Et Moriemur – Ex Nihilo in Nihilum

Ristampa in vinile, a cura della Minotauro Records, di questo splendido album dei cechi Et Moriemur, risalente al 2014.

Con il loro secondo album, uscito nel 2014, i cechi Et Moriemur si sono dimostrati una tra le più interessanti realtà europee in ambito gothic-death doom; la riedizione dell’opera in vinile, curata dalla storica label italiana Minotauro Records, ci fornisce l’occasione per riproporre la recensione scritta a suo tempo per In Your Eyes.

Sea Of Trees, traccia inaugurale di Ex Nihilo in Nihilum, mostra subito di che (buona) pasta sono fatti i nostri, trattandosi di un brano che si avvale di un refrain piuttosto orecchiabile e che, per certi versi, potrebbe rivelarsi fuorviante in quanto il resto del disco, pur restando sempre piuttosto godibile, risulta senz’altro meno immediato.
La band praghese si abbevera a fonti comuni a chiunque si cimenti in questo genere, quindi My Dying Bride e Saturnus sono i due riferimenti principali che, però, gli Et Moriemur non scimmiottano bensì utilizzano quale punto di partenza per innestarvi la loro vena decadente, poetica e fornita della sufficiente dose di personalità.
Dai maestri danesi vengono attinti, oltre alle struggenti melodie chitarristiche, anche e soprattutto i passaggi recitati poggiati su base acustica o pianistica, mentre l’influsso della band di Stainthorpe risiede in particolare nell’attitudine romanticamente accorata, che prevale su ciò che, da altri, viene espresso tramite sonorità gonfie di dolore e disperazione.
Ex Nihilo in Nihilum non perde mai, quindi, la sua forte connotazione melodica ed è un lavoro che cresce ad ogni ascolto, sintomo questo di un’indubbia profondità compositiva, ben sorretta peraltro dal lavoro eccellente dei singoli.
Oltre alla magnifica Liebeslied, sono soprattutto i due brani più lunghi del lotto, Nihil e Black Mountain, che forniscono la reale misura del valore della band ceca, brava ad introdurre diversi cambi di passo e di umore in grado di rendere avvincenti anche tracce come queste di durata consistente, pur sempre muovendosi nell’ambito di un gothic-death plumbeo e dai ritmi pacati.
Una prova eccellente questa degli Et Moriemur, band che possiede, a mio avviso, ulteriori margini di miglioramento: in particolare, un graduale affrancamento dai propri modelli stilistici, potrebbe portarli in un futuro prossimo a livelli molto vicini ai vertici del genere; già così, comunque, possiamo parlare a buon titolo di una realtà consolidata e di assoluto rilievo.

Tracklist:
1. Sea of Trees
2. Dissolving
3. Norwegian Mist
4. Liebeslied
5. Angst
6. Nihil
7. Le Choix
8. Black Mountain
9. Below

Line-up:
Zdeněk Nevělík – Vocals
Aleš Vilingr – Guitars
Honza Vaněk – Guitars
Karel “Kabrio” Kovařík – Bass
Michal “Datel” Rak – Drums

ET MORIEMUR – Facebook

Beyond The Black – Lost In Forever

Vedremo se i Beyond The Black diventeranno davvero la new sensation del metal europeo, nel frattempo Lost In Forever risulta un album ottimo per ascoltare musica deliziosamente metallica senza impegnarsi troppo.

Questi cinque ragazzi che con i loro strumenti accompagnano la giovanissima sirena Jennifer Haben, ex artista pop con la precedente band (Saphir), senza avere ancora un album all’attivo nel 2014 salivano, per la prima delle tre volte, sul palco del Wacken Open Air, forti di un contratto firmato con la Airforce1 Records, costola della major Universal.

Lo scorso anno nientemeno che Sascha Paeth (Heaven’s Gate, Avantasia) produsse il debutto, Songs of Love and Death, ed ora siamo già al secondo album, sempre con la poderosa spinta della Universal, intitolato Lost In Forever.
E ammettiamolo, perdersi per sempre tra le trame sinfoniche dei Beyond The Black è un attimo: anche questo secondo album, infatti, ha tutto per portare il nome del gruppo negli ambienti altolocati del metal patinato e da classifica.
La giovane età della singer, dal tono vocale da teenager che attira inevitabilmente le attenzioni delle sue emuli coetanee, abbinata ad un sound sinfonico in bilico tra il metal power dei Rhapsody meno pomposi e le melodie pop gotiche degli Evanescence, accentuano la sensazione di un gruppo dal successo pianificato, anche se, al netto di qualche difetto nel songwriting che sa molto di già sentito, la produzione cristallina e gli arrangiamenti orchestrali sono un bel sentire anche per gli appassionati più attempati.
Tutto funziona in questo lavoro, un album composto da hit metal melodici, sinfonici, pacatamente gotici, drammatici il giusto ed epici quel tanto che basta per far alzare più di un pugno al cielo ai ragazzi del centro Europa e non solo, visto che, a parte il nostro paese, la band ha ovviamente trovato una buona posizione nelle varie classifiche rock.
Dall’opener Lost In Forever, alla splendida Beautiful Lies per passare direttamente all’ epicità rhapsodiana della fenomenale Dies Irae, Lost In Forever è un riuscito esempio di metal sinfonico composto con lo scopo ben preciso di piacere a più persone possibili, dimostrandosi ruffiano, potente e, diciamolo pure, cantato molto bene.
Vedremo se i Beyond The Black diventeranno davvero la new sensation del metal europeo, nel frattempo Lost In Forever risulta un album ottimo per ascoltare musica deliziosamente metallica senza impegnarsi troppo.

TRACKLIST
01. Lost In Forever
02. Beautiful Lies
03. Written In Blood
04. Against The World
05. Beyond The Mirror
06. Halo Of The Dark
07. Dies Irae
08. Forget My Name
09. Burning In Flames
10. Nevermore
11. Shine And Shade
12. Heaven In Hell
13. Love’s A Burden

LINE-UP
Jennifer Haben – lead vocals
Nils Lesser – lead guitar
Christopher Hummels – rhythm guitar & backing vocals
Erwin Schmidt – bass
Tobias Derer – drums
Michael Hauser – keyboards

BEYOND THE BLACK – Facebook

1914- Eschatology of War/Für Kaiser, Volk und Vaterland

Dischi molto belli, dove vengono scandagliate le assurdità della guerra, ma soprattutto le tante assurdità della nostra vita, attraverso una ricerca storica e musicale imponente e molto affascinante.

Ristampa per l’ep e l’album di debutto per questo gruppo ucraino che, con Eschatology Of War, pubblica uno dei migliori concept album mai fatti sulla prima guerra mondiale.

Dalle cariche degli Arditi italiani, ai bombardamenti degli Zeppelin passando per l’Impero Ottomano, questo disco offre una visione differente e molto aderente di ciò che è stato uno dei peggiori massacri della storia. Dietro alla patina retrò ed elegante della propaganda, a milioni cadevano in fronti davvero estremi, a causa di battaglie che si risolvevano in corpi a corpi ancestrali, o uccisi dal gas o travolti dalle bombe. In Europa quasi ogni famiglia contava un reduce o un caduto al fronte, io stesso avevo un parente che visse fino alla morte con una pallottola nel torace, ricordo di una battaglia in Trentino. I 1914 fanno un genere tutto loro, che si situa tra il black ed il death, ma li supera entrambi, andando oltre il war metal, per entrare direttamente nei nostri cuori e nelle nostre menti. Con i 1914 siamo direttamente nel campo di battaglia, con il loro fantastico metal che spazia anche nel doom o nello sludge, a seconda dei momenti ma soprattutto delle esigenze emotive. Insieme a questa ristrampa troviamo anche il primo ep del gruppo, ormai introvabile, che dà una cifra precisa della loro bravura e del loro particolare stile, annoverando anche una cover molto molto particolare di Something On The Way dei Nirvana. Dischi molto belli, dove vengono scandagliate le assurdità della guerra, ma soprattutto le tante assurdità della nostra vita, attraverso una ricerca storica e musicale imponente e molto affascinante. Se andate nella loro pagina facebook troverete materiale molto interessante sulla prima guerra mondiale.

TRACKLIST
CD1: “Eschatology of war”
1. War In
2. Gasmask
3. Frozen in Trenches (Christmas Truce)
4. Verdun
5. Caught in the Crossfire
6. Zeppelin Raids
7. Ottoman Rise
8. Arditi
9. Battlefield
10. War Out

CD2: “Für Kaiser, Volk und Vaterland!”
1. An Meine Völker! (intro)
2. Karpathenschlacht (Dezember 1914 – März 1915)
3. 8 × 50 mm. Repetiergewehr M.95
4. Gas mask (Eastern front rmx by Solar Owl)

Trench mud outtakes
5. Caught in the Crossfire (trench demo 2014)
6. Frozen in Trenches (trench demo 2014)
7. Zeppelin Raids (trench demo 2014)
8. Zeppelin Raids (Western front rmx by ✞ λ₴MѺÐ∆I ✞)
9. Something in the way (Nirvana cover, Schlacht an der Somme version)
10. Preparing for the Next War (outro)

1914 – Facebook

Wizard – The Evolution Of Love

Debutto con i fiocchi, The Evolution Of Love merita tutta l’attenzione degli amanti della buona musica, sperando che il trio possa recuperare, con gli interessi, il tempo trascorso prima di tagliare questo traguardo.

Finalmente giungono al traguardo del primo full length gli storici hard rockers napoletani Wizard, un trio fondato dal bassista Roy Zaniel e dal batterista Rino Musella, addirittura sul finire degli anni settanta.

Il gruppo campan,o dopo anni di attività live ed una serie di demo, dà così continuità alla sua discografia, dopo l’ep Straight to the Unknown, uscito un paio di anni fa.
The Evolution Of Love è dunque il primo lavoro su lunga distanza per uno dei gruppi più longevi dell’hard rock napoletano: magari poco conosciuti fuori regione, anche per la discografia piuttosto scarna, i Wizard si palesano come realtà di grande spessore, grazie ad un sound che, ovviamente, attinge dal decennio settantiano, ma senza risultare assolutamente vintage o nostalgico.
Melodie, buone soluzioni ritmiche che passano dal progressive al funky rock, ed una naturale predisposizione per il rock strumentale, seguito ovviamente dal tocco bluesy che è insito nei gruppi hard rock di ispirazione settantiana, sono le principali caratteristiche del trio, e il loro riferimento principale non può che essere il Glenn Hughes solista, assieme a Deep Purple e Led Zeppelin, il tutto amalgamato con la componete groove che accompagna la musica degli Wizard nel nuovo millennio.
Ad aprire le danze ci pensa il rock strumentale di W3/79, che verrà bissato nel corso dell’album dal capolavoro Metaphysical Journey, altro strumentale purpleiano dalle ottime reminiscenze progressive, poi The Evolution Of Love diviene un un emozionante viaggio nell’hard rock degli ultimi trent’anni, con un stile ora aggressivo (The Walking Dead), ora melodico e sognante (The Eden), e infine stupendamente progressivo nella conclusiva Lucy Is Coming.
Debutto con i fiocchi, The Evolution Of Love merita tutta l’attenzione degli amanti della buona musica, sperando che il trio possa recuperare, con gli interessi, il tempo trascorso prima di tagliare questo traguardo.

TRACKLIST
1.W3/79
2.You got the feeling
3.The walking dead
4.Intro
5.Take me away
6.Mainline
7.Loneliness
8.The Eden
9.Metaphysical Journey
10.The evolution of love
11.Lucy is coming

LINE-UP
Roy Zaniel – Bass, Vocals
Rino Musella – Drums
Marco Perrone – Guitars

WIZARD – Facebook

Blacksmoker – Rupture

Un album davvero convincente per chi non è mai sazio di ascoltare stoner/sludge.

Secondo full length per i tedeschi Blacksmoker, band formata da musicisti esperti e provenienti da diverse realtà della scena sludge/stoner teutoinica.

Rupture non è un lavoro che si perde in preamboli, e l’ottima title track è l’idale biglietto da visita, utile a far comprendere che la reazione nei confronti di ciò che non funziona al meglio nella società odierna si può esplicitare anche attraverso una musica senz’altro robusta, ma mai scevra di un certo groove unito ad un buon impatto melodico.
Infatti, se di sludge possiamo parlare a buon titolo, quello dei Blacksmoker è più virato verso lo stoner e all’heavy metal, in tal senso prossimo alla scuola americana, piuttosto che orientato ai plumbei rallentamenti o alla e ruvidità dell’hardcore che sono spesso insiti nella scuola europea.
I ritmi così sono per lo più sostenuti e i brani sono quasi sempre provvisti di chorus memorizzabili, tra i quali spicca senza’altro la magnifica Ouroboros 68, con tanto di riuscito assolo chitarristico di matrice heavy.
Rupture è un opera avvincente dal primo all’ultimo minuto, grazie ad una scrittura lineare che, difficilmente, si perde in rivoli sperimentali o rumoristici, i quali vengono sapientemente confinati nella traccia conclusiva Room 101, certamente diversa rispetto al resto della tracklist ma non per questo di livello inferiore.
La sensazione è che i Blacksmoker siano una potenziale macchina da guerra dal vivo, in virtù del loro approccio pesante quanto diretto, e sono convinto i muri sonori che il quartetto di Wurzburg appare in grado di erigere con buona continuità mieteranno dievrse vittime.
Un album davvero convincente per chi non è mai sazio di ascoltare stoner/sludge.

Tracklist:
1. Rupture
2. Herorizer
3. Ouroboros 68
4. Huntress
5. Neglect
6. Undefeated
7. Dark Harvest
8. Pariah
9. Ghost
10. Room 101

Line-up:
Sven Liebold – Vocals, Bass
Marco Reuß – Guitar, Vocals
Boris Bilic – Guitar, Vocals
Tobias Anderko – Drums

BLACKSMOKER – Facebook

Vesen – Rorschach

Thrash metal agguerrito e senza compromessi in arrivo dalla penisola scandinava, precisamente dalla Norvegia e dalla sua capitale Oslo.

Il trio in questione si chiama Vesen, attivo dall’ultimo anno dello scorso secolo, con già quattro album all’attivo di cui l’ultimo datato 2012 (This Time It’s Personal).
Descritta come gruppo black/thrash, la band scandinava in realtà è una tipica macchina da guerra thrash metal, influenzata dal sound teutonico, in primis dai maestri Sodom.
Rorschach è  il classico album old school senza compromessi, valorizzato da un’ottima produzione e potenziato da scariche adrenaliniche e terremotanti di metallo da battaglia, oscuro quel tanto che basta per vomitare malignità e terrore.
Ottime le ritmiche, potenti come uno schiacciasassi, la voce cattivissima è forse, a tratti, l’unica concessione al black metal, mentre le atmosfere guerresche e i pochi interventi solistici fanno dell’album un monolite di metallo estremo dal forte impatto.
Il songwriting mantiene il livello dei brani su una buona media, anche se le tracce alla fine tendono ad assomigliarsi un po’ troppo l’una all’altra.
Niente di clamoroso dunque, ma la serie centrale di brani come Screaming Sane, Crown of Scars e Vulgar, Old and Sick Blasphemy farà sicuramente la gioia dei thrashers di lungo corso dai gusti teutonici.

TRACKLIST
1. Damnation Path
2. Pray for Fire
3. Target: Horizon
4. Blood, Bones and Pride
5. Screaming Sane
6. Crown of Scars
7. Vulgar, Old and Sick Blasphemy
8. All in Vain
9. Away the Tormentor
10. Final Insult

LINE-UP
Dag Olav Husås – Drums
Ronny Østli – Guitars, Vocals
Thomas Ljosåk – Guitars, Vocals

VESEN – Facebook

Voodoo Terror Tribe – The Sun Shining Cold

In generale l’album si fa ascoltare, ma è poco per una band con l’esperienza dei Voodoo Terror Tribe, realtà posizionata nelle seconde linee del metal alternativo made in U.S.A. e destinata a restarci, a giudicare da questo ultimo lavoro.

Tornano con un nuovo lavoro sulla lunga distanza gli statunitensi Voodoo Terror Tribe, da più di dieci anni in pista con il loro industrial metal ruffiano, tra gli ultimi scampoli di un nu metal da classifica e sonorità alternative che negli States continuano a fare il bello e cattivo tempo sul mercato.

Aiutato da Christian Machado degli Ill Nino, con cui hanno condiviso l’ultimo tour e che ha curato loro la produzione ed il mixing, oltre ad apparire come ospite sul brano Cell, il gruppo capitanato dal chitarrista Emir Erkal, originario di Istanbul ma trapiantato in America, dà vita ad un album che non va più in là del compitino, tra rabbiose sfuriate estreme di matrice industrial, melodie rock dai drammatici toni alternative e poche idee.
Insomma, un album di maniera, con qualche brano dall’ottimo appeal e perfetto per provare ad uscire nel circuito mainstream, ed altri che si fanno più rabbiosi e non dispiacciono, ma mancano della scintilla per entrare nei cuori degli ormai pochi appassionati di nu metal sparsi per un’America che guarda, ancora per poco, al metalcore ed un’Europa che fa spallucce, a meno che non ti chiami Korn.
The Sun Shining Cold è un album di genere che potrebbe piacere ai fans dei Disturbed, tornati a fare male con l’ultimo lavoro e scoperti dai giovani kids con la fortunata cover di The Sound Of Silence, e proprio di questo manca a quest’album, di un singolo che spinga con la forza di un wrestler i dieci brani in scaletta che trovano nella mansoniana Pussy, nel devastante singolo in compagnia di Machado e nella seguente e hard rock No Hell Like Home i momenti migliori.
In generale l’album si fa ascoltare, ma è poco per una band con l’esperienza dei Voodoo Terror Tribe, realtà posizionata nelle seconde linee del metal alternativo made in U.S.A. e destinata a restarci, a giudicare da questo ultimo lavoro.

TRACKLIST
1.Lady in The Wall
2.City of Sixes
3.Burn More Bridges
4.Cell
5.No Hell Like Home
6.Edge of Within
7.Night Wolf
8.Pussy
9.Die to The Din of The Drums
10.Under The Knife

LINE-UP
Gil Pan Zastor – Vocals & Sampling
Emir Erkal – Guitars & Synths
Primer – Bass
T-Bone – Drums

VOODOO TERROR TRIBE – Facebook

Hydronika – Alberi Dai Muri

Un disco che potrebbe essere tranquillamente tra i migliori dell’anno in campo rock, per chi ama fare classifiche, ma il consiglio è quello di ascoltare Alberi Dai Muri, perché ne vale davvero la pena e vi farà stare bene.

Gruppo campano fautore di un buon rock incentrato sulla tradizione italiana e sulla sua buona capacita compositiva.

La particolarità degli Hydronika è sapere coniugare molto bene testi affatto comuni con un rock felicemente imbastardito con altri generi, per arrivare ad un risultato molto accattivante e piacevole. La loro padronanza tecnica certamente porta qualità e si distaccano, per questo, da molti altri gruppi sia nostrani che non. Gli Hydronika nascono nel 2004 con una formazione molto diversa da quella attuale; nel 2006, dopo una grande attività dal vivo, arrivano a pubblicare il primo disco omonimo. Nel 2009 arriva Attraverso, completamente autoprodotto e disponibile in free download dal loro sito, il che li porta a a totalizzare più di 10.000 downlaod, confermando la felicità di tale scelta. Dopo sette anni e vari problemi di formazione, i ragazzi campani sono tornati con un gran bel disco che ripaga il loro entusiasmo e che è davvero notevole. Sentire gli Hydronika potrebbe cambiare la concezione che molti hanno erroneamente del rock italiano, soprattutto per colpa di band qualitativamente scarse, sebbene di successo. Gli Hydronika fanno canzoni molto belle e piacevoli, ci si diverte a sentire questo album, ma ci si emoziona pure, e poi in più c’è una musicalità davvero notevole che lo pervade. Un disco che potrebbe essere tranquillamente tra i migliori dell’anno in campo rock, per chi ama fare classifiche, ma il consiglio è quello di ascoltare Alberi Dai Muri, perché ne vale davvero la pena e vi farà stare bene.

TRACKLIST
1.La caduta
2.Contro tempo
3.Campione
4.Essenza
5.Radio Caroline
6.Ti sento
7.Sparito
8.Occhi chiusi

LINE-UP
Filippo De Luca – basso
Vins Provvido – batteria
Mario Fava – chitarra
Umberto Lume – voce e synth

HYDRONIKA – Facebook

Ufosonic Generator – The Evil Smoke Possession

The Evil Smoke Possession ci riporta alle sonorità delle band che nei decenni scorsi hanno fatto la storia del genere, rivelandosi una bella sorpresa per gli appassionati.

Il doom classico ha avuto nella prima metà degli anni novanta un ritorno di fiamma che andava a braccetto con la qualità dei gruppi della Hellhound prima e, in seguito della, Rise Above di Lee Dorrian, label fondata dallo sciamano inglese dopo il buon riscontro dei suoi Cathedral.

Ovviamente anche per quegli ormai storici gruppi, gli anni settanta ed i gruppi pionieri del rock metal messianico erano le fonti massime di ispirazione per tornare a far risplendere i suoni diventati famosi grazie ai Black Sabbath, ma glorificati da enormi talenti come Pentagram e Candlemass.
Il successo dello stoner, figlio tossico e desertico del doom, ha lasciato qualche scoria nel sound dei nuovi gruppi che, nell’underground, intraprendono la strada lenta e monolitica della musica del destino: un bene per certi versi, visti i risultati e le ottime realtà che, specialmente. nel nostro paese arricchiscono il patrimonio sabbatico della scena metal.
Ufosonic Generator, monicker che ricorda non poco il mondo della cattedrale di Dorrian, sono un quartetto nostrano che arriva all’esordio con questo The Evil Smoke Possession, fulgido esempio di doom metal potente, molto rock’ n’ roll nell’approccio, con riferimenti ed ispirazioni che vanno dagli anni settanta ai gruppi della generazione successiva, senza farsi mancare di un pizzico di follia stoner, ormai presente nelle opere delle nuove generazioni.
Una quarantina di minuti tra potenza dirompente, frenate monolitiche ed andamento che si trascina tra la sabbia di un deserto reso rosso dal fiume vulcanico che gli scorre sotto, pronto ad esplodere tra le pachidermiche note di At Witches’Bell, Meridian Daemon e Silver Bell Meadows.
The Evil Smoke Possession ci riporta alle sonorità delle band che nei decenni scorsi hanno fatto la storia del genere, rivelandosi una bella sorpresa per gli appassionati.

TRACKLIST
1.A Sinful Portrait
2.Anapest
3.At Witches’Bell
4.Master Of Godspeed
5.Meridian Daemon
6.Silver Bell Meadows
7.Mowing Devil
8.The Evil Smoke Possession

LINE-UP
Gojira – Vocals
Carmichael Bell – Bass
DD Morris – Guitar
S.McManchester – Drums

UFOSONIC GENERATOR – Facebook

 

Perc3ption – Once And For All

Immaginate l’alchimia tra il metal oscuro e drammatico degli Iced Earth e il sound progressivo dei Dream Theater più diretti, ed avrete in mano l’anima di questo lavoro.

Aldilà dell’oceano non si vive di solo mainstream e la tradizione metallica classica è ben consolidata nelle terre del nuovo continente, se poi si guarda verso sud, tra le nazioni in cui il metal è ben radicato non manca certo il Brasile.

A San Paolo, per esempio, nascono nel 2007 i Perc3ption, quintetto dedito ad un power prog metal che alterna con sagacia ritmiche potenti e aggressività heavy metal supportata da una marcata vena progressiva.
Once And For All è il secondo lavoro sulla lunga distanza, dopo un primo ep ed un full length uscito nel 2013 (Reason and Faith), un lavoro ambizioso, un’ora di metal progressivo prodotto e suonato molto bene.
Sezione ritmica ben presente, dita che danzano sui manici delle chitarre ed un cantante sontuoso mettono a dura prova i nostri padiglioni auricolari, martoriati da un sound drammatico, orchestrato a dovere e dove finalmente spicca l’heavy metal, duro e puro.
E qui sta il bello, Once And For All è un album pregno di durezza metallica, in cui le melodie (bellissime) ricamano una serie di brani dall’aura tragica, mentre il gruppo senza degenerare sfoggia tecnica sopraffina.
Immaginate l’alchimia tra il metal oscuro e drammatico degli Iced Earth e il sound progressivo dei Dream Theater più diretti, ed avrete in mano l’anima di questo lavoro, ovviamente non mancano parti più atmosferiche, dove la band concede armonie che fungono da quiete prima della tempesta di suoni che investono l’ascoltatore, tuoni e fulmini metallici, prima che la pioggia di note scenda copiosa e si trasformi in una inondazione power metal.
Accompagnato da una suggestiva copertina alla Savatage, con un maestro di pianoforte che suona il suo strumento nel mezzo di un paesaggio ghiacciato, l’album vive di un feeling drammatico ed emozionale altissimo, con la splendida ed orchestrale Welcome To The End quale picco di un opera da far vostra senza riserve.

TRACKLIST
1.Persistence Makes the Difference
2.Oblivion’s Gate
3.Rise
4.Immortality
5.Braving the Beast
6.Magnitude 666
7.Welcome to the End
8.Extinction Level Event
9.Through the Invisible Horizons

LINE-UP
Glauco Barros – Guitars, Vocals (backing)
Rick Leite – Guitars, Vocals (backing)
Wellington Consoli – Bass
Peferson Mendes – Drums
Dan Figueiredo – Vocals

PERC3PTION – Facebook

PERC3PTION – Web Page

Crypt Of Silence – Awareness Ephemera

La contiguità stilistica con i Mourning Beloveth è sempre piuttosto marcata e questa è l’unica perdonabile pecca di un album bellissimo a prescindere.

Poco più di due anni fa, quando mi ritrovai a parlare dell’album d’esordio dei Crypt Of Silence, Beyond Shades,
mi espressi in maniera non entusiastica nei confronti dell’operato del gruppo ucraino, pur valutandolo alla fine positivamente, in quanti mi appariva troppo appiattito su posizioni simili a quelle dei primi Mourning Beloveth, senza possederne però lo stesso impatto melodico e drammatico.

Oggi il gruppo irlandese rappresenta sempre la Stella Polare per la giovane band dell’est, ma il salto di qualità che auspicavo, confidando anche nell’innato fiuto della Solitude Productions nello scovare talenti, è avvenuto: Awareness Ephemera è un lavoro che rispecchia in molti aspetti il suo predecessore, con quattro lunghi brani per una durata complessiva attorno ai cinquanta minuti, ma la differenza la fa tutta l’incisività della scrittura.
Infatti, l’incedere dolente e rallentato di Longest Winter, fin dalle prime note fa capire quanto i Crypt Of Silence abbiano appreso al meglio la lezione, ammantando ogni nota del pathos necessario per avvincere e convincere i potenziali ascoltatori: il letale mix fra My Dying Bride, Mourning Beloveth e Daylight Dies (evocati questi ultimi soprattutto in Insignificant Sense) prende corpo srotolandosi dolorosamente, con ritmiche che sovente si fanno asfissianti spingendosi ai confini del funeral, particolarmente nella pachidermica Life Passed By.
E’ la meravigliosa Meridian, comunque, la traccia che chiude l’album, a fotografare nella maniera più nitida l’attuale status dei Crypt Of Silence, i quali scendono senza timore sullo stesso terreno dei loro maestri d’oltremanica, avvicinandoli non poco se non addirittura eguagliandoli a tratti; certo, la contiguità stilistica è sempre molto marcata e questa è, forse, l’unica perdonabile pecca di un album bellissimo a prescindere, anche perché per incidere brani di questo spessore non è sufficiente essere solo dei buoni copisti, ma bisogna possedere la giusta dose di talento.
Il compito che affidiamo ai ragazzi ucraini, alla prossima occasione, sarà soltanto, quindi, quello di farci affermare “sembrano … i Crypt Of Silence”, perché diciamo tranquillamente che il death doom proposto in Awareness Ephemera è inattaccabile per potenziale ed impatto emotivo, il che non è affatto poco per chi si nutre di questo genere musicale.

Tracklist:
1. Longest Winter
2. Insignificant Sense
3. Life Passed By
4. Meridian

Line-up:
Andriy Buchynskyi – Drums
Roman Komyati – Guitars (lead)
Mikhael Graver – Vocals, Bass
Vitalii Kaigorodtsev – Guitars (rhythm)

CRYPT OF SILENCE – Facebook

The Descent – The Coven Of Rats

The Coven Of Rats si compone di undici brani devoti al death metal melodico, con un uso parsimonioso ma ben congegnato di elementi thrash e death vecchia scuola.

Negli ultimi tempi il death metal melodico dai rimandi alla scena scandinava ha regalato una manciata di opere sopra la media, in barba ai pruriti commerciali di qualche gruppo storico (In Flames?) e giunti da paesi lontani tra loro.

Ai Path Of Sorrow dall’Italia, agli Sky Scrypt dalla Russia si sono aggiunti i The Descent dalla Spagna, tre modi diversi di suonare il genere, ma tutti ben saldi nella tradizione nord europea.
The Coven Of Rats è il secondo lavoro della band proveniente dai Paesi Baschi (Bilbao); il primo lavoro, Dimensional Matters, venne licenziato dal combo nel 2012, dopo sei anni dall’inizio delle ostilità ed il suo successore conferma i The Descent come ottimi interpreti di queste sonorità, in un underground che giustamente se ne fotte di trend e mode e tira dritto per la sua strada, dando spazio a quei gruppi che se non brillano per originalità, si destreggiano con la materia alla grande.
The Coven Of Rats si compone di undici brani devoti al death metal melodico, con un uso parsimonioso ma ben congegnato di elementi thrash e death vecchia scuola.
Il quintetto punta dritto sull’impatto, aiutato da una discreta tecnica ed un ottimo cantante che ricorda l’Anders Fridèn dei tempi migliori, tra growl e scream era Colony/Clayman ed un sound strutturato per non fare prigionieri.
Qualche spruzzata di synth per rendere ancora più melodico il loro metallo estremo, ed aiutare così le chitarre a travolgerci di assoli che dal metal classico prendono lo spirito e una valanga di ritmiche che dal thrash prendono forza; in mezzo, soluzioni armoniche già sentite (chiariamolo) ma assolutamente perfette, almeno in questo contesto.
Prodotto benissimo e licenziato dalla Suspiria Records, l’album nel suo insieme riesce a donare al fan di queste sonorità una quarantina di minuti abbondanti di tutti gli stilemi del genere e, se mi permettete, è tanta roba.
In Flames, The Haunted, At The Gates, Dimension Zero, qualche accenno ai Dark Tranquillity nelle parti più oscure, sono le influenze e le ispirazioni che impreziosiscono le varie The Warrior Within, la title track, At The Foot Of The Monolith e la splendida Overcome, brano che riassume perfettamente il sound di cui si nutre questo lavoro, mandando i The Descent a giocarsela con le migliori band che ripropongono il genere in questo nuovo millennio; per il fans del death metal melodico un album irrinunciabile.

TRACKLIST
1.Alpha
2.The Warrior Within
3.Falling from Grave
4.New Millennium Spawn
5.The Coven of Rats
6.At the Foot of the Monolith
7.Dead City Gospel
8.Ten Times Stronger
9.Overcome
10.Seeds of Madness
11.Bitter Game
12.Omega

LINE-UP
Charlie – Vocals
Ander – Guitar
Borja “Taj” – Guitar
Iñigo – Bass
Txamo – Drums

THE DESCENT – Facebook

Into My Plastic Bones – A Symbolic Tennis Pot

Un tuffo freschissimo nelle acque del miglior indie noise rock degli anni novanta, tanto per intenderci Touch & Go et similia.

Un tuffo freschissimo nelle acque del miglior indie noise rock degli anni novanta, tanto per intenderci Touch & Go et similia.

Nati a Torino nel 2006 come trio strumentale, questi ragazzi si sono poi trasformati in una macchina di noise math e dintorni. Il loro suono è scarno, minimalista ed estremamente affascinante e tocca corde a cui non si può rimanete indifferenti. La qualità del disco è davvero alta, si sarebbe voluto ascoltare un disco così anche in anni nel quale questo genere furoreggiava nelle orecchie alternative. Gli Into My Plastic Bones esprimono una forza ed un’energia incredibili, supportate da una forza compositiva che lascia stupefatti. Tutto sembra molto semplice e nervoso, con chitarre che sgusciano creando inusitate linee melodiche con la parte ritmica. Il disco è stato registrato in presa diretta all’Oxygen Recording Studio di Verzuolo in provincia di Cuneo e poi rimasterizzato da un certo Bob Weston a Chicago, e si sente. Il disco non contiene sovraincisioni o correzioni, e la sua vera imperfezione è ulteriore motivo di bellezza.
Un disco molto bello, che risente di una certa atmosfera che sembrava ormai dimenticata, ma che può ancora regalare molte gioie se fatta nella giusta maniera.

TRACKLIST
1.Sumizome / 666
2.Overstepping bounds
3.Cheap canvas
4.Sawn
5.This endless conversation
6.Supermarket macarena
7.Flyby
8.Ngunza

INTO MY PLASTIC BONES – Facebook

Sail Away – Welcome Aboard

I Sail Away propongono un hard’n’heavy dalle sonorità old school, ovviamente pervaso di quell’hard rock che faceva capolino nelle opere dei primi anni ottanta e con una buona e personale rilettura dei suoni cari ad Iron Maiden, Running Wild e con più di un riferimento ai Riot di Mark Reale.

Le nuove band che si affacciano sulla scena nostrana aumentano ogni giorno di più, fortunatamente mantenendo alta la qualità di un metal italiano mai così protagonista come in questi ultimi anni.

I torinesi Sail Away presentano il loro debutto, anche se si tratta di musicisti con una già buona esperienza alle spalle: infatti i due fondatori, Francesco Benevento (chitarra) e Federico Albano (voce), sono delle vecchie conoscenze della scena underground torinese e coppia collaudata in Savage Souls e Assedio.
Raggiunti da Luca Guglielminotti al basso e Alessio Piedinovi alle pelli, danno vita a questo progetto hard’n’heavy dalle sonorità old school, ovviamente pervaso di quell’hard rock che faceva capolino nelle opere dei primi anni ottanta e con una buona e personale rilettura dello stile caro ad Iron Maiden, Running Wild e con più di un riferimento ai Riot di Mark Reale: ne esce un album migliorabile a livello di suoni ma molto affascinante, con una serie di inni dal mood piratesco e volontà ribelle in puro stile heavy metal.
Heavy metal e hard’n’roll si danno il cambio nel comandare l’arrembaggio ai padiglioni auricolari degli ascoltatori, mentre la chitarra di Benevento spara assoli che sono cannonate da colpito ed affondato e Albano ci suggerisce cori epici e guerreschi che si stampano in testa al primo ascolto.
Tra i brani, The Artificial Impostor, l’irriverente hard rock di Sweet Dried Rose, la pesante e metallica Engraved In The Stone ed il tributo a Mark Reale ed i suoi Riot posto in chiusura (Immortals Hymns Shine One), brano dalle molte citazioni alla musica del grande chitarrista scomparso, sono vento tempestoso sopra il mare metallico su cui viaggia la nave Sail Away, e i mid tempo di cui è ricco Welcome Aboard non mancheranno di soddisfare gli equipaggi delle navi battenti bandiera heavy metal.

TRACKLIST
1.Welcome Aboard
2.Another Sunday
3.The Artificial Impostor
4.Petals Of Blood
5.Sweet Dried Rose
6.Engraved In The Stone
7.Giants Of The Dawn
8.Wine In My Glass
9.Immortal Hymns Shine On

LINE-UP
Federico Albano – vocals
Francesco Benevento – Guitars
Luca Guglielminotti – bass
Alessio Piedinovi – Drums

SAIL AWAY – Facebook

Pentacle – Ancient Death (reissue)

Death metal scarno, assolutamente old school anche se un po’ scolastico nelle soluzioni e nell’approccio, che classifica questo lavoro tra le opere ad esclusivo uso e riscoperta per i soli amanti del genere.

Un’altra ristampa da parte della label olandese Vic Records, questa volta riguardante una band ancora attiva, i Pentacle.

Attivo dall’alba dei primi anni novanta, il gruppo di Bladel può vantare una discografia di tutto rispetto, con solo due lavori sulla lunga distanza (…Rides the Moonstorm del 1998 e Under the Black Cross licenziato nel 2005) ma colmata da una serie infinita di ep e split, con la compilation The Fifth Moon … Beyond and Back del 2014 a fungere da ultimo canto del pentacolo, almeno fino ad ora.
Ancient Death è un ep uscito nel 2001 e risulta una mezz’ora di death metal old school che richiama più la scena americana che quella europea, un macigno di metal estremo che avvicina la band a quanto fatto dai loro colleghi Obituary, specialmente nelle prime opere (Slowly We Rot, Cause Of Death).
Growl molto simile a quello di John Tardy e parti cadenzate suonate in obitorio ed alternate a veloci ripartenze dalle ritmiche black: il sound del gruppo sta tutto qui, racchiuso in uno tsunami di musica estrema vecchia scuola.
Picchiano duro i Pentacle, anche se sarebbe stata d’aiuto, per chi non conosce il gruppo, una ristampa più eloquente, magari con uno dei due album fin qui pubblicati.
Death metal scarno, assolutamente old school anche se un po’ scolastico nelle soluzioni e nell’approccio, che classifica questo lavoro tra le opere ad esclusivo uso e riscoperta per i soli amanti del genere.
Da rilevare solo le cover di due classici del metal estremo: Legion Of Doom (Mantas) e Witch Of Hell (Death).

TRACKLIST
1.Prophet Of Perdition
2.Descending Of The Soul
3.Legion Of Doom
4.Immolated In Flames
5.Witch Of Hell
6.Walking Upon Damnation’s Land
7.Soul’s Blood

LINE-UP
Mike Verhoeven – Guitars
Marc Nelissen – Drums
Wannes Gubbels – Vocals, Bass

PENTACLE – Facebook

Red Cain – Red Cain

Venti minuti di musica sono pochi per decretare la nascita di una stella, ma si rivelano sufficienti per prevedere, con ragionevole certezza, che ciò potrà accadere in un futuro molto prossimo.

Grazie all’ottimo lavoro di promozione dell’attivo Jon Asher, ci viene offerta ultimamente la possibilità di ascoltare molta buona musica proveniente dal Canada, nazione che, sovente, viene oscurata da quanto prodotto più a sud negli Stases, ma che è terra natia di diverse band che hanno fatto a loro modo la storia (Rush, Annihilator, Voivod, ma ho citato le prime tre che mi sono venute in mente, dimenticandone sicuramente altre).

I Red Cain devono ancora mangiarne di polvere prima di arrivare a quei livelli, ma il loro ep omonimo è il viatico migliore per iniziare questo impervio percorso: i cinque ragazzi provenienti dall’olimpica Calgary si sono cimentati in un’operazione non priva di rischi ma perfettamente riuscita , con il loro tentativo di fondere il power/prog metal con sonorità dark.
Era da tempo, infatti, che non mi capitava di ascoltare qualcosa di così fresco e dirompente in campo heavy metal: i Red Cain sono delle vere e proprie spugne che, dopo aver assorbito tutto quanto di buono è stato prodotto negli ultimi vent’anni, ne hanno filtrato il meglio salvandone sfumature che, se maneggiate con poca cura, avrebbero rischiato di rivelarsi antitetiche.
La voce dell’eccellente Evgeniy Zayarny è il valore aggiunto decisivo, grazie ad una timbrica profonda ma dalla notevole estensione, capace di rendere al meglio i passaggi più oscuri così come quelli più ariosi, ma non è affatto trascurabile il lavoro d’insieme di una band giovane e dall’enorme talento, che non perde mai la bussola di fronte ai frequenti cambi di scenario e, conseguentemente, di umore e di ritmica.
Il sound dei Red Cain guarda indubbiamente verso est, a quell’Europa che alle stesse latitudini è stata culla del power metal più melodico e del gothic più romantico, ma la forte radice americana non viene meno, specie nei momenti maggiormente robusti in cui si stagliano sullo sfondo i migliori Iced Earth e Nevermore.
Guillotine è un autentico gioello, disturbato ad arte da screziature elettroniche, un brano trascinante come non se ne sentivano da tempo nel genere, ma non è che le altre canzoni siano da meno, facendo eccezione, paradossalmente, per il singolo prescelto Hiraeth, forse perché viene privilegiata la melodia a discapito dell’impatto drammatico che accomuna il resto della tracklist.
Venti minuti di musica sono pochi per decretare la nascita di una stella, ma si rivelano sufficienti per prevedere, con ragionevole certezza, che ciò potrà accadere in un futuro molto prossimo: sarà il primo full length in uscita nel 2017 a dirimere gli eventuali dubbi residui sul valore effettivo di questi promettentissimi Red Cain.

Tracklist:
1.Guillotine (feat. Wolf of Transylvania)
2.Dead Aeon Requiem
3.Hiraeth
4.Unborn

Line-up:
Evgeniy Zayarny – vocals
Brendan Doll – guitar
Allan Chuley – guitar
Rogan McAndrews – bass
Samuel Royce – drums

https://www.facebook.com/redcainofficial/?fref=ts

Magnum – Valley Of Tears – The Ballads

Una raccolta di emozioni non solo esclusiva per i fans del gruppo, ma per chiunque ami il rock melodico d’autore.

Un gruppo importante come i Magnum potrebbe permettersi un’uscita ogni sei mesi, anche apparentemente inutile come questo The Valley Of Tears, raccolta di ballad ri-registrate o rimasterizzate, pescate da varie opere dei menestrelli dell’hard rock mondiale.

Bob Catley , Tony Clarkin ed i loro fidi compagni non mancano certo di eleganza e talento raffinato, ed infatti i brani più profondi e melodici dei vari capolavori che il gruppo ha licenziato sono cardini della loro discografia, il meglio che il talento compositivo della band britannica abbia sfornato nella sua lunga carriera.
Nato dal suggerimento della figlia di Clarkin, questo best of delle migliori ballad create dalla band esce con le vacanze di Natale ormai alle spalle, un peccato, perché disco più natalizio non c’è trattandosi dell’immersione nel puro talento melodico, comodamente seduti in poltrona con le luci dell’albero che cambiano sequenza ogni trenta secondi ed il liquido ambrato di un buon cognac che crea piccole onde nella classica coppa, mentre Catley ci delizia con la sua inimitabile voce sulle note create da questo monumento all’hard rock melodico e adulto che sono e saranno sempre i Magnum.
L’ultimo lavoro Sacred Blood “Divine” Lies, uscito all’inizio di quest’anno, aveva ridato smalto ai cinque menestrelli inglesi, ora questa raccolta ritorna a far parlare di loro, dopo tantissimi anni dall’inizio di questa fantastica avventura, decine di album, progetti solisti e collaborazioni importanti; allora ben venga questo tuffo nel rock d’autore, melodico, sognante ed assolutamente perfetto nel trasmettere emozioni.
The Valley of Tears,  Your Dreams Won’t Die, The Last Frontier, A Face In The Crowd e via tutte le canzoni scelte per questo album non sono altro che una prova sontuosa delle meraviglie che l’inossidabile Catley ed i suoi compari sono riusciti a donare ai rockers sparsi per il mondo in quasi quarant’anni di carriera, una raccolta non solo esclusiva per i fans del gruppo, ma per chiunque ami il rock melodico, quello d’autore.

TRACKLIST
1. Dream About You (remastered)
2. Back in Your Arms Again (newly re-recorded)
3. The Valley of Tears (remixed, remastered)
4. Broken Wheel (newly re-recorded)
5. A Face in the Crowd (remixed, remastered)
6. Your Dreams Won’t Die (remastered)
7. Lonely Night (acoustic version, newly re-recorded)
8. The Last Frontier (remixed, remastered)
9. Putting Things In Place (remixed, remastered)
10. When The World Comes Down (new live version)

LINE-UP
Tony Clarkin – guitars
Bob Catley – vocals
Mark Stanway – keyboards
Al Barrow – bass
Harry James – drums

MAGNUM – Facebook

childthemewp.com