Eleventh Hour – Memory of a Lifetime Journey

Non rimane che fare i complimenti all’ennesima band sopra le righe, che si affaccia sulla scena con un album assolutamente da non perdere se siete amanti del metallo più nobile ed elegante.

Negli ultimi tempi la scena prog/power metal nazionale ha regalato grosse soddisfazioni agli amanti di queste sonorità, le opere di valore uscite a ripetizione sul mercato cominciano ad essere una piacevole abitudine ed il debutto degli Eleventh Hour non fa che confermare il momento d’oro della scena.

Capitanati dal chitarrista Aldo Turini e con al microfono Alessandro Del Vecchio (Hardline, Revolution Saints, Edge Of Forever) il gruppo debutta con la benedizione della Bakerteam, con questo ennesimo ottimo esempio di prog/power metal dal titolo Memory of a Lifetime Journey, elegante e raffinato prodotto che non sfigura certo in compagnia delle spettacolari uscite di questi mesi.
La band alterna sapientemente ottimo metallo regale a splendide orchestrazioni, mai troppo bombastiche ma assolutamente eleganti, i tasti d’avorio ricamano di raffinate melodie le cavalcate metalliche che il gruppo non fa mancare, senza perdere un briciolo di nobiltà, così da consolidare la tradizione nazionale nel genere, pur avvicinandosi al metal nord europeo.
Le atmosfere hanno la massima importanza nel sound degli Eleventh Hour e l’album risulta un saliscendi tra l’elettrizzante metal dall’anima progressive e le bellissime parti dove il piano e la voce regalano momenti di musica drammaticamente suadente.
Ottima la prova del tastierista Alberto Sonzogni, che orchestra con maestria le parti più sinfoniche e sa far parlare il suo piano con delicate armonie sulle struggenti Back To You e Sleeping In My Dreams, cuore raffinato di questo lavoro.
Non mancano le fughe sui tasti d’avorio, specialmente nella seconda parte del lavoro, più sinfoniche rispetto alla partenza e più vicine al power metal( Long Road Home e Requiem For A Prison) dove gli Eleventh Hour lasciano le briglie del sound in un susseguirsi di esplosioni metalliche ed arrangiamenti sinfonici dal mood cinematografico.
La sezione ritmica cavalca il purosangue metallico spingendo oltremodo ( Black Jin al basso e Luca Mazzucconi alle pelli), mentre Turini mette ai ferri corti la sua chitarra, in un tripudio power metal progressivo di elevata qualità.
Detto di un Del Vecchio che conferma tutto il suo talento, non rimane che fare i complimenti all’ennesima band sopra le righe, che si affaccia sulla scena con un album assolutamente da non perdere se siete amanti del metallo più nobile ed elegante.
Il 2016 inizia col botto, opere come Memory of a Lifetime Journey ed il superbo Storm del progetto Odyssea (dove appare come ospite il buon Del Vecchio), fanno sperare in un altro anno d’oro per il genere, noi non possiamo che ribadire il nostro supporto e apprezzamento.

TRACKLIST
1. Sunshine’s Not Too Far (Intro)
2. All I Left Behind
3. Jerusalem
4. Back To You
5. Sleeping In My Dreams
6. Long Road Home
7. Requiem From A Prison
8. Island In The Sun
9. After All We’ve Been Missing
10. Here Alone

LINE-UP
Alessandro Del Vecchio- Vocals
Aldo Turini-Guitars
Alberto Sonzogni-Keyboards
Black Jin-Electric and fretless Bass –
Luca Mazzucconi-Drums

ELEVENTH HOUR – Facebook

Lumen Oceani – Errabundus Eram Regno Tenebrarum

Errabundus Eram Regno Tenebrarum è un ottimo disco che, come detto, spinge all’estremo la componente liturgica del funeral senza apparire mai stucchevole, andando a toccare i tasti giusti dell’emotività con un sound più consolatorio che minaccioso

La costante ricerca di novità in campo funeral doom oggi ci porta a conoscere i Lumen Oceani.

Abbiamo già visto quanto un sottogenere, che già di per sé è assolutamente peculiare, possa mostrare a sua volta tante sfaccettature. Così, pure nella sua frangia più melodica, il sound può essere condotto da linee chitarristiche strappalacrime oppure da tastiere solenni e dai toni liturgici.
Proprio in quest’ultima sfumatura stilistica sono collocabili gli svedesi Lumen Oceani, band che come da copione non offre altri appigli descrittivi se non la propria musica, non essendo reperibile alcun accenno biografico sia su Facebook sia sul Bandcamp.
Poco male, come sempre, quando sono appunto le note ad occupare tutti gli spazi, riempiendo gli spazi di suoni lugubri e solenni e trasportando l’ascoltatore al’interno di un virtuale luogo sacro dove l’organo, parti corali e tutto ciò che è strettamente connesso alla ritualità ecclesiastica, ammantano l’aere con linee melodiche ineluttabilmente oscure.
Dei tre lunghi brani sono soprattutto il primo e l’ultimo a spiccare per qualità ed intensità: Die clamavi et nocte coram te prende avvio mostrando le profonde stimmate dei maestri Skepticism, e non può che esser un bell’incedere quello proposto dai Lumen Oceani, visto che l’altro influsso stilistico evidente sono gli Ea, specie quando nelle composizioni scema la solennità a favore della melodia.
Caratteristica, questa, che è appunto più evidente nella conclusiva Panis Vitae, altra traccia notevole a suggello della bellezza di un lavoro che nei suoi cinquanta minuti brilla un po’ meno solo in occasione del brano centrale Caverna, più cupo ma meno evocativo rispetto al resto.
Errabundus Eram Regno Tenebrarum è un ottimo disco che, come detto, spinge all’estremo la componente liturgica del funeral senza apparire mai stucchevole, andando a toccare i tasti giusti dell’emotività con un sound più consolatorio che minaccioso.

Tracklist
I. Die clamavi et nocte coram te
II. Caverna
III. Panis vitae

LUMEN OCEANI – Facebook

From The Vastland – Blackhearts

Quindici minuti di musica sono pochi, ma i tre brani si fanno apprezzare per l’ottima produzione, qualche buon inserto sinfonico ed un mood convincente.

I From The Vastland sono la creatura del polistrumentista Sina, musicista iraniano trapiantato in Norvegia, paese dal quale la sua musica trae ispirazione.

Siamo infatti nel black metal influenzato dalla scena scandinava, con tutti i cliché del genere, quindi sfuriate metalliche, ritmiche portate dal vento del nord, screaming feroce ed un’aura epica.
Blackhearts è l’ultimo lavoro in versione mini cd, composto da tre brani e vede come ospiti Vyl (Keep Of Kalessin, Gorgoroth) alle pelli e Tjalve (1349) al basso, ma scavando nell’antro infernale da dove proviene il buon Sina troviamo tre full length già licenziati tra il 2011 ed il 2014 (Darkness vs. Light, the Perpetual Battle, Kamarikan e Temple of Daevas).
Concettualmente il musicista trae ispirazione dalla cultura persiana e mesopotamica, perciò nessun demone tra i boschi norvegesi o anime perdute in castelli posseduti, mentre il sound molto deve alla scena black nord europea.
Quindici minuti di musica sono pochi, ma i tre brani si fanno apprezzare per l’ottima produzione, qualche buon inserto sinfonico ed un mood convincente.
L’atmosfera oscura e maligna fa il resto, così che Astoyad, la devastante title track e la più atmosferica Abakhtaran si fanno valere, complice l’ottima tecnica esecutiva di Sina.
Probabilmente siamo davanti al classico lavoro che funge da apripista al prossimo full length, e dall’ascolto di queste songs non possiamo che aspettare con interesse la prossima opera sulla lunga distanza.
Se non conoscete ancora questa one man band, Blackhearts è sicuramente un buon biglietto da visita.

TRACKLIST
1. Astoyhad
2. Blackhearts
3. Abakhtaran

LINE-UP
Sina – Composer, Guitars, Vocals
Vyl- Drums
Tjalve- Bass

FROM THE VASTLAND – Facebook

Septagon – Deadhead Syndicate

Deadhead Syndicate dimostra come il vecchio thrash abbia ancora molte frecce nel proprio arco

Debutto molto interessante per questa nuova band tedesca formata da ex membri dei Lanfear, con il supporto di Markus Becker dietro al microfono, ex vocalist dei Atlantean Kodex protagonisti di uno spumeggiante esempio di thrash metal old school, dalle impressionanti accelerazioni speed, ed una vena progressiva che rendono il loro album un gioiellino di metallo diviso tra potenza e melodia.

Appunto, le melodie sono il punto di forza di Deadhead Syndicate, mai banali, inserite con gusto in un contesto che rimane ad alta gradazione metallica, nobilitando il sound di questa raccolta di songs che alternano sfuriate speed/thrash ad ariose aperture, in un crescendo di scale, riff e solos che, a tratti entusiasmano.
Suonato molto bene, senza forzare la mano sulla mera tecnica, l’album si sviluppa in otto brani più intro, dove il gruppo sfoggia un’invidiabile songwriting, devoto all’US metal, che esce prepotentemente dai solchi di alcune songs dal tono drammatico, tanto caro aldilà dell’oceano, ricamando con esso il thrash metal progressivo, cuore pulsante dell’album.
Markus Becker ci mette del suo nella riuscita dei brani proposti, dotato di una voce splendida, interpreta i sali e scendi sulle montagne russe di Deadhead Syndicate, con grinta, e debordante personalità, mentre i suoi compari ( Markus Ullrich e Stef Binnig-Gollub alle chitarre, Alexander Palma al basso e Jürgen Schrank alle pelli) formano una banda di musicisti dal notevole spessore tecnico.
Tra le varie Revolt Against The Revolution, Ripper, la straordinaria Septagon Conspiracy e la iper tecnica title track, avrete modo di divertirvi, la band non fa nulla per nascondere le proprie influenze, d’altronde il genere è questo, prendere o lasciare, ma le assembla con perizia ed ottimo talento.
Exodus e Forbidden, metallo classico statunitense e accenni al thrash progressivo dei Mekong Delta, sono le ispirazioni maggiori per questa ottima band tedesca, che ruberà il cuore dei thrashers dai gusti raffinati, ma potrebbe piacere anche a chi non sbava per il metal dalla proibita velocità.
Deadhead Syndicate dimostra come il vecchio thrash abbia ancora molte frecce nel proprio arco, un genere che, suonato a questi livelli, non conosce ostacoli.

TRACKLIST
1. Ignite the Apocalypse
2. Revolt Against the Revolution
3. Exit…Gunfire
4. Ripper
5. Septagon Conspiracy
6. Henchman of Darkness
7. Deadhead Syndicate
8. Unwanted Company
9. Secret Silver Panorama Machine

LINE-UP
Markus Becker – vocals
Markus Ullrich – guitars
Stef Binnig-Gollub – guitars
Alexander Palma – bass

SEPTAGON – Facebook

Scolopendra Cingulata – Kuoltuu Kaikin Kohetah

Kuoltuu Kaikin Kohetah è un primo passo positivo e del tutto nella media ma, ovviamente, per riuscire ad emergere dalle più profonde lande ex sovietiche ci vuole un ulteriore e deciso salto di qualità.

Band proveniente dal Kazakistan ma trasferitasi sul suolo russo per incidere il primo Ep, gli Scolopendra Cingulata offrono un poker di brani sufficientemente interessanti.

Pur non sconvolgendo alcuna consuetudine infatti, il gruppo guidato dal vocalist e compositore SS si cimenta in maniera disinvolta con un black metal che si muove all’interno della tradizione, senza disdegnare però buone digressioni atmosferiche.
Meglio i primi due brani, più ispirati ed incisivi in virtù di buone linee melodiche ben rimarcate dal lavoro chitarristico , mentre la coppia successiva, puntando maggiormente su un impatto di matrice raw, risulta meno efficace.
Kuoltuu Kaikin Kohetah è un primo passo positivo e del tutto nella media ma, ovviamente, per riuscire ad emergere dalle più profonde lande ex sovietiche ci vuole un ulteriore e deciso salto di qualità.

Tracklist:
1. Помрут – Все Хорошими Станут
2. Ветер Войны
3. Шакалы
4. Меч Смерти Клеймор

Line-up:
SS – Vocals, Lyrics, Songwriting
Waah – Bass
Aske – Drums, Songwriting
Alatar – Guitars
Otis – Guitars
Hulluenkeli – Keyboards

SCOLOPENDRA CINGULATA – Facebook

Thrashfire – Vengeance Of Fire

Nuovo ep per i turchi Thrashfire, freschi di firma con la Xtreem music, che propongono una versione violenta e speed del thrash.

Tornano, dopo la firma con la Xtreem Music, i turchi Thrashfire con questo ep di sei brani composto da quattro inediti e da due tracce risalenti al primo demo, originariamente uscito nel 2007.

Il trio di Ankara, attivo da una decina d’anni, è al secondo mini cd, ed ha nel suo curriculum un full length datato 2011 (Thrash Burned the Hell) e la sua proposta risulta, come da ragione sociale, un speedo thrash violento e old school.
Vicino come proposta al genere di tradizione tedesca (Kreator, Sodom, Destruction), questo nuovo mini cd è un assalto senza compromessi, puro metallo ignorante e senza fronzoli, veloce, sguaiato e dalle ritmiche forsennate.
Voce cattivissima e cartavetrata e tanta attitudine old school che esce prepotentemente dai solchi delle varie Vengeance of Fire, Thrash Assassinations of Rotten Streets (violentissima) e Chainsaw Metal.
Da notare come, all’ascolto delle songs estratte dal demo, la proposta del gruppo non si sia spostata di una virgola, tanto da non credere di essere al cospetto di brani con più di dieci anni sul groppone.
Speed/thrash violentissimo, classico prodotto consigliato solo ai fans incalliti del genere, con un approccio da prendere o lasciare che non lascia dubbi sulle intenzioni del gruppo turco, suonare il più veloce e devastante possibile.

TRACKLIST
1. (Intro) Back to Ritual
2. Vengeance of Fire
3. Thrash Assassinations of Rotten Streets
4. Chainsaw Metal
5. Silent Torture (Demo) *
6. Kill the Fake God (Demo) *

LINE-UP
Okan Özden – Bass, Vocals (backing)
Oktay Fıstık – Drums
Burak Tavus – Guitars, Vocals

THRASHFIRE – Facebook

Sleepy Hollow – Tales Of Gods And Monsters

Il nuovo lavoro continua la tradizione musicale del gruppo statunitense, ottimo esempio di US metal old school amalgamato a sonorità classic doom, epico, fiero e declamatorio

Tornano i veterani Sleepy Hollow con questo nuovo album a distanza di quattro anni dal ritorno sulle scene del 2012 con Skull 13, lavoro che spezzava un silenzio lungo più di vent’anni dall’esordio omonimo datato 1991, interrotto solo da una compilation nel 2002.

Attiva dalla fine del decennio ottantiano la band del New Jersey, purtroppo poco prolifica, ha trovato in questi anni un minimo di costanza nelle proprie uscite e Tales Of Gods And Monsters, licenziato dalla Pure Steel, può così infiammare i true metallers dall’anima epic doom.
Il nuovo lavoro continua la tradizione musicale del gruppo statunitense, un ottimo esempio di US metal old school, amalgamato a sonorità classic doom, epico e declamatorio, fiero, drammatico e molto coinvolgente.
Una cinquantina di minuti persi nelle atmosfere epiche di brani, che dall’opener Black Horse Named Death non cedono un’oncia in tensione, pressanti nel loro andamento cadenzato, valorizzati da un’ottima prova del vocalist Chapel Stormcrow e da linee melodiche perfettamente incastonate nel sound nato nella vorace bocca di un vulcano in eruzione.
Le tastiere, specialmente nei primi brani, più orientati al metal classico, fungono da tappeto sonoro, su cui il gruppo costruisce il suo pesantissimo sound (Sons Of Osiris), mentre nella seconda parte, l’aria si fa ancora più pressante, i ritmi rallentano ed esce, pesante ed epico lo spirito doom del gruppo, valorizzato da songs tragiche e declamatorie che alzano non poco la qualità dell’opera.
On Blackened Seas, Baphomet e la conclusiva Shadowlands, sono perle di musica del destino dai rimandi classici, il gruppo è maestro nel far convivere US metal con il sound monolitico e pesante delle band doom europee come i Candlemass ed i Count Raven, ricamate dalle ottime melodie create dalla sei corde di Steve Stegg.
Animato da una sezione ritmica compatta e, a tratti, debordante (Rich Fuester al basso e Allan Smith alle pelli), Tales Of Gods And Monsters risulta un album riuscito in toto ed un ottimo ritorno per gli Sleepy Hollow, unauna band ritrovata per gli amanti del genere.

TRACKLIST
1. Black Horse Named Death
2. Sons Of Osiris
3. Alone In the Dark
4. Bound By Blood
5. Goddess Of Fire
6. On Blackened Seas
7. Baphomet
8. Creation Abomination
9. Shapeshifter
10. Time Traveller
11. Shadowlands

LINE-UP
Chapel Stormcrow – vocals
Rich Fuester – bass
Allan Smith – drums
Steve Stegg – guitars

SLEEPY HOLLOW – Facebook

Imber Luminis – Veiled

Ennesimo progetto del multiforme Déhà, Imber luminis è quello che per caratteristiche maggiormente si avvicina al depressive metal.

Ennesimo progetto del multiforme Déhà, Imber Luminis è quello che per caratteristiche maggiormente si avvicina al depressive metal.

Questo anche perché, in aggiunta a sonorità melodiche e mai spinte all’estremo, troviamo una prestazione vocale contraddistinta dallo screaming disperato tipico del genere, prestato per l’occasione da Daniel Neagoe, storico sodale del nostro,.
Il breve EP in questione consta di due brani in cui confluiscono diversi influssi che l’eclettico musicista belga riesce a modellare, come sempre, a suo piacimento e il risultato, manco a dirlo, è poco più di un quarto d’ora di splendida e dolorosa musica.
Se Veiled Part I, talvolta, appare una sorta di versione DSBM dei Cure di Disintegration, Veiled Part II va a lambire, a modo suo, il tipico andamento indolente dei Type 0 Negative di October Rust. In quest’ultima traccia l’urlo disperato trova, poi, un suo contraltare sia in un profondo growl, sia in suadenti clean vocals.
Déhà non finisce mai di sorprendere anche chi, come me, ne segue da tempo le diverse incarnazioni, e convince ancora una volte rifuggendo soluzioni arzigogolate, andando invece dritto al cuore dell’ascoltatore.
Non resta che ringraziarlo per questo supportandone l’intero operato con la massima convinzione.

Tracklist
1. Veiled – Part I
2. Veiled – Part II

Line-up:
Déhà – All instruments, Vocals
Daniel Neagoe – Vocals

IMBER LUMINIS – Facebook

Heart Attack – Heart Revolution

L’album piace al primo giro e sono convinto che gli Heart Attack si ritaglieranno il loro spazio nella scena melodica europea: farsi avvolgere dalle calde e ariose melodie dell’AOR male non fa, nemmeno a chi è abituato ad ascolti meno sdolcinati.

Dalla scena ellenica alla conquista del continente, per conquistare i cuori degli amanti del rock melodico e dalle atmosfere AOR.

Heart Revolution è il debutto degli Heart Attack, melodic rockers dal sound che guarda tanto alla scena americana degli anni ottanta quanto a quella del vecchio continente, non dimenticando la scuola neoclassica di matrice nord europea.
Fondata da due musicisti di provata esperienza della scena melodica del loro paese, come come George Drimilis (ex Raging Storm) e Nikos Michalakakos (Spitfire), la band conquista con questo confetto di dolcissimo hard rock, dalle ritmiche pulsanti e dai refrain catchy, dove non mancano riff grintosi, chorus da arena rock e tastiere che riempiono il suono di melodie ariose e dall’ottimo appeal.
Prodotto da Bob Katsionis (Firewind, Outloud), mixato e masterizzati nientemeno che da Tommy Hansen (Pretty Maids, Helloween, Rage) ai Jailhouse Studios in Danimarca, Heart Revolution (tralasciando la copertina invero bruttina e che non rende giustizia alla musica del gruppo) è un bell’esempio di hard rock melodico, dal songwriting ispirato, cantato alla grande da un Drimilis che fa strage di cuori metallici, aiutato nei cori dalla tastierista Lila Moka, brava con il suo strumento, ed energizzato da ottimi solos dell’axeman Stefanos Georgitsopoulos, elegante e raffinato, nonché grintoso il giusto quando la musica del gruppo si elettrizza per donare attimi dal piglio dinamico e coinvolgente.
Il disco può certamente essere diviso in due parti, la prima vede il gruppo cimentarsi in song dal taglio più melodico ed Aor, che arrivano al cuore dell’ascoltatore e lo ammalia con ariosi refrain e delicati ed eleganti chorus ( Falling Apart, Stalker, le strepitose Chine Blue e Tell Me), mentre nella seconda parte l’hard rock prende il sopravvento, la sei corde spara le sue cartucce e ne escono brani dal piglio più aggressivo come in Heart Attack e nell’inno Hellenic Forces, bonus track che vede la partecipazione di un folto gruppo di ospiti della scena, per un brano dal taglio neoclassico ed avvincente.
Le influenze sono evidenti e riscontrabili nei maestri del genere, su tutti gli Scorpions più melodici, Tyketto, Pretty Maids e personalmente ci aggiungerei i finlandesi Brothers Firetribe, progetto hard rock del chitarrista dei Nightwish Emppu Vuorinen.
L’album piace al primo giro e sono convinto che gli Heart Attack si ritaglieranno il loro spazio nella scena melodica europea: farsi avvolgere dalle calde e ariose melodie dell’AOR male non fa, nemmeno a chi è abituato ad ascolti meno sdolcinati.

TRACKLIST
01. Falling Apart
02. Under Your Spell
03. Stalker
04. Playing With Fire
05. China Blue
06. Living A Lie
07. Tell Me
08. (You’re A) Nightmare
09. Chase The Dream
10. Heart Attack
11. Hellenic Forces

LINE-UP
George Drimilis-Vocals
Steve G.-Guitars
Lila Moka-Keyboards/Backing vocals
Nikos Michalakakos-Bass
Jim K.-Drums

HEART ATTACK – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO
Gran bella sorpresa questa band greca, l’album piace al primo giro e sono convinto che si ritaglieranno il loro spazio nella scena melodica europea, farsi avvolgere dalle calde e ariose melodie dell’AOR male non fa, anche a chi è abituato ad ascolti meno sdolcinati, provare per credere.

Arcana 13 – Danza Macabra

Il disco è bello ed è composto e suonato molto bene, rendendo ottimamente atmosfere che gli appassionati dell’horror, specialmente italiano, amano particolarmente.

Ambizioso e riuscito tentativo di coniugare l’horror di Fulci ed Argento alla musica occulta degli anni settanta. Otto tracce ispirate da otto film diversi per portarci in uno spazio ed in un tempo diversi.

Gli Arcana 13 sono al debutto ma i componenti del gruppo sono dei capitani di lunga ventura, Simone Bertozzi ha suonato e scritto per i Mnemic, Andrea Burdisso è il cantante dei grandissimi Void Of Sleep, Filippo Petrini ha suonato con gli Stoned Machine e Luigi Tarone è un batterista da più di venti anni e si sente. Il suono degli Arcana 13 è molto piacevole e variegato, anche se si muove principalmente nell’ambito del rock anni settanta, lato doom in quota Pentagram e, ovviamente, con riferimenti sabbatiani. Questi musicisti sanno suonare, ma soprattutto hanno gusto e riescono nella difficile missione di musicare un certo immaginario horror, che negli ultimi anni è stato in parte dimenticato. Tutto funziona, a partire dalla copertina di Enzo Sciotti che ha dipinto locandine di Fulci, Argento e Bava, ovvero la triade ispiratrice degli Arcana 13.
Il disco è bello ed è composto e suonato molto bene, rendendo ottimamente atmosfere che gli appassionati dell’horror, specialmente italiano, amano particolarmente.

TRACKLIST
1. Dread Ritual
2. ArcaneXIII
3. Land of Revenge
4. Oblivion Mushroom
5. Suspiria (Goblin cover)
6. Blackmaster
7. The Holy Cult of Suicide
8. Hell Behind You

LINE-UP
S.Bertozzi – Vocals, Guitar
A.Burdisso – Vocals, Guitar
F.Petrini – Bass
L.Taroni – Drums

ARCANA XIII – Facebook

Anthrax – For All Kings

For All Kings si rivela un lavoro più che semplicemente riuscito, grazie ad ottime canzoni, soluzioni armoniche geniali ed ottime cavalcate ritmiche, serrate e dal mood punk come tradizione del gruppo americano.

Spreading the Disease, Among the Living, Persistence of Time, basterebbero questi tre album per spiegare l’importanza degli Anthrax, una dei gruppi fondamentali, non solo per lo sviluppo del thrash metal, ma di tutto il mondo metallico.

Il gruppo di Scott Ian torna in questo inizio 2016 con un nuovo lavoro, For All Kings, che segue di cinque anni l’altalenante Worship Music, confermando la ritrovata verve dei gruppi storici del metal mondiale, prima gli Iron Maiden, poi gli Slayer e, infine, i Megadeth.
Detto che l’ex Shadows Fall Jon Donais ha preso il posto alla sei corde del buon John Caggiano, passato nei danesi Volbeat, e che al microfono si conferma il ritorno di un Joey Belladonna a mio parere mai così convincente, l’album, è bene chiarirlo, deluderà i fans della prima ora, quelli ancorati al thrash metal old school dei gloriosi anni ottanta.
Bisogna dirlo perché la band, pur scaricando volumi spropositati di metallo incendiario, ha da parecchi anni allargato i suoi orizzonti musicali, lasciando che molte soluzioni moderne e hard rock, entrassero prepotentemente nel propio songwriting, già da quel capolavoro che fu Sound of White Noise, album del 1993 che vedeva al microfono l’ex Armored Saints John Bush.
Se si parte da questa importantissima considerazione, allora For All Kings si rivela un lavoro più che semplicemente riuscito, grazie ad ottime canzoni, soluzioni armoniche geniali ed ottime cavalcate ritmiche, serrate e dal mood punk come tradizione del gruppo americano.
Tanta melodia dunque, che si alterna a sfuriate ritmiche serrate, tenute con forza da musicisti dall’esperienza e dalla bravura nota a tutti, a tratti rese irresistibili da chorus di elevata qualità e violentate dal lavoro preciso della coppia d’asce Ian/Donais.
La band, sensibile da sempre alle vicende politiche e sociali, non si risparmia nel dire la sua sulle vicende parigine e sull’attentato a Charlie Hebdo in Evil Twin, mentre il thrash metal fa a spintoni con un approccio più moderno al genere trascinando l’ascoltatore nel mondo Anthrax,  mai come ora meno ancorato ai soliti cliché ed in fondo molto più maturo.
Blood Eagle Wings potrebbe fungere da sunto alla proposta odierna degli Anthrax, un thrash metal che varia e si rigenera tra velocità ed irruenza ed aperture melodiche più ampie; il groove che affiora nelle parti potenti e cadenzate, danno a For All Kings quell’impronta attuale che rende fresco il sound (Defend Avenge) e l’impressione di essere al cospetto di un gruppo attuale è più forte di quello che affiora davanti ad opere imbolsite di tanti loro colleghi sopravvissuti a trent’anni di storia metallica.
L’oscura epicità di All Of Them Thieves, la spettacolare This Battle Chose Us e lo speed metal sparato ed ironico di Zero Tolerance, che torna (questa sì) al sound di Persistence Of Time, chiudono il lavoro, che ha una coda nel riproporre una manciata di brani live, tra cui la storica Caught In A Mosh, mettendo la parola fine al ritorno di questa seminale band che non ne vuol sapere di andare in pensione, dispensando ancora, dopo tanti anni, buona musica metal.
Promossi? Direi proprio di sì, ampiamente.

TRACKLIST
01. You gotta believe
02. Monster at the end
03. For all kings
04. Breathing lightning
05. Suzerain
06. Evil twin
07. Blood eagle wings
08. Defend Avenge
09. All of them thieves
10. This battle chose us
11. Zero tolerance
12. Fight’em all ‘til you can’t (live)
13. A.I.R. (live)
14. Caught in a mosh (live)
15. Madhouse (live)

LINE-UP
Scott Ian Guitars – Vocals
Charlie Benante Drums – Percussion
Frank Bello – Bass
Joey Belladonna – Vocals
Jonathan Donais – Guitars (lead)

ANTHRAX – Facebook

Hatecrowned – Newborn Serpent

Ottimo lavoro peri blacksters Hatecrowned, provenienti da una terra non abituale per il genere come il Libano.

Deserto nord africano: sorpresi nel bel mezzo di una tempesta di sabbia, i due ragazzi si rifugiano in un’antica cripta sommersa dal mare desertico e scoperta per caso.

Al riparo dal vento caldo del deserto, ed incuriositi da strani segni sulle pareti, i due, al chiarore di una torcia si avventurano tra gli stretti corridoi scavati da migliaia di anni e trovata un’apertura che porta ad una stanza addobbata come un’antica tomba, si addormentano vicini a quella che sembra una lapide.
Il pavimento intorno a loro comincia a muoversi, lento e sinuoso come un mortale serpente demoniaco, è la fine, i loro corpi stritolati tra le spire del rettile non troveranno più la luce, così come le loro anime scaraventate nel più buio antro infernale.
La colonna sonora di questo incubo è Newborn Serpent, primo bellissimo parto estremo degli Hatecrowned, duo libanese protagonista di un black metal satanico e misantropico, violentissimo, ma molto affascinante e suggestivo.
I due arrivano arriva al debutto su lunga distanza dopo il primo lavoro in versione ep, uscito nel 2013 (Warpact in Black) e tramite la Satanath Records licenzia questo oscuro e devastante lavoro.
Ayvaal (voce) e Dahaaka (chitarre e tastiere) sono aiutati in questo viaggio verso l’oscurità, tra le mortali spire del serpente, da Benjamin “GoreDrummer” Lauritsen alle pelli ed Eddy Ferekh al basso, una sezione ritmica da apocalisse, mentre i due demoni mediorientali compiono atrocità e blasfemie, il primo con uno scream molto evil, ed il secondo tra riff e tappeti di keys che puzzano di putridi antri di piramidi dimenticate dal tempo, dove covate di demoni malefici si nutrono delle anime dannate.
Ottime e suggestive le devastanti trame sonore che compongono brani neri e maligni come For Scum Thou Art, and unto Scum Shalt Thou Return, Redefining Purgatory e la clamorosa title track, un inno alle nefandezze del maligno, tremenda colonna sonora di morte e disperazione.
Ottimo lavoro dunque, proveniente da terre non abituali per il metal estremo così da risultare ancor più affascinante.

TRACKLIST
1. Ominous Birth of Serpent
2. For Scum Thou Art, and unto Scum Shalt Thou Return
3. Infest and Conquer
4. Coronation of the Eternal and Pure
5. Void
6. Redefining Purgatory
7. Newborn Serpent
8. Cave of Salvation
9. Funeral Reverie
10. Wolves

LINE-UP
Ayvaal – Vocals
Dahaaka – Guitars and Keyboards

Benjamin “GoreDrummer” Lauritsen- Drums.
Eddy Ferekh – Bass Guitar

HATECROWNED – Facebook

A Soul Called Perdition – Into The Formless Dawn

Qualcuno taccerà questo album come opera poco originale, fate spallucce e lasciatevi travolgere dalle note marchiate a fuoco di Into The Formless Dawn: lunga vita al melodic death metal scandinavo.

A distanza di di molti anni il melodic death metal scandinavo, dopo il successo negli anni novanta, continua a regalare nell’underground ottime realtà che portano avanti la tradizione del genere nel segno del più puro sound creato dai gruppi storici della fredda penisola su a nord.

Il death metal, melodicizzato da sfumature heavy è stato in parte tradito da quei gruppi che lo hanno portato alla ribalta della scena metal mondiale, troppi occhi ed orecchie puntate ad occidente e precisamente negli states, dove il genere è stato imbastardito e violentato da elementi moderni, così da guadagnare in vendite, ma perdere molto del proprio fascino.
Per primi gli In Flames, seguiti da altre bands nel corso degli anni hanno sempre più lasciato le sonorità classiche, colpevoli di ammorbidire la parte estrema, per un approccio moderno e core, così che, specialmente i gruppi nati in seguito, pur con ottimi album alle spalle, si sono dovuti accontentare del mercato underground.
Poco male se le proposte che arrivano a chi cerca di portare all’attenzione dei fans il sottobosco metallico internazionale, giudicando la musica per quello che è, senza guardare alla moda del momento.
La one man band A Soul Called Perdition, monicker che nasconde le imprese musicali di Tuomas Kuusinen, musicista finlandese all’esordio discografico autoprodotto, fa parte di quelle realtà che, uscite tra il ’94 ed il ’98 avrebbe fatto sprecare inchiostro a molti scribacchini dei giornali cool dell’epoca, che, non dimentichiamolo, allora non perdevano occasione per incensare qualsiasi gruppo death metal solo leggermente più melodico del normale, parlando, a volte a sproposito, di nuovi In Flames, Dark Tranquillity o Amorphis.
Dunque questo lavoro che, per inciso, risulta un ottimo esempio di melodic death metal scandinavo, dove il buon Tuomas suona tutti gli strumenti e se lo è pure prodotto e mixato, farà sicuramente la gioia degli amanti del suono anni novanta, essendo un concentrato di metal estremo travolto da melodie chitarristiche di stampo heavy, dove cavalcate death metal veloci ed ispirate, si scontrano con aperture melodiche e growl robusto e cattivo il giusto per inchiodarvi alla poltrona.
Otto brani, prodotti benissimo, una mazzata di mezzora che torna a far risplendere il sottogenere estremo che più cuori ha fatto innamorare negli ultimi vent’anni, suonati alla grande da un musicista, compositore e produttore davvero bravo.
Into The Formless Dawn risulta così, un’opera studiata nei minimi dettagli, un esordio davvero riuscito, compatto, aggressivo e melodico, senza forzature e perfettamente bilanciato in tutte le sue componenti.
Woe, Severance, To Those Who Shall Follow, tanto per citare alcune tracce dell’album ( ma l’opera è da godersi per intero, anche perché non rivela cadute di tono) vi riporteranno piacevolmente indietro nel tempo, mentre primi Sentenced, Amorphis, Hypocrisy e gli In Flames non ancora americanizzati, si riconquisteranno un posto nel vostro lettore.
Qualcuno taccerà questo album come opera poco originale, fate spallucce e lasciatevi travolgere dalle note marchiate a fuoco di Into The Formless Dawn: lunga vita al melodic death metal scandinavo.

TRACKLIST
01. Woe
02. There Is No Shelter
03. Into The Formless Dawn
04. Severance
05. Emptiness
06. Immortal, Entwined
07. To Those Who Shall Follow
08. We Walked In The Shadows

LINE-UP
Tuomas Kuusinen – Vocals, Guitars, Bass, additional instruments

A SOUL CALLED PERDITION – Facebook

Draconian – Sovran

Prendiamo in esame l’ultimo album dei Draconian a qualche mese dalla sua uscita, il tempo necessario per elaborare una valutazione meno istintiva e più ragionata, come va fatto per nomi di questo spessore.

La band svedese è stata, ed è ancora, la virtuale portabandiera del gothic doom, titolo conquistato grazie ad una manciata di album magnifici pubblicati nello scorso decennio.
Ma, se già Turning Season Within, ultimo di questi e risalente al 2008, mostrava i primi segni di appannamento, A Rose for the Apocalypse esibiva suoni un po’ troppo leccati ed inoffensivi per pensare di eguagliare quanto fatto in passato.
Dopo diversi anni, la band di Johan Ericson si ripresenta con questo Sovran, disco nel quale la prima cosa che salta all’occhio è l’avvicendamento alla voce femminile, affidata oggi alla sudafricana Heike Langhans in sostituzione della storica Lisa Johansson; nonostante il timbro della nuova vocalist abbia un impronta meno lirica e più ordinaria, a livello di sound i Draconian paiono aver fatto un gradito passo indietro, tornando a sciorinare un gothic doom melodico sì, ma altrettanto cupo e recuperando almeno in parte il proprio trademark romantico e malinconico.
Se non si può che salutare con soddisfazione questa sorta di retromarcia, va anche detto che il livello di intensità che caratterizzava i brani contenuti in Arcane Rain Fell e The Burning Halo non viene comunque eguagliato: i Draconian odierni sono una band che propone in maniera impeccabile il genere musicale che ha contribuito ad elevare ai massimi livelli, ma la perfezione formale finisce alla lunga per sovrastare l’impatto emotivo.
A sprazzi riaffiorano momenti dal grande potenziale evocativo (Dusk Mariner su tutte) ma, nel complesso, sembra proprio che le proprie pulsioni più oscure e drammatiche Ericson le abbia convogliate principalmente nel suo splendido progetto funeral/death doom Doom:Vs.
Intendiamoci, Sovran è un album di buonissimo livello che non potrà deludere chi ama questo tipo di sonorità, rafforzato da una tracklist che non presenta momenti deboli ma neppure picchi degni di farsi ricordare negli anni a venire e, alla fine, proprio quest’ultimo aspetto costituisce la vera pecca, tanto più quando la band che ne è protagonista si chiama Draconian.

Tracklist
1. Heavy Lies the Crown
2. The Wretched Tide
3. Pale Tortured Blue
4. Stellar Tombs
5. No Lonelier Star
6. Dusk Mariner
7. Dishearten
8. Rivers Between Us
9. The Marriage of Attaris
10. With Love and Defiance

Line-up:
Johan Ericson – Guitars
Anders Jacobsson – Vocals
Jerry Torstensson – Drums
Daniel Arvidsson – Guitars
Fredrik Johansson – Bass
Heike Langhans – Vocals

DRACONIAN – Facebook

Sublime Eyes – Sermons & Blindfolds

Aggiungete ai primissimi Soilwork, Darkane ed At The Gates tanto combustibile di marca Machine Head e la bomba è servita, occhio a maneggiarla con cautela.

Ecco pronto un altro candelotto di dinamite metallica preparato per noi dai norvegesi Sublime Eyes, lanciato dalla nostrana WormHoleDeath sul finire di questo tragico 2015 e che andrà ad esplodere nel nuovo anno nei padiglioni auricolari di chi, del death melodico dalle devastanti bordate thrash, si nutre.

Sermons & Blinfolds è il nuovo lavoro di questa clamorosa band, fondata a Stavanger nella fredda Norvegia che ora raggiunge temperature elevate, messa a ferro e fuoco da questa raccolta di brani esplosivi, intensi, dalle ritmiche forsennate e dannatamente coinvolgenti.
Una macchina metallica pronta per la guerra, la band racchiude nel suo sound una commistione altamente infiammabile di death metal e thrash, giocando a suo piacimento con la tradizione melodica delle sua terra di origine, e quella statunitense, ed il risultato non può che essere da infarto.
Passo indietro dovuto per presentarvi quest’arma letale, nata nel 2007 e già autrice di un full length, Dawn of the Defiant nel 2010, seguito due anni dopo dall’ep Reign of the Sun e ora pronta a fare danni sotto la label italiana che chiaramente non poteva lasciarsi sfuggire cotanto furore estremo.
Trattenete il fiato prima di schiacciare il tasto play, perché dalla prima nota dell’opener Greedy Hands verrete schiacciati dalla forza dell’esplosione di questo lavoro, una carica che non conosce tregua, almeno fino alla fine.
E qui sta il bello, perchè dopo essere stati sbattuti da una parte all’altra della vostra stanza dalle bordate di nitroglicerina di Ten Stones, da quel capolavoro che risulta Shellshocked, o dalla travolgente No Regrets, vorrete solo ripremere il fatidico tasto e dare via ad un’altra devastante detonazione.
Growl da manuale, ritmiche con tanto groove da far cadere palazzi e solos melodici che fanno l’occhiolino a sonorità classiche, sono la mistura di polveri che compongono questo esplosivo lavoro, ma trattenere il fiato per quasi quaranta minuti è impossibile, ed allora fatevi travolgere senza opporre resistenza a questa mazzata estrema chiamata Sermons & Blindfolds.
Volete dei nomi, lo so, ed allora aggiungete ai primissimi Soilwork, Darkane ed At The Gates tanto combustibile di marca Machine Head e la bomba è servita, occhio a maneggiarla con cautela.

TRACKLIST
1.Greedy Hands
2.Ten Stones
3.Destroyer
4.Shellshocked
5.Your Time Is Done
6.No Regrets
7.We Are Chaos
8.It All Disappeared

LINE-UP
Vocal- Arvid Tjelta
Guitar- Tom Arild Dalaker
Guitar- Jan Vinningland
Bass- Jørn Helseth
Drums-Remy Dale

SUBLIME EYES – Facebook

Ildverden – Темніч чорна йде за мною

Maligna e piena di insidie è la notte, specialmente se ci si perde nelle foreste ucraine dove si cela Human Unknown, polistrumentista di questa one man band chiamata Ildverden.

Maligna e piena di insidie è la notte, specialmente se ci si perde nelle foreste ucraine dove si cela Human Unknown, polistrumentista di questa one man band chiamata Ildverden.

Senza nessuna concessione al benché minimo istinto commerciale, il musicista arriva a noi tramite Satanath Records con il suo quarto full length dai titoli in lingua madre (Темніч чорна йде за мною si traduce in La Nera Mezzanotte Mi Segue) dopo aver dato alle stampe il primo album omonimo nel 2007, Path to Eternal Frost and Fire del 2008 e Де хмари плачуть… lo scorso anno.
Black metal old school di scuola norvegese dai ritmi cadenzati, alquanto epici ed oscuri, accelerate cattive e, qua e là, buone melodie nere come la notte nel sottobosco di una foresta dannata, sono le maggiori virtù di quest’opera, che non si fa mancare qualche difetto (la produzione, non so quanto volutamente segue l’attitudine old school del lavoro) e la troppa prolissità in brani che, mediamente, raggiungono i dieci minuti, per arrivare addirittura a ventuno nella suite Прорікання Вельви, cuore di questo album.
In effetti più di un’ora per un album del genere è un po’ troppo e in definitiva si giunge al termine con un senso di fatica, peccato perché il black metal suonato da Human Unknown non è niente male e l’album vive di buone atmosfere orrorifiche e misantropiche, inserite in un contesto dalla violenza metallica di sicuro impatto.
Come detto, la musica si ispira al black metal scandinavo e segue le produzioni dei primissimi anni novanta, aggiungendo una buona ispirazione nelle gelide atmosfere che alternano momenti di epico black metal pagano, a più terrorizzanti sfumature horror.
Il mattino è ancora lontano e l’alito putrido delle belve assetate di sangue ci scalda il viso gelato, prima che le fauci si facciano largo nel nostro corpo, cerchiamo di svegliarci da quello che sembra un brutto incubo, mentre la nostra mano staccata dal braccio è preda di un’agguerrita disputa tra le creature della notte.

TRACKLIST
1. Очі мертвої луни
2. Темна далич завіхрить
3. Прорікання Вельви
4. Темніч чорна йде за мною
5. Спалах блискавок в очах

LINE-UP
Human Unknown – All Instruments, Vocals

Ego Depths – Dyrtangle

Il funeral targato Ego Depths non possiede pulsioni melodiche ma è un corpo estraneo conficcato in qualche parte del corpo, volto a provocare un dolore diffuso, non lancinante ma costante.

Con cadenza ormai annuale arriva il nuovo lavoro degli Ego Depths, progetto solista di Stigmatheist, musicista ucraino che da diversi anni ormai si è stabilito vive a Montreal.

Negli anni scorsi abbiamo trattati i due precedenti album e, parlando di Dyrtangle, resta poco da aggiungere rispetto a quanto detto in quei frangenti.
Il funeral targato Ego Depths non possiede pulsioni melodiche ma è un corpo estraneo conficcato in qualche parte del corpo, volto a provocare un dolore diffuso, non lancinante ma costante.
Ovviamente ciò è sintomo di una fruibilità minima e questi, se vogliamo, è il solo difetto di un opera condivisibile nel suo porsi coerentemente su un piano non accessibile a chiunque, ma che in virtù di una durata ai limiti della capienza di un cd si rivela di digestione laboriosa anche per i più avvezzi al genere.
È’ chiaro che tutto ciò deriva da una scelta ben precisa di Stigmatheist: l’album è espressione di un musicista ben conscio di ciò che sta facendo e, più di una volta, quando ci si attende l’apertura derivante da una logica progressione questa viene negata, quasi a rimarcare l’intento di non fornire alcun appiglio empatico all’ascoltatore.
Dyrtangle però è un lavoro molto curato, anche a livello di scelte strumentali, spesso non convenzionali e talvolta ammantate da un’aura mistica e, peraltro, l’ultima traccia Vitrification, Ineludible Meditation è davvero notevole, in virtù di un incedere più intenso e relativamente meno ostico.
Anche grazie a questo il quarto full length degli Ego Depths possiede un suo indubbio fascino, ma non è certo l’album che estrai dal mazzo con decisione se vuoi ascoltare del funeral in grado di offrire emozioni a profusione.

Tracklist
1. The Angleshifter
2. Wheel of Transmigration
3. The Onward Tide
4. Awakening of Gshin-Rje, the Lord of Death
5. Vitrification, Ineludible Meditation

Line-up:
Stigmatheist – Everything

EGO DEPTHS – Facebook

Isenblåst – Altars Of Blood

Due tracce promo di black metal senza compromessi, in attesa del primo full lenght di prossima uscita.

Gli Isenblåst, black metallers provenienti dal Michigan, hanno rilasciato queste due tracce promo, in attesa del primo full lenght di prossima uscita.

Il gruppo attivo dal 2010 è gia al quarto demo in sei anni a far compagnia ad un ep uscito nel 2014 dal titolo Unleashing the Demon Scourge di oltranzista black metal old school.
Ed è proprio la scuola norvegese dei primi anni novanta ad essere la massima ispirazione per il gruppo statunitense, lo conferma questi due brani feroci ed estremamente evil, dai testi satanici e dalla produzione vecchia scuola.
Altars Of Blood e I; Lucifer ci presentano un quartetto di demoni completamente votati alla nera fiamma che bruciava, maligna e diabolica tra le fredde lande scandinave, ritmiche che alternano sfuriate devastanti a marce cadenzate verso l’inferno, uno scream di genere efferato e indemoniato il giusto, più una totale devozione per le opere di Mayhem, Marduk, Ragnarok e Setherial.
Black metal senza compromessi dunque, due fieri inni malefici suonati con la convinzione di essere davvero tornati alle battaglie tra le truppe dell’inferno nei primi anni novanta, questo risultano le due tracce presentate da Chronolith (basso e voce), Lord Kaiser ( chitarra), Walshpurgisnacht (basso) e Abominater alle pelli.
Il gruppo di Detroit ci dà appuntamento al debutto sulla lunga distanza, nel frattempo i due brani sono disponibili in free download sul bandcamp del gruppo e verrà pure realizzata una versione limitata in cd a cento copie; se siete amanti del black metal old school dategli un ascolto ed aspettate con noi il fatidico full length.

TRACKLIST
01. Altars of Blood
02. I; Lucifer

LINE-UP
Walshpurgisnacht – Bass
Abominater – Drums
Lord Kaiser – Guitars
Chronolith – Vocals, Guitars

 

Bloody Invasion – Bloody Invasion

Buon debutto per i Bloody Invasion con un mini cd che ha nella compattezza e l’alternanza tra tiro possente e rallentamenti, composti da buoni spunti melodici, il proprio punto di forza.

I Bloody Invasion sono una death metal band tedesca, nata nel 2012, dedita a sonorità classiche e arrivata finalmente al debutto con questo ep omonimo tramite la sempre attenta WormHoleDeath, sinonimo di qualità nel metal estremo underground.

Il quintetto originario di Neuruppin si presenta al mondo metallico estremo con cinque brani di death metal old school, guerresco, ed a tratti pregno di un’epicità nascosta dalla valanga di riff pesanti come incudini che ricadono sull’ascoltatore, mortali nel loro colpire il bersaglio con mitragliate ritmiche, ed interpretate da un growl cattivissimo, come un capo tribù che arringa i suoi fedeli guerrieri sul campo di battaglia.
Si combatte in territori cari a band storiche come Bolt Thrower e primi Kataklysm, puro e quadrato death metal che non disdegna accelerazioni devastanti e monolitici ritmi cadenzati che spronano a marciare i soldati in avvicinamento sul luogo di quella che diventerà la strada per la gloria o l’eroico passaggio all’aldilà.
Matter Of Time risulta una death metal song lineare, robusta e compatta, mentre con Hangman trovano spazio arpeggi dal tono drammatico e ritmiche che variano tra velocità e marzialità.
Il growl alterna toni cavernosi ad urla animalesche, sotto le armature si nascondono orchi famelici, mentre la title track si abbatte sul luogo dello scontro come una tempesta di acqua e sangue, mentre Act Of Justice risulta la traccia più diretta dell’opera.
Altro macigno sonoro, la conclusiva The Mischief, torna ad alternare devastanti partenze a razzo, care agli headbanger più incalliti, a rallentamenti melodici, per poi tornare su velocità sostenute e cattiveria a iosa.
Buon debutto, quindi, con un mini cd che ha nella compattezza e l’alternanza tra tiro possente e rallentamenti, composti da buoni spunti melodici, il proprio punto di forza, per un sound sicuramente da sviluppare in un futuro full length, nel frattempo si consiglia l’ascolto agli amanti del genere.

TRACKLIST
1. A Matter of Time
2. Hangman
3. Bloody Invasion
4. Act of Justice
5. The Mischief

LINE-UP
Didi – Drums
Marek – Guitars
Christian – Guitars
Max – Vocals
Martin – Bass

BLOODY INVASION – Facebook

Heimskringla – Vikingløypa

Vikingløypa è un buon disco, in grado di fornire nutrimento a sufficienza per chi anela a sonorità melanconiche e dal mood meno catacombale.

Il versante più melodico del funeral, la cui espressione più alta è attribuibile agli imprescindibili Shape Of Despair, seguiti a ruota dai meno elaborati ma ugualmente grandiosi Ea, sta prendendo piede, almeno alla luce delle sempre più frequenti uscite che traggono spunto proprio da quest’ultima band.

Tocca oggi al solo project Heimskringla (proveniente dagli Stases nonostante tutto, dal monicker ai titoli dei brani, faccia riferimento alla Scandinavia) offrire quasi ottanta minuti di buona musica che, se non fa molto per distinguersi da album come Ea Taesse o Au Ellai, resta comunque oltremodo gradevole grazie al buon gusto melodico che Niðagrisur immette a profusione nel proprio sound.
Il disco ci mette un po’ a decollare, perché Skandinavia I, almeno per un quarto d’ora mostra coordinate più ambient finché finalmente anche la chitarra entra a delineare le proprie efficaci linee armoniche.
Da li in poi Vikingløypa mostra le sonorità che gli amanti del genere ben conoscono e che vengono proposte con perizia e competenza, per un risultato finale che soddisfa e che, come livello, non si va a collocare neppure troppo lontano dall’ultimo parto degli Ea, A Etilla.
Per restare in questa sfera d’influenza, se gli Heimskringla sono un gradino sotto gli Abysskvlt, perché non raggiungono con la stessa continuità i loro picchi emozionali, si dimostrano di gran lunga più efficaci di certe proposte eccessivamente devote ai propri modelli come, per esempio, quella dei Luna.
Vikingløypa è comunque un bel disco, in grado di fornire nutrimento a sufficienza per chi anela a sonorità melanconiche e dal mood meno catacombale.

Tracklist:
1.Skandinavia I
2.Skandinavia II
3.Vikingløypa
4.Íslenska Vatnið

Line-up:
Niðagrisur Guitars, Bass, Drums, Synths, Vocals

HEIMSKRINGLA – Facebook

childthemewp.com