Lethal Steel – Legion of the Night

L’atmosfera generale dell’album si mantiene su un mood piacevolmente oscuro e drammatico, ma Legion Of The Night rimane un lavoro che non andrà più in là di qualche apprezzamento tra i fans dell’heavy metal old school.

Operazione nostalgia?
Beh, direi che l’esordio sulla lunga distanza degli sevedesi Lethal Steel, ha tutti i crismi per essere considerato tale, visto che ogni nota, ed ogni dettaglio di Legion Of The night richiamano l’heavy metal old school, e di conseguenza i primi anni del decennio ottantiano.

La produzione ovattata, classica delle uscite di quei tempi, accentua le atmosfere vintage di questo lavoro, che sembra davvero ripescato in qualche baule dimenticato in soffitta dai musicisti di Stoccolma.
I brani che compongono il lavoro, formano un’opera che cerca di resuscitare lo spirito metallico di quei tempi come è di moda in questi anni, specialmente nell’underground, a volte riuscendoci, altre no, dando l’impressione di non scendere a compromessi con le nuove tecnologie, ma lasciando inevitabilmente qualcosa alla fruibilità dell’ascolto.
Non fraintendetemi, brani come Warrior, l’ottimo crescendo di Night Of The Witch, il giro sabbatiano di Into The Void Of Lucifer, che esplode in una cavalcata fusa nell’acciaio metallico, formano un trio di songs sopra le righe e la band ci aggiunge un’attitudine old school commovente, ma rimane un forte sentore di naftalina, troppo, anche per chi non disdegna i suoni provenienti dalla scuola classica.
Sono sufficientemente buone le ritmiche sassoni che appaiono in qualche brano come le conclusive Nocturnal Seductress e Demon from the Past, mentre l’atmosfera generale dell’album si mantiene su un mood piacevolmente oscuro e drammatico, ma Legion Of The Night rimane un lavoro che non andrà più in là di qualche apprezzamento tra i fans dell’heavy metal old school.
I richiami alla scuola tradizionale, tanto sfruttati dalle band odierne, non fanno che rendere immortale la nostra musica preferita, apprezzabili quando sono supportati comunque da buone produzioni e ottimo songwriting, i Lethal Steel, per scelta, ci immergono in atmosfere e suoni che non vanno oltre al 1981, se vi piace l’old school senza compromessi Legion Of The Night potrebbe fare al caso vostro, tutti gli altri passino oltre.

TRACKLIST
1. Sirius
2. Nattsvart
3. Rosier
4. Warrior
5. Night of the Witch
6. Into the Void of Lucifer
7. Nocturnal Seductress
8. Demon From the Past

LINE-UP
Viktor Gustafsson – Vocals
Johan Frick – Guitar
Jonathan Nordwall – Guitar
Christoffer Thyrhaug – Bass
Leo Ekström Sollenmo – Drums

LETHAL STEEL – Facebook

Grunt – Codex Bizarre

Senza entrare troppo nel contesto al quale si ispira la musica del gruppo, l’album risulta un ottimo esempio di metal estremo che viaggia sulle ali dell’industrial

Bondage, lattice e sesso estremo a iosa, questo è il mondo dei Grunt, trio che del porno non convenzionale ne fa la propria religione, esplicito anche in sede live ed accompagnato da una colonna sonora che non può che essere estrema come il concept su cui si basa.

Grind potentissimo, dalle sfumature industrial, veloce e devastante come le torture corporali inflitte a signorine a cui non dispiace essere brutalizzate da questi tre energumeni che, al secolo si fanno chiamare, Boy-Z (basso e sinth), Boy-D (batteria e voce) e Boy-G (chitarra e voce).
Codex Bizarre è il secondo lavoro, successore del debutto Scrotal Recall del 2011, con nel mezzo la cover di My Girlfriend’s Girlfriend, uscita come singolo e tributo a Peter Steele dei Type 0 Negative.
Senza entrare troppo nel contesto al quale si ispira la musica del gruppo, l’album risulta un ottimo esempio di metal estremo che viaggia sulle ali dell’industrial, un massacro modernista dove sei corde, basso e batteria, a braccetto con i suoni sintetici creano un fredda atmosfera estrema, violentissima, asettica, ma molto affascinante.
Fear Factory, Swamp Terrorists e Rammstein uniti per portare disfacimento mentale e corporale, catene, spilloni, cinghie e utensili da porno shop i ferri del mestiere di questi sacerdoti del peccato, o, come direbbero gli amanti del fetish un modo alternativo per vivere la propria sessualità tra devastante metal estremo e techno.
Techno grind è forse la migliore descrizione per la musica del gruppo, riassunta nelle clamorose due parti di Funeral Sub-Mission Suite PT 1 & 2, una stanza bianca sporcata dal sangue e dal seme dei servi, seviziati da padroni crudeli al ritmo di potenti suoni sintetici e sfuriate metalliche.
L’album si ascolta che è un piacere, compatto e cattivo non cede un attimo, continuando a disseminare atmosfere disturbanti, senza perdere un’oncia di quella insana pazzia che lo rende a suo modo unico, esplodendo in tutta la sua forza d’urto con brani estremi e morbosi come Teratoid Latex Feudalist e Vassalage Grotesque.
Musicalmente, vi invito a far vostro questo lavoro, specialmente se amate l’elettronica applicata al metal estremo, che rende Codex Bizarre un lavoro dall’input molto moderno, per il resto….

TRACKLIST
1. The Sweet Smell of Servitude
2. Teratoid Latex Feudalist
3. The Edgeplay
4. Vassalage Grotesque
5. Teased and Tormented
6. Becoming
7. Twilight Hybrid Bonanza – Shemale Part II
8. Levitra Powered Aged Predator
9. Helix Masterpiss
10. Supreme Rubbercore
11. Funeral Sub-Mission Suite Part I
12. Funeral Sub-Mission Suite Part II
13. Panzer Enema
14. Sadopsychorama
15. The Speed Freak’s Sadistical Abuse Remix

LINE-UP
BOY-G Vocals & Guitars
BOY-Z Bass & Samples
BOY-D Vocals & Drums

GRUNT – Facebook/a>

https://www.youtube.com/watch?v=8BIEQ7Ni-uA

Royal Hunt – Devil’s Dozen

Il tempo passa inesorabile ma i Royal Hunt confermano la loro innata classe, continuando a sfornare musica regale, a beneficio degli gli amanti del metal più raffinato.

C’è del metal in Danimarca!!!!

Citando la famosa frase dell’Amleto, si torna a parlare della scena danese, sopra le righe quando i suoni metal si fanno classicamente progressive e classici, con la più famosa delle band nata nella terra del nord Europa.
Il gruppo del talentuoso tastierista Andrè Andersen, torna con il tredicesimo album di una carriera che ha visto il gruppo osannato negli anni novanta, tempi di vacche grasse per il genere nella vecchia Europa, dove i Royal Hunt furono sontuosi protagonisti con due capolavori come Moving Target e Paradox.
Specialmente il primo lavoro fece scoccare la scintilla amorosa fra la band e gli amanti dei suoni metallici dai richiami prog e come in questo caso ai confini dell’AOR, facendo brillare la stella del vocalist statunitense DC Cooper, alter ego del leader e maestro dei tasti d’avorio.
Subito dopo Paradox, DC Cooper lasciò la band e i Royal Hunt affidarono il microfono, prima a John West ed in seguito a Mark Boals, due assi del microfono, continuando a scrivere ottima musica, ma è pur vero che molti fans continuarono a vedere in Cooper il vero frontman del gruppo di Andersen.
Da qualche anno Cooper è tornato al suo posto e la nuova venuta del figliol prodigo, ha portato in casa Royal Hunt due nuovi album ( oltre al live Show Me How to Live del 2008), A Life to Die For del 2013 e questo nuovo lavoro, che, se non rivela clamorose novità, conferma la bravura della band, ormai consolidata, nel saper scrivere ottima musica metal dalle trame progressive, raffinate ed eleganti, che, come ormai da un po di tempo hanno rinunciato a quegli spunti AOR che fecero di Moving Target un disco praticamente perfetto, per un approccio più power, mantenendo un’atmosfera epica e sontuosa, marchio di fabbrica dello spartito di Andersen.
Inutile dire che DC impazza su tutto il lavoro, un top singer nel suo genere, melodico e personale riesce a trasformare i ghirigori di note, in arcobaleni musicali, dall’alto tasso emozionale.
Rock/metal pomposo, trascinante e raffinato, un’apoteosi di suoni tastieristici ed ottimi solos chitarristici che accompagnano i tasti d’avorio, su e giù per la scala musicale, un songwiting come al solito debordante, fanno di questa nuova opera l’ennesimo album irrinunciabile per i fans del gruppo e per chi vive di questi suoni, Devil’s Dozen mantiene alta la qualità della musica proposta da ormai più di vent’anni dal gruppo danese, sontuoso, a tratti animato da cavalcate power, pur mantenendo un’eleganza formale che è indiscutibilmente nel DNA dei Royal Hunt.
So Right So Wrong, apre le danze e si entra nel mondo dei Royal Hunt dalla porta principale, ottima partenza di un’album che mantiene le promesse via via che brani come, May You Never (Walk Alone), la stupenda e folkeggiante Riches To Rags e la sinfonicamente metallica Until The Day, mettano l’accento sulla scaletta di questo nuovo lavoro.
Il tempo passa inesorabile ma i Royal Hunt confermano la loro innata classe, continuando a sfornare musica regale, a beneficio degli gli amanti del metal più raffinato.

TRACKLIST
01. So Right So Wrong
02. May You Never (Walk Alone)
03. Heart On A Platter
04. A Tear In The Rain
05. Until The Day
06. Riches To Rags
07. Way Too Late
08. How Do You Know (bonus track)

LINE-UP
DC Cooper – voce
Andre Andersen – tastiera
Andreas Passmark – basso
Jonas Larsen – chitarra
Andreas Habo Johansson – batteria

ROYAL HUNT – Facebook

Inner Sanctum – Legions Awake

Gli Inner Sanctum hanno personalità da vendere, creando un mood maturo e molto personale: grande band e ottimo album.

Non ricordo sinceramente il numero preciso di cd su cui quest’anno ho scritto due righe e provenienti dalla lontana India, ma sono stati tanti e tutti meritevoli di trovare uno spazio su queste pagine, con picchi qualitativi di almeno una manciata di lavori, da considerare imperdibili.

Tra questi ultimi, in zona cesarini, visto l’ormai prossimo fine anno , si aggiungono i fenomenali Inner Sanctum con questa bomba sonora dal titolo Legions Awake, primo lavoro sulla lunga distanza che segue il primo ep Provenance, uscito ormai sei anni fa.
Tanto tempo non è passato invano, anche perché il gruppo ha avuto la possibilità di suonare al fianco di nomi altisonanti del metal mondiale come Metallica, Testament, Slayer e Carcass.
Un tour nel nord Europa, e tanta fatica on stage evidentemente hanno dato al gruppo asiatico, compattezza ed un bagaglio di esperienza notevole visto l’ottima riuscita di questo primo album, una furia metallica scagliata dal loro lontano paese e che si spera possa fare molti danni dalle nostre parti.
Rigorosamente autoprodotto, ma senz’altro meritevole di trovare una label che lo sappia promuovere come si deve, Legions Awake, è prima di tutto un prodotto professionalmente ineccepibile, prodotto e mixato con tutti i crismi per essere considerato un top album, valorizzato da suoni puliti, che, anche se hai puristi può far storcere il naso è innegabile la forza e la potenza d’urto che, unite ad un ascolto perfetto, fanno del disco una piacevole esperienza d’ascolto.
Non mancano nemmeno ospiti illustri ad omaggiare il gruppo con le loro performance sulle sei corde in Existence Denied, gente del calibro di Daniel Mongrain (Voivod, Martyr, ex-Gorguts, ex-Cryptopsy), Christopher Amott (Armageddon, ex-Arch Enemy) e James Murphy (ex-Death, ex-Testament, ex-Obituary).
L’intro orchestrale Incipiens ci introduce nel mondo degli Inner Sanctum, mentre la roboante Wake Of Destruction colpisce e fa male come un diretto in pieno volto e la musica del gruppo può così trovare sfogo.
Ottima e d’effetto l’entrata in campo del vocione Gaurav Basu, una bestia assetata di sangue, una belva che fa il bello e cattivo tempo su ritmiche di stampo thrash, che alternano sfumature classiche a groove di estrazione più moderna, arricchite da una prova varia e potente di Abhinav Yogesh alle pelli.
Ancora Reflections Of The Past e Realms Of Oblivion a tenere la tensione altissima, cadenzata la prima, più veloce la seconda, non un attimo di cedimento il gruppo compatto strappa più di un applauso e questo Legions Awake si rivela, nel suo estremo incedere, un disco che non manca di acchiappare, forte di un songwriting ispirato.
Il gruppo si completa con Abhishek Michael al basso e le due asce, Chintan Chinnappa e Suraj Gulvady, il loro lavoro risulta perfetto e le songs si susseguono, lasciando a Tainted Soils e March of the Wounded lo scettro di migliori brani di questo tremebondo esempio di metal estremo.
Se volete dei nomi a cui la band si ispira, credo di non dire eresie nel menzionare Slayer e Sepultura, anche se gli Inner Sanctum hanno personalità da vendere, creando un mood maturo e molto personale: grande band e ottimo album.

TRACKLIST
1. Incipiens
2. Wake of Destruction
3. Reflections of the Past
4. Realms of Oblivion
5. Legions Awake
6. Tainted Soils
7. March of the Wounded
8. Existence Denied
9. Guardian

LINE-UP
ntan Chinnappa – Guitars
Abhishek Michael – Bass
Abhinav Yogesh – Drums
Gaurav Basu – Vocals
Suraj Gulvady – Guitars

INNER SANCTUM – Facebook

Urania – Hieros Gamos

Gli Urania propongono un interpretazione ortodossa ma non per questo meno stimolante del genere, riuscendo a mantenere desta l’attenzione dell’ascoltatore grazie al ricorso ad una scrittura lineare, efficace e talvolta anche piuttosto evocativa.

Buon debutto per questi portoghesi dei quali abbiamo ben poche notizie salvo, appunto, la loro nazionalità.

Hieros Gamos è un assaggio, non essendo particolarmente lungo visto il minutaggio ridotto rispetto agli standard del genere, di un death doom di stampo piuttosto tradizionale ma senz’altro ben eseguito nonché ricco di buoni spunti, disseminati nelle quattro tracce che compongono il lavoro.
Se le prime due di queste, fondamentalmente, sono ascrvibili alla tradizione novantiana, con le loro ritmiche sicuramente rallentate ma non ai limiti dell’asfissia, la terza, A Mantra For A New Found Hope, vede un incremento deciso dell’utilizzo dell’organo che spinge i lusitani talvolta su terreni affini agli Abysmal Grief.
La traccia conclusiva è invece la più lunga ed anche la più rallentata, con il suo incedere ai limiti del funeral ed alcune dolenti aperture melodiche degne delle migliori band del settore.
Gli Urania, indipendentemente da chi e quanti siano, propongono un interpretazione ortodossa ma non per questo meno stimolante del genere, riuscendo a mantenere desta l’attenzione dell’ascoltatore grazie al ricorso ad una scrittura lineare, efficace e talvolta anche piuttosto evocativa.
Buona la prima, per ora, in attesa di ulteriori sviluppi.

Tracklist:
1.To Walk And Learn The Path To Endless Bliss
2.Floating Above The Immense Emotional Mountain Of Self Esteem
3.A Mantra For A New Found Hope
4.Upon The Clouds Lays The Strenght Of The Soul

Nahum – And the Chaos Has Begun

And the Chaos Has Begun è un ottimo ascolto per chi ama queste sonorità, suonato bene ed estremo il giusto per portarlo dal vivo e confezionare per gli astanti un massacro death/thrash dalll’alto tasso guerresco

Torna il gruppo nativo della Repubblica Ceca, che prende il proprio monicker dal chitarrista Tomash Nahum e lo fa con un altro assalto death/thrash dall’impatto dannoso come una bomba atomica.

Secondo lavoro dunque per il la band di Ostrava, dopo The Gates Are Open del 2012, rigorosamente autoprodotto e di cui la Musick Attack Production ne cura la distribuzione.
Non molto lungo ( un bene in questi casi) ma compatto e sferragliante come un carro armato sul campo di battaglia, il nuovo lavoro colpisce nel segno, ignorante il giusto per piacere ai fans del thrash classico, ma dirompente e potentissimo per fare la gioia degli amanti dei suoni estremi, And the Chaos Has Begun non disdegna solos dal sapore classico, ottime cavalcate metalliche dove l’eclettica voce di Pavel Balcar, passa con disinvoltura dal growl ad un ruvido scream di estrazione black/thrash cattivissimo.
Poco più di mezzora di caos primordiale, una tromba d’aria che si abbatte sull’ascoltatore tra ritmiche a palla, doppia cassa a manetta ed un lavoro chitarristico di ottima fattura.
Dal singolo Raging Chaos, veniamo travolti dall’enorme forza bruta del quintetto ceco, che senza compromessi parte all’assalto, senza lasciare tregua, Vomit the Darkness e Creator of Emptiness continuano il massacro, ora con ritmiche thrash che colpiscono il bersaglio, ora lanciando dinamitarde bordate di death metal, il tutto molto statunitense come scuola di appartenenza e la battaglia continua, senza esclusione di colpi.
Slayer, i Testament di Low, Malevolent Creation ed Exodus, escono dalle bocche di fuoco del gruppo, che, prima di avventurarsi in crescendo estremi, ci prepara al peggio con arpeggi oscuri ( Funeral of Age ) o con marziali marce guerrafondaie, alla conquista del nemico ( Under Fire).
Ottima la prova dei musicisti, su cui spiccano le due asce (Tomash Nahum e Michal Kapec) e d’impatto la sezione ritmica, che non concede tregua (Jan Balcar al basso e Tom Brighter alle pelli).
And the Chaos Has Begun risulta così un ottimo ascolto per chi ama queste sonorità, suonato bene ed estremo il giusto per portarlo dal vivo e confezionare per gli astanti un massacro death/thrash dalll’alto tasso guerresco, un ascolto è obbligato.

TRACKLIST
1. Raging Chaos
2. Vomit the Darkness
3. Creator of Emptiness
4. Funeral of Age
5. Damned
6. The Clash of the Fury
7. Under Fire
8. Rotten Lies
9. www (World Wide War)

LINE-UP
Tomash Nahum Guitars
Pavel Balcar Vocals
Jan Balcar Bass
Tom Brighter Drums
Michal Kapec Guitars

NAHUM – Facebook

Vanden Plas – Chronicles of the Immortals: Netherworld II

Un gruppo del genere nobilita il metal in senso lato e dovrebbe vedere i suoi lavori ben conservati sulla mensola di ogni appassionato, a prescindere dal genere preferito. Arte senza se e senza ma.

Tornano a distanza di un anno i grandiosi Vanden Plas con la seconda parte del concept tratto da Le Cronache degli Immortali, trilogia fantasy scritta da Wolfgang Hohlbein, fan della band a cui tempo fa propose la trasposizione in musica della sua opera.

L’album è clamoroso, come d’altronde la prima parte e come negli anni la band di Kaiserslautern ci ha abituato, iniziando dallo stupendo debutto Colour Temple, uscito nel 1994, per proseguire nel corso del ventennio con una serie di album dalla qualità superiore, forse poco considerata, specialmente dagli addetti ai lavori, colpevoli molto spesso di rincorrere le new sensation del genere lasciando le briciole ai veri artisti dello spartito.
Poco male, il gruppo tedesco nel corso degli anni ci ha deliziato con album straordinari (su tutti The God Thing del 1997 e Christ O del 2006) e non contento ha portato la propria arte sul palcoscenico di un teatro, per reinterpretare opere immortali come Jesus Christ Superstar, The Rocky Horror Show e La Piccola Bottega degli Orrori.
La storia su cui la band ha creato questo stupendo arabesco di suoni vede come protagonista Andrej Delàny, cavaliere immortale che trova, al ritorno nel suo paese di origine situato in Transilvania, solo distruzione e morte.
L’unico sopravvissuto alla strage (Frederic) lo informa che il colpevole è un cardinale, alla guida di tre cavalieri dalle armature dorate e che tra i pochi sopravvissuti, fatti prigionieri c’è anche suo figlio.
Inizia così l’avventura, che vedrà i due sulle tracce dei cattivi, tra mille avventure e scontri, in cui Andrej scoprirà di essere parte di una stirpe di cavalieri immortali, diretti discendenti dei vampiri transilvani.
L’album, come la prima parte, non fa che ribadire l’immenso talento del gruppo, con un Andy Kuntz sontuoso, interprete magnifico delle avventure dei nostri eroi, che sommato alla bravura strumentale dei fratelli Andreas e Stephan Lill (rispettivamente batteria e chitarra), al basso di Torsten Reichert e ai tasti d’avorio del fenomenale Günter Werno, fanno dei Vanden Plas un gruppo di inestimabile valore, alle prese con un’opera che ci investe con una valanga di emozioni.
Diviso in nove visioni, l’album si apre con My Universe, dove la voce teatrale di Kuntz ci introduce alla seconda parte del concept, accompagnata da un poderoso riffone metallico a far coppia con le tastiere di Werno.
Si entra nel cuore dell’opera e il gruppo incanta, Godmaker’s Temptation e Stone Roses Edge sono prog metal songs teatrali e sontuose, magnifico il lavoro dei tasti d’avorio nella seconda che concede un refrain molto Dream Theater ed una sezione ritmica ruvida.
Blood Of Eden emoziona in un turbine di suoni tra pianoforte, fiati e violoncello ed una voce femminile che accompagna Kuntz, nel dialogo tra il cavaliere e la sua defunta consorte e si va via, con la mente persa in quei luoghi nascosti da una spessa coltre di nebbia, portati dalle scale musicali del gruppo che continua a deliziare con atmosferiche parti melodiche e fughe dure come l’acciaio, dove la doppia cassa spinge sull’acceleratore e lo spirito metallico esce, immortale come il protagonista, in tutta la sua leggendaria fierezza (The Last Fight).
La conclusiva Circle Of The Devil, musicalmente risulta un sunto di tutto il ben di dio racchiuso in questo lavoro, parte orchestrale che lascia spazio alla furia metallica per tornare ai suoni dell’opener, per una conclusione degna di un’opera dall’elevato tasso qualitativo.
Un gruppo del genere nobilita il metal in senso lato e dovrebbe vedere i suoi lavori ben conservati sulla mensola di ogni appassionato, a prescindere dal genere preferito. Arte senza se e senza ma.

TRACKLIST
1. Vision 11even- In My Universe
2. Vision 12elve- Godmaker’s Temptation
3. Vision 13teen- Stone Roses Edge
4. Vision 14teen- Blood of Eden
5. Vision 15teen- Monster
6. Vision 16teen- Diabolica Comedia
7. Vision 17teen- Where Have the Children Gone
8. Vision 18teen- The Last Fight
9. Vision 19teen- Circle of the Devil

LINE-UP
Torsten Reichert – basso
Andreas Lill – batteria
Stephan Lill – chitarre
Günter Werno – tastiere
Andy Kuntz – voce prog metal

VANDEN PLAS – Facebook

Fungus – The Face of Evil in the Sealed Room

Lo stile dei Fungus può essere etichettabile in vari modi ma forse nessuno di questi sarebbe del tutto esauriente: di sicuro guarda ai decenni più fertili del secolo scorso, facendolo con il frequente ricorso a soluzioni volutamente vintage ma non per questo obsolete

Cominciamo con un mea culpa: nonostante siano miei concittadini ho scoperto l’esistenza dei Fungus solo in seguito ad una loro breve esibizione risalente alla scorsa estate, in occasione del Festival delle Periferie in quel di Genova Cornigliano.

Vero è che la scena progressive/rock la seguo ormai da tempo un po’ a macchia di leopardo, ma la lacuna resta, specie in questi tempi bizzarri, nei quali magari si finisce per conoscere vita morte e miracoli di gruppi della Papuasia ma si ignora l’esistenza di chi vive ed opera a pochi chilometri da casa tua, nel senso vero del termine se pensiamo che uno dei primi parti discografici dei Fungus è la registrazione di un concerto tenutosi nel 2005 a Murta, amena frazione collinare del comune di Genova limitrofa a quella dove risiedo.
Detto questo, mi concedo un ultimo (spero) luogo comune piazzando un bel “meglio tardi che mai”: per fortuna l’arte non conosce prescrizione ed avvalersi della bellezza di un disco come The Face of Evil, a due anni abbondanti dalla sua uscita, non sminuisce affatto il piacere dell’ascolto e della scoperta.
L’occasione per parlarne deriva dalla pubblicazione in doppio vinile dell’album in questione, arricchito del lungo brano The Sealed Room, uno degli ultimi lasciti dell’indubbio genio compositivo di Alejandro J Blissett, chitarrista e fondatore della band, prematuramente scomparso nel 2014.
Lo stile dei Fungus può essere etichettabile in vari modi ma forse nessuno di questi sarebbe del tutto esauriente: di sicuro guarda ai decenni più fertili del secolo scorso, facendolo con il frequente ricorso a soluzioni volutamente vintage ma non per questo obsolete: se vogliamo fare un parallelismo, magari audace, con una band dei giorni nostri, qualche similitudine la si può trovare con i Bigelf, rispetto ai quali le sonorità sono sicuramente meno robuste a fronte di affinità notevoli nel saper maneggiare con gusto ed inventiva certi suoni del passato (in primis quelli tastieristici).
E’ chiaro che hard rock, progressive ed una spruzzata di folk sono gli ingredienti di base di una ricetta vincente, che potrà scontentare solo chi pensa che volgere lo sguardo all’indietro sia esclusivamente una soluzione nostalgica e priva di sbocchi: nulla di più falso, la bravura dei Fungus nell’elaborare il tutto in maniera piuttosto personale è innegabile e se qualcuno li vorrà snobbare trovandoli derivativi o eccessivamente retrò è affar suo.
In realtà ogni brano nasconde sviluppi ben poco prevedibili e direi che questo compensa non poco qualsiasi altra perplessità che possa sorgere nei confronti del lavoro: certo, magari The Sun (brano conclusivo della versione originale di The Face Of Evil) non è forse la traccia ideale per chiudere un album così impegnativo, a causa dei suoi continui cambi di scenario conditi di improvvisazioni e sperimentalismi vari, uniti ad una lunghezza considerevole, e la stessa bonus track, di durata ancor più corposa, nulla aggiunge alla bontà di un’opera che vede altrove i suoi picchi. Al termine dell’ascolto, infatti, a restare impresse sono soprattutto la magnifica Rain, con la chitarra di AJ Blissett a livelli di assoluta eccellenza, la folkeggiante The Key of the Garden, ma anche Better Than Jesus e la title track, senza dimenticare la delicata Gentle Season, traccia che ricorda non poco il Peter Hammill più intimista.
Detto dello scomparso chitarrista e della bontà del suo operato, da rimarcare il tocco tastieristico del bravissimo Claudio Ferreri e le doti interpretative di Dorian Deminstrel, vocalist magari non dotato di un’estensione fuori dal comune, ma sicuramente versatile e, soprattutto, capace di trasmettere adeguatamente all’ascoltatore le sensazioni e le emozioni connesse ad una proposta musicale decisamente affascinante, benché talvolta intricata.
Senz’altro un bella (ri)scoperta in attesa del prossimo lavoro con il quale, peraltro, andrà verificato come i Fungus siano riusciti a metabolizzare, sia dal punto di vista compositivo che da quello prettamente personale, una perdita pesante come quella del loro compagno di avventura.

Tracklist:
1. The Face of Evil
2. Gentle Season
3. The Great Deceit
4. Rain
5. The Key of the Garden
6. Shake Your Suicide III
7. Angel with No Pain
8. Better than Jesus
9. Requiem
10. The Sun
11. The Sealed Room

Line-up:
Dorian Deminstrel – voce, chitarre acustiche
Alejandro J Blissett – chitarre, theremin
zerothehero – basso, flauto
Claudio Ferreri – tastiere
Caio – batteria

FUNGUS – Facebook

Cerebric Turmoil – Neural Net Meltdown

Neural Net Meltdown è un album che troverà estimatori per chi apprezza il metal estremo tecnicissimo, trovando in esso spunti esaltanti come nelle intricate parti di alcuni brani.

Nati dalle ceneri dei Chaosphere, nel 2006 i Cerebric Turmoil iniziano la loro attività nella scena estrema e aiutati da una notevole tecnica strumentale, si buttano a capofitto nella scena brutal death, basato sulla tecnica.

Neural Net Meltdown è il loro primo lavoro sulla lunga distanza ( anche se l’album dura solo mezzora), dopo che il gruppo di Berlino ha rilasciato lungo la sua decina d’anni di vita due demo ed un paio di split, il primo nel 2008 insieme ai Defeated Sanity, ed il secondo, una sorta di compilation in cui apparivano una manciata di gruppi della scena come Tears of Decay, Very Wicked, Fetocide e Johnston.
Che i musicisti sappiano suonare i propri strumenti è un dato di fatto, così come l’indubbia capacità di amalgamare death metal, grindcore e soluzione al limite del jazz e il risultato ad un primo ascolto risulta clamoroso, proprio per l’elevata capacità strumentale dei protagonisti.
Rimane un po’ di rammarico per la totale mancanza della forma canzone, importantissima secondo il sottoscritto, anche nel metal più estremo e cerebrale, in questo lavoro avvulsa nelle intricate parti che la band vomita letteralmente sull’ascoltatore, che non trovando punti di riferimento, si trova a vagare nel labirintico spartito di Neural Net Meltdown senza meta, completamente stravolto dalla valanga di note suonate dal gruppo tedesco.
Peccato perchè le potenzialità ci sono tutte, il brutal death del gruppo risulta devastante e le buone idee non mancano, sono solo un po troppe. così da creare a tratti un songwriting leggermente confuso.
Nel genere, quello che per un neofito può sembrare un dettaglio, fa la differenza tra un album sufficiente ed uno notevole, per capirci, molte volte non basta solo saper suonare alla grande uno strumento per piacere a chi ti ascolta.
Neural Net Meltdown rimane comunque un album che troverà estimatori in chi apprezza il il metal estremo tecnicissimo, trovando in esso spunti esaltanti come nelle intricate parti di Twitching Eye Staccato, Discordian Equilibrium, Soul Famine e Vile Effect Momentum.
Molta tecnica ma emozioni zero, alla prossima.

TRACKLIST
1. Introduction
2. Twitching Eye Staccato
3. Secluded Out of Touch by Avoiding Mankind
4. Metaphysics (Skit)
5. Discordian Equilibrium
6. Grotesque Dreaming
7. Soul Famine
8. Bitstorm
9. Tangled in Trial and Error Scenarios
10. Vile Effect Momentum

LINE-UP
Marcus Klemm – Drums
Marte “McFly” Auer – Guitars
Chris – Reese Vocals
Fux – Bass (tracks 2, 7, 9, 10)

CEREBRIC TURMOIL – Facebook

Portrait Of A Murder – Portrait Of A Murder

Possente creatura musical – mefitica da Torino, con un death metal fortemente hardcore e con tanto groove pesante.
Questo disco non è certamente fuori tempo massimo, poiché i dischi ben fatti e con passione non seguono mode o altri momenti, ma ci sono sempre a ricordarci che il metal mena forte.

I Portrait Of A Murder sono ciò che dice il nome, la raffigurazione in musica del nostro lato oscuro, la storia di serial killers, che poi erano quelli che si sedevano di fianco a noi in autobus, o addirittura sono dentro di noi.
Il disco è beatamente claustrofobico, pesante e con tante mazzate. Il loro suono ha sicuramente origini ben precise, ma a me per freschezza e tangibilità fisica mi ricorda molto i Gojira, per quell’impasto sono che picchia fortemente e che non ti lascia scampo.
Vi sono anche aperture sonore invidiabili, sia per melodia che per potenza, e che contribuiscono a fare di questo disco una delle migliori uscite metal italiane di questo 2015.
Molto lo si deve anche alla produzione di Mimmo ” Pentothal ” Musto che ha reso ancora migliore questo ep.
L’ingrediente principale di questo disco è il disagio, e il metal è uno dei codici più adatti a cantare le storie che non vorremmo nemmeno pensare.
Gran debutto davvero.

TRACKLIST
1.Zombie
2.Pandora
3.Relentess
4.Jeffrey
5.Black Widow

LINE-UP
Alessio – Vocals
Luca – Bass
Davide – Drums
Alfred – Guitar

PORTRAIT OF A MURDER – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=H1RQKQ1mJic

Avatarium – The Girl With The Raven Mask

Doom metal classico ai massimi livelli che non manca di affascinare ed esaltare nei brani in cui la band lascia le briglie e lo stallone metallico può finalmente cavalcare libero, sulle praterie che hanno visto le chiome al vento di Raimbow, Uriah Heep, Black Sabbath e Blue Öyster Cult.

Nella tempesta di suoni vintage, che hanno caratterizzato gli ultimi anni di produzione hard rock e metal, gli Avatarium si posizionano molto in alto nelle preferenze degli amanti dei suoni di ispirazione classica e settantiana, grazie all’esplosivo debutto omonimo, uscito un paio di anni fa, bissato dal nuovo lavoro, questo monumento al doom classico che risulta The Girl With The Raven Mask.

D’altronde la Nuclear Blast ci ha messo lo zampino già dal primo album, troppo importante una band che vede nella propria line up musicisti dalle enormi capacità capitanati dallo storico bassista dei Candlemass, Leif Edling, un nome che è sinonimo di grande musica del destino ( Krux, Leif Edling, Abstrakt Algebra, Witchcraft), accompagnato in questa nuova avventura da Lars Sköld alle pelli( Tiamat), Marcus Jidell alla sei corde (Royal Hunt, Evergrey, Candlemass), Carl Westholm alle tastiere ( Krux, Leif Edling, Abstrakt Algebra, Candlemass) e dalla bellissima voce della singer Jennie-Ann Smith.
Doom metal raffinato risulta la proposta del gruppo svedese, che amalgama sapientemente il sound del primo lavoro con quanto fatto nell’ep seguente dello scorso anno (All I Want) dove era forte una componente melodica e rock, che la band sviluppa in questo ottimo nuovo album, per un risultato che metterà d’accordo un po’ tutti i fans della musica del destino dai rimandi classici.
Tastiere dal taglio leggermente progressivo, sono la principale caratteristica del sound di questi nuovi brani, dove le ritmiche settantiane e la voce passionale della vocalist, rendono omaggio ad una buona fetta dei gruppi storici, che ci hanno accompagnato tra in quel decennio  e nel successivo.
E’ uno tsunami di suoni ipnotici, una liturgia doom psichedelica dove ogni strumento, aiutato da un’ottima produzione esce potente e cristallino, contribuendo a rendere The Girl With The Raven Mask un’opera che non fa rimpiangere il clamoroso debutto, ma ne è il legittimo erede.
Inutile sottolineare la prova di musicisti dal curriculum invidiabile e sarei ripetitivo nel glorificare la prova di Jennie-Ann Smith, singer dotata di un carisma straordinario, perfetta per il genere suonato dal gruppo.
Meno monolitico e più vario del suo famoso predecessore, l’album ha, nei picchi qualitativi scalati da brani come, The January Sea, Pearls And Coffin, Ghostlight e Run Killer Run, spettacolare hard rock tra Uriah Heep e Raimbow la massima espressione del gruppo svedese.
Doom metal classico ai massimi livelli che non manca di affascinare ed esaltare nei brani in cui la band lascia le briglie e lo stallone metallico può finalmente cavalcare libero, sulle praterie che hanno visto le chiome al vento di Rainbow, Uriah Heep, Black Sabbath e Blue Öyster Cult.
Acquisto obbligatorio per gli amanti di queste sonorità.

TRACKLIST
1. Girl With The Raven Mask
2. The January Sea
3. Pearls and Coffins
4. Hypnotized
5. Ghostlight
6. Run Killer Run
7. Iron Mule
8. The Master Thief

LINE-UP
Jennie-Ann Smith: Vocals
Marcus Jidell: Guitars
Leif Edling: Bass
Lars Sköld: Drums
Carl Westholm: Keyboards

AVATARIUM – Facebook

War Anyway – War For Peace

Un lavoro industrial/metal/rock su cui vale la pena soffermarsi

I francesi War Anyway, formazione a due di cui è stato impossibile trovare i nomi, debuttano sulla breve distanza con i cinque brani del controverso ep War For Peace. Il disco, incentrato sul tema della guerra come portatrice di pace (?), insiste su ritmi marziali abbinati a riusciti mix di melodia e ruvidezza.

Le isolate pulsazioni di Crossing The Rubicon, si sviluppano ben presto in un trascinante rock industriale incentrato su batteria, chitarra e synth (ottimi i ritornelli), mentre l’alternarsi di energia e (relativa) quiete di We Are The Army, risultando sempre coinvolgente e deciso, lascia che a seguire sia il breve e spigliato procedere di Actions Have Consequences.
Il torbido svilupparsi dell’elettrica e incisiva The Rise Of A Tyrant, invece, cede spazio al più ragionato svilupparsi (non meno determinato) della conclusiva e intensa The System Is Down.

I cinque brani proposti dai War Anyway, tralasciando le tematiche del concetto di guerra e di pace (e di come raggiungere quest’ultima), vanno dritti al punto in maniera diretta ed efficace, convincendo fin dal primo ascolto. Un lavoro industrial/metal/rock su cui vale la pena soffermarsi.

TRACKLIST
01. Crossing The Rubicon
02. We Are The Army
03. Actions Have Consequences
04. The Rise Of A Tyrant
05. The System Is Down

WAR ANYWAY – Facebook

ChaosWolf – Templo de Palabras Muertas

Black metal crudele. ruvido e misantropico, atmosfere old school che si stagliano nell’oscurità illuminata da due occhi diabolici, quelli di Chaoswolf.

Black metal crudele. ruvido e misantropico, atmosfere old school che si stagliano nell’oscurità, illuminata da due occhi diabolici, quelli di Chaoswolf, vocalist e padrone di questa one man band, che vede agli ordini dell’artista messicano in sala d’incisione due musicisti come Senectus e Berserker, volta a diffondere il male, il disordine ed il caos lungo le terre del Centro America.

Scrive musica dal 2007 Chaoswolf, da quando licenzia il demo Lycanthropic Passages and Mystic Blackness, da allora una serie di demo ed un primo full length uscito un paio di anni fa, The Fall of the Idols.
Cantato nella sua lingua madre, il nuovo lavoro è un classico esempio di black metal old school, che riprende la tradizione scandinava( Darkthrone), con qualche sfumatura che richiama i Necromantia, comunque sempre tenendo altissima la tensione, brutale, oscura e malvagia.
Produzione vecchia maniera, screaming catacombale, ed attitudine misantropica fanno da concept alla musica del singer messicano, un demone liberato dalle catene, che lo legavano al pavimento di una caverna al centro della terra, ed ora libero di destabilizzare con il suo efferato esempio di musica estrema, completamente devota al all’oscurità.
Templo de palabras muertas, è il classico disco che arriva in ritardo di almeno vent’anni, pregno di attitudine vecchia scuola e senza compromessi, risultando comunque un buon prodotto per i fans più oltranzisti del genere.
D’altronde la scena underground è lungi da non considerare opere del genere, specialmente quando vivono di passione come questo lavoro.
Le atmosfere non concedono tregua e Templo de palabras muertas risulta così un omaggio al true black metal, dove Orgasmortem (o de la Libido Perpetua), El discurrir de un cáncer del ser e la conclusiva The End of Black Metal Paradise, risultano le songs più convincenti di un’opera only for fans.

TRACKLIST
1. La escisión de Ouróboros
2. Orgasmortem (o de la Libido Perpetua)
3. Irreverencia (o el evangelio negro de la VeraLux)
4. Tanatema
5. La muerte de Calvarium Funestus (o el gesto irónico de su sepultamiento)
6. El retorno de lo reprimido
7. El discurrir de un cáncer del ser
8. Extraducción a lo inconsciente
9. Wings of Paradox (In the Cynic Valley)
10. The End of Black Metal Paradise

LINE-UP
Chaoswolf – Vocals
Berserker – Session Drums, Guitars
Senectus – Session Guitars, Bass, Drums

CHAOSWOLF – Facebook

“Killed By Death”

Non è nell’indole della nostra webzine pubblicare puntualmente articoli commemorativi quando viene a mancare un grande personaggio del mondo musicale ma, nel caso della morte di una delle ultime vere icone del rock/metal, quale è stato Lemmy Kilmister, non ci siamo potuti tirare indietro.

L’ultimo “coccodrillo” lo scrissi in occasione della tragica scomparsa di Francesco Di Giacomo, un uomo e un musicista che, istintivamente, è da considerarsi agli antipodi del leader dei Motörhead: eppure, a ben vedere, entrambi sono stati accomunati dall’aver vissuto fino alla fine dei loro giorni calcando i palchi senza diventare neppure per un attimo la caricatura di sé stessi, con la differenza che l’artista inglese è stato quasi “condannato” a farlo dalla sua stessa indole, avendo in qualche modo consacrato la sua intera esistenza alla vita on the road.
Ma è chiaro che la morte di Lemmy assomiglia molto alla dipartita di un amico che ci ha accompagnato nel corso della nostra esistenza, con le proprie canzoni semplici, essenziali ma dannatamente efficaci e capaci di veleggiare nel tempo senza perdere un oncia della loro carica eversiva. Dico tutto questo, ci tengo a precisarlo, senza essere neppure mai stato un fan incallito dei Motörhead: per chi come me è approdato al metal con un retaggio progressive, è naturale prediligere le forme più emozionali e strutturate del genere rispetto al lineare “palla lunga e pedalare” che solo Lemmy e soci, però, dall’alto della loro grandezza, potevano permettersi di perpetuare all’infinito senza che nessuno avesse alcunché da ridire.
Ma più che sul musicista è interessante fare una riflessione sull’uomo Lemmy Kilmister: nella vasta aneddotica che sta monopolizzando la rete in questi giorni successivi alla sua scomparsa, emerge in maniera unanime l’immagine di una persona semplice, diretta e sorprendentemente colta, caratteristiche che fanno abbastanza a pugni con l’iconografia della rockstar selvaggia dedita a sesso, droga e rock’n’roll, alla quale è sempre stato inevitabilmente abbinato.
E, in effetti, credo che Lemmy sia stato uno dei pochi miti delle sette note ad essere amato in maniera incondizionata un po’ da tutti (dagli stessi colleghi in primis) e in maniera trasversale, indipendentemente dal gradimento specifico nei confronti della sua musica, proprio per il suo essere stato sempre sé stesso, senza abusare del proprio invidiabile status ed evitando di ridursi, come accaduto invece a molti altri, ad un semplice pupazzo manovrato dallo show business ad uso e consumo dei fans.
Persino il cancro, un mostro di solito impietoso nello scegliere e perseguire i propri obiettivi, ha deciso di presentargli il conto molto più tardi di quanto il suo stile di vita avrebbe fatto presagire, e gli ha pure risparmiato la penosa trafila di cure vane e devastanti , avvinghiandolo nelle sue mortali spire pochi giorni dopo essere stato diagnosticato.
Ci mancheranno la sua particolare postura sul palco, con il microfono collocato ad altezze improbabili, e la sua voce cartavetrata dall’abuso cinquantennale di Jack Daniels e sigarette, ma la sua eredità resterà negli anni a venire, con un brano come Ace Of Spades che continuerà ed essere ascoltato e suonato finché ci sarà musica su questo pianeta.

Infamy – The Blood Shall Flow

The Blood Shall Flow si distingue per il sound che non concede tregua, quaranta minuti di assalto sonoro senza compromessi

La Terror From Hell, protagonista di un gran lavoro nel riesumare chicche metalliche, specialmente nei generi estremi, ci propone l’unico full length degli Infamy, quartetto proveniente da Los Angeles con all’attivo solo due demo, oltre ovviamente a questo lavoro uscito originariamente nel 1998, anno in cui, purtroppo perse la vita il bassista e cantante Joshua “Jagger” Heatley.

Il gruppo ad oggi risulta attivo, anche se l’ultima uscita discografica risale al lontano 2001 con il demo Burning Vengeance, poi il nulla.
Ma veniamo a questo buon full length, dallo stile che non può che essere americano, brutale e oscuro come la tradizione insegna, cadenzato e potente, attraversato da accelerazioni, chitarroni ribassati ed un growl uscito direttamente dall’antro più buio dell’inferno.
Niente di clamoroso, ma dall’impatto violento ed evil, The Blood Shall Fall riassume il sound prodotto dalla costa losangelina negli anni d’oro del death metal, alter ego della scuola scandinava e per molti re/tiranno di tutta la musica estrema.
The Blood Shall Flow si distingue per il sound che non concede tregua, quaranta minuti di assalto sonoro senza compromessi, magari per alcuni fin troppo statico nel sound, ma per i fans del genere un assatanato esempio della forza bruta proposta dal gruppo californiano.
L’opener The Maggots Are in Me, Onslaught of Carnage, Salem’s Burning e la title track, non fanno che confermare lo stato di grazia del genere in quegli anni e gli Infamy si aggiungono ai gruppi che seguivano con buoni risultati le devastanti opere di Immolation, Deicide e dei sovrani Morbid Angel.
Il lavoro in questione merita sicuramente una rivalutazione da parte degli amanti del genere, sia i giovani fans che quelli più attempati a cui all’epoca sfuggì questa uscita.

TRACKLIST
1. The Maggots Are in Me
2. Bodily Disembowelment
3. Onslaught of Carnage
4. Cranial Implosion
5. Putrid Infestation
6. Salem’s Burning
7. Mass Cremation
8. Lacerated
9. The Blood Shall Flow
10. Cryptobiosis

LINE-UP
Mark “Shark” Casillias – Guitars
Joshua “Jagger” Heatley – Bass, Vocals
Memo Mora – Vocals, Guitars
James Grijalva – Drums

https://www.youtube.com/watch?v=KM95UO0nihs

Amezarak – Diabolical Finale Mortum

Black Metal veloce, tirato e classicheggiante per questo progetto solista dalla Russia.

Black Metal veloce, tirato e classicheggiante per questo progetto solista dalla Russia.

Il suono è un misto di black  e di sonorità più vicine al metal classico, e l’esecuzione è pulita, come in qualche classico scandinavo. Le liriche in russo trattano a quanto pare, di religione massacri ed amenità varie, ma è la musica che la fa da protagonista, regalandoci un disco mai scontato né banale, composto con nera sapienza e tanta cattiveria. Lo stile classico di Amezarak regala molte gioie agli ascoltatori e lo apprezzerà anche chi vuole qualcosa di nuovo dal black metal, perché la vecchia scuola è sempre fondamentale.

TRACKLIST
1.Амезарак – Запах гроба
2.Амезарак – Здесь Зло
3.Амезарак – Некромант
4.Амезарак – Без инфантильной красоты
5.Амезарак – Лёд сердец
6.Амезарак – Жертва
7.Амезарак – Элоа
8.Амезарак – Finale (Part 1)
9.Амезарак – Finale (Part 2)

LINE-UP
Amerazak

http://amezarak.ru

Bed Of A Nun – Waiting For A Visit

Profondo e maturo, scritto da musicisti di indubbia esperienza e talento, Waiting For A Visit lascia che le emozioni ci invadano

Arrivano all’esordio tramite Pure Rock Records, costola della label tedesca Pure Steel dedicata al rock, i Bed Of A Nun, creatura di quel genio musicale che è Günter Maier, ex chitarrista e leader degli Stygma IV prima e Crimson Cult poi, accompagnato in questa poetica avventura da Lem Enzinger ex Schubert e No Bros alla voce, Peter Bachmayer alle pelli e Alex Hilzensauer al basso.

Dimenticatevi il metallo progressivo dei clamorosi Stygma IV o il sound doom classico dei Crimson Cult, la nuova identità del chitarrista sposta le coordinate della sua musica verso lidi rock, molto poetici e melanconici, interpretati dal tono sofferto e cantautorale del singer, per un viaggio nella mente di un malato, solo con il suo dolore, i ricordi e la prossima vicinanza alla morte.
Trame acustiche che riempiono di suoni intimisti e tragici i brani, l’elettricità della sei corde che entra, con dolcezza nel sound altrimenti drammaticamente lieve del disco, sono le caratteristiche principali di quest’opera, che ha momenti davvero intensi, d’autore, molto emozionali nella sua tristezza di fondo.
A tratti la rabbia per quello che non è stato prende il sopravvento e ne escono song dal taglio rock velatamente progressivo (la bellissima Downstairs) e si esprime in tutta la sua potenzialità l’enorme talento di Maier, questa volta solo ed esclusivamente al servizio dei brani di Waiting For A Visit.
Ancora Deathless While, altro brano dall’elevata elettricità che scaturisce in ritmi sincopati, ed aperture melodiche spazzate via dal solos heavy di Maier, ma rimangono episodi di un lavoro che poggia le sue fondamenta sulla romantica poesia che, le trame acustiche e l’interpretazione vocale sono le indiscusse protagoniste, regalando tragiche perle come Rebel Boy, Autumn Train e The Last Song, terzetto dall’alto potenziale melanconico e chiusura di un album animato da sentimenti ed emozioni, al quale l’uomo magari non dà peso nel corso della propria vita, ma con cui prima o poi ci si deve confrontare.
Profondo e maturo, scritto da musicisti di indubbia esperienza e talento, Waiting For A Visit lascia che le emozioni ci invadano: un album che propone musica atmosfericamente forte, ancora più intensa proprio per la capacità di far male rimanendo legata a suoni acustici, ma dall’impatto emozionale di un carro armato.
Dove compare il chitarrista austriaco c’è sempre grande musica, bentornato Günter.

TRACKLIST
1. frozen
2. Jesus on a bicycle
3. Howl
4. face in the clouds
5. what is…
6. downstairs
7. marble beauty
8. deathless while
9. bullet thoughts
10. rebel boy
11. autumn train
12. the last song

LINE-UP
Günter Maier – guitars
Lem Enzinger – vocals
Peter Bachmayer – drums
Alex Hilzensauer – bass

BED OF A NUN – Facebook

Without Dreams – Rejected by Angel, Betrayed by Demon

L’ascolto di Rejected by Angel, Betrayed by Demon regala diversi attimi di funeral doom magari un po’ ruspante nella forma, ma sicuramente genuino negli intenti e capace di toccare, sia pure a intermittenza, le giuste corde.

Ancora una one man band russa si presenta sulla ormai piuttosto affollata scena funeral death doom.

Il nostro Thanataur, da quanto ci è dato sapere, dovrebbe essere al suo passo d’esordio ufficiale con il monicker Without Dreams, e di certo non si è fatto intimorire dalla cosa, visto che Rejected by Angel, Betrayed by Demon consta di soli due brani ma della durata complessiva ben superiore all’ora.
Questo lavoro può essere preso ad emblema di come, non sempre, far tutto da soli si riveli un vantaggio: l’album dal punto di vista prettamente compositivo è decisamente valido, alla luce delle atmosfere plumbee ma sempre intrise di melodia che il musicista di Ekaterinburg mette sul piatto; purtroppo, tutto ciò non viene sorretto costantemente da una tecnica strumentale all’altezza, specie nei passaggi di chitarra solista che, se affidati a mani più sapienti, avrebbero potuto fare davvero la differenza. Così il disco offre il meglio nei momenti più ruvidi, quando un buon growl sovrasta riff pesanti adeguatamente supportati dalle tastiere, mentre negli altri frangenti, inclusi quelli pianistici, l’esecuzione appare cosi scolastica da rendere il tutto alla stregua di un buon demo e nulla più.
Di positivo c’è sicuramente da rimarcare che, quando il sound si muove su territori affini a Comatose Vigil ed Ea, Thanataur è in grado di produrre con disinvoltura momenti senz’altro evocativi, il che fa rimpiangere davvero altri strutturati in maniera troppo minimale o approssimativa.
Per un appassionato del genere, più propenso per sua natura a passare sopra certe imperfezioni, Rejected by Angel, Betrayed by Demon risulterà comunque un lavoro gradevole, ma lo stesso non potrà verificarsi per chi approda in questi lidi ricercando aspetti più formali che non prettamente emotivi,
In sintesi, se Thanataur riuscisse a reperire un chitarrista capace di riprodurre al meglio le sue buone intuizioni melodiche, oppure se egli stesso facesse un passo avanti in tal senso sfruttando anche in maniera più adeguata il lavoro di produzione, il prossimo album dei Without Dreams potrebbe rivelarsi ben più convincente, anche se alla fin fine l’ascolto di Rejected by Angel, Betrayed by Demon regala diversi attimi di funeral doom magari un po’ ruspante nella forma, ma sicuramente genuino negli intenti e capace di toccare, sia pure a intermittenza, le giuste corde.

Tracklist
1.Demon of Suicide
2.Fallen Angel

Line-up:
Thanataur – Everything

VV.AA. – Transcending Obscurity – Label Sampler Vol.1

Un’importante veduta sull’enorme lavoro che la Transcending Obscurity sta facendo per supportare al meglio il mondo metallico, specialmente in un’area dallo smisurato potenziale come quella dell’Asia meridionale.

Chi segue le pagine metal sulla nostra webzine sa che, pur portando all’attenzione dei lettori le uscite più importanti del nostro genere preferito, diamo molto spazio all’underground e, aiutati in questo dalla Transcending Obscurity di Kunal Choksi, scoprendo ottime e il più delle volte sconosciute realtà, soprattutto provenienti dai lontani e misteriosi paesi asiatici.

Quest’anno la label indiana ha ampliato i suoi orizzonti, mettendo sotto contratto anche parecchie band europee, così da diventare sempre più un punto di riferimento per gli amanti del metal/rock, a cui stanno stretti i soliti nomi, cercando tra il sottobosco musicale ottime alternative.
Esce dunque, in concomitanza con le feste natalizie, questa esauriente panoramica sui gruppi che la label ha proposto in questi ultimi dodici mesi e tutte quelle che fanno parte del roster, un regalo inaspettato ma gradito, con molte band ancora da scoprire e molte di cui abbiamo già ampiamente parlato su Iyezine.
Più di cinquanta gruppi, ognuno con la propria musica da presentare, molti davvero bravi, rappresentativi più o meno di tutti i generi che compongono l’universo della nostra musica preferita, qualcuno ormai realtà consolidata come i Rectified Spirit, presenti con il nuovo The Wasteland sulla mia playlist riassuntiva dei dieci migliori album dell’anno che va a terminare, altri spuntati come perle in un’ostrica, protagonisti di lavori bellissimi.
In questo fantastico, tortuoso ed affascinante viaggio incontrerete l’underground dei paesi asiatici, dall’India, al Pakistan con un assaggio della musica di gruppi dal notevole spessore qualitativo come gli Albatross ed il loro heavy metal progressivo, il death metal di Gaijin, Winterage e Third Sovereign, il brutal dei Biopsy, il thrash metal dei bravissimi Against Evil e Armament, l’originalissimo black metal dei devastanti Heathen Beast e del loro Trident, così come il black sinfonico ed epico dei Diabolus Arcanium e l’heavy metal dalle riminiscenze alternative dei pakistani Blackhour.
Ma la Transcending Obscurity non si è fermata sul confine del proprio paese, allungando i suoi artigli su ottime realtà europee, australiane e made in U.S.A, mettendo in mano una penna per la firma a band clamorose come i deathsters francesi Affliction Gate, i Paganizer della piovra Rogga Johansson, la one man band australiana The Furor ed i deathsters americani Fetid Zombie di Mark Riddick.
Insomma, qui viene esibita una buona fetta del meglio che l’underground estremo e classico mondiale ha offerto in questi mesi: una importante veduta sull’enorme lavoro che la Transcending Obscurity sta facendo per supportare al meglio un  mondo metallico sempre vivo e rigenerato da chi al metal ci crede veramente e che, con passione, dedizione e ottima professionalità, sta raggiungendo risultati clamorosi.
La raccolta come già detto è in free download, perciò niente scuse ed immergetevi in questa oceano di note metalliche, navigherete in acque agitate ed oscure, a tratti tranquille solo all’apparenza, ma assolutamente affascinanti … lunga vita alla Transcending Obscurity.

TRACKLIST
1. Deceased (US) – Graphic Repulsion (Death/Thrash Metal)
2. Paganizer (Sweden) – Souls for Sale (Death Metal)
3. Affliction Gate (France) – Devising Our Own Chains (Death Metal)
4. Abyssus (Greece) – Remnants of War (Death Metal)
5. Sathanas (US) – Satan’s Cross (Death/Thrash Metal)
6. Fetid Zombie (US) – Lure of the Occult (Death Metal)
7. Norse (Australia) – Pest (Dissonant Black Metal)
8. The Furor (Australia) – Summoned Obscurity (Black/Thrash Metal)
9. Preludium (Poland) – Sins of Mankind (Spiritual Black/Death Metal)
10. Seedna (Sweden) – Downward Spiral (Live) (Atmospheric Black Metal)
11. The Whorehouse Massacre (Canada) – A.C.S.-4 (Sludge/Doom Metal)
12. The Dead (Australia) – Disturbing the Dead (Sludge/Death Metal)
13. Drug Honkey (US) – Weight of the World (Hypnotic Doom Metal)
14. Albatross (Mumbai, India) – The Empire of Albatross (Heavy Metal)
15. Third Sovereign (India) – Devolution of Mortality (Death Metal)
16. Dormant Inferno (Mumbai, India) – Deliverance (Doom Metal) 11:02
17. Insane Prophecy (Guwahati, India) – The Nihilistic Force of Fear and Ire (Black Metal)
18. Dionysus (Pakistan) – Rain (Black/Doom Metal)
19. Gaia’s Throne (Pune, India) – Crisis (Sci-fi Heavy Metal)
20. Orion (Mumbai, India) – Oh Sweet Ebullition (Progressive Death)
21. Djinn and Miskatonic (Bangalore, India) – Book of the Fallen (Doom Metal)
22. Solar Deity (Mumbai, India) – Circling the Moon (Black Metal)
23. Multinational Corporations (Pakistan) – L.P.C. (Grindcore/Crust)
24. Fragarak (Delhi, India) – Cryptic Convulsion (Technical Death Metal)
25. Halahkuh (Pune, India) – Break the Shackles (Death/Thrash Metal)
26. Wintergate (Jaipur, India) – A Wreath of Mist (Old School Death Metal)
27. Primitiv (Mumbai, India) – World War Zero (Death Metal)
28. Against Evil (Vizag, India) – War Hero (Heavy Metal)
29. Rectified Spirit (Guwahati, India) – Winter in Thine Eyes (Progressive/Heavy Metal)
30. Armament (Kolkata, India) – Gas Chamber (Thrash Metal)
31. Eccentric Pendulum (Bangalore, India) – Resisting Another Equation (Progressive Metal)
32. Biopsy (Mumbai, India) – Fractals of Derangement (Brutal Death Metal)
33. Killibrium (Mumbai, India) – Mental Illusions (Death Metal)
34. Gaijin (Mumbai, India) – Dead Planet (Technical Death Metal)
35. Heathen Beast (India) – The Carnage of Godhra (Black Metal)
36. Diabolus Arcanium (Chennai, India) – Of Fire and Ashes (Epic Black Metal)
37. Blackhour (Pakistan) – Wind of Change (Heavy Metal)
38. Zero Gravity (Indore, India) – Screaming Agony (Death Metal)
39. Toxoid (New Delhi, India) – Demon Lust (Black Metal)
40. Wired Anxiety (New Mumbai, India) – Heavily Sedated (Brutal Death Metal)
41. Elemental (Indore) – Inhuman Purge (Death Metal)
42. Falcun (Kolkata, India) – Eye of the Storm (Heavy Metal)
43. Knight (Assam, India) – The Ventriloquist (Heavy Metal)
44. Gypsy (Kolkata, India) – The Shoemaker (Heavy Metal)
45. Sceptre (Mumbai, India) – Hate Infested (Thrash Metal)
46. Exalter (Bangladesh) – Nuclear Punishment (Thrash Metal)
47. Amorphia (Kerala, India) – Leiber Code (Thrash Metal)
48. Dirge (Pune, India) – Swamp (Doom/Sludge Metal)
49. Irritum (Pakistan) – Voice in the Night (Doom Metal)
50. The Grim Mage (Bangalore, India) – Celestial Scrimmage (Doom Metal)
51. Darkrypt (Mumbai, India) – Abstract Submission (Death Metal)
52. Strangulate (Kolkata, India) – Humanity’s End
53. Godless (Hyderabad, India) – Infest (Death Metal)
54. Homicide (Bangladesh) – Hades (Brutal Death Metal)
55. Bonefvcker (Delhi, India) – Ad Infinitum (Death Metal/Grind)
56. Violent Upheaval – Ghar Wapsi (Crush the Agenda) (Grindcore)
57. The Infernal Diatribe (Kolkata, India) – Morbid Evocation (Black Metal)
58. Necrolepsy (Bangladesh) – Engorging the Stillborn (Death Metal)
59. Tyrannizer (Mumbai, India) – Bloodstain (Death/Thrash Metal)
60. Evil Conscience (Kolkata, India) – Grim Shutdown (Death Metal)
61. Ragnhild (Pune, India) – Taven Tales (Viking/Death Metal)
62. False Flag (Pune, India) – Mediacracy (Crust/Punk/Grind)
63. Dead Exaltation (Pune, India) – Fallacy (Death Metal)
64. Eclipse (Guwahati, India) – Dreams of Midnight (Power Metal)
65. Deathscent (Jaipur, India) – Brave Enough (Death/Thrash Metal)

TRANSCENDING OBSCURITY – Facebook

Tibosity – Bimbocracia

Non un disco imprescindibile, ma sufficiente per allietare le giornate dei grindsters più morbosi.

Un tuffo nel grindcore con gli spagnoli Tibosity, dall’originale concept sull’obesità, la brutta alimentazione e tutti gli effetti collaterali che ne conseguono.

Il gruppo formato da membri di varie band della scena estrema, come Pesta Porcina, Infected Flesh e Christ Denied, ci assale con questo devastante esempio di grindcore, colmo di groove, dal growl di un maiale impazzito e dal senso stomachevole di cibo ingurgitato senza soluzione di continuità.
Niente che non sia pasto per chi di metal estremo al limite si nutre ogni giorno, una mezz’ora di schifezze accompagnate da un sound che mantiene alto il groove, senza accelerare troppo e in alcuni casi rallentando di molto per poi ripartire cercando di sfruttare al massimo le proprie potenzialità.
Qualche brano si eleva dal resto, per merito di buone ritmiche ed il basso pieno ( Keep on Dancing in a Fat World, McDonald’s Apocalypse), ma l’album rimane un’opera ad uso e consumo di un ristretto numero di appassionati.
Una decina d’anni di attività e un lavoro rilasciato nel 2011 (Sweet Home Carbonara) sono il curriculum di questa band, che non mancherà certo di soddisfare gli amanti del genere.
L’album è prodotto benissimo e la chicca finale La Maratón del Gordo, song che si allontana dal concept musicale del gruppo per regalare una tradizionale marcetta in versione metal, alza il valore dell’intero lavoro.
Non un disco imprescindibile, ma sufficiente per allietare le giornate dei grindsters più morbosi.

TRACKLIST
1. Associació de Tibosos Antivegans
2. En Karl Va al Gimnàs
3. Arre So Boche
4. Accidents Tibosos al Parc d’Atraccions
5. Bimbocracia
6. Addictes al Pàdel i a l’Isostar
7. Cercle Viciós de Bulímia i Coprofàgia
8. Runner
9. Ofegat amb Donetes Nevats
10. Infortunis Tibosos al Parc Aquàtic
11. Keep on Dancing in a Fat World
12. Lapidat al Buffet Lliure de l’Àrea de Guissona
13. Mc Donald’s Apocalypse
14. Surfin’ Llobregat
15. Menú de Tres Plats, Postre i Cafè amb Sacarina
16. La Maratón del Gordo

LINE-UP
Roger B. : Guitar
Roger S. : Vocals, Drums
Roger P. : Bass, Back Vocals

TIBOSITY – Facebook

childthemewp.com