Der Rote Milan – Aus Der Asche

Grazie anche alla produzione pressoché perfetta questo disco è davvero una bella sorpresa.

Debutto per questo gruppo tedesco di black metal potente ed intenso, che raccoglie ciò che di meglio offre il genere.

Provenienti dalla regione del Reno – Palatinato, i Der Rote Milan firmano un ottimo disco di black metal che guarda sia indietro che davanti. Su di loro aleggia un sintomatico mistero, dato che non si sa granché, se non che sono stati fondati nel 2015, e che dopo un demo hanno pubblicato questo disco, che è un potente concentrato di metallo nero. Lo stile è sicuramente vicino a Dark Funeral e Satyricon , anche se la maggior parte delle cose sono opera dei Der Rote Milan. Grazie anche alla produzione pressoché perfetta questo disco è davvero una bella sorpresa. Si alternano momenti veloci e saturi di potenza con impressioni melodiche notevoli, anche se maggioritaria è sempre la componente diabolica, luce tenebrosa ispiratrice di questo gruppo. La singolarità di questo gruppo è una notevole graniticità, un avanzare compatti offrendo corpi mutilati e terra sconsacrata ovunque passino. Il disco conferma lo stato di grazia del black metal tedesco, che insieme a quello portoghese da cui è molto differente, sta offrendo prove eccellenti. Aus Der Asche è un debutto fuori dal comune, strutturato molto bene e davvero potente. Sembra fin strano che un disco così sia stato autoprodotto e pubblicato dallo stesso gruppo, poiché qui il livello è davvero alto. Una grande strage per cominciare non fa mai male.

TRACKLIST
01. Der Aufstieg
02. Nebel Und Regen
03. Das Ende Des Tempels
04. Sühne Und Schmerz
05. Seelenasche
06. Blutleere Stille
07. Ewige Dunkelheit
08. Der Abgrund

LINE-UP
I – Guitars
II – Guitars
III – Vocals
IV – Drums
V – Bass

DER ROTE MILAN – Facebook

A Silent Noise – ZeitMaschine / The Wake

Nuovo singolo, che funge da apripista per il prossimo album, per i A Silent Noise, realtà nostrana che fonde con eleganza new wave ottantiana, musica elettronica di ispirazione tedesca e colonne sonore sci-fi.

La band nasce per volere del tastierista e cantante Libero Volpe, ideata come solo project, poi trasformata in una band a tutti gli effetti con l’entrata in pianta stabile di Lorenzo Ceccarelli al basso e Stefano Esposito alla chitarra.
Il primo lavoro del gruppo, intitolato Kaleidoscope, esce nel 2014 e permette alla band di iniziare un’intensa attività live, mentre a marzo di quest’anno è il video di ZeitMaschine, girato come un cortometraggio, che irrompe sui canali di competenza, con la musica del gruppo diventa la suggestiva colonna sonora per le immagini che scorrono sul video.
La firma con Agoge porta la band al singolo in questione, formato dal brano che dà il titolo al video con in più la bellissima The Wake.
Musica onirica che richiama la new wave più matura, basi elettroniche di suggestivo kraut rock in una struttura di liquido incedere dalle reminiscenze sci-fi, la proposta del terzetto si muove misteriosa e dark su queste coordinate, lasciando intravedere una maturità artistica sorprendente.
La moltitudine di ispirazioni dalle quali la band attinge lascia spazio al talento compositivo che in questi due brani viene espresso galleggiando mellifluo tra i generi di cui si compone il sound, tra una ZeitMaschine, che ricorda un trip alla Odissea nello Spazio ed una The Wake, semplicemente straordinaria nel richiamare diverse realtà oscure del periodo ottantiano (Ultravox, Joy Division e Tangerine Dream).
In sintesi, due brani che esprimono appieno il valore artistico degli A Silent Noise, andando a creare una certa aspettativa per il prossimo album.

TRACKLIST
Side A: ZeitMaschine
Side B: The Wake

LINE-UP
Libero Volpe – voice, synthesizers, bass/baritone guitar
Lorenzo Ceccarelli – Bass guitar
Stefano Esposito – Guitars

A SILENT NOISE – Facebook

The Dead Daisies – Make Some Noise

Crue, Whitesnake, Aerosmith, Bad Company, Kiss, Gunners, metteteli in un bidone e fatelo rotolare giù per la collina di Hollywood, aprite il coperchio e ne usciranno i The Dead Daisies.

Avete presente quando un calciatore, all’ultimo minuto della partita più importante della sua carriera, segna in rovesciata il goal che dà la vittoria alla propria squadra?
Il primo commento è: ora può smettere di giocare!

Ebbene, dopo aver scritto questo articolo il sottoscritto potrebbe tranquillamente tornare ad invasare fiori sul suo terrazzo, perché un disco del genere in campo hard rock, nel nuovo millennio sarà improbabile che gli ricapiti tra le mani.
Ecco quindi il disco perfetto, quello che non uscirà mai più dal vostro stereo e che vi farà cantare, esaltare come e più dei classici, esplosivo in tutte le sue componenti e suonato da una manciata di mostri con a capo il grande John Corabi.
The Dead Daises, ovvero John Corabi al microfono ( (Mötley Crüe, Union, The Scream), Brian Tichy (Ozzy Osbourne, Foreigner) alle pelli, David Lowy (Red Phoenix, Mink) alla chitarra, Doug Aldrich (Whitesnake, Dio) alla chitarra, e quello spettacolo di bassista che è Marco Mendoza (Thin Lizzy, Whitesnake): un’associazione a delinquere dell’hard rock che si presenta in questa metà del 2016 e scarica pallettoni di adrenalinico rock’n’roll da spellarsi le mani fino a farle sanguinare.
Giunto al terzo lavoro, questo supergruppo ideato da Brian Tichy e che, a rotazione, raccoglie tra le sue fila i più grandi interpreti dell’hard rock internazionale, torna dopo il successo del precedente Revolución con un altro spettacolare lavoro dove l’hard rock classico trova la sua glorificazione in riff ficcanti, solos al fulmicotone, un vocalist che per attitudine mette in fila tutti quelli della sua generazione ed un songwriting commovente, da quanto risulta perfetto.
Un disco che è già un classico ancora prima di risplendere sugli scaffali dei negozi, prodotto da Marti Frederiksen (Aerosmith, Def Leppard, Mötley Crüe, Buckcherry) a Nashville, supportato dalle versione in cd, digipack e doppio vinile e composto da dieci brani più due cover (Creedence Clearwater Revival e The Who).
Il nuovo entrato, Mr. Doug Aldrich, si scrolla di dosso la sua avventura alla corte del serpente bianco e traduce la bibbia di tutti i chitarristi rock con una performance stellare, la sezione ritmica portentosa e pregna di quelle ritmiche bluesy ipervitaminizzate da adrenaliniche iniezioni di rock’n’roll, ha nella coppia Tichy/Mendoza due martelli pneumatici sfuggiti all’ormai stanco operaio e che, impazziti distruggono tutto quello che incontrano … e poi c’è lui, Corabi, quel signore che rese un capolavoro l’unico album dei Crue a cui prestò la sua inconfondibile voce.
Il tutto viene tradotto in un monumentale album hard rock: se siete ancora impegnati a cercare il disco della vita, beh non siete così distanti dall’averlo trovato, specialmente dopo essere stati travolti da Mainline, Make Some Noise e le loro bellissime, affascinanti ed irresistibili dieci sorelline.
Crue, Whitesnake, Aerosmith, Bad Company, Kiss, Gunners, metteteli in un bidone e fatelo rotolare giù per la collina di Hollywood, aprite il coperchio e ne usciranno i The Dead Daisies.
Il chitarrista David Lowy ha dichiarato: The Dead Daisies vogliono solo celebrare il classic rock’n’roll; beh, caro Lowy, ci siete riusciti alla grande.

TRACKLIST
1.Long Way To Go
2. We All Fall Down
3. Song And A Prayer
4. Mainline
5. Make Some Noise
6. Fortunate Son
7. Last Time I Saw The Sun
8. Mine All Mine
9. How Does It Feel
10. Freedom
11. All The Same
12. Join Together

LINE-UP
John Corabi-Vocals
David Lowy-Guitars
Brian Tichy-Drums
Marco Mendoza-Bass
Doug Aldrich-Guitars

THE DEAD DAISIES – Facebook

Hellsworn – Repulsive Existence

Un ottimo debutto per un grande disco di death metal.

Carneficina death metal vecchia scuola per questo gruppo inglese proveniente dalle Midlands, formato da membri di gruppi provenienti dall’underground duro e puro.

Repulsive Existence è un attacco sonoro perpetrato con grande cattiveria ed altissima intensità da musicisti che amano suonare death metal e non lo fanno per moda od altro. Il disco non dura molto ma il giusto, anche perché sarebbe stato stucchevole aggiungere canzoni. Gli Hellsworn fanno ottimo death metal, veloce e devastante, con punte di vera gioia per gli amanti della scena classica svedese, ma non sono certo imitatori dei grandi maestri, bensì propongono una loro personale visione del tutto. Il disco scorre molto bene, e lascia quel retrogusto di violenza rappresentata che rende la vita migliore, senza far del male a nessuno, ma solo alle nostre orecchie. La produzione è un giusto compromesso tra bassa ed alta fedeltà, in modo che si possa gustare il tutto, ma l’alta fedeltà farebbe torto allo spirito death metal. Un ottimo debutto per un grande disco di death metal.

TRACKLIST
1.Repulsive Existence
2.Voices From Beyond The Grave
3.Lifeless
4.Sons Of Serpents
5.Serial Misanthropy
6.In Eternal Darkness

LINE-UP
Tom Hinksman – Vocals, Guitar
Tom McKenna – Guitar
Neil Williams – Bass
Ryan Wakelam – Drums

HELLSWORN – Facebook

Ashcloud – Children of the Chainsaw

Se siete amanti del death metal scandinavo ed Edge Of Sanity, Dismember, Entombed e Grave sono ancora tra i vostri ascolti abituali, non perdetevi per nessun motivo questo album.

Lo scorso anno una manciata di lavori estremi che del death metal scandinavo erano i più legittimi discendenti, fecero sobbalzare dalla scrivania il sottoscritto, travolto dai suoni che nei primi anni novanta fecero la fortuna di band come Dismember, Edge Of Sanity ed Entombed.

Tra i gruppi che si imposero all’attenzione, nel mondo dell’underground estremo il duo scandinavo/britannico degli Ashcloud, con il debutto Abandon All Light, diedero una bella spallata al muro di detrattori dei suoni old school.
Children Of The Chainsaw segue dunque di un anno il precedente lavoro, confermando l’ottima impressione suscitata e superandolo in quanto a songwriting ed impatto.
La premiata ditta Jonny Pettersson/Gareth Nash non delude e ancora una volta spara una dozzina di cannonate death metal come ai bei tempi, quando i gruppi storici deliziavano i padiglioni auricolari degli appassionati di di tutto il mondo.
Una serie impressionate di riff pesantissimi, solos melodici di ispirazione primi Edge Of Sanity e sangue che gronda dalle carcasse scarnificate di scheletri/zombie in marcia verso la cittadina per sfamarsi dei corpi imbolsiti dei poveri abitanti, il nuovo lavoro è un’apoteosi di scandinavian death metal, feroce, devastante ed assolutamente travolgente.
Prodotto a meraviglia e licenziato dalla Xtreem, ormai una certezza in ambito estremo, il nuovo album del duo spacca con la forza che solo il vecchio death metal scandinavo sa fare, accelerazioni, stop and go, chitarre che sfornano solos melodici e ritmiche che scaraventano al muro con la forza d’urto di una bomba atomica, un torrente in piena questa raccolta di brani che se per qualcuno non risplende in originalità, deborda e risulta un perfetto esempio di come si suona il genere.
The Revolting Dead, Inside the Shame of Desire, Tonight Your Skin Is Mine e By the Weight of a Thousand Chains, sono gli esempi più fulgidi di cosa regala in termini di qualità estrema questo bellissimo album, se siete amanti del death metal scandinavo ed Edge Of Sanity, Dismember, Entombed e Grave sono ancora i vostri ascolti abituali, non perdetevi per nessun motivo questo album

TRACKLIST
1. Children of the Chainsaw
2. The Revolting Dead
3. Descend into Madness
4. Inside the Shame of Desire
5. Sovereign of Filth
6. Tonight Your Skin Is Mine
7. In This Eternal Void
8. Under dödens vingar pt.3
9. The Creeping Unknown
10. S.C.U.M.
11. By the Weight of a Thousand Chains
12. Written in Flesh

LINE-UP
Jonny Pettersson – Vocals, Bass, Guitars
Gareth Nash – Guitars, Vocals

ASHCLOUD – Facebook

DunkelNacht – Ritualz Of The Occult

Ritualz Of The Occult conferma in pieno quanto scritto due anni fa al riguardo dei DunkelNacht, con la speranza che, comunque, questa breve opera non resti fine a sé stessa ma costituisca piuttosto l’antipasto ad un prossimo album su lunga distanza.

I francesi DunkelNacht, in poco più di un decennio d’attività, si sono segnalati per una produzione piuttosto ricca di uscite (anche se i full-length pubblicati sono solo due) e, soprattutto, per una certa irrequietezza stilistica che sembra essere marchiata a fuoco nel dna delle band transalpine dedite a forme musicali prossime al black metal.

Avevamo già parlato di questo combo di Lille in occasione del loro precedente album, Revelatio, che aveva convinto proprio per una versatilità di fondo che non sconfinava in una resa frammentaria od eccessivamente cervellotica.
La dote principale dei DunkelNacht che emergeva in tale frangente era, in effetti, quella di tenere sempre ben presente quanto la melodia abbia un suo peso anche in una proposta dai tratti estremi, e non fa difetto in tal senso neppure questo breve Ep con il quale i nostri, in meno di venti minuti, ci investono con il consueto approccio caleidoscopico.
Rispetto a Revelatio sembrerebbe che la barra si sia spostata verso un black death che non rinuncia comunque a stupire con qualche colpo ad effetto, come l’incedere catchy dell’intro Unchained o l’approccio tra il teatrale ed il grottesco della conclusiva God to Gold (Gold to God).
La title track è una notevole mazzata nella quale il nuovo vocalist, l’olandese M.C. Abagor, si esprime in maniera convincente sia con il growl che con lo scream, e non da meno è la successiva Pretty Lovesick Funeral, nella quale si fanno apprezzare diversi passaggi rallentati, mentre il delicato arpeggio che inaugura Emblem of a Diluted Deism si rivela quanto mai ingannatorio, vista la piega che prenderà un brano per lo più spigoloso e squadrato, ma capace ugualmente di aprirsi in maniera imprevedibilmente ariosa nella sua parte finale.
Un tratto comune e determinante per la riuscita dell’Ep è, comunque, l’ottimo lavoro alla chitarra solista del leader Heimdall, il quale infarcisce i diversi brani di assoli di ottimo gusto e, soprattutto, mai banali.
Ritualz Of The Occult conferma in pieno quanto scritto due anni fa al riguardo dei DunkelNacht, con la speranza che, comunque, questa breve opera non resti fine a sé stessa ma costituisca piuttosto l’antipasto ad un prossimo album su lunga distanza.

Tracklist:
1. Unchained
2. Ritualz of the Occult
3. Pretty Lovesick Funeral
4. Emblem of a Diluted Deism
5. God to Gold (Gold to God)

Line-up:
Heimdall – Guitars (lead), Programmings
Alkhemohr – Bass, Vocals (backing)
Max Goemaere – Drums
M.C. Abagor – Vocals (lead)

DUNKELNACHT – Facebook

Widow – Carved In Stone

Carved in Stone lascia che la passione di questi tre alfieri del metal classico traspaia da ogni nota che compone l’album

Attivo dall’alba del nuovo millennio, il trio proveniente dal North Carolina torna con un nuovo lavoro a cinque anni dal precedente Life’s Blood.

Siamo giunti al quinto capitolo della storia degli Widow e la band continua il suo percorso tra le sonorità power metal classicamente americane, iniziata nel 2003 anno di uscita del primo album Midnight Strikes, seguito da On Fire nel 2005 e Nightlife del 2007.
Niente di nuovo sotto il sole del North Carolina, il gruppo ci propone l’ennesima opera di U.S. metal dai tratti power, lineare e senza grossi picchi compositivi ma di buon livello, un album che si lascia ascoltare ed apprezzare per le cavalcate old school di cui è pregno, buone linee melodiche che si accompagnano al cantato maschio ma molto melodico del bassista John E. Wooten ed i solos di gustosa maniera ad appannaggio del buon Chris Bennett .
Dodici brani che ci accompagnano nell’heavy metal, tra accelerazioni power, mid tempo heavy e la classica atmosfera oscura dei gruppi statunitensi, anche se gli Widow non mancano di strizzare l’occhio alle band europee, Maiden in primis.
Ne esce un buon lavoro, Carved in Stone lascia che la passione di questi tre alfieri del metal classico traspaia da ogni nota che compone l’album, un lavoro composto da tre metallari per metallari, niente di più, niente di meno.
Ne sono esempio brani dal taglio tradizionale come l’opener Burning Star, la title track, ed il mid tempo maideniano And We Are One, che si assestano su buone coordinate interpretative ed un buon piglio metallico.
Certo, mancano almeno un paio di brani trascinanti ed il tutto si mantiene su di un livello discreto, ma Carved In Stone è senza dubbio un ascolto gradito per ogni metal fans che si rispetti, specialmente quelli legati alla scuola classica.

TRACKLIST
1. Burning Star
2. Carved In Stone
3. Another Time and Place
4. Wisdom
5. Time on Your Side
6. Borrowed Time
7. And We Are One
8. Anomaly
9. Live By The Flame
10. Of The Blood, We Bind
11. Nighttime Turn
12. Let It Burn

LINE-UP
John E. Wooten IV – lead vocals, bass
Chris Bennett – lead guitars, bass
Robbie Mercer – drums

WIDOW – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=HvJRShkIyls

Infinitum Obscure – Internal Dark Force

Una furiosa prova di forza che purtroppo la produzione non valorizza appieno, ed è questo l’unico difetto dell’album.

Gli Infinitum Obscure sono un gruppo messicano nato all’alba del nuovo millennio e che propone un death metal dalle riminiscenze black, sia nel sound che nei testi di chiara ispirazione satanista ed antireligiosa.

Internal Dark Force uscì originariamente dieci anni fa e la Transcending Obscurity ne licenzia questa ristampa, dopo la che le due parti hanno messo la firma sul contratto.
Una discografia che dopo questo album ha visto la band di Tijuana uscire sul mercato estremo con un ep e due full length, di cui l’ultimo risale a due anni fa (Ascension Through the Luminous Black), tutti incentrati su un tempestoso metal estremo.
Internal Dark Force è una tregenda di suoni che amalgamano il death metal alla scuola black scandinava, una furiosa prova di forza che purtroppo la produzione non valorizza appieno, ed è questo l’unico difetto dell’album.
Per il resto gli Infinitum Obscure sanno come tempestare l’ascoltatore di suoni ed arringhe diaboliche, gelidi ed infernali trasportano l’ascoltatore in un mondo oscuro, fatto di atmosfere abissali e sfuriate black/death come nelle devastanti A Quest for Vengeance e Storm of Impious Hatred.
Un inferno dalle ritmiche velocissime, Internal Dark Force perde qualcosa nel lavoro in studio per puntare sulle atmosfere tempestose, assolutamente il punto di forza del gruppo: non un album imperdibile ma sufficientemente interessante per gli amanti del metal estremo.

TRACKLIST
1. As Light Fades (The Coming Armageddon)
2. Where Death-Winds Blow
3. A Quest for Vengeance
4. Possessing the Fire
5. Storm of Impious Hatred
6. The Final Aeon
7. Beyond a Dying Sun
8. Path to Apocalypse
9. Shadowless Light

LINE-UP
Roberto Lizarraga – Vocals, Guitars
Allan Castaneda – Bass
Hugo Lalanne – Guitars
Oscar García – Drums

INFINITUM OBSCURE – Facebook

Game Zero – Rise

Potenza e melodia, una miscela esplosiva che non difetta in questa prima prova dei Game Zero

Con qualche mese di ritardo sull’uscita vi presentiamo l’esordio di questa ottima band nostrana, i Game Zero, frutto dell’incontro tra il chitarrista/cantante Mark Wright e Alexincubus, ex ascia dei Theatres Des Vampires, in seguito raggiunti da Dave J alle pelli (ex Dragonhammer) e Domino al basso.

Le prime cinque canzoni create vanno a comporre un demo con cui il gruppo guadagna l’interesse di Gianmarco Bellumori e della sua label Agoge records, con cui registrano Rise, un ottimo lavoro costruito su riff granitici ed una miscela a dir poco esplosiva di hard rock ed heavy metal.
Potenza e melodia, una miscela esplosiva che non difetta in questa prima prova del quartetto, bravo nel costruire su una base fortemente metallica un sound dall’ottimo appeal senza rinunciare a graffiare il giusto per piacere un po a tutti.
Chorus di scuola hard rock si alternano ad un bombardamento heavy, ritmiche che non disdegnano groove di scuola moderna vanno a braccetto con sfumature metal classiche, così da mettere d’accordo tanto gli amanti dei suoni moderni, tanto quelli più orientati alle atmosfere classiche.
L’apertura del disco è col botto, il riff potente ed irresistibile dell’opener The City With No Ends ci dà il benvenuto nel mondo metal rock dei Game Zero, sissata da It’s Over e da Now, irresistibile brano di hard rock moderno devastato da ritmiche che sanguinano groove.
Si viaggia spediti in Rise, i brani si succedono uno più sfrontato dell’altro con una cura maniacale per i ritornelli, perfettamente incastonati nelle trame dei brani e punto di forza dell’album.
Tra i solchi si respira aria di hard rock moderno, poi il respiro si fa più pesante quando la sei corde spara solos metallici o qualche accenno allo street metal tramuta il sound in pura adrenalina rock.
Don’t Follow Me e Unbreakable alzano una temperatura che si fa insopportabile sotto il bombardamento a tappeto a cui veniamo sottoposti, e si giunge alla conclusione con la voglia matta di schiacciare ancora il tasto play e farsi travolgere dalla musica dei Game Zero.
Che dire, se non scusate per il ritardo e complimenti al gruppo e all’etichetta per l’ottimo lavoroe.

TRACKLIST
1.The city with no ends
2.It’s over
3.Now
4.Fallen
5.Don’t follow me
6.Time is broken (rise)
7.Lions and lambs
8.Purple
9.In your shoes
10.Unbreakable
11.Look at you
12.Escape

LINE-UP
Mark Wright – Vocals, Rhythm Guitars
AlexIncubus – Lead Guitars
Domino – Bass Guitars
Dave J – Drums

GAME ZERO – Facebook

Nulla+ – Stornelli Distopici

Disco ben sopra la media del genere, cantato in un italiano crudo, per un’ottima prova.

Furia grind hardcore minimalista per questo duo di Perugia.

A bene sentire la loro musica è solo ad un primo esame minimale, poiché sotto linee essenziali vi sono molte cose. Il titolo è quanto ami appropriato, poiché si tratta di moderni stornelli che trattano di un futuro che il Nulla+ chiamano distopico mentre noi lo chiamiamo presente. Non troverete messaggi consolatori o momenti edificanti, ma solo la fredda cronaca, e già questa basta. Il grindcore è uno dei migliori linguaggi musicali e non per raccontare il disagio, la rabbia e l’assoluta bassezza della vita umana, ed in questo i Nulla+ sono molto bravi e potenti. Questo è il suono delle nostre vite, la dissonanza di dover avanzare in questi nulla personali ripieni di tecnologia e falsi piaceri. I Nulla+ bilanciano molto bene le parti violente con quel maggiormente melodiche, momenti strumentali e cascata di parole su suoni taglienti. Il duo perugino ci consegna un debutto molto buono, velocemente feroce, con grande inventiva e momenti di vero grind, inteso come critica nichilistica dell’impotenza umana. Come detto sopra, non c’è consolazione ma una sana esortazione ad una presa di coscienza che è utile per tutti. Disco ben sopra la media del genere, cantato in un italiano crudo, per un’ottima prova.

TRACKLIST
1. Antidolorifico
2. L’unica certezza della vita
3. Negli Occhi
4. Mammona
5. Da Nuvola a Nuvola
6. Il vostro senso di inferiorità non è sinonimo di disparità
7. Loro ti possono uccidere
8. Un Uomo
9. Una Donna
10. Capire e Valutare
11. In ospedale per l’eternità

LINE-UP
Paolo L.
Riccardo M.

NULLA+ – Facebook

The Embodied – Ravengod

I The Embodied si candidano come una delle sorprese dell’anno nel genere

In materia metallica i paesi scandinavi sono ancora i maestri indiscussi e lo dimostrano ad ogni uscita, con ogni band che si affaccia nel panorama hard & heavy.

Passata l’ondata che devastò le rive mondiali con il death metal melodico e confermandosi come paradiso dei suoni hard rock, il nord Europa continua a regalare grande musica grazie anche a gruppi meno noti ma dal grande talento come questi The Embodied.
Nato una decina di anni fa in quel di Jönköping (Svezia) il quintetto licenzia, tramite la Pure Legend Records, Ravengod, bellissimo secondo album dopo il debutto omonimo uscito nel 2011.
Già The Embodied aveva fatto drizzare le orecchie a più di un addetto ai lavori, ma Ravengod supera di gran lunga le aspettative, confermando il gruppo svedese come una delle rivelazioni di questo 2016 con un album di heavy metal fresco, prodotto alla grande e che non disdegna qualche salto nel metal più estremo ma irresistibilmente melodico come da tradizione.
E qui chiaramente sta il bello, la band suona heavy metal, moderno ma ispirato chiaramente a quello classico, irrobustendolo in una miscela esplosiva con mitragliate estreme che si rifanno al death metal melodico, quello vero e che ha dato al genere capolavori epocali firmati In Flames e compagnia vichinga.
Ne esce un lavoro splendido formato da un lotto di brani che alternano furia estrema e metal melodico in egual misura, valorizzato da un singer sontuoso (Marcus Thorell), una coppia d’asce che risulta una macchina di solos melodici da infarto (Chris Melin e Jon Mortensen) ed una sezione oliata come il motore di una formula uno (Agust Ahlberg al basso e Axel Janossy alle pelli).
Bleed dà il via alle danze e davvero rimane difficile rimanere impassibili all’alto tasso qualitativo di questo brano, con chorus che si cominciano a canticchiare al primo ascolto, mentre il mood del disco cambia registro e il death melodico prende le redini del sound di Vengeance.
Ed è cosi che si passa da un brano più bello dell’altro, tra richiami illustri e tanta voglia di headbanging fino alla folk ballad Land of the Midnight Sun, non prima di passare dalla stupenda The Exorcist.
Immaginatevi una pazzesca jam tra In Flames, Iron Maiden, Soilwork e Masterplan ed avrete un’idea di cosa suonano questi cinque svedesi, così che Ravengod non scende da un livello ottimo per tutta la sua durata, impreziosito da brani esaltanti come I Suffocate of Anger, Battle of the Mind e la velocissima Death by Fire.
Gran colpo per la label tedesca, Ravengod risulta un album quasi perfetto e i The Embodied si candidano come una delle sorprese dell’anno nel genere, non perdeteli per nessun motivo.

TRACKLIST
1. Bleed
2. Vengeance
3. Praetor Sorrow
4. Ravengod
5. The Exorcist
6. Land of the Midnight Sun
7. Awaiting the End
8. I Suffocate of Anger
9. Art of Hunting
10. Battle of the Mind
11. Death by Fire
12. Vallfaerd till Asgaard

LINE-UP
Marcus Thorell – Vocals
Chris Melin – Guitars
Jon Mortensen – Guitars
Agust Ahlberg – Basguitar
Axel Janossy – Drums

THE EMBODIED – Facebook

Acheronte – Ancient Furies

In ossequio al titolo, molta furia che meriterebbe d’essere un po’ meglio canalizzata visto che, quando rallentano leggermente il passo, gli Acheronte mostrano un volto migliore rispetto a quando si esibiscono in sfuriate parossistiche.

Dopo una serie di uscite dal minutaggio, ridotto i blacksters marchigiani Acheronte arrivano al full length d’esordio.

Il monicker scelto e le tematiche connesse al lavoro , che vede ciascun brano dedicato a storici e sanguinari condottieri quali, tra gli altri, Alessandro Magno, Vlad Tepes ed Attila, istintivamente farebbero pensare ad una band dedita al lato più epico del genere.
In realtà tale aspetto nel black degli Acheronte è presente in maniera piuttosto sfumata, a favore di un approccio canonico ma privo di elementi peculiari, mettendo in luce più l’attitudine e la convinzione con cui la materia viene trattata che non la presenza di spunti capaci di rendere appetibile il lavoro rispetto ad un’affollata concorrenza.
Ancient Furies mette in mostra un’interpretazione onesta e sincera, devota in tutto e per tutto ai dettami primordiali del genere ma, a tratti, piuttosto ripetitiva e, a mio avviso, a forte rischio di accantonamento a meno che, chi si avvicina all’ascolto, non sia un accanito sostenitore a prescindere di tutto il black metal prodotto sul suolo nazionale.
In ossequio al titolo, quindi, molta furia che meriterebbe d’essere un po’ meglio canalizzata visto che, quando rallentano leggermente il passo, gli Acheronte mostrano un volto migliore rispetto a quando si esibiscono in sfuriate parossistiche poco valorizzate, peraltro, da una resa sonora un po’ caotica.
Ne consegue che, alla prima prova su lunga distanza, gli Acheronte si guadagnano senz’altro la sufficienza ma, oltre ad auspicarne l’ approdo ad una maggiore varietà compositiva, mi piacerebbe che in futuro privilegiassero di più quelle parvenze melodiche capaci di rendere, per esempio, Destroyer for the Glory (Alexander the Great), un brano di buona levatura ed un’ottima base da cui ripartire.

Tracklist:
1. Addicted to War (Assurnasirpal II)
2. Destroyer for the Glory (Alexander the Great)
3. Ancient Persecutor of Christianity (Diocletian)
4. Flagellum Dei (Atilla)
5. The Lame One (Timur Barlas)
6. The Lord Impaler (Vlad III)
7. Bloods for the Gods (Ahuitzotl)

Line-up:
Phobos – Guitars, Vocals (backinng)
Lord Baal – Vocals
A. T. La Morte – Bass
Bestia – Drums

ACHERONTE – Facebook

Virgo – Virgo

Travolti dalla musica dei Virgo veniamo trasportati dal loro personale modo di intendere lo stoner rock, che non lascia punti di riferimento ed è valorizzato dall’estro compositivo e dalla maturità artistica dei suoi componenti.

I Virgo son un quintetto di musicisti vicentini alle prese con un rock di matrice stoner cantato in italiano, dal forte impatto ed assolutamente oltre ai suoni desertici del genere come va di moda in questo periodo.

Il gruppo formato nel 2012 è al secondo lavoro, traguardo raggiunto dopo il primo album autoprodotto (L’appuntamento) ed un’intensa attività live, esperienze che ha trasformato il gruppo in un compatto monolite di suoni rock pesanti ed oscuri, valorizzati da testi introspettivi e mai banali ed una propensione per un mood progressivo che appunto allontana il sound da facili accostamenti con le solite band di genere.
Sfuriate elettriche ed atmosfere di tragica drammaticità interiore si alternano nel sound di cui sono composti questo dodici brani, rabbiosi e complessi che hanno bisogno di più ascolti per essere assimilati, ma che non nascondono un’ indubbia capacità della band di strutture musicali ed armoniche mai banali.
E’ la benedizione/maledizione dei gruppi nostrani, maestri nel coniugare al rock di respiro internazionale testi maturi ed un’ottima propensione per linee melodiche mai banali, qui valorizzate dall’ottima performance del cantante Daniele Perrino, ma quantomeno difficili da assimilare per i frettolosi ascoltatori odierni.
Come detto viene davvero difficile fare paragoni con altre realtà, magari più conosciute, proprio perché i Virgo interpretano il genere con una personalità unica, creando vortici di rock pesante e stonerizzato sottolineato da una serie di canzoni travolgenti come l’opener Danza Di Corteggiamento, Selene, Visione Intima e Trasparenze.
Travolti dalla musica dei Virgo veniamo trasportati dal loro personale modo di intendere lo stoner rock, che non lascia punti di riferimento ed è valorizzato dall’estro compositivo e dalla maturità artistica dei suoi componenti.

TRACKLIST
1. Danza di corteggiamento
2. Vergine livrea
3. Selene
4. Coco
5. Aspirare
6. E’ uno di quei giorni
7. Nel fondo della segreta ossessione
8. Pensieri infetti
9. L’astinenza
10. Bianca ombra
11. Visione intima (tutto di lei)
12. Trasparenze

LINE-UP
Daniele Perrino-Voce
Michele Prontera-Chitarra
Luca Del Lago-Chitarra
Luca Bastianello-Chitarra
Carlo Bucci-Chitarra

VIRG – Facebook

Deviser – Unspeakable Cults

L’attiva etichetta greca Sleaszy Rider ci offre questa riedizione, a vent’anni dalla sua uscita, del miglior album inciso dai connazionali Deviser.

L’attiva etichetta greca Sleaszy Rider ci offre questa riedizione, a vent’anni dalla sua uscita, del miglior album inciso dai connazionali Deviser, quell’Unspeakable Cults che, all’epoca, andò a collocare la band di origine cretese sulla scia dei migliori act dediti al symphonic black metal.

Correva quindi il 1996, anno in cui le due band che hanno portato ai livelli più alti questo sottogenere, Dimmu Borgir e Cradle Of Filth, uscivano rispettivamente con due pietre miliari quali Stormblåst e Dusk And Her Embrace; va detto, a scanso di equivoci, che lo stile dei Deviser, anche in virtù della loro contemporaneità, non si rifaceva in maniera smaccata a quei lavori, mostrando una vena più gothic e mediterranea ed un afflato melodico superiore a chi, come Rotting Christ (con Triarchy of The Lost Lovers) e Varathron (reduci da Walpurgisnacht), a quei tempi teneva alto il vessillo della fiamma nera nella penisola ellenica, con album dalle sonorità più estreme
Riascoltato oggi, Unspeakable Cults mostra, in tutto e per tutto, le sue sembianze di album novantiano, il che non sminuisce affatto il fascino di una serie di tracce di ottimo livello, che fanno intuire quale fosse il potenziale di una band che però, in seguito, non è più stata in grado di esprimersi agli stessi livelli, se non in parte con il successivo Transmission to Chaos; una traccia come The Rape Of Holiness porta a scuola gran parte dei gruppi che attualmente si cimentano con il black sinfonico, e lo stesso si può dire della bonus track Forbidden Knowledge, sicuramente un elemento che va ad arricchire ulteriormente questa edizione rispetto all’originale.
Lo screaming di Matt Hnaras non è eccezionale ma rimane comunque nella norma, mentre Nick Christogiannis si fa sentire non solo con un tastierismo elegante e non troppo invadente, ma anche con un basso pulsante che, per una volta, non viene fagocitato dal muro sonoro creato dalle chitarre.
Unspeakable Cults è un album che risente inevitabilmente dalla sua anzianità di servizio ma, nel contempo, si rivela uno spaccato ben più che interessante di quelle sonorità che, alla fine del secolo scorso, consentirono al black metal di aprirsi (non senza aver provocato diatribe in merito) ad un audience più ampia; nel frattempo i Deviser sono sempre rimasti attivi, sebbene con una produzione piuttosto diradata (il loro ultimo full-length risale al 2011): vedremo se questa riedizione del loro disco più riuscito fornirà un impulso decisivo per produrre ancora del nuovo materiale di pari livello.

Tracklist:
1. Stand & Deliver
2. Darkness Incarnate
3. Threnody
4. When Nightmares Begin
5. The Rape Of Holiness
6. Ritual Orgy (instrumental)
7. Dangers Of A Real & Concrete Nature
8. The Fire Burning Bright
9. In The Horror Field
10. Forbidden Knowledge (bonus track)
11. Afterkill (outro)

Line-up:
Matt Hnaras – Vocals/Guitars
Nick Christogiannis – Bass/synths
George Triantafillakis – Lead Guitars
Nikos Samakouris – Drums

DEVISER – Facebook

Element Of Chaos – A New Dawn

Gli Element Of Chaos meritano l’attenzione di chi non ha paura di attraversare i confini tracciati nella vasta cartina del metal moderno

Fortunatamente il mondo del metal è più vario e colmo di sorprese di quello che molti sostengono, gli amanti della musica dura possono contare per i loro ascolti di una moltitudine di generi e sottogeneri, molte volte ben delineati tra loro, ma spesso come in questo caso amalgamati per formare un quadro di musica fresca e sorprendentemente matura.

Ovviamente anche i romani Element Of Chaos non inventano nulla che non sia già stato scritto a suo tempo, semplicemente con sagacia rielaborano in un unico spartito spunti provenienti da mondi diversi di intendere il metal.
Armati di un’ottima tecnica la band romana scarica dodici bordate di moderno metal dagli spunti progressivi, irrobustendolo con ritmiche dal micidiale groove, una forte base elettronica e l’immancabile impronta deathcore, data non solo dalle ritmiche a tratti marziali, ma dall’uso delle due voci, un robusto growl ed ottime cleans.
Nato ormai quasi dieci anni fa, il sestetto laziale esordì con il primo album autoprodotto tre anni fa dal titolo Utopia; la firma per la label Agoge records e l’aiuto del produttore Gianmarco Bellumori, hanno portato la band a questo A New Dawn, un album che al primo passaggio nel vostro lettore vi sembrerà un labirinto di suoni metallici in cui perdersi, ma pian piano la chiave del sound nascosta tra le fughe di synth, i passaggi atmosferici, la furia del deathcore ed il forte mood progressivo, aprirà la porta che vi condurrà nel mondo degli Element Of Chaos.
La melodia si scontra con l’aggressività, in tutti i vari capitoli che compongono il lavoro, la quiete di questa tempesta di suoni viene rivestita di passaggi progressivi che dimostrano la maturità artistica del combo romano, mentre veniamo travolti dal mood apocalittico di songs come l’opener The Second Dawn Of Hiroshima, Nothing But Death, e la splendida conclusione affidata al tragico intimismo di Sons Of The Atom.
Difficile trovare delle similitudini con altre realtà, la spiegazione più logica rimane confinata ai generi più che ad una band in particolare, anche se la genialità di Devin Townsend per esempio fa capolino più concettualmente che musicalmente.
Gli Element Of Chaos meritano l’attenzione di chi non ha paura di attraversare i confini tracciati nella vasta cartina del metal moderno: difficile fare previsione sulla strada che prenderà il sound del gruppo, per accontentiamoci dall’ottimo lavoro svolto su questo A New Dawn.

TRACKLIST
01. The Second Dawn Of Hiroshima
02. Idiots Lose Control
03. Just A Ride
04. Nothing But Death
05. Mutant Circus Manifesto
06. Coming Home
07. The Harmony Concept
08. Epiphany
09. A New Dawn
10. Sons Of The Atom
11. Epiphany (Paternoise Remix)
12. The Butterfly Effect (Remastered

LINE-UP
Andrea Audino (Dandy) – voce
Danele Spigola (Echo) – chitarra
Bruno Colucci (Vice) – chitarra)
Luca Prata (Ulga) – basso
Daniel Mastrovito (Shag) – tastiere
Claudio Finelli (Wonder Boy) – batteria

ELEMENT OF CHAOS – Facebook

Slowmother – Chemical Blues

Un album rock maturo che convince, anche se i brani in cui è il blues a dominare li ho trovati superiori

Vive di più anime la musica dei milanesi Slowmother, al primo full length dopo l’ep di debutto uscito lo scorso anno e recensito su queste pagine.

Le quattro canzioni che andavano a comporre il debutto omonimo sono inserite anche in questo nuovo lavoro, che conferma l’originalità della musica del trio, un rock blues che non disdegna puntate nella new wave e nel post punk di matrice ottantiana.
Generi così diversi, eppure sapientemente assemblati nel sound del gruppo lombardo in questo Chemical Blues, con un sound impostato su chitarre a tratti ruvide e vicino all’alternative, ritmiche ed atmosfere che ricordano non poco le note plumbee della darkwave, lasciando che l’influenza sporca del blues rock riempa di suoni roots gran parte del disco.
Il terzetto milanese, composto da Alessio Slowmother (voce, chitarra), Grace alle pelli e Pietro The Butcher al basso, ed aiutato dai suoni tastieristici e dal lavoro in fase di produzione di Larsen Premoli, costruisce un album di musica blues e rock’n’roll per le anime della notte che si muovono tra una Londra grigia, in un’altalena di suoni che travolgono e ci confondono raggiungendo l’apice in quei pochi ma devastanti salti nella psichedelia.
Puntano al sodo e ci regalano musica rock in your face gli Slowmother, da Liar alla title track mettono sul piatto il loro sound caratteristico, per poi concedere qualche piccola jam nei brani dove i loro strumenti liberano sfumature blues psichedeliche.
Chemical Blues è un album a cui l’appellativo alternativo calza a pennello, non concedendo all’ascoltatore una facile via da seguire svoltando ad ogni crocicchio per prendere sempre strade diverse e mai convenzionali, tra tutte le atmosfere descritte e nel mezzo di una raccolta di brani che non conosce cedimenti qualitativi o forzata ripetitività.
Un album rock maturo che convince, anche se i brani in cui è il blues a dominare li ho trovati superiori (su tutti, 20 Years): un dettaglio, rimane la sensazione di essere al cospetto di un gruppo con tante cose da dire e dalle ottime potenzialità.

TRACKLIST
1. Liar
2. Chemical Blues
3. Drugs
4. Mr. Whoo Hoo Yeah
5. Lipstick
6. The City Of Taste
7. Queen
8. Outlaw
9. My Grave
10. 20 Years
11. Too Late Jesus

LINE-UP
Alessio Slowmother – guitar, voice
Grace- drums
Pietro The Butcher – bass

Larsen Premoli-hammond and moog on tracks 2, 5, 6, 9, 11

SLOWMOTHER – Facebook

Fyrnask – Fórn

Semplicemente, una delle migliori uscite in ambito black metal ascoltate in questi ultimi anni.

Cominciamo dalla fine: quando le note del gioiello strumentale Havets Kjele sfumano, al termine dell’ennesimo ascolto di Fórn, terzo full-length della one man ban tedesca Fyrnask, posso affermare in tutta tranquillità che, se black metal si deve suonare, questa è la forma in grado di mettere a tacere per sempre critici e scettici per partito preso nei confronti del genere.

In poco più di cinquanta minuti, il buon Fyrn (il quale, in ossequio al verbo black, utilizza nei suoi lavori l’idioma norvegese) mette in mostra tutte le sfaccettature di un movimento musicale che, se per forza di cose ha perso con il tempo la sua carica eversiva, è comunque ben lungi dall’aver esaurito la sua funzione di mezzo espressivo per eccellenza di un sentire pagano, oscuro e introspettivo.
Dopo l’ambient di Forbænir, un brano come Draugr si erge prepotentemente a manifesto della vis compositiva del musicista di Bonn: nel suo interno troviamo l’impulso originario del genere con i suoi natali scandinavi (Emperor), la sperimentazione dai tratti apocalittici che rimanda alla vivace scena francese (Blut Aus Nord) e, ovviamente, la solennità e l’algido rigore della scuola tedesca (Lunar Aurora).
Fórn ha persino il pregio di godere di una buona produzione, capace di esaltare le parti atmosferiche e di scongiurare esiti caotici allorché le tracce vengono lasciate scorrere con il consueto parossismo; a fare la differenza, in effetti, è anche una certa cura de particolari che rende l’ascolto ricco, imprevedibile e sicuramente non banale.
Il crescendo di Agnis Offer, la furia piroclastica di Blótan, lo smarrimento provocato da Kenoma, sono solo alcuni dei numerosi picchi di un disco di rara qualità, che richiede la dovuta predisposizione ad un ascolto attivo e che, senza offesa per nessuno, è lontano anni luce dall’operato di gran parte delle one man band, spesso autrici di opere valide ma, nel contempo, approssimative per esecuzione e produzione.
Impreziosito dal magnifico artwork curato dal grafico irlandese Glyn Smyth, Fórn è, come detto, una delle migliori uscite in ambito black metal ascoltate in questi ultimi anni; questa stessa etichetta, del resto, rischia d’essere riduttiva per un lavoro che esprime con rara efficacia un senso di spiritualità rinvenibile, volendo cercare un paragone calzante con qualche band del passato, soprattutto nei Negură Bunget pre-split, al netto di una componente folk molto meno preponderante: spero che un simile riferimento possa bastare ed avanzare per rendere appetibile l’ascolto di questo splendido album.

Tracklist:
1.Forbænir
2.Draugr
3.Niðrdráttr
4.Vi er dømt
5.Agnis Offer
6.Urðmaðr
7.Blótan
8.Fornsǫngvar
9.Kenoma
10.Havets Kjele

Line-up:
Fyrnd – All instruments, Vocals

FYRNASK – Facebook

Derdian – Revolution Era

Il power metal sinfonico dei Derdian viene valorizzato al massimo dall’enorme dispiego di talenti che ci mettono del loro per rendere irrinunciabile quest’opera

Ivan Giannini, vocalist che aveva fatto faville sul precedente Human Reset non è più in forza ai Derdian, una perdita non da poco per una delle migliori realtà del power metal nazionale e non solo; la band, però, a sorpresa licenzia questo monumentale lavoro, una raccolta di brani pescati dai primi tre album che andavano a formare una sontuosa trilogia: New Era PT. 1 (2005), New Era PT. 2- War of the Gods (2007) e New Era Pt. 3 – The Apocalypse (2010).

Ma le novità non finiscono qui e i Derdian chiamano alla loro corte un manipolo di vocalist della scena nazionale ed internazionale per dare il loro contributo a questi bellissimi tredici brani, ri-registrati per l’occasione, che formano un suggestivo riassunto della saga, più un brano inedito a creare questo gioiellino di power metal dai tratti sinfonici.
La band ha fatto davvero le cose in grande, così che al microfono si dà il cambio il meglio o quasi che il genere può vantare tra i propri frontman, sicché diventa assolutamente un dovere elencarli cercando di non dimenticarne alcuno: Ralf Scheepers (Primal Fear), D.C. Cooper (Royal Hunt), Fabio Lione (Rhapsody of Fire, Angra, Vision Divine), Apollo Papathanasio (ex-Firewind, Evil Masquerade), Henning Basse (Metalium, Firewind), GL Perotti (Extrema, Rebel Devil), Davide Damna Moras (Elvenking), Mark Basile (DGM), Elisa C. Martin (ex-Dark Moor, Hamka), Terence Holler (Eldritch), Roberto Ramon Messina (Ex Secret Sphere, Physical Noise, Andrea Bicego (4th Dimension), Leo Figaro (Minstrelix), Elisa Stefanoni (Evenoire) e Joe Caggianelli (Starbynary, ex-Derdian)
Il power metal sinfonico dei Derdian viene valorizzato al massimo dall’enorme dispiego di talenti che ci mettono del loro per rendere irrinunciabile quest’opera, non solo per chi già conosce il gruppo ma per tutti gli amanti dei suoni power metal dal taglio sinfonico.
Epicità, magniloquenza, splendida musica metallica che diventa regale nelle bellissime Beyond The Gate, I Don’t Wanna Die (con l’immenso D.C. Cooper), l’inedito rhapsodyano Lord Of War su cui spicca la prova (non a caso) di Fabio Lione, l’emozionale Forevermore e via via tutte le altre canzoni in un’apoteosi di suoni metallici prodotti alla grande e che confermano l’altissimo potenziale dei Derdian.
Nel frattempo le audizioni per un nuovo cantate sono in pieno svolgimento, non rimane che augurare alla band di trovare presto un vocalist all’altezza della splendida musica prodotta e di riascoltarne al più presto un nuovo album di inediti.

TRACKLIST
1. Overture
2. Burn
3. Beyond The Gate
4. Battleplan
5. I Don’t Wanna Die
6. Screams Of Agony
7. Lord Of War
8. Forevermore
9. Eternal Light
10. The Hunter
11. Black Rose
12. Incitement
13. New Era
14. Cage Of Light

LINE-UP
Enrico “Henry” Pistolese – Guitars, Vocals
Salvatore Giordano – Drums
Marco “Gary” Garau – Keyboards
Dario Radaelli – Guitars
Marco Banfi – Bass

Vocals:
Ralf Scheepers
D.C. Cooper
Fabio Lione
Apollo Papathanasio
Henning Basse
GL Perotti
Davide Damna Moras
Mark Basile
Elisa C. Martin
Terence Holler
Roberto Ramon Messina
Andrea Bicego
Leo Figaro
Elisa Stefanoni
Joe Caggianelli

DERDIAN – Facebook

Whispered – Metsutan – Songs of the Void

Metsutan porta gli Whispered ad un livello più alto, passando dallo status di ottima cult band a punto fermo del melodic death metal

Tornano i quattro samurai di Tampere con il terzo lavoro sulla lunga distanza, un altro ottimo ed alquanto esaltante lavoro che amalgama in una forma originale il death metal melodico scandinavo ed il folk della terra del sol levante.

Vi avevamo parlato dei Whispered due anni fa in occasione dell’uscita di Shogunate Macabre, un album che aveva confermato le buone idee e la qualità del gruppo capitanato da Jouni Valjakka, cultore delle tradizioni nipponiche e con l’idea geniale di fonderle al metal estremo nato proprio nella penisola scandinava.
Epico, sinfonico e coinvolgente più che mai Metsutan- Songs Of The Void non tradisce le attese, continuando a sorprendere per il suo piglio battagliero, le stupende melodie date dagli strumenti tradizionali, non facendo assolutamente mancare quella carica estrema che, se continua a rimandare al sound dei Children Of Bodom, lo surclassa per coinvolgimento ed epicità.
Le cavalcate velocissime in puro death metal style, i solos iper tecnici, gli stacchi atmosferici che riempiono di orgoglio orientale le canzoni dell’album, invitano alla battaglia a colpi di katana, affilate come rasoi e taglienti come i solos che squarciano i brani, molti dei quali valorizzati da chorus epici e dal piglio cinematografico in un delirio di nobile metallo estremo.
Gran lavoro in fase di songwriting, il gruppo rifila quasi un’ora di musica a suo modo originale, specialmente dove l’anima nipponica prende il sopravvento e travolge in tutta la sua gloriosa epicità.
Bloodred Shores Of Enoshima, ultimo brano dell’album è quanto di più sinfonicamente epico troverete nel genere, undici minuti di sferragliante metallo impreziosito da atmosferiche parti folk, una bellissima colonna sonora per i molti film nipponici arrivati sul grande schermo in questi ultimi anni.
Ma Metsutan non si ferma certo a questo splendido brano, tutto il lavoro è avvolto da un’aura epico estrema magniloquente e le songs risultano una più bella dell’altra in un susseguirsi di colpi di scena, accelerazioni power, splendide melodie folk e sinfonie da far impallidire i più famosi act del metal sinfonico.
Kensei, Warriors Of Yama, Victory Grounds Nothing, vi catapulteranno in un mondo dove il sangue, l’onore e la cultura della spada sono le uniche compagne dei valorosi guerrieri giapponesi, in un devastante e perfetto tsunami di melodic death power folk metal da applausi.
Il miglior album del gruppo finlandese ed un acquisto obbligato per gli amanti del genere, Metsutan porta gli Whispered ad un livello più alto, passando dallo status di ottima cult band a punto fermo del melodic death metal, non considerarli è come fare harakiri.

TRACKLIST
1.Chi No Odori
2.Strike!
3.Exile Of The Floating World
4.Sakura Omen
5.Kensei
6.Our Voice Shall Be Heard
7.Tsukiakari
8.Warriors Of Yama
9.Victory Grounds Nothing
10.Bloodred Shores Of Enoshima

LINE-UP
Jouni Valjakka – Vocals, Guitar
Mikko Mattila – Guitar
Kai Palo – Bass
Jussi Kallava – Drums

WHISPERED – Facebook

Delirant Chaotic Sound – The Ride Of Thanatos Ep

Interessante debutto su ep per questo gruppo milanese, dopo il demo Madness Under Skin.

Ad un primo distratto ascolto la loro proposta potrebbe sembrare metalcore, mentre invece andando avanti nell’ascolto ed eventualmente ripetendolo, si sentono molte cose dentro questo ep che stimola non poco la curiosità. La struttura delle canzoni dei Delirant Chaotic Sound è complessa e presenta vari livelli e diverse interpretazioni. Giova molto a questi ragazzi il fatto di aver trovato una valida voce femminile che risponde al nome di Margherita Andreolli, che ha spiccate doti, e forse in questo disco si contiene ancora un po’, mentre dovrebbe straripare. In gran forma è anche Marco Boccotti, voce maschile, che non fa da contrasto a Margherita, poiché ogni voce vive di vita propria e contribuisce a creare linee sinuose. Il gruppo crea ampie melodie e pezzi più serrati, lasciando un’ottima impressione, facendo capire quanta cura e preparazione vi sia dietro questi pezzi molto curati. Un debutto notevole, che lascia a questi ragazzi molte vie aperte, dato che nulla a livello compositivo è loro precluso, anche se sono un band metal e lo rimarranno sempre. Grande curiosità e voglia di mettersi in gioco per un gruppo che ha ottime potenzialità, ma soprattutto ha voglia di sperimentare e di spiazzare.

LINE-UP
Marco Boccotti – Voice
Margherita Andreolli – Voice
Daniel Tanzer – Guitar
Stefano D’Ambra – Guitar
Federico Medana – Bass
Davide Silva – Drums

DELIRANT CHAOTIC SOUND – Facebook

childthemewp.com