Urfaust – Empty Space Meditation

Empty Space Meditation è un lavoro davvero convincente: profondo ma non per questo troppo ostico da recepire, da parte di un nome magari poco noto ma in grado di ritagliarsi uno spazio importante tra gli estimatori di sonorità metalliche meno scontate.

Il duo olandese Urfaust è attivo da oltre un decennio e, nel corso di questo arco temporale, ha prodotto un numero elevato di uscite dal minutaggio ridotto (ep e split album) e tre full length, tra i quali l’ultimo è questo Empty Space Meditation.

L’etichetta di atmospheric black ambient che accompagna la musica IX e VRDRBR è piuttosto appropriata ma, tutto sommato, anche riduttiva, visto che il sound è decisamente composito e volto alla creazione di passaggi ariosi ed evocativi, a volte screziati da violente accelerazioni alle quali fanno da contraltare pulsioni droniche che, comunque, non appesantiscono affatto il lavoro nel suo complesso.
Empty Space Meditation è composto da sei brani intitolati Meditatum, numerati da I a VI, e ci fornisce l’idea di un album che, comunque, va ascoltato come un unico flusso sonoro nel quale convergono sensazioni svariate e spesso contrastanti, laddove spiritualità e nichilismo vanno di pari passo senza elidersi a vicenda.
Da tutto questo ne viene fuori una quarantina di minuti di enorme spessore, nei quali l’emotività deriva dal un incedere atmosferico e sovente rallentato ai confini del doom, con l’accento posto su un’interpretazione vocale da parte di IX magari non sempre ortodossa, ma dalle indubbie doti comunicative.
A brano simbolo eleggo il sulfureo srotolarsi di Meditatun IV, con il suo procedere quasi tetragono, accompagnato dai vocalizzi di IX che si fanno via via più sgraziati e disperati: questi sono gli Urfaust nella loro espressione meno immediata ed accomodante, in grado di puntellare ulteriormente un disco eccellente con V, brano che sembra a tratti una rielaborazione in veste metallica di Bauhaus e Christian Death dei tempi d’oro, e con la conclusiva, magnifica, VI, nella quale è il sitar che dona un’aura davvero particolare ad atmosfere già di loro sufficientemente introspettive.
Detto d IX, che si occupa praticamente di tutto il lavoro strumentale e vocale, va rimarcato il fondamentale operato di VRDRBR alla batteria, un aspetto spesso sottovalutato nei lavoro di matrice prevalentemente solista, venendo affidato ad una più fredda drum machine.
L’elemento umano qui si sente e fa la differenza, conferendo varietà e ritmiche non banali ad un sound che veleggia ispirato e dotato di un’oggettiva peculiarità.
Empty Space Meditation è un lavoro davvero convincente: profondo ma non per questo troppo ostico da recepire, da parte di un nome magari poco noto ma in grado di ritagliarsi uno spazio importante tra gli estimatori di sonorità metalliche meno scontate.

Tracklist:
1. Meditatum I
2. Meditatum II
3. Meditatum III
4. Meditatum IV
5. Meditatum V
6. Meditatum VI

Line-up:
VRDRBR – Drums
IX – Guitars, Vocals

URFAUST – Facebook

Pestilence – Reflections Of The Mind

Reflections Of The Mind rimane un’opera comunque di valore, specialmente per i fans accaniti del gruppo olandese e della importantissima scena che si creò in quel periodo.

L’importanza di una band come gli olandesi Pestilence sullo sviluppo delle sonorità estreme è risaputo, basterebbe nominare un album come il capolavoro Spheres per mettere in riga una bella fetta di storia del death metal.

Il gruppo capitanato da Patrick Mameli, specialmente nei suoi primi anni di attività si può considerare come un gruppo cardine del metal estremo, sperimentatore di sonorità lontane dai soliti cliché estremi e, nei primi anni novanta insieme ai Cynic precursore di tutto un movimento che cercava altre vie per l’evoluzione di tali sonorità.
La Vic Records mette sul mercato questa compilation di demo e brani in fase embrionale che andarono poi a comporre i tre album della prima fase del gruppo proveniente dal paese dei tulipani: Consuming Impulse, Testimony of the Ancients e appunto il capolavoro Spheres.
Rimasterizzato dal guru Dan Swanö con il supporto dell’artwork creato da Roberto Toderico, firma prestigiosa anche in casa Asphyx e Sinister, la raccolta riprende il titolo della storica compilation uscita dopo lo split del gruppo nel 1994 (Mind Reflections).
Si torna così ai primi anni novanta e le registrazioni, pur con il supporto del musicista e produttore svedese, non sono delle migliori, molti brani soffrono il passare inesorabile del tempo, anche se le chicche non mancano, con canzoni nella loro versione primaria poi riveduta e corretta al momento di inserirle negli storici lavori.
Reflections Of The Mind rimane un’opera comunque di valore, specialmente per i fans accaniti del gruppo olandese e della importantissima scena che si creò in quel periodo, primi sussulti di un metal estremo divenuto in seguito uno dei generi più importanti della musica moderna.

TRACKLIST
1 Reflections of the Mind
2 Searching the Soul
3 Times Demise
4 Changing Perspectives
5 Level of Perception
6 Multiple Being
7 Spheres
8 Land of Tears
9 Stigmatized
10 Presence of the Dead
11 Prophetic Revelation
12 Twisted Truth
13 Pat & Pat
14 Echoes of Death
15 Secrecies of Horror
16 Testimony
17 Omens of Revelations
18 Testimonial Ideas

LINE-UP
Patrick Mameli – Bass, Guitars,Vocals
Patrick Uterwijk – Guitars
David Haley – Drums
Georg Maier – Bass

PESTILENCE – Facebook

Karg – Weltenasche

Il black metal avrà sempre un senso e, soprattutto, vita ancora molto lunga, finché verrà interpretato da chi possiede la sensibilità compositiva di V. Wahntraum.

Karg è la creatura solista di V. Wahntraum, conosciuto anche come J.J. all’interno degli ottimi Harakiri For The Sky: un progetto travagliato nel suo decennale snodarsi, così come la personalità del musicista che lo conduce e che, tra varie vicissitudini,anche personali, pare aver trovato oggi una sua nuova dimensione con l’uscita di questo bellissimo Weltenasche.

Dopo i primi dischi , contraddistinti da un black metal dalle ampie sfumature ambient prima, e depressive poi, il musicista austriaco è approdato ad una forma che solo apparentemente si può considerare più canonica ma che, semmai, è solo maggiormente efficace e capace di colpire nel segno senza dover percorrere vie traverse.
E’ difficile, infatti, imbattersi nel genere in un lavoro così lungo eppure privo di momenti di stanca o di riempitivi: anche quando il nostro rallenta o varia la velocità di crociera, abbandonandosi a momenti acustici o più rarefatti, tutto appare perfettamente inserito in un disegno compositivo focalizzato su un costante scambio emotivo tra musicista ed ascoltatore.
D’altronde è percepibile dall’intensità di brani che, ad eccezione dell’acustica Spuren im Schnee, sono marchiati da un crescendo di pathos, mix tra rabbia, disperazione e rassegnazione, quanto in Weltenasche non ci sia nulla di costruito essendo ogni nota il naturale sbocco della creatività di un’anima tormentata.
Talvolta pare addirittura di ascoltare una versione dall’impatto più esasperato dei primi lavori degli Alcest, laddove melodie sognanti si sposano fluidamente con le sfuriate in blast beat (Solange das Herz schlägt…), in altri momenti è un afflato poetico a prendere la scena (MMXVI/Weltenasche) ma è soprattutto una reazione liberatoria ad un disagio interiore che prepara il terreno a brani splendidi come Crevasse, Alles wird in Flammen stehen e …und blicke doch mit Wut zurück.
Non è certo il genere musicale a fare il musicista, ma semmai il contrario, ed il black metal avrà sempre un senso e, soprattutto, vita ancora molto lunga, finché verrà interpretato da chi possiede la sensibilità compositiva di V. Wahntraum.

Tracklist:
1. Crevasse
2. Alles wird in Flammen stehen
3. Le Couloir des Ombres
4. Tor zu tausend Wüsten
5. Spuren im Schnee
6. Solange das Herz schlägt…
7. …und blicke doch mit Wut zurück
8. (MMXVI/Weltenasche)

Line-up:
V. Wahntraum Guitars, Vocals

KARG – Facebook

Rod Sacred – Submission

Il gruppo mantiene intatta la sua vocazione alle sonorità metalliche classiche e continua a dispensare ottima musica

Nel ritorno di fiamma per le sonorità old school, si inserisce prepotentemente la label tedesca Pure Steel, da anni ormai in missione per riportare in auge i classici suoni metallici.

Composta da varie sotto etichette, assecondando la musica suonata dai gruppi, la Pure Steel pesca da tutti i paesi del mondo nuove proposte e vecchie glorie dell’underground metallico e, come in questo caso con la sublabel Pure Underground, una vecchia conoscenza nata nel nostro paese negli anni ottanta.
I Rod Sacred infatti sono una band nata in Sardegna nei primi anni del decennio d’oro per la nostra musica preferita, con un primo album omonimo che ebbe un discreto successo all’epoca dell’uscita (1989), seguito da cambi di formazione e stop forzati, un secondo lavoro registrato nel 1997 (Sucker of Souls) e il silenzio fino ad oggi primna della firma con la piovra tedesca.
La rinascita per il gruppo del bassista Franco Onnis si chiama Submission e vede la nuova formazione in ottima forma alle prese con sette nuovi brani, in aggiunta alla ristampa dello storico primo album, un salto temporale nell’heavy metal classico, tra new wave of british heavy metal e hard & heavy.
Rivivrete così un altro pezzo di storia del metal tricolore, chiaramente ispirato ai maestri internazionali, ma assolutamente illuminato da luce propria, di notevole impatto, in molti tratti e suonato con ottima padronanza dei mezzi.
I vecchi brani, posti nella seconda parte del cd, vedono confermate le buone impressioni che suscitarono all’epoca dell’uscita, pregni di heavy metal robusto, tra tracce veloci e dirette e anthem metallici dal flavour emotivo altissimo che facevano del gruppo un sunto della proposta di gruppi come Rainbow, Black Sabbath del periodo Tony Martin, Iron Maiden e Scorpions … e scusate se è poco.
Tra tutte spiccano le splendide The Mistery Of Quid e la ballatona Dreaming, brani emotivamente sopra la media, con in gran spolvero il vocalist Antonio “Tony” Deriu , cantante che ricorda a più riprese Klaus Meine degli scorpioni tedeschi.
I nuovi brani non tradiscono le attese, il gruppo mantiene intatta la sua vocazione alle sonorità metalliche classiche e continua a dispensare ottima musica, alternando tracce dirette come Hiper Drive, mid tempo sabbathiani (la title track) e sontuose song di scuola Rainbow/Scorpions (Stop Fear), così da regalare un ottimo lavoro ai fans dei suoni classici, assolutamente obbligati a far proprio questo cd per fare la conoscenza con una band storica del panorama italiano.
Per chi ha qualche capello grigio in più sulla lunga ma rada chioma, l’acquisto merita per l’ottimo lavoro del gruppo sulla nuove composizioni, insomma fatelo vostro senza se e senza ma.

TRACKLIST
1. Submission
2. Hiper Drive
3. Stop Fear
4. Let Yourself Go
5. Rod Sacred
6. Strange Life
7. Radio
8. Don’t Fear the Rain
9. Live Your Life Again
10. Lonely Between Mass of Puppets
11. The Mistery of Quid
12. Crazy For You
13. Circle of Lust
14. The Enter
15. Dreaming
16. Will of Living Total

LINE-UP
Tonio Deriu – vocals
Luca Mameli – guitars
Peppo Eriu – guitars
Franco Onnis – bass, backing vocals
Andrea Atzeni – drums

ROD SACRED – Facebook

WIZARD

Il video di “The Walking Dead” tratto dall’album “The Evolution of Love”

Il video di “The Walking Dead” tratto dall’album “The Evolution of Love”

Hertz Kankarok – Livores

Livores racchiude venticinque minuti di musica di enorme spessore qualitativo e, soprattutto, molto personale, segno che un approccio artistico meno convenzionale spesso può portare frutti prelibati

Il progetto musicale ideato da Hertz Kankarok si rivela anomalo fin da un monicker che, a primo acchito, lascia sensazioni strane, fino a giungere al modus operandi, che vede il nostro comporre brani senza essere di fatto un musicista nel senso vero del termine e, infatti, a parte la voce, tutto il lavoro strumentale è affidato a Dario Laletta.

Ma, come tutto ciò che ultimamente arriva dalla Sicilia in campo rock e metal, c’è da aspettarsi qualcosa di particolare ed anticonvenzionale: Hertz Kankarok con questi tre brani lo conferma, offrendo un compendio di musica a tratti entusiasmante e andando ad esplorare i diversi spettri sonori del metal e non solo.
Se Our Will Injection sembra un ideale incrocio i tra i King Crimson ed il djent (sotto genere del quale non è difficile reperire una ipotetica genesi ascoltando i tre dei dischi frippiani degli anni ottanta) ma con l’enorme pregio di mantenere sempre in primo piano l’aspetto melodico, tenendosi alla larga dallo sterile tecnicismo, We Are the Ghosts sposta la barra su sonorità più cupe ed evocative, esprimendo un robusto prog metal dalla ampie sfumature gothic. Fin qui nulla da eccepire sui due brani, impreziositi dall’indubbio talento esecutivo di Laletta, ben assecondato da un interpretazione vocale molti varia e personale da parte di Kankarok.
A mio avviso, però, il vero fulcro del lavoro è la conclusiva Occvlta Plaga Inferorvm, canzone che racchiude efficacemente non solo il pensiero dell’autore sui temi religiosi, veicolato in lingua italiana tramite un testo magnifico, ma riesce a sintetizzare mirabilmente diversi aspetti del sound, che si fa via via più oscuro e riflessivo, racchiudendo in un colpo solo il gothic doom di tipica scuola italiana (con bagliori degli indimenticabili Cultus Sanguine) e pulsioni cantautorali che non possono non rimandare all’illustre corregionale Franco Battiato (difficile non fare questo accostamento quando Kankarok intona “… in quest’epoca infame e d’acquiescenza …“).
In buona sostanza, Livores racchiude venticinque minuti di musica di enorme spessore qualitativo e, soprattutto, molto personale, segno che un approccio artistico meno convenzionale spesso può portare frutti prelibati, proprio per una minore propensione ad abusare di schemi consolidati.
L’ep è stato diffuso ormai un anno fa e, benché sia stato accolto in genere con un certo favore, ho la sensazione che non sempre gli sia stato dato quel risalto ancora maggiore che avrebbe meritato. Resta solo da godersi questo ottimo esempio di creatività musicale, in attesa che il misterioso Hertz Kankarok si rifaccia vivo, magari con un lavoro su lunga distanza.

Tracklist:
1. Our Will Injection
2. We Are the Ghosts
3. Occvlta Plaga Inferorvm

Line Up:
Dario Laletta – All instruments
Hertz Kankarok – Vocals, Lyrics

HERTZ KANKAROK – Facebook

Iron Curtain – Guilty As Charged

Un candelotto letale di dinamite metallica, composto da una serie di brani che deflagrano e travolgono, fieri figli di un’era molto spesso dimenticata ma importantissima per lo sviluppo del metal sound.

Tornano gli spagnoli Iron Curtain con un nuovo album e il salto nel più terremotante metal old school è assicurato.
Guilty As Charged è il terzo lavoro a tre anni di distanza dal precedente Jaguar Spirit, in uscita in questo autunno per la solita piovra metallica Pure Steel a cui non sfugge un colpo, specialmente se si parla di metal classico.

La band, con l’entusiasmo che la contraddistingue e l’assoluta devozione per i suoni tradizionali, ci fa salire sulla sua macchina del tempo, così da tornare indietro fino ai primi anni ottanta.
Guilty As Charged continua a condensare , come ormai ci ha abituato il gruppo spagnolo, heavy speed metal europeo e power con targa statunitense, esplosivo nei riff, vario nelle ritmiche ed irresistibile in quanto a songwriting.
Mi capita spesso di scrivere riguardo alle opere di gruppi dediti alle sonorità classiche, molte volte imbattendomi in lavori discreti rovinati da produzioni demenziali, mi ritrovo al cospetto finalmente di un album che, nella sua completa attitudine old school, si impreziosisce di un lavoro alla consolle perfetto, mantenendo le caratteristiche peculiari del genere impreziosito da suoni al passo coi tempi.
Ne esce un candelotto letale di dinamite metallica, composto da una serie di brani che deflagrano e travolgono, fieri figli di un’era molto spesso dimenticata ma importantissima per lo sviluppo del metal sound.
D’altronde, tra i solchi del fenomenale uno-due Into The Fire, Lion’s Breath o dai riff scolpiti nell’olimpo della New Wave Of British Heavy Metal di Relentless e della motorheadiana Wild & Rebel, vi scontrerete con richiami storici del metal che ha segnato un’epoca e non solo, come Iron Maiden, Judas Priest, Raven e Motorhead, fino ad attraversare l’oceano ed abbracciare il power americano creando un sound incandescente ed esaltante, almeno per chi con queste sonorità ci è cresciuto e diventato grande.
Un album old school degno di entrare di diritto nella discografia dei metallari dai gusti tradizionali, bravi Iron Curtain.

TRACKLIST
1. Into The Fire
2. Lion’s Breath
3. Take It Back
4. Relentless
5. Iron Price
6. Outlaw
7. Wild & Rebel
8. Guilty As Charged
9. Turn The Hell On

LINE-UP
Mike Leprosy – vocals, guitar
Joserra – bass
Alberto – drums
Cachorro – guitar

IRON CURTAIN – Facebook

Warfist – Metal To The Bone

La band fa bene e con assoluta sincerità il proprio sporco lavoro, solo che per abbattere il muro della normalità ci vorrebbe ben altro.

Di norma, al nostro interno, tendiamo ad occuparci naturalmente dei generi che più ci piacciono e che di conseguenza meglio conosciamo.

Non è male però derogare ogni tanto fa questa regola non scritta, proprio per vedere quale sia lo stato dell’arte in altri settori provando ad osservarli da un’angolazione inevitabilmente diversa.
Era da un po’ che non mi occupavo di thrash metal, ma la necessità di evadere la mole di materiale da recensire mi ha fatto pescare dal mazzo questo secondo full length dei polacchi Warfist.
Il thrash è, tra i generi estremi, quello che ritengo più atrofizzato e meno predisposto ad aperture o contaminazioni, e se proprio voglio ascoltare qualcosa la scelta è limitata tra i giganti della della Bay Area e qualcosa della vecchia scuola teutonica; quindi, essendo proposto per lo più in maniera fedele alla linea, mi appare piuttosto ripetitivo, anche se, rispetto per esempio al death o al black, è più difficile imbattersi in dischi davvero inascoltabili ma, per converso, lo è anche reperire al giorno d’oggi qualcosa di memorabile.
Una descrizione che si addice a Metal To The Bone, album che fa scapocciare il giusto e che sarebbe esattamente ciò che vorrei sentire ad un concerto da parte di una sconosciuta band di supporto, avendo la garanzia di godermi una mezz’oretta di sano furore metallico, il problema è che risulta difficile andare a scegliere il disco degli Warfist tra la montagna di musica che si ha oggi a disposizione.
I polacchi maneggiano la materia con buona predisposizione, aderendo con competenza a tutti gli stilemi del genere, ma alla fine dell’ascolto resta davvero pochino ad li là del fatto di non essersi annoiati.
E’ evidente che un lavoro come questo, al contrario, sarà apprezzato sicuramente da chi vive a pane e thrash, e non c’è nulla di male né di sbagliato in questo, sia chiaro, anche perché la band fa bene e con assoluta sincerità il proprio sporco lavoro, solo che per abbattere il muro della normalità ci vorrebbe ben altro.

Tracklist:
1. Pestilent Plague
2. Written with Blood
3. Convent of Sin
4. Tribe of Lebus
5. Breed of War
6. Metal to the Bone
7. NecroVenom
8. Playing God
9. Reclaim the Crown

Line-up:
Mihu – Vocals, Guitars
Wrath – Bass
Pavulon – Drums

WARFIST – Facebook

Myriad Lights – Kingdom Of Sand

Per gli amanti del power metal, Kingdom Of Sand può senz’altro considerarsi un buona alternativa ai soliti nomi

Attivi da una decina d’anni e con un primo lavoro licenziato quattro anni fa (Mark of Vengeance), tornano i lombardi Myriad Lights con il secondo album, Kingdom Of Sand, album che dimostra quanto la scena nazionale sia ormai patrimonio del metal europeo.

Anche a livello underground infatti il metal italiano dimostra di avere molte frecce al proprio arco, molte ancora da scoccare direi, visto la qualità dei prodotti made in Italy, anche quelli meno conosciuti.
Costruito su fondamenta che ricordano il power metal raffinato ed elegante al quale lo stivale ha dato un fondamentale contributo con Labyrinth, Shadows Of Steel ed in parte Vision Divine: il sound di Kingdom Of Sand è un ottimo e vario esempio di quello che le sonorità metalliche di stampo classico hanno dato in questi ultimi anni, con la band che non si ferma agli illustri colleghi ma spazia tra melodie, aggressività e varie soluzioni stilistiche, così da non essere solo figlia di un unico approccio.
Tra i brani che compongono l’album , oltre ad orchestrazioni dal mood orientaleggiante, è forte lo spirito power nato nelle terre germaniche, che non fa altro se non indurire il sound, quel tanto che basta per accontentare anche i defenders che mal digeriscono qualche orchestrazione di troppo.
Così ci troviamo al cospetto di un buon lavoro, che non manca di brani davvero interessanti (Mirror) ed un’ottima altalena tra il neoclassicismo nazionale ed il power dirompente di scuola tedesca, valorizzata da un’interpretazione su buoni livelli di Andrea Di Stefano, vocalist dalle grandi potenzialità, ed una prova strumentale tutta grinta e passione.
Una band che crede in quello che fa, ne escono così i Myriad Lights, e non è poco in un mercato virtuale che abbonda di proposte di tutti i generi, fortunatamente molte buone, ma anche con troppe sotto la media.
Per gli amanti del power metal, Kingdom Of Sand può senz’altro considerarsi un buona alternativa ai soliti nomi, molti dei quali ormai lontani dalle opere che hanno scritto la storia del genere.

TRACKLIST
1.Desert Nights
2.Kingdom of Sand
3.Abyssal March
4.The Deep
5.The Grave Chant
6.039 Lights
7.Mirror
8.The Waves
9.Deathbringer
10.Ascension

LINE-UP
Francesco Lombardo-Guitars
Jeff Lombardo-Bass
Andrea Di Stefano-Vocals
Simone Sgarella-Drums
Emanuele Salsa-Keyboards

MYRIAD LIGHTS – Facebook

SPEED STROKE

“Fury” in vinile dall’11 Novembre

Bagana Rock Agency è orgogliosa di annunciare la pubblicazione del secondo album degli SPEED STROKE “Fury”, in una nuova versione in vinile! L’album, uscito a marzo in CD, ha permesso alla band di suonare in tutta Italia durante il Fury Tour 2016, condividendo anche il palco con act come Reckless Love e Hardcore Superstar.

Il vinile di “Fury” uscirà l’11 Novembre per Bagana Records ed è già disponibile in pre-order dal Bandcamp. Sarà inoltre acquistabile ai prossimi live della band e verrà presentato ufficialmente proprio venerdì 11 novembre al Legend Club di Milano e sabato 19 novembre Caos di Bologna. In queste due occasioni, “Fury” sarà disponibile in versione super limitata: le prime 50 copie infatti (non disponibili online) saranno autografate dalla band, numerate a mano e conterranno una speciale stampa dell’artwork di Demon Alcohol.

Il vinile di “Fury” è stato stampato in formato 180gr con colorazione clear marbled red insieme a uno speciale booklet formato vinile contenente i migliori scatti del Fury Tour 2016, oltre a testi e liner notes.

Ricordiamo i dettagli delle due date live.

Ven 11 Novembre @ Legend Club, Milano
SPEED STROKE + Sixty Miles Ahead + Lethal Idols + Hazan
Evento FB
Sab 19 Novembre @ Caos, Bologna
SPEED STROKE + M.I.L.F.
Evento FB

unnamed

VIII – Decathexis

Black avanguardista, death tecnico e progressivo, ambient, tutto scorre e cambia vorticosamente in Decathexis, un lavoro con il quale gli VIII provano in maniera decisa a staccarsi dalle convenzioni

Poco più di due anni fa mi ero trovato ad elogiare il primo full length dei sardi VIII, autori in quel frangente, con il loro Drakon, di un black metal dalle ampie sfumature doom e ricco di passaggi evocativi e melodici.

Le cose sono cambiate non poco nel lasso di tempo intercorso tra quell’uscita ed il qui presente Decathexis, non tanto dal punto di vista qualitativo che, come vedremo, non ha subito alcun contraccolpo, bensì da quello riferito all’approccio stilistico: gli VIII sono oggi una realtà dedita ad un black avanguardista che può essere avvicinabile ai parti più recenti della scuola francese, reso però con una personalità ed un tocco di follia che ne accentua la peculiarità.
Ed è proprio da un concept basato su stati di alterazione mentale (Decathexis significa, a grandi linee, ad una forma patologica di progressivo disinteresse e distacco nei confronti della realtà circostante) che DrakoneM, sempre aiutato dal fido drummer Mark, prende le mosse per sviluppare un lavoro impressionante per come la materia viene plasmata a piacimento senza che, alla fine, il risultato finale ne risenta particolarmente a livello di fluidità.
Non era semplice, infatti, concentrare in un solo album una simile quantità di influssi, corrispondenti ad altrettanti cambi di scenario ed atmosfera, mantenendo saldo il controllo delle composizioni senza farsi sopraffare dalla propria vis sperimentale.
Fin dall’incipit di Symptom, infatti, si intuisce che Decathexis offrirà una cinquantina minuti all’insegna di un’imprevedibilità, abbinata ad un’estremizzazione del suono che va oltre i semplici canoni del black o del death: gli VIII suonano quello che si può definire a buon titolo avantgarde metal, senza che tale definizione appaia pomposa o inadeguata
Così le incursioni del sax, strumento che da chi ascolta metal estremo viene normalmente visto come il fumo negli occhi, sono solo uno dei simboli del disagio che gli VIII traducono in musica: i tre brani, la cui delimitazione appare più una necessità che non una conseguenza logica, per cui potrebbero essere anche dieci od uno soltanto, non lasciano punti di riferimento certi ed è quasi impossibile prevedere quale direzione prenderà il sound.
Black avanguardista, death tecnico e progressivo, ambient, tutto scorre e cambia vorticosamente in Decathexis, un lavoro con il quale gli VIII provano in maniera decisa a staccarsi dalle convenzioni, rischiando del loro con l’abbandono di strade più confortevoli ma ottenendo un risultato davvero soddisfacente, che lascia quale unico interrogativo la reazione di chi ha seguito le prove del passato al cospetto di una sterzata così decisa e violenta inferma al proprio modus operandi.
Poco male, visto che auspicabilmente DrakoneM e Mark dovrebbero ottenere nuovi e numerosi consensi per un album che va assaporato, comunque, mantenendo un’ampia apertura mentale.

Tracklist:
1. Symptom
2. Diagnosis
3. Prognosis

Line-up:
DrakoneM – Guitars, Bass, Synth, Vocals (additional)
Mark – Drums

VIII – Facebook

Firmam3nt – Firmament

Siamo negli ormai classici territori del prog metal moderno, perciò troverete pane per i vostri denti specialmente se siete fans accaniti di Opeth e Porcupine Tree.

Sempre bilanciata tra progressive rock e post metal moderno, la musica di questo quartetto madrileno arriva a noi come un fiume di note tragiche, dal mood oscuro ed intimista, attraversata da umori metallici che gli conferiscono un buon appeal per gli amanti del prog di ultima generazione.

I Firmam3nt licenziano il loro primo album omonimo e si ritrovano catapultati nel calderone delle ormai tantissime proposte del genere, ma con un po’ di attenzione da parte dell’ascoltatore quest’opera dedicata ai quattro punti cardinali (i brani infatti si intitolano North, East, West, Sud) alla fine vi convincerà.
Un album strumentale è già di per sé alquanto ostico se non si è fans accaniti della musica che racconta, se poi la stessa si riveste di abiti vari che passano dal metal progressivo, al post rock, dal prog tradizionale a puntate elettriche dal gusto estremo, diventa difficile da assorbire completamente.
Il buon songwriting, unito ad una tecnica assolutamente obbligatoria nel genere e una buona produzione, fanno però di Firmament un lavoro da applaudire, anche per la durata non eccessiva.
I brani scorrono discretamente, le atmosfere plumbee, violentate da rabbiose impennate metalliche e non troppo lunghe pause espressive, lasciano che la musica sgorghi senza trovare grossi intoppi: gli attimi dove il sound risulta di ottima fattura non mancano, mentre le influenze del gruppo giocano a rimpiattino tra lo spartito delle quattro tracce.
Siamo negli ormai classici territori del prog metal moderno, perciò troverete pane per i vostri denti specialmente se siete fans accaniti di Opeth e Porcupine Tree.
Classico album da prendere con le pinze, curarlo e coccolarlo, alla larga amanti del rock usa e getta.

TRACKLIST
1.North
2.East
3.West
4.Sud

LINE-UP
Jorge Santana – Drums & Percussion
Alberto Garcia – Guitars
Txus Rosa – Guitars
Sergio González – Bass

FIRMAM3NT – Facebook

Shining Line – Shining Line

AOR nella sua massima espressione, con ospiti internazionali ma orgogliosamente tricolore nella sua creazione

La Street Symphonies, label nostrana e ottimo punto di riferimento per gli amanti dei suoni hard rock, mette le mani e ristampa il clamoroso debutto dei rockers melodici Shining Line, uscito autoprodotto cinque anni fa e ore tornato a risplendere di magnificenza melodica.

Il gruppo nasce dalla mente di Pierpaolo Monti (ex Sovversivo) che insieme ad Amos Monti (basso), Alessandro Del Vecchio alle tastiere (Edge Of Forever, Eden’s Curse, Moonstone Project), ed alla coppia di chitarristi Marco D’andrea (Planethard) e Mario Percudani (Hungryheart) compongono la line up dei Shining Line, per poi avvalersi di un sontuoso nugolo di musicisti della scena hard rock melodica internazionale e dar vita ad una meravigliosa opera prima.
Un disco internazionale non solo per gli ospiti, ma anche per la cura nei dettagli, i suoni potenti e cristallini, la produzione lasciata ad Alessandro del Vecchio, con Michael Voss (Casanova, Mad Max, Voices Of Rock) alle prese con mix e mastering, fanno di Shining Line un gioiello nascosto che, finalmente ritorna a splendere con una label a supportarne la distribuzione.
AOR del più raffinato ed elegante abbia sentito negli ultimi tempi, valorizzato come detto dagli ospiti che sono tantissimi e di cui cito Robin Beck, Mikael Erlandsson, Michael Voss, Phil Vincent, Michael Bormann e Michael Shotton.
Per ottanta minuti, di cui neanche un secondo è sotto una media eccellente, verrete trasportati in un mondo di melodie dal taglio hard rock, a tratti sognanti, in altre supportate dall’energia sprigionata da sei corde ispiratissime e regali tastiere in un’apoteosi di musica sopra le righe.
Di un’altra categoria il songwriting, che se la gioca alla pari con le top band del genere e tenere un livello così alto per oltre un’ora non è cosa facile per nessuno, credetemi.
Una raccolta di brani che spazia dunque dall’appeal radiofonico che in anni passati avrebbe portato molte canzoni nel palinsesto delle radio rock di mezzo mondo, a suadenti note melodiche, trasformate in ballad e che i fans del genere non potranno che amare alla follia (Heat Of The Light con la voce di Robin Beck è da standing ovation) così come la traccia regina di questo lavoro, Can’t Stop The Rock, hard rock melodico a stelle strisce, che entra nella testa ipnotizzandoci e vi avverto, continuerete ad ascoltarla fino alla sfinimento.
Un album bellissimo, AOR nella sua massima espressione con ospiti internazionali, ma orgogliosamente tricolore nella sua creazione, un piccolo capolavoro da non lasciarsi assolutamente sfuggire.

TRACKLIST
01. Highway Of Love (feat. Erik Martensson)
02. Amy (feat. Harry Hess)
03. Strong Enough (feat. Robbie LaBlanc)
04. Heaven’s Path (strumentale)
05. Heat Of The Light (feat. Robin Beck)
06. Can’t Stop The Rock (feat. Mikael Erlandsson)
07. The Meaning Of My Lonely Words (feat. Michael Shotton)
08. The Infinity In Us (feat. Michael Voss)
09. Still In Your Heart (feat. Bob Harris & Sue Willetts)
10. Homeless’ Lullaby (feat. Carsten “Lizard” Schulz & Ulrich Carlsson)
11. Follow the Stars (feat. Phil Vincent)
12. Unbreakable Wire (feat. Jack Meille, Bruno Kraler, Graziano De Murtas & Alessandro Del Vecchio)
13. This Is Our Life (feat. The Italian Rock Gang – BONUS TRACK ESCLUSIVA)
14. Under Silent Walls Part I – Blossom: From Night to Dawn (strumentale)
15. Under Silent Walls Part II – Alone (feat. Michael Bormann)
16. Under Silent Walls Part III – Overture: Death of Cupid (strumentale)

LINE-UP
Pierpaolo “Zorro11” Monti – Drums & Percussion
Amos Monti – Bass
Alessandro Del Vecchio – Keybs & Vocals
Marco “Dandy” D’Andrea – Guitars
Mario Percudani – Guitars

Bob Harris (Axe, Edge Of Forever)
Brian LaBlanc (Blanc Faces)
Brunorock
Carsten “Lizard” Schulz (Evidence One, Domain, Midnite Club)
Douglas R. Docker (Biloxi, Docker’s Guild)
Elisa Paganelli
Enrico Sarzi (Midnite Sun)
Erik Martensson (Eclipse, W.E.T.)
Frank Law (The Pythons)
Gabriele Gozzi (Markonee)
Graziano “Il Conte” De Murtas (Wine Spirit)
Ivan Varsi
Harry Hess (Harem Scarem)
Jacopo Meille (Tygers Of Pan Tang, Mantra, Fool’s Moon)
Johan Bergquist (Elevener, M.ill.ion)
Josh Zighetti (Hungryheart)
Luke Marsilio (Lizhard)
Marco Tansini (Big Sur)
Marco Sivo (Planethard)
Marko Pavic
Matt Albarelli (Homerun)
Matt Filippini (Moonstone Project)
Michael Bormann (Rain, Charade, Jaded Heart, The Trophy, Redrum, Zeno)
Michael Shotton (Von Groove, Airtime)
Michael T. Ross (Hardline, Lita Ford, Angel)
Michael Voss (Mad Max, Voices Of Rock, Casanova, Demon Drive)
Mikael Erlandsson (Last Autumn’s Dream, Salute)
Phil Vincent (Tragik, Circular Logik)
Robbie LaBlanc (Blanc Faces)
Robin Beck
Sue Willetts (Dante Fox)
Tank Palamara (The Lovecrave, Oxido)
Tim Manford (Dante Fox)
Tommy Ermolli (Khymera)
Ulrich Carlsson (M.ill.ion)
Vinny Burns (Dare, Ten, Asia)
Walter Caliaro (Edge Of Forever)

SHINING LINE – Facebook

Septem – Living Storm

I Septem fanno metal con il cuore e non con il mixer o con le pose, perché la loro musica di metallari inveterati parla direttamente al cuore, muovendo le corde del metallico amore, e se ascolterete questo disco capirete cosa voglio dire.

Per i metallari più attenti e vogliosi di nuove sonorità e di gruppi meritevoli, i Septem avevano già colpito al cuore con il precedente album omonimo che era stata una delle migliori uscite del 2013.

Con questo Living Storm, i Septem si superano e pubblicano un grandissimo disco di heavy metal che viene dal cuore, mantenendo ben salde le radici e innovando anche tra NWOBHM e i migliori In Flames, ma andando oltre le ultime uscite degli svedesi. La voce di Daniele Armanini ci porta lontano verso un’epicità sicuramente estranea a questa nostra società. Il gruppo suona compatto e coordinato come un’orchestra, prodotto in maniera eccellente da Tommy Talamanca ai Nadir Studios. I Septem cambiano più volte registro musicale all’interno della stessa canzone, e la loro bravura tecnica e compositiva li porta ad esplorare diversi luoghi musicali. In Living Storm troviamo l’heavy metal inglese degli anni ottanta così come i fondamentali Helloween, ma si ascolta anche un suono risalente alla moderna scuola svedese, oltre ad una straordinaria melodia che è tutta dei Septem. Il disco è davvero godibile e ha dei momenti in cui si viene trasportati lontano. Una delle cose che colpiva maggiormente del disco precedente era stata scoprire che i Septem fanno metal con il cuore e non con il mixer o con le pose, perché la loro musica di metallari inveterati parla direttamente al cuore, muovendo le corde del metallico amore, e se ascolterete questo disco capirete cosa voglio dire. Rispetto al disco d’esordio questo Living Storm è, come promette il titolo, più brutale e veloce ed è ancora, come accaduto per il precedente disco, una delle migliori uscite dell’anno. Questi ragazzi parleranno al vostro cuore metallico, ascoltateli.

TRACKLIST
1. Lord of the Wasteland
2. Living Storm
3. Midnight Sky
4. Milestones
5. Cielo Drive
6. Waiting for Dawn
7. Montezuma II
8. The Crystal Prison

LINE-UP
Daniele Armanini – vocals
Francesco Scontrini – guitar, vocals
Enrico Montaperto – guitar
Andrea Albericci – bass guitar
Matteo Gigli – drums

SEPTEM – Facebook

CARVED

In occasione dell’uscita del nuovo album “Kyrie Eleison”, i Carved rilasciano il videoclip del brano “Lilith”

In occasione dell’uscita del nuovo album “Kyrie Eleison”, i Carved rilasciano il videoclip del brano “Lilith”

“Lilith rappresenta il ricordo del Protagonista della figura femminile del Dies Irae. Il testo, in modo un pò incazzato e un pò folle, è la nostalgia di questa presenza femminile nella propria vita e la nostalgia di un desiderio perduto.
Nel video abbiamo voluto creare una fotografia onirica che raffigurasse metaforicamente Lilith in questa figura femminile danzante; Lilith è ricordo, Lilith è memoria, Lilith è Tempesta, e abbiamo giocato sulla bivalenza passato/presente, bambina/adulta: una bambina libera e tempestosa come è Lilith, che crescendo resta intrappolata e controllata da fili rossi mossi dal protagonista del concept nel suo momento di mutazione da vittima a carnefice, e torna ad essere libera e nella sua natura quando il protagonista taglia i fili rossi nel suo percorso di redenzione.”

Potete ascoltare “Kyrie Eleison” su SPOTIFY

Seguite la band su Facebook

PTSD

Una canzone dei PTSD farà parte della colonna sonora del nuovo film di Richard Terrasi.

Per il nuovo film di Richard Terrasi”Dark Side Of The Moon”, in uscita il 3 novembre per la Dark Vision Films, il regista statunitense ha scelto la canzone dei PTSD “Event Horizon” tra quelle che faranno parte della soundtrack.

Henry Guy, frontman della band, spiega: “E’ un grande onore per noi che un regista, così importante nella scena underground degli USA, abbia pensato ai PTSD per il suo nuovo film. Richard è un grande professionista, i suoi film sono visionari e fantastici, ed inoltre è anche una splendida persona.”

Per l’occasione lo stesso Terrasi ha diretto il videoclip della canzone utilizzando diverse scene del film, ottenendo un risultato eccellente.

Nel frattempo i PTSD stanno registrando il nuovo album che uscirà nella prossima primavera. Con la nuova line-up, che comprende Andrea Rabuini alla batteria (già con Dope Stars Inc., Ephel Duath e Infernal Poetry), Henry Guy alla voce, Jem alla chitarra e Edge al basso, le registrazioni di questo nuovo album stanno procedendo al meglio e si può affermare che le canzoni saranno le migliori e più dinamiche mai composte dai PTSD.
Tenete d’occhio gli aggiornamenti sulla band !!!

MY KINGDOM MUSIC
PTSD
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