Lateral Blast – La Luna Nel Pozzo

Un ottimo esempio di musica ariosa e sognante, dove il tempo si ferma per darci modo di farci cullare dalle melodie che il gruppo riesce a creare

Accompagnato da un sontuoso digipack, in linea con i lavori progressivi degli anni settanta (opera del pittore bolognese Vito Giarrizzo), esce il secondo album del gruppo romano Lateral Blast, La Luna nel Pozzo.

L’’esordio I Am Free, datato 2014, ha riscosso molti commenti positivi tra gli addetti ai lavori, mentre il gruppo si è fatto notare per una buona attività live che li ha visti sul palco del Pistoia Blues nel 2014.
Elegante progressive rock cantato in lingua madre, La Luna Nel Pozzo è un’opera che riprende gli stilemi della tradizione settantiana, specialmente quella nazionale, aggiungendo bellissime ed affascinanti atmosfere folk , senza dimenticare gli inarrivabili maestri internazionali di uno dei generi più conservatori della storia del rock.
La band non si perde in suite estenuanti, i brani si susseguono mai troppo prolissi come da trend delle nuove leve del prog, e questo è un bene, perché l’album scorre piacevolmente anche per chi non è abituato al genere.
Si respira l’aria rarefatta di una mattina ai piedi di un castello e l’impronta folk è molto importante nel sound del gruppo: il flauto di Rosa Zumpano, molto brava anche al microfono con il suo tono ruvido ed emozionale, dona alle canzoni una magia senza tempo, richiamando non poco la musica di Angelo Branduardi, assistita dalla chitarra elettrica, raffinata e mai invadente, di Leonardo Angelucci e soprattutto dalle tastiere di Alessandro Ippoliti.
E’ un progressive rock d’autore quello suonato dai Lateral Blast, poetico, forse poco irruento per i canoni attuali, ma colmo di sfumature da assaporare con gli ascolti; vario nell’uso della doppia voce e perfetto nell’alternare strumenti acustici, momenti ritmici cangianti che sconfinano dalle linee guida del genere e magnifiche atmosfere rese sognanti dalla coppia flauto/tastiere.
Tra i brani spiccano il singolo Io Voglio Volare, l’energica Troubadour e Suite per Lei, riassunto compositivo del credo musicale della band romana.
Siamo nel progressive classico, ma con una forte influenza folk che aleggia su tutta l’opera: un ottimo esempio di musica ariosa e sognante, dove il tempo si ferma per darci modo di farci cullare dalle melodie che il gruppo riesce a creare, lasciandosi alle spalle inutili esibizioni tecniche e puntando tutto sulle emozioni.
Siamo vicini, a mio parere, al sound degli storici Il Castello Di Atlante, rispetto ai quali i Lateral Blast appaiono molto meno sinfonici ma perfettamente a loro agio nell’amalgamare sonorità progressive a reminiscenze prettamente folk.

TRACKLIST
01 Intro
02 L’Ululato
03 Come Nuvole
04 Troubadour
05 Le Urla Dei Bambini
06 Io Voglio Volare
07 Silenzio
08 Hellesylt
09 Il Morto Felice
10 Suite Per Lei
11 Scheletro feat. Daniele Coccia
12 La Luna Nel Pozzo

LINE-UP
Leonardo Angelucci – Voce, Chitarra Elettrica
Rosa Zumpano – Voce, Flauto Traverso
Antonello D’Angeli – Voce, Chitarra Acustica
Matteo Troiani – Basso
Tommaso Guerrieri – Batteria, Percussioni
Alessandro Ippoliti – Tastiere, Keytar

LATERAL BLAST – Facebook

Myth Of A Life – She Who Invites

La grande tecnica fa brillare questa dozzina di brani urlanti, cattivissimi e colmi di melodie chitarristiche taglienti ed incredibilmente cool

Gran bel lavoro per questa melodic death metal band inglese, di stanza a Sheffield ma dai componenti di varia origine internazionale: i Myth Of A Life, infatti, fin dall’inizio dell’attività hanno sempre avuto problemi di formazione, se è vero che la line up all’opera su questo ottimo lavoro è già cambiata di ben tre elementi su quattro.

Un dettaglio visto l’enorme potenziale del gruppo che, dopo l’ep Erinyes uscito un paio di anni fa, licenziano, sotto l’ala della Sleaszy Rider, She Who Invites, debutto sulla lunga distanza.
Dicevamo della line up: oltre al vocalist Phil “Core’’ Dellas (unico membro superstite), sull’album troviamo Takanori Shono alla sei corde, , Charlie Power al basso, ed il nostro Damiano Porcelli, dei deathsters Golem, alla batteria; questi ultimi tre sono stati sostituiti, rispettivamente, da William Price, Liam Banks ed Alexander Bound
She Who Invites risulta un gran bel disco, furioso, spettacolare nelle melodie, travolgente nelle ritmiche e perfettamente cantato usando growl e screaming iin un delirio di melodic death metal dai rimandi scandinavi, velocissimo e suonato alla grande.
La grande tecnica fa brillare questa dozzina di brani urlanti, cattivissimi e colmi di melodie chitarristiche taglienti ed incredibilmente cool, un uragano estremo insomma che torna a valorizzare l’ormai bistrattato death metal melodico.
Non un calo di qualità nelle composizioni e tanta voglia di far male, fanno di She Who Invites  un ottimo esempio di come il genere, se suonato a questi livelli, riesca a regalare emozioni forti all’ascoltatore, letteralmente travolto dalla furiosa carica che la band sfoga su brani irresistibili come Scourged and Crucified e Lobotomized.
Blast beat, ritmiche al fulmicotone, solos che trasudano melodie e qualche ritmo sincopato, permettono all’album di mettere tutti d’accordo, sia chi ama la tradizione del genere, ma anche chi sta crescendo con le nuove sonorità, più in linea con la scuola americana.
Ancora Taking Back What Is Mine e Pull the Trigger mettono a ferro e fuoco i padiglioni auricolari, la band sembra un leone in gabbia, feroce parte all’assalto, morde con riff taglenti, stacca arti con ritmiche intricate e suonate a velocità impressionanti ma mantenendo un appeal clamoroso in tutti i brani che compongono questo piccolo monumento al death metal melodico.
Le influenze sono le solite di ogni gruppo che guarda al nord dell’Europa, con l’aggiunta assolutamente perfetta di una carica ritmica moderna che ne fa un bellissimo esempio di metal estremo targato 2016.

TRACKLIST
1. Codex Of Betrayal
2. Scourged and Crucified
3. Lobotomized
4. Erinyes
5. Taking Back What Is Mine
6. Pull The Trigger
7. Broken
8. Through The River
9. She Who Invites
10. Waiting To Die
11. Murder
12. Burning Vision

RECORDING LINE-UP
Takanori Shono – guitars
Phil ‘’Core’’ Dellas – vocals
Charlie Power – bass
Damiano Porcelli – drums

CURRENT LINE-UP
Phil ‘’Core’’ Dellas – vocals
Alexander Bond – drums
William Price – guitars
Liam Banks – bass

MYTH OF A LIFE – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=XCRzBzSszag

Segregacion Primordial – I

Il loro è un death metal furioso e senza compromessi, fortemente e volontariamente underground.

Death metal brutale dal Cile, in cassetta e piena di morte analogica.

Quattro canzoni di lunga durata e di invocazioni all’apertura di neri portali nel vostro cervello. Attivi nell’underground del Cile dal 2011, i Segregacion Primordial hanno pubblicato prima di questo un album, due demo ed un ep. Questa cassetta fa parte di un attacco ai nostri padiglioni auricolari lanciato questa estate dalla Signal Rex, un’etichetta portoghese che sta pubblicando cose molto rimarchevoli, e questa cassetta è death metal di alto livello. Canzoni lunghe ed ossessive, che grattano con le loro distorsioni primordiali, il cantato cavernoso, che aiutano a comporre un quadro macabro e potente. I cileni si lanciano in cavalcate di sette e più minuti, con ristagni paludosi, o furiose accettate su teste ignavi. Il loro è un death metal furioso e senza compromessi, fortemente e volontariamente underground, sena fronzoli ed invenzioni ulteriori, ma solo tanta sostanza e fantasia, componente fondamentale del death metal. Gran bella cassetta di furia distorta per la band di Temuco.

TRACKLIST
01. Intro
02. Autocontemplacion
03. Inmersion
04. Bonus

SIGNAL REX – Facebook

Harvest – Omnivorous

Il gruppo riesce a coinvolgere per mezzo di una carica esplosiva dal buon impatto, anche se si può certamente migliorare, visto le buone potenzialità ed i piccoli difetti riscontrabili di norma in un’opera prima.

Nel nostro girovagare tra le scene metalliche mondiali giungiamo a Panama e, nella capitale, incontriamo i deathsters Harvest.

Omnivorous è un ep di sei brani più intro, che segue la tradizione estrema aggiungendo tonnellate di groove ed un’urgenza hardcore, specialmente nel growl ed in qualche riff.
La principale influenza del gruppo centroamericano sono i primi Sepultura, ma la band si muove con sufficente disinvoltura tra varie correnti senza perdere un grammo nell’impatto pesantissimo che le chitarre sature di groove imprimono al sound.
Un sound che implode, mai troppo veloce ma sofferto e cadenzato , una rabbia che si muove tra le sonorità estreme del death metal classico e la travolgente monolicità dei suoni estremi moderni, colpendo al volto con forza micidiale.
Non varia di molto l’atmosfera delle tracce, tutte pesantissime mentre scorrono nel vostro lettore una più roboante dell’altra con Hellraiser e la title track (la prima dal mood apocalittico, la seconda più varia e sostenuta dagli interventi di una clean vocal) che risultano quelle più interessanti dell’intera raccolta.
Non male come inizio, il gruppo sa tenere alta la tensione e la rabbia sprigionata avvolge Omnivorous in un’aura di drammaticità congeniata a dovere per descrivere il caos che ci circonda in questo nuovo millennio.
Il gruppo riesce a coinvolgere per mezzo di una carica esplosiva dal buon impatto, anche se si può certamente migliorare, visto le buone potenzialità ed i piccoli difetti riscontrabili di norma in un’opera prima.
La band per il futuro potrebbe riservare qualche sorpresa, magari con una sterzata decisa verso sonorità moderne che potrebbe essere opportuna, vista la buona riuscita dei brani che più si avvicinano al sound proposto dalle groove metal band odierne.

TRACKLIST
1. Intro (Wicked Beauty)
2. Lavinia
3. Medusoide
4. King of Nothing
5. Hellraiser
6. Omnivorous
7. Letchworth Hell

LINE-UP
Jocelyn Amado – Drums
Jaime “Ricky” Moreno – Guitars
Ernesto Gómez – Vocals

HARVEST – Facebook

Ljáin – Endasalmar

Roba del Demonio. Sono rari i gruppi che esordiscono in tal modo nella scena musicale, qualsiasi genere si prenda in considerazione.

Dalla fredda e vulcanica Islanda esordiscono i Ljáin con una demo che non vede alcuna speranza di salvezza. L’unico riferimento da considerare è Moon (dagli antipodi Australiani) che con Chaduceus Calice aveva dato un seguito ai primi dischi di Xasthur. Si sente l’odore di freddo, sudore e mura ovattate di una sala prove, in cui la registrazione grezza e violenta sbatte corpi ovunque. E’ una sinfonia cacofonica, suonata con distorsioni, urla possedute da chissà quale entità e batteria suonata con coltelli invece di bacchette. Raw-hostile e brutal black metal senza citare alcun virtuosismo satanico, non ce n’è bisogno. Una intro che abbassa le tende e mette tutti a tacere (Eilíf þjáning) prima di dare voce ad una malattia sonora che con Hlekkir holdsins ci riporta a”De Mysteriis… e alle perversioni vocali di Pelle. Alcuni attimi di apparente tregua a metà traccia e torniamo sotto la maledizione di Endasálmar che dà il titolo alla demo, iniziando contorta per chiudere in un doom degno di nota. Acquisto decisamente consigliato da mettere in un altarino, non appena un’etichetta si farà sotto per questo promettente gruppo. Qual’ è il voto massimo? Aggiudicato …

TRACKLIST
1.Eilíf þjáning
2.Svartigaldur
3.Hlekkir holdsins
4 Endasálmar

Liquid Graveyard – By Nature So Perverse

By Nature So Perverse non manca di destabilizzare con sperimentazioni ritmiche, umori industriali ed un approccio al death/grind moderno, melodico e affascinante.

Ancora in preda a convulsioni procurate da quel monolito power/thrash che risulta l’ultimo lavoro del supergruppo statunitense Shatter Messiah, arriva come un treno in corsa il nuovo lavoro dei Liquid Graveyard, altro supergruppo, questa volta molto più estremo e tutto europeo, licenziato ancora dalla Sleaszy Rider Records che, specialmente con queste due releases, sale di diritto sul podio delle label underground dell’ultimo periodo.

Una soddisfazione per Iyezine, che ha creduto nel lavoro della label greca, non mancando di supportare i vari gruppi che le sono stati presentati, tutti di ottimo livello e dalle più svariate sonorità.
Ma torniamo a noi, o meglio ai Liquid Graveyard, combo estremo che vede collaborare tre icone storiche delle sonorità estreme: Shane Embury, enorme (in tutti i sensi) bassista dei re del grind Napalm Death e di altre decine di band tra cui Brujeria, Lock Up, Blood from the Soul e Meathook Seed, John Walker chitarrista dei seminali deathsters britannici Cancer e Nicholas Barker, inumano batterista che ha prestato le sue bacchette a praticamente tutti i migliori act black/death in circolazione (Cradle Of Filth, Dimmu Borgir, Atrocity e Benediction, ma non basterebbe un elenco telefonico per nominarli tutti), con dietro al microfono il growl della cantante Raquel Walker, moglie del chitarrista.
By Nature So Perverse è il terzo lavoro dei Liquid Graveyard (dopo On Evil Days e The Fifth Time I Died, gruppo che non manca di esaudire i desideri estremi dei fans delle band in cui i musicisti hanno militato, specialmente quelle più death oriented, ma non manca di destabilizzare con sperimentazioni ritmiche, umori industriali ed un approccio al death/grind moderno, melodico e affascinante.
Si passa così da brani arrembanti, segnati da una produzione fredda e sintetica, ad altri più ragionati e sconvolti da frenate ritmiche che inducono a sfumature apocalittiche, in un susseguirsi di atmosfere terremotanti.
Grande il lavoro di Barker, un vulcano che esplode ad ogni colpo di bacchetta sulle pelli e notevole il growl della Walker, rabbioso e pregno di attitudine black, mentre i riff del consorte godono di una monoliticità esponenziale così come Shane Embury, di coppia con il drummer, forma una sezione ritmica da infarto, potentissima nelle parti doom, devastante quando la furia grind si impossessa del sound.
La classe non è acqua ed il songwriting, pur nella sua natura estrema, appare ragionato; la furia metallica, così come la potenza devastante, è tenuta a freno puntando sulle atmosfere, estremizzate da una patina di lucida e sintetica pazzia, come un serial killer che nel suo covo, con calma mette in fila gli attrezzi del mestiere prima di accanirsi sulla vittima in un penzolare continuo di ganci e catene, asettico, pulito, senza anima ne pietà.
Un bellissimo ed affascinante lavoro estremo, inutile annoiarvi con track by track o riferimenti più o meno espliciti ma che non renderebbero giustizia ai nomi altisonanti che compongono il gruppo. Fatelo vostro.

TRACKLIST
1. Oppengrinder
2. Motherhate
3. Influence Corrupt
4. Mechanism
5. The Opportunist
6. By Nature So Perverse
7. All Bile All Vile
8. Clonenations
9. Sour Conspiracy
10. Red Eyed Angel
11. Onkalo
12. Outrophy

LINE-UP
John Walker – guitars, backing vocals
Shane Embury – bass
Nick Barker – drums
Raquel Walker – vocals

LIQUID GRAVEYARD – Facebook

Shatter Messiah – Orphans of Chaos

Drammatico, potente, tragicamente metallico, oscuro, furioso ed a tratti elegante nella sua continua ricerca della melodia vincente, Orphans Of Chaos non cade dal gradino dell’eccellenza per tutta la sua lunga durata

La label greca Sleaszy Rider, in evidenza nel mondo del metal underground di questi ultimi anni con l’uscita di lavori che pescano da svariati generi che compongono l’immenso mosaico che risulta la nostra musica preferita, questa volta centra il colpo grosso e licenzia questo ottimo lavoro, il quarto del super gruppo Shatter Messiah.

La band, in attività da una dozzina d’anni, schiera tra le sue fila una manciata di musicisti che hanno militato in gruppi fondamentali per lo sviluppo del genere, autori di capolavori epocali come Annihilator (Robert Falzano), Nevermore (Curran Murphy), Monstrosity, Death e Vital Remains (Kelly Conlon).
Batteria, chitarra e basso, formazione praticamente fatta, ma al gruppo si aggiungono gli altrettanto importanti Pat Gibson alla sei corde e quell’animale metallico di Michael Duncan dietro al microfono, una iena che valorizza tutto il lavoro strumentale dei suoi colleghi con una prova mostruosa.
Quarto album dunque, quarto pezzo di indistruttibile acciaio metallico, arrivato a metà dell’anno in corso dopo aver dato alle stampe il primo vagito dieci anni fa (Never to Play the Servant) per poi proseguire nella creazione di un devastante power/thrash con God Burns Like Flesh (2007) e Hail the New Cross, uscito tre anni fa.
Orphans Of Chaos riprende a triturare padiglioni auricolari dove l’ultimo lavoro si era interrotto, il sound del gruppo che si rifà, senza copiarlo pedissequamente, a quello dei Nevermore e dei gruppi che al thrash metal aggiungono dose letali di power metal statunitense e sfumature progressive, risulta una mazzata tecnicamente ineccepibile, curatissima nella produzione e dal songwriting straordinario.
Inutile girarci intorno, stiamo parlando di un gruppo composto da musicisti che sono top players del proprio strumento, con esperienze di alto livello alle spalle e la cosa esce allo scoperto in ogni passaggio, su ogni nota esplosa dalle casse del vostro impianto messo a dura prova dalla potenza sprigionata dal combo americano.
Ritmiche che alternano groove, accelerazioni e cambi di ritmo vorticosi, chitarre che squarciano il cielo con solos folgoranti, cambi di atmosfera che rimanendo nei canoni oscuri dell’U.S. Metal si impregnano di umori progressivi e vocalizzi che passano da grintosi toni thrash ad aperture melodiche e teatrali tra Warrel Dane e Russell Allen.
Drammatico, potente, tragicamente metallico, oscuro, furioso ed a tratti elegante nella sua continua ricerca della melodia vincente, Orphans Of Chaos non cade dal gradino dell’eccellenza per tutta la sua lunga durata, regalando un prezioso diamante nero ai fans del genere.
In uscita nelle versioni cd, lp e digipack, troviamo come bonus track l’ep Full Moon Blood, altre tre mazzate thrash metal di dimensioni apocalittiche, motivo in più se non bastasse per farlo vostro e goderne in questi caldi giorni estivi.

TRACKLIST
1. Fixx For Demise
2. Shallow
3. Slave
4. Forget Forgiveness
5. Nothing Friend
6. The Mad Man Lies
7. Doom
8. Disruption
9. Thoughtless Timeless
10. Cold And Alone
11. Free
FULL BLOOD MOON:
12. Full Blood Moon
13. Dead Eye Liar
14. Disallussion Of My Misery

LINE-UP
Michael Duncan – vocals
Curran Murphy – guitars
Kelly Conlon – bass
Pat Gibson – guitars
Robert Falzano – drums

SHATTER MESSIAH – Facebook

Carnage Inc – Fury Incarnate

Fury Incarnate è un ottimo compromesso tra il thrash metal old school ed il sound più modernista e marziale delle nuove generazioni.

Thrash metal senza compromessi ci propongono gli indiani Carnage Inc, giovane band di Mumbai che va ad infoltire la scena estrema sempre più pressante sul mercato europeo grazie alla Trascending Obscurity, label che negli ultimi anni ha avuto il merito di portare a conoscenza degli appassionati molte delle realtà presenti in quel lontano e per noi ancora misterioso paese.

Il debutto del gruppo si riassume in questi cinque brani che vanno a comporre Fury Incarnate, ep dall’alto tasso adrenalinico e buon esempio di thrash metal tra tradizione e soluzioni moderne.
Un pugno nello stomaco ben calibrato ed orchestrato con ottima padronanza di mezzi dal quartetto, un’alternanza di atmosfere che riprendono in toto il genere suonato nella storica Bay Area e lo imbastardiscono, a tratti con ritmiche colme di groove ed un approccio moderno che lascia aperte al gruppo più soluzioni nel prossimo futuro.
Storceranno il naso i puristi ma per suonare thrash metal la tecnica è più importante di quello che si possa pensare, ed il gruppo indiano non difetta certo in qualità, sia nella sezione ritmica che nel lavoro delle due asce che non risparmiano solos taglienti e riff veloci e nelle parti moderne massicci e saturi il giusto.
Ne escono cinque brani carichi a palla, due davvero ben fatti (il singolo Defiled e Day Of Delirium), la prima chiaramente ispirata agli eroi del thrash americano, la seconda strutturata su di un riff orientaleggiante e da rallentamenti atmosferici di drammatica tensione.
Fury Incarnate è un ottimo compromesso tra il thrash metal old school (primi Metallica, Anthrax) ed il sound più modernista e marziale delle nuove generazioni (Lamb Of God, Shadows Fall), perciò in grado di accontentare più palati abituati a succulenti piatti metallici. Consigliato.

TRACKLIST
1.Dawn
2.Defiled
3.Fury Incarnate
4.Day Of Delirium
5.Ungod

LINE-UP
Varun Panchal – Rhythm Guitar/Vocals
Navin Mudaliyar – Lead Guitar
Jason Dias – Bass/Backing vocals
Moinuddin Farooqui – Drums

CARNAGE INC. – Facebook

Tomb Mold – The Bottomless Perdition

Il suono è davvero piacevolmente vecchia scuola, e ricorda perché il death metal ci piace così’ tanto, con quelle cavalcate senza un domani.

Ristampa del primo demo dei Tomb Mold, duo di Toronto dedito ad un death metal old school molto vicino al death finlandese anni novanta.

Questo demo è la loro prima uscita per al Blood Harvest, che pubblicherà in futuro anche il loro secondo demo ed il debutto sulla lunga distanza. Il duo ha cominciato le sue esperienze musicali nella scena punk hardcore di Toronto, e queste radici emergono nel demo. L’urgenza e l’energia dei Tomb Mold vengono da quel pregresso, e si vanno a fondere con una furia death metal notevole. I due componenti dei Tomb Mold, Derrick Vella e Max Klebanoff, hanno militato in diversi gruppi prima di incontrarsi e di buttarsi in questa esperienza, che già a partire dal primo demo sarà devastante e furiosa. La produzione è abbastanza lo fi anche se non troppo, e ciò non depone a loro sfavore. I Tomb Mold picchiano duro, con una voce che sembrar arrivare da dove nascono i nostri peggiori incubi, e non lasciano tregua all’ascoltatore, rinverdendo i fasti di un death metal che difficilmente si riesce a sentire oggigiorno. Il suono è davvero piacevolmente vecchia scuola, e ricorda perché il death metal ci piace così’ tanto, con quelle cavalcate senza un domani, con la potenza e la distorsione al massimo, e il growl che ci guarda dall’alto. Come dichiarazione di intenti è davvero buona, e ci si aspetta il secondo massacro, che speriamo arrivi a breve. Una band dalle grosse e maligne potenzialità.

TRACKLIST
01. (Regions Of Sorrow) Intro_Demon
02. Bereavement Of Flesh
03. Valley Of Defilement
04. The Bottomless Perdition

LINE-UP
Derrick Vella
Max Klebanoff

BLOOD HARVEST – Facebook

Wired Anxiety – The Delirium Of Negation

Il gruppo vale assolutamente l’ascolto e l’ep è di quelli che creano aspettative in chi impegna i propri ascolti nel metal estremo underground.

Band che si aggira per i vicoli di Mumbai dal 2009, i Wired Anxiety, dopo aver esordito con l’ep The Eternal Maze nel 2012, tornano tramite la Transcending Obscurity con questo nuovo lavoro, un ep di quattro brani dal titolo The Delirium Of Negation.

Bene ha fatto la label nel supportare il gruppo, visto il buon potenziale del quartetto e l’ottimo lavoro che, se pur di breve durata, lascia presagire un futuro più che roseo per il combo indiano.
Dall’opener Test Subject: Human, infatti, la band non lascia scampo puntando sulla potenza e l’abbondare di ritmiche colma di groove, una tecnica più che buona e monolitici mid tempo che si alternano ad atmosfere al limite del brutal.
Dalla voce brutale, alle spaventose accelerazioni è tutto un susseguirsi di frenate e ripartenze, sorrette da un songwriting elevato che permette ai brani di differenziarsi uno dall’altro ed alla band di lasciare un’ottima impressione su chi ascolta.
Si passa così da momenti ragionati che richiamano il death old school, a devastanti performance che del brutal tecnico prendono l’attacco frontale di squisite performance esecutive.
Heavily Sedated risulta un brano clamoroso in questo senso, ma non sfigurano neanche gli altri, purtroppo per noi, pochi brani in scaletta come Severe Comorbidity e la conclusiva Focus 22.
Poco altro da aggiungere se non che il gruppo vale assolutamente l’ascolto e l’ep è di quelli che creano aspettative in chi impegna i propri ascolti nel metal estremo underground.
Altra ottima scoperta da parte della Transcending Obscurity e ascolto obbligato peri i fans del genere.

TRACKLIST
1. Test Subject: Human
2. Heavily Sedated
3. Severe Comorbidity
4. Focus 22

LINE-UP
Sumeet Ninawe – Drums
Adwait Jadhav – Bass
Dheeraj Govindraju – Vocals
Naval Katoch – Guitars

WIRED ANXIETY – Facebook

Paganizer – On the Outskirts of Hades

Dopo quasi vent’anni di attività, il gruppo svedese dimostra ancora una volta di essere una top band nel genere, straordinaria portatrice nel nuovo millennio del macabro verbo di Dismember, Grave e compagnia.

La label indiana Transcending Obscurity è diventata in questi ultimi anni un punto di riferimento per il metal estremo non solo proveniente dalla propria terra ma addirittura mondiale, almeno in ambito underground.

Il colpo dell’anno per la label asiatica è stato mettere le grinfie sui leggendari Paganizer, death metal band svedese con a capo l’instancabile Rogga Johansson, mente e braccio di un interminabile elenco di gruppi che hanno messo a ferro e fuoco questi ultimi due o tre anni metallici.
Down Among the Dead Men, Johansson & Speckmann, Megascavenger, Necrogod, Putrevore, Revolting, The Grotesquery, sono solo alcune delle band delle quali il buon Rogga è ideatore, senza chiaramente dimenticare i Paganizer, gruppo dal quale Rogga ha filtrato i suini da conogliare in altre realtà.
On the Outskirts of Hades è il primo lavoro dei Paganizer dopo la firma con Transcending Obscurity, un ep di quettro brani per appena, purtroppo, tredici minuti di spettacolare death metal scandinavo, assolutamente old school, dal songwriting forte di una compattezza, un’esperienza, ed una forma invidiabile.
Dopo quasi vent’anni di attività, il gruppo svedese dimostra ancora una volta di essere una top band nel genere, straordinaria portatrice nel nuovo millennio del macabro verbo di Dismember, Grave e compagnia.
Quattro brani che annichiliscono e che ci invitano ad attendere con trepidazione il nuovo full length che, dopo l’ascolto di Angry All the Time, Adjacent to Purgatory, The Netherworld Carnivale e la titletrack, non potrà che risultare all’altezza della situazione. Ben tornato Rogga.

TRACKLIST
1.Angry All the Time
2. Adjacent to Purgatory
3. The Netherworld Carnivale
4. On the Outskirts of Hades

LINE-UP
Rogga Johansson – Guitars, Vocals
Kjetil Lynghaug – Lead Guitars
Matte Fiebig – Drums
Martin Klasen – Bass

PAGANIZER – Facebook

Gandalf’s Owl – Winterfell

Decisamente apprezzabile questo esperimento, proprio perché Gandolfo Ferro, rivolgendosi ad una fascia di ascoltatori sostanzialmente diversa da quella degli Heimdall, si mette coraggiosamente a nudo rinunciando alle sue più riconosciute peculiarità,

In ambito metal, i musicisti provenienti dal power o dall’heavy metal più classico non sono certo noti per le loro propensioni sperimentali, che spesso si ritrovano maggiormente nei colleghi dediti ai generi più estremi.

Sorprende piacevolmente, quindi, ritrovare Gandolfo Ferro, vocalist degli Heimdall nel loro ultimo lavoro Eneid, alle prese con un ep di musica strumentale di matrice dark ambient.
Parafrasando il nome di battesimo del musicista siciliano, Gandalf’s Owl è un progetto che si mette in luce presentando un quarto d’ora di musica davvero interessante e per nulla tediosa; l’impressione è che Ferro, con questo primo assaggio, intenda esplorare varie sfaccettature della musica ambient, quasi a voler trovare una direzione ideale in occasione di un possibile lavoro su lunga distanza.
Così, ci imbattiamo nell’accattivante e ritmata The Wall, pervasa da pulsioni elettroniche che ritroviamo in maniera più soffusa anche in Winterfell, il brano a mio avviso meglio riuscito del trittico, in virtù anche del prezioso lavoro chitarristico offerto da Gaetano Fontanazza. Chiude questo quarto d’ora di pregevole fattura una White Arbour (…The North Remembers) che, tra passaggi recitati ed campionamenti a sfondo naturalistico, fa approdare l’ascoltatore in un più avvolgente e confortevole sound ambient dai tratti evocativi e paesaggistici.
Decisamente apprezzabile, in definitiva, questo esperimento, proprio perché Gandolfo Ferro, rivolgendosi ad una fascia di ascoltatori sostanzialmente diversa da quella degli Heimdall, si mette coraggiosamente a nudo rinunciando alle sue più riconosciute peculiarità, dimostrandosi raffinato compositore a 360 gradi. Restiamo quindi in curiosa attesa del prossimo volo del gufo di Gandalf …

Tracklist:
1. The Wall
2. Winterfell
3. White Arbour (…The North Remembers)

Line-up:
Gandolfo Ferro: all instruments

Guitar ambient on “Winterfell” by Gaetano Fontanazza

GANDALF’S OWL – Facebook

7th Abyss – Unvoiced

Death, thrash, core e melodia, un mix azzeccato ed alquanto esplosivo

Potete chiamarlo metalcore, deathcore o modern death metal, fatto sta che il metal estremo dai rimandi modernisti in questi ultimi anni ha dettato legge sul mercato internazionale, tanto che, se con pazienza passate un’oretta davanti allo schermo televisivo sintonizzato su un canale dedicato, gli unici momenti estremi di cui potrete godere sono ad esclusiva dei gruppi di genere, specialmente provenienti dagli States.

In Europa e nell’underground non mancano ottime realtà, soffocate da quelle in arrivo dal nuovo continente, ma assolutamente in grado di convincere tanto quanto e molte volte di più dei loro colleghi americani.
I 7th Abyss sono un gruppo tedesco attivo da tre anni, licenziano il loro debutto per la Trollzone Records e si immergono nell’oscuro e pericolosissimo mondo del metal estremo, totalmente fuori da ogni ispirazione old school e con i piedi ben saldi nel death metal del nuovo millennio.
Unvoiced è un buon lavoro, colmo di ritmiche groove, accelerazioni devastanti, chitarre che ci vanno giù pesante con le ritmiche per poi affossare l’ascoltatore con solos di tagliente metallo melodico, alternando il sound statunitense a qualche incursione nel nuovo modo di concepire il death metal melodico scandinavo, portato alla fama soprattutto dai maestri Soilwork.
Ne esce un bel pugno nello stomaco, inflitto senza pietà dal gruppo bavarese, che non si fa mancare un ottimo uso delle varie tonalità del singer, bravo nelle urla estreme, così come nelle clean, comunque maschie e che non spezzano l’atmosfera brutalmente drammatica del disco.
Death, thrash, core e melodia, un mix azzeccato ed alquanto esplosivo, strutturato con buona padronanza del songwriting e dei ferri del mestiere dai 7th Abyss, i quali lasciano sul suolo non pochi cadaveri dopo il bombardamento inflitto con Deaf, Memories of Lies e Point of Wiew, esempi perfetti della loro carica assassina.
In conclusione, un esordio più che positivo per i 7th Abyss, che escono a testa alta dall’importante traguardo del primo full length.

TRACKLIST
01. Into the abyss
02. Lost eternity
03. Deaf
04. Unvoiced
05. Nightmare at the fields
06. Don’t take blowjobs from the Prime Time Whore
07. Memories of lies
08. Despaired (‘cause I’m disappointed ‘bout the Dead)
09. Not.That.Day.
10. Point of view 1
11. Schwester Rabiata

LINE-UP
Andreas Müller – Vocals
Robert Klein – Lead Guitar
Daniel Bieberstein – Rhythm Guitar
Alexander Dietz – Bass Guitar
Matthias Krapp – Drums

7TH ABYSS – Facebook

Ossuary Insane – Possession Of The Flash

Un disco che chiude il cerchio del gruppo ma che è soprattutto un disco death metal di altissima qualità ed intensità.

La Blood Harvest Records pubblica in lp la prima parte della discografia degli Ossuary Insane, un gruppo americano di death metal da Pine City in Minnesota, che ha avuto alterne vicende, producendo però sempre un buon death metal.

Questo lp si focalizza sulla produzione degli anni duemila, poiché dopo la fondazione nel mitico e floridissimo per il death metal 1991 ( basti pensare che in quell’anno fra gli altri pubblicarono album Entombed, Grave, e ci sono vere e proprie pietre miliari del genere ), per produrre tre demo e un album ufficiale Demonize The Flesh. Come tantissime altre band dell’epoca la loro routine era droga, alcool e death metal in una cantina, ma gli Ossuary Insane, come potrete sentire, avevano una marcia in più rispetto agli altri gruppi. Il loro death metal è vicino al death metal dei maggiori gruppi della Florida, ma di loro ci mettono un pesantissimo accento macabro, che ben si inserisce all’interno della loro musica. Il fondatore Cantor Celebrant, mancato pochi anni or sono, viveva nella città di Pine City, e come ottimamente ricordato nelle note di Olivier Meschine, redattore della fanzine Liquid Of Life, il gruppo negli anni che vanno dal 201 al 2003 cambiò formazione passando da un power trio ad un ensemble di cinque elementi, diventando più potenti e sicuri. Gli Ossuary Insane sono un gruppo che ha un’immensa aggressività innata ed idee molto buone nello svolgimento della musica. Sicuramente con un’altra storia dietro le spalle avrebbero potuto diventare un gruppo molto importante della galassia death metal. Questo lp si deve alla grande costanza del suddetto Olivier Meschine, che avendo partecipato a quegli anni del gruppo, dopo aver saputo che era morto Cantor Celebrant, ha tampinato per un po’ un altro membro della band Prophet, per dare un senso organico a quei cd-r che erano i loro biglietti da visita. Questo è solo il primo capitolo del recupero della discografia che la svedese Blood Harvest sta recuperando. Un disco che chiude il cerchio del gruppo ma che è soprattutto un disco death metal di altissima qualità ed intensità.

TRACKLIST
1.Shallow Roadside Grave (2003)
2.Killing Mortals/Laid To Waste
3.The Original Master
4.My Name Is God & I Am A Liar
5.Hell City
6.Worthy Only Of Extinction
7.I Absolutely Forbid
8.My Name Is God & I Am A Liar
9.Hell City
10.Tonight It Is Time To Die

OSSUARY INSANE – Facebook

Psychoprism – Creation

Un’opera di una bellezza disarmante da parte di un quintetto di musicisti preparatissimi, con un songwriting che avvicina la band ai nomi di rilievo del metal mondiale di stampo classico.

Il metal classico è vivo più che mai, magari si è rinnovato, o forse dagli anni ottanta si è evoluto con l’aggiunta di elementi sinfonici e prog, ma rimane comunque il genere di riferimento per i metallari sparsi per il mondo, anche e soprattutto nel nuovo millennio.

I detrattori o gli uccelli del malaugurio che si beano della morte del genere padre di tutto il movimento metallico, anche quello più moderno o estremo, possono mettersi l’anima in pace, specialmente se a mantenerlo in vita sono band eccezionali come questi musicisti statunitensi che, sotto il monicker Psychoprism, hanno creato un lavoro di power/prog metal straordinario.
Il gruppo del New Jersey due anni fa licenziò il primo ep autoprodotto, e la Pure Steel è piombata come un falco sul gruppo e dopo la firma, pubblicandone il primo full length, Creation, in questo assolato e tragico luglio.
Un’opera di una bellezza disarmante da parte di un quintetto di musicisti preparatissimi, con un songwriting che avvicina la band ai nomi di rilievo del metal mondiale di stampo classico, trovando nelle sfumature progressive un alleato per far risplendere la musica di cui si compone questo manifesto all’arte musicale.
Probabilmente Creation rimarrà nel genere l’esordio più riuscito fino alla fine dell’anno, anche se forse non riscuoterà neanche un quarto del successo che un’opera del genere meriterebbe, ma non importa, se siete amanti della musica, qui la si deve glorificare come si deve.
Prendete il metal classico raffinato dei Crimson Glory, aggiungete potenti dose ritmiche di estrazione power, una vena progressiva che si espande per tutta la durata dell’album, direttamente dai primi e fondamentali lavori di Queensryche e Fates Warning, e incorniciateli con note sinfoniche di commovente epicità: avrete forse un’idea di cosa vi aspetta appena la title track imploderà nei vostri padiglioni auricolari, donandovi musica regale e splendidamente metallica.
Chiaramente i musicisti non possono che essere dei maestri, ed allora rimarrete a bocca aperta quando Jess Rittgers vi sconvolgerà con la sua voce che, se a tratti richiama Geoff Tate, risulta ancora più teatrale, un’ugola nata per emozionare.
Bill Visser e la sua sei corde sono una macchina di solos altamente metallica, ma che ovviamente non manca di crogiolarsi in scale progressive dall’alto tasso tecnico, mentre la sezione ritmica (Kevin Myers alle pelli e Erick Hugo al basso) non si risparmia in cavalcate power e repentini ed intricati cambi di tempo.
Il tutto viene valorizzato dai tasti d’avorio di Adam Peterson, raffinati, a tratti neoclassici, squisitamente orchestrati da questo mostro di bravura, ed a mio avviso arma in più del gruppo americano.
Niente di nuovo direte voi, il classico album suonato con maestria e nulla più!
Nulla di più sbagliato, invece, perchè Creation vive di un’emozionalità unica e la pelle d’oca che procurano brani intensi e meravigliosamente metallici come The Acclaimed, la super ballad Friendly Fire, l’epico power metal neoclassico di Against The Grain, la potentissima e velocissima The Wrecker, difficilmente la riproverete di questi tempi, specialmente continuando ad ascoltare i soliti nomi.
Lavori come questo mi fanno ringraziare il cielo per essermi innamorato della musica fin da ragazzino facendomi sentire un uomo fortunato. Capolavoro.

TRACKLIST
1. Alpha
2. Creation
3. Shockwaves
4. The Acclaimed
5. Chronos
6. Friendly Fire
7. Against the Grain
8. Defiance
9. The Wrecker
10. Stained Glass

LINE-UP
Erick Hugo – Bass
Jess Rittgers – Vocals
Bill Visser – lead guitars
Kevin Myers – Drums
Adam Peterson – Keyboard

PSYCHOPRISM – Facebook

Shataan – Weigh of the Wolf

Il gruppo americano fa largo uso di flauti e strumenti tradizionali americani, creando un atmosfera ed un pathos davvero particolari ed unici.

I Shataan sono un gruppo americano appartenente al misterioso ed interessante collettivo americano di gruppi black metal Black Twilight Circle.

Per gli Shataan il black metal è un punto di partenza per trovare una natura personale e non, molto più profonda rispetto a quella visibile. Partendo dal nero metallo, ed usandolo come linguaggio i nostri ci guidano attraverso la storia ed il corpus mitologico dell’area mesoamericana, ovvero America Centrale, una civiltà molto evoluta, che ovviamente la civiltà europea ha cancellato. Gli Shataan cantano e narrano di cuori ed anime appartenuti al passato che però sono rimasti in noi, dentro ed anche fuori. Il gruppo americano fa largo uso di flauti e strumenti tradizionali americani, creando un atmosfera ed un pathos davvero particolari ed unici. Come album di debutto supera di molto le già grandi aspettative create dal demo War Cry Lament del 2011. Si narra di altre civiltà anche per scappare dalla nostra, essendo effettivamente troppo brutta, e forse anche il morire in battaglia difendendo il proprio popolo è meglio che morire ogni giorno in ufficio. Gli Shataan fanno un tipo di black metal al quale è proprio difficile dare etichette, ascoltandoli potrete farvi un’ idea vostra, cosa molto più auspicabile. Io vi posso solo dire che questo disco è davvero particolare, molto originale, con alla basse molte grandi idee. L’appartenenza al particolare Black Twilight Circle , ovvero quasi tutti i gruppi che gravitano intorno alla Crepuscolo Negro Records, è figlia di un ideale diverso di musica e di cultura metallica. I gruppi che appartengono al Black Twilight si conoscono tutti e spesso si scambiano i componenti, per poter dare una poetica ben precisa alla loro musica. Gli scopi del collettivo sono molti, collettivo che ricorda quello francese delle Legions Noires, quello principale è di dare una diversa connotazione storica e di immaginario al black metal, e questo disco degli Shataan ne è la testimonianza. Approfondite la visione del Black Twilight Circle partendo da questo disco, perché è un collettivo davvero interessante ed in continua mutazione.

TRACKLIST
1 Scorn at Heart
2 Leave Behind
3 Release
4 Chamber
5 Stand Apart
6 Eulogy
7 Inst. in E minor
8 Night comes Along

SHATAAN – Facebook

https://soundcloud.com/blacktwilight/shataan-06-eulogy

Black Cult – Cathedral of the Black Cult

Satanismo schietto e sincero, brado e allo stato puro, senza troppi fronzoli evocativi

Un full length firmato col sangue dal duo croato, composto da undici tracce, tecnicamente perfette.

Dai tempi dei Rotting Christ, l’Europa ha riscattato nell’area mediterranea la scena black e death, in risposta alla matrice scandinava. Le prime tracce danno solamente l’idea vaga di quanto ci aspetta per un’ora. Godibile, tuttavia, e di facile ascolto, la sequenza dei brani crea un’amalgama sonora che fa da collante tra un brano e l’altro. Insanus (Czaar) e Morbid (Gorthaur’s Wrath) danno vita a questo progetto nel 2013 con un demo ed oggi si apprestano a perfezionarsi con l’aggiunta di nuovi membri alla line up. Mayhem, Emperor e Satyricon fanno da padrini in qualità alle scelte stilistiche della realizzazione, resa peculiare dai riff e dagli assoli mai banali, e dai contrasti tra voce pulita e growling intimidatori. L’uscita della clip di The Witches Dance conferma nel tutto la loro posizione: satanismo schietto e sincero, brado e allo stato puro, senza troppi fronzoli evocativi. Siamo nei meandri infernali di un dogma che non ha ancora fine, prendendo per buono che a lungo andare diventerà una propaganda fatta a suon di musica.
Dieci tracce da urlo che danno filo spinato e nodi da torcere con momenti prog alternati a puro raw e a passaggi melodici. Kingdom of the Worm fa felici tutti i fans dei Motorhead a scapito di una versione ancora più inscatolata e affilata dal taglio grim. La Croazia, insomma, come ci piace immaginarla: una miniera ancora florida che fa da contraltare alla Norvegia.

TRACKLIST
1 Black Cathedral
2 Worship the Beast
3 Dark Matter
4 Untill the Devil takes Us
5 The Witches Dance
6 Hyerophant
7 Undeath
8 Gaze the insanity
9 Ego te Absolvo
10 Kingdom of the Worm

LINE-UP
Morbid – voce,
Insanus – batteria,
The Fallen – chitarra solo,
Azaghal – chitarra ritmica,
Lesovik – basso

BLACK CULT – Facebook

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