Tracy Grave – In The Mirror Of Soul

L’album è un viaggio emozionale nell’hard rock melodico, formato dai cinque brani riarrangiati del precedente ep più altri cinque nuovi di zecca

E’ lunga la storia che ha portato il musicista e poeta nostrano Tracy Grave a questo primo lavoro sulla lunga distanza della band che da lui prende il nome.

Ex Hollywood Pornostar, band con un ep ed un full length alle spalle e con una buona attività live in compagnia di Adam Bomb e Pretty Boy Floyd, il musicista sardo ha collaborato in questi anni con molte realtà della scena metal e non solo, condividendo importanti esperienze live di supporto a molti gruppi storici del panorama hard rock internazionale come Alice Cooper, Faster Pussycat, Paul Dianno, L.A Guns e Backyard Babies.
Nel 2015 Grave da inizio alla sua carriera solista con un ep acustico di cinque brani dal titolo Faith, gira alcuni video ed inizia a registrare In The Mirror Of Soul presso i DGM Studios in compagnia di Federico Fresi alle chitarre e del fido Gabriele Oggiano.
L’album è un viaggio emozionale nell’hard rock melodico, formato dai cinque brani riarrangiati del precedente ep più altri cinque nuovi di zecca, che vanno a comporre un’opera molto matura dove le semi ballad la fanno da padrone, senza però risultare un’opera mielosa, in quanto non mancano elettrizzanti canzoni hard rock ed il livello del songwriting rimane per tutta la durata ad un livello alto, colmo di atmosfere intimiste e dall’ottimo input emozionale.
Il sound richiama l’hard rock americano con in testa i Bon Jovi, da sempre influenza primaria di Grave, che riesce nella non facile impresa di donare un tocco personale e maturo alla fonte musicale da cui la sua musica si disseta rendendola elegante e raffinata.
Dotato di una voce passionale come la sua musica, Grave ci invita all’ascolto di questo lavoro con Welcome To My Madness, brano perfetto per entrare nel mondo di questo lavoro, grintosa ma con un tocco melodico che risulta la carta vincente del sound proposto, mentre le semiballad prendono in mano l’album già dal bellissimo trittico When The Candle Is Burning, Faith e Melancholy.
Attracted by The Anger ci riporta al rock statunitense di matrice ottantiana, con un ottimo refrain da cantare sotto il palco, così come la metallica Reflection Of The Vampire, mentre Fragile Heart e l’acustica Tears Of Flames lasciano che l’atmosfera malinconica e cantautorale di cui è pervaso l’album ritorni a far braccia nei nostri duri cuori da rockers.
Tracy Grave, nel frattempo, si è contornato di una manciata di musicisti formando una band a tutti gli effetti: lo aspettiamo on stage per assaporare dal vivo tutte le sfumature e le calde emozioni che la sua musica sa offrire e che lui ha chiamato Grave Rock.

TRACKLIST
1.Welcome To My Madness
2.When The Candle Is Burning
3.Faith
4.Melancholy
5.Rise Again
6.I Will Be There
7.Attracted By The Anger
8.Fragile Heart
9.Reflection Of A Vampire
10.Tears Of Flames

LINE-UP
Tracy Grave – Singer, Soulwriter
Sham – Guitar
Emy Mad – Drums
Joe Tuveri – Bass
Mr. Zed – Guitar

TRACY GRAVE – Facebook

Virgin Steele – The House Of Atreus – Act I & Act II

Riedizione che unisce in un solo formato le due parti di The House Of Atreus, l’ultima opera di livello assoluto tra quelle pubblicate dai Virgin Steele.

Steamhammer / SPV ha pubblicato a fine maggio la riedizione di The House Of Atreus, la barbaric-romantic epic metal-opera dei Virgin Steele, uscita originariamente in due parti distinte (nel 1999 la prima e nel 2000 la seconda), racchiudendola in un elegante digipack contenente i tre cd.

Al di là dell’opportunità di possedere l’opera condensata in un unico formato, scelta senz’altro consigliabile a chi non avesse già le versioni originali, viene fornita l’occasione per parlare, a diversi anni di distanza, di questo mastodontico lavoro che, in qualche modo, ha creato una sorta di spartiacque nella carriera della band guidata da David DeFeis.
The House Of Atreus, infatti, considerato nella sua interezza, mostrava dei Virgin Steele ancora ispirati, allo stesso livello del precedente Invictus, soprattutto nell’Act 1 e nel primo cd dell’Act 2, mentre nel secondo cominciava ad venire meno quella brillantezza compositiva che andrà purtroppo smarrita nei successivi album.
Se nelle prime due ore si susseguivano brani magnifici come Through the Ring of Fire, Flames of the Black Star, Great Sword of Flame, Gate of Kings, Wings of Vengeance, Fire of Ecstasy e The Wine of Violence, alternati a frequenti inserti strumentali che, più di una volta, richiamavano il tema portante dei due Marriage Of Heaven And Hell, il cd conclusivo si snodava senza particolari sussulti (salvo proprio l’iniziale Flames of Thy Power), esibendo tracce belle ma non così incisive come sarebbe stato lecito attendersi da un compositore sopraffino come DeFeis, e mostrando così i prodromi di quanto sarebbe emerso dai dischi pubblicati nel nuovo millennio.
Sempre rispetto ai Marriage (due capolavori in senso assoluto, è bene ribadirlo) ed ad Invictus, un altro aspetto a non convincere del tutto erano dei suoni di tastiera meno efficaci, quasi plastificati rispetto al calore e alla solennità emanata nelle opere citate in precedenza: una pecca non da poco, questa, in quanto faceva perdere molto di quell’afflato epico che De Feis intendeva trasmettere.
Da queste mie righe penso si intuisca quanto io abbia amato questa magnifica band e, di conseguenza, come sia stata mal digerita la “normalità” di album come Visions of Eden, The Black Light Bacchanalia e Nocturnes of Hellfire & Damnation.
Vale la pena, quindi, di soffermarsi su questa riedizione (benché i contenuti “bonus” non siano qualcosa di irrinunciabile) che ci mostra dei Virgin Steele in grado di esaltare con il loro peculiare barbaric romantic metal, grazie un DeFeis ancora capace di alternare al microfono il proprio caratteristico ringhio ad acuti formidabili e ad un Pursino sempre in grado di tessere trame chitarristiche di gran pregio.
Anche se ritengo improbabile che la magnificenza delle opere pubblicate negli anni ’90 possa essere riavvicinata, la speranza è che DeFeis possa ritrovare almeno in parte quella magica ispirazione che non può essere andata del tutto smarrita con il passare degli anni.

Tracklist:
Disc 1
1. Kingdom of the Fearless (The Destruction of Troy)
2. Blaze of Victory (The Watchman’s Song)
3. Through the Ring of Fire
4. Prelude in A minor (The Voyage Home)
5. Death Darkly Closed Their Eyes (The Messenger’s Song)
6. In Triumph or Tragedy
7. Return of the King
8. Flames of the Black Star (The Arrows of Herakles)
9. Narcissus
10. And Hecate Smiled
11. A Song of Prophecy
12. Child of Desolation
13. G Minor Invention (Descent into Death’s Twilight Kingdom)
14. Day of Wrath
15. Great Sword of Flame
16. The Gift of Tantalos
17. Iphigenia in Hades
18. The Fire God
19. Garden of Lamentation
20. Agony and Shame
21. Gate of Kings
22. Via Sacra

Disc 2
1. Wings of Vengeance
2. Hymn to the Gods of Night
3. Fire of Ecstasy
4. The Oracle of Apollo
5. The Voice as Weapon
6. Moira
7. Nemesis
8. The Wine of Violence
9. A Token of My Hatred
10. Summoning the Powers

Disc 3
1. Flames of Thy Power (From Blood They Rise)
2. Arms of Mercury
3. By the Gods
4. Areopagos
5. The Judgment of the Son
6. Hammer the Winds
7. Guilt or Innocence
8. The Fields of Asphodel
9. When the Legends Die
10. Anemone (Withered Hopes… Forsaken)
11. The Waters of Acheron
12. Fantasy and Fugue in D minor (The Death of Orestes)
13. Resurrection Day (The Finale)
14. Gate of Kings (Acoustic Version)
15. Agamennon’s Last Hour
16. Great Sword of Flame (Alternate Version)
17. Prometheus The Fallen One (Re-mix)
18. Flames of Thy Power (From Blood They Rise) (Alternate Mix)
19. Wings of Vengeance (Alternate Mix)

Line-up:
David DeFeis – Vocals, Keyboards, Orchestration, Bass and Guitar Keyboard, Swords, Effects
Edward Pursino – Guitars, Bass
Frank Gilchriest – Drums

VIRGIN STEELE – Facebook

Fractured Insanity – Man Made Hell

Il sound poggia su una base ritmica che alterna marzialità e groove e facendo di Man Made Hell un lavoro moderno

Death metal al limite del brutal, vicino al trademark della scena polacca, moderno, marziale a tratti devastante, ma ben calibrato e oscuro come un’ombra demoniaca disegnata sulle pareti di una stanza raggelata da una moltitudine di presenza malvagie.

Benvenuti nel mondo dei Fractured Insanity, death metal band di origine belga tornata a seminare odio con il supporto della fondamentale (per i suoni estremi) Xtreem.
Il quartetto di deathsters nasce nell’ormai lontano 2004, Man Made Hell è il loro terzo album sulla lunga distanza, successore del buon Mass Awakeless uscito sei anni fa e che a sua volta arrivava, come una tempesta con nucleo temporalesco al centro dell’inferno, dopo il debutto When Mankind Becomes Diseased … del 2007.
I Fractured Insanity non inventano nulla e non è nelle loro intenzioni, Man Made Hell risulta un pesantissimo, violento e belligerante lavoro di metal estremo e così potrei salutarvi dandovi appuntamento alla prossima release, ma entrando nello specifico l’album non manca di inanellare una serie di composizioni che formano un compatto monolito di death metal dall’impatto brutale, puro odio, ragionato e cesellato con ritmiche pesantissime, riff che scavano nel profondo buio dove demoni ciechi preparano l’invasione e la possessione della superficie terrestre e dei suoi abitanti.
Mitragliate violentissime e senza soluzione di continuità, un growl da orco deturpato dal maligno e poche ma perfette accelerazioni che sferzano il sound del combo come venti atomici che soffiano distruggendo il pianeta.
Il sound poggia su una base ritmica che alterna marzialità e groove e facendo di Man Made Hell un lavoro moderno, sicuramente non catalogabile come old school come ultimamente va di moda specialmente nell’underground, mantenendo però una ben distinguibile matrice death che ne sottolinea confini ed influenze.
Dall’opener Habitual Killer fino alla conclusiva Suicidal Holiness verrete travolti dall’onda d’urto prodotta dalle truppe infernali che marciano alla conquista delle vostre anime (A Blasted Life), non opponete resistenza o le sofferenze saranno atroci.

TRACKLIST
1.Habitual Killer
2.The Blame Of Humanity
3.Forced To Rome
4.Inferno Of A Narcissist
5.Man Made Hell
6.One Shot Salvation
7.A Blasted Life
8.Suicidal Holiness

LINE-UP
Ignace – Drums
Kenny – Guitars
Dieter – Guitars
Stefan Van Bael – Vocals, Bass

FRACTURED INSANITY – Facebook

Revolution Within – Annihilation

Annihilation punta tutto sulla forza d’urto e non potrebbe essere altrimenti, le canzoni si succedono in un clima di efferata violenza e la band risulta compatta, una forza della natura tremendamente efficace.

Licenziano il terzo full length i Revolution Within, thrash metal band portoghese che si unisce alle truppe europee devote alla parte più moderna e groove del genere.

Nato più di dieci anni fa, il gruppo debuttò nel 2009 con Collision a cui seguì tre anni dopo Straight from Within a consolidare una formula confermata anche sul nuovo lavoro e che vede il quartetto alle prese con un thrash metal violentissimo, moderno e che non manca di far male con letali iniezioni di groove ed una predisposizione deathcore.
Quasi quaranta minuti senza prendere fiato, sopraffatti da una valanga di metal estremo che pur guardando alla parte moderna del genere rimane assolutamente senza compromessi.
Come in molte opere del genere si passeggia sulle macerie di una città distrutta, l’atmosfera che regna è di assoluta desolazione. come dopo la deflagrazione di un ordigno nucleare in un paesaggio devastato dalla furia dell’implosione.
Niente di nuovo ma dall’ottimo impatto alternando velocità e mid tempo dai rimandi core, pesantissimi e monolitici, con la voce che urla rabbiosa tutto il disagio possibile.
Annihilation punta tutto sulla forza d’urto e non potrebbe essere altrimenti, le canzoni si succedono in un clima di efferata violenza e la band risulta compatta, una forza della natura tremendamente efficace.
Grande prova delle asce che rifilano solos al limite, mentre la sezione ritmica si destreggia tra moderno groove e veloci sfuriate in un clima di torrido calore atomico.
Siamo come detto nell’area moderna del thrash metal e le influenze del gruppo portoghese si rifanno ai gruppi cardine del movimento come Machine Head, ultimi Sepultura, Killswitch Engage e Lamb Of God: dunque, se siete fans di questi gruppi e del genere descritto, Annihilation potrebbe essere l’ascolto di questa calda estate 2016.

TRACKLIST
1. Annihilation
2. A Fortress Around My Fate
3. Growing Inside
4. Countdown to…
5. Suicide Inheritance
6. From Madness to Sanity
7. Until I See the Devil Dies
8. Manhunt
9. Without a Reason for Denial
10. This Dying World

LINE-UP
Matador – Guitars
Raça – Vocals
Shaq – Drums
Adriano – Guitars
Jay – Bass

REVOLUTION WITHIN – Facebook

Völur – Disir

I non pochi estimatori dei Blood Ceremony e del sentire musicale che essi rappresentano non potranno che apprezzare l’operato dei Völur, brillanti nell’evocare sensazioni ancestrali con questa riuscita miscela di folk, ambient, doom e progressive.

Da una costola dei Blood Ceremony nasce questo interessante progetto denominato Völur.

Lucas Gadke, bassista della nota occult doom band canadese, si avvale dell’aiuto del batterista James Payment e soprattutto della violinista e vocalist Laura Bates, la quale si dimostra elemento decisivo nel conferire peculiarità al lavoro.
L’uscita di Disir, in effetti, risale a poco più di due anni fa in formato cassetta: la sempre attenta Prophecy ripropone il tutto nelle più canoniche versioni in cd e vinile migliorandone nel contempo la reperibilità, specie sul più ricettivo suolo europeo.
I quattro lunghi brani qui contenuti prendono le mosse dal doom per spingersi verso ambiti e sfumature variegate: con il violino a sostituire di fatto la chitarra, il sound dei Völur assume caratteristiche non prive di un certo fascino, andando ad evocare di volta in volta sensazioni oscillanti dalla Mahavishnu Orchestra ai King Crimson con David Cross in formazione, fino a spingersi ai riflessi morriconiani della soffusa White Phantom.
Disir non è un album semplicissimo da assimilare, non tanto per una sua relativa orecchiabilità quanto per il suo andarsi a collocare in un ambito dai confini indefiniti e, quindi, non rivolto ad una specifica fascia di ascoltatori.
Immagino, però, che i non pochi estimatori dei Blood Ceremony e del sentire musicale che essi rappresentano, non potranno che apprezzare l’operato dei Völur, brillanti nell’evocare sensazioni ancestrali con questa riuscita miscela di folk, ambient, doom e progressive.

Tracklist:
1. Es wächst aus seinem Grab
2. The Deep-Minded
3. White Phantom
4. Heiemo

Line-up:
Lucas Gadke – Electric bass, double bass & vocals
Laura C. Bates – Violin & vocals
James Payment – Drums

Völur – Facebook

Nogrod – Abstruce Dismal

Aleggia un senso di depravata malvagità ed istinto guerriero nei brani che compongono la prima nera opera del gruppo indiano

Morte, distruzione del paradiso e guerra alla religione: i Nogrod lanciano le loro urla belluine dalla lontana India e lo fanno con il loro primo ep autoprodotto, Abstruce Dismal, una ventina di minuti di black metal battagliero e sferragliante.

Il giovane trio di Guwahati composto da Dhiraj Baishya alle pelli, Bhaskar Deka chitarra, voce e Rohan Kumar Das alla chitarra, aggredisce e distrugge senza pietà con un bombardamento black metal senza compromessi, lo violenta con growls feroci al limite del brutal, che lasciano spazio a screams demoniaci in un tornado di violenza diabolica.
Non mancano accenni melodici che fuoriescono dalle corde di chitarre torturate sotto l’impulso diabolico dei due axeman, mentre il drummer picchia inarrestabile con una prova che non lascia dubbi sulla sua malvagità.
Niente che non sia già stato scritto col sangue sulla bibbia luciferina del metal estremo ed evil, ma i Nogrod alle prime avvisaglie danno battaglia con furia ed attitudine come nella migliore tradizione dei gruppi estremi che ultimamente si affacciano sul mercato dal lontano paese asiatico.
Compatto e maligno Abstruce Dismal arriva come un fulmine alla fine, grazie a song che non si perdono in inutili orpelli e arrivano al sodo dalle prime note.
Aleggia un senso di depravata malvagità ed istinto guerriero nei brani che compongono la prima nera opera del gruppo indiano, ispirato dai gruppi storici del genere (Marduk su tutti) ma con un tocco moderno che li proietta tra le nuove leve del black metal del nuovo millennio.

TRACKLIST
1. Call to all Unholy Beings (intro)
2. Powered by the Black Sun
3. Scavenger of Truth
4. Reign of the Fallen
5. Celestial Crusade
6. Ageless Mourning

LINE-UP
Dhiraj Baishya – Drums, Percussions
Bhaskar Deka – Guitars (lead), Vocals
Rohan Kumar Das – Guitars

NOGROD – Facebook

Lanfear – The Code Inherited

Un ottimo album, melodico e progressivo, metallico e perfettamente calato nel trademark compositivo che da anni distingue i Lanfear

Tornano sul mercato i prog/power metallers tedeschi Lanfear, gruppo da vent’anni ai margini della scena prog metal a livello commerciale ma capace di rilasciare ottimi lavori come il precedente This Harmonic Consonance, uscito quattro anni fa e da considerare l’apice qualitativo.

Un lungo viaggio nel mondo dei suoni progressivi dal taglio power, iniziato nel 1996 con il debutto Towers e continuato con altri sei capitoli, compreso quest’ultimo lavoro che arriva in questa estate metallica, dal titolo The Code Inherited.
Come tradizione tedesca vuole, la band amalgama con buoni risultati sonorità power e raffinati inserti melodici e progressivi, in un’ottima via di mezzo tra l’irruenza di gruppi come i conterranei Brainstorm e l’eleganza del prog metal di scuola Fates Warning.
The Code Inherited risulta così un ottimo lavoro, prodotto alla grande e dal sound che fa breccia nel cuore degli appassionati per le le ruvide cariche ritmiche, i chorus e le atmosfere melodiche e una buona tecnica esecutiva qualità peculiare nel genere suonato.
Meno sinfonico e tragico rispetto al suo predecessore, il nuovo album risulta più in your face, la componente power del gruppo prende il sopravvento sui brani di cui si compone The Code Inherited, anche se le aperture melodiche, specialmente nei refrain continuano ad essere l’arma in più del sound del gruppo.
Ottimi i dieci minuti della title track, la song più prettamente prog metal dell’album (insieme alla sci-fi oriented Remain Undone) con i suoi repentini cambi di tempo ed atmosfere, mentre si fanno apprezzare le cavalcate metalliche espresse dalla band nell’opener The Delusionist, della devastante progressione ritmica di The Opaque Hourglass e Converging Saints.
Un ottimo album, melodico e progressivo, metallico e perfettamente calato nel trademark compositivo che da anni distingue i Lanfear: per gli amanti del gruppo un ritorno senza sbavature, per chi non ne conoscesse la musica un buon modo per rimediare.

TRACKLIST
1. The Delusionist
2. The Opaque Hourglass
3. Evidence Based Ignorance
4. The Code Inherited
5. Self-Assembled
6. Converging Saints
7. Remain Undone
8. Summer of ’89

LINE-UP
Nuno Miguel de Barros Fernandes – vocals
Kai Schindelar – bass
Markus Ullrich – guitars
Richard Seibel – keyboard
Jürgen Schrank – drums

LANFEAR – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=RsLUPHt6p2w

Vulture – Victim to the Blade

Primo demo di quattro brani per i tedeschi Vulture, votati al più puro spirito underground di matrice ottantiana.

I Vulture sono un giovane gruppo tedesco, attivo dallo scorso anno, del quale la label High Roller licenzia il primo demo di quattro brani (rigorosamente in musicassetta), per una quindicina di minuti di speed/thrash old school, debitore della scuola ottantiana.

E all’ascolto di Victime To The Blade sembra davvero di tornare ai gloriosi anni delle musicassette e delle ‘zine cartacee, produzione ed impatto sono infatti  in puro stile anni ottanta, cosi come il cantato che non fa mancare qualche sguaiato urlo in falsetto.
Ritmiche velocissime, accompagnano un’aggressione thrash senza compromessi, l’aria che si respira è di pura nostalgica riesumazione delle sonorità care ai pionieri dei generi descritti, ed un alone di stantio prevale sul sound dei nostri baldi thrashers tedeschi.
La cover di Rapid Fire dei Judas Priest chiude il lavoro, non prima di averci fatto scendere qualche lacrimuccia nostalgica con l’impatto a tutta velocità delle varie Vulture, Delivered to Die e la titletrack.
Poco per esprimere un giudizio sulla prova del gruppo, ma abbastanza per consigliare un ascolto solo a chi è un vero fan dello speed metal di matrice ottantiana, nonché assoluto cultore delle opere in musicassetta.
La domanda che mi pongo al riguardo è: ma ne esistono ancora? …

TRACKLIST

Side A
1. Vulture
2. Delivered to Die
3. Victim to the Blade
4. Rapid Fire (Judas Priest cover)

Side B
1. Vulture
2. Delivered to Die
3. Victim to the Blade
4. Rapid Fire (Judas Priest cover)

LINE-UP
M. Outlaw – Guitars
S. Genözider – Guitars, Drums
L. Steeler – Vocals
A. Axetinctör – Bass

VULTURE – Facebook

Vanhelgd – Temple of Phobos

Temple Of Phobos non mancherà di affascinare gli amanti dei suoni oscuri e dalle tematiche occulte ed horror

Scivolando lentamente sul letto di acque scure ci avviciniamo al tempio di Phobos, dove ad aspettarci, sinistri e crudeli ci sono i Vanhelgd, dal 2007 sacerdoti malvagi di litanie metalliche estreme tra doom metal, black e old school death.

Tre full length alle spalle, una discografia che ha dato in pasto ai cultori del metallo più oscuro un disco ogni tre anni circa, partendo da Cult Of Lazarus fino a quest’ultimo lavoro, e con in mezzo Church of Death del 2011, Relics of Sulphur Salvation del 2014, ed un unico ep uscito nel 2010 dal titolo Praise the Serpent.
Accompagnato da una bellissima copertina raffigurante un “Caronte” che si avvicina al tempio, in classico stile doom, Temple Of Phobos non mancherà di affascinare gli amanti dei suoni oscuri e dalle tematiche occulte ed horror, grazie soprattutto ad un songwriting vario e a tratti entusiasmante per quel modo di coniugare i generi citati con grande maestria, creando così un’opera dai tratti nerissimi ma dalle sfumature cangianti.
La pesantezza del doom metal, dai riff che ricordano non poco i Paradise Lost dei primi bellissimi lavori (Gravens lovsång sembra uscita dalle sessions di Gothic), lasciano spazio a sferzate dai rimandi black e mid tempo ispirati dallo swedish death metal di primi anni novanta in un’escalation di emozioni intense, spesse come l’acqua nera come la pece del fiume che porta al sacro tempio di Phobos, mentre tra la boscaglia occhi di fuoco seguono il percorso di questo liquido letto di morte.
Enorme il lavoro delle due asce ispiratissime in tutte le loro cangianti sfumature e che come demoni, a turno, si impossessano di Mattias “Flesh” Frisk e Jimmy Johansson, coppia che non manca di imprimere il loro marchi anche dietro al microfono.
La sezione ritmica (Jonas Albrektsson al basso e Björn Andersson alle pelii) non può che assecondare il mood dell’album con cambi di tempo da una song all’altra, che mantengono un livello alto anche se la parte doom/death è quella che imprime un salto di qualità importante a tutto Temple Of Phobos.
Il death/black dell’opener Lamentation of the Mortals, la già citata e stupenda Gravens lovsång e la conclusiva Allt hopp är förbi sono i picchi qualitativi di un album bello, inquietante e che non può mancare nella discografia di chi ama questi generi e le opere dei primi anni novanta.
Inoltratevi nella foresta (l’inquietante barcaiolo vi sta già aspettando) e andate alla ricerca del tempio di Phobos, non ve ne pentirete.

TRACKLIST
1. Lamentation of the Mortals
2. Rebellion of the Iniquitous
3. Den klentrognes klagan
4. Temple of Phobos
5. Gravens lovsång
6. Rejoice in Apathy
7. Allt hopp är förbi

LINE-UP
Björn Andersson – Drums
Mattias “Flesh” Frisk – Guitars, Vocals
Jimmy Johansson – Guitars, Vocals
Jonas Albrektsson – Bass

VANHELGD – Facebook

Malus – Looking Through the Horrorglass

Un’affascinante opera horror black metal dai rimandi sinfonici, ideata, suonata e prodotta dal genio demoniaco di Wargrath

L’underground metallico molte volte regala delle grandi sorprese, specialmente nello sconfinato ed oscuro mondo del metal estremo.

Intanto questo bellissimo lavoro non si compra, è totalmente libero e pronto per essere ascoltato da tutti, un’affascinante opera horror black metal dai rimandi sinfonici, ideata, suonata e prodotta da questo genio demoniaco di nome Wargrath che, sotto il monicker Malus, è da un po’ di anni che crea e produce bellissime opere nere come la pece.
Looking Through The Horrorglass infatti è il terzo full length di una discografia iniziata con una serie di demo licenziata all’alba del nuovo millennio e due album: Creation of Death del 2003 seguito da The Beauty of Doom del 2008.
Otto anni sono passati dunque dall’ultimo lavoro, ma direi che ne è valsa la pena visto l’alta qualità del songwriting del polistrumentista tedesco.
Ed è guardando dentro lo specchio che le immagini orrorifiche che vi si presenteranno, saranno quanto di più teatrale ed a suo modo raffinato potrete trovare nel black metal; sembra un assurdo, ma la musica di Wargrath, nella sua assoluta natura evil ed estremamente metallica, lascia nell’ascoltatore un senso di eleganza suggestiva che non può non sorprendere.
La parte black dai richiami old school, anche se le chitarre lasciano intravedere qualche sfumatura heavy, è inglobata in una spettacolare ma mai invadente parte sinfonica, valorizzata da atmosfere di raggelante teatralità dalle tinte horror, come in un film veniamo assorbiti dal crescendo di tensione che non si alleggerisce neanche quando i tasti d’avorio rilasciano note di nobile pianoforte.
Voci di demoni imprigionati nel fantomatico e pericolosissimo specchio, cigolii provenienti da altre stanze racchiuse nel mondo parallelo aldilà del nostro riflesso, un black feroce che si abbellisce solo in parte con il fascino della musica dalle sfumature classiche, in un saliscendi di emozioni.
L’album si snoda come un’unica opera estrema divisa in capitoli, assolutamente da seguire dall’inizio alla fine, perciò diventa inutile il classico (e per me stucchevole) track by track, anche se Alien-Hand, The Puppeteer e Now sono piccoli capolavori evil da non perdere.
La musica dei Dimmu Borgir è forse quella che si avvicina di più al sound di Malus, anche se personalmente tra i solchi del disco ho rivissuto accenni atmosferici vicini alle note create da Mr.Doctor per i Devil Doll, chiaramente in un contesto black.
Date un ascolto a questo lavoro che non smetterà di sorprendervi ad ogni più attento ascolto.

TRACKLIST
1. Non Timebo Mala
2. The Curse of the Almighty
3. Alien-Hand
4. The Secret of the Old Ruins
5. The Puppeteer
6. Now
7. The Release of a Trapped Soul
8. Entombed Alive
9. Out of the Black
10. Nebulous Memories
11. Night of Terror

LINE-UP
Wargrath – All instruments, Vocals

MALUS – Facebook

Black Fucking Cancer – Black Fucking Cancer

Il black metal dei Black Fucking Cancer è molto preciso e diretto, non ci sono fronzoli ma una grande intensità è il motore primo del disco.

Black metal americano furioso ed animato da un grande e giustificato odio verso il più grande dei cancri apparso sulla Terra : l’uomo.

I Black Fucking Cancer sono un gruppo che intimidisce attraverso un black metal potente e diretto, debitore sì della vecchia scuola, ma soprattutto figlio della bravura compositiva dei tre americani. Non ci sono canzoni sbagliate in questo debutto, ma c’è un ottimo bilanciamento di melodia e di momenti meno veloci ma altrettanto. Pur apparendo caotico, il black metal dei Black Fucking Cancer è molto preciso e diretto, non ci sono fronzoli ma una grande intensità è il motore primo del disco. La via nordamericana al black metal è sempre stata di ottima qualità, ma ultimamente sta facendo davvero ottime cose, e questo disco ne è una robusta testimonianza. Debutto impressionante per capacità e potenza, i sette pezzi sono un nero crescendo sonoro che conferma la bravura della Osmose Productions nel trovare nuovi gruppi.
Questo lavoro piacerà a molti black metallers, ma soprattutto a coloro che vogliono del buon black metal diretto e potente, oscuro e magniloquente.

TRACKLIST
1. A Sigil of Burning Flesh
2. Acid Ocean
3. Blood Stained Whore
4. SinnRitualVoid
5. Wall of Corpses
6. Exit Wounds
7. Communion of the Blood Unholy

LINE-UP
T. Scythe – Proproganda Hymns
N. Tremor – Choir
J. Hammer – Choir

OSMOSE – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=caX9m4e04OY

Insane Vesper – Layil

Quaranta minuti circa di metal estremo gelido, feroce e satanico, racchiuso in un abisso di riff malvagi

Nidiate malefiche di demoni figli del più puro credo black metal si aggirano per tutta Europa, portando la loro proposta evil e senza compromessi nel più puro spirito underground.

Anche in terra transalpina non mancano certo realtà che, fuori da ogni tipo di moda (si, anche nel metal estremo seguire sonorità cool conta) portano avanti con attitudine e coerenza un modo di concepire il genere puro e old school.
Satanismo, oscurità, misantropia e puro male, il black metal è tutto questo, almeno nella sua natura originale, e gli Insane Vesper da quasi quindici anni sono portavoce del nero verbo in terra francese.
Layil è il loro secondo full length, ma il gruppo di Tolosa ha dato alle stampe (oltre ad Abomination of Death primo album del 2011) una serie di demo, split ed ep ribadendo il suo approccio assolutamente underground.
Il quartetto di demoni transalpini non manca di proporre il suo black metal old school, avvelenato da un totale odio per il mondo anche in questo nuovo lavoro, licenziato da Art Of Propaganda e che non manca di spunti interessanti.
Atmosfericamente metallico, Layil si compone di sei brani medio lunghi, quaranta minuti circa di metal estremo gelido, feroce e satanico, racchiuso in un abisso di riff malvagi, scream provenienti da un demone racchiuso nel corpo martoriato di un impossessato, la cui stanza gelida marcisce sotto gli occhi degli annichiliti astanti.
Blood Of The Moon apre l’opera con i suoi nove minuti di metal nero e abominevole, le chitarre e le ritmiche mantengono inalterata una marcia malefica verso gli inferi, i mid tempo abbondano (Scorned Ascension) ma il gruppo non fa certo mancare sferzate ritmiche glaciali come il freddo vento del nord.
Per chi ha una superficiale conoscenza del mondo black, Layil si colloca in pieno e malvagio true black metal, anche se il gruppo ha la personalità per non concedere grossi paragoni con le band storiche.
Gli Insane Vesper sono una realtà di tutto rispetto nel genere e la loro musica rimane confinata negli ascolti degli amanti del true black metal.

TRACKLIST
1. Blood of the Moon
2. Of Serpent’s Embrace
3. Seed of Inanna
4. Scorned Ascension
5. Sink the Ark of Knowledge
6. The Circle

LINE-UP
Arggon – Guitars, Bass
Vanitas – Vocals
Ate Rigant – Bass
A.L. – Drums

INSANE VESPER – Facebook

Harm – October Fire

Una bomba estrema, questo risulta October Fire, nuovo lavoro dei norvegesi Harm, un trio diabolico che al thrash aggiunge una potenza death/black metal per un risultato da tregenda musicale.

Il gruppo nasce addirittura nel 1997, ma la prima uscita risale al 2004 con il debutto in versione demo, seguito da due full length, Devil del 2006 e Demonic Alliance del 2011.
Una furia distruttrice che parte da una base thrash ed incorpora elementi death e black, i generi estremi di cui il loro paese è da sempre tra i massimi esponenti; il risultato non può che essere devastante come un ciclone biblico.
Vocals che rasentano lo scream di estrazione black, ritmiche inumane, solos spaccaossa , tanta furia distruttrice e se non bastasse rallentamenti al limite del doom/death, fanno di October Fire un lavoro estremo violentissimo ed assolutamente affascinante.
Il songwriting parossistico fa di questa raccolta di brani violenti e demoniaci una chicca per gli amanti del metal estremo, una band che nel suo estremismo sonoro mette d’accordo un po’ tutti gli affezionati al male in musica.
Non un attimo di tregua, fin dall’opener Devastator gli Harm danno inizio alla carneficina e non c’è modo di fermarli, crudeli e senza pietà infieriscono sull’ascoltatore con un approccio che fa passare una qualsiasi black metal band per dei bimbetti ai primi canti imparati a scuola.
La title track, Kill The King, l’infernale Bad Omen letteralmente uccidono, riconcorrono le vittime per finirle con una violenza inumana, le trombe d’aria metalliche non lasciano che macerie al loro passaggio e l’esercito di demoni con il fuoco di Ottobre purifica la terra dalle ultime avvisaglie di umanità.
Steffan Schulze (voce e basso), Nicolay Jørni Johnsen (chitarra), Kevin Kvåle (batteria), confezionano uno dei più malvagi e terremotanti lavori in ambito estremo di questa prima metà dell’anno, non perdetelo o il fuoco vi brucerà.

TRACKLIST
1. Devastator
2. Executioner
3. Trying To Grow Wings
4. October Fire
5. Kill The King
6. Shadow And The Slave
7. Red Stone Souls
8. In These Moments
9. Bad Omen

LINE-UP
Steffan Schulze – Bass/vocals
Nicolay Jørni Johnsen – Guitars
Kevin Kvåle – Drums

HARM – Facebook

Mortal Terror – Creating Destruction

Creating Destruction è un lavoro niente male che ci consegna un gruppo da scoprire, nel caso non lo si sia già fatto.

Veterani della scena thrash metal tedesca, i Mortal Terror non sono molto conosciuti, a meno che non si sia fans accaniti del thrash metal old school, eppure la loro nascita è datata addirittura 1986, in pieno sviluppo e successo delle sonorità estreme.

Una sfilza di demo a cavallo tra gli anni ottanta ed il decennio successivo ed un primo full length licenziato nel 1994 e seguito da altri quattro lavori e due ep, trovando una discreta costanza proprio negli ultimi anni con questo nuovo album che segue We Are The Damned di “appena” sei anni.
Forse la poca produttività ha pesato sulla carriera del gruppo tedesco, fatto sta che dopo trent’anni tornano con un nuovo lavoro e Iyezine, pronta, cercherà di far luce su questi vecchi thrashers ottantiani.
Il sound della band è un buon esempio di thrash tecnico, con molte parte classiche e sfumature death metal progressive, un po’ come i primi Voivod, ma resi brutali da iniezioni slayerane, senza dimenticare la vecchia scuola, specialmente nel lavoro delle due asce, protagoniste di solos dal notevole spessore melodico e tecnico.
Voce aggressiva ma classicamente thrash old school, e ritmiche varie, fanno di Creating Destruction un ottimo lavoro: il gruppo di Kassel alterna brani dall’impatto e velocità illegali ad altri dove l’anima progressiva prende il sopravvento donando ottime parti dove gli accordi semi acustici si sprecano, le parti intimiste diventano predominanti ed un altro glorioso nome , i Metallica era Master Of Puppets, si affaccia sul sound della band.
La carica slayerana di brani come Too Old to Die Young e Death Zone, rimarcano la natura senza compromessi del combo tedescol, mentre  Speed Demon e Spit You Out accentuano quella più elaborata che alza non di poco il valore di una album buono su tutta la linea: trent’anni di esperienza si sentono, ed i musicisti risultano ottimi artigiani metallici.
Creating Destruction è un lavoro niente male che ci consegna un gruppo da scoprire, nel caso non lo si sia già fatto.

TRACKLIST
1. Funeral March (Intro)
2. Too old to die young
3. Speed Demon
4. Death Zone
5. The Beast takes Control
6. Creating Destruction
7. Violent Years
8. Spit you out
9. Mortal Terror

LINE-UP
Stefan Kunth-Vocals
Dirk Wieland-Guitars, vocals
Gerrit Geilich-Bass
Matthias Keyser-Guitars
Jürgen Grauer-Drums

 

Surtur – Descendant of Time

Riff secchi e precisi e tanta ferocia, sommata all’entusiasmo che una giovane band al primo lavoro mette alla grande sul piatto, fanno pari e patta con i piccoli difetti del caso: i ragazzi sono giovani ed hanno ampi margini di miglioramento

Che i paesi asiatici siano ormai una culla per il movimento estremo mondiale non è certo una novità, almeno per chi è abituato a spulciare le ‘zine di riferimento, attente a quello che succede in quei lontani paesi dal punto di vista musicale.

Iyezine in questi anni ha dato molto spazio alla scena, confrontandosi con realtà metalliche che nulla hanno da invidiare a quelle europee e statunitensi, in tutti i generi e sottogeneri di cui può vantare la nostra musica preferita.
Oltre all’immensa India anche gli altri paesi non mancano di gruppi di una certa importanza, specialmente a livello qualitativo, ed uno di questi è sicuramente il Bangladesh.
Thrash metal, per molti un genere obsoleto, che nell’underground però regala piccoli gioiellini di metallo incendiario, trovando appunto nel continente asiatico terreno fertile per far crescere nuove e buone realtà che al genere si ispirano.
A Dhaka, città del Bangladesh nascono nel 2012 i Surtur giovane quartetto di thrashers che debuttano lo scorso anno con Descendant of Time, ristampato quest’anno dalla Witches Brew, un ep di quattro brani ispirato al thrash metal old school di scuola tedesca ma che non rinuncia a devastare con letali dosi di death metal.
Ne esce un sound violento e senza compromessi, dato anche dal growl cattivissimo e dalle atmosfere da battaglia negli inferi che oscurano il sound dei brani.
Intro acustica, che sfocia in un mid tempo, è un attimo perché si parte a velocità furibonde con doppia cassa sparata al limite ed una tregenda metallica dall’impatto furibondo.
La titletrack risulta una tempesta estrema, ma dall’ottima Maggot Filled Brain e Demolisher, qualche rallentamento ed un minimo di melodia in più danno al sound della band una leggera varietà nel suo assalto sonoro senza compromessi.
Riff secchi e precisi e tanta fer28ocia sommata all’entusiasmo che una giovane band al primo lavoro mette alla grande sul piatto, fanno pari e patta con i piccoli difetti del caso, i ragazzi sono giovani ed hanno ampi margini di miglioramento, il genere suonato è del più classico perciò l’originalità la lasciamo in altre sedi, aspettiamo il prossimo passo per una più accurata esamina, anche per il minutaggio ridotto del lavoro in questione.

TRACKLIST
1.Prologue to Chaos
2.Descendant of Time
3.Maggot Filled Brain
4.Demolisher

LINE-UP
Riasat Azmi – Vocals
Shadman Omee -Guitars
Masnun Efaz -Bass
Rifat Rafi – Drums

SURTUR – Facebook

Art Of Deception – Shattered Delusions

Death metal melodico che nel suo dna porta con sé cromosomi thrash metal.

Death metal melodico che nel suo dna porta con sé cromosomi thrash metal.

Shattered Delusions, primo lavoro sulla lunga distanza di questa giovane band norvegese, al secolo Art Of Decption, non delude sicuramente per quanto riguarda l’impatto e la buona vena melodica, valorizzata da un gran lavoro alla sei corde ed animata da una sezione ritmica dallo spirito battagliero.
Il gruppo di Stavanger attivo da quattro anni, ha rilasciato un ep ed un singolo, prima della firma con Crime records ed il rilascio di Shattered Delusions, album dalla forte impronta melodica pur nella sua nature estrema, a tratti alimentato da una vena progressiva e dal songwriting sufficientemente buono.
Il quartetto si aggira furtivo tra il metal estremo degli ultimi anni , rubando di qua e di là umori ed atmosfere che passano dal thrash al death melodico, la vena progressiva e qualche sfumatura più moderna rendono l’ascolto vario, con le atmosfere tragiche ed arrembanti classiche del genere che acquistano spunti interessanti seguendo i dettami del genere suonato.
La voce grossa la fanno le due sei corde, impegnate a costruire riff e solo melodici dal taglio classico su ritmiche veloci e thrash oriented, il growl è da manuale ed il tutto non può che risultare perfetto per un lavoro improntato sull’alternanza tra old school, refrain moderni e tecnicismo progressivo.
In Shattered Delusions il gruppo norvegese non manca di alternare cavalcate veloci e trascinati a parti più elaborate confermandosi una giusta e riuscita via di mezzi tra gli Opeth, i primi Dark Tranquillity e gli At The Gates in versine progressiva e moderna.
Washing Water e gli undici minuti di Organized Chaos sono i picchi di questo buon lavoro, consigliato agli amanti del death metal melodico, ed in generale dei suoni estremi della loro terra di origine, così che Shattered Delusions merita senz’altro da parte loro un attento ascolto.

TRACKLIST
1. Lunar Eclipse
2. Killing
3. Kraken’s Awakening
4. Washing Water
5. Øyekast
6. Molested by the Beast
7. Illusion of Trust
8. Evil (bitch)
9. Organized Chaos

LINE-UP
Marius Ofstad-Guitars, volcals
Sindre Wathne Johnsen-Guitars, B.vocals
Einar Petersen-Drums
Patrick Ivan Rørheim-Bass

ART OF DECEPTION – Facebook

Yarast – Tunguska 1908

Tunguska 1908 è un lavoro pienamente riuscito, all’altezza della migliore tradizione scandinava

Questa band romana attiva dal 2011 non poteva trovare monicker migliore, infatti Yarast in russo significa furia, una furia death metal che si scatenerà appena schiaccerete il tasto play del vostro lettore.

Tunguska 1908 si avvale di un originale concept fanta politico ambientato all’epoca della guerra fredda, con la Russia come assoluta dominatrice del mondo.
L’album è composto da otto brani, prodotti magistralmente da Stefano Morabito ai 16th Cellar Studios (Hour of Penance, Fleshgod Apocalypse), di death metal che rimanda alla scena scandinava, potenti furiosi e marcatamente melodici specialmente nei solos, così da essere una perfetta via di mezzo tra l’approccio classico e quello melodico del genere, a cui la penisola scandinava ha dato i natali.
L’ottima tecnica dei musicisti coinvolti fa il resto e l’album non manca di deliziare i deathsters con una serie di brani oscuri, dal taglio brutale ed epico ed attraversate da un’atmosfera di tensione dannatamente coinvolgente.
Un album che nella sua interezza appare compatto come granito, sferragliante e rabbioso, freddo come il clima delle lande sovietiche, agguerrito nelle ritmiche che alternano mid tempo a sfuriate debordanti e tagliato dalle sei corde, che come lame infieriscono con taglienti e melodici solos.
Il growl imponente del singer Matteo Boccardi accompagna il sound carico di adrenalina, con una tensione altissima, che quasi la si può toccare, e la titletrack apre le ostilità, devastante e rabbiosa, lasciando alle sfuriate ritmiche (Fabrizio Chionni al basso e Nicola Petricca alle pelli, bravissimi nei cambi di tempo della successiva Doomsky Fills Your Eyes) il compito di introdurci al sound del gruppo romano,.
Non c’è un attimo di respiro e Tabula Rasa è un massacro sonoro che rasenta il brutal, mentre su Распyтица (Rasputiza) sono le due asce le protagoniste indiscusse (David Ceccarelli e Daniele Foderaro).
Mentre Nuclear Winter è un’altra mazzata devastante, Blood Path si apre con un accordo acustico che sfocia in una tempesta di suoni estremi dal taglio leggermente progressivo, sempre splendidamente ancorato al metal scandinavo.
Deserter e Retaliation chiudono l’album all’insegna del death metal tecnico e, specialmente nel brano conclusivo, con una serie di ripartenze e solos clamorosi.
Tunguska 1908 è un lavoro pienamente riuscito, all’altezza della migliore tradizione scandinava e, se siete fans degli Hypocrisy, band a mio avviso più vicina al sound prodotto dai nostri, non potete permettervi di perdervelo.

TRACKLIST
01 – Tunguska 1908
02 – Doomsky Fills Your Eyes
03 – Tabula Rasa
04 – Распyтица (Rasputiza)
05 – Nuclear Winter
06 – Blood Path
07 – Deserter
08 – Retaliation

LINE-UP
Matteo Boccardi – Vocals
David Ceccarelli – Guitars
Daniele Foderaro – Guitars
Fabrizio Chionni- Bass
Nicola Petricca – Drums

YARAST – Facebook

Aftermoon – Phase One

Una raccolta di brani che spazia tra irruenza metal, qualche accenno all’alternative rock e tanta elettronica perfettamente inserita nella struttura di un sound che traccia una sottile linea tra il dark pop ed il metal.

Sotto l’etichetta modern metal si nascondono molte anime della nostra musica preferita, dal sound estremo e quello più raffinato la musica dura viene plasmata tornando in vita sotto altre forme.

Per molti o almeno per chi è ancora imprigionato nelle anguste celle della tradizione a tutti i costi un male, ma per chi ha seguito con interesse tutte le camaleontiche trasformazioni che il metal/rock ha avuto in tutti questi anni, le soprese non mancano di certo.
La Wormholedeath, label nostrana che di musica originale e di qualità fa il suo credo, ci fa partecipi di questo ottimo album, proveniente dall’Ucraina e suonato dagli Aftermoon, band di Kiev attiva dal 2012 e capitanata da un’altra splendida musa che il nostro mondo può vantare, la singer Valeri, elegante e raffinata interprete di questa raccolta di brani che spaziano tra irruenza metal, qualche accenno all’alternative rock e tanta elettronica perfettamente inserita nella struttura di un sound che traccia una sottile linea tra il dark pop ed il metal.
Modern metal diventa ovviamente la più facile soluzione per descrivere la moltitudine di note che all’ascolto di Phase One riempiono di musica le nostre stanze, che si trasformano ai nostri occhi in un paesaggio vellutato, con arcobaleni di tutte le tonalità del rosso ( il metal) e del nero (il dark elettronico).
La band non manca di accontentare gli amanti della musica dura, le chitarre sanno far male all’occorrenza e le ritmiche a tratti si fanno pesanti e potenti, la parte elettronica fa la differenza soprattutto nei brani dove si amalgama alla rabbiosa parte metallica, ed il piano che timido ricama armonie, dona una marcata eleganza che si evince all’ascolto dell’intero album.
Time Crisis, Somewhere e Duality sono gli esempi più fulgidi del songwriting del gruppo, che lascia alla splendida vocalist tutta la meritata gloria con le magnifiche interpretazioni su Silence, To You e Losing Me le canzoni più intimiste e sentite del lavoro.
Un grande lavoro alla produzione rende il suono cristallino e patinato il giusto per non mancare di convincere gli ascoltatori del rock più cool e l’appeal a tratti risulta davvero alto.
Difficile fare dei paragoni, che rimangono più legate al genere che a specifiche band, non vi rimane che ascoltare questo ottimo lavoro ed innamorarvi perdutamente della musica degli Aftermoon e della loro bellissima vocalist.

TRACKLIST
1. In Loving Memory
2. Lumia
3. DeadBorn Revolution
4. Cold
5. Losing Me
6. Runaway
7. Somewhere
8. Duality
9. Silence
10. Daemons
11. Time Crisis
Bonus 12. To you

LINE-UP

Valeri
Ivan
Dmitriy
Sergey
Roman

AFTERMOON – Facebook

Thrashit – Kaiser of Evil

Poco più di una ventina di minuti per scaricare otto proiettili di thrash metal old school feroce ed aggressivo

Il vecchio e vituperato thrash metal non conosce confini ,così che nell’underground non sono solo la vecchia Europa o gli USA a regalarci nuove realtà nel genere, ma anche dalla lontana Asia non mancano nuovi adepti al sacro fuoco del thrash.

Dalla Malesia arrivano i Thrashit e Kaiser Of Evil è il loro primo lavoro sulla lunga distanza, che segue l’ep di debutto uscito due anni fa (Neckbangers).
Qualcuno dirà che il quartetto di Kuala Lumpur, formato da Jorn (chitarra e voce), Logan (batteria), Erulz(basso) e Beno (chitarra), è in ritardo di almeno una trentina d’anni, poco male per chi aprrezza il thrash più evil, grezzo ed ignorante come non mai.
Poco più di una ventina di minuti per scaricare otto proiettili di metal old school feroce ed aggressivo, prodotto discretamente e dall’ottimo impatto, tanto basta al gruppo malese per accontentare chi fra voi preferisce soluzioni in your face, d’altronde il genere è nato per far male estremizzando l’heavy metal cercando di suonarlo il più veloce possibile.
Cattivo e crudele, il sound del gruppo si avvicina alla tradizione europea, lasciando le melodie statunitensi ad altre realtà e la scelta non può che essere quella giusta visto le buone impressioni suscitate da questo estremo lotto di songs.
Speed e tharsh old school quindi, con una sezione ritmica indiavolata così come il singer sembra un Mille Petrozza indemoniato, che fa fuoco e fulmini nel già schizoide sound di brani evil come, Fallen War e la devastante triade Son Of Bastard, Thrashing And Slaughter e 666 Days In Hell.
Kaiser Of Evil può essere considerato un buon inizio per il gruppo malese, la proposta segue per intero le coordinate del genere tanto da risultare il classico disco per appassionati, dategli un ascolto non mancherà di garantirvi quasi mezzora di sana cattiveria.

TRACKLIST
1. Pressure
2. Fallen War
3. Neckbanger
4. Son of Bastard
5. Thrashing and Slaughter
6. 666 Days in Hell
7. Kaiser of Evil
8. Thrashit

LINE-UP
Jorn – Guitars, Vocals
Logan – Drums
Erulz – Bass
Beno – Guitars

THRASHIT – Facebook

childthemewp.com