Destruction – Under Attack

I gruppi storici, di solito, vivono di luce riflessa emanata dalle opere che li hanno resi famosi, non il gruppo tedesco che con Under Attack scrive una delle sue pagine più importanti

Quante volte abbiamo nominato la famosa sacra triade del thrash metal teutonico, Sodom-Kreator-Destruction, per descrivere le opere di giovani metallari alle prese con il sound che queste icone del metal estremo hanno reso immortale ?

Una scuola quella tedesca che, diversamente da quella statunitense, ha sempre viaggiato su territori estremi, amalgamando il thrash con lo speed e lasciando all’aggressione tout court il compito di spezzare colli ai metallari da almeno una trentina d’anni.
Under Attack è l’ultimo figlio dello spirito santo della sacra triade, i Destruction di Schmier, un razzo impazzito lanciato per distruggere pianeti, un meteorite di metallo devastante che si abbatte sulla terra ed appunto distrugge ogni cosa.
Possiamo sicuramente sorvolare su accenni alla storia di questa storica band, se non conoscete il trio di Lorrach non potete considerarvi veri metallari, ed il fatto che questo nuovo lavoro non si discosti di una virgola dai precedenti lavori risulta solo un dettaglio.
Il thrash metal teutonico di cui il gruppo è maestro non richiede idee originali o grosse novità, per essere apprezzato dagli ascoltatori serve un songwriting sopra la media, un impatto devastante e tanto mestiere, e la band non difetta di alcuna di queste virtù, confezionando un album che semplicemente è legge per chiunque ami il genere.
Un gruppo che non conosce il passare degli anni, questi sono i Destruction del 2016, ed il nuovo album spara dieci missili terra aria, di thrash metal veloci come la luce, accompagnati dal drummer granitico Vaaver, dalla sei corde che trafigge con solos che sono schegge impazzite che cadono sul pianeta e dalla voce inconfondibile di uno Schmier, signore e padrone di un certo modo di concepire il metal d’assalto.
Un assalto appunto che inizia e termina senza un caduta di tono, nemmeno un minuto da poter considerare un riempitivo, mentre i testi che accompagnano questa famigerata decina di songs, dimostrano come questi inesauribili thrashers sono sul pezzo rispetto alle problematiche di questo inizio millennio (terrorismo, corruzione e cyberbullismo).
Compatto, oscuro, bestiale, una battaglia senza tregua, questo è Under Attack, aperto dalla bellissima title track e colmo di pregiati pezzi di thrash old school perfettamente a suo agio in questi anni di modern metal, come Pathogenic o Dethroned, due bolidi metallici che senza freni travolgono, precisi e perfetti nel regalare violenza musicale, o presi per la gola dalla perfezione di Conductor Of The Void e Generation Nevermore, picchi qualitativi di questo mostruoso lavoro.
I gruppi storici, di solito, vivono di luce riflessa emanata dalle opere che li hanno resi famosi, non il gruppo tedesco che con Under Attack scrive una delle sue pagine più importanti, confermandosi, e non poteva essere altrimenti, come gruppo guida del thrash metal europeo.

TRACKLIST
1. Under Attack
2. Generation Nevermore
3. Dethroned
4. Getting Used to the Evil
5. Pathogenic
6. Elegant Pigs
7. Second to None
8. Stand Up for What You Deliver
9. Conductor of the Void
10. Stigmatized

LINE-UP
Schmier – Basso, Voce
Mike – Chitarra
Vaaver – Batteria

DESTRUCTION – Facebook

Gorgosaur – Lurking Among Corpses

Un album che è da considerare come una pietra preziosa, un massacro coinvolgente e dannatamente perfetto nel suo riecheggiare il sound padre di tutto quello che di estremo in musica è sceso dalle terre del nord.

In terra scandinava si suona death come si faceva nei primi anni novanta, l’underground accoglie questi figli dimenticati del metal estremo e li nutre di odio e violenza.

In Svezia nasce questo devastante duo, attivo dalle parti della capitale da due annetti, ora alle prese con il primo album dopo aver dato alle stampe un demo.
Åsa Hagström alla chitarra e Martin Schönherr alle pelli si dividono il microfono e licenziano per la Memento Mori Lurking Among Corpses, ottimo esempio di death metal scandinavo, marcio e devastante, un gioiellino old school talmente ben fatto da risultare clamoroso.
Trenta minuti in compagnia di riff, ritmiche ed atmosfere che riportano agli anni d’oro del genere, valorizzati da un songwriting ispirato ed dalla prova del duo.
E se il batterista al microfono ci sa fare tanto da non sfigurare con i singer storici, la polistrumentista è una strega inviperita, dalla voce dannata e maledetta, protagonista malefica soprattutto con la sei corde che rifila riffoni senza soluzione di continuità.
Dopo un’intro pianistica veniamo scaraventati in pieno delirio scandinavian old school death metal, le catacombe davanti a noi non sono ancora il peggio che dovremmo affrontare, e neppure i resti scarnificati e ammuffiti dimenticati dal tempo non scalfiscono l’ipnotica atmosfera di violenza e terrore che brani dal tiro micidiale come Terror Incarnate o Body Snatchers riescono a rievocare.
L’alternanza tra il growl del batterista e le grida di puro odio della Hagström, coronano un lavoro strumentale spettacolare, con le pelli pestate alla velocità della luce, classici passaggi da sfuriate, rallentamenti e mid tempo irresistibili (Pyromaniac Narrations).
In Lurking Among Corpses passa come un vento gelido che accompagna spiriti maligni e anime perdute nella dannazione eterna una buona fetta del death metal scandinavo, puro ed incontaminato metallo estremo concentrato in una manciata di songs clamorose come The Antropophagus, Burial Of Rats e quelle già citate.
Un album che è da considerare come una pietra preziosa, un massacro coinvolgente e dannatamente perfetto nel suo riecheggiare il sound padre di tutto quello che di estremo in musica è sceso dalle terre del nord.

TRACKLIST
1. Basement Funeral Hymn
2. Terror Incarnate
3. In Darkness They Come Crawling
4. Body Snatchers
5. Pyromaniac Narrations
6. Lurking Among Corpses
7. Gashes and Demise
8. The Antropophagus
9. Burial of Rats
10. Death Is Psychosomatic

LINE-UP
Åsa Hagström – Guitars, Bass, Vocals, Piano
Martin Schönherr – Vocals, Drums

GORGOSAUR – Facebook

Overtures – Artifacts

Una proposta che accontenta i fans del prog metal, per tecnica esecutiva e passaggi mai banali, ma non manca di ammiccare agli amanti dei suoni power, grazie a cavalcatein cui predomina un’ottima vena melodica.

Power prog metal ad alto voltaggio quello proposto ancora una volta dai friulani Overtures, partiti come classica band power ed ora arrivati a toccare lidi progressivi con ottimi risultati.

Il nuovo lavoro, masterizzato in Germania ai Gate Studios, tra le cui mura ha lavorato gente del calibro di Avantasia, Edguy ed Epica è un buon esempio di prog metal vario, molto melodico, a tratti dal piglio drammatico, il che avvicina non poco la band nostrana ai maestri Symphony X, anche se gli Overtures usano molto bene l’arma della melodia e delle ritmiche hard rock, riuscendo a rendere il proprio lavoro personale ed oltremodo affascinate.
Una proposta che accontenta i fans del prog metal, per tecnica esecutiva e passaggi mai banali, ma non manca di ammiccare agli amanti dei suoni power, grazie a cavalcatein cui predomina un’ottima vena melodica.
Prova sopra le righe di tutti i musicisti, iniziando dall’ottimo singer Michele Guaitoli personale ed interpretativo a sufficienza per imprimere il suo marchio sulla raccolta di brani che compongono Artifacts, e sontuosa la parte ritmica con il basso di Luka Klanjscek e le pelli di Andrea Cum, potenti nelle cavalcate power e dalla buona tecnica esecutiva dove i brani richiedono fantasia ed eleganza, virtù peculiari nel metallo progressivo.
Marco Falanga incornicia con la sua sei corde questo quadro metallico, dai mille colori e sfumature, dove potenza e melodia vanno a braccetto per le strade del metallo classico.
Un lavoro che si mantiene su coordinate medio alte a livello qualitativo per tutta la sua durata, anche se non mancano i picchi che alzano la media di un disco imperdibile per gli amanti di queste sonorità, come la classic metal Gold, Il cuore dell’album composto dalle progressive Unshared Worlds e My Refuge, e la bellissima suite dal piglio drammatico Teardrop, dove le anime del gruppo si alleano per donare dieci minuti di prog metal davvero entusiasmante.
Artifacts risulta così un ottimo ascolto, la band in questi anni è cresciuta non poco e si appresta a conquistarvi, non opponete resistenza.

TRACKLIST
1. Repentance
2. Artifacts
3. Gold
4. As Candles We Burn
5. Profiled
6. Unshared Worlds
7. My Refuge
8. New Dawn, New Dusk
9. Teardrop
10. Angry Animals
11. Savior

LINE-UP
Luka Klanjscek – Bass
Marco Falanga – Guitars
Michele Guaitoli – Vocals
Andrea Cum – Drums

OVERTURES- Facebook

Elderblood – Messiah

La miscela degli Elderblood è unica nel panorama metal, poiché coniuga la potenza e le tenebre del symphonic black metal con un grandissimo senso del death metal, mostrando il meglio di questi generi.

Gli ucraini Elderblood sono uno dei migliori gruppi, se non il migliore addirittura, di black metal sinfonico, un genere che espone molto alle figuracce, dato che deve essere composto ed eseguito con molta bravura.

Gli Ederblood in questo senso sanno molto bene come si fa. Fondati nel 2011 dal cantante e chitarrista Astargh insieme al batterista Odalv, nel febbraio del 2012 imbarcano sulla nera nave anche il bassista Hagath. Con questa formazione nel giugno del 2013 incidono Son Of The Morning con la Paragon Records, un ottimo album sottostimato da tanti, ma non dalla Osmose Productions che fa firmare loro un contratto. Ed ecco allora nelle nostre mani, ma soprattutto nelle nostre orecchie Messiah, un lavoro davvero furioso, compatto e ben composto. La miscela degli Elderblood è unica nel panorama metal, poiché coniuga la potenza e le tenebre del symphonic black metal con un grandissimo senso del death metal, mostrando il meglio di questi generi. Messiah è un disco potente e trascinante, con parti sinfoniche inserite bene e composte ancora meglio, senza mai essere di troppo, perfettamente funzionali al disegno generale. Il disco funziona benissimo ed è un notevole attacco sonoro. Il grande pubblico del metal non ha ancora scoperto ed apprezzato a fondo questo grande gruppo, ma grazie alla loro bravura ed anche alla cassa di risonanza che può offrire un’etichetta come la Osmose Records, Messiah potrebbe essere lo spartiacque nella loro carriera.

TRACKLIST
1. Thagirion’s Sun
2. Invocation of Baphomet
3. Devil in the Flesh
4. Leviathan
5. Satana
6. In Burning Hands of God
7. Adamas Ater

LINE-UP
Astargh – Guitars, Bass, Keys, Samples, Orchestral and Voice.
Odalv – Drums.

ELDERBLOOD – Facebook

Misteyes – Creeping Time

Poco più di un’ora di musica dall’anima cangiante, sempre in bilico tra la teatralità delle orchestrazioni gotiche e la furia del metallo estremo

Un’altra ottima band si affaccia sulla scena nazionale in ambito symphonic gothic metal anche se, nel proprio sound, è forte un’impronta death metal che ne accentua la parte metallica.

Il suo nome è Misteyes, ed è proprio dal continuo scontro tra la parte estrema e la quella più sinfonica, dove il gruppo a mio parere è maestro, che viene coniato “light and dark metal” descrizione con cui si identifica la band stessa.
Nato quattro anni fa, il gruppo piemontese ha dato alle stampe un primo singolo e successivamente, due anni dopo e qualche aggiustamento nella line up con l’entrata di una voce femminile e l’aggiunta fondamentale dei tasti d’avorio, il secondo singolo, presente nella track list dell’album, Lady Loneliness, brano di una bellezza disarmante e uno dei picchi di questo ottimo lavoro.
Licenziato dalla label canadese Maple Metal Records e prodotto dalla stessa band con l’aiuto in fase di mastering e masterizzazione di Alessio Sogno negli Alarm studio di Torino, Creeping Time risulta un debutto coi fiocchi, debordante nelle molte parti estreme, davvero straordinario in quelle sinfoniche ed operistiche valorizzate, senza nulla togliere alle ottime prove degli altri musicisti, proprio dagli ultimi entrati in seno alla band, la favolosa cantante Denise “Ainwen” Manzi, brava nelle clean vocals, straordinaria in quelle operistiche, e dal tastierista Gabriele “Hyde” Gilodi, alle prese con piano ed orchestrazioni che rendono teatrale emozionante e a tratti cinematografico il sound del disco.
La parte più estrema è condotta con ottima capacità dagli altri membri del gruppo, il death metal (la parte dark) che si scontra con le ariose parti sinfoniche risulta un sostenuto melodic death metal, dove la parte ritmica è affidata al basso di Andrea “Hephaestus” Gammeri ed alle pelli di Federico “Krieger” Tremaioni, mentre le asce ricamano solos dal taglio classico e riffoni dark metal sotto il comando di Daniele “Insanus” Poveromo e Riccardo “Decadence” Tremaioni.
Poco più di un’ora di musica dall’anima cangiante, sempre in bilico tra la teatralità delle orchestrazioni gotiche e la furia del metallo estremo su cui Edoardo “Irmin” Iacono scarica tutta la sua potenza alternando rabbiosi screams e profondi growls.
Non un cedimento, Creeping Time tiene inchiodato l’ascoltatore fino all’ultima nota, la varietà del sound richiama più di una band e più di una sfumatura del variegato mondo estremo, si passa così da rimandi ai primi Anathema e Paradise Lost, fino ai Dark Tranquillity intimisti dell’immenso Projector, mentre le sinfonie orchestrali e l’enorme prova della vocalist continuano a soprendere.
Brains In A Vat, The Prey e The Demon Of Fear, insieme a Lady Loneliness trascinano l’album verso l’eccellenza, mentre gli ospiti danno il loro contributo per fare di Creeping Time un disco imperdibile( Björn “Speed” Strid dei Soilwork, Nicole Ansperger violinista degli Eluveitie, Roberto Pasolini singer dei nostrani Embryo e Mattia Casabona degli Aspasia).
Un lavoro davvero sorprendente, il debutto dei Misteyes si candida come uno dei lavori di punta del genere in questo 2016, non fatevelo scappare.

TRACKLIST
1. The Last Knell (Intro)
2. Creeping Time
3. Brains In A Vat
4. Inside The Golden Cage
5. Lady Loneliness
6. The Prey
7. Destroy Your Past
8. The Demon Of Fear
9. A Fragile Balance (Awake The Beast – Part 1)
10. Chaos (Awake The Beast – Part 2)
11. Decapitated Rose
12.Winter’s Judgment

LINE-UP
Edoardo “Irmin” Iacono -Voci Growl e Scream
Denise “Ainwen” Manzi -Voci Clean e Liriche
Daniele “Insanus” Poveromo- Chitarre
Riccardo “Decadence” Tremaioni -Chitarre
Gabriele “Hyde” Gilodi -Pianoforte, Synth e Orchestrazioni
Andrea “Hephaestus” Gammeri -Basso e Basso Fretless
Federico “Krieger” Tremaioni -Batteria
OSPITI:
Björn “Speed” Strid
Nicole Ansperger
Roberto Pasolini
Mattia Casabona degli Aspasia

MISEYES – Facebook

Sektemtum – Panacea

Band di Montpellier che offre un’eccezionale prova a 360° di musica pesante, dal black al death, dal crust al groove metal, sempre diverso, sempre di ottima qualità.

Band di Montpellier che offre un’eccezionale prova a 360° di musica pesante, dal black al death, dal crust al groove metal, sempre diverso, sempre di ottima qualità. Panacea potrebbe essere la risoluzione a molti dei nostri mali, almeno di quelli musicali.

Dopo cinque anni di silenzio, e la separazione dal precedente cantante, i Sektemtum ritornano con una prova furiosa e magnifica, fatta di musica suonata con il cuore e lo stomaco, lanciandosi in uno stage diving lungo molta della musica pesante conosciuta.
E tutto funzione molto bene, con canzoni di attitudine hardcore, perché questi francesi hanno molto da dire e lo gridano forte. Vi è anche molta sofferenza, molto disagio accumulato e tirato fuori con questa catarsi musicale davvero molto interessante. Il disco è vario tanto da sembrare una compilation, ma non cade mai nella confusione o in strani cul de sac, scorrendo benissimo e facendo venire voglia di ripremere play, o di girare più volte il vinile.
Come tutte le opere è difficilmente catalogabile, e qui vi è la sua grandezza. Comandano i loro ascolti, le loro sensazioni, incidendo un disco composto quasi dal vivo con ottimi risultati. Istantanee di rabbia e vita.

TRACKLIST
1. Place à la Comédie
2. Ebony Grand Master
3. Direction Cataclysme
4. Empire
5. Pantheon
6. Le Crépuscule des Idoles
7. Bad Winds
8. Lord Hear Our Prayers
9. 218’
10. Subsonic
11. Zero Bravo
12. Panacea

LINE-UP
REL
REV3REND
SIX

SEKTEMTUM – Facebook

Grave Miasma – Endless Pilgrimage

In una Londra avvolta nella nebbia, oscura e demoniaca, striscia un’entità occulta e destabilizzante chiamata Grave Miasma, misteriosa death metal band, nata una decina di anni fa.

In una Londra avvolta nella nebbia, oscura e demoniaca, striscia un’entità occulta e destabilizzante chiamata Grave Miasma, misteriosa death metal band, nata una decina di anni fa.

La discografia del gruppo comprende due ep ed un full length, Odori Sepulcrorum uscito tre anni fa, che ha elevato il gruppo allo status di cult band in ambito estremo.
Endless Pilgrimage è dunque il terzo mini cd, un altro viaggio nel death metal più oscuro, dal concept occulto, mistico e per questo molto affascinante.
Il sound passa da accelerazioni improvvise a mid tempo al limite del doom, dove le sei corde ricamano solos dai rimandi progressivi e riff pesantissimi.
L’atmosfera è pregna di misticismo e l’impatto della band da la sensazione di essere al cospetto di musicisti preparatissimi e molto coinvolti nel concept dietro a questa oscura realtà estrema.
Non fraintendetemi, ma all’ascolto di questi brani la sensazione che ne scaturisce è pregna di attitudine doom, anche se la violenza di molte ritmiche e la devastante forza dei brani (stupenda Utterance of the Foulest Spirit) non mancano di travolgere l’ascoltatore in pieno delirio death metal.
Gran lavoro delle sei corde, specialmente su Glorification Of The Impure, demoniaco il growl straziante del vocalist sacerdote di questa liturgia nera svolta nell’antro più buio dell’inferno.
Sono i Morbid Angel il gruppo più vicino alle cantilene di morte dei Grave Miasma, mentre Endless Pilgrimage continua ad emanare un terribile tanfo mortifero, che non accenna a diminuire, ed anzi aumenta col passare dei minuti, mentre dietro di voi una lieve nebbiolina si alza e dalla coltre due paia di corna si materializzano … troppo tardi, la vostra anima non ha più scampo.

TRACKLIST
1. Yama Transforms to the Afterlife
2. Utterance of the Foulest Spirit
3. Purgative Circumvolution
4. Glorification of the Impure
5. Full Moon Dawn

LINE-UP
Y – Guitars, Vocals
R – Guitars
A – Bass
D – Drums

hGRAVE MIASMA – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO
In una Londra avvolta nella nebbia, oscura e demoniaca striscia un’entità occulta e destabilizzante chiamata Grave Miasma.

Havukruunu – Rautaa Ta Julta

Rutaa Ta Julta è un disco magnifico e magnificente, e i boschi finlandesi sanguinano ancora.

Quando arriva del metal dalla Finlandia difficilmente non è buono, e questo disco ne è la conferma.

Acciaio e fuoco, questa è la traduzione italiana del titolo, che rappresenta alla perfezione ciò che vuole dire il disco. Questo duo inanella un canzone clamorosa dietro l’altra parte, usando vari stili soprattutto il black metal, ma riuscendo a trasmettere veramente lo spirito del nero metallo. Ogni traccia è notevole, ogni giro di chitarra è buttato in faccia a chi ascolta, la batteria miete vittime, ma poi come estranei nelle radure ecco un lento giro di morte che si avvicina, per poi riprendere velocità.
Questo disco è il luna park per gli amanti del black, almeno per quelli con una mentalità vogliosa di assorbire vibrazioni leggermente differenti dalle solite. Rautaa Ta Julta è un disco magnifico e magnificente, e i boschi finlandesi sanguinano ancora.

TRACKLIST
1.Pakkanen
2.Rautaa ja Tulta
3.Musta Yö
4.Ne Salaperäiset
5.Valhallan Portit
6.Verta ja Tuhkaa
7.Maat Mennyttä Soi
8.Surmatuli
9.Joka Puun Takaa
10.Maan Alainen

LINE-UP
Humö – Voice, Bass Guitar.
Stefan – Voice, Guitars & Percussion

HAVUKRUUNU – Facebook

Wormfood – L’Envers

Anche se l’ombra dei Type O Negative aleggia in maniera percepibile, se c’è un qualcosa che non fa difetto ai Wormfood è proprio la personalità, che è ben delineata dalla prima all’ultima nota di un lavoro che va in crescendo dopo ogni ascolto.

I francesi Wormfood agitano la scena musicale del loro paese fin all’inizio del millennio è hanno già all’attivo cinque album sulla lunga distanza, incluso quest’ultimo parto intitolato L’Envers.

Nati con basi estreme, come molte altre realtà transalpine si sono poi evoluti lentamente verso forme avanguardiste ma, rispetto ad altri, i Wormfood riescono a focalizzare meglio le loro pulsioni innovative senza mostrarsi mai troppo cervellotici.
Questo avviene anche grazie ad una particolare assonanze sonora ai grandi Type O Negative: tale vicinanza alla storica band statunitense non deriva soltanto dal il tono di voce profondo che il leader Emmanuel Lévy ha in comune con il compianto Peter Steele, ma anche per un sound che si sposta sovente verso quella particolare forma di gothic doom capace di ammantare i brani di un’oscurità soffusa ed inquieta.
Del resto, la presenza in qualità di ospite di Paul Bento, già sodale di Steele ai tempi dei Carnivore e capace di valorizzare con il suo sitar un capolavoro come Bloody Kisses e non solo, fornisce una sorta di imprimatur alla band francese in qualità di degna e credibile portatrice del verbo dei TON.
Infine, ad accomunare ulteriormente le due band c’è anche la presenza di un leader dalla personalità geniale quanto tormentata, al netto delle differenze costituite dal differente background culturale: un aspetto questo, che nei Wormfood caratterizza in maniera decisiva il sound, enfatizzandone la teatralità attraverso l’interpretazione istrionica di Lévy .
Un teatro che, alla fine, è il tema conduttore dell’album, anche se qui si parla di una rappresentazione artistica macabra e grottesca, in ossequio all’umore sardonico che alleggia sull’intero lavoro: tutto ciò che ne scaturisce potrebbe anche risultare indigesto a chi non apprezza più di tanto né tali sfumature né, soprattutto, l’idioma francese che, d’altronde, è assolutamente funzionale alla resa finale costituendo, nel contempo, un fondamentale fattore distintivo
In L’Envers si susseguono brani di ottimo livello: al netto della lunga introduzione recitata, si procede in maniera sempre efficace tra sonorità avanguardiste e magnifiche aperture melodiche nelle quali, spesso, sono le tastiere a tenere banco assieme, ovviamente, all’eclettica e profonda vocalità di Lévy .
Il riferimento alla band newyorchese diviene esplicito in quello che pare quasi un esperimento medianico, ovvero l’unico brano cantato in inglese, Gone On The Hoist (G.O.T.H.), nel quale Steele viene riportato letteralmente in vita dal singer francese, con il contributo decisivo del sitar di Bento e dell’hammond “silveriano” suonato produttore dell’album Axel Wursthorn.
Mi redo conto che questi costanti riferimenti potrebbero far pensare di primo acchito ad un derivativo lavoro di scopiazzatura, ma vorrei spazzare il possibile equivoco in maniera netta: se c’è un qualcosa che non fa difetto ai Wormfood è proprio la personalità, che è ben delineata dalla prima all’ultima nota di un lavoro che va, peraltro, in crescendo dopo ogni ascolto, riservando nel finale le cose migliori benché la sua prima parte sia già notevole.
Gehenna, per esempio, è una canzone formidabile, ricca di enfasi drammatica e di repentine aperture melodiche, ovvero il tratto comune di un intero disco da godersi sedendosi in poltrona ed immaginando di trovarsi al cospetto di un palcoscenico sul quale attori inusuali esibiscono la loro arte putrida e perversa.
L’Envers è l’ennesima prova della vitalità di una scena francese fatta di band che prediligono muoversi in maniera obliqua rispetto ai vari generi, e l’atavica rivalità che ci contrappone da sempre ai vicini d’oltralpe non deve mai farci perdere di vista la necessaria obiettività nel giudicarne l’operato, specie in un campo come quello artistico in cui il tifo o lo sciovinismo non hanno alcuna ragion d’essere.

Tracklist:
1. Prologue
2. Serviteur du Roi
3. Ordre de Mobilisation Générale
4. Mangevers
5. Gone On The Hoist (G.O.T.H.)
6. Collectionneur de Poupées
7. Géhenne
8. Poisonne

Line-up:
Emmanuel Lévy : Vocals, guitars, lyrics
Renaud Fauconnier : Guitars
Pierre Le Pape : Keyboards
Vincent Liard : Bass
Thomas Jacquelin : Drums

Guests:
Paul Bento – Sitar on Gone On The Hoist (G.O.T.H.)
Axel Wursthorn – Hammond on Gone On The Hoist (G.O.T.H.)

WORMFOOD – Facebook

Dominhate – Emissaries of Morning

Emissaries Of Morning ribadisce in toto le buone sensazioni che il primo full length aveva lasciato ai fans e agli addetti ai lavori, conquistando chi si nutre di metal estremo dai chiari rimandi old school

Towards The Light fu uno dei più riusciti esempi di puro death metal usciti un paio di anni fa, la band friulana con il debutto poneva le basi per una carriera che, anche dopo l’uscita di questo mini cd, non potrà che essere foriera di grandi soddisfazioni.

Emissaries Of Morning ribadisce in toto le buone sensazioni che il primo full length aveva lasciato ai fans e agli addetti ai lavori, conquistando chi si nutre di metal estremo dai chiari rimandi old school, per il clamoroso impatto, l’alta qualità tecnica ed un songwriting anche in questo caso sopra la media.
Quattro brani più intro per una ventina di minuti di devastante death metal, oscuro e pesantissimo, un armageddon di suoni estremi che, come in passato posa le basi sui maestri del genere, ma viene affrontato dal gruppo senza complessi di inferiorità, lasciando nell’ascoltatore la sensazione (come nel precedente lavoro) di essere al cospetto di una band navigata.
Così come in passato veniamo travolti dal sound da tregenda dei Dominhate, un salto nell’abisso dove le acque putride di cadaveri in decomposizione entrano dalla bocca e dalle narici e ci infettano mortalmente a colpi di metal estremo, un infernale e senza compromessi metallo di morte, un bombardamento perpetrato da una chirurgica e massacrante sezione ritmica, laceranti solos e rallentamenti di scuola old school, come ormai se ne sentono sempre meno, circondati dai suoni core di moda in questi ultimi anni.
Le quattro songs formano un compatto monolito di metal estremo, un’aggressione senza compromessi, una devastante carica bestiale che prende spunto dalle nefandezze sonore di Morbid Angel, Asphyx ed Hate Eternal.
Questo ep dovrebbe fungere da spartiacque tra il primo lavoro e la prossima prova sulla lunga distanza, state sintonizzati, noi ci saremo.

TRACKLIST
1. Saturn Rising
2. Awakening Confessiones
3. Faith Delirius Imago
4. Immolation Carmen Astri
5. Creation Quies Monumenti

LINE-UP
Steve – Bass, Vocals
Alex – Guitars
Slippy – Drums
Jesus – Guitars

DOMINHATE – Facebook

Briargh – Eboros

Il progetto Briargh è una limpida fonte di black metal e pagan, suonato con stile old school, forte e deciso che regala forti emozioni ad ascoltatori che cercano un certo tipo di emozioni.

Progetto personale di Erun, ex dei Crystal Moors, che con questo disco arriva alla tetrza uscita, proseguendo un discorso di recupero attraverso il black, il pagan ed il folk, delle radici celtiche della Cantabria, gran bella terra della penisola iberica.

Il progetto Briargh è una limpida fonte di black metal e pagan, suonato con stile old school, forte e deciso che regala forti emozioni ad ascoltatori che cercano un certo tipo di emozioni. Il disco non vive mai momenti di calma, o peggio, di noia. Moltissimi sono i riferimenti a gruppi o solisti del passato metal, poiché Erun aka Briargh ha solide fondamenta nella nera arte del metal. Dentro Eboros vi sono amore per la propria terra, ricerca di un essere diverso dalla attuale omologazione e soprattutto ottima musica. Vi è sempre una certa tensione, un continuo volo d’aquila su terre ancora invitte, in un tempo ed in una dimensione che non sono la nostra. Notevolissimo.

TRACKLIST
1.El Llanto del Bosque
2.Silom Sego
3.Sword of Woe
4.Dubos Etenos
5.Sun of the Dead
6.El Canto de las Anjanas (Pt II)
7.El Nubero de Samhain
8.Eboros – Epitome of Death

LINE-UP
Erun

MORBID SHRINE – Facebook

Black Rainbows – Stellar Prophecy

I Black Rainbows, con un talento spropositato per l’hard rock vintage e le sonorità settantiane, prendono il meglio da quel magico periodo e lo drogano con lo stoner rock creato dalle generazioni cresciute negli anni novanta

E’ ora di dare a Cesare quel che è di Cesare, in questo caso è venuto il momento di spazzar via il vostro provincialismo quando si parla di rock per dare la giusta importanza ad una scena italiana che ormai può tranquillamente guardare dall’alto molte realtà europee ed andare a braccetto con quelle britanniche e statunitensi.

A ribadire lo stato di grazia del rock nazionale ci pensano i romani Black Rainbows, ormai da più di dieci anni in giro con il loro rock psichedelico contaminato da elettrizzante stoner; la band, attiva dal 2005, è giunta al quinto lavoro sulla lunga distanza, un viaggio lisergico nel mondo delle sette note, iniziato con Twilight in the Desert del 2007, per proseguire con Carmina Diabolo del 2010, Supermothafuzzalicious!! del 2011, ed il bellissimo Hawkdope dello scorso anno, con in mezzo un ep, due split ed un singolo.
Vi ho elencato tutta la discografia perché sono sicuro che, se non conoscete il gruppo capitolino e siete amanti del genere, dopo l’ascolto di questo ultimo lavoro farete di tutto per rifarvi del tempo perduto, ed ascoltare tutta la musica prodotta da questo trio di psychedelic rockers nostrani.
Giuseppe Guglielmino (basso), Alberto Croce (batteria) e Gabriele Fiori (chitarra, voce e tastiere), con un talento spropositato per l’hard rock vintage e le sonorità settantiane, prendono il meglio da quel magico periodo (Hawkwind, MC5, Led Zeppelin, Black Sabbath) e lo drogano con lo stoner rock creato dalle generazioni cresciute negli anni novanta come Monster Magnet, Kyuss, QOTSA: ne esce un sound che può tranquillamente essere considerato un viaggio nella musica rock dalle connotazioni space e psichedeliche, dove perdere la strada che riporta alla realtà spazio temporale è facile e pericolosissimo.
Electrify e Woman ci introducono al meglio nel mondo di Stellar Prophecy: l’opener è un brano diretto, molto rock’n’roll, mentre con Woman si entra nel mondo di Black Sabbath e Hawkwind.
Golden Widow regala undici minuti di pura psichedelia space, una danza lisergica tra le stelle, una lunga passeggiata tra le scie di supernova in caduta libera, nella galassia che si apre nelle menti sotto l’effetto di sostanze illegali, il primo dei due brani capolavoro che può vantare Stellar Prophecy.
Evil Snake, It’s Time To Die e Keep The Secret tornano all’hard rock stonerizzato, sempre accompagnate da chitarre ipersature, una perfetta amalgama tra MC5, Monster Magnet e Kyuss e ci preparano al secondo capolavoro, la conclusiva The Travel, un crescendo emozionale allucinante, quasi dieci minuti di apoteosi psych/stoner/doom lisergico da infarto, un incubo elettrico di enormi proporzioni, la colonna sonora della caduta di un asteroide sulla terra.
Stellar Prophecy si conclude così, con il vocalist che cammina sulle macerie, in un paesaggio diventato lunare, splendido ed emozionante finale di un disco stupendo, fatelo vostro.

TRACKLIST
1. Electrify
2. Woman
3. Golden Widow
4. Evil Snake
5. It’s Time To Die
6. Keep The Secret
7. The Travel

LINE-UP
Giuseppe Guglielmino – Bass
Alberto Croce – Drums
Gabriele Fiori – Vocals, Guitars, Keyboards

BLACK RAINBOWS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=Po3b3qW4Xck

SUBLIMINAL CRUSHER

iye Quattordici anni di attività e quattro full length: raccontatevi ai lettori della nostra webzine.

Jerico: Subliminal Crusher è il nome di un progetto iniziato nel 2002, da me e Rawdeath, come side project degli altri nostri S.R.L., band di heavy/thrash con testi in italiano attiva dal 1992. I “SubCrush”, sono infatti nati proprio per estendere le tipiche sonorità prog-melodiche degli S.R.L., ed hanno da subito preso connotati death melodici, unici ma affini alle bands da cui al tempo io e Rod eravamo principalmente ispirati (The Haunted, At the Gates, Darkane, Pantera, Testament, etc..) .

iye Darketype, il nuovo lavoro, può essere considerato un ottimo esempio di death metal melodico con chiare influenze thrash, siete d’accordo?

Emiliano: Certamente. come detto sopra da nonno J. le influenze del gruppo sono chiare e, essendo i gusti musicali dei membri del gruppo abbastanza omogenei, non si fatica ad evincerle. L’intenzione del disco verte spesso su sonorità thrash, seppur rimanendo con una chiara base filo-scandinava, già presente in altri lavori, ma stiamo già pensando di dare una linea più death ai prossimi lavori.

iye La melodia riveste un ruolo molto importante nel vostro sound, trovando sfogo in molti solos di estrazione classica: il metal classico fa parte del vostro background?

Jerico: Le melodie sono il giusto equilibrio tra le componenti che a mio avviso compongono una tipica struttura nei brani dei Subliminal Crusher. E’ come quando si cerca di ottenere uno scatto fotografico che riassuma il giusto messaggio, ecco … la melodia è il momenti della messa a fuoco di questa immagine.

iye Come si lavora alla creazione di un album in casa Subliminal Crusher?

Jerico: Fortunatamente, le attuali tecnologie consentono di condividere le idee di tutti in poco tempo. Partendo da questi primi riff, ci si vede in sala prove e si sviluppa il pezzo nella sua forma completa. C’è da dire che l’arrangiamento di un tipico brano SubCrush non impiega mai poco tempo, ma una volta completato siamo sicuri di aver ottenuto il massimo del risultato secondo in nostri canoni.
Emiliano: Questa era per me, e anche per Marco, la prima esperienza nel contribuire alla creazione di un album e posso dire che si lavora con grande entusiasmo e impegno da parte di ogni membro (penso in particolare a Lorenzo che si è fatto carico del lavoro di registrazione, mixing e mastering). Va detto che i nostri membri più anziani (Jerico e Rodolfo) hanno giocato un ruolo fondamentale negli arrangiamenti, noi altri, alle prime armi, non saremmo probabilmente stati in grado di far rendere in modo così efficace i pezzi.

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iye Come ho scritto in sede di recensione, negli ultimi anni le band di genere hanno spostato il tiro verso sonorità più core, perdendo quasi del tutto gli elementi classici che caratterizzavano il sound di metà anni novanta; voi fate parte di quei gruppi che non si sono fatti influenzare dalle nuove tendenze continuando ad avere un approccio”vecchia scuola”, ma quali sono i gruppi che più hanno influenzato il vostro sound?

Jerico: Di certo i SubCrush non hanno mai suonato quello che gli altri si aspettavano ma sempre e solo quello che in quel momento rappresentava la nostra musicalità. Siamo passati anche noi da periodi più thrash a momenti più death, ma in generale, penso che siamo sempre rimasti coerenti al nostro moniker.

iye Nel corso della vostra carriera avete diviso il palco con gruppi a dir poco fondamentali per lo sviluppo del metal estremo come Entombed, The Haunted, Darkane e Sadus: quanto è importante per voi suonare dal vivo?

Jerico: Ogni concerto è una nuova sfida, dalla ideazione della scaletta alla preparazione in sala prove per la stessa, ma ogni volta è una soddisfazione stare sul palco insieme agli altri componenti del gruppo e condividere ogni emozione scaturita da ogni singola nota.

iye La scena italiana negli ultimi anni è cresciuta in modo esponenziale a livello qualitativo: per voi che siete in giro da un po di anni, quali sono le differenze sostanziali tra la scena odierna e quella dei primi anni del nuovo millennio?

Jerico: La scena italiana pullula di band valide, sia dal punto di vista tecnico che delle idee; sicuramente l’attitudine delle band si è modificata nel tempo, ma credo che questo sia inevitabile. Forse quello che manca di più alla scena oggigiorno, rispetto a venti anni fa, è la curiosità nella ricerca di gruppi, suoni e relative “leggende”. Con internet oggi tutto è alla portata di tutti, e questo va sicuramente a discapito dell’immaginazione, che a mio modo di vedere è parte integrante del piacere musicale.

iye Siamo ai saluti, vi lascio spazio per farci conoscere i prossimi passi della band e vi ringrazio a nome dei lettori di Iyezine.

Jerico: Tutto quello che di importante gira intorno alla band è quasi subito postato nei nostri socials (fb in primis). Rimanete in contatto con noi su Facebook

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Vardis – Red Eye

Un gradevole tuffo nel passato, anche se non mancano motivi per apprezzarlo sia nel presente che nel futuro

Il trio proveniente dal Regno Unito, composto oggi dal talentuoso chitarrista/cantante Steve Zodiac e dalla sezione ritmica che vede Joe Clancy alle pelli e Martin Connolly al basso (che ha sostituito dopo l’uscita dell’abum Terry Horbury, putroppo scomparso lo scorso dicembre), può tranquillamente essere considerato un gruppo storico del metal/rock ottantiano anche se discografia non è così colma di full length (Red Eye è il quarto) in quanto la band ha interrotto le uscite discografiche per un lungo periodo tra il 1986 ed il 2015.

L’attività è iniziata nel lontano 1979 e la prima metà del decennio successivo ha visto i Vardis impegnati nel produrre tre lavori su lunga distanza, The World’s Insane nel 1981, Quo Vardis l’anno dopo e l’ultima prova nel 1986, quel Vigilante che rimase per molto tempo il testamento discografico della band.
Red Eye segna il ritorno sulle scene del trio anglosassone, una macchina di metal/rock dalle forti influenze blues, pregna di micidiale groove e di riff che si modellano su un hard rock tra Ac/Dc e Status Quo.
Rock vecchio stile, insomma, che trasuda rock’n’roll potente e tanto divertimento, affiancato da una componente metallica pescata a piene mani dalla new wave of british heavy metal, genere in cui i Vardis si rispecchiano a sufficienza.
L’album risulta una buona mazzata hard rock, la sei corde, a tratti hendrixiana è l’assoluta protagonista delle canzoni che compongono il lavoro, impetuosa, tremendamente blues ma graffiante quando Zodiac la fa urlare di orgoglio metallico.
Red Eye è un album old school, suonato, cantato e vissuto da musicisti che di anni di musica alle spalle ne hanno da vendere, e le sanguigne Paranoia Strikes, The Knowledge, l’irresistibile di Back To School e l’ammiccante Head Of The Nail, brano che porta Angus Young a suonare negli Status Quo, non potranno che far luccicare di nostalgia gli occhi a chi, a dispetto degli anni, hanno ancora voglia di sentire del sano rock.
L’album prende quota quando il vecchio blues prende le redini del sound e ne escono brani travolgenti come Hold Me, un ritorno nelle strade polverose in cui i fantasmi del passato vi prenderanno per mano accompagnadovi davanti a chi offre il successo in cambio della dannazione eterna.
Detto della produzione perfetta e corposa, della sezione ritmica che asseconda il chitarrista con una prova tutta grinta e sudore, ed un lotto di brani che si mantengono di buon livello, non mi rimane che consigliarvi questo tuffo nel passato, anche se i motivi non mancano per apprezzarlo sia nel presente che nel futuro.

TRACKLIST
1. Red Eye
2. Paranoia Strikes
3. I Need You Now
4. The Knowledge
5. Lightning Man
6. Back to School
7. Jolly Roger
8. Head of the Nail
9. Hold Me
10. 200 M.P.H.

LINE-UP
Steve Zodiac -Guitar, Voice
Joe Clancy – Drums
Terry Horbury – Bass

VARDIS – Facebook

Assassin – Combat Cathedral

Ottimo ritorno per il gruppo tedesco, il nuovo lavoro sazierà di violento thrash metal tutti gli amanti dei suoni estremi provenienti dal decennio ottantiano

I thrashers tedeschi Assassin sono da sempre considerati alla stregua di una cult band per gli amanti del genere: attivi dalla prima metà degli anni ’80 con il primo demo Holy Terror ed il debutto sulla lunga distanza The Upcoming Terror, datato 1986, si misero in mostra per il loro stile violentissimo e senza compromessi.

Interstellar Experience, secondo lavoro licenziato nel 1988, vide la band fare un passo indietro a livello qualitativo, da qui in poi numerosi problemi portarono allo split, fino al 2005 che segnava la reunion e l’uscita del terzo full length, The Club.
Il precedente Breaking The Silence, uscito cinque anni fa, seguito da un DVD ed una compilation hanno dato alla band la meritata continuità discografica e questo ottimo Combat Cathedral non fa che confermare il periodo di grazia del combo tedesco.
Accompagnato dalla copertina illustrata da Marcelo Vasco (Slayer, Machine Head, Soulfly), il nuovo lavoro presenta dodici brani di devastante thrash metal alla Slayer, tra tradizione ottantiana e massacrante groove, che basta per rendere la proposta al passo coi temi e per niente nostalgica.
Gli Assassin sono una macchina da guerra metal, violenta e feroce, se qualcosa si perde nei più di cinquanta minuti di durata, i loro punti il quintetto tedesco li riacquistano con un impatto ed una furia distruttrice sopra le righe ed una prova tecnica notevole.
Le ritmiche spazzano via ogni cosa, le chitarre urlano e il vocalist spacca letteralmente con una prova rabbiosa e sul pezzo, in ogni istante di questa guerra totale che è Combat Cathedral.
Ingo “Crowzak” Bajonczak è una furia disumana al microfono, la sezione ritmica esplode in ripartenze da infarto (Joachim Kremer al basso e Björn “Burn” Sondermann alle pelli), mentre le due asce sono armi letali in mano ai due axekillers Michael Hoffmann e Jürgen “Scholli” Scholz.
Non un attimo di respiro, i brani si susseguono una più violenta ed estrema dell’altra con l’opener Back From The Dead, la devastante Undying Mortality, la velocissima Whoremonger e la clamorosa Ambush a fare da traino a questo branco di voraci e crudeli metal songs.
Ottimo ritorno dunque per il gruppo tedesco, il nuovo lavoro sazierà di violento thrash metal tutti gli amanti dei suoni estremi provenienti dal decennio ottantiano, che la battaglia abbia inizio.

TRACKLIST
1. Back From The Dead
2. Frozen Before Impact
3. Undying Mortality
4. Servant Of Fear
5. Slave Of Time
6. Whoremonger
7. Cross The Line
8. What Doesn’t Kill Me Makes Me Stronger
9. Ambush
10.Word
11. Sanity From The Insane
12. Red Alert

LINE-UP
Ingo “Crowzak” Bajonczak – vocals
Michael Hoffmann – guitars
Jürgen “Scholli” Scholz – guitars
Joachim Kremer – bass
Björn “Burn” Sondermann – drums

ASSASSIN – Facebook

Cardinal’s Folly – Holocaust of Ecstasy And Freedom

Uno dei migliori album di doom classico dell’anno, confermando la netta supremazia finlandese nel campo.

Doom, classico senza fronzoli e da ascoltare a volumi criminali. Riffoni che colano dal grasso di un caprone mentre brucia, teste slogate dall’oscillare, tenebre e vizio, ecco ciò che offrono i Cardinal’s Folly nella loro terza uscita.

Questo è doom metal fatto bene e con tutti i crismi dell’ortodossia, ed in più c’è una classe abbastanza enorme. In tempi nei quali è sempre più difficile trovare un buon album doom classico, ecco arrivare questo Holocaust Of Ecstasy & Freedom, lento freddo eppure eccezionalmente caldo. Ci sono anche forti echi settantiani e un tocco di metallo tipicamente inglese che fa molto NWOBH. Insomma un’ottima opera, con un giusto bilanciamento fra accelerazioni, lentezza e pesantezza.
Uno dei migliori album di doom classico dell’anno, confermando la netta supremazia finlandese nel campo.

TRACKLIST
1.The Poison Test
2.Goats on the Left
3.Her Twins of Evil
4.Nocturnal Zeal (Winter Orgy)
5.Holocaust of Ecstasy & Freedom
6.Psychomania
7.La Papesse

LINE-UP
Mikko Kääriäinen – Bass, Vocals
Juho Kilpelä – Guitar
Joni Takkunen – Drums

CARDINAL’S FOLLY – Facebook

Winterhorde – Maestro

Chiunque si professi amante della buona musica deve ritagliarsi, almeno per un po’, un’oretta al giorno per cogliere appieno ogni sfumatura e godersi senza distrazioni un lavoro che difficilmente si schioderà dalla top ten di quest’anno.

Gli israeliani Winterhorde potrebbero esser presi ad emblema di ciò che si intende per progressione artistica: partiti come band dedita ad un symphonic black sulle tracce di Dimmu Borgir et similia (Nebula, 2006) ed approdati poi ad una forma parzialmente più evoluta ed avanguardista, ma ancora legata a tratti di matrice  estrema (Underwatermoon, 2010), giungono infine alla quadratura del cerchio con Maestro, tramite il quale, quasi in ossequio al titolo scelto, impartiscono una spettacolare quanto sorprendente lezione della durata di oltre un’ora a base di musica “progressiva” nel senso più autentico del termine.

Il retaggio sinfonico resta fortemente connesso alla struttura compositiva del gruppo mediorientale ma, in questo caso, costituisce un tessuto che avvolge ed arricchisce il lavoro d’insieme piuttosto che rappresentare la classica la soluzione ad effetto volta solo a mascherare, in molti lavori, ampi vuoti creativi.
Il raggiungimento di un simile risultato non arriva per caso ed una delle chiavi di volta è stato sicuramente un pesante ritocco della line-up che ha visto, in particolare, l’ingresso in formazione del cantante Igor “Khazar” Kungurov, il quale, con le sue splendide tonalità pulite duella incessantemente con lo screaming/growl del vocalist e fondatore Z.Winter, finalizzando il lavoro rutilante di una band capace di spaziare con una disinvoltura disarmante tra diverse sfumature stilistiche senza mai appesantire l’ascolto.
Chi ha avuto la ventura di ascoltare quel capolavoro che risponde al titolo Blessed He with Boils degli americani Xanthochroid troverà non poche affinità, specie nei passaggi più accelerati ed in certe repentine aperture atmosferiche, ma i Winterhorde ci mettono di loro un trademark più classico, riconducibile persino a Savatage/Trans Siberian Orchestra nelle frequenti orchestrazioni e, comunque, meno estremo, con una ricerca costante della melodia che non necessità del ricorso a dissonanze o a colpi ad effetto per attrarre l’attenzione dell’ascoltatore.
Mi rendo conto, scrivendone, quanto sia complesso provare a descrivere a parole questo disco, pertanto mi limiterò a dire che chiunque si professi amante della buona musica deve ritagliarsi, almeno per un po’, un’oretta al giorno per cogliere appieno ogni sfumatura e godersi senza distrazioni un lavoro che difficilmente si schioderà dalla top ten di quest’anno.
Anche citare un brano piuttosto che un altro riesce difficile, in quanto Maestro è un’opera di rara compattezza qualitativa, in cui non viene sprecata una nota che non sia funzionale al risultato finale: obbligato a scegliere tra tanta abbondanza, opto per The Heart of Coryphee, la traccia più lunga del lavoro nonché quella che farei ascoltare a qualcuno che mi chiedesse di proporgli un frammento dell’album per farsene un’idea, mentre tutto sommato la traccia meno brillante è proprio la conclusiva Dancing in Flames, in virtù di certe venature circensi che non sono mai state nelle mie corde.
Maestro è l’album che porta i Winterhorde su livelli inattesi ai più: probabilmente il tempo trascorso dall’ultimo lavoro su lunga distanza è stato sfruttato per focalizzare e finalizzare al meglio gli obiettivi, a dimostrazione del fatto che quasi sempre la fretta è nemica della qualità; non resta che assaporare questa splendida opera con la speranza che sia solo l’inizio di una nuova fase della carriera del gruppo israeliano.

Tracklist:
1. That Night in Prague
2. Antipath
3. Worms of Souls
4. They Came with Eyes of Fire
5. Chronic Death
6. The Heart of Coryphee
7. A Dying Swan
8. Maestro
9. Through the Broken Mirror
10. Cold
11. Dancing in Flames

Line-up:
Z.Winter – Vocals
Igor “Khazar” Kungurov – Vocals, Acoustic Guitar
Dima “Stellar” Stoller – Guitars
Omer “Noir” Naveh – Guitars
Sascha “Celestial” Latman – Bass, Saxophone, Acoustic Guitar
Alexander “Morgenrot” Feldman – Keyboards, Theremin
Maor “Morax” Nesterenko – Drums

WINTERHORDE – Facebook

Devolted – Broken Kings

Segnatevi il nome di questa band irlandese, al prossimo giro che si spera sulla ruota di un full length potrebbero regalare uno spettacolo pirotecnico di fuochi d’artificio metallici.

Secondo lavoro in formato ep dei Devolted, gruppo irlandese attivo in quel di Dublino dal 2010 e con il primo mini cd uscito un paio di anni fa (The Curious Case).

Quattro brani per sedici minuti di metal ruvido, pesante e molto groovy, questo in sintesi è quello che affiora all’ascolto di Broken Kings e delle canzoni di cui è composto, ispirato tanto dal thrash metal, quanto dalle ultime sonorità che riempiono i lavori delle giovani modern metal band.
Ritmiche pesanti come macigni, rese potentissime da un groove in pieno Pantera style, un tocco di death metal melodico alla Soilwork e per questa giovane band il gioco è fatto, non facendo mancare chorus melodicissimi (My Monster) un’indiavolata carica thrash (Dogs Of War) e buone intuizioni di quel metal moderno tanto caro ai gruppi statunitensi (la title track).
Qualche riff richiama il metal tradizionale, ma sono attimi, schegge che partono impazzite a causa dell’esplosione dei tre brani, che travolgono, grazie anche ad una produzione esemplare che valorizza tutta la carica metallica in possesso alla band.
Il resto è un susseguirsi di metallo roccioso e debordante con una prova maiuscola di un singer rabbioso, ma perfetto nelle cleans, valorizzate da chorus dall’ottimo appeal (Rafal Smyczynski), una sezione ritmica spaccaossa ( lo stesso singer al basso in compagnia delle pelli di Dominik Tokarski) e due asce che non risparmiano riff debordanti e solos ultra heavy (Mark O’Reilly e Killian Chellar).
Segnatevi il nome di questa band irlandese, al prossimo giro che si spera sulla ruota di un full length potrebbero regalare uno spettacolo pirotecnico di fuochi d’artificio metallici.

TRACKLIST
1. My Monster
2. Dogs of War
3. God of Light
4. Broken Kings

LINE-UP
Dominik Tokarski – Drums
Mark O’Reilly – Guitars, Vocals (backing)
Killian Chellar – Guitars, Vocals (backing)
Rafal Smyczynski – Vocals, Bass

DEVOLTED – Facebook

Eclipse – Clandestine Resurrection

Clandestine Resurrection degli indiani Eclipse non mancherà di sorprendere gli amanti dei suoni metallici melodici e raffinati.

Attivi dal 2004 e con un ep ed un singolo alle spalle, arrivano al traguardo del primo full length gli indiani Eclipse, band che del metal old school dai richiami hard rock melodici fa il suo credo.

In un paese dove il metal estremo ha messo radici e sforna continuamente nuove realtà non è poi così facile trovare band di metal classico, il gruppo originario di Guwahati infatti non deluderà chi ha nel suo dna il sound storico degli anni ottanta, a cui la band è legata e che rende elegante da molti inserti tastieristici e melodie ruffiane di scuola scandinava.
Clandestine Resurrection risulta così un buon lavoro, immerso nella tradizione metallica, ogni brano vive della luce melodica che i tasti d’avorio di scuola AOR imprimono sul sound, la chitarra alterna riff di scuola hard rock e verve maideniana, ed il tutto viene accompagnato dalle ottime linee melodiche del singer Kundal Goswami.
Classic metal del più raffinato, tra Rainbow e primi Europe, Iron Maiden e Journey in un susseguirsi di brani dal buon appeal, a tratti epico, mai troppo veloce e con i mid tempo a fare la voce grossa.
Tastiere evocative, fanno da intro al lavoro (Prelude to the Resurrection), che esplode in tutta la sua carica di raffinato metallo ottantiano nell’opener Rise Of The Dead, la sei corde insegue i tasti d’avorio in quella che risulta un’apertura davvero riuscita.
L’ascolto, pur rimanendo ancorato nei canoni del genere risulta vario nell’alternare melodia e grintose parti dove le chitarre si rivestono dell’armatura della vergine di ferro, From The Ashes è una semiballad di scuola Rainbow, mentre Dreams Of Midnight risulta il lato più oscuro della musica del combo.
Da segnalare Stale Memories, altra ballad sopra le righe, mentre sono le dolci note di Yesterday & Tomorrow che ci accompagnano alla conclusione di questo Clandestine Resurrection, album che non mancherà di sorprendere gli amanti dei suoni metallici melodici e raffinati.

TRACKLIST
1. Prelude to the Resurrection
2. Rise of the Dead
3. Enlightened by Darkness
4. From the Ashes
5. Virgins of Heaven and Hell 2
6. Dreams of Midnight
7. Fall of Kings
8. Stale Memories
9. Serenity
10. Yesterday & Tomorrow

LINE-UP
Kundal Goswami -Vocals
Rahul Kaushik -Bass
Sumit Baruah -Guitar
Rakesh Barov-Keyboard
Mrinmoy Edwin Singha-Drums

ECLIPSE – Facebbok

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