Killin’ Baudelaire – It Tastes Like Sugar

Ora sta a voi lasciarvi ammaliare musicalmente dalle Killin’ Baudelaire, aspettando nuovi sviluppi e godendovi questo ottimo It Tastes Like Sugar.

Quattro brani bastano per entrare nei cuori dei giovani ascoltatori cresciuti ad alternative rock ?
Ascoltando questo primo ep delle Killin’ Baudelaire direi di si.

Le quattro bellissime (ma non solo) musiciste, debuttano con addosso gli occhi puntati degli addetti ai lavori: il loro It Tastes Like Sugar sta creando molte aspettative, assolutamente ben riposte visto il potenziale altissimo dei brani racchiusi nell’ep.
Prodotta da Titta Morganti, la band si destreggia tra la materia alternative con ottima padronanza del sound ed un buon uso dei ferri del mestiere: è un rock che non manca di graffiare, partendo da lontano e assumendo l’indole stradaiola infarcita di soluzione metalliche, ma nel suo viaggio lungo il nuovo millennio si riveste di soluzioni alternative, rendendosi appetibile a più palati, ed esaltandosi con melodie catchy, refrain ruffiani e tanto appeal.
In verità le tracce inedite sono tre (Summertime Sadness è la cover di un brano di Lana Del Rey) e letteralmente fanno faville con chorus perfettamente incastonati nel rock che si incendia di liquido metallico, ritmi che lasciano al groove il comando delle operazioni e chitarre che non lasciano dubbi sulla voglia di lasciare il segno del quartetto.
Aggiungete un monicker originale, un titolo che lascia alla fantasia di ognuno di noi la giusta interpretazione su un argomento delicato come l’amore (“è‘ un gioco di parole che lega immediatamente all’immagine, ma che secondariamente vuole riferirsi al concetto dell’Amore. Un Amore che si supponga sappia di zucchero, ma che come ogni umana manifestazione, possiede anche un lato oscuro…”), ed il gioco è fatto.
Ora sta a voi lasciarvi ammaliare (musicalmente) dalle Killin’ Baudelaire, aspettando nuovi sviluppi e godendovi questo ottimo It Tastes Like Sugar.

TRACKLIST
1. Wasted
2. The Way She Wants
3. Summertime Sadness (Lana Del Rey Cover)
4. Riddle

LINE-UP
Gloria Signoria – Vocals and Bass
Martina Nixe Riva – Guitar
Francesca Bernasconi – Guitar
Martina Cleo Ungarelli – Drums and Vocals

KILLIN’ BAUDELAIRE – Facebook

KILLIN’ BAUDELAIRE

Il nuovo “It Tastes Like Sugar”: Tracklist e copertina dell’EP

“La mia mano ad inviarvi un Profeta s’appresta
Che a vivere v’insegni, spartisca i vostri lutti.
Il suo Verbo farà della vita una festa.
Se l’alta sua saggezza vi sembrerà molesta,
Poveri derelitti, soccomberete tutti.”
Charles Baudelaire – La pipa della pace, II

Le KILLIN’ BAUDELAIRE rivelano i dettagli del loro primo EP “It Tastes Like Sugar”. Svelate tracklist e copertina del primo lavoro in studio della nuova formazione tutta al femminile. Registrato presso i Magnitude Studios di Seregno (MB), l’EP d’esordio vanta la produzione artistica di Titta Morganti (Mellowtoy), ed uscirà il prossimo 14 ottobre per Bagana Records.

“It Tastes Like Sugar”, “Sa di zucchero” è strettamente collegato all’immagine simbolica scelta in copertina ed al concetto che essa rappresenta.
E’ un gioco di parole che lega immediatamente all’immagine, ma che secondariamente vuole riferirsi al concetto dell’Amore. Un Amore che si supponga sappia di zucchero, ma che come ogni umana manifestazione, possiede anche un lato oscuro…

Questa la tracklist:
01. Wasted
02. The Way She Wants
03. Summertime Sadness (Lana Del Rey Cover)
04. Riddle

Le Killin’ Baudelaire sono quattro ragazze che unendo rock e metal alternativo alla passione per la letteratura, hanno dato vita a questo nuovissimo progetto.
Il primo singolo “Wasted” ha ottenuto migliaia di visualizzazioni in una sola settimana, spazio su diverse testate di rilievo (tra cui Metalitalia, Metallus, Metal In Italy, SpazioRock), su Radio Lombardia (LineaRock con Marco Garavelli) e sul network Sky.

Online il teaser del nuovo video Summertime Sadness, cover di Lana Del Rey, in uscita nei prossimi giorni

I prossimi appuntamenti live delle Killin’ Baudelaire:
Sabato 01 Ottobre – Modena Metal Ink, Modena www.facebook.com/events/1713687822230238
Venerdì 11 Novembre – Angelo Azzurro, Genova www.facebook.com/events/299151167130662

BLACK STAR FURIES

Il nuovo video di “LA81”

I BLACK STAR FURIES hanno pubblicato da poco il loro nuovo album “Vamp In Paradise” e, dopo un tour di successo in Russia ad inizio settembre, si apprestano a tornare on stage sui palchi italiani. In occasione della prima data alle Officine Sonore di Vercelli, la band rilascia oggi il nuovo video del brano “LA81”.

BLACK STAR FURIES – “LA81” Official Video ->

“Il video è deliberatamente retrò in stile 80’s, con chiari riferimenti nel testo e nel video stesso alla scena losangelina proprio del 1981. All’inizio William, il cantante della band, è disgustato dall’attuale scena musicale mostrata in TV nel 2016, mentre alla fine i Black Star Furies si ritrovano nel 1981 headliner al famoso Whiskey A Go Go di West Hollywood”

Ricordiamo le date del VAMP IN PARADISE TOUR:
24 Settembre @ Officine Sonore, Vercelli (+Requiem) – Evento FB
28 Ottobre @ Il Blocco Music Hall, San Giovanni Lupatoto (VR) (+Requiem) – Evento FB
31 Ottobre @ Tesla, Molfetta (BA)
05 Novembre @ Alchemica, Bologna – Evento FB
19 Novembre @ Rock’n’Roll, Rho (MI) – Evento FB

“Vamp In Paradise” è stato registrato da Gianluca “Amen” Amendolara ai Crono Sound Factory. I brani sono stati scritti da William Baxter, con arrangiamenti della band al completo; artwork e immagini a cura di di Sabrina Sanguedolce, Dr “NOK” Nikk, Mr. Teko e Carla Goddi.

Tracklist:
01 Vamp in Paradise
02 Piece of your Action
03 Shirley
04 69
05 Doze
06 Last Kiss
07 L.A. 81
08 Falling Down
09 1977
10 Religion
11 Liz
12 No Fear
13 Gaza Strip
14 Relax

MINDAHEAD

Il debut album “Reflections” in uscita via Revalve Records il 18 Novembre

I MindAhead presentano il Lyric video di “Mind Control”:

brano estratto dal loro debut album “Reflections” , masterizzato ai Domination studio di Simone Mularoni
e in uscita via Revalve Records il 18 Novembre 2016.
“Reflections” è un concept album di 11 brani ambientato in uno scenario fantascientifico:
“Nei Campi di Controllo della Mente il tempo sembrava essersi fermato all’ultima Grande Guerra;
il progetto di recupero informazioni non era terminato del tutto, la macchina adibita a tale compito era ormai vecchia ed il soggetto collegato ad essa,#6119, cercava di resistere alle allucinazioni causate dagli innesti di falsi ricordi e di false emozioni…”

l’anteprima dell’album su: www.revalverecords.com

Seguite la band su FAcebook

Kypck – Zero

Un lavoro che non fa altro che rafforzare la meritata fama raggiunta dai Kypck.

Quando nel 2008 uscì l’album d’esordio Cherno, i Kypck forse non vennero presi da tutti abbastanza sul serio per diversi motivi: intanto, perché dei finlandesi dovrebbero cantare in russo ed utilizzare l’alfabeto cirillico per il monicker ed i titoli dell’album e delle canzoni? Inoltre che ci fa uno come Sami Lopakka (ex-Sentenced) in una band che suona un doom greve come pochi ?

Quesiti fondati che il tempo ha dissipato fornendo ampie risposte: i suddetti Kypck sono una band che è stata capace nel tempo di creare un proprio marchio e, soprattutto, una forma di doom comunque personale e riconoscibile, non solo per la lingua utilizzata. Per quanto riguarda la partecipazione di Lopakka, a posteriori è apparso chiaro a tutti che su questo progetto il chitarrista aveva puntato seriamente fin da subito, e dal 2011 la presenza di ex-Sentenced in formazione si è raddoppiata con l’ingresso dell’altro Sami, Kukkohovi, ai tempi bassista e qui seconda chitarra, visto che l’ossessivo basso ad una corda viene maltrattato da J. T. Ylä-Rautio. A completare il quintetto vi sono il batterista A.K. Karihtala, anch’egli con un passato illustre nei disciolti Charon, e soprattutto il cantante Erkki Seppänen (Dreamtale), portatore sano del verbo sovietico con la sua padronanza della lingua.
Dopo quattro full length che hanno visto aumentare il seguito della band, in Russia ovviamente, ma non solo, l’autunno del 2016 è il momento dell’uscita di Зеро (Zero), un lavoro che non fa altro che rafforzare la meritata fama raggiunta dai nostri.
Partendo da un immaginario abbondantemente indirizzato dal monicker (la traslitterazione è Kursk, ovvero la città sede della più grande battaglia tra carri armati della seconda guerra mondiale, ma anche il nome del sommergibile atomico che nel 2000 si trasformò in un enorme bara sottomarina per oltre cento sventurati), il sound dei Kypck è quindi un doom che, se per certi versi appare vicino alla tradizione, dall’altra mantiene un’inquietudine di fondo che lo avvicina, solo emotivamente, al funeral. Un contributo decisivo al senso di oppressione provocato dal sound dei finnici lo offre l’esasperato ribassamento delle accordature simboleggiato dal basso monocorde di Ylä-Rautio, grazie al quale le numerose parvenze melodiche assumono un’aura alquanto sinistra .
Proprio il suo porsi in una sorta di terra di mezzo tra il doom di stampo classico e quello estremo è mio avviso la forza dei Kypck, assieme al fatto di far dimenticare fin dalla prima nota che la band non è russa, tale e tanta la sua immedesimazione nella parte.
Emblematica, per solennità e potenziale evocativo, è una canzone come Mne otmshchenie, forse la migliore del lotto assieme all’iniziale e leggerissimamente più orecchiabile Ya svoboden (non a caso scelta per accompagnarvi un video) e alla conclusiva Belaya smert, ma in fondo è il disco nel suo insieme a mostrare una compattezza sorprendente, risultando avvincente dalla prima all’ultima nota.
Non un lavoro facile, Zero, e forse non piacerà neppure a diversi adepti del doom in virtù proprio del suo oscillare tra sonorità sabbathiane esasperate all’ennesima potenza e pulsioni estreme di fatto inibite, quasi venissero lasciate implodere all’interno di un sound che resta costantemente minaccioso.
Un disco affascinante ma non per tutti, l‘unico dato certo è che i Kypck sono una band magnifica, altro non c’è da aggiungere.

Tracklist:
01. Ya svoboden [I Am Free]
02. 2017
03. Mne otmshchenie [Vengeance Is Mine]
04. Progulka po Neve [Stroll by the Banks of Neva]
05. Na nebe vizhu ya litso [I See a Face in the Sky]
06. Moya zhizn [My Life]
07. Poslednii tur [The Last Tour]
08. Rusofob [Russophobe]
09. Baikal
10. Belaya smert [White Death]

Line-up:
J. T. Ylä-Rautio – Bass
S. S. Lopakka – Guitars
E. Seppänen – Vocals
A.K. Karihtala – Drums
S. Kukkohovi – Guitars

KYPCK – Facebook

Torrefy – The Infinity Complex

Continua così il viaggio del gruppo tra thrash, death, black e metal classico, una conferma ed un gradito ritorno

A distanza di due anni dal primo lavoro (Thrash And Burn), recensito dal sottoscritto sulle pagine di iyezine, tornano più spietati che mai i canadesi Torrefy, thrash band di Victoria.

Anche The Infinity Complex, come già il primo album, risulta una cascata di note estreme che se dal thrash di scuola europea prende molte caratteristiche ha in sé un’anima evil che, estremizza il sound quel tanto che basta per avvicinarlo a tratti al death melodico.
Un ibrido non male, ancora più accentuato in questo lavoro, una lunga discesa (più di un’ora) nei meandri del thrash metal old school, accompagnata dalla voce estrema del buon John Ferguson, cattivissima ed indemoniata.
Rispetto alla prima produzione il sound si è ancora più estremizzato, raggiungendo picchi estremi notevoli, il gruppo sembra aver trovato definitivamente la sua strada, per arrivare alle porte dell’inferno.
Quelle che una volta erano parti ritmiche potenti, ma col freno a mono leggermente tirato, ora si sono trasformate in furiose e velocissime cavalcate thrash, arrembanti e senza compromessi.
Molto migliorati sotto l’aspetto puramente tecnico, i Torrefy non si limitano a distruggere, ma inanellano una serie di brani dal massacro assicurato e chirurgici, specialmente nel lavoro delle due asce con riff e solos che non lasciano tregua.
Unico difetto, se mi si concede, è una prolissità di fondo che nel genere rischia di far faticare troppo gli ascoltatori distratti, le pause non mancano, ma il minutaggio dai brani che mantiene una media sui sei/sette minuti, per il genere si può considerare una scelta coraggiosa ma pericolosa.
Un peccato, perché a ben sentire sono le tracce più lunghe quelle che esprimono tutta la qualità del gruppo canadese: Hypochongea, Blinding the Beholder e Celestial Warfare dal mood che rasenta il black metal, sono il cuore e l’anima malvagia di The Infinity Complex.
Continua così il viaggio del gruppo tra thrash, death, black e metal classico, una conferma ed un gradito ritorno, se non avrete fretta e vi farete coinvolgere dal sound della band canadese, The Infinity Complex sarà senza dubbio un ottimo ascolto.

TRACKLIST
1. Planck Epoch
2. The Singularity
3. Hypochongea
4. Blinding the Beholder
5. Thrashist Dictator
6. Killed to Death
7. Infinity Complex
8. Celestial Warfare
9. Trial by Stone

LINE-UP
Simon Smith – Bass
Daniel Laughy – Drums
Adam Henry – Guitars (lead)
Ben Gerencser – Guitars (rhythm)
John Ferguson – Vocals

TORREFY – Facebook

Slikk Wikked – Savage

Una bella mazzata heavy thrash classicamente old school, ma con tutte le carte in regola per piacere agli amanti del genere.

Suonare thrash metal e provenire da Tampa (Florida) è un po’ come giocare a calcio e sul passaporto avere il timbro brasiliano, una garanzia molte volte supportata dai fatti.

Gli Slikk Wikked confermano questa regola e danno alle stampe il loro primo lavoro autoprodotto, una bella mazzata heavy thrash classicamente old school, ma con tutte le carte in regola per piacere agli amanti del genere.
Un gruppo relativamente giovane, i quattro leoni statunitensi, a costituire un branco di felini famelici da solo cinque anni e con un ep alle spalle dello scorso anno, quanto basta per tornare in pista con Savage e cominciare la caccia grossa ai thrashers sparsi per il mondo, con questa dimostrazione di forza che, dalla title track in poi non trova ostacoli.
Le canzoni infatti non lasciano spazio all’immaginazione, sono pugni in pieno volto fatti di accelerazioni, mid tempo, un’attitudine thrash made in Bay Area che colpisce al bersaglio grosso e regala ottima musica metal come si faceva a cavallo tra il decennio ottantiano e quello successivo.
Piazzo lì tre nomi : Metallica, Exodus e Testament: alla band piace vincere facile, così che le sonorità espresse in brani devastanti come Death Never Rests, In My Blood, Like In Addiction (con quel basso che pompa sangue metallico) e On The Rocks non potranno che fare proseliti tra i fans dei gruppi in questione.
Prodotto adeguatamente per valorizzare il lavoro dei musicisti, Savage risulta un gran bel debutto, forte di una raccolta di brani che non cede di un passo, d’altronde la scuola frequentata dagli Slikk Wikked è la migliore in circolazione e, come un centravanti arrivato nella vostra squadra del cuore, saprà esaltarvi a dovere.

TRACKLIST
1. Equinox
2. Savage
3. Death Never Rests
4. In My Blood
5. Smokin’ with El Diablo
6. Ascent to Madness
7. Dead in My Eyes
8. Use Your Head
9. On the Rocks
10. Until the End
11. Don’t Push Your Luck
12. Like an Addiction
13. When Angels Cry
14. Solstice

LINE-UP
Zakk Thrash – Vocals, Guitars
Nasty Pat – Bass, Vocals
Handsome Kris – Drums
Kyle Fuckin Smith – Guitars

SLIKK WIKKED – Facebook

HASTUR

In ottobre verrà rilasciato il full lenght CD “The Black River”

Nuova uscita targata Black Tears.
In ottobre verrà rilasciato il full lenght CD “The Black River” degli HASTUR, Death Metal band di Genova, che annovera fra le sue fila ex-membri dei Sacradis.
Il full lenght segue a una ventina d’anni di distanza il MCD d’esordio “Macabre execution” uscita per Beyond Prod.
“The Black River” contiene nove brani di old school death metal.
La nuova line-up è un quartetto, che annovera alla chitarra/voce, e al basso due ex membri dei Sacradis, band Black Metal che ha realizzato vari albums per Black Tears e Behemoth Prod.
Black Tears ha rivelato l’artwork e la tracklist dei nove brani che andranno a formare questo full-length:
01 – Black River. 02 – Consumer of Souls. 03 – Infamous. 04 – Possessed. 05 – The Clock of Evil. 06 – Hate Christians. 07 – Brain Buried. 08 – Prisoner of Christ. 09 – Purgatory.
Inoltre un preascolto è possibile tramite il trailer ufficiale:

www.blacktears.it

ACID MUFFIN

Il nuovo album Bloop per Valery Records

ACID MUFFIN: NUOVO ALBUM “BLOOP”

Valery Records e V-Promotion sono orgogliosi di annunciare la pubblicazione dell’album “Bloop”degli Acid Muffin.
Gli Acid Muffin sono un power trio rock sperimentale e melodico, ispirato dal sound Alternative e Grunge degli anni 90.
La band, composta da Marco Pasqualucci alla chitarra e alla voce, Grabiel Alvarez al basso e ai cori e Andrea Latini alla batteria, nasce con la registrazione di una demo nel 2012 e l’anno successivo dà alla luce il suo primo progetto ufficiale “Nameless”, un EP di cinque tracce in cui si mescolano sonorità derivanti dalla pura tradizione Grunge ad altre orientate verso un’atmosfera Post Rock. Dopo un’intensa attività live in tutta Italia, che porta la band ad aprire per Arcane Roots, Il Teatro Degli Orrori, L7 e altri artisti internazionali, gli Acid Muffin tornano in studio per lavorare al primo full-length intitolato “Bloop”.
Il nuovo sound risulta maestoso e teatrale, surreale e graffiante. Un sottile equilibrio tra Post Rock e Alternative Rock dal gusto assolutamente moderno e innovativo.

Il nuovo album “Bloop”, sarà pubblicato il 28 Ottobre 2016 su etichetta Valery Records, distribuito in Italia da Audioglobe e disponibile su Itunes.

Oltre alle tante date live della band in via di conferma, qui di seguito quelle già confermatein collaborazione con K2Music:

• 17 Settembre 2016: Unplugged @ I Love Rock’ n’ Roll – Parco del Cavaticcio – Bologna

• 24 Settembre 2016: Dog’ n’ Roll IX Edizione – Musica e Solidarietà’
@ Punkrazio – Pomezia (Roma)
Serata a sostegno dei volontari dell’’ass. cinofila Marilu’

• 9 Novembre 2016: Legend Club – Milano

• 10 Novembre 2016: Officina degli Angeli Music Club – Verona

• 11 Novembre: Sidro Club – Savignano sul Rubicone (FC)

• 12 Novembre 2016: Borderline – Pisa

• 13 Novembre 2016: Blah Blah – Torino

Krypts – Remnants of Expansion

La quintessenza della malignità che si fa musica e autentica colonna sonora delle più terrorizzanti evocazioni lovecraftiane

Ecco, quando qualcuno, incuriosito dalle nostre strambe (per lui …) preferenze musicali, ci chiedesse di fargli ascoltare qualcosa, per esempio, definibile come death doom, questo nuovo album dei Krypts sarebbe perfetto.

Lontano dall’indole malinconica e consolatoria della sua frangia melodica, il genere interpretato dal gruppo finlandese diviene la quintessenza della malignità che si fa musica e autentica colonna sonora delle più terrorizzanti evocazioni lovecraftiane, tanto che il nostro ipotetico interlocutore ne resterà forse irrimediabilmente attratto oppure, molto più probabilmente, dal giorno dopo ci eviterà come la peste …
Una magnifica Arrow Of Entropy apre un lavoro che, fin dalle prime note, fa capire che non deluderà, attirandoci fatalmente nei propri abissi in cui funesto vate si rivela Antti Kotiranta (anche al basso), con il suo growl impietoso; i suoi degni compari Otso Ukkonen (batteria), Ville Snicker e Jukka Aho (chitarre) lo assecondano con il loro maelstrom sonoro che miscela Morbid Angel, Incantation e Asphyx da una parte, ed Evoken, Thergothon e Colosseum dall’altra.
Il risultato è un monolite dai tratti spaventosi il cui nome è comunque Krypts, al di là di ogni possibile riferimento passato e presente; a differenza di tanti tentativi, lodevoli ma spesso fallaci, di riportare a galla queste sonorità che trovarono linfa nei ’90 soprattutto, i quattro finnici non si limitano certo a sbraitare in un microfono su un tappeto sonoro ruvido, essenziale e spesso prodotto alla bell’e meglio: Remnants of Expansion è lo stato dell’arte del death doom ed ha un solo difetto, quello di durare appena mezz’ora, anche se per la sua veemenza in realtà appare molto più lungo.
I nostri non sono affatto solo dei biechi macinatori di riff assassini, ma sanno infatti creare atmosfere sospese ma disturbanti né più né meno di quando, con grande sapienza, erigono muraglie sonore di rara densità.
Come detto, in poco più di mezz’ora Remnants of Expansion compie il proprio annichilente percorso di morte, lasciando storditi per un intensità che va ben oltre la mera potenza esecutiva: non c’è una sola nota superflua in questa opera mefitica, ma ritengo Entrailed To The Breaking Wheel uno dei migliori brani che il genere ci ha offerto nel nuovo secolo, esibendo in poco più di cinque minuti il contenuto virtuale di un’ora di musica.
Nient’altro da dire, resta solo da calarsi con i Kyrpts in putridi meandri che la loro musica rende tangibili come il solitario di Providence riusciva a fare, circa un secolo fa, grazie alla sua tormentata penna …

Tracklist:
1. Arrow Of Entropy
2. The Withering Titan
3. Remnants Of Expansion
4. Entrailed To The Breaking Wheel
5. Transfixed

Line-up:
Otso Ukkonen – Drums
Ville Snicker – Guitars
Antti Kotiranta – Vocals, Bass
Jukka Aho – Guitars

KRYPTS – Facebook

Alter Bridge – The Last Hero

Gli Alter Bridge sono candidati ad essere LA grande band Hard Rock / Heavy Metal del futuro che molti stavano aspettando.

Giunti al loro quinto lavoro gli Alter Bridge hanno dato vita a uno dei migliori album degli ultimi tempi, innalzando ulteriormente la già grande qualità dimostrata nei lavori precedenti.

Un monumentale e intenso assolo di Mark Tremonti introduce questo The Last Hero, e si comincia a viaggiare alla grande con Show Me a Leader, primo azzeccatissimo singolo. Introdotta da un ritmo militaresco The Writing on the Wall si abbatte sul mio apparato uditivo con tutta la sua pesantezza, e il muro di suono prodotto è deliziosamente devastante. La schiacciasassi The Other Side non dà tregua, la sezione ritmica tritura con gusto e grande perizia, il piacere e l’adrenalina si mantengono altissimi. Ascoltate il passaggio prima del finale, impressionante, cupo e… a questo punto sono già estaticamente frantumato. My Champion emoziona con l’interpretazione molto sentita, ed è semplicemente fantastica la modernissima Poison In Your Veins, che potrebbe far storcere il naso ai puristi, ma groove e melodia sono irresistibili. Un Tremonti killer e inesorabile sulle parti soliste, eseguite con estrema naturalezza, elettrizza questo rullo compressore accompagnato da una prestazione corale spaziale. Cradle to the Grave è una song un po’ tenebrosa, trasmette (sempre energicamente!) una sconsolata malinconia come a sottolineare la sensazione che il tempo a nostra disposizione stia trascorrendo invano. Losing Patience strizza l’occhio al Djent e come un mare possente scuote anima e corpo. This Side of Fate, 6 minuti e 47 secondi nei quali il mix oculatissimo di efficaci e melodici arpeggi intervallati alla parte centrale heavy-post-math. Una grande qualità degli AB è che sanno essere straripanti grazie a composizioni d’insieme, mai esasperando le comunque forti individualità. You Will Be Remembered mostra il lato più melodico e riflessivo del magico quartetto, poi ci travolge la valanga d’acciaio di Crows on a Wire con un Myles stellare che raggiunge vette incredibili, da vero acrobata delle corde vocali. I fraseggi chitarristici in Twilight hanno un taglio meno compatto, ma ancora un altro pezzo di ottima fattura. Il riff di apertura Island Of Fools è heavy-carneficina. The Last Hero si alterna tra la bellissima melodia portante e riff/solo cazzuti, e Myles che urla “Tell me, where are the heroes?”. Un altro gioiello incastonato nella storia della band statunitense.
Quest’album è un ulteriore passo in avanti, e personalmente ritengo che siano proprio gli AB gli ultimi (nostri) eroi giunti felicemente sulla scena. Disco orecchiabile, ma sempre heavy, moderno, dinamico, dove tecnica e feeling raggiungono vette altissime.
Sono stati definiti hard rock, prog metal, post-grunge, ecc… chi se ne fotte. Abbiamo a che fare con una delle più importanti band degli anni 2000 e credo fermamente che gli AB siano candidati ad essere LA grande band hardr ock / heavy metal del futuro che molti stavano aspettando. Goduria.

TRACKLIST
1. Show Me A Leader
2. The Writing on the Wall
3. The Other Side
4. My Champion
5. Poison In Your Veins
6. Cradle To The Grave
7. Losing Patience
8. This Side of Fate
9. You Will Be Remembered
10. Crows On A Wire
11. Twilight
12. Island of Fools
13. The Last Hero
14. Last of Our Kind (Bonus Track)

LINE-UP
Myles Kennedy – Lead Vocals / Guitar
Mark Tremonti – Lead Guitar / Back-up Vocals
Mark Kelly – Keyboards
Brian Marshall – Bass Guitar
Scott Phillips – Drums

ALTER BRIDGE – Facebook

Stryctnyne – Unfinished Business

Unfinished Business continua fino all’ultima canzone ad alternare metal e hard rock

Strana storia quella degli Stryctnyne, band statunitense fondata dal bassista Samson James e dal chitarrista Grandma Cyco addirittura nel bel mezzo degli anni ottanta, con due demo all’attivo tra il 1990 e l’anno successivo e poi un lungo letargo che porta al risveglio nel 2013 con una compilation e a questo primo lavoro sulla lunga distanza che esce su per giù a distanza di trent’anni dall’inizio delle ostilità.

Unfinished Business quindi si può considerare in toto come un ritorno del gruppo newyorkese, finalmente sul mercato con il suo hard & heavy che se a tratti si può considerare scolastico, non manca di farsi apprezzare per il buon lavoro in fase di creazione, un’attitudine che rivolge lo sguardo tanto al metal classico (Accept) quanto all’hard rock nato nella terra dei canguri (Ac/Dc) e legato ad un certo modo di fare rock’n’roll maschio, ignorante e senza compromessi.
La voce rude, da polveroso motociclista appena sceso dal suo cavallo d’acciaio di ritorno da un giro per la Route 66, di Siren Scac ci porta nell’America on the road, sempre in bilico tra l’heavy metal e l’hard rock, la chitarra sputa saliva impolverata dalla sabbia del deserto, mentre Blasphemer risulta un’opener atipica per l’album, interpretata dal singer con toni vicini al growl, dalle ritmiche sabbathiane e dai solos che sono filmini metallici all’orizzonte.
Ottima apertura, non fosse che dalla seconda traccia l’album cambia registri, gli umori si fanno rock, ruvidi, pesanti, ma pur sempre devoti al rock, e bisogna arrivare al brano numero sette (Satan’s Ride) per ritornare alle sonorità classic doom metal dell’inizio.
Bellissima Thunder Godz che, a dispetto di un titolo super metallico, risulta un rock’n’roll intriso di southern rock, trascinante e splendidamente U.S.A.
Unfinished Business continua fino all’ultima canzone ad alternare metal e hard rock, risultando vario, mentre col tempo le tracce intrise di spirito ribelle hanno la meglio su quelle più orientate al metal tout court.
In generale un buon ritorno per il gruppo di Long Island, che si fa ascoltare e diverte, onesto nel portare avanti una proposta old school fregandosene altamente di mode e music biz, promossi.

TRACKLIST
1. Blasphemer
2. Last Rite
3. Kill or Be Killed
4. Line Them Up
5. Hammer Down
6. Reality
7. Satan’s Ride
8. Thunder Godz
9. Turn the Power On
10. Witches Hunt
11. The Power and the Glory
12. Keeper’s of the Secret

LINE-UP
Samson James – Bass
Jack Hammer – Drums
Grandma Cyco – Guitars
Siren Scac – Vocals

STRYCTNYNE . Facebook

Verberis – Vexamen

Dieci canzoni che ci riportano all’essenza del death metal, e ci fanno conoscere un gruppo notevole.

Continua dagli antipodi una rumorosa invasione metallica.

Questa volta è il turno dei Verberis, gruppo dedito ad un death metal grezzo e potente che vi perseguiterà senza tregua. Nel 2014 hanno esordito su Iron Bonehaed con il demo Vastitas, che era già pieno delle loro intenzioni,m ovvero, quella di fare un death metal semplice e classico, potente senza avere sovra produzioni. Le loro canzoni sono dinamiche come un vortice di anime perdute, con momenti mid tempo che rendono migliore il tutto. Oltre a seguire i dettami del death metal classico i neozelandesi sono molto bravi sopratutto nel creare un atmosfera che raramente si può ascoltare nei dischi attuali. Con poco i Verberis riescono a fare moltissimo, producendo un album notevole, sia per intensità che per resa. Si sente molto nitidamente che i Verberis hanno fra loro una grande alchimia, che li porta a fare un ottimo death metal. Quest’ultimo è un genere che ha già visto quasi tutto, e che piace così come è, e i Verberis dimostrano che ci sono gruppi validi, che portano avanti il discorso. Il death metal inoltre è un genere che non conoscendo mode, si auto riproduce continuando a fare rumore col passare degli anni. Dieci canzoni che ci riportano all’essenza del death metal, e ci fanno conoscere un gruppo notevole.

TRACKLIST
1.Thanatosia”
2.The Primordial Rift”
3.Vexamen”
4.Protogonos”
5.Charnel Vibrations”
6.Flagellum de Igne”
7.The Gaping Hollow Of Divinity”
8.Fangs Of Pazuzu”
9.Vereri”
10. Voidwards”

VERBERIS – Facebook

Sue’s Idol – Six Sick Senses

Six Sick Senses è un lavoro dai richiami old school che meritava senz’altro una migliore produzione

Eccoci con il classico album che un lavoro su produzione e mastering di un altro livello avrebbe reso eccellente, mentre ci si deve accontentare di un ottimo songwriting e buone idee poco valorizzate da un suono non all’altezza.

Voliamo virtualmente negli Stati Uniti e precisamente in Nevada dove, nella città capitale mondiale del gioco d’azzardo (Las Vegas), incontriamo i Sue’s Idol, heavy metal band al secondo full length , successore di Hypocrites and Mad Prophets, debutto licenziato un paio di anni fa.
Il loro nuovo album intitolato Six Sick Senses è un bell’esempio di heavy metal statunitense, cantato ottimamente ed ispirato alle opere oscure di Metal Church, primi Savatage ed Helstar, con i Black Sabbath a fare da collante al sound e bellissime orchestrazioni che conducono l’opera verso un mood epico davvero trascinante.
Si destreggia tra le trame del disco il bravovocalist Shane Wacaster, anche batterista e fondatore del gruppo insieme al chitarrista Dan Dombovy, i richiami alle band elencate come ispiratrici dei musicisti sono chiare e cristalline come l’acqua di un torrente montano, poco male se siete amanti del genere, anzi la band fa funzionare il tutto a dovere e le varie Kill Or Be Killed, aperta da sontuose orchestrazioni dal mood cinematografico, il doom metal richiamato all’inizio della monumentale Gears Of War o la cavalcata epico oscura Lady Painted Death risultano dei brani splendidi di U.S. metal old school.
Peccato perché il gran lavoro del gruppo in fase di scrittura non viene supportato da quello in consolle, i brani escono ovattati, le tastiere e la batteria sono lasciate in secondo piano, mentre la voce a tratti perde la sua forza, travolta dal suono delle chitarre.
Six Sick Senses è un lavoro dai richiami old school che meritava senz’altro più attenzione, un peccato mortale per il gruppo non curare certi dettagli in sala d’incisione, perché le potenzialità ci sono tutte.

TRACKLIST
1. Six Sick Senses
2. DMO
3. Halls of Mourning
4. Scion Pariah
5. Kill or Be Killed
6. Luna Sees
7. Metal Octane
8. Gears of War
9. Taste This Evil
10. A Minor Requiem
11. Lady Painted Death

LINE-UP
Shane Wacaster – Drums, Vocals
Dan Dombovy – Guitars
Steve Habeck – Bass
Toby Knapp – Guitars (lead)
Mitch Dematoff – Keyboards, Piano

SUE’S IDOL – Facebook

BE THE WOLF

I Be The Wolf pubblicheranno il nuovo, album ‘Rouge’ il 18 novembre su Scarlet Records

I Be The Wolf pubblicheranno il nuovo, attesissimo album ‘Rouge’ il 18 novembre su Scarlet Records.

Ecco la tracklist:
1. Phenomenons
2. Down To The River
3. Animals
4. Blah Blah Blah
5. Shibuya
6. Gold Diggers
7. Peeps
8. Rise Up Together
9. The Game
10. Freedom

Con il debutto ‘Imago’, uscito nel 2015, i Be The Wolf andarono incontro ad uno straordinario successo di critica e pubblico, ricevendo il supporto di media importanti come MTV, Virgin Radio e Rolling Stone e l’invito ad esibirsi in Giappone, dove l’influente rivista Burrn! ha assegnato loro il prestigioso “Brightest Hope Award”.
Con ‘Rouge’ la band si presenta al pubblico con un disco maturo ed eterogeneo. Il songwriting del frontman Federico Mondelli (voce e chitarra) affonda le proprie radici nell’hard rock più classico, sporcato da un’onnipresente vena blues, e si divide tra pezzi più aggressivi e diretti che proseguono il discorso iniziato dalla band in ‘Imago’ (‘Phenomenons’, ‘The Game’), ritornelli groovy dalla forte connotazione pop (‘Blah Blah Blah’), ballate dal sapore cantautorale (‘Peeps’), e sporadiche incursioni nel soul, nel folk, e nelle tinte irlandesi dei Thin Lizzy e di Gary Moore (‘Rise Up Together’). Non mancano dei richiami al West degli schiavisti e delle piantagioni di cotone, al gospel e allo spiritual, generi che vengono rievocati anche attraverso i testi, spesso dalla forte connotazione sacrale (‘Down To The River’).
A livello lirico ‘Rouge’ tocca le tematiche del sangue, del fuoco e della fede in tutte le loro incarnazioni, in una cruda analisi della realtà contemporanea, in cui l’uomo medio si crogiola nell’autocelebrazione e nel vuoto dei social network, spendendo il proprio tempo nella perpetua ricerca dell’approvazione altrui, mentre sullo sfondo si susseguono attentati terroristici che vengono vissuti con la stessa fredda emozione con cui si segue un video su Youtube, in un mondo in cui internet ha assottigliato sempre più la differenza tra reale e virtuale e la morte viene seguita con apatica rassegnazione, breve parentesi tra un tutorial e un meme. La scelta del francese nel titolo del platter è un tributo alle vittime del Bataclan del 13 Novembre del 2015, cui la band è legata per una serie di casualità, e che ha ispirato gran parte del materiale del disco.
Rispetto al precedente lavoro la band ha arricchito il proprio sound e le proprie dinamiche, pur rimanendo strettamente legata al concetto dell’essenzialità, che valorizza le doti dei singoli membri facendo dell’apparente limite di una formazione a tre un punto di forza. Le sovraincisioni ridotte al minimo e l’approccio fortemente spontaneo negli arrangiamenti forniscono una fotografia veritiera dei Be The Wolf nel contesto live. Il disco, seppur ponderato, complesso, e dal minutaggio notevolmente più lungo rispetto a quello del precedente lavoro, rimane fedele all’impronta tipicamente pop della band, soprattutto per quanto riguarda il rispetto della forma-canzone. La tecnica non è mai fine a se stessa ma è sempre al servizio dei pezzi, costituiti da una struttura lineare e da ritornelli catchy.
‘Rouge’ è stato registrato, mixato e masterizzato da Andrea Fusini al Fusix Studio di Settimo Torinese, con strumentazione analogica e con un approccio volto a conservare la potenza e l’impatto del debutto, ma che al tempo stesso potesse aggiungere dinamica, organicità e molteplici sfumature al disco.
Si consiglia di seguire www.scarletrecords.it per tutti gli aggiornamenti.

DYNAMITE

Gli hard rocker svedesi Dynamite in Italia per due concerti

Dynamite in Italia per due concerti

Gli hard rocker svedesi Dynamite terranno due concerti esclusivi in Italia, promossi da School Of Rock: Domenica 23 Ottobre alle Officine Sonore di Vercelli e giovedì 27 al Blue Rose Saloon di Bresso (MI).
Formatisi a Växjö, in Svezia, nel 2012, sono piuttosto popolari in patria grazie a svariati passaggi sulle principali radio e ad un episodio che li ha visti protagonisti qualche anno fa: durante le riprese del video di “Lock n’ Load” in cui simulavano una rapina in banca, sono stati inseguiti da una pattuglia della polizia che li ha scambiati per dei veri ladri, finendo così sui giornali. La band ha all’attivo due full-length, “Lock n’ Load” (2013) e “Blackout Station” (2014) che gli hanno permesso di prendere parte a svariati tour e festival europei, e di suonare assieme ad artisti come Europe, The Darkness, Bullet, Enforcer e Wolf.

Per maggiori info www.facebook.com/schoolofrockmilano

Rudra – Enemy Of Duality

Un lavoro dallo spessore qualitativo monumentale che dovrebbe indurre ogni appassionato a guardare con occhio molto più attento, e sicuramente meno scettico, verso il metal proveniente dai paesi del sudest asiatico.

Grazie al lavoro dell’instancabile Kunal Choksi e della sua Transcending Obscurity, in questi ultimi anni si è squarciato il velo che teneva in qualche modo nascosto il movimento metal del sudest asiatico, rivelando al mondo l’esistenza di band che dimostrano un’urgenza compositiva ed una freschezza spesso sconosciuta a quelle provenienti dai continenti ove, tradizionalmente, il genere ha sempre avuto la sua dimora.

Quindi può capitare persino che una band come i singaporiani Rudra appaia come una sorta di novità quando, in realtà, la sua genesi risale a circa un ventennio fa e la sua discografia è costellata di una serie di album di livello eccezionale.
Enemy Of Duality è addirittura l’ottavo full length (ma il primo per la label indiana) del gruppo che prende il suo nome dal pantheon vedico: è curioso, ma non del tutto sorprendente, il fatto che nella stessa scuderia stia chi avversa la religione (soprattutto quella induista) in ogni sua forma (Heathen Beast) e chi, al contrario, erge il proprio Vedic Metal come vessillo (Rudra).
Ma in fondo, a ben vedere, trattasi solo di facce diverse della stessa medaglia, in quanto entrambe le band utilizzano una forma di metal estremo, resa in maniera entusiasmante e contaminata fortemente dalla musica tradizionale della loro area geografica, per veicolare la propria personale visione sociale e filosofica.
Parlando dei Rudra, si capisce subito d’essere al cospetto di un combo composto da musicisti esperti e dotati di una tecnica ben superiore alla media, il che consente loro di districarsi mirabilmente tra sfuriate di stampo black death e sonorità etniche, per lo più inserite all’interno delle intricate partiture estreme e non un corpo estraneo ad esse .
Un tentacolare Shiva alla batteria (sopraffino quando maneggia le percussioni etniche) è l’autentico motore che rende inarrestabile la marcia dei Rudra: otto brani in cui l’intensità pare non calare mai, anzi semmai la sensazione è quella di un costante crescendo visto che la traccia migliore, a mio avviso, è addirittura quella conclusiva, una Ancient Fourth che si rivela quale ideale chiave di lettura del modus operandi perseguito in Enemy Of Duality.
Un lavoro dallo spessore qualitativo monumentale che dovrebbe indurre ogni appassionato a guardare con occhio molto più attento, e sicuramente meno scettico, verso il metal proveniente dall’India e dai paesi del sudest asiatico.

Tracklist:
1. Abating the Firebrand
2. Slay the Demons of Duality
3. Perception Apparent
4. Acosmic Self
5. Root of Misapprehension
6. Seer of All
7. Hermit in Nididhyasana
8. Ancient Fourth

Line-up:
Shiva – Drums
Kathir – Vocals, Bass
Vinod – Guitars
Simon – Guitars

RUDRA – Facebook

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