Rampart – Codex Metalum

I Rampart con questo nuovo lavoro confermano la bontà della propria proposta, adatta agli appassionati ancorati al metal tradizionale, i quali troveranno pane per i loro denti tra le trame di Codex Metalum.

Fiero heavy metal old school dalla capitale bulgara Sofia in compagnia dei Rampart, band attiva dai primi anni del nuovo millennio e con una nutrita discografia alle spalle.

La band della cantante Maria “Diese” Doychinova, molto conosciuta in patria , taglia il traguardo del quarto lavoro sulla lunga distanza; Codex Metalum segue di tre anni l’ultimo lavoro e conferma la buona costanza del gruppo che non ha mai fatto passare periodi più lunghi da una release all’altra.
L’album è stato masterizzato da Arne Lakenmacher ( Gamma Ray, Doro, Stormwarrior) ai High Gain Studios di Amburgo, capitale del power metal tedesco e vanta nove brani, inclusa la cover della storica Majesty del guardiano cieco.
La band alterna speed metal e new wave of british heavy metal ed i brani sono caratterizzati da mid tempo e crescendo sufficientemente suggestivi per far innamorare i fans di Iron Maiden, Saxon , Bind Guardian e Doro Pesch.
La singer, senza strafare, è protagonista di una buona prova, le canzoni regalano chorus epici, tutti acciaio, fuoco e gloria immortale, i solos nascono dalla covata metallica ottantiana e le accelerazioni power/speed arrivano a noi dalla storia del metallo teutonico.
Una buona raccolta di brani che vivono dei cliché del genere, con un paio di questi che alzano la qualità dell’opera come la lunga The Metal Code e la speed Into the Rocks, il resto si mantiene a galla grazie ai vari cambi di ritmo e l’abbondanza di chorus dall’elevato tasso epico.
Band che, con coerenza e passione, porta avanti il verbo delle sonorità classiche, i Rampart con questo nuovo lavoro confermano la bontà della propria proposta, adatta agli appassionati ancorati al metal tradizionale, i quali troveranno pane per i loro denti tra le trame di Codex Metalum.

TRACKLIST
1 Apocalypse Or Theater
2 Diamond Ark
3 The Metal Code
4 Of Nightfall
5 Sacred Anger
6 Into The Rocks
7 Colors Of The Twilight
8 Crown Land
9 Majesty – Blind Guardian Cover

LINE-UP
Maria “Diese” Doychinova- vocals
Victor Georgiev- Guitars, B.vocals
Sebastian Agini- Guitars, B.vocals
Yavor Despotov- Live guitars, B.vocals
Alexandar Spiridonov- Bass
Jivodar Dimitrov- Drums

RAMPART – Facebook

Inallsenses – Checkmate

Checkmate potrebbe senz’altro fungere da ideale apripista ad un nuovo lavoro sulla lunga distanza, le sensazioni sono positive, aspettiamo fiduciosi le prossime mosse.

Attivi addirittura dalla seconda metà degli anni novanta, tornano con questo ep di quattro brani i campani Inallsenses, alfieri di un sound che mescola con sagacia death metal,thrash e metalcore in un unico terremotante frullatore musicale.

Il gruppo di Caserta rompe un silenzio che dura ormai da sei anni, da quel 2010 che segnò l’uscita dell’ultimo full length, Hysterical Psychosis, successore di The Experience, uscito nel 2008 e di due demo nei primi anni di carriera.
Una band di provata esperienza, culminata nel 2008 con l’apparizione al Wacken Open Air, messa al sevizio di quattro brani composti da pura adrenalina estrema.
Velocità ritmica ai limiti legali, un’ottimo uso delle due voci (clean e growl) ed un buon susseguirsi di solos melodici, sono le principali cause della buona riuscita dei brani che compongono Checkmate, ad iniziare dall’opener Expectation, la più moderna del lotto e vicina al sound estremo di moda in questi anni.
Si viaggia con l’acceleratore a tavoletta nella seguente The Anthem Of Revolution, una thrash metal song divisa tra l’irruenza del genere e i solos di estrazione melodic death, così come in New Automata, interpretata alla grande dalla doppia voce del chitarrista Matteo Recca.
La titletrack chiude questi diciassette minuti di flagello, qui i migliori Testament fanno capolino tra i solchi del brano, un arrembante e quanto mai riuscito macello sonoro, a cui la doppia voce dona un’altissimo appeal.
Buon ritorno per la band casertana, Checkmate potrebbe senz’altro fungere da ideale apripista ad un nuovo lavoro sulla lunga distanza, le sensazioni sono positive, aspettiamo fiduciosi le prossime mosse.

TRACKLIST
1. Expectation
2. The Anthem Of Revolution
3. New Automata
4. Checkmate

LINE-UP
Lorenzo Picerno – Bass
Bartolomeo D’Arezzo – Drums
Mateo Recca – Guitars, Vocals
Giuseppe Senese – Guitars

INALLSENSES – Facebook

Goetic Equivalent – Goetic Equivalent

Ripetizioni di riff veloci e marci, cattiveria musicale che pulisce, o che ci danna ancora di più, soprattutto un gran disco di black metal.

Classico, mentalmente deviato e marcio black metal dalla Grecia. Non si sa chi siano, non hanno praticamente riferimenti in rete ma, cosa più importante, fanno un ottimo black metal classico, molto Mayhem della prima ora, e lo fanno molto bene.

Ci sono anche elementi che esulano dal black, come qualche epitaffio death e prog, ma il cuore è irrimediabilmente nero e grondante sangue. Il black metal è un deterioramento non strettamente negativo, nel senso che può essere una purificazione musicalmente distorta da una pletora di falsi valori, quelli di questa società e dei parassiti che la vivono, sia fisici che mentali. Dischi come questo riescono per qualche tempo a strapparci alle vibrazioni della matrice, e a riportarci nel brodo primordiale.
Ripetizioni di riff veloci e marci, cattiveria musicale che pulisce, o che ci danna ancora di più, soprattutto un gran disco di black metal.

TRACKLIST
1.Converted Spiral Plan
2.Emptiness
3.Psychonaut
4.Illuminatory Index
5.Patient Shore
6.Paradise Anew
7.R Candy
8.Chapel

 

VV.AA. – Thirteeen: An Ethereal Sound Works Compilation

Thirteen è la compilation che celebra i tredici anni di attività della label portoghese Ethereal Sound Works, nel cui roster sono comprese band lusitane dedite ai generi più disparati, ma tutte accomunate da una notevole qualità di fondo e da altrettanta verve creativa.

Thirteen è la compilation che celebra i tredici anni di attività della label portoghese Ethereal Sound Works, nel cui roster sono comprese band lusitane dedite ai generi più disparati, ma tutte accomunate da una notevole qualità di fondo e da altrettanta verve creativa.

Sono ben 19 i brani contenuti in questa raccolta piuttosto esaustiva con la quale il buon Gonçalo esibisce i suoi gioielli, anche quelli più preziosi ma, purtroppo, non più attivi come i Vertigo Steps.
Così, in questo caleidoscopio di suoni ed umori, troviamo il metal con il death dei Rotem e il power/thrash degli Hourswill, il rock alternativo di Secret Symmetry, Painted Black, Dream Circus e Artic Fire, il punk di The Levities, Chapa Zero e Punk Sinatra, il dark di And The We Fall, Rainy Days Factory e My Deception, l’indie dei The Melancholic Youth Of Jesus, il folk dei Xicara , la sperimentazione pura dei Fadomorse e l’ ambient degli Under The Pipe e dei Soundscapism Inc., quest’ultimo fresco progetto di Bruno A., successivo allo split dei Vertigo Steps, qui rappresentati dalla splendida Silentground.
L’eclettismo è il vero marchio di fabbrica della ESW, grazie alla quale abbiamo la possibilità di constatare come in Portogallo si produca tanta musica di qualità, in più di un caso oggetto delle nostre recensioni (che possono essere lette nella sezione sottostante denominata articoli correlati).
Non ci sono solo i Moospell o il fado, quindi, a rappresentare il fatturato musicale lusitano, e questa compilation offre una ghiotta possibilità di farsi un’idea più precisa di quel movimento, portando alla luce diverse realtà oltremodo stimolanti.

Tracklist:
1.Secret Symmetry – Disarray And Silver Skies
2.Vertigo Steps – Silentground
3.Painted Black – Quarto Vazio
4.Hourswill – Atrocity Throne
5.My Deception – Daylight Deception
6.Dream Circus – Ticking
7.Rotem – The Pain
8.The Levities – Split Lip
9.Chapa Zero – Vai Lá Vai
10.Punk Sinatra – Nunca Há Paciência
11.Under The Pipe – No Need Words
12.Artic Fire – Running
13.The Melancholic Youth Of Jesus – Insensivity
14.And Then We Fall – Ancient Ruins
15.Rainy Days Factory – Deep Dive
16.Fadomorse – Deicídio
17.Xícara – Cantiga (Deixa-te Estar na Minha Vida)
18.Dark Wings Syndrome – In My Crystal Cage (2015)
19.Soundscapism Inc. – Planetary Dirt

ETHEREAL SOUND WORKS – Facebook

Subliminal Crusher – Darketype

Darketype ci consegna una band che non ha nulla da invidiare ai gruppi d’oltreconfine, manifesto della qualità altissima raggiunta dalla nostra scena estrema.

Tornano a distanza di tre anni dal precedente Newmanity i Subliminal Crusher, band da considerarsi storica nel panorama estremo nazionale visto gli ormai quattordici anni di attività.

Il gruppo infatti è dal 2002 che sale sui palchi con il suo devastante sound, in compagnia di nomi altisonanti del mondo estremo come Entombed, The Haunted, Darkane e Sadus, portandosi dietro una discografia arrivata al quarto full length, dopo Antithesis, primo lavoro del 2005, E(nd)volution del 2008 e, appunto, Newmanity.
Il gruppo umbro anche questa volta non tradisce le attese e colpisce nel segno con terribile violenza, Darketype è un lavoro che, come da tradizione, annovera nel proprio sound death metal melodico e thrash, in un susseguirsi di songs dall’impatto devastante ma molto curate sotto l’aspetto melodico, specialmente nel gran lavoro delle due asce (Marco Benedetti e Lorenzo Lucchini) che inanellano una serie di solos dal forte sapore classico (The Jester Who Rules The World e la straripante No Future For Your Head), sulle ritmiche infernali provenienti dal basso di Jerico Biagiotti e dal quel mostro di bravura alle pelli che risulta Rawdeath, un vero spettacolo pirotecnico il suo drumming.
Sopra a questo ben di dio estremo, il growl rabbioso di Emiliano Liti fa il resto e Darketype deflagra fin dalle prime note di Violence, seguita da Archetype e andando a formare un duetto iniziale letteralmente fulminante.
Musica estrema, violenta, sparata a velocità della luce, o marmorea nel suo incedere cadenzato (grandiosa Eternal And Hollow), compone questo album a tratti entusiasmante, il death metal melodico di estrazione scandinava viene irrobustito a dovere da elementi thrash, i solos non risultano mai banali, non mancano aggressive cavalcate metalliche e violentissime sfuriate (Vermin’s Choirs) il tutto suonato in modo esemplare.
Dopo tanto core, ormai insinuatosi nel sound di molti gruppi estremi, finalmente un vero esempio di death metal melodico come i maestri scandinavi insegnano, Darketype ci consegna una band che non ha nulla da invidiare ai gruppi d’oltreconfine, manifesto della qualità altissima raggiunta dalla nostra scena estrema.

TRACKLIST
01.Violence
02.Archetype
03….And Then the Darkness Came
04.Ashes of Mankind
05.Condemned to Exile
06.The Jester Who Rules the World
07.Eternal and Hollow
08.Vermin’s Choirs
09.No Future for Your Head
10.Obscure Path

LINE-UP
Jerico Biagiotti – Bass
Rawdeath – Drums
Marco Benedetti – Guitars
Lorenzo Lucchini – Guitars
Emiliano Liti – Vocals

SUBLIMINAL CRUSHER – Facebook

III Omen – Ae. Thy. Rift

One man band di black metal differente e avanti anni luce nella composizione rispetto a tante altre realtà analoghe.

One man band di black metal differente e avanti anni luce nella composizione rispetto a tante altre realtà analoghe.
Terzo disco sulla lunga distanza per l’enigmatico IV, factotum della band, ottimo conoscitore e fautore di black metal, soprattutto quello atmospheric e classico.

La particolarità è anche strumentale poiché ci sono due bassi, uno pulito e l’altro distorto, seguiti da percussioni molto classiche ed una distorsione abbastanza contenuta della chitarra. Non ci sono i titoli delle canzoni, che sono individuabili solo per i numeri di successione. Questo perché ogni singola traccia fa parte di un’opera complessiva più grande. Il tutto non è classico black metal, poiché è ben più lento, di stampo doom, ma lo inequivocabilmente nella struttura e nell’atto.
Questo disco può essere inteso come una grande cerimonia black, un rito fortemente pagano e proteso verso la morte.

TRACKLIST
I. Æ.Thy.Rift
2.II. Æ.Thy.Rift
3.III. Æ.Thy.Rift
4.IV. Æ.Thy.Rift

LINE-UP
IV – Everything.

III OMEN – Facebook

Rimfrost – Rimfrost

Un disco black metal ben prodotto, oscuro ed epico, vario nell’alternare furia black, accelerazioni, potenza thrash ed atmosfere dark

Gli svedesi Rimfrost non sono certo una band di primo pelo, visto che l’anno di inizio attività è il 2002 e con questo lavoro sono arrivati al terzo full length dopo A Frozen World Unknown datato 2006 e Veraldar Nagli del 2009.

Sono passati sette anni ed il trio licenzia finalmente un nuovo album omonimo, sotto l’ala della Non Serviam Records e, vista l’alta qualità della proposta, lo scorrere del tempo non è passato invano.
Un disco black metal ben prodotto, oscuro ed epico, vario nell’alternare furia black, accelerazioni, potenza thrash ed atmosfere dark, così da risultare un’opera completa sotto tutti i punti di vista.
Un approccio vicino agli Immortal era At the Heart of Winter, ma molto più progressivo (se mi si concede il termine), maturo, apparentemente leggero per i canoni del true black metal, ma solo all’apparenza, perché gli otto brani prodotti hanno in sé, ben tatuato, il male sotto forma musicale.
Suonato molto bene, l’album parte alla grande con As The Silver Curtain Closes, otto minuti di devastante black metal epico, ricco di cambi di ritmo ed atmosfere, mentre Saga North risulta più in linea con le produzioni classiche del genere.
Ottimo lo scream di Hravn, molto bravo pure con la sei corde, a tratti molto vicino al death metal melodico e prezioso il lavoro della sezione ritmica, ad opera dei due demoni Throllv alle pelli e B.C al basso.
La seconda parte dell’opera è composta da quattro piccoli capolavori di metal estremo epico oscuro e melodico, la gelida Ragnarök, una tempesta di freddo vento del nord, la corale Cold, la drammatica teatralità di Witches Hammer, arricchita da un tappeto di tastiere molto suggestivo e la conclusiva Frostlaid Skies, lunghissima suite estrema, un mid tempo che si trasforma in una cavalcata evil colma di cambi di tempo, cattiva e maligna, suggestiva ed epica, insomma, una degna conclusione per un lavoro veramente bello.
Consigliato a tutti gli amanti del black metal scandinavo, Rimfrost è un album che potrebbe stregare molti fans che fino ad ora hanno snobbato il genere, proprio per il suo innato appeal metal epico; una band da seguire e un album senza dubbi da far vostro il prima possibile.

TRACKLIST
1. As The Silver Curtain Closes
2. Saga North
3. Beyond The Mountains Of Rime
4. Dark Prophecies
5. Ragnarök
6. Cold
7. Witches Hammer
8. Frostlaid Skies

LINE-UP
Hravn – Vocals / Guitar
Throllv – Drums
B.C – Bass

RIMFROST – Facebook

Tombstalker – Black Crusades

Incandescente miscela di death, thrash e groove metal, un po’ di Bolt Thrower e tanta violenza.

Incandescente miscela di death, thrash e groove metal, un po’ di Bolt Thrower e tanta violenza.

Dal Kentucky arriva l’esordio discografico di questa bestia che prende le mosse dai grandi del metal e soprattutto da quella grande epopea metal che fu la scena svedese degli anni novanta. L’incedere è da grande gruppo, si sente che di musica ne masticano molta e riescono e rielaborare ottimamente il tutto. Ci sono moltissime cose qui dentro, l’album è un attacco frontale che piacerà a moltissimi metallari di diversa estrazione. I Tombstalker fanno un album estremamente divertente che mette un certo metal al centro del discorso senza pose o atteggiamenti, ma solo tanta sostanza e violenza. Guerra Metal.

TRACKLIST
1.Forlorn Recollections
2.Chaos Undivided
3.Blood Thirster
4.Fate Weaver
5.Black Crusades
6.Soul Eater
7.Plague Father
8.Chaos Enthroned

LINE-UP
Conqueror Horus – howls and bellows of torment, soul shred.
Defiler – low frequency warfare, subliminal propaganda.
Basilisk – relentless blitzkrieg.

TOMBSTALKER – Facebook

Throwers – Loss

Con un impatto devastante diluito in pause strumentali più rallentate, il primo albume dei tedeschi Throwers risulta accessibile. Loss si presenta infatti dissonante, estremo ma non troppo ripetitivo, chiassoso ma vario. Di sicuro non è l’album rivoluzionario, ma è un bel prodotto per gli amanti del genere.

Forse l’album dalla copertina più fuorviante che mi sia mai capitato. Non conoscevo i Throwers e la foto di un signore anziano con occhialini e barba lunga, intento a qualche lavoro manuale (ha qualcosa tra le mani) su uno sfondo colore rosa mi faceva pensare a una band di folk rock.

Il retro della copertina cartonata con la scritta che suggerisce di ascoltare l’album al volume più alto possibile per poter apprezzare al meglio il suono della band e l’analisi più attenta della foto dell’uomo che in mano ha un teschio, mi fa capire che sono fuori strada.
Ma sono ugualmente a mio agio. Loss è il primo album sulla lunga distanza dei tedeschi Throwers, che si presentano con un hardcore violento e sporco, bello solido e compatto, mescolato con sfumature post harcore, ma solo dal punto di vista strumentale. La voce di Alex infatti non molla mai la cattiveria e l’aggressività.
Nonostante il disco sia piuttosto brutale, l’ottima registrazione permette di apprezzarne i vari strumenti, che non risultano un muro di suono caotico, ma qualcosa di bene progettato.
Velocità e tecnica sono proprietà di questo album, che ha la caratteristica di essere composto da un ritmo di fondo ben riconoscibile a cui si sovrappongono più in superficie diversi elementi variabili: a tratti sembra di ascoltare del black metal, a tratti del post metal mescolato con del punk.
Azzeccata anche la scelta di inserire momenti tranquilli nella struttura delle diverse canzoni, perché permette di arrivare in fondo alla mezzora abbondante dell’album senza essere stravolti. E l’impatto, seppur devastante, viene diluito. Accessibile come era già capitato per altre band precedenti e alle quali probabilmente si inspirano (Botch, Knut, Converge per citarne alcune), Loss si presenta dissonante, estremo ma non troppo ripetitivo, chiassoso ma vario. Di sicuro non è l’album rivoluzionario ma è un bel prodotto per gli amanti del genere.

TRACKLIST
1. Singularity
2. Der Makel
3. Karg
4. Homecoming
5. Unarmed
6. Assigning
7. Nevermore

LINE-UP
Jonas – Bass
Gabriel – Drums
Kay – Guitar
Alex – Vocals

THROWERS – Facebook

Systemhouse33 – Regression

Se siete amanti dei suoni moderni e dalle reminiscenze core, Regression vi stupirà per impatto, attitudine e violenza.

Vi avevamo già parlato dei Systemhouse33 in occasione dell’uscita, un paio di anni fa, del primo full length, Depths Of Despair, quindi la band torna sulle pagine metalliche della nostra ‘zine con il nuovo lavoro, Regression.

Il gruppo di Mumbai, sempre molto attento alle vicende politico sociali del suo paese, riprende il discorso interrotto con il primo album, ma questa volta con molta più convinzione.
Il sound di questo nuovo lavoro vira leggermente in territori più core rispetto al precedente, quindi meno ritmiche panterizzate e tanto groove moderno, oltremodo devastante e compatto come il granito.
Solo mezz’ora scarsa la durata, ma tanto basta per colpire nel segno con questo violento e monolitico esempio di metal estremo, composto da accelerazioni thrash e metalcore colmo di groove, a tratti marziale e potentissimo.
La band nel frattempo ha avuto qualche piccolo ritocco di line up, risultando ora un terzetto composto dai membri storici Leon Quadros al basso ed il vocalist Samron Jude, con il nuovo entrato Atish Thomas alle prese con la sei corde e le pelli.
E Regression non delude, così, dopo un’intro marziale e molto coinvolgente parte in quarta, come un treno senza freni con l’ottima title track, velocità e potenza si alternano al comando del sound mentre Jude si dimostra un vocalist dall’impatto disumano: il suo canto estremo coinvolge, come se tutti i mali del mondo convogliassero nella sua gola e Lift This Plague continua imperterrita a disegnare questo manifesto di metal estremo moderno e senza compromessi.
Enorme il lavoro delle sei corde, che ci travolgono con riff monolitici e solos lancinanti.
Denuncia, rabbia, disperazione, difficile trovare in band del genere, anche più famose, emozioni così reali come sanno trasmettere i Systemhouse33, con Namesake (la più thrash del lotto) ed il muro sonoro alzato da Death Chamber a salire sul podio delle migliori song del disco, in un’escalation di violenza e disperazione sorprendente.
Per chi ancora non si è avvicinato al metal suonato nel lontano paese asiatico, ed alla band in questione, siamo molto vicini al sound dei vari Lamb Of God, Meshuggah e personalmente, ai già citati in occasione della recensione sul primo lavoro, Skinlab.
Se siete amanti dei suoni moderni e dalle reminiscenze core, Regression vi stupirà per impatto, attitudine e violenza.

TRACKLIST
1.Catharsis
2.Regression
3.Lift This Plague
4.Namesake
5.Death Chamber
6.Detestable Idolatry
7.Pagan Breed
8.Malicious Mind

LINE-UP
Leon Quadros – Bass
Samron Jude – Vocals
Atish Thomas – Drums, Guitars

SYSTEMHOUSE 33 – Facebook

Hordak – Padre

Gli Hordak non fanno un pagan metal canonico ma lo arricchiscono di sfumature che solo i grandi gruppi sanno e possono dare.

Gli Hordak, spagnoli, fanno un pagan metal fuori dagli schemi, potente e davvero penetrante; attivi dal 2005, arrivano al loro migliore album, questo Padre che chiude il cerchio e dovrebbe dar loro buona visibilità nella scena.

Il loro è un suono dal grande passo epico, tra pagan e folk, narrando storie e vita del popolo Celtiberico, ancora misconosciuto ai più. Come si diceva sopra, gli Hordak non fanno un pagan metal canonico ma lo arricchiscono di sfumature che solo i grandi gruppi sanno e possono dare. L’impatto sonoro è notevole, quanto l’impalcatura delle canzoni e la loro notevole carica e forza. L’accurata ricerca sul mondo pagano va di pari passo con una costruzione musicale affatto scontata ed un’ottima produzione che rende al meglio i suoni. Vi sono anche ottime collaborazioni nel disco, come Forefather, Folkearth e Crystal Moors. Il risultato è notevole, forte e duraturo.

TRACKLIST
1.Ekleipsis – Devourer of gods
2.Bloodline of the wolves
3.Soaring
4.Sol sistere
5.Thrive
6.Sol
7.A leader in times of war
8.Father sun – Father dragon
9.Aequus nox
10.Padre

LINE-UP
Autumn War – Vocals, Guitars
J. Sierra – Drums
Winter War – Guitars – studio –
A. Mansilla – Guitars
L. Mansilla – Bass

HORDAK – Facebook

Battle X – Imminent Downfall

Un lavoro di una bellezza metallica che commuove, esplosivo e dirompente ma anche intimista, drammaticamente melodico, fiero nel portare questa raccolta di note nell’olimpo del genere

Rigorosamente autoprodotto, come già l’ep di debutto datato 2010, Imminent Downfall è un album di metallo old school come attitudine, d’altronde i brani presenti richiamano a gran voce i Metallica del black album (The Hierophant), i Testament più melodici, accompagnati poi con elementi che portano ancora più indietro negli anni e alla New Wave Of British Heavy metal, il tutto suonato e prodotto talmente bene che potrebbe essere tranquillamente un album pubblicato da una grossa label.

I Battle X sono un quartetto, hanno in Jaka Črešnar non solo il chitarrista ritmico ma un cantante eccellente, perfetto ed emozionale, non solo un urlatore rabbioso ma monocorde, come tanti suoi colleghi, bensì interprete del sound altamente metallico del gruppo.
Blaž Lorenčič al basso e Simeon Garkov alle pelli formano una sezione ritmica precisa e potente, mentre la chitarra solista di Filip Gornik valorizza con bellissimi passaggi questo entusiasmante lavoro.
Perché di questo si tratta, un lavoro di una bellezza metallica che commuove, esplosivo e dirompente ma anche intimista, drammaticamente melodico, fiero nel portare questa raccolta di note nell’olimpo del genere, anche se magari rimarrà ad esclusiva di pochi fortunati che godranno di tanta qualità.
I Battle X hanno scritto una delle pagine più belle del genere degli ultimi tempi, e brani straordinariamente efficaci come l’opener Break Your Bones, la seguente e devastante Raise Hell, il capolavoro The Hierophant, la potentissima Whispers In The Sand e la conclusiva title track sconvolgeranno i thrashers che non vogliono fermarsi alle apparenze o al paese di provenienza.
Noi siamo Iyezine e non abbiamo paura di dare a Cesare quel che è di Cesare, anche se non c’è dietro una label di riferimento da blandire: per Imminent Downfall c’è solo da spellarsi le mani in scroscianti applausi.

TRACKLIST
1. Break Your Bones
2. Raise Hell
3. Final Confrontation
4. Face to Face
5. Dignity
6. The Hierophant
7. Whispers in the Sand
8. Circus of Trust
9. The Ascent
10. Imminent Downfall

LINE-UP
Blaž Lorenčič – Bass
Simeon Garkov – Drums
Filip Gornik – Guitars (lead)
Jaka Črešnar – Vocals, Guitar (Rhythm)

BATTLE X – Facebook

Tusmørke – Fort Bak Lyset

Tutto è magnifico in questo disco.

Capolavoro tra prog e folk, per questi giganti norvegesi.

Disco davvero illuminante e bellissimo per questi bardi nordici che musicano le storie del folclore della zona di Oslo, soprattutto delle storie che trattano della morte e dei mondi dentro e fuori di noi. Tutto è magnifico in questo disco, innanzitutto un senso pervasivo e fantastico di grande prog, con composizioni curatissime in tutti i dettagli, mai noiose e con un sottobosco folk quasi metal. Tute le canzoni sono suonate e cantate come se fossero favole autosufficienti, che ci conducono nottetempo per stagni, fiumi e tronchi che nascondono altre vite ed altre storie. I Tusmørke hanno imparato moltissimo dalla psichedelia settantiana anatolica, ma hanno rielaborato personalmente il tutto dando vita ad una fantastica miscela. Fort Bak Lyset significa andare dietro alla luce, e la luce dei Tusmørke si fa seguire più che volentieri. Un lavoro straordinario, di un’atmosfera incredibile, dove tutto è bellissimo, e nel quale si può praticare un vero escapismo, cercandovi e trovandovi rifugio dalla pazzia del nostro mondo. In alcuni punti possiamo addirittura sentire odore di funky psichedelico, amazing.
Ennesimo ottimo disco norvegese non black metal, conferma che la Norvegia è una ricchissima terra musicale.

TRACKLIST
1. Ekebergkongen
2. Et Djevelsk Mareritt
3. De Reiser Fra Oss
4. Fort Bak Lyset
5. Spurvehauken
6. Nordmarka
7. Vinterblot

LINE-UP
Benediktator
Krizla
HlewagastiR
The phenomenon Marxo Solinas.
DreymimaðR.

TUSMØRKE – Facebook

Maieutiste – Maïeutiste

Questo album autointitolato non è certo di fruizione immediata ma, in ossequio al proprio concept, stimola la mente dell’ascoltatore, costretto ad assecondare le curve sonore che i Maieutiste inducono a percorrere.

Questo disco fa parte di una serie di lavori, degni d’essere rivangati, pubblicati lo scorso anno dalla piccola ma qualitativa label francese Les Acteurs de l’Ombre Productions, dal roster ancora ristretto e prevalentemente autoctono ma fatto di band poco convenzionali, come da recente tradizione transalpina.

I Maieutiste sono al full length d’esordio, anche se la loro storia è quasi decennale e, come il monicker fa presagire, sono le tematiche filosofiche a trovarsi al centro delle liriche.
Con tali premesse (incluso un artwork a mio avviso magnifico) attendersi una proposta musicale ben poco schematica è più che lecito, e cosi è: infatti, la band di Saint Etienne riempie quasi per intero lo spazio disponibile in un cd con un black doom sperimentale, ricco di ottimi spunti ed altrettanti momenti di non facile decrittazione.
Questo album autointitolato non è certo di fruizione immediata ma, in ossequio al proprio concept, stimola la mente dell’ascoltatore, costretto ad assecondare le curve sonore che i Maieutiste inducono a percorrere. Ogni tanto i nostri decidono di andare diritti al punto (Reflect / Disappear), anche se la strumentale Purgatoire arriva subito dopo a ricordare che non tutto è così come sembra … e ciò non si rivela affatto un male. Non va dimenticato neppure che la genesi dei diversi brani è piuttosto variegata, essendo frutto di un lavoro che si protrae da anni e lo testimonia il fatto che, opportunamente, sono stati fatti confluire nel full-length spunti già editi nel demo Socratic Black Metal, datato 2007.
Detto, infine, che un gran brano come Death To Free Thinkers si pone a tutti gli effetti come l’emblema dell’intero album, non si può fare a meno di notare che i Maieutiste talvolta abusano delle loro capacità, grazie alle quali esaltano senza dubbio le varie sfaccettature del loro sound ma finiscono per smarrire, a tratti, l’idea della forma canzone a favore di divagazioni che rendono l’ascolto frammentario e questo, piaccia o meno, costituisce pregio e difetto di tale fattispecie di lavori.
I Maieutiste comunque, rispetto ad altre realtà dall’animo avanguardistico, danno la sensazione di tenere maggiormente sotto controllo gli impulsi sperimentali anche se la quantità di carne messa al fuoco, alla lunga, fa rischiare l’indigestione; sicuramente in futuro una maggiore sintesi non potrà che giovare alla loro causa.

Tracklist:
1. Introductions…
2. …in the Mirror…
3. Reflect / Disappear
4. Purgatoire
5. The Fall
6. Absolution
7. The Eye of Maieutic Art
8. Lifeless Visions
9. Death to Free Thinkers
10. Annonciation
11. Death to Socrates

Line-up:
JF – Drums
Keithan – Guitars
Eheuje – Vocals
Grey – Guitars
Krameunière – Bass
Жертва – Guitars, Vocals

MAIEUTISTE – Facebook

Strangulate – Catacombs Of Decay

Un buon lavoro, da ascoltare a tutto volume quando si ha bisogno di scaricare la rabbia che la vita di tutti i giorni ci fa accumulare dentro

Si torna a parlare della scena asiatica, per la precisione quella estrema indiana, con i death metallers Strangulate, duo di Kolkata ora alle prese con la distruzione sonora di Calcutta a colpi di metal estremo feroce e molto vicino al brutal.

Una carneficina, questo Catacombs Of Deacy, opera estrema che non potrà che far nascere un sorriso sadico sulle labbra degli appassionati del metal estremo tutto velocità e dal concept splatter/gore.
Death metal old school e brutal death, insieme in questa mezzora di aggressività fuori dal comune, messa in campo da questi sadici musicisti indiani, che, in questo debutto, mettono tutta la loro passione per il genere, con la dovuta attitudine, le proprie influenze e un impatto terrificante.
E come un bel film horror, le songs si susseguono in tutto il loro delirio, come il serial killer di turno si accanisce sulle sue malcapitate vittime, la band sfodera otto brani che inneggiano al massacro psichico corporale, senza soluzione di continuità e pietà.
Veloce, violento e senza fronzoli, Catacombs Of Deacy convince, le ritmiche corrono veloci e i pochi rallentamenti assumono una pesantezza enorme, il growl vomita sul cadavere, ormai tagliato a pezzi tutto il propio odio, infierendo sulle povere carni con la lama tagliente, mentre Barbaric Decadence, Dungeons of Despair, Humanity’s End e Blood And Bones, fungono da colonna sonora a cotanta allucinante barbarie.
Un buon lavoro, da ascoltare a tutto volume quando si ha bisogno di scaricare la rabbia che la vita di tutti i giorni ci fa accumulare dentro, lasciando per poco tempo il nostro buon senso per un approccio bestiale, istintivo, animalesco.
Cannibal Corpse, Suffocation e Autopsy sono i padrini di questo lavoro, per gli amanti del genere, dunque, un album da non trascurare.

TRACKLIST
1.Barbaric Decadence
2.Primordial Execution
3.Dungeons of Despair
4.Misogynistic Horror
5.Orchestrated Massacre
6.Humanity’s End
7.Blood and Bones
8.Catacombs of Decay

LINE-UP
Subhasish-Vocals
Denzil Davidson-Guitars

STRANGULATE – Facebook

Moth’s Circle Flight – My Entropy

Tante idee sul piatto per non risultare la solita proposta da un ascolto e via, un modo intelligente di suonare metal moderno, creando con il supporto delle proprie influenze un sound personale, queste sono le caratteristiche principali dell’album in questione.

Che il metal moderno dai suoni groove e metalcore in questo periodo sia oltremodo inflazionato, non è una novità.

Le band proposte dalle label di tutto il mondo, come nuove new sensation del genere, sono centinaia, molte non vanno più in là del compitino, risultando solo coppie sbiadite dei gruppi più famosi, altre invece riescono con personalità, impatto e buone idee ad uscire dal semplice anonimato, regalando piccole fialette di nitroglicerina metallica, che esplodono quando l’inconsapevole ascoltatore schiaccia il fatidico tasto play.
I parmensi Moth’s Circle Flight sono una di queste realtà, ed il loro nuovo lavoro è una mazzata terribile di metal moderno, colmo di groove, dai rimandi core e thrash.
Una lunga gavetta durata tredici anni ed un primo album stampato nel 2013 (Born To Burn), ma soprattutto, tanti concerti in giro per il suolo italico, a far da spalla a gruppi come Sepultura, Extrema ed Exilia, sono serviti non poco, facendo crescere il sestetto in esperienza e convinzione, così che la band ha convogliato tutto l’impatto possibile in questo ottimo My Enthropy, devastante lavoro, uscito per la logic(il)logic Records.
L’uso della doppia voce, lasciata a due diversi interpreti (Gabriele “Gabbo” Rosi e Simone “Pancio” Panciroli ), a mio parere scelta perfetta per avere il massimo della qualità al microfono, una sezione ritmica debordante (Marco “Satir” Reggiani al basso e Bass Fabio “Bersa” Bersani alle pelli), chitarre affilate, che fanno sgorgare riff pesanti come macigni e solos dal’ottimo appeal (Luca “Pellach” Alzapiedi e Francesco “Baldo” Baldi) ed un songwriting vario come non si trova spesso in realtà del genere, elevano My Entropy a sorpresa di questa prima metà dell’anno nei suoni di derivazione moderna.
I Moth’s Circle Flight, non si accontentano di suonare aggressivo e pesante, tra i solchi dei brani che compongono il cd, con la giusta attenzione scoprirete molte anime diverse, tutte protagoniste degli ultimi vent’anni di musica dura e che insieme formano il sound del gruppo nostrano.
My Entropy diverte, ogni brano ha un qualcosa di diverso, un’atmosfera, un riff, un chorus che portano a pensare a molti gruppi diversi tra loro, pur risultando un album durissimo, aggressivo e monolitico.
E’ cosi che, all’ascolto delle varie Man On The Peak, Raise Your Head, An Old Chant e Bursting Into Existence, vi troverete a confrontarvi con il thrash moderno dei Soulfly, i ritmi industrialoidi e qualche chorus dei Fear Factory, ma anche riff di scuola Soil, ed un mood alternative che arrancando, si fa spazio tra i potenti suoni metallici di cui My Entropy si nutre.
Tante idee sul piatto per non risultare la solita proposta da un ascolto e via, un modo intelligente di suonare metal moderno, creando con il supporto delle proprie influenze un sound personale, queste sono le caratteristiche principali dell’album in questione.
Amanti del genere non lasciatevi sfuggire questo album, sarebbe un peccato mortale.

TRACKLIST
01. Man On The Peak
02. Ends Of A Shadow
03. Raise Your Head
04. Late Promises
05. An Old Chant
06. Write My Name
07. With Love, With Flames
08. Bursting Into Existence
09. Madball
10. Ray Of Ira

LINE-UP
Gabriele “Gabbo” Rosi – Vocals
Simone “Pancio” Panciroli – Vocals
Luca “Pellach” Alzapiedi – Lead Guitar
Francesco “Baldo” Baldi – Rhythm Guitar
Marco “Satir” Reggiani – Bass
Bass Fabio “Bersa” Bersani – Drums

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True Black Dawn – Come The Colorless Dawn

Come The Colorless Dawn potrebbe suonare come il giusto seguito al primo disco, ed in una certa misura, lo è ma è anche molto di più, essendo soprattutto un gran disco di black metal

Tornano dopo uno hiatus di 15 anni i black metallers True Black Dawn, suono cattivissimo e storia tormentata.

Il loro debutto sulla lunga distanza del 1993 War Against Christians era stato uno dei demo più notevoli della scena finlandese, diventando immediatamente un classico del genere. Durante quegli anni il gruppo si chiamava Black Dawn, poi dovettero cambiare il nome in True Black Dawn, poiché un gruppo americano omonimo aveva minacciato una causa legale. Nel 2001 tornano con Blood For Satan, ottimo disco che li porta nuovamente alla ribalta ed in misura ancora maggiore rispetto al passato. Dopo questo disco, la totale scomparsa, niente fino ad un’esibizione nella loro Helsinki, al Black Flames of Balsphemy Festival nel 2014, ed il primo show all’estero in Olanda. E poi questo disco, che arde della fiamma del black metal originale, caotico, minimale eppure estremamente significativo, carico e distorto. Questo disco è un gran ritorno ed una ferma dimostrazione di quale posto spetta ai True Black Dawn. Lo spirito originale del black metal è qui migliorato, meditato e risputato fuori con violenza immutata, ma con molte migliorie rispetto al passato. I True Black Dawn hanno avuto un’evoluzione diversa, più lenta e più simile al whisky che al vino, ma sono arrivati ad un risultato sicuro e potente, Come The Colorless Dawn potrebbe suonare come il giusto seguito al primo disco, ed in una certa misura, lo è ma è anche molto di più, essendo soprattutto un gran disco di black metal, come pochi attualmente. Ottimo ritorno.

TRACKLIST
01. Intro
02. Come The Colorless Dawn
03. The Light Goes Out
04. Cinereous
05. The Ring – Pass -Not
06. Downward The Serpent Spiral
07. Strange Shaded Sky
08. The Sectile Shadow
09. Eyes Of The Cadaver
10. Into The Tomb Of Her Mirror
11. Outro

LINE-UP
Wrath – scream queen.
Syphon – guitar.
TG – guitar.
Cult – bass.
VnoM – drums.

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The Vision Bleak – The Kindred of the Sunset

Con queste premesse il prossimo full length, previsto in uscita all’inizio di giugno, dovrebbe mantenere le attese e gli standard ai quali i The Vision Bleak ci hanno abituati fin dai loro primi passi

In attesa dell’uscita del loro sesto lavoro su lunga distanza, che tiene puntualmente fede alla cadenza triennale assunta nell’ultimo decennio, i The Vision Bleak concedono un gustoso antipasto con questo Ep contenente quattro brani.

I primi due, The Kindred of the Sunset e The Whine of the Cemetery Hound, andranno a far parte del prossimo The Unknown e sono ovviamente quelli sui quali va focalizzata maggiormente l’attenzione.
La prima traccia, che dà anche il nome all’Ep, è il perfetto singolo dagli umori gotici e si palesa come una delle canzoni più catchy nonché azzeccate mai composte dalla coppia Schwadorf – Konstanz; la seconda mostra, invece, un lato più introspettivo e dalle forti venature doom, risultando meno immediato ma ugualmente convincente.
Esaurito il compito di introdurre il nuovo lavoro, il duo tedesco si diletta nel coverizzare la cult song The Sleeping Beauty dei Tiamat (tratta da Clouds), asservendola al proprio particolare stile senza però stravolgerla, mentre la breve Purification Afterglow è uno strumentale di matrice ambient atmosferica che chiude un Ep gradevolissimo.
Con queste premesse il prossimo full length, previsto in uscita all’inizio di giugno, dovrebbe mantenere le attese e gli standard ai quali i The Vision Bleak ci hanno abituati fin dai loro primi passi, senza magari dare alla luce capolavori epocali ma sciorinando una serie di album di elevato spessore medio e dal sound indubbiamente peculiare.

Tracklist:
1. The Kindred of the Sunset
2. The Whine of the Cemetery Hound
3. The Sleeping Beauty
4. Purification Afterglow

Line-up:
Konstanz – Vocals, Drums, Keyboards
Schwadorf – Vocals, Guitars, Bass, Keyboards

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