Coscradh‏ – Demo MMXVI

Coscradh sono un gruppo non comune, che esibisce una forza ed una potenza non comuni, riuscendo a districarsi fra vari generi, ma soprattutto in quattro canzoni rendono più che altri gruppi in un disco intero

Demo di debutto per questo gruppo irlandese che si chiama Coscradh, parola che in gaelico significa massacro.

Introduzione linguistica più che mai appropriata, ascoltando il disco si ha la netta percezione sonora di un massacro. Il death metal con intarsi di black dei Coscradh è un’aggressione che non lascia scampo, con uno stile vicino a molte cose irlandesi, perché sull’isola di smeraldo hanno un death metal che differisce dagli altri, per un respiro sempre vicino al folk, nel senso di composizione più che di genere sonoro. Le canzoni dei Coscradh sono infatti di ampio respiro, senza essere progressive sono costruite con nera magniloquenza, sfiorando a volte il doom. La voce sembra provenire da una dimensione fatta di dannazione e polvere di giganteschi ragni, mentre gli strumenti diventano ossa schiacciate. I Coscradh sono un gruppo non comune, che esibisce una forza ed una potenza non comuni, riuscendo a districarsi fra vari generi, ma soprattutto in quattro canzoni rendono più che altri gruppi in un disco intero, non perdendo mai la tensione. Un gran disco per un’etichetta che non ha sbagliato un colpo fino ad ora.

TRACKLIST
1. Buried
2. Lynch
3. Drowned
4 Coscartac

COSCRADH – Facebook

Circle – Meronia

Meronia è un disco davvero grande e bellissimo, dove ci si può perdere nelle mille soluzioni sonore dei Circle, che producono un gran caleidoscopio sonoro.

La missione principale della gloriosa Svart Records è di portare alla luce i tesori nascosti dell’underground finlandese, e Meronia dei Circle è uno dei più lucenti.

Questa ristampa del disco del 1994 vede la luce in un doppio vinile con bonus track e in un cd. Originariamente editi da Bad Vugum, un’etichetta finlandese con un interessante catalogo, i Circle sono un gruppo di una piccola città della Finlandia, Pori, origine condivisa con i Deep Turtle, che li proposero all’etichetta. I Circle fanno tutto quello che facevano le vostre band preferite degli anni novanta ed anche di più. Noise, shoegaze, improvvisazione, in una mirabile commistione sonora di America e Gran Bretagna. Meronia è un disco davvero grande e bellissimo, dove ci si può perdere nelle mille soluzioni sonore dei Circle, che producono un gran caleidoscopio sonoro. Il disco all’epoca fu apprezzato moltissimo sia dal sottobosco che dal mainstream e segnò un’importante evoluzione dell’underground finlandese. Fuori dalla patria ebbe meno eco, e questa è una sfortuna perché è un disco eccezionale, che non è consigliato solo agli amanti del suono anni novanta, ma anche a tutti quelli che cercano cose solide e nuove, perché ancora adesso Meronia è molto avanti rispetto alla media attuale. I Circle ci accompagnano per mano in una lunga escursione sul pianeta Meronia, e ciò provoca dipendenza e voglia di ascoltarlo cambiando l’ordine delle tracce, sentendo in ripetizione una traccia, un rumore, una nota che pare essere l’architrave del tutto. Tutte le canzoni potrebbero essere un singolo e due o tre canzoni prese a caso sarebbero degli ottimi 7”. Ogni pezzo ha dentro almeno uno o due generi diversi. Meronia è certamente figlio di un clima musicale difficilmente ripetibile, dove le commistioni diventavano naturali e si faceva il tutto con molta naturalezza e voglia di divertirsi. Il disco è davvero bello, intenso e fortunatamente lungo. I Circle son ancora in attività e fanno sempre grande musica, ma Meronia è oltre la grande musica, è Meronia.

TRACKLIST
1.Ed-Visio
2.Curwen
3.Wherever Particular People Congregate
4.Meronia
5.DNA
6.Hypto
6.Nude
7. Colere
8.Staalo
9.Kyberia
10.Gravion
11.Ferrous
12.Scoop
13.Merid
14.Espirites

LINE-UP
J. Jääskeläinen – guitar
P. Jääskeläinen – guitar
J. Lehtisalo – bass, vocals
M. Rättö – keyboards, vocals
T. Leppänen – drums
J. Westerlund – guitar, vocals

CIRCLE – Facebook

1476 – Wildwood / The Nightside

Per i 1476 il passaggio dallo status di “segreto meglio conservato” a realtà stimolante e di sicuro spessore è ormai cosa fatta.

La Prophecy Productions presenta i 1476 come “il segreto meglio conservato in ambito rock dark e atmosferico”, e noi abitualmente ci fidiamo della label tedesca …

E’ giunto, quindi, il momento di portare alla luce l’operato di questo duo di Salem, composto da Robb Kavjian and Neil DeRosa, che rinverdisce in parte i fasti dei Mission, quella che, nella seconda metà degli anni ’80, è stata la band che meglio ha interpretato e rielaborato l’eredità del post punk e del gothic, facendone emergere il lato più poetico e malinconico.
L’accostamento con il gruppo di Wayne Hussey serve, soprattutto, ad inquadrare meglio i 1476, i quali appaiono comunque molto più europei che non americani (e forse le origini che si desumono dai cognomi dei due musicisti in questo senso possono avere un loro peso), ma ci mettono molto del loro per rendere peculiare la proposta inglobando elementi neo folk ed ambient, rendendola quanto mai fresca pur rifacendosi in parte a sonorità in voga trent’anni fa.
Va detto che questo disco costituisce, di fatto, una parziale summa di quanto realizzato finora dai 1476 (sia l’album Wildwood che l’ep The Nightside, entrambi racchiusi in questa release, risalgono al 2012), aggiungendo che anche il restante operato del duo verrà pubblicato dalla Prophecy, in attesa di un nuovo disco programmato per l’autunno.
Wildwood consta di 11 tracce prive di momenti deboli, capaci di trasportare l’ascoltatore dalla malinconia acustica di Horse Dysphoria e Banners In Bohemia fino ai ritmi più incalzanti di Good Morning, Blackbird, Stave-Fire e An Atrophy Trophy, senza dimenticare altri episodi magnifici quali Black Cross/Death Rune e Watchers.
I quattro brani tatti dall’ep The Nightside (tra i quali c’è una versione più scarna della già citata Good Morning, Blackbird) appaiono invece molto più introspettivi e meno immediati, se vogliamo accostabili a certo neo folk, ed entusiasmano meno, pur restando ad un livello senz’altro soddisfacente.
In buona sostanza, i 1476 riescono in maniera efficace e convincente ad evocare quelle atmosfere misteriose ed ancestrali che sono caratteristiche del New England, regione che, non lo si può certo dimenticare, ha dato i natali a due giganti delle letteratura come Poe e Lovecraft.
E proprio al primo è dedicato il lavoro che uscirà proprio in questi giorni, sempre a cura della Prohecy: “Edgar Allan Poe: A Life Of Hope & Despair”, concepito nel 2014, è una sorta di colonna sonora che dovrebbe mostrare un volto ancora diverso del duo americano.
Insomma, c’è molta carne al fuoco per i 1476, per i quali il passaggio dallo status di “segreto meglio conservato” a realtà stimolante e di sicuro spessore è ormai cosa fatta.
Wildwood / The Nightside è un opera che potrebbe essere apprezzata da appassionati dal background diverso, ma accomunati da una naturale predisposizione a nutrirsi di sonorità oscure ed evocative.

Tracklist:
1.Black Cross/Death Rune
2.Watchers
3.The Dagger
4.Banners In Bohemia
5.Good Morning, Blackbird
6.Horse Dysphoria
7.Stave-Fire
8.Bohemian Spires
9.An Atrophy Trophy
10.Shoreless
11.The Golden Alchemy
12.Mutable : Cardinal
13.Know Thyself, Dandy
14.Good Morning, Blackbird
15.The Nightside

Line-up:
Robb Kavjian
Neil DeRosa

1476 – Facebook

Comet Control – Center Of The Maze

Una gradita sorpresa, un album molto ben congeniato che, nel suo ripercorrere mappe già scritte in passato, risulta piacevole ed assolutamente fuori da ogni moda odierna, ma soprattutto composto da belle canzoni.

Tra le nevi del Canada, verso lo spazio profondo insieme alla navicella Comet Control, al secondo lavoro con questo ottimo Center Of The Maze, che amalgama psichedelia, rock britannico e space rock, di ritorno da una falla temporale a cavallo tra gli anni sessanta ed il decennio successivo.

Tastiere sintetiche, chitarre sature, atmosfere liquide e sognanti, fanno di questo lavoro un ottimo ascolto per gli amanti dei suoni vintage usciti da un trip psichedelico, un viaggio bellissimo tra asteroidi e stelle lontane anni luce, dove spadroneggiano note fluttuanti perse nel profondo cosmo.
Il quintetto di Toronto, capitanato dalla eterea voce del chitarrista/cantante Chad Ross, è composto dalla bassista Nicole Howell, da Jay Anderson alle pelli, dalla chitarra di Andrew Moszynski e dalle fondamentali tastiere di Christopher Sandes: il loro sound spazia tra almeno cinquant’anni di musica rock, dai Beatles e Marc Bolan dell’era psychedelica, al rock britannico degli anni novanta, passando per i maestri dello space rock Hawkwind, in un turbinio di elettrizzanti brani rock d’annata, canzoni pregne di chitarre sature di rock alternativo, e liquide avventure pink floydiane.
Center Of The Maze è un album vario con il quale vengono espresse tutte le varie componenti del sound con buona padronanza del songwriting, ed ogni tassello risulta al posto giusto così da non perdere interesse ovunque il gruppo porti la sua musica.
Il sitar, che apre la beatlesiana Silver Spade, è la prima delle gradite sorprese di questo lavoro che riesce ad emozionare e farci sognare, prima con la stupenda The Hive, poi con la roboante ed alternativa Criminal Mystic, lasciando alle due mini suite finali Sick In Space e Artificial Light il compito di riportarci indietro, non prima di averci fatto perdere nel trip spaziale dell’album.
Una gradita sorpresa, un album molto ben congeniato che, nel suo ripercorrere mappe già scritte in passato, risulta piacevole ed assolutamente fuori da ogni moda odierna, ma soprattutto composto da belle canzoni.

TRACKLIST
1. Dig Out Your Head
2. Darkness Moves
3. Silver Spade
4. The Hive
5. Criminal Mystic
6. Golden Rule
7. Sick In Space
8. Artifical Light

LINE-UP
Chad Ross – Guitars, Vocals
Nicole Howell – Bass
Jay Anderson – Drums
Andrew Moszynski – Guitars
Christopher Sandes – Keyboards

COMET CONTROL – Facebook

https://soundcloud.com/actionmedia/comet-control-dig-out-your-head

Atomikylä – Keräily

Si sentono abbastanza distintamente gli impianti sonori dei Dark Buddha Rising o degli Oranssi Pazuzu, poiché le loro radici sono lì, e possiamo perfino spingerci a dire che Keräily sia un disco di psichedelia rituale e che sarebbe la somma perfetta dei due dischi, ma c’è molto di più.

A Tampere, in Finlandia, ci deve essere qualcosa nell’aria o nelle droghe che fa sì che tanti suoi cittadini suonino psichedelia pesante come gli Oranssi Pazuzu o psichedelia rituale come i Dark Buddha Rising.

Gli Atomikylä sono un’unione di alcuni dei membri di questi due grandi gruppi, unione nata dalla divisone di uno spazio prove comune, il Wastement, un nome un programma. Lo scopo di questo gruppo è la liberazione della nostra mente e del nostro corpo attraverso il suono, per mezzo di una psichedelia brutale e sognante allo stesso tempo. I tre pezzi di questo disco sono tre esplorazioni, tre viaggi astrali, dove il nostro corpo arriva a vedere se stesso dall’alto. Le canzoni sono progressive, nel senso che sono serpenti che crescono e vanno a cercare un posto al sole su pietre roventi. La musica qui viene teorizzata ed eseguita come fuga dalla normalità, sia morale che dei sensi, per cercare di liberarsi annientandosi nel suono e nella sua fisicità neuronica. Il disco è una meraviglia continua, un liberi tutti che giova moltissimo alla composizione davvero psichedelica. Non ci sono influenze, non ci sono pressioni, vi è solo il creare. Si sentono abbastanza distintamente gli impianti sonori dei Dark Buddha Rising o degli Oranssi Pazuzu, poiché le loro radici sono lì, e possiamo perfino spingerci a dire che Keräily sia un disco di psichedelia rituale e che sarebbe la somma perfetta dei due dischi, ma c’è molto di più. Qui la ripetizione sonica diventa mantra per accedere ad un piano sonoro superiore, cambiando il proprio stato da materiale ad immateriali, issandoci su forme mentali alterate, oltre la terra la meta. Di questo percorso non abbiamo né la meta né la direzione, ma solo il piacere della scoperta, esplosioni durante la calma, mutazioni sonore. Il nome del gruppo deriva da un campo base abbandonato di operai per la costruzione di una centrale atomica negli anni ottanta. Presto questo luogo chiamato Atomikylä divenne la patria degli sbandati e dei drogati, una repubblica degli emarginati, dove la legge non entrava e nemmeno usciva, per poi essere distrutto pochi anni orsono. Emarginazione mentale, fuga dal normale che porta a una quasi volontaria e comprensibilissima autoesclusione che si sublima in questa musica, bella, tremenda e confusa.

TRACKLIST
1.Katkos
2.Risteily
3.Pakoputki

LINE-UP
V. Ajomo – Guitar, Vocals
T. Hietamäki – Bass
J. Rämänen – Drums
J. Vanhanen – Guitars, Vocals

ATOMIKYLA – Facebook

Teodasia – Reloaded

La musica dei Teodasia prende davvero il volo, lasciando sentieri già tracciati da una miriade di gruppi e cercando una propria strada fatta di rock/prog/metal sinfonico e squisitamente raffinato.

I Teodasia sono una band veneta in attività da una decina d’anni, con un full length (Upwards del 2012) ed un paio di ep alle spalle, ed il loro symphonic metal dai rimandi gotici vedeva nella singer Priscilla Fiazza uno dei suoi punti di forza.

Ora cambia tutto e dietro al microfono troviamo una dei talenti vocali dello stivale, Giacomo Voli, singer di cui Iyezine vi ha parlato in occasione del suo disco solista uscito lo scorso anno, ed un nuovo chitarrista nella persona di Al Melinato che rimpiazza il pur bravo Fabio Compagno.
Rivoluzione o ricambio naturale che sia, fatto sta che il gruppo, ora un quartetto completato dai superstiti Nicola Falsone al basso e Francesco Gozzo alle pelli, presenta i nuovi arrivati con questo nuovo lavoro, una raccolta di brani già editi e rifatti per l’occasione, più tre canzoni nuove di zecca.
Inutile raccontarvi della bravura del nuovo singer, un altro enorme talento nato nelle nostre bistrattate terre quando si parla di musica metal, specialmente dai fans sempre pronti a rincorrere le band straniere perdendosi gioiellini come questo Reloaded.
La musica del gruppo perde completamente la componente gotica per acquistare molta più energia hard & heavy, i vecchi brani, già belli nella stesura originale, ma rifatti su misura per il nuovo singer, si vestono di metal sontuoso, melodico, a tratti epico, elegante ed estremamente coinvolgente.
Voli regala emozioni a profusione, teatrale quando il sound lo richiede (spettacolare su Lost Words of Forgiveness), inarivabile quando la sua ugola spazia sulle scale sinfoniche prodotte dai suoi compari che non mancano di impreziosire la propria musica di tagli progressivi di altissima qualità.
La musica dei Teodasia prende davvero il volo, lasciando sentieri già tracciati da una miriade di gruppi e cercando una propria strada fatta di rock/prog/metal sinfonico e squisitamente raffinato.
Questo lavoro funge da anticipazione per il nuovo Metamorphosis, in uscita in autunno, drizzate le orecchie perché qualcosa mi dice che saranno meraviglie sonore.

TRACKLIST
1. Broken
2. Rise
3. Temptress
4. Hollow Earth
5. Revelations
6. Lost Words of Forgiveness
7. Ghosts
8. Land of Memories, pt. 1
9. Land of Memories, pt. 2
10. Reloaded

LINE-UP
Francesco Gozzo – Drums
Nicola Falsone – Bass
Alberto Melinato – Guitars
Giacomo Voli – Vocals

TEODASIA – Facebook

Denouncement Pyre – Black Sun Unbound

I tre anni passati a sperimentare, sempre tenendo ben presente la loro cifra stilistica, hanno fruttato molto portando ad un lavoro valido ed interessante che mantiene gli australiani al centro della scena black e death internazionale.

Dall’Australia torna dopo tre anni il quartetto dei Denouncement Pyre, un gruppo che nei suoi tredici anni di carriera ha lasciato molti amplificatori rotti.

Il loro black metal ha subito una maturazione portata dalla curiosità e dalla bravura del gruppo, che prova sempre a fare qualcosa di nuovo, senza arenarsi in una baia sicura e senza vento. I tre anni che hanno seguito la pubblicazione dell’acclamato Almighty Arcanum sono serviti per dipanare la matassa compositiva, per creare una nuova soluzione che potesse far compiere un ulteriore passo in avanti al gruppo. L’obiettivo viene raggiunto in pieno da questi australiani, che fanno un disco di black metal non comune e molto bello. Il loro no né un black metal ortodosso ma è un pericoloso ed affascinante viaggio in bilico fra death e black, fra tradizione ed innovazione, con continue sorprese in ogni canzone, piccole composizione che racchiudono diversi mondi al loro interno.
Il risultato è una tensione sempre molto alta, con picchi di intensità davvero notevoli, e che faranno al gioia degli appassionati del nero metallo. I tre anni passati a sperimentare, sempre tenendo ben presente la loro cifra stilistica, hanno fruttato molto portando ad un lavoro valido ed interessante che mantiene gli australiani al centro della scena black e death internazionale.

TRACKLIST
01 Abnegate
02 Deathless Dreaming
03 Wounds of Golgotha
04 World Encircler
05 Scars Adorn the Whore in Red
06 Black Sun Unbound
07 Revere the Pyre
08 Witness
09 Transform the Aether
10 Sophrosune

DENOUNCEMENT PYRE – Facebook

Demonbreed – Where Gods Come to Die

Ottimo lavoro che non lascia spazio a dubbi sulla bravura del gruppo tedesco, per gli amanti dei suoni old school un altro piccolo gioiello da avere assolutamente.

Corre veloce la macchina da guerra denominata Demonbreed, band che annovera tra proprie fila ex membri dei Lay Down Rotten e di altre band portatrici di bestialità in musica.

Dopo aver dato alle stampe uno split cd in compagnia dei The Dead Goats lo scorso giugno, giungono all’esordio sulla lunga distanza con questo ottimo esempio di death metal old school dal titolo Where Gods Come to Die.
L’album, prodotto alla grande dal chitarrista Fernando presso i Fat Knob Studios e mixato e masterizzato da Dennis Israel ai Clintwoks Mixing And Mastering, risulta una tremenda mazzata estrema come ormai nell’underground siamo abituati ad ascoltare negli ultimi tempi.
Death metal scandinavo ed influenze centro europee si alleano per una guerra senza pietà ai nostri padiglioni auricolari, il tutto ben sostenuto da un buon songwriting, esperienza ed attitudine che affiorano dai solchi di queste undici mitragliate più la clamorosa cover di Blood Colored dei mai troppo osannati maestri Edge Of Sanity, tratta per chi non lo sapesse (nel caso smettete subito di leggere questo articolo) dal capolavoro Purgatory Afterglow, consegnato alla storia del metal estremo nell’anno di grazia 1994.
Chi tributa Dan Swano e la sua band non può che entrare di diritto nelle mie simpatie, ma i Demonbreed si fanno apprezzare pure per la furia senza freni della loro musica, un mix come accennato di death scandinavo e soluzioni guerresche che richiamano in primis i Bolt Thrower, per poi rallegrarci con rallentamenti doom alla Asphix ed un’atmosfera maligna insita nell’angelo morboso.
Con un grande lavoro sugli strumenti, i musicisti impegnati in questa campagna contro l’esercito del bene mettono sul piatto l’esperienza accumulata con le loro passate esperienze, così che Where Gods Come To Die possa allietare i deathsters innamorati dei suoni old school.
Non c’è tregua, da Vultures in the Blood Red Sky (la title track funge da intro) in poi è un susseguirsi di piccole perle nere, le due chitarre affilate come rasoi bombardano di riffoni pesanti come incudini, mentre il gran lavoro della sezione ritmica, tra accelerazioni spaventose e brusche frenate rendono i brani vari e tremendamente efficaci.
Ottimo lavoro che non lascia spazio a dubbi sulla bravura del gruppo tedesco, per gli amanti dei suoni old school un altro piccolo gioiello da avere assolutamente.

TRACKLIST
01. Where Gods Come to Die
02. Vultures in the Blood Red Sky
03. A Thousand Suns Will Rise
04. Summon the Undead
05. Revenge in the Afterlife
06. Empty Grave
07. Red Countess
08. Perish
09. Barren Wasteland
10. Folded Hands
11. Blood Colored (Edge Of Sanity cover)
12. Seed of Ferocity

LINE-UP
Jost Kleinert – Vocals
Daniel Jakobi – Guitars, b.vocals
Fernando Thielmann – Guitars,b.vocals
Johannes Pitz – Bass
Timo Claas – Drums

DEMONBREED – Facebook

Lita Ford – Time Capsule

Una vita spesa in nome del rock’n’roll e carisma da vendere: Lita Ford si conferma come una delle icone al femminile di questo pazzo ed affascinante mondo.

Una delle regine dell’hard rock è tornata con un nuovo album, o meglio una raccolta di brani inediti scritti durante gli anni e mai immessi sul mercato.

Lo fa aiutata da una schiera di musicisti dal background vario ma tutti estremamente importanti per lo sviluppo della nostra musica preferita, così da trasformare una semplice (anche se bellissima raccolta di vecchi demotape) in un album imperdibile per tutti i fans dell’hard rock.
Lita Ford è una donna con un curriculum musicale da far impallidire molti degli illustri colleghi maschi, con una serie di flirt che l’hanno vista in compagnia del buon Lemmy, Joe Lynn Turner e tra gli altri Chris Holmes e Tony Iommi, tanto per citare l’ex marito ed il protagonista scabroso della sua autobiografia uscita ultimamente, ma soprattutto chitarrista del gruppo al femminile più importante della storia del rock, le Runaways di Joan Jett.
Time Capsule passa con disinvoltura da brani rock’n’roll, a grintose e ruvide hard rock songs, non facendoci mancare le super ballatone (Where Will I Find My Heart Tonight e War of the Angels) per le quali la Ford solista è famosa e l’album nella sua interezza convince, senza che i tanti anni passati dalla stesura delle tracce lo appesantiscano.
Ed arriviamo ai numerosi ospiti che imprimono il loro marchio su ogni brano di Time Capsule, iniziando da Jeff Scott Soto che duetta con la Ford in Where Will Find My Heart Tonight, mentre i due Kiss Gene Simmons e Bruce Kulick impreziosiscono il rock’n’roll ottantiano di Rotten To The Core.
Ma le sorprese non finiscono qui, Dave Navarro fa la sua comparsa in Killing Kind, song che vede al basso la presenza di Billy Sheehan e ai cori Robin Zander e Rick Nielsen dei Cheap Trick.
Black Leather Heart risulta uno dei brani più riusciti del disco, colmo di groove leggermente moderno, con ancora Billy Sheehan a formare con il batterista Rodger Carter una sezione ritmica da urlo.
Ancora grande musica rock con Anything for the Thrill ed un salto nel blues rock con King of the Wild Wind, una song dal lento incedere, sporcata da un’attitudine blues che commuove.
Time Capsule viaggia su ottimi livelli e la Ford non manca di sbalordire per la grinta , dopo tanto tempo, per una sempre splendida voce che affiora nelle due ballad citate.
Cinquantasette anni e non sentirli, una vita spesa in nome del rock’n’roll e carisma da vendere: Lita Ford si conferma come una delle icone al femminile di questo pazzo ed affascinate mondo, ci diverte e si diverte, bentornata.

TRACKLIST
01. Intro
02. Where Will I Find My Heart Tonight
03. Killing Kind
04. War of the Angels
05. Black Leather Heart
06. Rotten to the Core
07. Little Wing
08. On the Fast Track
09. King of the Wild Wind
10. Mr. Corruption
11. Anything for the Thrill

LINE-UP
Lita Ford – Vocals, Guitar
Jeff Scott Soto – Guest Vocals
Chris Holmes – Voice on “Intro”
Robin Zander – Backing Vocals
Rick Nielsen – Backing Vocals
Bruce Kulick – Guitar
Greg Buahio – Bass
Jimmy Tavis – Bass
Billy Sheehan – Bass
Gene Simmons – Bass
Jimmy Tavis – Bass
Dave Navarro – Mandolin
Rodger Carter – Drums

LITA FORD – Facebook

Bells Of Ramon – Jamie Lee

I Bells Of Ramon rialsciano un sette raffinato, ben suonato e ben prodotto che lascia ben sperare per il futuro disco.

Dopo un po’ di attesa e vari concerti positivi, ecco uscire il 7″ che precede il debutto dei Bells Of Ramon previsto per l’autunno del 2016.

I Bells Of Ramon sono un gruppo genovese che suona uno stoner molto influenzato dall’hard rock, ma anche viceversa va bene, ovvero hard rock influenzato dallo stoner. Il loro suono è composto molto attentamente e nulla viene lasciato al caso. Il primo pezzo, Jamie Lee, ha un incedere elegante e sinuoso, con un suono molto stelle e strisce, riuscendo ad essere originale e particolare anche in un ambito dove non è facile. Ascoltando questi due pezzi si può sentire anche un forte sapore di grunge, perché a noi di una certa età è rimasto in testa, e non c’è nulla da fare. I Bells Of Ramon rilasciano un sette raffinato, ben suonato e ben prodotto che lascia sperare il meglio per il futuro disco.

TRACKLIST
Side A – Jamie Lee
Side B – Smoke Stung

LINE-UP
Luca Baldini- Voice, Guitar
Fabio Leonelli – Guitar
Sandro Carraro – Bass
Martino Sarolli – Drums

BELLS OF RAMON – Facebook

J.T.Ripper – Depraved Echoes and Terrifying Horrors

Depraved Echoes and Terrifying Horrors si può certamente considerare un esordio positivo, appetibile in particolare per i fans più accaniti dello speed/thrash vecchia scuola.

Nell’underground metallico è forte una tendenza old school che negli ultimi anni si è amplificata in tutti i generi e prevalentemente in quelli estremi.

Death metal, thrash e raw black metal vivono grazie a questo sottobosco musicale, ancora ancorato alle sonorità storiche, molte volte con buoni risultate, altre sinceramente un po meno.
I tedeschi J.T. Ripper si piazzano esattamente nel mezzo con questo primo lavoro sulla lunga distanza, composto da nove brani di speed/thrash metal old school arricchiti da un’attitudine evil di chiara matrice black.
Ne esce Deapraved Echoes and Terrifying Horrors, lavoro che che si colloca tra Slayer, Venom e la sacra triade tedesca Sodom/Kreator/Destruction, influenze nobili per il trio di Chemnitz, anche se la strada da percorrere per raggiungere le loro ispirazioni è ancora molto lunga.
L’album si guadagna la piena sufficienza e qualcosa di più per l’alto impatto e l’attitudine, ma perde qualcosa in songwriting e produzione; il primo leggermente monocorde, la seconda molto old school, forse troppo.
Poco più di mezz’ora a mille allora, un forte sentore di putrida blasfemia ma anche di già sentito, portano il trio di thrashers composto da S (basso e voce), D (chitarra) e C (battteria), nei meandri infernali creati dai gruppi che misero a ferro e fuoco il decennio ottantiano, la passione nel riportare tali sonorità è commovente ed il gruppo ce la mette tutta per risultare più aggressivi possibile, ed in effetti ci riesce alla grande, specialmente nei brani più elaborati come Darkest Minds e la punkizzata Repulse Desire.
Se siete amanti di tutto quello che è vintage nel metal estremo, Depraved Echoes and Terrifying Horrors si può certamente considerare un esordio positivo, appetibile in particolare per i fans più accaniti dello speed/thrash vecchia scuola.

TRACKLIST
1. Black Death
2. Seven Comandments
3. Human Coffin
4. Darkest Minds
5. Bloody Salvation
6. Route 666
7. Fallout (Over France)
8. Repulsive Desire
9. Buried Alive

LINE-UP
Chris – Drums
Daniel – Guitars
Steffen – Vocals, Bass

J.T.RIPPER – Facebook

Bioscrape – Psychologram

Se amate i suoni metallici moderni e le sonorità core non perdetevi questo lavoro, i Bioscrape hanno armi affilate per farvi male.

Un disco che trasuda groove ed una insana carica hardcore, una pesante incudine che ingloba nella propria musica sfumature industriali, metal moderno ed un impatto core oscuro e devastante.

Questo in sintesi è Psychologram, secondo lavoro sulla lunga distanza dei Bioscrape, band italiana che costruisce un muro sonoro assolutamente indistruttibile.
Il successore di Exp.01, debutto licenziato nel 2012, conferma l’assoluta caparbietà del gruppo nel confezionare un prodotto estremo che si mantiene su coordinate metalcore, ma non risparmia all’ascoltatore bordate metalliche colme di groove, sfuriate al limite del thrash moderno ed una chiara ispirazione hardcore, racchiuso in un concept che richiama un futuro di distruzione in clima sci-fi.
E’ un’aggressione senza soluzione di continuità, con il growl rabbioso che passa da tonalità profonde care al death, ad urla in hardcore style, le ritmiche sanguinano groove, le chitarre taglienti sono cavi elettrici che balzano tra pozzanghere sporche di acqua putrida, mentre il grigio è il colore del mondo in cui si muove Psychologram.
Tecnicamente ineccepibili e con l’aiuto di Wahoomi Corvi che ha prodotto e mixato l’album ai Realsound Studio di Parma, i Bioscrape creano un album maturo e bilanciato tra i vari generi di cui si nutre, i brani che si mantengono monolitici, hanno in loro varie sfumature che li rende unici e che va dal thrash (Primordial Judge), alle variazioni ritmiche di Aliena, al metallo moderno di Cyber Hope, per non mancare di farci ascoltare elementi riconducibili al progressive death con Echo Silent, piccolo gioiello che risulta il miglior brano del lotto.
L’elemento core è chiaramente quello più distinguibile, ma viene manipolato dal gruppo con ottima conoscenza della materia ed un impatto e compattezza che sono i punti forti dei Bioscrape ed in generale di tutte le band alle prese con il genere.
Psychologram non mancherà di soddisfare i fans del gruppo, ma se amate i suoni metallici moderni e le sonorità core non perdetevi questo lavoro, i Bioscrape hanno armi affilate per farvi male.

TRACKLIST
01 – Primordial Judge
02 – Mechanical Providence
03 – Aliena
04 – Bioscrape
05 – Killer Collision
06 – Cyber Hope
07 – Astro Noise
08 – Echo Silent
09 – Vega Cospiration
10 – Psychologram

LINE-UP
V. – drums
J. – vocals
S. – guitar
P. – bass

BIOSCRAPE – Facebook

Eye Of Solitude – Cenotaph

L’ennesimo grande disco di una band che non finisce mai di regalare emozioni.

Gli Eye Of Solitude, rispetto alla maggior parte delle doom band, si distinguono per una produzione più cospicua che, quasi magicamente, non va affatto a discapito della qualità.

Infatti, a fronte di chi fa trascorrere diversi anni tra un uscita e l’altra, il gruppo guidato da Daniel Neagoe solletica con una certa frequenza il palato dei numerosi estimatori, guadagnati grazie alla pubblicazione di un capolavoro come Canto III (2013) ed ad altri due lavori magnifici come Sui Caedere (2012) ed Dear Insanity (2014).
Nel 2015 il nome del gruppo londinese è balzato agli onori della cronaca, prima grazie allo split con gli olandesi Faal, poi, anche per la valenza benefica dell’operazione, con la pubblicazione on-line del singolo Lugubrious Valedictory, volto alla raccolta di fondi da devolvere a favore dei familiari di coloro che persero la vita nella tragedia del Colectiv Club di Bucarest, risalente allo scorso ottobre.
Fatte le debite premesse, veniamo a parlare del nuovo album Cenotaph, la cui uscita è prevista per il 1 settembre e che, al momento, non vede alcuna etichetta assumersi l’onere (ma soprattutto l’onore) della sua pubblicazione.
Se, come detto, Canto III costituiva la quintessenza del sentire musicale degli Eye Of Solitude potendosi considerare, per certi versi, un qualcosa di irripetibile grazie alla sua perfetta espressione di un deathdoom melodico e parossistico per intensità, Dear Insanity si spostava maggiormente verso un funeral dagli ampi tratti ambient; Cenotaph riesce nella non facile impresa di assimilare il meglio da entrambi i lavori, restando sicuramente su posizioni più vicine all’ep precedente ma arricchendole con quei crescendo emotivi che sono il marchio di fabbrica di Neagoe e soci.
Rispetto all’opera di matrice dantesca, Cenotaph appare sicuramente meno immediato, evidenziando, come già notato in Dear Insanity, un’attitudine chitarristica più propensa ad accompagnare il sound piuttosto che ad ergersi quale protagonista, facendo sì che, alla fine, il vero “strumento” chiave del lavoro divenga proprio l’inimitabile growl di Daniel.
Proviamo per assurdo ad azzerare gli interventi del vocalist rumeno: ne resterebbe comunque un superlativo album strumentale al quale, però, verrebbe meno l’elemento cardine in grado rendere “fisico” il tormento e lo smarrimento evocato dalla musica.
Infatti, la commozione che oggi pochi come gli Eye Of Solitude sono capaci di indurre, nasce da un lavoro d’insieme, dall’afflato compositivo di una band che si muove all’unisono, preparando il terreno, tramite passaggi rarefatti ed atmosfere quasi cullanti, alla deflagrazione di un pathos che assume le sembianze di un crescendo vorticoso e dall’intensità insostenibile.
Questa è, a grandi linee, la descrizione di un brano come A Somber Guest, uno dei picchi assoluti della carriera di una band unica, oggi, per la propria particolare opera di sbriciolamento di ogni barriera psichica che l’inconscio provi ad erigere.
Il dolore, la paura dell’ignoto, l’ineluttabilità della morte: tutto ciò viene rovesciato sull’ascoltatore, prima sgomento ed indifeso di fronte ad una tale offensiva, poi gradualmente capace di compenetrarsi con la musica facendosi consapevolmente travolgere da una marea emotiva che, ritirandosi, lascia quale preziosa traccia del suo passaggio un catartico stupore.
La title track prima, e This Goodbye. The Goodbye, poi, sono esempi di quella rarefazione del suono che, se non raggiunge l’intensità esibita in altri passaggi dell’album, costituisce il magnifico preludio ad aperture melodiche che inducono senza remissione alle lacrime, come avviene in maniera esemplare e definitiva nella seconda parte dell’altro brano capolavoro Loss, a suggello dell’ennesima opera monumentale targata Eye Of Solitude.
Cenotaph è tappa obbligata per chi vuole affrontare privo di preconcetti una forma d’arte che, invece di occultare le miserie dell’esistenza rivestendole grottescamente di una gioia artefatta , le esibisce senza pudori per poi trasformarle in un’esperienza liberatoria, facendo vibrare le corde più profonde dell’animo umano.

Tracklist:
1. Cenotaph
2. A Somber Guest
3. This Goodbye. The Goodbye
4. Loss

Line-up:
Daniel Neagoe – Vocals
Chris Davies – Bass
Adriano Ferraro – Drums
Mark Antoniades – Guitars
Steffan Gough – Guitars

EYE OF SOLITUDE – Facebook

Nerodia – Vanity Unfair

Il lavoro suona praticamente perfetto in tutti i suoi aspetti, un album estremo che potrebbe trovare ammiratori anche tra gli amanti del metal più classico per via di grandi intuizioni melodiche.

Tornano come una tromba d’aria che, vorticando, finisce il lavoro di distruzione sulle macerie lasciate al primo fatale passaggio, lasciando solo il caos prodotto dalla sua inesauribile furia.

Loro sono i Nerodia, quartetto romano che rilascia questo devastante secondo lavoro sulla lunga distanza, dopo il primo full length Heretic Manifesto e Prelude To Misery, ep uscito tre anni fa e che avevamo già elogiato su queste pagine.
Vanity Unfair è stato affidato per il mix ed il mastering a Stefano Morabito in quel dei 16th Cellar Studio e vede come ospite Massimiliano Pagliuso dei Novembre, alle prese con un solo nella belligerante ed oltremodo scandinava The Black Line.
I nostri quattro thrash/blacksters, senza farci respirare, ci immergono nel loro mare di note estreme sempre in bilico tra il black metal scandinavo ed il thrash old school di matrice tedesca.
E’ un mare nero, dove vivono entità che nell’ombra, voraci, che attaccano senza pietà pregne di umori black’n roll ed insana attitudine evil con questo nuovo lavoro, ancora una volta valorizzato dalla tecnica sopraffina dei musicisti, tra cui spicca l’enorme piovra famelica che di nome fa David Folchitto.
I riff si susseguono, veloci e taglienti come zanne di squali tigre convincendo ancora una volta sulla perizia dei due axeman (Giulio Serpico Marini, Marco Montagna), mentre il basso di Ivan Contini segue lo tsunami di colpi inferti dal suo collega ritmico.
Brani che non scendono sotto l’atmosfera di esaltazione che dalle prime note della title track cala sull’ascoltatore, stordito dal mix letale di Darkthrone, Dissection, Kreator ed impulsi motorheadiani che brani come Pussywitch 666, Anti-Human Propaganda, Chains of Misery e No Crown For The Dead non fanno che confermare.
Siamo a livelli molto alti, la band romana non ha punti deboli, ed il lavoro suona praticamente perfetto in tutti i suoi aspetti, un album estremo che potrebbe trovare ammiratori anche tra gli amanti del metal più classico per via di intuizioni melodiche sopra le righe. Un acquisto obbligato.

TRACKLIST
01 Necromorphine Awakening
02 Vanity Unfair
03 The Black Line
04 Souldead
05 Pussywitch 666
06 No Crown for the Dead
07 Anti-Human Propaganda
08 Chains of Misery
09 Celebration of the Weak
10 Usque Ad Finem
11 Channeling the Dark Sound of Cosmos

LINE-UP
Giulio Serpico Marini – Vocals, Guitars
Marco Montagna – Guitars, B.Vocals
Ivan Contini – Bass
David Folchitto – Drums

NERODIA – Facebook

Mausoleum Gate – Metal And The Might / Demon Soul

Vocals che riconducono agli ormai storici anni ottanta, tasti d’avorio purpleiani e cavalcate chitarristiche di scuola britannica (NWOBHM) fanno parte del background del gruppo finlandese, una cult band per alcuni, davvero troppo datata per altri.

Heavy metal old school, un sound che racchiude la filosofia metallica di stampo classico in tutte le sue componenti e un’attitudine che rispecchia in toto la tradizione, queste sono le caratteristiche dei Mausoleum Gate, band finlandese attiva dal 2009, presentataci dalla Cruz De Sur Music con questo singolo di due brani.

Metal And The Might, song che da il titolo all’opera, più i sei minuti della vintage Demon Soul compongono questo singolo che va a rimpolpare una discografia che vede il quintetto di Kuopio alle prese con una manciata di lavori minori ed un unico full length omonimo uscito un paio di anni fa.
A prescindere dall’operazione criticabile nel genere proposto, questo singolo presenta quanto meno il gruppo a chi,dei suoni nostalgici dalle sfumature 70’/80, fa il suo credo, devoto ai suoni tradizionali in toto, compresa una produzione deficitaria e che non rende giustizia al songwriting dei Mausoleum Gate.
Vocals che riconducono agli ormai storici anni ottanta, tasti d’avorio purpleiani e cavalcate chitarristiche di scuola britannica (NWOBHM) fanno parte del background del gruppo finlandese, una cult band per alcuni, davvero troppo datata per altri.
La verità come sempre sta nel mezzo, ed i Mausoleum Gate risulterebbero un ottimo gruppo se non fosse per le scelte in fase di produzione che, purtroppo in questi anni, trovano terreno fertile solo nei fans del rock, affondato nelle sabbie mobili di un passato che molti gruppi glorificano con album che amalgamano tradizione e modernità, ma che risulta obsoleto quando, per scelta o per difetto, i mezzi usati risultano deficitari.
Immaginatevi la vergine di ferro sprofondata in un profondo porpora ed ammaliata da un sabba nero ed avrete un’idea della proposta del gruppo finlandese, peccato solo che il tutto non venga valorizzato al meglio; speriamo che ciò accada alla prossima occasione.

TRACKLIST
Side A – Metal and the Might
Side B- Demon Soul

LINE-UP
V-P. Varpula – Vocals
Count L.F. – Electric and Acoustic Guitars
Nino Karjalainen – bass
Kasperi Puranen – Electric Guitars
Wicked Ischianus – Hammond C3 Organ, Mellotron M400 and MiniMoog
Oscar Razanez – Drums, Percussions and Gongs

MAUSOLEUM GATE – Facebook

Earthset – In a State of Altered Unconsciousness

Un meraviglioso e inaspettato trattato della musica contemporanea, bolognese innanzi tutto e italiana infine.

Master Of Reality, dal primo istante non ci si confonde, soprattutto dal vero grigio che non solo dalla copertina trapela.

E’ una risolvibile equazione algebrica che spiega per lo più come affrontare un periodo dimesso, in cui nessuno più ha apparente interesse. Ottimo mixaggio, suoni curati e melodie coinvolgenti e non banali, che tra un onda e l’altra ricordano agli appassionati del genere post(-post) grunge i My Vitriol e i Biffy Cliro: The Absence Theory ne è un esempio, uno su 11, numero perfetto per concentrarsi sul singolo ascolto di ogni traccia. Le ballate Epiphany e Ouverture si traducono in veri e propri viaggi sonori che Valeria Ferro di Onda Rock riesce perfettamente a definire : (…)un disco lineare e flessibile, capace di scorrere fino al suo epilogo come un vertiginoso continuum.. Siamo infatti alla sincope iniziale di So What che dà quindi una spinta a rimbalzarci tra le pareti dei nostri stessi pensieri. E funziona!: chitarre sguainate si aprono e l’aria si rende anche più densa ed esotica con la seguente Skizofonia, ovvero 6 minuti circa di strumentali, con giusti tempi tra crescendo e spamnung . Gone ne è l’eco che si trasmuta in un ‘altra forma (e colore ) ancora; siamo tutti presi e contenti di vedere come anche questo grigiore sappia creare i suoi spazi di euforia pura!!
Astray è ancora un gioiellino che non perde il suo carattere (modalità vagamente Pearl Jam) visto che per un primo ascolto, ad un certo punto, le ultime tracce potrebbero diventare di difficile assimilazione. La tenerezza della dissonanza allo stato puro crea le necessarie vertigini e le chitarre ancora una volta ci suggeriscono la fatica . E’ una discesa/ascesa che fa felici tutti, fanatici o meno del genere, e il taglio o accento buckleyano forse rende tutto più dolce, almeno dall’aspetto con cui Circle Sea chiude un meraviglioso e inaspettato trattato della musica contemporanea, bolognese innanzi tutto e italiana infine. In attesa del prossimo Ep, già in lavorazione, intanto gustiamoci questo, impreziosito dall’artwork di Mauro Belfiore.

TRACKLIST
1.Ouverture
2.Drop
3.The Absence Theory
4.rEvolution of the Species
5.Epiphany
6.So What?!
7.Skizofonìa
8.Gone
9.A.S.T.R.A.Y.
10.Lovecraft
11.Circle Sea

LINE-UP
Luigi Varanese: basso, coro
Costantino Mazzoccoli : chitarra, coro
Emanuele Orsini: batteria
Ezio Romano: chitarra, voce

EARTHSET – Facebook

Human Vivisection – The Perpetual Gap

Oscuro e pesantissimo, The Perpetual Gap vive su un impatto che non manca di fare danni, accontentando in quanto ad efferatezza sonora gli amanti dei genere

The Perpetual Gap è l’esordio discografico della band belga Human Vivisection, arrivata al primo full length a quattro anni dalla sua fondazione.

Brutal death metal in puro delirio di blast beat, un monolito di metallo estremo che ha nei classici cliché del genere la propria forza e non rinuncia a soluzioni che si avvicinano al grindcore, The Perpetual Gap vive di queste sensazioni estreme, senza compromessi e dall’impatto violentissimo.
Un’altra opera targata Rising Nemesis, label specializzata nel metal estremo di cui ci siamo occupati nella recensione riguardanti gli olandesi Korpse, band che si avvicina al sound del gruppo belga, anche se The Perpetual Gap come detto richiama specialmente nelle ritmiche il classico sound grind.
Il quintetto di Bree, opera un massacro a tutto tondo, sfoderando una prestazione al limite dell’umano nella potentissima sezione ritmica e lasciando al vocalist il compito di vomitare puro odio per il genere umano, violenze ed altre atrocità.
Trentacinque minuti di massacro sonoro che, anche in questo caso, non mancano di stancare un po’, complici soluzioni usate in tutti i brani così che, ad un approccio distratto, sembra di ascoltare lo stesso brano ripetuto all’infinito, questo è il difetto maggiore che si riscontra in questo ennesimo devastante lavoro in arrivo dal nord Europa.
Oscuro e pesantissimo, The Perpetual Gap vive su un impatto che non manca di fare danni, accontentando in quanto ad efferatezza sonora gli amanti dei genere, ma canzoni come Age of Disgust, la mastodontica Birth of a Defective Race e la super grindcore song che risulta Consumed by the 4th Dimension, faranno la gioia dei fans accaniti del death metal estremo, per tutti gli altri è consigliato di stare alla larga dagli Human Vivisection.

TRACKLIST
1. The Enigma of Subsistence
2. Age of Disgust
3. The Perpetual Gap
4. The Transmutation Program
5. Feed the Warmachine
6. From Blaspheme to Viscera
7. Birth of a Defective Race
8. Consumed by the 4th Dimension
9. Indulging in the Downfall
10. Creation of the Spiritual Machines
11. The Inevitable Confine of Existence

LINE-UP
Roy Feyen – Guitar
Sonny Hanoulle – Guitar
Yenthe Meeus – Vocals
Robbie Cuypers – Bass
Olivier Smeets – Drums

HUMAN VIVISECTION – Facebook

Beneath The Storm – Lucid Nightmare

Disco in bilico tra sogno e morte, una grande prova di maturità per il gruppo.

Quarto disco per gli sloveni Beneath The Storm, uno dei primi gruppi anni fa ad approdare al roster di Argonauta Records.

Come sempre questi sloveni ci regalano un concept album, questa volta è sugli incubi, porte multidimensionali che si aprono tra il nostro subconscio e mondi lontani.
Oltre ad essere un disco molto godibile, Lucid Nightmare segna anche una nuova poetica musicale del gruppo. Lasciate un po’ indietro certe asperità sonore dello sludge pesante, in questo disco i Beneath The Storm hanno ricercato sonorità più vicine allo stoner sludge, con una fortissima impronta grunge, vicina a quella fabbrica di musica e dolore che si chiamava Alice In Chains. Il suono non è più melodico, è mutato dalla base id partenza del loro sludge distorto e quasi atmosferico per giungere ad un suono più organico e forse più semplice, migliore rispetto a prima, anche se non si può effettuare un vero confronto dato che l’ambiente è cambiato radicalmente. Si può parlare di maturazione, ma penso che musicisti così poliedrici e capaci possano e devono cambiare il loro suono quando e come vogliono. Per abitudine mentale ai loro precedenti dischi mi aspettavo qualche cosa di diverso e quando ho ascoltato il disco sono rimasto piacevolmente sorpreso e davvero convinto della forza di questo disco. I Beneath The Storm fanno compiere un salto ulteriore per la loro musica, che diventa un qualcosa di molto più fruibile e ancora più affascinante di prima. Il disco parla del sonno, la nostra morte quotidiana che fa nascere mondi malati dentro di noi, perché gli incubi sono molto più interessanti e quotidiani dei sogni. I Beneath The Storm ci fanno capire, con questa musica pesante eppure eterea, che l’incubo è il nostro vero habitat naturale, e che non vi è nulla di male a far gridare il nostro io intrappolato nelle ore di veglia. Disco in bilico tra sogno e morte, una grande prova di maturità per il gruppo.

TRACKLIST
01. Nightmare’s Gate
02. Paralyzed In Sleep
03. Nightmares Overcome
04. Insomnia
05. Lucid Nightmare
06. Dementia
07. Atrocious Dreams
08. Down
09. On High In Blue Tomorrows
10. The House Of Doom

BENEATH THE STORM – Facebook

Aeternus Prophet – Exclusion of Non-Dominated Material

Un viaggio nell’assoluta e misantropica repulsione per l’umanità che il trio riversa in dieci inni al male

I tre sacerdoti ucraini tornano a seminare odio con il secondo full length, Exclusion of Non-Dominated Material.

Gli Aeternus Prophet sono attivi dal 2010 e la loro discografia si completa con una coppia di demo ed il primo lavoro sulla lunga distanza dal titolo Безжальність, uscito quattro anni fa.
Death metal old school, infestato di malefici virus raw black metal ed atmosferici passaggi doom, per una proposta che non manca di fascino evil.
In generale il mood dell’album mantiene una componente diabolicamente oscura, il metal estremo scarno e violento del gruppo si nutre di puro odio, così da farne un lavoro di monolitico metal estremo decadente e senza compromessi.
Un viaggio nell’assoluta e misantropica repulsione per l’umanità che il trio riversa in dieci inni al male, che potrebbero trovare estimatori sia nelle frange del death metal che in chi si nutre di pure fucking black.
Veritas (chitarra e voce), Oberon (chitarra) e Dessident (batteria) non mancano di guardare ai maestri delle sonorità oscure, soprattutto provenienti dall’est, il loro sound tramortisce, ed imperterrito marcia verso il regno dell’oscurità senza troppi fronzoli ne cambi di atmosfere che perdurano dall’opener Removed Eyes, fino alla conclusiva A Look into Eternity, passando per le devastanti Sick Vision e Uncaused Defacement.
Belphegor e Behemoth sono le ispirazioni maggiori del loro black/death metal, niente di nuovo, ma assolutamente maligno e luciferino, tanto da farne un lavoro perfetto per le anime più oscure che si aggirano nell’ombra del variegato mondo del metal estremo underground.

TRACKLIST
1. Removed Eyes
2. Total Dominance
3. Diapause of Thought Processes
4. Sick Vision
5. Exclusion of Non-Dominated Material
6. Uncaused Defacement
7. Fate Will Expect Your Death…
8. Obliged to Live
9. Wipe Off the Mark
10. A Look into Eternity

LINE-UP
Veritas – guitar, vocal
Oberon – guitar
Dessident – drums

AETERNUS PROPHET – Facebook

Korpse – Unethical

Unethical scarica dosi letali di violenza, i brani si succedono uno dopo l’altro in un’atmosfera di delirio, dove torture, abominevoli amputazioni e blasfemie varie sono il pane quotidiano.

Rientriamo dopo un po’ di tempo nei meandri insani del death metal estremo con il brutale combo olandese dei Korpse, quartetto di Bussum foriero di un devastante slam brutal death metal.

Il gruppo attivo dal 2013 licenzia il suo secondo lavoro, successore del debutto omonimo uscito un paio di anni fa, e conferma tutto il suo impatto anche su questo nuovo lavoro, un assalto brutale senza soluzione di continuità per oltre mezzora di carneficina in musica.
I musicisti che formano la band sono tutti di buona esperienza avendo militato in molte realtà della scena e si sente, l’aggressione è più di quanto violento e brutale si possa immaginare, sempre perennemente ancorato ai cliché del genere, ma valorizzato da una carica a dir poco esplosiva.
Come un vento atomico che travolge senza pietà il sound del gruppo alterna passaggi in blast beat a rallentamenti e slamming potentissimi, il growl animalesco fa il resto valorizzando l’approccio senza compromessi dei Korpse.
Unethical scarica dosi letali di violenza, i brani si succedono uno dopo l’altro in un’atmosfera di delirio, dove torture, abominevoli amputazioni e blasfemie varie sono il pane quotidiano.
Ottima la prova di una sezione ritmica che avanza come un carro armato (Mart Wijnholds al basso e Marten van Kruijssen alle pelli) e dove la sei corde di Floor van Kuijk lancia grida lancinanti torturate dall’axeman olandese.
Sven van Dijk vomita rabbia e crudeltà nel microfono con il suo growl da orco indemoniato, mentre siamo già arrivati all’ultimo brano in uno tsunami di sangue e arti.
Un difetto, che è molto facile riscontrare nei gruppi dediti a queste sonorità, è la somiglianza tra le canzoni che fa di Unethical un unico blocco di brutale metal estremo ed un lavoro che, comunque, gli amanti del genere sicuramente apprezzeranno.

TRACKLIST
1. Conquer
2. Collateral Casualties
3. Incinerate
4. Deformed to the Extreme
5. Stoneage
6. Cleaning the Aftermath
7. Cannibal Warlords
8. Unethical
9. Retaliation
10. Monastery Waste
11. Eternal Misery

LINE-UP
Mart Wijnholds – Bass
Marten van Kruijssen – Drums
Sven van Dijk – Vocals
Floor van Kuijk – Guitars

KORPSE – Facebook

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