Mordskog – XIII

Un debutto davvero positivo, un gran disco di black metal dal Messico.

Direttamente da Città Del Messico ecco i Mordskog, per i tipi della brutale Werewolf Records.

Questi blasfemi messicani propongono un black metal molto influenzato dalla seconda ondata del genere. Il loro black metal è molto ben suonato, è intellegibile e veloce, ed è di grande effetto. Il loro stile non è nulla di nuovo, ma questi messicani lo fanno molto meglio di tanti altri, arrivando ad imprimersi in maniera ben definita nelle orecchie e nel cervello dell’ascoltatore. I Mordskog sono veloci e spietati, e i loro testi parlano della morte, vista nell’ottica di qualcosa di essenziale per la vita stessa, e non solo come la fine della vita umana, ma un andare oltre, non le bugie raccontate dalla chiesa cattolica che in Messico conoscono bene quasi quanto noi italiani. Un debutto davvero positivo, un gran disco di black metal dal Messico.

TRACKLIST
1 Lautem Novedialem
2 Nascentes Morimur
3 Aequo Pulsat Pede
4 Pulvis Et Umbra Sumus
5 Mors Est Vitae Essentia
6 Ad Me Venite Mortui
7 C.A.M
8 Mors Vincit Omnia
9 todos ustedes deben mor

MORDSKOG – Facebook

Aenigma – The Awakening

Al primo lavoro gli Aenigma confermano di essere una band dal buon potenziale, del resto le caratteristiche principali per piacere ai fans del genere ci sono tutte.

Un altro gruppo si affaccia sulla scena symphonic gothic metal tricolore, si tratta dei toscani Aenigma.

La band licenzia il suo primo lavoro, questo ep dal titolo The Awakening, sette brani compresi di intro e cover (Song Of Durin della cantante Eurielle) per un mezz’oretta di symphonic gothic metal ben strutturato, dal piglio cinematografico, che alterna potenza power, atmosfere epic/folk ed una buona ma mai invadente parte orchestrale.
Nata tre anni fa ed arrivata al debutto dopo qualche assestamento nella line up, la band lascia sicuramente un’ottima impressione sull’ascoltatore, le sue carte sono tutte al posto giusto e The Awakening si presenta come un album professionale sotto tutti gli aspetti.
Chiaro che il genere, ormai, non lascia particolare spazio all’originalità, e le influenze dichiarate dal gruppo sono più o meno quelle che si riscontrano all’ascolto dei brani ma, complici la buona prova della singer (Caterina Bianchi) ed un impatto heavy sostenuto dal tappeto orchestrale prodotto dalle tastiere, The Awakening funziona e risulta sicuramente un’ottima partenza per gli Aenigma.
Subito dopo l’intro la band si gioca il jolly con il suo brano migliore, Your Ghost: un symphonic power metal dai tratti gothic, pregno di melodia, potente nelle ritmiche e dall’ottimo appeal.
Silence lascia ai tasti d’avorio il compito di aprire le danze, il chorus è ancora una volta azzeccato, mentre il brano in generale segue le coordinate del suo predecessore.
Unleash The Storm lascia spazio alla bellissima e già citata Song Of Durin, canzone dalle atmosfere epic/folk interpretata con delicata maestria dalla Bianchi, qui in versione elfica, mentre il power metal di Weakness e le ottime orchestrazioni della conclusiva The Darkest Side ci accompagnano al finale di questo buon lavoro.
Al primo lavoro gli Aenigma confermano di essere una band dal buon potenziale, del resto le caratteristiche principali per piacere ai fans del genere ci sono tutte.

TRACKLIST
1. Intro
2. Your ghost
3. Silence
4. Unleash the storm
5. Song of Durin(Eurielle Cover)
6. Weakness
7. The darkest side

LINE-UP
Caterina Bianchi – Vocals
Matteo Pasquini – Drums
Lorenzo Ciurli – Guitars, Vocals
Denis Hajolli – Keyboards
Valerio Mainardi – Bass

AENIGMA – Facebook

Lesbian – Hallucinogenesis

Dall’underground del metal estremo una piccola gemma da scoprire lentamente!

Logo black metal, nome che colpisce l’attenzione, questi cinque musicisti, alcuni derivanti dagli Accused (“Martha splatterhead”), dagli Asva e dai Burning Witch, sono giunti al quarto full in circa dieci anni di attività e continuano ad elaborare, attorcigliare il loro suono attorno a derive doom, sludge, death, progmetal, black, stoner per un risultato che appare caotico ma sempre intelligibile.

Non è assolutamente facile “catalogarli” ma forse il modo migliore per approcciarli è lasciarsi trasportare in questo caos sonoro, stordente, talvolta anche fuori fuoco, ma del resto anche già a partire dalla cover ci indicano la strada; non parliamo poi del concept che regge tutta l’opera “collisione sulla terra di un asteroide ripieno di spore fungine con la creazione di una nuova alba e di una nuova coscienza\spiritualità in cui sopravvive il KOSMOCERATOPS come signore di questa nuova terra”.
Mentre nel loro precedente “Forestelevision” avevano deflagrato con il brano omonimo di quarantacinque minuti, ora il nuovo full presenta quattro brani (dai nove ai quindici minuti) ed è pubblicato dalla americana Translation Loss, nota per pubblicare molte band dal suono “indefinito” (Mouth of an Architect, Intronaut, Rosetta…); fino dal primo loro lavoro “Power Hor” del 2007 i Lesbian continuano a miscelare nel modo più “weird” (con titoli delle song come Pyramidal existinctualism o La brea borealis) possibile i vari generi dal black al death, dal progmetal allo stoner lanciandosi in selvagge cavalcate volte a fondere tutti i suddetti generi, il tutto accompagnato dal growl o dallo scream del nuovo singer Brad Mowen.
Bisogna, come spesso accade, essere nel mood giusto per poter apprezzare, anche dopo ripetuti ascolti queste miscele sonore create da musicisti che non hanno mai timore di ampliare i loro e i nostri orizzonti sonori.

TRACKLIST
1. Pyramidal Existinctualism
2. La Brea Borealis
3. Kosmoceratops
4. Aqualibrium

LINE-UP
Daniel J. La Rochelle – Guitars (rhythm)
Bradley J. Mowen – Vocals
Arran E. McInnis – Guitars (lead)
Dorando P. Hodous – Bass, Vocals
Benjamin P. Thomas-Kennedy – Drums, Percussion

LESBIAN – Facebook

Endless Curse – Slave Breeding Industry

Gli Endless Curse offrono una mezz’ora di discreto massacro, niente che faccia gridare al miracolo ma apprezzabile non poco per genuinità e immediatezza, oltre ad una sempre gradita componente di critica sociale racchiusa nella maggior parte dei brani

Il trio tedesco Endless Curse arriva al primo full length dopo diversi anni di carriera con una proposta che si muove sui labili confini che dividono il death tradizionale, il brutal e il grind, senza dimenticare un approccio assimilabile al thrash hardcore (la stessa copertina in tal senso accredita tale sensazione).

I nostri offrono una mezz’ora di discreto massacro, niente che faccia gridare al miracolo ma apprezzabile non poco per genuinità e immediatezza, oltre ad una sempre gradita componente di critica sociale racchiusa nella maggior parte dei brani, che hanno come argomento principale l’asservimento dell’uomo ai dettami del consumismo, visto nelle sue diverse forme.
Ma, nonostante i testi che non si lasciano andare ad improbabili cazzeggi alcoolico-orrorifici, non è che gli Endless Curse si prendano troppo sul serio: si percepisce quanto la loro produzione derivi dalla voglia di divertirsi e di far divertire, senza abbandonarsi a soluzioni troppo cervellotiche dal punto di vista compositivo.
Le tracce vanno via, così, belle sparate ma sufficientemente varie, e in tal senso si rivela azzeccata la scelta di utilizzare la doppia voce, una in canonico growl, e l’altra in screaming di matrice thrash: poco spazio viene lasciato a parti melodiche o più ricercate, affidate a pochi assoli di chitarra ed altrettanto rari rallentamenti.
La durata di poco inferiore alla mezz’ora fa il resto, donando ulteriore sintesi ad una proposta che, pur nella sua prevedibilità, lascia solo buone impressioni, che non vengono scalfite neppure da una produzione non proprio cristallina, ma probabilmente più voluta che accidentale.
Slave Breeding Industry ha soprattutto il grosso pregio di non annoiare, il che lo rende ancor più un ascolto sicuramente consigliato agli estimatori più accaniti del genere.

Tracklist:
1. We Lived In Chains
2. Get Free
3. Boiling Blood
4. Listen
5. I’m Too Old
6. Breathe Greed
7. False Flag
Line-up:
Alex – drums
Will – guitars, vocals
Erik – bass, vocals

ENDLESS CURSE – Facebook

Entrapment – Through Realms Unseen

Gli Entrapment ci regalano uno degli ultimi colpi dell’anno in campo death metal, ed è un colpo che fa male

Per la Pulverised Records esce questa bomba death metal, ultimo lavoro della one man band Entrapment, divenuta un quartetto, probabilmente per portare la propria musica on stage, ma ben salda nelle mani del polistrumentista Michel Jonker da Groningen, Olanda.

Una storia discografica che vede, sotto il monicker Entrapment, l’uscita in appena sei anni di una manciata di demo e split, più due full length, predecessori di Through Realms Unseen, usciti rispettivamente nel 2012 e nel 2014 (The Obscurity Within… e Lamentations of the Flesh), la band sforna il suo miglior lavoro, diretto, tremendamente old school e travolgente nel lavoro della sei corde ispiratissima.
Rivolgendo lo sguardo alla scena scandinava dei primi anni novanta, Jonker colma il gap con il nuovo millennio a suon di groove, così che il sound,  pur nella sua anima tradizionale, non perde un grammo nei confronti del death metal rivisto e aggiornato degli ultimi tempi.
Il suono sporco dei primi Nihilist ed Entombed, si amalgama ad una produzione piena e perfetta nel ritagliare uno spazio importante alla sei corde, che non manca di lasciare a bocca aperta per la quantità di solos che in alcuni brani riecheggiano come scudisciate sulla schiena del Cristo, mentre a tratti una valanga estrema ci travolge, pregna di groove.
Ottimo il growl sporco e vicino al Petrov del capolavoro Wolverine Blues, mentre la title track è un brano di una potenza indicibile, un muro sonoro di immani proporzioni; Omission, in apertura, ci squarta il ventre con assoli taglienti come rasoi e Dominant Paradigm è strutturata su vortici ritmici, prima di lasciare che rallentamenti doom e ripartenze fulminee ci tolgano il respiro.
Gli Entrapment ci regalano uno degli ultimi colpi dell’anno in campo death metal, ed è un colpo che fa male.

TRACKLIST
1. Omission
2. The Seeker
3. Static Convulsion
4. Ruination
5. Dominant Paradigm
6. Withering Souls
7. Isolated Condemnation
8. Through Realms Unseen
9. Hybrid Maelstrom
10. Discordant Response
11. Self Inflicted Malnutrition

LINE-UP
Michel Jonker- -All instruments, Vocals

ENTRAPMENT – Facebook

MindAheaD – Reflections

Un viaggio soprattutto mentale che porta inevitabilmente ad una alternanza tra passaggi intimisti e crimsoniani, e sfuriate death metal tecnicamente ineccepibili.

Nei Campi di Controllo della Mente il tempo sembrava essersi fermato all’ultima Grande Guerra; il progetto di recupero informazioni non era terminato del tutto, la macchina adibita a tale compito era ormai vecchia ed il soggetto collegato ad essa,#6119, cercava di resistere alle allucinazioni causate dagli innesti di falsi ricordi e di false emozioni.

Il debutto dei toscani MindAheaD parte da qui, da questo concept dalla chiara trama sci-fi, ed il sound che accompagna la storia passa agevolmente dal progressive al metal estremo per un ottimo risultato finale.
La Revalve come label e Simone Mularoni ad occuparsi della masterizzazione nei suoi Domination Studios sono sicuramente garanzie di qualità, e la band sfrutta a dovere i suoi jolly con un’opera intrigante e ben congegnata.
Il gruppo fondato dal chitarrista Nicola D’Alessio, con un passato in Hellrage ed Athena nel 2010, dopo alcuni assestamenti nella line up arrivano finalmente al traguardo del primo full length, un concept come nella migliori tradizione progressiva, soluzione in questi anni molto utilizzata pure dai gruppi metal ed estremi.
E di metal si nutre la musica del sestetto, così come di death e prog, riuscendo a far convivere le varie influenze in un unico caleidoscopio di musica e sfumature dai colori scuri, pregni di drammatica follia.
Un viaggio soprattutto mentale che porta inevitabilmente ad una alternanza tra passaggi intimisti e crimsoniani, e sfuriate death metal tecnicamente ineccepibili.
L’uso delle due voci accentua questo scendere e salire sull’ottovolante mentale, disturbato e rabbioso (il growl) delicatamente epico e dai tratti gotici (la voce femminile), mentre la musica dona cangianti sfumature progressive.
Dopo l’intro, l’incedere estremo dei primi tre brani è di assoluto impatto, con Mind Control a prendersi la scena e far risplendere le capacità strumentali dei vari musicisti del gruppo, con la sezione ritmica a dispensare furia metallica e le voci a duettare in una tempesta estrema.
I dieci minuti di Amigdala fungono da sunto della musica del gruppo toscano, parti atmosferiche si danno il cambio a sezioni metalliche più accentuate, la vena progressive infonde nel sound un tocco maturo, adulto, lasciando che le oscure trame musicali si insedino dentro all’ascoltatore.
Ad un ascolto superficiale si potrebbe scambiare facilmente i MindAheaD per un gruppo gothic metal, come i tanti che invadono il mercato odierno, ma non fatevi ingannare dall’uso della voce femminile, la musica del gruppo va oltre ai soliti cliché e si insinua tra i meandri del progressive metal, con la giusta personalità per ritagliarsi un prezioso spazio tra le migliori realtà nostrane.

TRACKLIST
1.Intro: Reflection
2.Remain Intact
3.Mind Control
4…On the Dead Snow
5.Amigdala
a. Anxiety
b. Fear
c. Panic
6.Emerald Green Eyes
7.The Mask Through the Looking Glass
a. Ballad of the Mad Jester
b. The Mask
8.Farewell
9.Three Sides of a Dangerous Mind
a. The Fall in the Subconscious
b. My Dirty Soul
c. Three Are My Faces
10 Outro: Memories

LINE-UP
Frank Novelli – Vocals
Kyo Calati – Vocals
Nicola D’Alessio – Guitar
Guido “Shiboh” Scibetta – Guitar
Matteo Prandini – Bass
Matteo Ferrigno – Drums

MINDAHEAD – Facebook
https://www.youtube.com/watch?v=Y7q2eXjn-p4

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Vircolac – The Cursed Travails of the Demeter

Tra le trame di The Cursed Travails of the Demeter si respira l’aria intrisa di un fetore luciferino come negli storici album a cavallo tra gli anni ottanta ed il decennio successivo

La notte di Halloween tra le tombe di un vecchio cimitero nei pressi di Dublino, una creatura abominevole è nata per portare orrore e morte a colpi di death metal old school.

Accompagnato da una copertina semplice ma assolutamente perfetta, The Cursed Travails of the Demeter ha visto la luce proprio il 31 Ottobre e data non poteva essere migliore, per gli irlandesi Vircolac, nel dare i natali al loro primo ep, successore di due demo usciti in questi primi tre anni di attività.
Death metal old school, con produzione avvolta dalla coltre di nebbia che nasconde questo regno dei morti, ed atmosfere horror vecchio stampo, quindi nel sound del gruppo non troverete orpelli di nessun genere, solo death metal catacombale, marcio e in decomposizione perenne.
Il growl arriva da due metri sotto terra e il suono,  imprigionato da ragnatele vecchie di centinaia di anni e poste tra una tomba e l’altra, è assolutamente senza compromessi.
Per i deathsters ancora aggrappati con le unghie e con i denti alla vecchia scuola underground estrema, l’opera dei Vircolac non mancherà di soddisfare la sete di tenebre, con tutte le loro insidie, tra fughe dagli zombie in doppia cassa e lente agonie di morte, con un salto nel doom/death più scarno ed essenziale ma tremendamente coinvolgente.
E la lunga e conclusiva Betwixt the Devil and Witches è infatti la traccia più riuscita dell’album, terrificante, oscura e maligna, un lungo rito per propiziatorio di morte.
Un buon ep che gli amanti dei suoni old school apprezzeranno, d’altronde tra le trame di The Cursed Travails of the Demeter si respira l’aria intrisa del fetore luciferino, come negli storici album a cavallo tra gli anni ottanta ed il decennio successivo.

TRACKLIST
1.The Cursed Travails of the Demeter
2.Charonic Journey (Stygian Revelation)
3.Lascivious Cruelty
4.Betwixt the Devil and Witches

LINE-UP
KB – Bass
JG – Guitars, Keyboards
DvL – Vocals
BMC – Guitars
NH – Drums, Vocals

VIRCOLAC – Facebook

Witchery – In His Infernal Majesty’s Service

Il nuovo album risulta uno dei migliori della discografia degli Witchery nel nuovo millennio e noi non possiamo che inchinarci a cotanta maestria in questo tipo di sonorità.

E si torna a navigare a vele spiegate verso l’inferno, dopo sei lunghi anni di attesa in compagnia degli Witchery.

Il gruppo svedese, che si avvicina al ventennale di una carriera all’insegna del più devastante death/black ‘n’ roll, e che vede tra le sue file quel monumento al metal estremo che risulta Sharlee D’Angelo, bassista che nei suoi lunghi anni di militanza nella scena metal ha fatto parte di band che chiamare storiche è un eufemismo (Arch Enemy, Spiritual Beggars, The Night Flight Orchestra, Mercyful Fate, Illwill, King Diamond, Sinergy, tra le tante) insieme all’axeman Patrik Jensen, e di altri tre stregoni cattivissimi, torna a far danni con questo ultimo ed infernale lavoro e sono dolori.
Erano altri tempi quando il tramonto della prima ondata del death metal melodico scandinavo era alle porte e quello che, allora, venne definito dai più un super gruppo estremo, spazzò via le ultime resistenze delle truppe melodiche, sotto i colpi mortali di un sound scarno, diretto, violento e senza compromessi, racchiuso negli ormai seminali Restless & Dead (1998) e Red, Hot & Ready (1999); dopo altri tre album nel decennio scorso, la band si ripresenta a sei anni di distanza dall’ultima uscita, con una line up in parte rinnovata dai nuovi innesti di Chris Barkensjo alle pelli ed Angus Norder a sbraitare collera e blasfemie sugli undici devastanti brani che compongono In His Infernal Majesty’s Service.
Poche nuove, buone nuove, si dice: gli Witchery tornano più malvagi e sinistri che mai, il loro sound continua a mietere vittime sui roghi del metal estremo pregno di attitudine death/black e con quell’insano gusto rock ‘n’ roll che fa la differenza; i due nuovi compari sono all’altezza del compito e l’album si lascia ascoltare che è un piacere tra pochi ma perfetti camei horror, metal estremo di alto rango ed un impatto che molte delle nuove leve si sognano.
I titoli sono tutto un programma da Nosferatu, a The Burning Salem, da Lavey-athan (devastante opener) all’organo messianico che fa da preludio all’enorme Escape From Dunwich Valley, traccia che fa scuola tra le file degli adepti al genere.
Un ritorno, per certi versi a sorpresa, che non poteva essere più gradito: il nuovo album risulta uno dei migliori della discografia degli Witchery nel nuovo millennio e noi non possiamo che inchinarci a cotanta maestria in questo tipo di sonorità.

TRACKLIST
1. Lavey-athan
2. Zoroast
3. Netherworld Emperor
4. Nosferatu
5. The Burning Of Salem
6. Gilded Fang
7. Empty Tombs
8. In Warm Blood
9. Escape From Dunwich Valley
10. Feed The Gun
11. Oath Breaker

LINE-UP
Angus Norder – Vocals
Jensen – Guitar
Rikard Rimfält – Lead Guitar
Sharlee D’Angelo – Bass
Chris Barkensjö – Drums

WITCHERY – Facebook

Qaanaaq – Escape From The Black Iced Forest

Cinque brani piuttosto lunghi e ricchi di repentine aperture melodiche, alternate a qualche accelerazione e a fughe strumentali di matrice prog, sono quanto offre un album anomalo come Escape From The Black Iced Forest.

Più o meno dal nulla sbucano questi Qaanaaq, band bergamasca che propone una stramba mistura tra doom, death, gothic e progressive.

Se, in teoria, questi indizi parrebbero portare su territori affini ad Opeth e successiva genia, in raelta, nonostante la band di Åkerfeldt sia un riferimento dichiarato dal quintetto lombardo, il sound gode di una personalità sorprendente, offerta in particolare dal lavoro tastieristico di Luca Togni, capace di caratterizzare ogni brano con un approccio misurato quanto incisivo.
Niente a che vedere quindi, con ampie aperture sinfoniche od invadenti orchestrazioni plastificate: il tocco di Luca Togni è quanto mai legato al progressive settantiano ed è volto più a punteggiare il sound che non ad assumerne il controllo, lasciando che gli altri strumenti (suonati da altri due Togni, Mattia e Luca, rispettivamente al basso e batteria, e da Dario Leidi alla chitarra) si sbizzarriscano nel contribuire a creare un tappeto sonoro sul quale esibisce un growl piuttosto efficace Enrico Perico (dalle tonalità che ricordano non poco quelle di Mancan degli Ecnephias).
Cinque brani piuttosto lunghi e ricchi di repentine aperture melodiche, alternate a qualche accelerazione e a fughe strumentali di matrice prog, sono quanto offre un album anomalo come Escape From The Black Iced Forest, frutto compositivo di musicisti non più di primo pelo che vi hanno riversato una freschezza compositiva raramente riscontrabile oltre che la dote, anche’essa in via d’estinzione, di non interpretare il proprio ruolo in maniera seriosa, a partire dall’immaginario groenlandico che aleggia sull’intero progetto, almeno a livello lirico (Qaanaaq è, appunto, la città più a nord di quella che qualche buontempone pensò di chiamare “terra verde” ).
Probabilmente i suoni di tastiera esibita da Luca Togni potranno lasciare perplessi i più, mentre personalmente li trovo geniali nel loro apparente minimalismo, in quanto capaci di insinuarsi in maniera velenosa nel cervello (micidiali in tal senso il finale di Body Walks e la parte centrale di High Hopes); resta oggettivamente difficile catalogare i Qaanaaq in maniera esaustiva, perché il doom, che è il primo genere dichiarato, viene esibito nella sua forma più riconoscibile solo nella traccia finale Red Said It Was Green, perché anche la stessa Untimely At Funerals, che parte proprio come una vera marcia funebre, cambia volto più volte fino ad approdare a passaggi che lambiscono la fusion.
In definitiva, l’opera prima dei Qaanaaq si rivela tutt’altro che cervellotica o particolarmente ostica ma è ugualmente rivolta a menti sufficientemente aperte.

Tracklist:
1. Body Walks
2. Eskimo’s Wine Is A Dish Best Served Frozen
3. Untimely At Funerals
4. High Hopes
5. Red Said It Was Green

Line-up:
Enrico Perico – vocals
Dario Leidi – guitar
Mattia Togni – bass
Luca Togni – keyboards
Nicola Togni – drums

QAANAAQ – Facebook

CALLIGRAM

I Calligram sono una band emergente, di stanza a Londra ma composta da musicisti dalle diverse nazionalità. Il fatto che, tra questi, il vocalist sia l’italiano Matteo Rizzardo, ci ha offerto l’occasione di fare un interessante botta e risposta nella nostra lingua. Ecco cosa ne è scaturito.

iye Ciao Matteo, il fatto di potermi rapportare con te in italiano mi consentirà di porti probabilmente qualche domanda intelligente, cosa che con il mio inglese scolastico non sarei riuscito a fare …
Il primo quesito, però, temo mi smentisca subito, per quanto doveroso: come sei finito a Londra? Lavoro, affetti o semplicemente l’Italia di oggi ti sta stretta ?

Ciao Stefano. In tutta sincerità non l’ho ancora capito. Sai, credo che i percorsi che la vita intraprende a volte sfuggano del tutto alla possibilità di comprenderli a pieno, figli come sono del caos che tutti portiamo dentro. Certo, è innegabile che l’Italia, in cui le opportunità di lavoro per i giovani non sono affatto idilliache e in cui non ci sono segnali a breve termine che facciano pensare ad un cambio di rotta, possa stare un po’ stretta, come dici tu, ma non mi sento affatto di identificare in questo il motivo che mi ha spinto a partire. La verità è che a Londra ci sono finito quasi d’improvviso, un po’ per gioco e un po’ per caso; è il viverci, come sempre, che ti frega, perché col tempo ti si attacca sulla pelle la sensazione che la città in cui ti trovi senza nemmeno sapere come in realtà non abbia fatto altro che chiamarti a sé da tutta una vita. È magia pura.

iye Dopo la famigerata “Brexit” se ne sentono di tutti i colori, spesso distorti da un’informazione daltonica e, detto con molta benevolenza, superficiale. Mi piacerebbe sapere, da qualcuno che vive la situazione dall’interno, come stanno effettivamente le cose e come sono cambiate, nel caso.

Il clamore dei primi giorni è decisamente sfumato, e con esso pure l’accozzaglia di voci profetiche che ad esso si accompagnavano, e finalmente è arrivato il silenzio. Non sono un tecnico ma credo che un’analisi lucida e oggettiva sulla questione Brexit non possa che mettere in risalto l’impossibilità di azzardare alcuna previsione su quello che potrà accadere al Regno Unito (e all’UE), perché si è trattato di un evento senza precedenti le cui conseguenze si sottraggono a qualsiasi pronostico. Vissute dall’interno, da italiano residente a Londra, Brexit non ha cambiato di una virgola la vita di tutti i giorni. Anche perché, aldilà della sterlina in discesa fin dal primo giorno post-referendum, i veri contraccolpi si potranno sperimentare solo quando l’uscita sarà effettiva, fra due anni. Da musicista, però, ho ben chiari in mente i possibili problemi che potrebbero sorgere all’atto di porre barriere in un mondo, come quello della musica, dove il contatto costante e il flusso continuo sono vitali: ripercussioni negative sulla possibilità per le band straniere indipendenti di poter venire a suonare in UK, e viceversa, e sulla capacità di distribuzione per le piccole etichette discografiche sono solo alcuni dei problemi che si dovrebbe affrontare. Ma, di nuovo, sono solo supposizioni.

iye Veniamo ai Calligram. Dai vostri cognomi (Polotto, Desbos, Smittens, Cotones, Rizzardo) si evince una provenienza geografica piuttosto eterogenea, e mi incuriosisce non poco scoprire quali strane combinazioni astrali vi abbiano fatti incontrare nella capitale inglese.

Sì, questa effettivamente è la caratteristica che balza all’occhio non appena si legge la nostra biografia: due brasiliani, un francese, un inglese e un italiano, pare quasi l’incipit di una storiella divertente. E invece è una storia fatta di sacrifici e di sudore, di cinque ragazzi che pur provenendo da parti del mondo opposte amano scrivere musica e provano a portarla in giro il più possibile. In un certo senso la band rispecchia il multiculturalismo proprio di Londra, che è un crogiolo di etnie che convergono da tutti i continenti. Ardo e Bruno erano amici fin dai tempi in cui vivevano ancora in Brasile, l’idea della band è partita da loro, poi gli annunci di ricerca su internet hanno fatto il resto, portando all’arrivo immediato di Tim, e poi al mio e a quello di Smittens. É la rete che ci ha fatti incontrare, quindi, ma è la forte alchimia creatasi da subito ad averci tenuti insieme e addirittura rafforzati.

calligram

iye In sede di presentazione siete stati descritti come una band black metal, ed è un qualcosa che definire fuorviante è poco: basta vedere una vostra foto ed ascoltare poche note per uscire dall’equivoco, rinvenendo la corposa componente hardcore punk. Le etichette sono un male necessario per inquadrare in qualche modo l’offerta musicale di una band: voi come vi definireste, effettivamente?

La definizione più frequente nelle recensioni che finora abbiamo ricevuto è blackened hardcore, che mi trova d’accordo per sommi capi, ma immagino che qualsiasi neologismo che connetta il black metal con il crust core possa centrare il punto. Mi diverte molto la definizione che ha dato Dom Lawson di Metal Hammer, descrivendo la nostra musica come un “Flesh-flaying black metal punk rock”: in fin dei conti quello che facciamo è musica furiosa, veloce e incazzata ma la nostra attitudine, specie dal vivo, è assolutamente punk.

iye A seguito di tutto questo, quando vi esibite dal vivo, con quali tipi di band vi trovate a condividere normalmente il palco?

Nell’ultimo anno abbiamo condiviso il palco con band assolutamente fantastiche, che mi hanno aperto gli occhi su una scena underground inglese di qualità eccelsa e molto variegata – Art of Burning Water, Harrowed, Dead Harts, Ba’al, Mt Hell, Grappler, Svalbard, Surya, solo per citare alcuni esempi. I concerti in cui ci sentiamo più a nostro agio, e che fortunatamente sono sempre più frequenti in questi ultimi tempi, sono comunque quelli in cui ci troviamo a condividere il palco con band dai suoni pesanti e molto sporchi, siano essi veloci e impazziti come quelli tipici delle band crust-core oppure più lenti come quelli che caratterizzano le band doom e sludge. In fin dei conti ci lega, credo, lo stesso filo conduttore, la stessa idea di musica, la stessa ricerca sonora: la volontà di togliere groove a favore di una maniacale distorsione sonora.

iye Da dove nasce questo intreccio, comunque non così scontato, tra due generi che veicolano la rabbia in maniera opposta, l’uno (il black) tramite un atteggiamento misantropico e l’altro (l’hardcore/punk) attraverso una rabbia furente scagliata verso l’esterno?

L’idea di fondo è quella di suonare musica nel modo più violento possibile, senza fronzoli, imprecisa quel che basta per perdere ogni groove, portando la distorsione a livelli disumani. Ma perché ciò possa funzionare, senza apparire un ammasso informe di caos e rumore, serve dinamicità, e in questo senso il connubio tra punk e black metal fa esattamente al caso nostro. Con la componente punk innestiamo la furia d-beat, che è rabbia cieca, furente, scagliata in tutte le direzioni; la componente black metal invece entra in gioco nell’ibernare questa furia dentro le maglie di blastbeat asfissianti, e veicolandola attraverso le sue melodie essenziali e minimali, creando, almeno nelle intenzioni, un effetto claustrofobico devastante. Poi, ovviamente, queste sono riflessioni a posteriori, tutta filosofia spicciola che non entra in gioco, almeno consciamente, in fase di scrittura. Quello che facciamo, quando componiamo un pezzo nuovo, è semplicemente fare attenzione alla struttura e all’equilibrio della canzone, assicurandoci che le varie parti formino davvero un tutto coerente e non piuttosto un ammasso di pezzi attaccati con la colla. Penso che questa sia la sfida più grande per un musicista, far coesistere più cambi di ritmo e di sonorità in uno stesso brano facendoli apparire come naturali evoluzioni della canzone affinché essa possa mantenere così intatta la sua identità: in questo senso abbiamo ancora molto da imparare, anche se i risultati finora raggiunti fanno ben sperare, e se dovessi dire il nome di una band che al momento padroneggia alla perfezione quest’arte nominerei senza alcun dubbio gli Oathbreaker.

iye Quali sono i vocalist ai quali ti ispiri maggiormente ?

Ammiro molto George Clarke dei Deafheaven, Ryan McKenney dei Trap Them, Tompa Lindberg di At the Gates e Disfear, Jacob Bannon dei Coverge e Phil Anselmo, nonostante le infinite polemiche cui dà vita ogni vota con le sue affermazioni sempre discutibili, ma non credo di poter dire di ispirarmi a loro, perché quando canto, ispirazioni e modelli vengono meno e ciò con cui mi trovo ad aver a che fare è il mio timbro vocale, il mio modo di essere, anche sul palco: è lì che sei sempre solo con te stesso, e te la devi sbrigare coi tuoi mezzi.

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iye Anche se risiedi a Londra continui a seguire le vicende musicali italiane? Se sì, c’è qualche band che ritieni meritevole di maggiore attenzione?

Seguo sempre con attenzione lo sviluppo delle vicende musicali in Italia, che a livello di realtà underground non ha nulla da invidiare a nessuno. The Secret, ad esempio, è una band crust-grind italiana che amo alla follia, e che sta avendo anche all’estero il meritato riconoscimento, come del resto anche gli Ufomammut e i Deadly Carnage. Riferendomi più precisamente alla mia zona d’origine, la scena è viva e sempre più in salute, sono nati negli ultimi anni collettivi davvero interessanti come TrevisoPunx e VeneziaHC dalle quali sono uscite band fenomenali come gli Zeit, che vi consiglio caldamente di andarvi ad ascoltare se amate l’hardcore ultraviolento da calci sui denti, o i Messa, che sono una delle realtà più promettenti del panorama doom italiano. C’è anche un festival in provincia di Treviso, il Disintegrate your Ignorance, dedicato alle sonorità pesanti, da tenere d’occhio perché sta ottenendo anno dopo anno una caratura sempre più internazionale.

iye Ammetto d’aver curiosato sul tuo profilo facebook dove ho trovato una serie di frasi e di considerazioni , immagino di tuo esclusivo conio, che rappresentano degli assoluti lampi di genialità con un forte retrogusto amaro … Nella visione di Matteo Rizzardo il mondo è così brutto come lo si dipinge, o è anche peggio?

In realtà no, ho solo un senso dell’umorismo un po’ cinico e non mi piace prendermi sul serio. Certo, ho una vena profondamente nichilista ma mi piace anche prendermi per il culo e più in generale prendere in giro chi su facebook cerca di dare un’immagine di sé da vincenti. Prima che lo diciate voi, lo dico io: ovviamente la mia è invidia in quanto sono un perdente nato.

iye La storia dei Calligram è ancora all’inizio, sostanzialmente, ed i buoni riscontri ottenuti da Demimonde sono evidentemente uno stimolo in più per continuare su questa strada: quali saranno i vostri prossimi passi ?

A febbraio entreremo in studio di registrazione per il prossimo album, che sta già prendendo forma e ci vede tutti eccitatissimi a riguardo. Collaboreremo con Lewis Johns, che è un produttore navigato che ha già lavorato, e molto bene, con altre band che stimiamo e che riesce a dare ai lavori che produce quel tocco in più che li rende infallibili. I nuovi brani, inoltre, sono più strutturalmente maturi rispetto a quelli di Demimonde, e la ricezione avuta nei live, finora, è andata oltre ogni aspettativa. Per il resto, suonare il più possibile e interagire con nuove band rimane il nostro costante obiettivo, e possibilmente riuscire ad organizzare un tour per quest’estate.

Laster – Ons Vrije Fatum

Non è black metal, seppur cominci da lì, sono i Laster, un gruppo da scoprire ed ascoltare, perché è un’esperienza davvero unica.

Particolarissimo gruppo olandese di black metal di alta qualità, con rimandi new wave e forte teatralità.

Gli olandesi sono al secondo disco, dopo l’ottimo debutto con De verste verte is hier,e dimostrano di essere un gruppo assolutamente peculiare. Il loro black metal è molto innovatore, contenendo il vecchio stile come partenza, ma il risultato è qualcosa di assai difficile da classificare. Viene in mente la new wave, soprattutto per la tensione che si crea in questi pezzi, dove la musica sembra essere davvero suonata da fantasmi, come nelle loro esibizioni con maschere di ossa. Il disco è ammantato di una malinconia, di uno spleen sublimato da un talento musicale superiore che di questo disco uno dei migliori e maggiormente innovatori di quest’anno. Non è black metal, seppur cominci da lì, sono i Laster, un gruppo da scoprire ed ascoltare, perché è un’esperienza davvero unica. Obscure Dance Music.

TRACKLIST
01 Ons vrije fatum
02 Binnenstebuiten
03 Bitterzoet
04 Helemaal naar huis
05 De tijd vóór
06 De roes na
07 Er wordt op mij gewacht

LINE-UP:
S. – All instruments, Vocals
N. – All instruments, Vocals
W. Damiaen – All instruments, Vocals

LASTER – Facebook

Windshades – Crucified Dreams

Bravi e a loro modo originali, gli Windshades risultano una bella sorpresa ed un nome su cui i fans del genere possono tranquillamente puntare, aspettando il probabile arrivo del primo full length.

Accompagnato da una splendida copertina che ha ricordato al sottoscritto le atmosfere del romanzo I Pilastri Della Terra di Ken Follett, arriva sul mercato Crucified Dreams, ep di tre brani con cui gli Windshades debuttano per la nostrana Atomic Stuff che ha messo a disposizione della band i suoi studi di registrazione ed il talento di Oscar Burato, che si è occupato di registrazione, mixaggio e masterizzazione.

Il gruppo proveniente dalla provincia di Mantova e fondato lo scorso anno dalla cantate Chiara Manzoli e dal batterista Carlo Bergamaschi, ci propone un buon metal dalle trame gotiche, dove le ritmiche serrate fanno da contrasto alla voce dai rimandi classici ed operistici della singer, mantenendo in primo piano un ottimo impatto heavy.
Si potrebbe parlare di un mix ben assortito di heavy metal (nel buon lavoro delle due chitarre si riscontrano rimandi agli Iron Maiden) e sonorità dark/gothic, con la parte sinfonica inesistente se non per l’uso della voce operistica.
Non male, Crucified Dreams si ritaglia un suo spazio nel genere, l’impatto terremotante della sezione ritmica, i solos taglienti ed un ottimo impatto si placano solo nella parte iniziale di Resurrection, mentre in generale il gruppo imprime la giusta dose di potenza al proprio sound, non facendo mancare una buona dose di velocità, sempre in contrasto con la sublime voce della cantante.
Metafora è attraversata da sali e scendi maideniani, Resurrection parte delicata e prepara l’ascoltatore alla danza metallica, con la cantate che ispirata, fa volare la sua voce sulle scariche elettriche ed oscure degli strumenti, mentre la conclusiva title track risulta il brano più estremo del gruppo, su cui il gruppo alterna potenti mid tempo a veloci fughe al confine tra heavy e thrash.
Bravi e a loro modo originali, gli Windshades risultano una bella sorpresa ed un nome su cui i fans del genere possono tranquillamente puntare, aspettando il probabile arrivo del primo full length.

TRACKLIST
01. Metafora
02. Resurrection
03. Crucified Dreams

LINE-UP
Chiara Manzoli – Voice
Matteo Usberti – Guitar
Riccardo Soresina – Guitar
Andrea Bissolati – Bass
Carlo Bergamaschi – Drums

WINDSHADEDS – FacebookURL YouTube, Soundcloud, Bandcamp

Graveyard Ghoul – Slaughtered-Defiled-Dismembered

Un album che ha la sua forza nell’insieme creato dalle atmosfere che tagliano i brani, valorizzate dalle parti rallentate, veri macigni di musica oscura e diabolica.

Attitudine old school, tanto horror da B-movie, di quello cult per intenderci e non certo da ragazzini con mascherine smorfiose che più che paura fanno tenerezza, un death metal che nelle accelerazioni si trasforma in un thrash anni ottanta, per poi rallentare e far uscire l’anima malvagia del doom/death, una produzione che soffoca i suoni, come una bocca piena di quei vermi della decomposizione che brulicano tra le membra scarnificate.

Sono tornati i Graveyard Ghoul, band proveniente dalla Sassonia, al terzo album in quattro anni dalla sua nascita e tramite la Go Fuck Yourself Productions licenzia questo lavoro, rigorosamente in cassetta, dal titolo Slaughtered – Defiled – Dismembered.
Sangue, morte e male racchiusi in un’atmosfera orrorifica, un concentrato di malvagità e terrore compresse in un sound che chiamare oscuro è un eufemismo.
Attenzione, però, il gruppo non usa orpelli, niente trucco e niente inganno, solo metal estremo che odora di morte, tra death, thrash vecchio stampo e doom, malato, cadenzato e terrificante.
Un gruppo che sceglie per le sue opere il vecchio formato in cassetta non può che essere completamente devoto, in tutto e per tutto, ai tempi che furono, così da costruirsi un rispettoso seguito tra i cultori della musica estrema di ormai trent’anni fa.
Da scrivere rimane solo un giudizio altamente positivo, le atmosfere funzionano ed il trio (Tombcrusher al basso, Tyrantor batteria e voce e Disgracer chitarra e voce) dà la sensazione di saperci davvero fare e conoscere la materia trattata, tra devastanti ripartenze e rallentamenti che artigliano e squartano gole, in un perdersi in un terrificante mondo tra zombie, diavoli e piastrine a go go.
Un album che ha la sua forza nell’insieme terrificante creato dalle atmosfere che tagliano i brani, valorizzate dalle parti rallentate, veri macigni di musica oscura e diabolica, promossi.

TRACKLIST
Side A – Old
1.Mouldered To Madness
2.Slaughtered – Defiled – Dismembered
3.Born Without Bones
4.Necrocult
5.Pestilent
6.VHS

Side B – Death
7.Woundfuck
8.Necrotic Lust
9.They Won’t Stay Dead
10.Amputation Masturbation
11.Into Abyssal Spheres

LINE-UP
Disgracer -Vocals, Guitars
Tom “Tyrantor” Horrified -Drums, Vocals
Tombcrusher -Bass

GRAVEYARD GHOUL – Facebook

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