Seventh Genocide – Breeze Of Memories

I Seventh Genocide hanno ottime potenzialità e grossi margini di miglioramento, seguirli nelle loro crescita è un passo obbligatorio, per chiunque ami la musica fuori dai soliti schemi.

I Seventh Genocide provengono da Roma e sono attivi dal 2006, ma solo cinque anni dopo licenziano il primo demo, seguito dal full length omonimo del 2012.

Il gruppo gira intorno al leader Rodolfo Ciuffo, bassista, cantante ed alle prese con la chitarra acustica, che viene affiancato nella line-up de altri tre musicisti, Stefano Allegretti e Jacopo Pepe alle chitarra e  Valerio Primo alla batteria.
Partiti come gruppo black metal, la loro musica nel tempo si è evoluta in un metal estremo dove è sempre presente la componente black, ma accompagnata ora da parti atmosferiche vicine al post rock, intimiste, ed intrise di reminiscenze alternative.
Breeze Of Memories è un ep composto di cinque brani che alternano feroci sfuriate black a sprazzi di ariose aperture acustiche, abbastanza suggestive ed originali: detto che le tracce tendono ad assomigliarsi, va dato atto alla band di una buona personalità, che si riscontra proprio nelle parti dove il black lascia spazio al rock, creando intensi momenti di musica che superano i soliti confini per cercare una propria strada, riuscendoci con sufficiente convinzione.
Quando è la tempesta black a prendere il sopravvento, le sferzate portate dal vento estremo non lasciano tregua, i Seventh Genocide sanno come suonare il genere e lo scream di Ciuffo risulta perfetto nella sua estrema drammaticità.
Mezzora scarsa, non molto, ma abbastanza per arrivare tranquillamente in fondo al lavoro senza incontrare riempitivi, solo musica dalla doppia anima, quella agguerrita e violenta del black e quella solare del rock alternativo, con qualche passaggio dal sapore folk.
Un’opera che ha bisogno di crescere dentro l’ascoltatore, per far proprie le atmosfere di cui è composta, risultando così un ascolto intrigante e suggestivo.
I Seventh Genocide hanno ottime potenzialità e grossi margini di miglioramento, seguirli nelle loro crescita è un passo obbligatorio, per chiunque ami la musica fuori dai soliti schemi.

TRACKLIST
1. Breeze of Memories
2. Be
3. Behind This Life
4. Summer Dusk
5. Il Lampo

LINE-UP
Rodolfo Ciuffo – Bass, Vocals, Guitars (acoustic), Lyrics
Stefano Allegretti – Guitars
jacopo Pepe – Guitars
Valerio Primo – Drums

SEVENTH GENOCIDE – Facebook

Intra Spelaeum – Забыто давно (Long Forgotten)

Забыто давно è un album che ogni appassionato di death doom dovrebbe ascoltare: il trio russo esibisce una solida preparazione regalando un’interpretazione del genere sempre varia ed efficace.

Gli Intra Spelaeum sono l’ennesima band, proveniente dalle sterminate lande russe, affascinata dal lato più oscuro del doom.

A fronte dell’oggettiva difficoltà nel proporre in quest’ambito qualcosa che, oltre ad essere coinvolgente dal punto di vista compositivo, contenga qualche elemento di peculiarità, i nostri conferiscono al loro sound un’aura particolare sicuramente caratterizzata dalla loro provenienza, indipendentemente dall’uso della grafica in cirillico e della lingua madre a livello lirico.
Più che in altre occasioni, infatti, una band russa dedita ad un genere dai tratti estremi sembra trarre linfa dall’importante tradizione musicale del proprio paese, e così, sia la solennità di certe orchestrazioni sia l’inserimento di una spiccata componente folk arricchiscono non poco un lavoro che si snoda senza mostrare particolari fasi di stanca.
Come detto, nonostante il monicker latino, gli Intra Spelaeum optano per una scelta autarchica a livello di linguaggio e, inevitabilmente, tutto ciò rende la fruizione più complessa, ma se ci limitiamo a ciò che ci dice la musica, non si può che farsi coinvolgere da quest’ora scarsa ricca di contrasti e di passaggi intrisi del giusto pathos.
Se la base del sound è un robusto death doom melodico di stampo nordeuropeo, l’ottimo lavoro tastieristico ne cuce ed ammorbidisce non poco l’impatto, esaltando lo struggimento di brani come Ветер, Волна e della lunghissima Дом; peraltro il lavoro si chiude con la cover di In A Dream, storico brano dei Tiamat, reso in maniera piuttosto rispettosa della seminale band svedese, pur se leggermente rallentata.
Забыто давно è senz’altro un album che ogni appassionato di death doom dovrebbe ascoltare: il trio russo esibisce una solida preparazione regalando un’interpretazione del genere sempre varia ed efficace.

Tracklist:
1. Сны (Dreams)
2. Забыто давно (Long Forgotten)
3. Ветер (Wind)
4. Дождь из слез (Rain of Tears)
5. Брошенный мир (Fallen World)
6. Волна (Wave)
7. Дом (House)
8.In a Dream (Tiamat cover bonus track)

Line-up:
Kron – vocals, guitars, keyboards
Geralt – bass
Zahaar – drums

INTRA SPELAEUM – Facebook

Praying Mantis – Legacy

Legacy risulta un lavoro imprescindibile, sopratutto perchè suonato da una band storica, dall’esperienza enorme e dal talento smisurato,

Paul Di Anno, Clive Burr e Dennis Stratton come saprete, sono tutti musicisti che hanno fatto la storia della vergine di ferro, più conosciuto il cantante, meno gli altri due, almeno per chi ha seguito le gesta della band di Steve Harris con superficialità, o solo dopo l’entrata in campo di Bruce Dickinson.

Eppure il compianto Clive Burr ha lasciato un’eredità importantissima tra i batteristi metal, protagonista dietro alle pelli dei primi due capolavori dei Maiden, così come Stratton faceva da partner a Murray prima dell’entrata in line up di Adrian Smith.
Ebbene, tutti e tre hanno fatto parte dei leggendari Praying Mantis, gruppo dei fratelli Troy, arrivati quest’anno al decimo lavoro in studio di una carriera iniziata nel lontano 1974 e che portò la band a vivere l’era della new wave of british heavy metal, all’uscita del primo lavoro nel 1981(Time Tells No Lies).
Nel corso degli’anni intorno ai due fratelli si sono succeduti un via vai di musicisti, ed il gruppo inglese è arrivato nel nuovo millennio portando la sua carica heavy metal, dalle sfumature melodiche che, piano piano l’hanno avvicinata all’AOR.
Legacy, nuovo, bellissimo lavoro, conferma lo stato di grazia della vecchia band inglese che, con nuovi innesti ed una classe sopraffina, rientra alla grande nel circuito metallico internazionele tramite la nostrana label Frontiers, già promotrice del precedente Sanctuary di ormai sei anni fa.
Che la band fosse il lato più melodico dello storico genere non è una novità, il songwriting della mantide si è sempre contraddistinto per un notevole talento verso le melodie catchy e dall’enorme appeal, ma il nuovo lavoro supera ogni previsione e ci consegna una perla melodica di inestimabile valore.
Nobile, elegante drammaticamente sinfonico, colmo di melodie che non lasciano scampo, rese ruvide da un riffing aggressivo e perfetto, sono le virtù su cui poggiano brani travolgenti come Fight for Your Honour e The One, apertura che non fa prigionieri, su cui John Cuijpers ci ricama una performance sontuosa.
Senza la minima sbavatura e perfetto in ogni suo elemento, Legacy continua la sua scalata nell’olimpo dell’Aor del nuovo millennio come l’epico incedere di Tokio e della melodicissima All I See, lasciando che il vecchio heavy metal amoreggi in modo sfacciato con l’hard rock melodico, tra solos divisi tra Tino Troy e Andy Burgess ed un cantato epico ottantiano di Cuijpers, che sfiora le vette interpretative del compianto Ronnie James Dio ( Against the World ).
Non siamo più, purtroppo, negli anni d’oro del genere, ma l’album esprime una forza melodica davvero entusiasmante, risultando il miglior lavoro della band da tanto, tanto tempo.
Se amate il metal melodico dai richiami old school, Legacy risulta un lavoro imprescindibile, soprattutto perché suonato da una band storica, dall’esperienza enorme e dal talento smisurato.

TRACKLIST
01. Fight for Your Honour
02. The One
03. Believable
04. Tokyo
05. Better Man
06. All I See
07. Eyes of a Child
08. The Runner
09. Against the World
10. Fallen Angel
11. Second Time Around

LINE-UP
John Cuijpers – Vocals
Tino Troy – Guitars, Vocals
Chris Troy – bass, Vocals
Andy Burgess – Guitars, Vocals
Hans in ‘t Zandt – Drums

PRAYING MANTIS – Facebook

Evemaster – III

Per chi segue con attenzione la floridissima scena metal finlandese questo disco è molto importante, e pieno di grandi nomi.

Per chi segue con attenzione la floridissima scena metal finlandese questo disco è molto importante, e pieno di grandi nomi.

La nuova etichetta italiana Goatmancer ristampa questo gran disco del 2010. Gli Evemaster sono stati fondati nell’autunno del 1996 da Tomi Mykkanen dei Battlelore e da Jarno Taskula, dalle ceneri dei Mortal God. La musica degli Evemaster è un black death composto molto al di sopra della media dei soliti gruppi, con un’orchestrazione generale davvero notevole. Questo disco, come dice il titolo, è la loro terza prova, e ne segna il percorso, poiché il discorso musicale è portato ben la di là dei consueti canoni del black e del death, come i testi che sono di uno spessore superiore, ed hanno un valore letterario. Tanto per dare una caratura dei personaggi coinvolti il missaggio e la masterizzazione sono stati svolti da Dan Swano, un personaggio che ha sempre firmato cose ottime. III è l’opera fin qui più matura del gruppo e oltre che dare piacere agli ascoltatori del black e del death, darà molte gioie anche a chi apprezza cose più gothic. Questa ristampa precederà il nuovo album del gruppo che dovrebbe vedere la luce nel 2016, e mette sulla mappa la nuova etichetta italiana The Goatmancer che inizia con un’opera notevoel e dalle mille sfaccettature, che lascia soddisfatti ad ascolti ripetuti e continuati.

TRACKLIST
1.Enter
2.New Age Dawns
3.Humanimals
4.Losing Ground
5.The Great Unrest
6.The Sweet Poison
7.Harvester of Souls
8.Fevered Dreams
9.Absolution

LINE-UP
Jarno Taskula – vocals
Tomi Mykkänen – music

EVEMASTER – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Kadar – Essence

Un disco onesto e piacevole, senza scendere nell’intricato a tutti i costi, sia per l’intenzione di non strafare da parte dei musicisti, sia per la loro preparazione strumentale unita ad un buon senso melodico.

Arriva dal lontano Kazakistan questo duo di musicisti, alle prese con il secondo lavoro dopo l’esordio dello scorso anno dal titolo Infidel, ed uscito in formato ep.
Ruslan Isaev ( basso e voce ) e Zilant ( chitarra e tastiere ) sono due ottimi musicisti che al metal estremo di stampo death/thrash, aggiungono buone divagazioni progressive, per un risultato tutto sommato soddisfacente.
La loro musica è pregna di melodia in un contesto metallico che ha come base il thrash bay area, reso ancora più violento da un growl cavernoso, che, a tratti ricorda quello di Dan Swano nei primi album degli Edge Of Sanity.
Ottimo il lavoro della sei corde, tagliente e melodica, non molto presenti ( almeno per il genere suonato) le tastiere, che fungono da accompagnamento alle cavalcate metalliche del duo, che non risparmia di schiacciare sull’acceleratore, rendendo il proprio sound di buon impatto e piacevole anche per i thrashers incalliti.
Alquanto fluido l’ascolto e non troppo impegnativo, anche per l’esigua durata ( poco meno di mezz’ora ) dell’intero album, valorizzato dalle ottime ritmiche di Spider Moves e Alexandria, brano che si distingue per le melodie classiche dei solos e la struttura ritmica dal buon appeal.
Sulla falsariga di questo ottimo brano, la successiva Paranoia che accentua il groove e ci regala un ottimo solo dalle reminiscenze hard rock.
Non un disco originalissimo, ma nel suo insieme ben fatto, Essence mantiene la sua verve dall’inizio alla fine, dando spazio al thrash metal pur contaminandolo con buone parti prog e addirittura jazz nella variegata Black Train.
Un disco onesto e piacevole, senza scendere nell’intricato a tutti i costi, sia per l’intenzione di non strafare da parte dei musicisti, sia per la loro preparazione strumentale unita ad un buon senso melodico.

TRACKLIST
1. Intro
2. The Night
3. Spider Moves
4. Essence
5. Alexandria
6. Paranoia
7. Black Train
8. Outro

LINE-UP
Ruslan Isaev – Bass, Vocals
Zilant – Guitars, Keyboards

Aornos – Orior

Aornos fa sicuramente parte dell’ambito tradizionale, suona un black metal d’atmosfera ma non atmosferico, con grande uso di tastiere, ed il risultato non è affatto male.

One man band di black metal in stile classico scandinavo con riferimenti al black metal sinfonico inglese.

Dopo anni di gestazione ecco qui l’esordio discografico di Algras in arte Aornos, musicista ungherese che produce un buon album di black metal. Quest’ultimo è un genere sempre in bilico tra forte innovazione e tradizione, tendenze che non affatto in contrasto. Aornos fa sicuramente parte dell’ambito tradizionale, suona un black metal d’atmosfera ma non atmosferico, con grande uso di tastiere, ed il risultato non è affatto male. Restano da limare alcuni aspetti della produzione, che rendono il suono con troppi alti in certi passaggi del disco poco comprensibile. A parte ciò rimane un buon debutto che termina con una bella cover degli Emperor.

TRACKLIST
01. Orior
02. Avernus
03. Castellum
04. Aeterna Veritas
05. Dominus Vexator
06. Gelum
07. Desertus
08. Erratus
09. Portentum
10. Aere Perennius
11. Ensorcelled By Khaos (Emperor cover)

LINE-UP
Algras – all music, instruments, vocals, lyrics.

AORNOS – Facebook

Norhod – Voices From The Ocean

I Norhod si muovono in un genere dove ormai l’originalità è una chimera ma che, se suonato a questi livelli, è ancora capace di regalare opere entusiasmanti.

Dopo il bellissimo The Efflorescence dei russi Ephemeral Ocean, si continua a navigare in acque agitate, la tempesta che ci aveva accompagnato per tutto il viaggio, dopo un’apparente schiarita è tornata a farsi intensa, il mare si è rinforzato e la nostra prua ha ricominciato ad essere torturata dalla forza delle onde, spinte da una tempesta di death metal sinfonico e power, questa volta con il suo nucleo temporalesco nato in Italia e precisamente a Lucca.

Una tempesta di suoni bombastici, sinfonie dal mood cinematografico in una mareggiata di ritmiche power, tuoni e lampi death metal, accompagnano il secondo lavoro dei Norhod, altra band spettacolare da annoverare tra le migliori realtà del genere proposto e figlia di una scena italiana che ormai può tranquillamente sedersi al tavolo con le sorelle europee.
La WormHoleDeath non se li è fatti sfuggire, e questo sontuoso Voices From The Ocean arriva in questo inizio anno a ribadire l’ottima salute che gode il metallo nazionale.
La band, nata nel 2009, dopo vari cambi nella line up, nel 2012 da alle stampe il primo ep autoprodotto, quel Arianrhod che non passa innosservato e ad aspettarli c’è la firma per la label italiana che produce il primo full length, The Blazing Lily, uscito nel 2013.
La forza di questo lavoro sta nell’aver saputo, da parte della band, creare un’opera che in poco più di mezzora, scarica un’impressionate sequela di hit, otto brani, uno più bello dell’altro che alternano, dirompente metallo sinfonico a stupende ed ariose tracce acustiche, dal sapore folk, interpretate dalla splendida voce di Clara Ceccarelli, sirena dall’ugola che ammalia, accompagnata dalle notevoli voci maschili, perfette sia nel growl di stampo death che nelle cleans (ad opera, quest’ultime, dell’ospite Francesco cavalieri dei Wind Rose).
Voices From The Ocean vive di questa alternanza, tra la furia sinfonica e la calma, portata dalla tempesta che si allontana, la forza sprigionata da dio Nettuno si placa, per tornare rigenerata ed ancora più aggressiva in un susseguirsi di emozionanti sali e scendi tra le onde dell’oceano.
Sezione ritmica che viaggia a mille, orchestrazioni da brividi e finalmente ballad che non danno l’impressione di riempitivi, ma sono perfettamente incastonate in questo album che ha il sapore dell’avventura.
I Norhod si muovono in un genere dove ormai l’originalità è una chimera ma che, se suonato a questi livelli, è ancora capace di regalare opere entusiasmanti; le influenze e le similitudini con band più famose, lasciamole ad altri, così come un inutile track by track, fate vostro Voices From The Ocean e per mezzora navigate nelle pericolose acque dell’oceano con i Norhod.

TRACKLIST
1. Storm
2. Endless Ocean
3. The Abyss of Knowledge
4. July Rain
5. Bleeding Path
6. Son of the Moon (A Moon Tale – Part VI)
7. Farthest Dream
8. Last Chant

LINE-UP
Clara Ceccarelli – Vocals
Giacomo “Jev” Casa – Growl
Giacomo Vannucci – Guitars
Andrea “Bistru” Stefani – Guitars
Michele Tolomei – Keyboards
Matteo Giusti – Bass
Francesco Aytano – Drums

NORHOD – Facebook

Third Sovereign – Perversion Swallowing Sanity

n’altra release marchiata a fuoco dalla Transcending Obscurity, un altro notevole esempio di metallo estremo che infiammerà i cuori dei deathsters sparsi per il globo.

Un’altra release marchiata a fuoco dalla Transcending Obscurity, un altro notevole esempio di metallo estremo che infiammerà i cuori dei deathsters sparsi per il globo.

Death Metal di stampo americano, violentissimo e molto vicino al brutal, un tornado di ritmiche veloci, blast beat a manetta e solos che urlano rabbia, schizofrenici e lancinanti, molto tecnico senza essere cervellotico come molte proposte technical death metal.
Loro sono i Third Sovereign, provengono da Nuova Dehli e a quasi dieci anni dalla fondazione, danno alle stampe il loro secondo full length, successore del primo lavoro(Destined To Suffer del 2007) ed una manciata di produzioni tra ep, split e single.
Gruppo con una buona esperienza alle spalle, i Third Sovereign in trentadue minuti, danno filo da torcere a più di una band storica, facendo tesoro delle proprie influenze, inglobandole in questo terremoto sonoro dal titolo Perversion Swallowing Sanity.
Death Metal statunitense, abbiamo scritto, ed infatti i richiami ai vari Obituary, Cannibal Corpse e Death sono abbastanza evidenti, anche se la band Indiana, riesce a tirare fuori una personalità non comune, aiutata da una produzione perfetta e dall’ottima tecnica esecutiva.
Strumenti che si intrecciano come un nido di Cobra, note estreme scaraventate sull’ascoltatore con forza inaudita, mantenendo il tutto in schemi lineari, così che i brani, già dopo un paio di ascolti sono perfettamente riconoscibili.
Il quartetto è formato dalla sezione ritmica composta dai due martelli pneumatici che, al secolo, risultano Jonah Lalawmpuia Hnamte al basso e Reuben Lalchuangkima alle pelli, mentre a correre su e giù per il manico della sei corde troviamo l’axeman Benjamin L. Pautu.
Il mostro dietro al microfono, Vedant Kaushik Barua completa la line up, il suo growl si erge sopra le intricate e devastanti performance dei suoi compari, elargendo brutali iniezioni di metal estremo come, Sakei Ai Hla / Grave of Humanity, enorme brano che apre l’album, seguita da Sarcofaga song che, in coppia con l’opener formano un avvio monumentale.
Al terzo brano, l’album si stabilizza su di una media piuttosto alta, i brani passano in rassegna tra violenza ed ottima soluzioni tecniche, dando inizio al nuovo anno estremo con una micidiale mazzata death metal.
Se il buongiorno si vede dal mattino, anche per il 2016 si prevedono bombe sonore provenienti dalla lontana India, state all’erta ed occhio alla testa.

TRACKLIST
1. Sakei Ai Hla / Grave of Humanity
2. Sarcophaga
3. Living This Hate
4. Slaughtered Mankind
5. Devolution of Mortality
6. Spawned with Guilt
7. Holocaust of Preaching
8. Dark Black
9. Burnt Epitome

LINE-UP
Jonah Lalawmpuia Hnamte – Bass, Vocals
Reuben Lalchuangkima – Drums
Vedant Kaushik Barua – Vocals
Benjamin L. Pautu – Guitars

THIRD SOVEREIGN – Facebook

Paid Charons Fare – Mourn

Altra one man band dedita al death doom, questa volta proveniente dalla Germania con il monicker Paid Charons Fare.

Mourn è il primo full-length per il musicista di Treviri Heiko Borkowski, ed esce dopo il singolo d’assaggio Alone, datato 2014: la prima impressione è stata quella d’essere al cospetto di un progetto nato con le idee chiare e soprattutto volto ad imprimere al sound tutte le caratteristiche che si richiedono al genere.
Inoltre, a differenza di altre one man band, l’utilizzo della chitarra solista si rivela sempre appropriato senza mostrare particolari crepe, consentendo così alle melodie di impadronirsi della scena in maniera convincente; sia la title track, sia The Mourners Anthem sviluppano armonie dolenti che rendono l’ascolto piuttosto scorrevole, fatta eccezione per qualche passaggio in clean nella seconda delle due tracce che merita ancora qualche aggiustatina.
Va detto anche che, proprio in questo brano, si possono osservare le intuizioni più brillanti sotto forma di linee evocative e nel contempo ben memorizzabili.
Dopo la breve When Time Turns Minutes To Days, brano acustico ma ugualmente plumbeo, che può ricordare qualcosa dei primi Novembers Doom, viene riproposto il singolo Alone, anch’esso decisamente di buon livello ed in linea con la traccia di apertura, prima della convincente chiusura con Dead Inside, con la quale si vanno invece a lambire territori funeral.
Mourn è sicuramente un buon debutto, all’insegna di sonorità che talvolta possono riportare ad un ben più noto progetto solista come quello dei Doomed di Pierre Laube, anche se Borkowski tende a levigare quelle asperità che ritroviamo nei lavori del suo connazionale.
Pur senza far gridare al miracolo, questo primo lavoro targato Paid Charons Fare è un disco di buona levatura che merita d’essere preso in considerazione dagli appassionati.

Tracklist
1.Mourn
2.The Mourners Anthem
3.When Time Turns Minutes To Days
4.Alone
5.Dead Inside

Line-up:
Heiko Borkowski – All instruments, Vocals

PAID CHARONS FARE – Facebook

Odyssea – Storm

Album che non può mancare nella collezione di ogni true defenders che si rispetti, ma assolutamente consigliato anche a chi apprezza la buona musica, Storm vi regalerà un’ora di nobile metallo progressivo ed incendiario, suonato e prodotto a meraviglia.

Mentre scrivo questo articolo, sotto l’effetto delle splendide note sprigionate da Storm, secondo lavoro del progetto Odyssea, la playlist di fine anno dei collaboratori di Iyezine è già in bella mostra sulle nostre pagine virtuali, altrimenti, come non inserire un album così bello nella mia personale classifica di questo stancante, drammatico ed oscuro 2015?

Passo indietro, per presentare questo progetto nato dalle menti di due dei più grandi musicisti che la scena metal italiana può vantare, il chitarrista Pier Gonella (Necrodeath, Mastercastle, Vanexa, ex-Labyrinth) e Roberto Tiranti (Wonderworld, ex-Labyrinth, ex-Vanexa), partito nel 2004 con il primo album Tears in Flood e ora tornato alla grande dopo più di un decennio e dopo le tante avventure musicali dei due protagonisti.
Dopo il successo delle opere di Tobias Sammet con il progetto Avantasia, di opere metal dai mille ospiti ne sono uscite davvero tante, alcune davvero belle, altre meno, perciò non è certo una novità questo Storm dove, intorno ai due musicisti principali, si raccoglie una buona fetta del meglio che il genere può vantare su e giù per lo stivale e non solo.
Infatti, oltre al songwriting che, sia chiaro, risulta eccellente, è un piacere trovare così tanti, ottimi musicisti, uniti in un’opera (lasciatemelo dire) tutta italiana, confermando l’elevata qualità che ormai ha raggiunto la scena metallica tricolore in ogni sua parte e in qualsiasi genere e sottogenere volgiamo la nostra attenzione.
Alessandro Del Vecchio, Alex De Rosso, Davide Dell’Orto, Giorgia Gueglio, Christo Machete, Mattia Stancioiu, Peso, Simone Mularoni, Wild Steel sono solo una piccola parte dei musicisti che hanno contribuito a fare di Storm una meraviglia power prog metal dalle mille idee e dalle mille sfumature, dove suoni classici si mescolano ad intuizioni futuriste, cavalcate power amoreggiano con ritmiche hard rock e si appartano con digressioni progressive, il tutto agli ordini della splendida voce di Tiranti, tornato a fare metal dopo il bellissimo lavoro solista uscito all’inizio dell’anno e dalla sei corde di un Gonella ispiratissimo e sempre più guitar heroes.
E come novelli Ulisse ci imbarchiamo in questo viaggio tra mari in tempesta, burrasche improvvise che scaricano fulmini pregni di elettricità, come se gli dei del metallo volessero rendere questo ascolto, un’Odissea, un epico girovagare tra i suoni nobili della nostra musica preferita, travolti da onde che senza pietà si infrangono e distruggono prue ed alberi a colpi di songs travolgenti come l’opener No Compromise, l’epica cavalcata Anger Danger, lo spettacolare duetto tra la Gueglio ed il buon Del Vecchio in Ice, la devastante title track, prima che le sirene di Ride ci ipnotizzino, liberati dall’entrata in campo della voce di Tiranti e da uno splendido e arioso refrain.
L’album regala ancora emozioni, in un susseguirsi di passaggi e cambi di atmosfere che hanno, nelle tastiere moderniste e dalle reminiscenze sci-fi di Apocalypse pt2, uno strumentale rotto solo dalla voce recitata della Gueglio, andando a concludere il nostro epico viaggio con Fly, canzone ripresa dal primo lavoro, e dalla versione alternativa dell’opener No Compromise.
Album che non può mancare nella collezione di ogni true defender che si rispetti, ma assolutamente consigliato anche a chi apprezza la buona musica, Storm vi regalerà un’ora di nobile metallo progressivo ed incendiario, suonato e prodotto alla perfezione.
Fatelo vostro e partite per questa affascinante e pericolosissima avventura in compagnia di questi grandi musicisti, non ve ne pentirete.

TRACKLIST
01. No compromise
02. Anger danger
03. Understand
04. Ice
05. Freedom
06. Galaxy
07. Storm
08. Ride
09. Tears in the rain
10. Apocalypse pt II
11. Fly 2015 (bonus track)
12. No compromise alternative (bonus track)

LINE-UP
Pier Gonella – guitars
Roberto Tiranti – vocals

Guests:
Andrea Ge – drums
Alessandro Bissa – drums
Alessandro Del Vecchio – vocals
Alessio Spallarossa – drums
Alex De Rosso – guitars
Andrea De Paoli – keyboards
Anna Portalupi – bass
Carlo Faraci – vocals
Christo Machete – drums
Davide Dell’Orto – vocals
Dick Laurent – guitars
Emilio Ranzoni – guitars
Francesco La Rosa – drums
Gandolfo Ferro – vocals
Giorgia Gueglio – vocals
Giulio Belzer – bass, vocals
Mattia Stancioiu – drums
Mistheria – keyboards
Oscar Morchio – bass
Peso – drums
Simone Mularoni – guitars
Steve Vawamas – bass
WildSteel – vocals

ODYSSEA – Facebook

Mad Max – Thunder, Storm & Passion

Compilation celebrativa per la lunga carriera dei tedeschi Mad Max, un pezzo di storia dell’hard’n’heavy europeo.

Era il 1981 quando i tedeschi Mad Max esordirono con il primo ep In Concert, seguito l’anno dopo dal full length Heavy Metal, dichiarazione di intenti in piena New Wave Of British heavy metal.

La carriera della band è proseguita con buona continuità in più di trent’anni, rilasciando undici album e questo Thunder, Storm & Passion risulta la giusta celebrazione ad una band, magari fuori da clamorosi successi, ma punto di riferimento per i rocker più attenti e portatrice del più vero spirito hard & heavy dai riferimenti classici.
Non sono poche le band che dai Mad Max hanno recepito lo spirito e le influenze musicali, classico gruppo tedesco, i nostri baldi provenienti da Monaco di Vestfalia, per primi i clamorosi Bonfire, dunque si parla di hard rock dalle chiare influenze heavy e dall’innato talento per la melodia.
Thunder, Storm & Passion è una compilation, una celebrazione alla carriera della band, arrivata ad hoc, in un periodo di riposo dopo aver licenziato cinque album nell’arco di sei anni, non pochi di questi tempi.
L’album guarda al passato e ci propone il meglio dei primi tre lavori, usciti tutti negli anni ottanta, da Rollin’Thunder, secondo album del 1984 a Night Of Passion full length del 1987 e conferma come la band non ha cambiato una virgola nel proprio modo di scrivere musica , seguendo delle coordinate stilistiche ben precise, ma assolutamente piacevoli, almeno per chi ama certe sonorità.
Un martello i Mad Max, coerenti in tutti questi anni con la loro proposta che li vede come alfieri dell’hard & heavy consolidato nelle terre dell’Europa centrale, da molti anni a questa parte, così che l’album è composto da un doppio cd che vede il classico best of sul primo, ed un live sul secondo, ripreso dalla performance al Bang Your Head festival nel 2014, inglobando una buona fetta del mondo Mad Max, melodie hard rock, a tratti travolte da tempeste di heavy metal ruvido, lapidate da solos rocciosi, e impreziosite da super ballatone ottantiane.
Per chi segue la band un bel ragalo di Natale. viste che le varie Fly Fly Away, Rollin’ Thunder, Thoughts of a Dying Man e compagnia, sono state ri-registrate e rese al passo coi tempi, mentre il live da una dimostrazione della carica metallica che riserva la band on stage, mentre per chi non conosce il gruppo, una buona occasione per far suo un pezzo di storia del metallo teutonico, in tutti e due i casi, opera imperdibile.

TRACKLIST
Disc 1 – Re-Recorded Classics
1. Fly Fly Away
2. Losing You
3. Rollin’ Thunder
4. Thoughts of a Dying Man
5. Never Say Never
6. Lonely Is the Hunter
7. Stormchild
8. Heroes Die Lonely
9. Burning the Stage
10. Wait for the Night
11. Night of Passion
12. Hearts on Fire

Disc 2 – Live at Bang Your Head Festival 2014
1. Burning the Stage
2. Night of Passion
3. Rollin’ Thunder
4. Wait for the Night
5. Lonely Is the Hunter
6. Never Say Never
7. Thoughts of a Dying Man
8. Fox on the Run (Sweet cover)

LINE-UP
Jürgen Breforth – Guitars
Michael Voss – Vocals, Guitars
Axel Kruse – Drums
Thomas “Hutch” Bauer – Bass

MAD MAX – Facebook

Pulse-R – Across The Sky

Il nuovo lavoro dei Pulse-R è un’opera imperdibile per gli amanti dei suoni alternative più maturi e progressivi

Ecco a voi un album per il quale l’etichetta alternative non viene usata a sproposito, o meglio non sta ad indicare il solito rock americano con reminiscenze grunge, ma risulta alternativo proprio nella sua natura molto originale e fuori dagli schemi.

Across The Sky, vede il ritorno di Gabriele Bellini, dopo il bellissimo Acoustic Spaces di qualche mese fa, con questa ottima creatura che del metal/rock sperimentale fa il suo credo.
La band muove i primi passi nel 2011, quando il primo full length omonimo viene licenziato per la New Idols records, raccogliendo in sé una manciata di musicisti di provata esperienza e che formano un gruppo compatto, con il fiore all’occhiello rappresentato dalla sei corde del chitarrista nostrano.
L’ep Pull Me Down, segue di poco il disco d’esordio, da qui passano tre anni, dove, nel frattempo Bellini fonda la Qua’ Rock Records, etichetta che licenzia questo nuovo lavoro, che vede il ritorno in pista del gruppo toscano.
Accompagnata dall’eclettico vocalist Giacomo Salani, dal basso di Vieri Pestelli e dalla batteria di Michel Agostini, la sei corde di Bellini impazza in questo turbinio di suoni metal/rock, non il classico album di sola esposizione della sei corde, sia chiaro, ma un ottimo esempio di musica rock moderna a 360°, dove la chitarra sperimenta, trascina e travolge, seguendo parallelamente le soluzioni ritmiche e vocali che si affacciano lungo l’ascolto di Across The Sky.
Si vola alto tra lo spartito del gruppo in questa raccolta di brani che hanno nel suo dna la voglia di stupire, passando con disinvoltura tra partiture alternative a passaggi progressivi, da toni molto, ma molto vicini al new metal più colto, non lasciando indietro neppure il più puro rock.
Bravissimo Salani nel saper modulare la sua voce ed adattarla agli umori di un songwriting così vario e nervoso, mentre la sezione ritmica da saggio di una bravura disarmante nei moltissimi cambi di tempo ed atmosfere, coinvogliate in songs di spessore come le varie, Escape, Breathing In, Changes e Fears Away.
Tanta carne al fuoco, generi e band chiamate in causa dal gruppo. dotato di una personalità enorme, che si intrecciano, vengono alla luce, ed in un’attimo spariscono nell’ombra, vittime del gioco musicale dei Pulse-R, che con il rock degli ultimi venticinque anni ci scherzano, aiutati da un talento smisurato.
Across The Sky è tutto questo e se volete dei nomi, pensate cosa potrebbe suonare una band che racchiude i suoni di System Of A Down, Soundgarden e Faith No More in un contesto progressivo e sperimentale.
Ancora un’opera notevole da parte del chitarrista nostrano, il nuovo lavoro dei Pulse-R è imperdibile per gli amanti dei suoni alternative più maturi e progressivi.

TRACKLIST
1.Escape
2.Breathing In
3.Different Souls
4.Life
5.Changes
6.Across The Sky
7.Side Of The Road
8.Fears Away
9.Never

LINE-UP
Giacomo Jac Salani – Vocals
Gabriele Bellini -Guitars
Vieri Pestelli – Bass
Michel Agostini- Drums

PULSE-R – Facebook

Soul Of Enoch – Neo Locus

Disco di doom classico duro e puro, con tempi lenti e riff che scavano al roccia, con una splendida malinconia di fondo che pervade l’aire.

Disco di doom classico duro e puro, con tempi lenti e riffs che scavano al roccia, con una splendida malinconia di fondo che pervade l’aere.

I Soul Of Enoch sono un gruppo nato dalla volontà di David Krieg alla voce ed Andrea Morandi al basso nell’estate del 2005 e riportato in vita ai giorni nostri per mano dello stesso vocalist e del chitarrista Tony Tears: i due sono personaggi noti nell’ambiente doom genovese poiché girano intorno al nero ambiente degli Abysmal Grief e dei Malombra, un sottobosco musicale molto forte che a Genova ha prodotto ottime cose, e questo disco ne è insieme testimonianza e continuazione. Questo doom classico è musica di rara belleza, con un substrato romantico ed allo stesso tempo cristiano, anche si raccontano storie di tenebra. I Soul Of Enoch lo fanno molto bene, con un gran senso della melodia e con un’accurata produzione ed una grande cura dei particolari.
La produzione è affidata a Matteo Ricci, che suona anche il basso, ed è pressoché perfetta. Il tutto viene rilasciato dalla BloodRock Records, che è l’etichetta di riferimento per il doom genovese e non solo.
Un gran lavoro per chi ama il doom classico, sonorità che fortunatamente non sono per tutti, né vogliono esserlo.

TRACKLIST
01. I Ask The Flies To Forgive Me
02. Amber Flowers (On Black Marble)
03. Yule
04. Children Shouldn’t Play With The Dead Things
05. The Witch Is Dead

LINE-UP
David Krieg – Voic .
Tony Tears – Guitars.
Matteo Ricci – Bass.
Carlo Opisso : Drums.

TONY TEARS – Facebook

Katana – The Greatest Victory

The Greatest Victory non è altro che un ottimo album di heavy metal old school, ma con i piedi ben piantati nel nuovo millennio.

La Katana, micidiale e leggendaria spada di origine giapponese, in mano ad un samurai diventa una devastante arma di offesa, ma non solo, nel paese del sol levante la sua aurea mistica ne fa l’oggetto sacro, usato in un rito millenario per togliersi la vita con onore.

La sua forza ed il suo fascino hanno contagiato questa letale band svedese, al terzo lavoro sulla lunga distanza, cinque musicisti con la passione per il mondo giapponese, tanto da usare il nome della storica spada come monicker per il gruppo.
Nata più di dieci anni fa, la band dopo una manciata di lavori minori, nel 2011 licenzia il primo full length, Heads Will Roll seguito da Storms of War l’anno dopo.
Dopo tre anni dunque arriva questo terzo album che, se non consacra definitivamente la band di Göteborg, lascia intravedere grossi passi avanti, specialmente nel songwriting che raggiunge un buon livello.
The Greatest Victory non è altro che un ottimo album di heavy metal old school, ma con i piedi ben piantati nel nuovo millennio, ottima produzione, riferimenti che vanno dall’heavy classico al power, un cantante perfetto per tono e aggressività, asce che tagliano come le lame di spade dalla lunga impugnatura e una manciata di songs che spaccano, dai refrain a tratti irresistibili e chorus da cantare a squarciagola ai piedi del monte Fuji.
Shaman Queen, opener dell’album, è il perfetto esempio della musica che troverete sull’album, heavy e power che si rincorrono tra ritmiche forsennate, chorus ariosi e solos che sono rasoiate in pieno volto, i Katana non spostano di una virgola la loro decennale proposta, ma i brani raccolti in The Greatest Victory, questa volta formano un sound compatto, non dando tregua fino alla conclusiva In The Shadow, ballatona che ci accompagna ai titoli di coda.
Nel mezzo, tanto ottimo heavy metal, travolgente ed esaltante tra una Yakuza che infiamma il samurai che è in noi, pregna di ritmiche e cori metallici da standing ovation o una Shogun, magniloquente nel coro e ottantiana fino al midollo.
Marziale Nuclear War, mentre Kingdom Never Come e Within an Inch of Your Life, cuore dell’album, sono i due brani top del lavoro, melodie assassine, refrain irresistibili e chitarre che aprono squarci nella carne, affondano le punte nell’addome, insomma, uccidono.
Sempre su ottimi livelli i restanti brani che compongono questo The Greatest Victory, le ispirazioni sono evidenti, assolutamente inutile elencarle, sappiate che tra i solchi dell’album si aggirano più di una vostra band preferita, per i defenders un must.

TRACKLIST
1. Shaman Queen
2. Yakuza
3. Shogun
4. Nuclear War
5. Kingdom Never Come
6. Within an Inch of Your Life
7. Mark of the Beast
8. The Void
9. In the Shadows

LINE-UP
Patrik Essén – Guitars
Tobias Karlsson – Guitars
Johan Bernspång – Vocals
Susanna Salminen – Bass
Anders Persson – Drums

KATANA – Facebook

Mechina – Progenitor

Progenitor è un altro album mostruoso sotto ogni aspetto, la totale perfezione nell’amalgamare le orchestrazioni sinfoniche al metal estremo moderno, a cui si aggiungono atmosfere sempre differenti che fanno dei Mechina degli assoluti maestri.

E’ arrivata, l’abbiamo aspettata un’anno esatto, ma puntuale il 1° gennaio 2016 l’astronave Mechina è tornata per riportarci in giro per l’universo, tra mondi sconosciuti, alla scoperta di antiche ed affascinati civiltà persi nel black hole estremo che è la musica di questa band fuori dal comune.

Gli ufficiali Joe Tiberi e Dave Holch, sempre sul ponte di comando, questa volta affrontano battaglie intergalattiche, con la consapevolezza di essere una macchina da guerra devastante, i nemici non sono i mostri mitologici di Acheron, ma esseri più vicini a noi, come in Xenon e la musica di conseguenza risulta meno sacrale ed epica e più industrial, tornando a confrontarsi con i Fear Factory e gruppi più terreni.
Il risultato non può che essere comunque a vantaggio di questi splendidi creatori di musica estrema moderna, ormai tenacemente un passo davanti a tutti, almeno alle band che affrontano lo stesso genere dei mostruosi musicisti dell’Illinois.
Come avrete capito, il nuovo lavoro si avvicina al sound di Xenon, lasciando ad una splendida voce femminile, molte parti dei vari brani.
Sempre epico ma meno oscuro del suo predecessore, Progenitor è molto più siderale, ma mentre Acheron non lasciava trasparire la benché minima luce, il nuovo lavoro lascia spazio alla speranza, come se la band volesse dirci che lo spazio profondo non è poi così annichilente come descritto un anno fa.
Sinfonie ariose si fanno spazio tra le devastanti ritmiche industrial death, attimi di terrorizzante death metal moderno sono spazzati via da un mood positivo, nascosto, ma ben visibile ad un orecchio attento, e Progenitor decolla, dopo il massacro Ashes of Old Earth, per donare ancora una volta una visione dello spazio che, ad ogni album lascia in noi sensazioni ed emozioni differenti, come la trama e le varie avventure di un’odissea, iniziata ormai più di dieci anni fa con The Assembly of Tyrants.
Benissimo ha fatto il gruppo a non soffermarsi troppo sulla monolitica magniloquenza di Acheron, il nuovo album traccia altre coordinate su cui l’astronave Mechina viaggia, non solo death metal sinfonico e industrial ma dark wave ottantiana, specialmente nella sublime Anagenesis, capolavoro di Progenitor, alla pari con Cryoshock e la title track, posta in chiusura e che torna al death metal sinfonico dalle ritmiche devastanti a cui ci hanno abituato questi fenomenali musicisti americani.
Progenitor è un altro album mostruoso sotto ogni aspetto, la totale perfezione nell’amalgamare le orchestrazioni sinfoniche al metal estremo moderno, a cui si aggiungono atmosfere sempre differenti che fanno dei Mechina degli assoluti maestri.
Il viaggio è finito, scendiamo dall’astronave e salutiamo i due ufficiali sperando che sia un arrivederci al prossimo anno: 1-1-2017, io li sto già aspettando.

TRACKLIST
1. Mass Locked
2. Ashes of Old Earth
3. Starscape
4. Cryoshock
5. The Horizon Effect
6. Anagenesis
7. Planetfall
8. Progenitor

LINE-UP
Joe Tiberi- Guitars, Programming
David Holch- Vocals

MECHINA – Facebook

Motus Tenebrae – Deathrising

In Deathrising il gothic doom viene espresso a livelli ottimali da un gruppo di musicisti esperti e competenti

Togliamoci subito il dente: a chi obietterà che i Motus Tenebrae assomigliano in maniera spiccata ai Paradise Lost non si può che rispondere affermativamente.

Detto questo, e messa una pietra tombale sopra ogni desiderio o ricerca di originalità, quello che resta di questo Deathrising, quinta fatica su lunga distanza della band pisana, non è ne poco né tanto meno trascurabile.
Gli 11 brani che compongono la tracklist dell’album faranno sicuramente la gioia di chi ama questo tipo di sonorità e, ovviamente, stravede anche per le ultime uscite della premiata ditta Mackintosh/Holmes.
Ribadisco il mio pensiero: l’originalità, se non é accompagnata da una scrittura all’altezza, rimane un esercizio di stile coraggioso ma fine a sé stesso, mentre, al contrario, anche un lavoro fortemente influenzato da quanto fatto da altri in passato (a patto di non scadere nel mero plagio) può risultare assolutamente efficace se composto e suonato da musicisti adeguatamente ispirati.
E questo il caso di Deathrising, dove il gothic doom viene espresso a livelli ottimali da una band esperta e competente, con alcuni picchi non indifferenti raggiunti nelle tracce contraddistinte da linee melodiche più accentuate, mentre risultano un po’ meno avvincenti le canzoni caratterizzate da riff più pesanti: fa eccezione in tal senso un episodio magnifico come Light That We Are, che ci teletrasporta all’epoca di Icon, senza neppure sfigurare al confronto.
È chiaro, però, che la malinconica opener Our Weakness e Black Sun, sorta di Forever Failure dei giorni nostri, aprono come meglio non avrebbero potuto un lavoro indubbiamente bello, che vede almeno un’altra perla come Haunt Me, senza dimenticare l’ambientazione oltremodo cupa della title track ed una For A Change che mostra uno svincolo dalle influenze lostiane per approdare sui territori dei Novembers Doom più aggressivi.
Del resto la voce di Luis McFadden, fondatore dei Motus Tenebrae assieme al chitarrista Andreas Das Cox, e al ritorno in formazione dopo qualche anno di assenza, finisce per accentuare ulteriormente le affinità con i maestri di Halifax per la sua intonazione contigua a quella di Nick Holmes, ma il vocalist toscano, in quest’occasione, fornisce una prova ancor più convincente di quanto fatto su The Dark Days dei Disbeliever, in quanto a mio avviso maggiormente a suo agio con le più robuste sonorità di Deathrising.
E’ nella natura delle cose il fatto che artisti seminali creino uno stuolo di seguaci, alcuni bravi e preparati, altri meno: i Motus Tenebrae appartengono sicuramente alla prima di queste categorie, dall’alto di un’esperienza ultradecennale che depone indubbiamente a loro favore, visto che qui non si parla certo di un manipolo di ragazzini folgorati da un giorno all’altro sulla via di Damasco …
Se mi si concede il parallelismo, i Motus Tenebrae stanno ai  Paradise Lost come gli NFD stanno ai Fields Of The Nephilim: penso che neppure lo stesso Peter White abbia mai negato (anche per la presenza di ex FOTN in line-up) di attingere dall’immenso patrimonio musicale lasciato dalla band di McCoy, ma nonostante ciò Waking The Dead è stato considerato a ragione uno dei migliori album usciti lo scorso anno in ambito gothic metal, un motivo in più per mantenere lo stesso metro di giudizio rispetto a quanto offertoci dai Motus Tenebrae con Deathrising.

Tracklist:
1. Our Weakness
2. Black Sun
3. For a Change
4. Light That We Are
5. Faded
6. Deathrising
7. Haunt Me
8. Grace
9. Cold World
10. Cherish My Pain
11. Desolation

Line-up:
Luis McFadden – Vocals
Andreas Das Cox – Bass
Daniel Cyranna – Guitars
Omar Harvey – Keyboards, Synth
Andrea Falaschi – Drums

MOTUS TENEBRAE – Facebook

Horrific Disease – Outbreak

Niente di più che un buon lavoro estremo questo Outbreak, anche se il lavoro chitarristico è di alto livello.

Inutile ribadire l’importanza del mercato giapponese per i suoni metallici, dall’hard rock alle frange più estreme della nostra musica preferita il paese del sol levante è sempre stato molto ricettivo, non è un caso che i generi che, di volta in volta nel corso degli anni perdono interesse in Europa/U.S.A, guardano all’isola sul pacifico come rifugio per le band che a quei suoni dedicano le loro fatiche.

Heavy Metal, suoni classici e sopratutto, come in questo caso death metal, sono solo esempi di come il popolo dei samurai abbia fatto propria la cultura musicale occidentale, dando poi anch’essa un valido contributo in gruppi più o meno famosi anche dalle nostre parti.
In questo caso ci troviamo al cospetto di suoni estremi old school che variano dal death al thrash, con il primo full length della band di Makoto Mizoguchi, axeman che ha visto la sua chitarra massacrare padiglioni auricolari con nomi altisonanti della scena estrema mondiale come, Hate Eternal, Pyrexia e Internal Suffering.
Chitarrista dei Disembowel e ora al comando degli Horrific Disease, accompagnato dal vocalist Haruhisa Takahata, Mizoguchi propone questa mezzora di death/thrash violentissimo e classico, dal concept che si rifà alla tradizione sci-fi e dall’impatto di un’asteroide in caduta libera verso la terra.
Enorme il lavoro della sei corde, davvero notevole nel mezzo di questo uragano sonoro ignorantissimo che pesca in egual misura dal death metal made in bay area, come dal thrash dalle sfumature europee, creando dodici raffiche di mitragliatore che, senza pietà spazza via uomini e cose messe sul suo mirino.
Takahata sbraita, urla, contorce budella con il suo growl sporco, ruvido che anch’esso da un’occhiata al thrash, più che al death, ma mantenendo altissimo il mood estremo dei brani, comandati dalle buone e devastanti, Under the Judgment, Lord of Avengement e Your Own Justice.
Niente di più che un buon lavoro estremo questo Outbreak, anche se il lavoro chitarristico è di alto livello.
Slayer, Obituary e qualche accenno ai primi vagiti della scena thrash europea, fanno sicuramente parte del songwriting di Outbreak, che merita un ascolto.

TRACKLIST
1. Tortured In Entirety
2. Waste It Now!
3. Under the Judgment
4. Newborn Reapers
5. Mortal Bite
6. Slaughter
7. Lord of Avengement
8. Hateful Praying
9. Distracting Decisions
10. Your Own Justice
11. Never Satisfied
12. The Pissed Punisher

LINE-UP
Makoto Mizoguchi Guitars
Haruhisa Takahata Vocals, Bass

HORRIFIC DISEASE – Facebook

As Darkness Dies – As Darkness Dies

As Darkness Dies ha la virtù di crescere con gli ascolti, trattandosi di un album assolutamente non usa e getta ma da godersi in tutta la sua fierezza metallica

Un disco dopo l’altro, l’attivissima label tedesca Pure Steel continua la sua missione metallica, quella di portare all’attenzione dei fans band storiche e nuove realtà che si muovono nei generi classici della nostra musica preferita.

Tocca ai As Darkness Dies, quintetto statunitense che del metal classico suonato aldilà dell’atlantico, fa la sua ragione musicale.
La band aveva già esordito nel 2012 sotto il monicker Graven Image, con l’album The Future Started Yesterday, quindi questo lavoro omonimo risulta una sorta di nuovo inizio per il gruppo del Connecticut.
As Darkness Dies vede dietro alla console Michael Vescera, nome storico dell’heavy metal mondiale e singer che ha accompagnato leggende come Malmsteen e Loudness, un di più che rende l’esordio del gruppo un buon motivo per riavvicinarsi al metal di estrazione americana.
L’album si aggira furtivo tra gli elementi classici dell’heavy metal old school, il buon songwriting, una coppia d’asce elegante e grintosa ( Paul Coleman e Scott Williams) ed un singer dal timbro maschio, ma che non disdegna pugnalate letali alla Halford, sono le virtù principali di questo lavoro che alterna forza metallica e melodie, dall’incipt teatrale e drammatico, classico della scuola americana.
Forse leggermente lungo, As Darkeness Dies ha buoni picchi e poche cadute, così da non sfigurare nelle numerose uscite della label tedesca, ancora una volta brava a fiutare odore di musica onesta e piacevolmente old school.
Inutile parlare di influenze, palesi nella scena del loro paese e nelle band che hanno fatto la storia del genere nel nuovo continente, cosi come qualche accenno all’alter ego britannico ( Iron Maiden e Judas Priest), che fuoriescono dai solchi di brani come la rocciosa Black Death, la maideniana Searching For Life, l’ariosa cavalcata World Of Decay e l’oscura Demons.
As Darkness Dies ha la virtù di crescere con gli ascolti, trattandosi di un album assolutamente non usa e getta ma da godersi in tutta la sua fierezza metallica, consigliato agli appassionati del metal classico made in U.S.A.

TRACKLIST
1. Black Death
2. Cloaked in Darkness
3. Searching For Light
4. Silent Wings
5. Ghost
6. Other Side
7. High Road
8. World Of Decay
9. Life Incomplete
10. One Mistake
11. Demons
12. Far Away (Bonustrack)

LINE-UP
Martin O’Brien – vocals
Andrew Purchia – bass
Harry Blackwell – drums/percussion
Paul Coleman – guitars
Scott Williams – guitars

AS DARKNESS DIES – Facebook

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