo di rimediare e conoscere questa ottima band: non mancate all’appuntamento con i New Disorder.

Dopo il successo di Straight To Pain, primo full length uscito un paio di anni fa, tornano i romani New Disorder con questo nuovo lavoro, che poi tanto nuovo non è visto che presenta due brani inediti (Deception e Curtain Call) più otto brani scelti dal precedente lavoro totalmente remixati e rimasterizzati per l’occasione.

Ma andiamo con ordine, perché la band che tanto aveva impressionato con Straight To Pain non ha tradito le attese, avendo la possibilità di suonare in giro per l’Europa e girare uno spot per la Coca Cola Zero.
Partiranno in tour affiancando i Pain in Aprile in Lituania, Estonia e Lettonia, portando il loro alternative metal nei paesi dell’est, territori calcati anche nel precedente tour.
Il primo album è ormai introvabile, il buon successo e l’esigenza di avere un nuovo prodotto sul mercato hanno portato il gruppo a questa scelta, dunque Deception risulta un singolo allargato, con i brani del disco precedente che fanno bella mostra di loro in una veste relativamente nuova, accompagnando le due canzoni nuove di zecca.
Come già espresso all’epoca dell’uscita di Straight To Pain, la musica del gruppo è un’alternative metal molto maturo, in cui vivono personalità all’apparenza distanti ma amalgamate in un unico sound che sposa metal core, grunge, nu metal ed un’anima progressiva che aleggia sui brani, permettendo al lavoro ritmico e chitarristico di avere una marcia in più.
Aggiungete poi un cantante strabiliante per varietà di interpretazione e intuito nel saper scegliere il tono giusto per ogni sfumatura ed atmosfera creata dalla musica, ed il gioco è fatto.
Il tappeto di suoni new wave del nuovo singolo aprono l’album, mentre il brano si trasforma in una moderna song estrema con tanto di growl, e ripartenze velocissime verso lidi metallici.
I brani che avevano valorizzato Straight To Pain ci sono tutti, quindi la violenza ritmica dal tocco prog di Love Kills Away, il metalcore feroce di Never Too Late to Die e la bellezza di The Beholder sono tutte qui, con gran parte delle altre tracce e con Curtain Call che conferma le doti di questi musicisti, alle prese con un brano che non stonerebbe in uno degli ultimi lavori dei Dream Theater.
Se vi siete persi Straight To Pain due anni fa, la Agoge Records vi dà modo di rimediare e conoscere questa ottima band: non mancate all’appuntamento con i New Disorder.

TRACKLIST
01. Deception
02. Love Kills Anyway
03. Straight to the Pain (feat. Eleonora Buono)
04. Curtain Call
05. Never Too Late to Die
06. What’s Your Aim (Call It Insanity)
07. Judgement Day
08. The Beholder
09. Lost in London
10. A Senseless Tragedy (Bloodstreams)

LINE-UP
Francesco Lattes – vocals
Alessandro Cavalli – guitar
Andrea Augeri – guitar
Ivano Adamo – bass/vocals
Luca Mancini – drums

NEW DISORDER – Facebook

Overkill – The Grinding Wheel

Gli Overkill aggiungono il loro marchio a questo gradito ed inatteso ritorno del thrash metal al posto che gli compete nelle gerarchie dei generi metallici, con un lavoro completo, curato ed esaltante.

Mancavano gli Overkill per confermare il ritorno in pompa magna ed in piena salute del thrash metal sul mercato metallico mondiale, ormai un dato di fatto in questo anno solare che ha visto, oltre a molte piacevoli sorprese sbucate dalle varie scene in giro per il mondo, l’altissima qualità delle proposte dateci in pasto dai gruppi storici, dai Testament ai Sodom, dai Death Angel ai Kreator , passando per le opere almeno dignitose di Metallica e Megadeth.

Uno dei generi storici del metal in piena ripresa non può che far piacere a chi ha nel cuore le sorti della parte più classica della nostra musica preferita, che non può sicuramente prescindere dal gruppo statunitense capitanato dalla coppia Bobby “Blitz” Ellsworth / D.D.Verni.
Una line up stabile da almeno dieci anni, sommata alla forma strepitosa dei due vecchietti terribili, contribuisce alla riuscita di The Grinding Wheel, diciottesimo e bellissimo lavoro che conferma come detto non solo lo stato di grazia del gruppo, ma di tutto un movimento.
Con un’attitudine punk che in questo lavoro esplode in tutto il suo impatto, a tratti lasciando senza fiato, l’album è fresco, assolutamente privo di riempitivi, una valanga di note, uno tsunami thrash metal che si abbatte per finire l’opera di distruzione che gli altri colleghi avevano iniziato con i propri lavori, arrivando in questo inizio 2017 a raggiungere livelli che nel genere non si ricordavano da tempo.
In effetti la band newyorkese nella sua lunga carriera ha sempre mantenuto un buon livello, con picchi clamorosi e un paio di cadute fisiologiche per un gruppo arrivato alla soglia dei quarant’anni di attività, anche se negli ultimi tempi il livello delle uscite si era stabilizzato su ottimi livelli.
L’album vive di brani irresistibili, botte di adrenalina che prendono per il collo, o come morse schiacciano testicoli, con Ellsworth in grazia divina ed una coppia di chitarristi sugli scudi (Dave Linsk e Derek “The Skull”Tailer).
The Grinding Wheel è una raccolta di canzoni che prende le melodie dal classic metal, l’irruenza dal punk e la potenza dello speed/power e crea un thrash album da antologia, prodotto benissimo, mixato alla grande dal guru Andy Sneap e valorizzato da un songwriting molto vario, che non stanca mai l’ascoltatore passando tra le sfumature dei vari generi indicati con una facilità disarmante.
Our Finest Hour, le fiammate che odorano di punk’& roll di Goddamn Trouble e Let’s All Go To Hades, le ottime The Long Road, Come Heavy e Red White And Blue, ma potrei citarvele tutte mentre l’album arriva alla fine e la sensazione di essere al cospetto di un grande album aumenta col passare degli ascolti.
Gli Overkill aggiungono il loro marchio a questo gradito ed inatteso ritorno del thrash metal al posto che gli compete nelle gerarchie dei generi metallici con un lavoro completo, curato ed esaltante, in una parola … imperdibile.

TRACKLIST
1.Mean, Green, Killing Machine
2.Goddamn Trouble
3.Our Finest Hour
4.Shine On
5.The Long Road
6.Let’s All Go to Hades
7.Come Heavy
8.Red White and Blue
9.The Wheel
10.The Grinding Wheel

LINE-UP
Bobby “Blitz” Ellsworth – Vocals
Dave Linsk – Guitars
Derek”The Skull”tailer – Guitars
D.D.Verni – Bass
Ron Lipnicki – Drums

OVERKILL – Facebook

Until Death Overtakes Me – Antemortem

Le atmosfere che troviamo in Antemortem sono plumbee ma non soffocanti e anche i momenti più vicini all’ambient mantengono un incedere più dolente che apocalittico, confacendosi al tema di fondo trattato nel lavoro.

Until Death Overtakes Me è uno dei diversi progetti che vede protagonista il musicista belga Stijn Van Cauter, e tra questi e senz’altro il più aderente alle coordinate tipiche del funeral doom.

Le atmosfere che troviamo in Antemortem sono plumbee ma non soffocanti e anche i momenti più vicini all’ambient mantengono un incedere più dolente che apocalittico, confacendosi al tema di fondo trattato nel lavoro, che mette sempre in primo piano la morte ma, questa volta, non tanto come una mostruosità incombente bensì quale naturale approdo di un percorso che conduce ad una sorta di accettazione della sua ineluttabilità.
Van Cauter, per descrivere questo, utilizza due tracce risalenti allo scorso decennio (Antemortem e Days Without Hope) e due di produzione di poco precedente all’uscita dell’album: Antemortem non risente del possibile stacco stilistico derivante dal logico evolversi del musicista belga a livello compositivo ma anzi, lo rende un punto di forza che consente all’ascoltatore di entrare maggiormente in simbiosi con l’autore ed il suo approccio alla materia.
I ventiquattro minuti di Before e gli undici di di Days Without Hope sono fondamentalmente complentari, con il loro penoso incedere, laddove sonorità avvolgenti vengono percosse dai regolari e violenti spasmi provocati dall’unisono e bradicardico palesarsi di riff e percussioni.
The Wait, altra traccia che supera i venti minuti, rappresenta con il suo crescendo il picco dello stato emotivo, evocando la tensione spasmodica che precede una consapevole rassegnazione, ben rappresentata dalla conclusiva Inevitability, nella quale le strutture tratteggiano atmosfere solennemente consolatorie.
Arrivato a sette anni di distanza dal precedente full length, sesto ed ultimo di una prima fase di carriera molto prolifica per il progetto Until Death Overtakes Me, e inframmezzato da una serie di singoli (poi raccolti nella compilation Well Of Dreams, risalente alla primavera scorsa), Antemortem è il lavoro che suggella il valore assoluto della creatura di Stijn Van Cauter, solitario cantore di quelle sensazioni che solo chi suona funeral doom ha il coraggio di affrontare ed esibire senza alcuna ritrosia.

Tracklist:
1.Before
2.Days Without Hope
3.The Wait
4.Inevitability

Line-up:
Stijn Van Cauter

UNTIL DEATH OVERTAKES ME – Facebook

Animae Silentes – Suffocated

Arriva il disco d’esordio per gli Animae Silentes, band che nasce da cinque musicisti non proprio sconosciuti, ma che ci faranno scoprire la loro idea di dark-goth metal. Un album completo e ben fatto.

Gli Animae Silentes sono una band di recente formazione ma i cui componenti hanno già alle spalle una notevole gavetta.

Per farla breve e conoscerli meglio: il cantante Alessandro Ramon Sonato, già parte dei Chrome Steel (Judas Priest Tribute) e Bad Sisters, oltre a essere ex Hollow Haze e Crying Steel, e il bassista Tomas Valentini, che molti conosceranno come membro degli Skanners, danno il “la” a questo nuovo progetto, avendo ben chiare le idee in merito a stile e genere nel giugno del 2015.
Come se non bastassero le menti geniali, ecco arrivare il chitarrista Giovanni Scardoni (Chrome Steel, ex Ground Control) e Riccardo Menini (Dirty Fingers); infine, il batterista Cristian Bonamini (Alcstones, Romero).
Tutta questa esperienza accumulata e il talento naturale vengono condensati nel loro disco d’esordio Suffocated, un lavoro pulito e intenso, ma anche a tratti cupo e dark.
Il tutto inizia con la classica breve Intro che include un temporale, con tanto di corvi e una bella chitarra a farla da padrona; Burning in Silence è il vero punto di partenza, uno dei pezzi più melodici e piacevoli, seguono Purgatorium ed Eville, le quali insieme a Madman Town, mostrano la parte un po’ più rock degli Animae Silentes.
L’aspetto più dark lo incontriamo in Nothing Else to Remind (molto intensa) e Illusion, al limite del gothic di qualche tempo fa, che mi hanno ricordato gli Amorphis dell’album Tuonela; Save, Desperation Road e Lost in My Soul riprendono note più orecchiabili, ma senza mai cadere nella banalità; per concludere, troviamo Suffocated che, paradossalmente, è quella che mi è piaciuta un po’ meno.
Uno dei punti di forza degli Animae Silentes è la bravura di Rock Ramon al microfono, il quale riesce ad interpretare con scioltezza qualsiasi stile senza perdersi e senza risultare eccessivo, cosa che può tranquillamente accadere se spingi troppo con lo screaming o il growling, e naturalmente anche gli altri non sono da meno.
Insomma, Suffocated è un disco da avere perché suonato da chi la musica la sa fare e ci mette davvero il cuore.
Potrebbe non piacere a tutti il genere in questione, ma è indubbio il fatto che si tratti di un esordio con i fiocchi.

TRACKLIST
1 Intro
2 Burning In Silence
3 Purgatorium
4 Eville
5 Nothing Else To Remind
6 Illusion
7 Save Me
8 Desperation Road
9 Madman Town
10 Lost In My Soul
11 Suffocated

LINE-UP
Rock Ramon – voice
Tomas Valentini – Bass guitar
Riccardo Menini – Guitar
Giovanni Scardoni – Guitar
Cristian Bonamini – Drum

ANIMAE SILENTES – Facebook

Electric Age – Sleep Of The Silent King

Dalla Lousiana arriva un disco di musica che solo nel sud degli States fanno in una certa maniera, tra paludi e polvere di tombe di antiche famiglie maledette.

Dalla Lousiana arriva un disco di musica che sono nel sud degli States fanno in una certa maniera, tra paludi e polvere di tombe di antiche famiglie maledette.

Gli Electric Age provengono dalla Louisiana, si sono formati nel 2013 e tutti hanno un passato in gruppi locali. Il loro suono è un doom metal fortemente contaminato dal southern, ovvero una forte impronta di quel tipo di composizione pesante ma allo stesso tempo ariosa che viene da lontano. Fin dalla seconda canzone Shepherd And Raven si può degustare questo suono fatto di solidità e melodia, con la voce che detta i tempi, chitarre non troppo distorte e che compiono sinuosità comprensibili e notevoli senza eccedere, e una sezione ritmica che non passa mai in primo piano, ma che è un fondamentale collante. Nelle canzoni degli Electric Age possiamo ritrovare un antico retrogusto doom, che si spinge quasi nel proto doom, un qualcosa di molto vicino al southern. Gli anni ottanta soprattutto, ed in minor misura gli anni settanta, trasudano da questo disco ma non è un suono derivativo, perché è una rielaborazione originale. I tempi sono dilatati ma non troppo, e tutto trova spazio, perfino tastiere suonate in maniera intelligente. Il risultato complessivo è davvero buono, le canzoni sono composte molto bene e il disco fila via fluido. Nell’avanzare del disco si può leggere una storia, quella di un viaggio nel tempo e nella conoscenza, fra tenebre e divinità, con sullo sfondo morte e redenzione. Tutte queste cose non sono novità ma non è facile raccontarle in una certa maniera, e soprattutto la musica è davvero di alto livello, con un gusto davvero unico.

TRACKLIST
1.The Threshold
2.Shepherd And The Raven
3.Robes Of Grey
4.Cold Witch
5.Priestess Pt.1
6.Black Galleons
7.Sleep Of Winter
8.Silent King
9.Elders
10.Priestess Pt. 2
11.Electric Age
12.The Dreaming

LINE-UP
Shawn Tucker – Lead Vocals,Guitar,Bass
J. Ogle – Guitar,Bass,Vocals
Kelly Davis – Drums,Vocals

ELECTRIC AGE – Facebook

Double Experience – Unsaved Progress

Un album che cresce con gli ascolti e ci presenta una band potenzialmente da botto commerciale, tanto è il talento melodico unito alla durezza del metal/rock

Dopo alcuni passaggi in più mi sono convinto che questi tre canadesi non sono affatto male.

Trattasi della rock band dei Double Experience formata dal cantante Ian Nichols, il bassista e chitarrista Brock Tinsley e alle pelli Dafydd Cartwright, un trio niente male che ha dato i natali a questo lavoro, intitolato Unsaved Progress, illuminato da un appeal da primi posti nella classifiche di tutto il mondo, unito alla potenza del groove ed una passione per il metal rock che ne fa un piccolo spettacolo pirotecnico di suoni rock che non mancano di stupire.
Dicevo che mi ci sono voluti alcuni passaggi in più per inquadrare la proposta del trio di Ottawa, proprio perché ad un primo ascolto non si capisce se questi ci sono o ci fanno.
Melodie alternative, un cantato ruffiano che rimane tale anche nei brani più tirati, e tanto hard & heavy che arriva piano ma che, quando esplode, diventa il genere preponderante nel sound dei Double Experience, sempre sostenuto da ritmiche da groove metal band, solos metallici o all’occorrenza solcati da un’attitudine modern hard rock e la voce del singer che, nel suo essere apparentemente dai toni commerciali, smuove montagne ricco com’è di talento melodico.
Una raccolta di hit che vi farà balzare dalla sedia sempre più in alto ad ogni passaggio, anche grazie alla performance chitarristica del buon Tinsley, una macchina da guerra melodica negli assoli e una potenza nei riff di scuola hard rock.
Un album che cresce con gli ascolti e ci presenta una band potenzialmente da botto commerciale, tanto è il talento melodico unito alla durezza del metal/rock: fatevi rapire dal sound dei Double Experience che ipnotizza e colpisce quando meno ve lo aspettate come un serpente di not; la miccia si accende, ci mette quel tanto che basta e quando esplode non c’è scampo.

TRACKLIST
1.So Fine
2.AAA
3.The Glimmer Shot
4.See You Soon
5.Impasse
6.Exposure Exposure
7.Death of Lucidity
8.Godzilla” (Blue Oyster Cult cover)
9.Weakened Warriors

LINE-UP
Ian Nichols – vocals, lyrics
Brock Tinsley – guitars, bass, lyrics
Dafydd Cartwright – drums

DOUBLE EXPERIENCE – Facebook

BATTLE BEAST

Il video di Bringer Of Pain, tratto dall’album omonimo.

Il video di Bringer Of Pain, tratto dall’album omonimo.

I finlandesi BATTLE BEAST hanno pubblicato il loro quarto album in studio “Bringer Of Pain” lo scorso venerdì su Nuclear Blast sia in CD e LP che in digitale.
Oggi la band svela il nuovo video realizzato da Dark Noise Productions (www.darknoiseproductions.com)

Bringer Of Pain – Tracklisting:

01. Straight To The Heart
02. Bringer Of Pain
03. King For A Day
04. Beyond The Burning Skies
05. Familiar Hell
06. Lost In Wars (feat. Tomi Joutsen)
07. Bastard Son Of Odin
08. We Will Fight
09. Dancing With The Beast
10. Far From Heaven

Bonus (DIGI / 2LP)
11. God Of War
12. The Eclipse
13. Rock Trash

Registrate e prodotte ai JKB Studios dal tastierista Janne Björkroth, le dieci canzoni del disco sono state mixate da lui in collaborazione con Viktor Gullichsen e Mikko Karmila, mentre della masterizzazione si è occupato Mika Jussila ai Finnvox Studios. La copertina è stata creata da Jan Yrlund. “Bringer Of Pain” è il primo lavoro che i BATTLE BEAST registrano con il chitarrista Joona Björkroth.

Dal 2 marzo la band finlandese sarà in tour in Europa con MAJESTY e GYZE: appuntamento l’8 marzo al Circolo Colony di Brescia.

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