Reanimator – Horns Up

I canadesi Reanimator tornano con un nuovo massacro thrash metal: per gli amanti del genere un album da ascoltare senza riserve.

Un toro borchiato di tutto punto, armato di corna che sputano lingue di fuoco vi travolgerà e non ci sarà scampo …

Cattiveria pura, un caterpillar inferocito che, a colpi di thrash metal, vi inchioderà al muro, devastandovi sotto mazzate di una forza animalesca irrefrenabile: questo è Horns Up, nuovo lavoro dei canadesi Reanimator, metallo che mostra i muscoli e senza pietà, spacca ossa e orecchie sospinto dall’impatto distruttivo della band del Quebec, con già una decina d’anni di attività alle spalle.
Thrash’n’roll si definiscono loro, semplicemente old school thrash metal direi io: lo speed a rendere il tutto più veloce e travolgente e qualche accenno hardcore nei cori sono le qualità maggiori di questo massacro senza soluzione di continuità, suonato come il genere insegna in virtù della buona tecnica e dell’esperienza fatta dal gruppo in questi anni, accompagnando sul palco nomi storici del metal estremo come Exodus, Aggressor, Brutal Truth, Macabre e Cryptopsy, tanto per nominare i più noti e sottolineare la varietà di stili con cui i Reanimator si sono confrontati senza timore in sede live.
Chitarre che tranciano in due come seghe elettriche (Ludovic Bastien e Joel Racine ), sezione ritmica che picchia come il bestione in copertina (Francis Labelle alle pelli e Fred Bizier al basso), ed un cantante indemoniato e rabbioso (Patrick Martin) sono gli ingredienti di questo macello sonoro che inizia alla grande con Electric Circle Pit e non smette di picchiare, continuando anzi a colpire duramente con Tempted by Deviance, Thieves of Society e via di diritti e ganci, senza sosta ne pietà.
Con ritmiche che mozzano il fiato, un’aggressività che conquista e cori azzeccati, i Reanimator si dimostrano una perfetta macchina da guerra che in sede live immagino ancor più devastanti; questo ottimo lavoro ha proprio tutto per essere portato sui palchi, facendo vittime, travolte dalla carica di brani come Still Sick e Mock a Mockingbird, traccia conclusiva del lavoro dove viene a galla la furia rock’n’roll del combo di Montréal.
Per gli amanti del genere un album da ascoltare senza riserve.

Tracklist:
1.Electric Circle Pit
2.Rush For The Mosh
3.Tempted By Deviance
4.Thieves Of Society
5.The Abominautor
6.The Mosh Master
7.Still Sick
8.Off With Their Heads
9.Mock A Mockingbird

Line-up:
Patrick Martin – Vocals
Ludovic Bastien – Guitar
Francis Labelle – Drums
Fred Bizier – Bass
Joel Racine – Guitar

REANIMATOR – Facebook

Phlegmatic Table – Waiting For The Wolf

I bielorussi Phlegmatic Table sono autori di un moderno thrash colmo di digressioni industrial e groove: se questo è un assaggio di un prossimo full length ne vedremo e sentiremo delle belle,

Non è poi così facile convincere, ma soprattutto sorprendere, in poco più di dieci minuti, a meno che non si abbiano a disposizione talento e tecnica: i Phlegmatic Table, band proveniente dalla Bielorussia, all’esordio tramite Total Metal Records, ci sono riusciti.

Il trio, all’esordio con questo Ep intitolato Waiting For The Wolf, uscito solo in versione digitale, immette nella propia musica una valanga di idee, assemblando generi e influenze in pochi minuti e conquistando l’ascoltatore, piacevolmente frastornato dalle sorprese che la band riserva ad ogni passaggio.
C’è davvero un po’ di tutto nel sound della band: thrash metal, industrial, alternative e tanto groove, il che produce un monolite di musica estrema, concettualmente progressiva ed ottimamente suonata.
Immaginate il thrash evoluto di Coroner e Mekong Delta, a cui si aggiungano l’industrial metal dei Prong e le ritmiche marziali e groove dell’alternative di moda nel nuovo millennio, ed avrete più o meno un’idea della musica proposta dai Phlegmatic Table.
Senza dimenticare i Voivod di “Angel Rat”, la band spara liriche sarcastiche su questo ottimo tappeto di metal moderno, maturo, tenendo comunque a bada il songwriting che non dimentica mai la forma canzone, specialmente in occasione della notevole title track e dell’opener Chocolate Ice Cream.
Lasciarsi trasportare da parti jazzate che, qua e là, nobilitano ancor di più il suono è un attimo, finché il ritmo colmo di groove della notevole Dirty Shoes entra prepotentemente nelle nostre teste per cicatrizzarsi e non uscirne più.
Davvero notevoli, se questo è un assaggio di un prossimo full length ne vedremo e sentiremo delle belle.

Tracklist:
1. Chocolate Ice Cream
2. Waiting for the Wolf
3. Dirty Shoes
4. Fridge
5. Another Morning

Line-up:
Artour Sotsenko – guitars, vocals;
Vladimir Slizhuk – bass;
Paul Chaplin – drums.

Sorrowful – In The Rainfall

Un disco rivolto soprattutto a chi apprezza maggiormente le partiture dolenti del doom quando sono sommerse da gragnuole di colpi inferti dalla furia del death.

Esordio all’insegna di un death doom molto tradizionale per questa band di stanza a Göteborg, della quale attraverso i canali ufficiali non è che si sappia molto dei musicisti coinvolti.

Bisogna, quindi, attingere alla sempre utile Encyclopaedia Metallum per scoprire che i Sorrowful sono un duo messicano trasferitosi da tempo in Scandinavia composto da I.Ishtar e Jorge Vergara, con il primo, soprattutto, già molto attivo nella scena nordeuropea (facendosi valere in particolare con gli ottimi Dødsfall).
Si diceva di un lavoro devoto ai suoni tradizionali in voga negli anni ’90, quando My Dying Bride ed Anathema, soprattutto, tracciarono le linee guida di un genere che nel corso degli anni, come sempre accade, avrebbe assunto diverse ulteriori ramificazioni.
Il sound dei Sorrowful è sicuramente efficace in quanto completamente spogliato di qualsiasi orpello gotico e decadente, e questo alla fine costituisce un pregio, per l’indubbia coerenza ad uno stile che oggi non si può certo definite alla moda, ma anche un difetto in quanto, basando il tutto su un impatto piuttosto brutale, In The Rainfall mantiene una linearità apprezzabile ma che non sfocia mai in momenti davvero memorabili.
Il disco è comunque valido, ma mi sentirei di consigliarlo più agli estimatori del death caliginoso e rallentato (in stile Asphyx, direi) che non a chi, all’inizio degli anni ’90, si è beato di pietre miliari quali “As The Flower Withers” e “Serenades”.
Un buon growl, sorretto da riff pesantissimi e da qualche raro ma riuscito passaggio in chiave solista, sono il trademark di questi tre quarti d’ora di buona musica estrema, che ripropone in maniera appropriata quanto onesta quei suoni che ogni tanto è bene che vengano rispolverati.
I nostri dimostrano, pur se con parsimonia, di avere nelle corde anche quelle aperture melodiche capaci di rendere memorizzabili tracce altrimenti monolitiche nel loro incedere: a tale proposito si rivela emblematica l’ottima The Machine Of Desolation e in parte anche la successiva The Flight of Mind, mentre Gray People si staglia sul resto della tracklist con i suoi ritmi mortiferi che riportano, volendo restare in un ambito attuale, ai Vallenfyre di Greg Mackintosh.
Da rimarcare anche l’opener The Last Journey e Oceans of Darkness, brani nei quali i Sorrowful riescono a trovare un buonissimo equlibrio tra le diverse componenti del loro sound.
In definitiva, un disco interessante, soprattutto per chi apprezza maggiormente le partiture dolenti del doom quando sono sommerse da gragnuole di colpi inferti dalla furia del death.

Tracklist:
1. The Last Journey
2. Nothingness
3. Gray People
4. Oceans of Darkness
5. Utopian Existence
6. Frozen Sun
7. The Machine of Desolation
8. The Flight of Mind
9. Eager of Death

Line-up:
I. Ishtar – Guitars, Drums
Jorge Vergara – Vocals, Bass

SORROWFUL – Facebook

The Long Escape – The Warning Signal

Il futuro del progmetal passa da lavori che miscelano tradizione e modernità come “The Warning Signal”

Brutta bestia il prog metal: da una parte la bravura tecnica dei musicisti che nel genere è un dato di fatto, dall’altra un forte senso di già sentito aleggia sulle produzioni del genere, fredde se la tecnica prende il sopravvento sul songwriting, emozionali ma derivative se le band puntano sul classico seguendo il teatro di sogno in un caso o il new prog britannico nell’altro.

Allora esce allo scoperto la voglia di chi, pur conservando un approccio prog alle composizioni, le valorizza con varie influenze, dal rock alternativo al metal moderno, accorciando il minutaggio delle composizioni, raddoppiandone l’appeal e rendendo la propria musica fruibile ad un pubblico che non sia solo formato da intenditori.
La versione metal del prog anni settanta, purtroppo, consta di fans molto conservatori, ancorati ai gruppi storici settantiani o ai metallari che, dal power più tecnico hanno volto lo sguardo alle sonorità care alle super band degli anni novanta (Dream Theather e Symphony X su tutte).
I francesi The Long Escape, giustamente, fanno spallucce e con il loro secondo lavoro, accentuano ancor di più il loro sound che di metal prog si nutre, cercando però di variegarlo con ottime atmosfere che dei generi moderni sono prerogativa.
Ecco che nasce il sound di The Warning Signal, prog metal moderno, colmo di ritmiche grasse che a tratti schiacciano l’occhiolino al core, brani dal forte sapore alternative e tanta bravura strumentale, che esce allo scoperto quando il gruppo si ricorda di divagare con scale intricate ma non troppo, melodiche, ruffiane, graffianti e aggressive il giusto per piacere agli appassionati dai gusti moderni.
Ne esce un gran bel disco, piacevole in tutte le sue sfumature e suonato benissimo, da musicisti sul pezzo e alquanto vario; certo, dimenticatevi cervellotiche fughe chitarristiche accompagnate da tastiere suonate alla velocità della luce: qui si viaggia su ritmi cadenzati e pesanti, le accelerazioni, quando la band schiaccia sul pedale, sono devastanti monoliti dal groove micidiale, intervallati da soluzioni alternative, come se gli Alter Bridge decidessero di suonare prog metal.
Seas Of Wasted Men, Awakened Ones, Carnival Of Deadly Sins e Slave sono gli episodi migliori di un album riuscito e che entra di diritto nelle opere di genere che lasciano qualcosa in più rispetto a mere prove di tecnica strumentale fini a sé stesse.
Da appassionato di prog in tutte le sue forme, credo fortemente che il futuro per il genere passi da questi lavori che miscelano tradizione e modernità.

Track List:
1.The Noise
2.Seas Of Wasted Men
3.Awakened Ones
4.Million Screens
5.Digital Misery
6.Carnival Of Deadly Sins
7.Crashdown
8.The Search
9.Homo Weirdiculus
10.Slave
11.World Going Down
12.The Last Crying Man

Line-up:
Kimo – Vocals/Guitars
Marius – Guitars
Nicolas – Bass
Tom – Drums

THE LONG ESCAPE – Facebook

Ataraxie – Slow Transcending Agony

Dieci anni sono relativamente pochi nella storia di una band, ma in ogni caso l’album non mostra alcuna ruga, confermandosi ancora oggi come una delle migliori testimonianze del genere pubblicate nel nuovo secolo.

A dieci anni esatti dalla sua pubblicazione, Slow Transcending Agony, album d’esordio dei francesi Ataraxie, viene nuovamente immesso sul mercato in una veste rinnovata e con l’aggiunta di una bonus track come The Tree of Life and Death, cover dei seminali Disembowelment.

La band normanna è senza ombra di dubbio uno dei nomi di punta della scena funeral death doom europea, benché la sua produzione non sia ricchissima a livello di full length pubblicati, ma qui a fare la differenza è la qualità immensa di ognuna delle tre uscite (oltre al disco in oggetto, “Anhedonie” del 2008 e “L’être et la Nausée” del 2013).
Proprio parlando di quest’ultimo lavoro, circa due anni fa, mi spinsi ad affermare che gli Ataraxie avevano finalmente raggiunto il gotha della scena, e tale sensazione viene ampiamente suffragata da quest’esame retrospettivo che ci consente di vericare l’evoluzione della band e, nel contempo, di constatare quanto il sound fosse evoluto e di un livello abbondantemente al sopra della media già allora.
Dopo la lunga introduzione affidata al mortifero strumentale Astep Into The Gloom, Funeral Hymn scaraventa l’ascoltatore negli abissi più reconditi, lo immerge in una cupa disperazione rivelandosi una vera e propria marcia funebre che accompagna l’interminabile percorso lastricato di un dolore senza fine.
L’Ataraxie, se possibile, aumenta ancor di più il pathos drammatico del lavoro; se il brano precedente risentiva ancora, parzialmente, dell’inevitabile influsso della “sposa morente”, il pezzo autointitolato è invece un magnifico e monolitico esempio di funeral doom che non ammette dubbi né repliche: lo si ama, e basta.
La title track si snoderebbe nel buio più totale se non intervenisse qualche accenno acustico ad illuminare di luce fioca uno scenario non dissimile a quelli consoni ai Mournful Congregation (che nello stesso anno, è bene ricordarlo, diedero alla luce quel capolavoro intitolato “The Monad Of Creation”).
Another Day Of Despondency lascia sfogare una controllata furia death prima che i rallentamenti mozzafiato vadano a lambire, nelle rare aperture melodiche, gli umori seminali della scuola albionica dei primi anni novanta.
The Tree of Life and Death, infine, è l’omaggio doverso agli australiani Disembowelment, band di culto che con un solo album, pubblicato nel 1993, è stata comunque capace di lasciare il segno nella scena death doom; da rimarcare che il brano in questione è stato registrato dagli Ataraxie con la nuova formazione che vede la presenza di ben tre chitarristi.
Senza nulla togliere ai suoi compagni , Jonathan Thery domina Slow Transcending Agony grazie alla sua capacità di unire un growl dalla timbrica inumana, eguagliato oggi dal solo Daniel Neagoe, a sfuriate in uno screaming di matrice quasi depressive, senza che il potenziale evocativo dei brani venga minimamente scalfito.
Dieci anni sono relativamente pochi nella storia di una band, ma in ogni caso l’album non mostra alcuna ruga, confermandosi ancora oggi come una delle migliori testimonianze del genere pubblicate nel nuovo secolo.

Tracklist:
1. Astep Into The Gloom
2. Funeral Hymn
3. L’Ataraxie
4. Slow Transcending Agony
5. Another Day Of Despondency
6. The Tree of Life and Death

Line-up:
Jonathan – Vocals, Bass
Fred – Guitars
Sylvain – Guitars
Pierre – Drums

ATARAXIE – Facebook

Old Graves – This Ruin Beneath Snowfall

“This Ruin Beneath Snowfall” è una delle cose migliori ascoltate quest’anno in ambito black atmosferico.

Breve Ep d’esordio per Old Graves, ennesimo progetto solista dedito al black metal atmosferico.

Colby Hink è canadese e, tutto sommato, nella sua musica confluiscono in maniera sensibile le emozioni ed il senso di sgomento che gli splendidi scenari paesaggistici offerti del suo paese riescono ad indurre, in chiunque sia conscio della propria sostanza infinitesimale rispetto alla maestosità della natura.
Se il sound porta con sé una brezza tenue ma gelida, d’altra parte possiede anche un respiro più ampio che conduce la mente in spazi sterminati in cui l’uomo è (non sempre gradito) ospite.
Il lavoro è molto breve ma fa intuire l’innata predisposizione di Colby nel produrre atmosfere malinconicamente evocative, pur nella loro semplice struttura. In particolare brilla, baciata da una linea melodica davvero splendida, Hang My Remains from the Crescent Moon, ma Dawn Treader e la title track non sono in fondo da meno, andando a costituire un quadro dall’impatto emotivo non sempre riscontrabile in simili occasioni.
Lo screaming è nella norma ma ha il pregio di non risultare fastidioso, anche se in fase di produzione è stato come da copione del genere seppellito dagli altri strumenti, specialmente quando tutti si muovono all’unisono nell’edificare un muro sonoro avvolgente.
Il musicista nordamericano dimostra buon gusto e talento anche nelle parti acustiche e più riflessive, nelle quali la componente ambient viene sempre e comunque asservita ad un costruzione melodica logica e lineare, che include la presenza di assoli chitarristici di buon pregio.

This Ruin Beneath Snowfall è una delle cose migliori ascoltate quest’anno in ambito black atmosferico: di solito con gli Ep tendo a non sbilanciarmi con le valutazioni ma, in questo caso, mi sento di scommettere senza alcuna remora su una qualità compositiva che non può essere né casuale né transitoria.

Tracklist:
1. Kestrel
2. Dawn Treader
3. Hang My Remains from the Crescent Moon
4. This Ruin Beneath Snowfall

Line-up:
Colby Hink – All instruments

OLD GRAVES – Facebook</>

Feral – Where Dead Dreams Dwell

Per chi ama il death metal old school questo è un album da avere assolutamente.

Nel nordeuropa sembra tornata, alla grande, la voglia di suonare death metal come si faceva nei primi anni novanta: sono infatti molte le band che si rifanno ai suoni old school, senza scendere a facili compromessi e tornando a far sferragliare gli strumenti come il genere insegna.

Vero infatti che, aldilà di nostalgici sguardi al passato, il metal estremo ha avuto in quel periodo, un picco qualitativo assoluto con death e black che si giocavano la supremazia sulle preferenze dei fans, con capolavori rimasti saldamente nella memoria di chi quel periodo l’ha musicalmente vissuto.
Non a caso, quando si parla di death metal classico o old school (come va di moda chiamarlo), le band storiche della scena scandinava (insieme a quelle americane) escono dalle note delle nuove opere e dagli articoli di chi prova a descrivere album che, oggi più di qualche tempo fa, si rifanno ad una scena morta per il music biz, ma tremendamente viva nell’underground.
I Feral sono l’ennesima band svedese che torna a far male rifacendosi al death metal classico, ed il suo nuovo lavoro, Where Dead Dreams Dwell, si rivela un altro ottimo esempio di metal estremo che, pur rifacendosi alle band storiche del genere, suona fresco e devastante.
Nato nel 2007, il gruppo di Skellefteå ha dato alle stampe una manciata di demo per esordire sulla lunga distanza quattro anni fa con “Dragged to the Altar”.
Where Dead Dreams Dwell, dunque, è il secondo lavoro, uscito per Cyclone Empire in questa primavera, un nuovo capitolo mixato e masterizzato da Petter Nilsson, ex chitarrista della band, con tanto di copertina disegnata da Costin Chioreanu, già al lavoro con At The Gates, Arch Enemy, Primordial e Mayhem, tra gli altri.
Niente di nuovo, quindi, solo incendiario, travolgente e massacrante metal estremo, suonato bene, composto da brani di ottima qualità, brulicante di solos, di ritmiche velocissime, rallentamenti e ripartenze fulminee e un impatto da vecchia scuola che non lascia scampo.
I Feral, rodati da innumerevoli live, ne esce alla grande, compatta e sfavillante, creando un’onda d’urto di inumana potenza: le canzoni deflagrano in tutta la loro violenza, senza nessun riempitivo e l’album scivola via così fluido e potente tra brani riusciti come Creatures Among the Coffins, Inhumation Ceremony, The Crawler e Mass Resurrection, in cui compare come ospite il growl di Jonas Lindblood dei grandiosi Puteraeon, autori con “The Crawling Chaos”, di uno dei dischi più belli dello scorso anno nel genere.
Where Dead Dreams Dwell è un altro album da non sottovalutare per gli amanti del death metal classico, tornato finalmente ai livelli che gli competono in fatto di qualità, anche grazie a band come i Feral.

Tracklist:
1. Swallowed by Darkness
2. Creatures Among the Coffins
3. As the Feast Begins
4. Suffering Torment
5. Carving The Blood Eagle
6. Inhumation Ceremony
7. The Crawler
8. Overwhelmed
9. Mass Resurrection
10. Succumb to Terror

Line-up:
Viktor Eriksson – Bass
David Nilsson – Vocals
Markus Lindahl – Guitars
Roger Markström – Drums

FERAL – Facebook

MADNESS OF SORROW

Il notevole III: The Beast segna il ritorno dei Madness Of Sorrow, creatura horror metal di Muriel Saracino, che qui ci racconta il concept che sta dietro alla band ed altro ancora ….

MetalEyes Ciao Muriel, ci vuoi presentare i Madness Of Sorrow ed il concept che accomuna le opere fin qui scritte ?

Madness of Sorrow e’ un progetto horror metal nato 4 anni fa dalle ceneri della mia prima band ufficiale, i Filthy Teens. Un elemento a livello di concept che accomuna i tre dischi fin qui prodotti è senz’altro la critica ad un sistema ecclesiastico che dispone di un potere a tutt’oggi molto influente , ed ottenuto solo grazie a favole raccontate migliaia di anni fa e mal trascritte.

ME In “III: The Beast” sei stato aiutato anche in fase di scrittura da Shark, bassista e chitarrista: è da considerarsi a tutti gli effetti il secondo elemento in pianta stabile dei Madness Of Sorrow?

Vorrei e spero sia cosi … Davide è un ragazzo giovanissimo e dotato di un grande talento. Ha avuto idee brillanti in fase compositiva ed i suoi assoli ne sono la prova. Ho imparato a non farmi illusioni sui membri della band ma devo dire che sia lui che Riccardo (Derrick, il nuovo batterista) stanno mostrando una passione verso il progetto che va al di la del semplice “eseguire” i brani.

iye Sono passati circa due anni dal bellissimo primo full length “ Take The Children Away From The Priest”: qual è il vostro metodo compositivo, in particolare per i brani compongono “III: The Beast”?

Il metodo ha subito una variazione importante in questo disco … solitamente quando compongo, scrivo e registro le parti per tutti gli strumenti, dopo di che sottopongo agli altri il brano ed ognuno ci mette del suo variando quello che gli pare opportuno. Questa volta invece, vi sono brani nati proprio da un riff di Davide, vedi l’opener Welcome to your suicide, e parti totalmente riscritte da lui rispetto alle mie versioni. Si può dire che buona parte del disco sia stata scritta da due persone nella stessa stanza e questa senz’altro è una novità per me.

ME Pur mantenendo salde le caratteristiche del vostro sound, ho trovato l’ultimo lavoro più’ “metal” rispetto all’album precedente, sei d’accordo?

Per questo disco sono stati composti 22 brani, e le prime bozze non erano senz’altro cosi “metal” ma più lente e dark, finchè non mi sono detto “ok, alziamo un po’ il tiro”, ed ecco le parti blast beat ed i riff black fusi all’horror metal di nostra fattura.

ME Continuo a trovare nella musica della band molti riferimenti al dark ottantiano, miscelati sapientemente con il metal degli storici Death SS e richiami al reverendo Manson, creando un sound privo della teatralità delle horror band classiche a favore di un approccio più drammatico, pesante e “reale”: ti ritrovi in questa descrizione?

Sì, ho sempre preferito un approccio meno “teatrale” e piu’ diretto questo è certo; come influenze per i Madness direi il Manson di “Holy Wood”, e qualcosa dei Cradle of Filth. I Death SS che preferisco sono quelli fino al “Cursed Concert”, quindi hai fatto un ottima analisi ah ah ah

ME Come sempre ti sei avvalso di un paio di graditi ospiti, Simon Garth (ex-Death SS, presente anche sul primo album) e Bolthorn, bassista degli epic metallers Avoral: come nascono queste collaborazioni?

Simon è innanzitutto un amico, e lo dico davvero … nonostante non sia più nella band ci sentiamo spesso ed è stato molto felice di dare il suo apporto al disco; so che quando gli sottopongo qualcosa non posso avere dubbi riguardo al fatto che poi possa piacermi perchè è sempre cosi. Con Bolthorn volevo collaborare da un po’ ed alla fine ha scritto e registrato una grande linea di basso per Three meters underground.

ME In Italia, quasi in spregio alla presenza dello stato Vaticano ed il potere che la chiesa ha nel nostro paese, anche a livello politico, possiamo vantare una cultura horror che ha fatto scuola in tutto il mondo, dal cinema, alla letteratura e chiaramente alla musica, molto meno superficiale rispetto ai blockbuster americani e più orientata verso l’occulto, il mistico e le leggende che ogni nostra regione porta con sé da millenni.
Quali sono in quest’ambito gli artisti che preferisci e che ti hanno influenzato maggiormente, non solo musicalmente ma anche a livello di immaginario ?

In realtà sto scoprendo da pochi anni la grandezza di quello che è la cultura horror nel nostro paese … Sono un divoratore di horror, da “Nightmare” ai film di spiriti o possessioni (i miei preferiti), ma devo dire che film nostrani come “Inferno” o “E tu vivrai nel terrore: l’Aldilà” hanno una carica ed un atmosfera malsana ed inspiegabile. Anche “L’Anticristo” con Carla Gravina per me non ha nulla da invidiare al ben più conosciuto “Esorcista”. Di queste opere mi piace prenderne appunto quell’atmosfera, quella paura che si portano dietro e trasformare tutto ciò in musica.

ME Quello della scena metal italiana è un argomento spinoso che ci spinge a volerne parlare in sede di intervista con quasi tutti i nostri interlocutori: spazi risicati per suonare, presenze scarse ai concerti (a parte i pochi soliti nomi che ogni estate riempiono gli stadi) ed un costante menefreghismo da parte dei media, ormai storico verso un genere che nel nostro paese continua ad essere bellamente ignorato. Qual è il tuo punto di vista al riguardo ?

Che dire … tristezza … Rob Zombie a Milano l’ultima volta ha fatto forse 200 persone ?? … ridicolo, poi ci lamentiamo che certi nomi non non vengono più qui. Per quanto riguarda i locali ce ne sempre meno ogni anno, bisognerà trovare nuovi ulteriori modi e stimoli per far sì che un gruppo non viva eternamente in sala prove.

ME Nel salutarti ti lascio spazio per fornirci le ultime novità sulla band e l’eventuale programmazione live .

Sono giorni concitati, stiamo infatti girando il videoclip per Seed of Evil , il primo singolo estratto dal nuovo disco, e stiamo pianificando date live per il futuro. Sicuramente quest’anno ci vedrete di supporto a Cadaveria il 26 settembre al The One Music Club di Cassano D’Adda e poi saremo a Rozzano per Halloween.
Per i dettagli www.madnessofsorrow.com. Ciao e grazie per lo spazio concesso!!!

madness

Amputory – Ode To The Gore

Album da spararsi come una dose di pura adrenalina, “Ode To The Gore” non farà sicuramente conquistare nuovi fan al genere, ma gli amanti di queste sonorità troveranno di che gioire.

Dalle estreme lande del nordeuropa, un altro combo dedito al death metal old school attraversa il mare e porta con sé, attraversando il vecchio continente, uno tsunami di barbarie in musica: cinque guerrieri che, portando alta la bandiera del genere,e ci investono con la forza distruttrice che solo questo tipo di musica sa regalare.

Loro sono i finlandesi Amputory, autori in precedenza di due demo (“Promo 2010” e “Unclean Promo 2012”) che li hanno portati all’attenzione di Dave Rotten, micidiale singer dei thrashers spagnoli Avulsed e patron della Xtreem Music, una delle maggiori etichette, qualitativamente parlando, del metal estremo underground.
Old school, si diceva ed allora non aspettatevi nulla che non sia puro ed incontaminato death metal scandinavo, feroce, brutale e massiccio: mezz’ora circa di sangue a frotte che esce dagli strumenti, seviziati da quest’orda di fiere feroci, in una messa nera dedicata al signore della morte in un’orgia di suoni estremi direttamente dai primi anni ’90.
La band, compatta, aggredisce dalla prima all’ultima nota, come consuetudine parti veloci si scambiano la scena con altre cadenzate e potentissime, dove il fiore all’occhiello è la prestazione dietro al microfono di quella creatura infernale che di nome fa Jarno Kokkonen, vocalist per talento, orco per natura, dotato di un growl bestiale.
Il resto della band asseconda questa creatura con buona tecnica e tanto feeling, i brani escono pesanti come incudini, travolgenti nelle ritmiche e ottimi nei solos, che sono impietose frustate nella schiena.
Album da spararsi come una dose di pura adrenalina, Ode To The Gore non farà sicuramente conquistare nuovi fan al genere, troppo devoto com’è ai crismi del death tradizionale (più svedese che finlandese, direi), ma gli amanti di queste sonorità troveranno di che trastullarsi tra ossa e falci in questa oscura opera estrema.
Le band storiche a cui la band si ispira sono essenzialmente Dismember e primi Entombed, per cui, se questi nomi sono nelle vostre corde, fate vostro questo inno al male godendovi ancora una volta una mezz’ora di musica estrema con gli attributi al posto giusto.

Tracklist:
1. Enslaved in the Basement
2. Ode to Gore
3. Cleansing the Blade
4. Aghori
5. Unclean
6. Bludgeoned
7. Unaccountable
8. Illuision of Sanity

Line-up:
Pekka Sauvolainen – Bass
Jaakko Kölhi – Drums
Saku Manninen – Guitars
Antti Saikanmäki – Guitars
Jarno Kokkonen – Vocals

AMPUTORY – Facebook

Pale From Sunlight – Love Was Never An Option

L’elemento di interesse per i Pale From Sunlight risiede nella maggiore rarefazione delle atmosfere, che non sono mai banali e che, alla fine, riescono ad indurre quel senso di ineluttabile ed interminabile sconforto che il DSBM intende riversare sull’ascoltatore.

Depressive black dagli Stati Uniti con il duo Pale From Sunlight, all’esordio con questo primo lavoro su lunga distanza dopo l’Ep omonimo uscito solo lo scorso febbraio.

L’interpretazione del genere vede Krullnaag e Vemetrith alle prese con i consueti suoni venati di dolore ottundente che dividono la scena con l’altrettanto canonica voce straziante.
L’elemento di interesse per i Pale From Sunlight risiede, dunque, nella maggiore rarefazione delle atmosfere, che non sono mai banali e che, alla fine, riescono ad indurre quel senso di ineluttabile ed interminabile sconforto che il DSBM intende riversare sull’ascoltatore.
Peccato solo che la produzione non riesca a valorizzare appieno il buon lavoro compositivo, ma chi ama tali sonorità ormai ha già fatto abbondantemente l’orecchio a questo aspetto
I cinque brani di Love Was Never An Option appaiono comunque tutti piuttosto efficaci anche se, per gusto personale, ho molto apprezzato la conclusiva Last Sunset, in pratica un esibizione di funeral depressive capace di convogliare in un sol colpo tutto il disagio esistenziale che, ciascuno a modo proprio, entrambi i generi intendono convogliare.
Buona prova comunque per una band che si piazza con buona disinvoltura sulla scia della migliore scuola americana che vede Xasthur e Dhampyr quali portabandiera.

Tracklist:
1. River Oaks
2. ‘Til Death Does His Part
3. Anxious Revelations
4. Out of Reach
5. Love Was Never an Option
6. Last Sunset

Line-up:
Krullnaag – All instruments
Vemetrith – Vocals

PALE FROM SUNLIGHT – Facebook

Shape Of Despair – Monotony Fields

Il sound dei Shape Of Despair non respinge ma avvolge, non trasporta un sentore di morte cavalcando sonorità ostiche e dissonanti, bensì accompagna misericordiosamente gli ultimi ansiti vitali rendendo sopportabile ma non meno drammatico l’imminente distacco.

All’inizio del secolo i finlandesi Shape Of Despair si imposero come una delle realtà più fulgide della scena funeral doom, grazie ad un trittico di album (“Shades Of …”, “Angels Of Distress” ed “Illusion’s Play”) di eccellente livello medio.

In particolare il secondo viene ricordato come uno dei capolavori assoluti del genere e, in una mia ipotetica graduatoria, occupa saldamente una delle prime cinque posizioni all time.
Dopo “Illusion’s Play”, la band creata da Jarno Salomaa e Tomi Ullgrén si prese una lunga pausa, interrotta solo dall’ep “Written In Scars” del 2011 e dallo split album con i portoghesi Before The Rain l’anno dopo.
La partecipazione di Salomaa al meraviglioso progetto Clouds di Daniel Neagoe faceva in effetti sperare in una prossima ripresa dell’attività degli Shape Of Despair, e così è stato: ottenuto un nuovo deal con la Season Of Mist e rimpiazzato alla voce lo storico vocalist Pasi Koskinen con l’ottimo Henri Koivula dei Throes Of Dawn, eccoci quindi a parlare di questo Monotony Fields, album che si prospetta come una sorta di evento per chi ama il funeral.
Chiedere di raggiungere i livelli di “Angel Of Distress” sarebbe stato forse troppo, eppure i nostri vi si avvicinano non poco, superando ampiamente per valore il buono ma non eccezionale “Illusion’s Play”.
L’interpretazione del genere dei finnici possiede un mood atmosferico che rende peculiari tutti i brani: il particolare tocco chitarristico di Salomaa e le sue linee tastieristiche fanno precipitare l’ascoltatore in un vortice di malinconia che il contributo vocale della sempre brava Natalie Koskinen rende più sopportabile, senza riuscire a cancellare la disperazione ed il senso di ineluttabile tragedia che aleggia sull’esistenza di ognuno.
Il sound dei Shape Of Despair non respinge ma avvolge, non trasporta un sentore di morte cavalcando sonorità ostiche e dissonanti o sfruttando essenzialmente un growl impietoso e riff granitici, bensì accompagna misericordiosamente gli ultimi ansiti vitali rendendo sopportabile ma non meno drammatico l’imminente distacco.
Un’ora e un quarto di languida e mortale poesia, con brani che crescono dopo ogni ascolto, rendono Monotony Fields un virus che si insinua sottopelle: la title track, Withdrawn e In Longing sono le gemme più fulgide di un lavoro privo di punti deboli, se non quello prettamente commerciale, contenendo sei tracce di funeral doom, un genere che anche nelle sue espressioni più elevate rimane pur sempre rivolto ad un numero limitato di anime sensibili.
La riedizione di Written Of Scars chiude questo meraviglioso monumento al dolore: non temetelo e non ritraetevi, il suo effetto catartico potrebbe sorprendervi al di là di ogni aspettativa.

Tracklist:
1. Reaching the Innermost
2. Monotony Fields
3. Descending Inner Night
4. The Distant Dream of Life
5. Withdrawn
6. In Longing
7. The Blank Journey
8. Written in My Scars

Line-up:
Tomi Ullgrén – Guitars
Henri Koivula – Vocals
Sami Uusitalo – Bass
Samu Ruotsalainen – Drums
Natalie Koskinen – Vocals (female)
Jarno Salomaa – Guitars, Keyboards

SHAPE OF DESPAIR – Facebook

VERATRUM – Intervista

Concludiamo la serie delle interviste alle band che sono state incluse nella compilation UMA 2015: oggi è il turno dei bergamaschi Veratrum.

Concludiamo la serie delle interviste alle band che sono state incluse nella compilation UMA 2015: oggi è il turno dei bergamaschi Veratrum.
A tale proposito, facciamo presente che la band è stata già intervistata per IYE da Alberto Centenari verso la fine di maggio, quando ancora non si sapeva di doverlo fare in occasione della UMA Compilation; ci scusiamo quindi con i lettori se ad alcune delle domande standard poste a tutti i gruppi, i Veratrum hanno parzialmente già risposto nella precedente occasione. Ma, tutto sommato, “repetita juvant” …

veratrum

iye Intanto congratulazioni per l’avvenuto accesso alla compilation: ci raccontate in breve la storia della band?

Ciao a tutti! Noi siamo i Veratrum, una band black/death metal da Bergamo. Siamo attivi dal 2008, abbiamo prodotto un demo nel 2010 (Sangue) e due full length: Sentieri Dimenticati (2012) e Mondi Sospesi che è uscito in aprile. Ci presentiamo come band che fa metal estremo, senza badare troppo alle etichette stilistiche. Chi vorrà ascoltare la nostra musica si troverà a che fare con un misto di black, death e doom metal, amalgamato da atmosfere epiche, linee sinfoniche, melodia unita a potenza d’impatto.

iye Cosa vi ha spinto a partecipare al contest indetto dalla Underground Metal Alliance?

Innanzitutto il rispetto per la UMA che è una agency molto seria, attiva e creativa. E’ già molto difficile trovare chances così, non sfruttarle è criminale! Il CD Mondi Sospesi è in fase di promozione e abbiamo voluto candidare il primo singolo Il Culto della Pietra per entrare nella compilation. Siamo contenti che i giurati abbiano gradito la nostra proposta.

iye Oltre a quelli più immediati, legati alla partecipazione a questa iniziativa, quali sono gli obiettivi che vi siete prefissati nell’immediato futuro?

La promozione dell’album avrà la priorità per tutto il prossimo anno. Vogliamo incrementare la nostra presenza live e migliorare sempre di più i nostri show e, in generale, l’offerta artistica della band. L’8 Agosto appariremo al Fosch Fest di Bagnatica (Bergamo) di spalla a Carcass, Arkona e altri. Contemporaneamente, siamo al lavoro su diversi progetti tutti mirati ad aumentare la visibilità della band fra cui il videoclip de Il Culto della Pietra.

iye Quali sono per voi le band ed i musicisti di riferimento e per quali nomi, attualmente, varrebbe la pena oggi di fare un sacrificio per assistere ad un concerto?

Behemoth, Nile, Fleshgod Apocalypse, Melechesh e altri. Ma non bisogna sottovalutare le “umili” serate death e black che molti locali coraggiosi organizzano. L’underground è florido e solo facendo network si potrà davvero fare utili investimenti e sacrifici per la propria scena.

iye Suonare metal in Italia è un’impresa che porta con sé il suo bel coefficiente di difficoltà; tracciando un consuntivo di quanto fatto finora, siete soddisfatti dei riscontri ottenuti dalla band?

Naturalmente è dura per tutti e i nostri sette anni di attività sono stati a volte difficili. Tuttavia, rispetto ad altre band meno fortunate, possiamo essere soddisfatti. Oltre ad aver lavorato con una certa regolarità con 3 pubblicazioni in 5 anni, abbiamo sempre goduto di recensioni positive. I recenti risultati, come essere selezionati per la UMA Compilation, essere arrivati terzi alla Metal Battle 2015, essere inseriti nella line-up del Fosch Fest sono sicuramente incoraggianti. Quindi il bilancio direi che è in positivo ma bisogna sempre faticare tanto per essere sul pezzo e coinvolgere un numero crescente di fan.

iye Per quanto riguarda invece l’attività dal vivo, anche voi avete incontrato le stesse difficoltà nel trovare date e location disponibili che molti evidenziano? Ci sarà, comunque, la possibilità di vedervi all’opera su qualche palco nel corso dell’estate?

Trovare locali dove suonare è difficile e richiede tanto tempo per inviare promo-pack, telefonare, crearsi un “giro”. Tutte le nostre date sono pubblicizzate sulla nostra pagina Facebook e Reverbnation. Il 17 Luglio saremo al The One di Cassano d’Adda (BG) e, come già ricordato, l’8 Agosto saremo al Fosch Fest di Bagnatica (BG).

iye Per finire, vi lasciamo lo spazio per fornire ai nostri lettori almeno un buon motivo per avvicinarsi alla vostra musica.

Consigliamo i Veratrum a tutti coloro che amano il blackened death metal con tante influenze e nessuna vera band di riferimento. Suoniamo ciò che ci piace senza paura di mischiare death, black, doom, ambient, epic, prog e altro. Crediamo nelle performance tecniche e nel sound epico e drammatico. I nostri pezzi sono cantati in italiano e prestiamo alle liriche la stessa cura che dedichiamo alla musica e agli artwork. Molti nostri pezzi, vecchi e nuovi, sono ascoltabili su youtube nonché su facebook e reverbnation. Vi aspettiamo e contattateci!

www.reverbnation.com/veratrumdeath

VERATRUM – Facebook

Madness Of Sorrow – III: The Beast

Sterzando leggermente il tiro su sonorità più metalliche, ma non snaturando assolutamente il proprio credo musicale, il gruppo ha regalato ai fan il degno successore dell’ottimo primo album.

La bestia che si annida tra le note create dai nostrani Madness Of Sorrow, non si è mai estinta e torna con tutto il suo terribile bagaglio di nefandezze, nascosta nell’ombra dei palazzi apostolici, contaminando, possedendo, liberando ogni tipo di istinto e il male, quello vero che rovina vite, distrugge speranze, annienta personalità e umanità.

III: The Beast è il terzo capitolo creato dalla band di Muriel Saracino, factotum dei Madness Of Sorrow, che con il precedente “Take The Children Away From The Priest”, aveva impressionato gli addetti ai lavori con un album di genere che pescava tanto dal metal dei Death SS quanto dal dark ottantiano, risultando uno dei più riusciti lavori del 2013.
Il nuovo album non tradisce le aspettative, il sound della band ormai è ben canalizzato sulle coordinate date dal leader, lasciando a pochi dettagli le differenze con il suo bellissimo predecessore.
Un gran bel lavoro quello fatto da Saracino, questa volta aiutato dal nuovo chitarrista e bassista Shark, anche in fase di scrittura: l’album riparte da dove “Take The Children Away From The Priest” ci aveva lasciati, quindi molto più metallico specialmente in avvio con i primi due brani, Welcome to Your Suicide e Three Meters Underground, che partono a razzo.
Si torna ad atmosfere oscure con il capolavoro Seed of Evil, uno stupendo affresco colorato con pastelli dark ed horror metal perfettamente bilanciati creando un arcobaleno di tonalità nere e drammatiche, interpretate da Muriel con rabbiosa personalità.
Sia chiaro, la teatralità delle classiche band di genere qui è sostituita da un’atmosfera di drammatica pesantezza, denuncia e sofferenza: l’alchimia tra metal moderno (continuo a trovare nella musica del gruppo più di un riferimento al reverendo Manson, oltre ai maestri Death SS) ed il dark rock continua ad imperversare nel sound di una band matura, poco incline a note ruffiane ma solidamente ancorata al proprio percorso musicale, che con il nuovo album si conferma in tutto il suo cupo incedere.
The Army of Sinners durissima e moderna richiama i Nefilim di Zoon, mentre The Black Lady risulta l’esempio lampante del buon mix tra Manson ed i Death SS, prima che la devastante Vatican’s Ruins ci consegni il brano più estremo del lavoro, almeno per quanto riguarda le ritmiche e la buona dose di velocità.
Non mancano due graditi ospiti sul nuovo album: Simon Garth, già presente sul precedente lavoro e qui alle prese con la chitarra acustica in Crucifixed, e Bolthorn, bassista degli epic metallers Avoral sulla devastante Three Meters Underground.
Evilangel superba e malefica song metallica fino al midollo, in compagnia della superba Drowned, chiude III: The Beast e conferma i Madness Of Sorrow come una delle realtà più fulgide del panorama horror metal nazionale.
Sterzando leggermente il tiro su sonorità più metalliche, ma non snaturando assolutamente il proprio credo musicale, il gruppo ha regalato ai fan il degno successore dell’ottimo primo full length, sta a voi ora immergervi nelle atmosfere di questo ennesimo bellissimo lavoro da non perdere per alcun motivo.

Tracklist:
1. Welcome to Your Suicide
2. Three Meters Underground
3. Seed of Evil
4. The Army of Sinners
5. The Black Lady
6. Vatican’s Ruins
7. No Redemption
8. Crucifixed
9. Evilangel
10. Drowned

Line-up:
Muriel – Vocals, rithm/lead guitar
Shark – Rithm/lead guitar
Derrick – Live drums

MADNESS OF SORROW – Facebook

Dan Deagh Wealcan – Who Cares What Music Is Playing In My Headphones?

E’ un susseguirsi di sorprese questo nuovo lavoro dei Dan Deagh Wealcan, che in poco più di trenta minuti racchiudono un’enormità di generi, creando varie atmosfere che cambiano come il clima primaverile

La Metal Scrap non si fa mancare niente nel proprio rooster: le band su cui l’etichetta ha messo lo zampino sono ottime realtà appartenenti ai più svariati generi, dal metal classico all’estremo, fino all’alternative e, come nel caso dei Dan Deagh Wealcan, all’industrial, anche se manipolato e reso originalissimo da abbondanti dosi di alternative metal, maturo e progressivo.

Il duo con cittadinanza in una delle più belle capitali europee (Mosca) nasce nel 2012 ed è al secondo lavoro: Mikhail A. Repp e Eugene “Iowa” Zoidze-Mishchenk soprendono per l’elevata qualità della loro musica, strutturata su un sound che ha, come punto di riferimento, il sound pazzoide di Trent Reznor ed i suoi Nine Inch Nalis, reso originale da una serie di spunti che chiamare geniali è dir poco e che pescano dall’alternative così come dal prog moderno, dall’industrial al metal, in un’amalgama di suoni che spaziano senza lasciare mai la strada dell’originalità.
E’ un susseguirsi di sorprese questo nuovo lavoro dei Dan Deagh Wealcan, che in poco più di trenta minuti racchiudono un’enormità di generi, creando varie atmosfere che cambiano come il clima primaverile, tuoni e fulmini, quando la band decide di aggredire, ma all’improvviso un vento alternativo spazza il cielo e la musica torna su motivi più rock/wave, rabbuiandosi all’improvviso al ritorno di forti burrasche musicali.
Bellissime Dogs In A box ed, Easy Way Long Way (progressiva, oscura, colma di cambi di tempo e allucinanti digressioni alla Primus sopra un tappeto di elettronica); Neutral Moresnet è una song estrema, i maestri Ministry fanno capolino, la voce diventa un pazzoide urlo di dolore, mentre in What Was That sono i Primus a tornare in bella mostra nel songwriting del gruppo moscovita.
In un lavoro così folle poteva mancare Devin Townsend? Baseless Hatred spara accelerazioni thrash che stravolgono ancor di più il sound e l’idea che ci eravamo fatti sulla musica del duo, continuando poi ad alternare elettronica ad alternative rock, in un turbinio di cambi di tempo ed atmosfere.
Gran bel disco, a cui bisogna dedicare un po’ di tempo per far proprie tutte le sfumature che ad ogni ascolto escono dall’opera scritta da questi due geniali musicisti, ai quali ogni tipo di etichetta sta stretta e pare sempre forzata, tanto è originale la loro proposta.

Track List:

1. Anamorphic Widesound
2. Dogs in a Box
3. Easy Way – Long Way
4. No More Than Usual
5. Neutral Moresnet
6. What Was That?
7. Baseless Hatred
8. I Killed Everything That Was Good in Me
9. Endless Apathy 03:43 Total playing time:

Mikhail A. Repp – Sound.
Eugene “Iowa” Zoidze-Mishchenko – Voice

Originale sound che mischia industrial, alternative, prog e metal è quello che ci propongono i moscoviti Dan Deagh Wealcan.

https://www.facebook.com/DanDeaghWealcan

I Miss My Death – In Memories Presentation Show – Live In Kiev

I DVD celebrativi sarebbe bene lasciarli fare a chi ha alle spalle una carriera un po’ più lunga e con all’attivo come minimo 4-5 album di buona qualità.

I Miss My Death è l’ennesima band ucraina dedita al gothic doom con tanto di voce femminile: niente che così descritto possa far strabuzzare gli occhi per la sorpresa, senonché il gruppo di Kiev ha pensato di pubblicare in formato dvd il concerto tenuto nella capitale nel 2013, in occasione della presentazione dell’album In Memories, che sarebbe stato pubblicato l’anno successivo.

La curiosità non è solo cronologica, in quanto fa pensare sicuramente il fatto che una band pensi di filmare un concerto prima di dare alle stampe l’album d’esordio: grande fiducia nei propri mezzi, budget ricco grazie a qualche munifico benefattore o buoni agganci nell’ambiente ?
Ai posteri l’ardua sentenza, di sicuro i dati che saltano all’occhio sono sostanzialmente due:
1) gli I Miss My Death sono una band dal buon potenziale ma, per ora, nulla di più 2) registrare un concerto utilizzando le solite due o tre inquadrature, tra l’altro riprendendo una band statica sul palco come poche, è una scelta che francamente lascia più di una perplessità.
Fare il passo più lungo della gamba è un’operazione che, se da una parte denota quell’ambizione che è ingrediente irrinunciabile per chi vuole provare a sfondare, dall’altra rischia di bruciare irrimediabilmente una band agli occhi degli appassionati.
Ora, può darsi che In Memories abbia riscosso un buon successo commerciale per cui, sfruttandone la scia, i nostri siano stati spinti a ripescare le immagini di un concerto che, magari, faceva parte di un progetto a più lunga scadenza, fatto sta che continuo a restare pervicacemente sulle mie posizioni, ovvero: gli I Miss My Death dovrebbero pensare prima di tutto a rendere più peculiare un sound che è gradevole quanto derivativo, quindi a limitare quelle sbavature che, oltretutto, proprio dal vivo emergono maggiormente.
Perché, oggi come oggi, questi volenterosi ragazzi ucraini rappresentano solo una delle innumerevoli band che propongono sonorità decadenti seguendo lo schema compositivo (inclusa l’alternanza growl maschile/voce lirica femminile) di Draconian e seguaci, senza però riuscire ad avvicinare per intensità certi livelli.
Ergo, i dvd celebrativi sarebbe bene lasciarli fare a chi ha alle spalle una carriera un po’ più lunga e con all’attivo come minimo 4-5 album di buona qualità.

P.S: il voto è riferito al contenuto musicale che di per sé non è poi così deprecabile, mentre sulla ridondanza del dvd mi sono già abbondantemente espresso …

Tracklist:
1. At the Dark Garden of the Vampire
2. Thirteen Autumns of My Solitude
3. The One (feat. Tatiana)
4. Silence Cries
5. Earl Pale
6. Silent Existence
7. In Memories
8. Lacrimosa (W. A. Mozart)
9. While You Remember Me

Line-up:
Sergiy Kryvoyaz – Lyrics, Vocals, Guitars
Elena Kryvovyaz – Keyboards, Vocals (female)
Nikita Grom – Keyboards
Serge Riabtsev – Bass
Serge Novachenko – Drums

I MISS MY DEATH – Facebook

Mindful Of Pripyat – … And Deeper, I Drown In Doom …

Sparatevi senza indugi questa bomba grind/death lanciata dai nostrani Mindful Of Pripyat.

Nati lo scorso anno, i Mindful Of Pripyat sbaragliano il campo nel genere estremo che si rifà al grind/death, con un lavoro sorprendente per impatto e aggressività senza soluzione di continuità.

Forte di un sound che passa agevolmente dal grind tout court al death old school, il trio proveniente dall’area milanese rompe argini, spiana colline e provoca valanghe, una tempesta di metal estremo che si abbatte senza pietà, lasciando al suo passaggio solo distruzione.
I Mindful Of Pripyat iniziano da questo micidiale …and Deeper, I Drown in Doom… la loro avventura nell’underground estremo, e la loro abilità è confermata dalle esperienze passate di tutti e tre i musicisti: Gio, ex Corporal Raid, che devasta alla velocità della luce il drumkit, Giulia, ex Sign of Evil ed Exterminate, alle prese con basso e sei corde e Tya, voce e chitarra già con Antropofagus, Necromega.
Supergruppo? Beh dal curriculum lo si può anche affermare, del resto la conferma di essere al cospetto di una band con i fiocchi arriva dallo tsunami di note estreme che vengono riversate sull’ascoltatore, un massacro racchiuso in 16 brani di cui due sono le cover di Oblivion Descends (Unseen Terror, straordinaria), e Contagion (Defecation) che chiude alla grande il mini cd.
Nel mezzo la band deflagra tra ritmiche violentissime, accelerazioni sempre al limite ed un talento per confezionare il tutto in una forma canzone non molto comune nelle band dedite al genere.
Consigliato alla grande ai fans del grindcore, …and Deeper, I Drown in Doom… non cede un secondo sia per impatto sia per l’alta qualità del sound: in un attimo si arriva all’ultimo brano e la voglia di ricominciare a farci del male con le mazzate inferte dal combo è tanta.

Tracklist:
1. Containment
2. Liquidators
3. Chernobitch
4. Cleansed by Fallout
5. Lone in Town
6. Deterrence
7. Deep Water Coffin
8. Mindful of Pripyat
9. Oblivion Descends (Unseen Terror cover)
10. Rusty Skin
11. 40 Seconds
12. Maruta
13. Rabid
14. G.W.I.
15. Impressions of a Sick Mind
16. Contagion (Defecation cover)

Line-up:
Giovanni – Drums, Vocals
Giulia – Guitar, Bass, Vocals
Tya – Vocals, Noises

MINDFUL OF PRIPYAT – Facebook

Les Discrets – Live At Roadburn

Per chi sta scoprendo lo shoegaze e colpevolmente non conoscesse ancora i Les Discrets, Live At Roadburn potrebbe rappresentare il pretesto per colmare tale lacuna

La band di Fursy Teyssier dopo una lunga gavetta ha finalmente ottenuto la sua consacrazione: dopo aver vissuto per qualche anno nell’ombra degli Alcest dell’amjco Neige, il versatile artista francese ha visto i suoi Les Discrets ottenere la meritata attenzione verso una proposta che, tenendo fede al monicker, accarezza l’ascoltatore con i propri suoni tenui e sognanti.

Rispetto agli Alcest il sound appare meno emozionale, forse anche meno malinconico, probabilmente perché diverso è il tragitto musicale percorso dai due progetti, il cui approdo però, oggi, si può definire del tutto comune, visto che di post rock o shoegaze sempre si tratta,  pur con tutte le differenze del caso .
In occasione di questo Live At Roadburn, risalente al 2013, i due si ritrovano ancora fianco a fianco sul palco rendendosi protagonisti di una testimonianza audio di grande qualità, benché la dimensione live per band di questo tipo non è detto che sia sempre quella ottimale.
Lo spettacolo, anche a giudicare dalle reazioni di un pubblico molto composto,  sembra più affine ad una rappresentazione teatrale, il che forse fa perdere un po’ di calore alla resa finale del documento;  certo è che l’ascolto di brani meravigliosi come Le Mouvement Perpétuel e Song for Mountains riconcilia sempre e comunque con la musica e con il mondo circostante in senso lato.
Per chi sta scoprendo lo shoegaze e colpevolmente non conoscesse ancora i Les Discrets, Live At Roadburn potrebbe rappresentare il pretesto per colmare tale lacuna ascoltando in un colpo solo il meglio della produzione della band di Teyssier, in attesa di un nuovo lavoro che sta cominciando a farsi attendere un po’ troppo …

Tracklist:
1. Linceul d’hiver
2. L’Échappée
3. Les Feuilles de l’olivier
4. Au Creux de l’hiver
5. Le Mouvement perpétuel
6. La Nuit muette
7. Chanson d’automne
8. Song for Mountains

Line-up:
Fursy Teyssier – vocals guitar
Winterhalter – drums
Neige – bass
Zero – guitar, background vocals

LES DISCRETS – Facebook

WHISPERZ – Intervista

Proseguiamo con la serie delle interviste alle band che sono state incluse nella compilation UMA 2015: oggi è il turno dei romani Whisperz.

Proseguiamo con la serie delle interviste alle band che sono state incluse nella compilation UMA 2015: oggi è il turno dei romani Whisperz.

whisperz

iye Intanto congratulazioni per l’avvenuto accesso alla compilation: ci raccontate in breve la storia della band?

I Whisperz nascono nel lontano 2004 dall’incontro di Marco (basso), Leonardo (chitarra) e Max (chitarra), con l’intenzione di creare un gruppo che racchiudesse nel proprio genere la musica che più amiamo, senza scadere in gruppi fotocopia, cercando invece di dare vita ad un progetto originale senza stravolgere però la cultura musicale di partenza.
Da allora i cambi di formazione sono stati numerosi, ma questi hanno lasciato nella nostra storia un pezzo di ciascun musicista con i quali abbiamo avuto la fortuna di suonare, arricchendo la nostra esperienza e rinnovando ogni volta la nostra musica.

iye Cosa vi ha spinto a partecipare al contest indetto dalla Underground Metal Alliance?

Ci ha spinto la voglia e la necessità di far conoscere la nostra musica al maggior numero di persone possibili, contest come questo possono essere una buona possibilità per avvicinarsi a gruppi fino a quel momento sconosciuti ma con tante cose da dire.

iye Oltre a quelli più immediati, legati alla partecipazione a questa iniziativa, quali sono gli obiettivi che vi siete prefissati nell’immediato futuro?

Dopo l’uscita del nostro primo album e la promozione dello stesso (che come vedete ancora continua) stiamo lavorando sul del materiale nuovo per il nostro prossimo lavoro. La stesura è a buon punto, e speriamo di riuscire ad entrare in studio quanto prima.

iye Quali sono per voi le band ed i musicisti di riferimento e per quali nomi, attualmente, varrebbe la pena oggi di fare un sacrificio per assistere ad un concerto?

Nel nostro gruppo si possono trovare le influenze più eterogenee che partono dalla NWOBHM fino a gruppi più moderni. Sicuramente tra queste band ci sono dei mostri sacri che ci mettono d’accordo tutti, come gli Iron Maiden o i Metallica, ma questi, come dicevo, non sono che un fattor comune tra le nostre personali culture musicali.

iye Suonare metal in Italia è un’impresa che porta con sé il suo bel coefficiente di difficoltà; tracciando un consuntivo di quanto fatto finora, siete soddisfatti dei riscontri ottenuti dalla band?

Siamo soddisfatti per quanto possibile nell’attuale panorama metal del nostro paese. Dall’uscita del nostro primo album i riscontri positivi non sono mancati, alcuni addirittura lusinghieri; i nostri live vedono tra il pubblico diversi fan, anche i passaggi radiofonici hanno sortito effetti positivi. Tutto questo però ricordandosi quanto dicevi, ovvero occorre scontrarsi in continuazione con non poche difficoltà e solo la perseveranza e la forte passione ci ha portato a raccogliere dei frutti a livello di soddisfazione personale.

iye Per quanto riguarda invece l’attività dal vivo, anche voi avete incontrato le stesse difficoltà nel trovare date e location disponibili che molti evidenziano? Ci sarà, comunque, la possibilità di vedervi all’opera su qualche palco nel corso dell’estate?

Purtroppo chi conosce il nostro ambiente non può che trovare queste difficoltà. Spesso i live nel nostro genere sono relegati ad un numero limitato di location, che a forza di cose diventano dei luoghi di aggregazione per gli amanti del metal, ma che così facendo purtroppo limitano una a diffusione più ampia del genere. Avere più spazi e più manifestazioni nei quali esibirsi stimolerebbe sicuramente la curiosità di un pubblico più vasto.
Abbiamo avuta una stagione intensa di eventi live, e l’intenzione per il momento è quella di concentrarsi sul secondo album, anche se non escludo qualche sorpresa dal vivo per l’estate. Terremo comunque informati chi ci segue tramite i nostri canali internet.

iye Per finire, vi lasciamo lo spazio per fornire ai nostri lettori almeno un buon motivo per avvicinarsi alla vostra musica.

Intanto vogliamo ringraziare chi ci segue e chi mette nell’underground metal lo stesso entusiasmo che mettiamo noi nel produrre la nostra musica.
Invitiamo chi non ci conosce ad essere curiosi … ed a dedicarci qualche minuto per ascoltare la nostra musica. Siamo sicuri che troveranno il nostro lavoro per niente banale e per nulla di scontato. Un metal suonato con passione ed originalità.

WHISPERZ – Facebook

Raging Dead – Born In Rage

Date un ascolto al debutto dei Raging Dead, ne vale la pena.

Esordio al fulmicotone per questa giovane band di Cremona, nata all’inizio dello scorso anno per volere del chitarrista e vocalist Cloud Shade, adocchiata dai ragazzi della Atomic Stuff che hanno masterizzato, mixato e registrato questo Ep nei loro studi di Isorella(Brescia) sotto la supervisione di Oscar Burato.

I Raging Dead sono protagonisti di un aggressivo metal dai riferimenti horror, colmo di attitudine punk/sleazy e alquanto moderno: i brani (cinque più intro) fanno dell’impatto e della grinta, tutta rock’n’roll, il punto di forza non allontanandosi troppo dalle influenze dichiarate e andando subito al sodo, senza troppi fronzoli, una dichiarazione di intenti che premia il gruppo , protagonista di brani assolutamente efficaci.
Awakening The Damned funge da atmosferica intro, a seguire one, two, three, e si parte per questo tuffo in un moderno rock’n’roll, punkizzato da ritmiche veloci e stradaiole, solos metallici ed un’aurea di irriverente attitudine alla Murderdolls, modernizzata da riferimenti al Rob Zombie meno industrial e al fantasma di Steve Sylvester che aleggia su ogni produzione del genere.
Da Scratch Me fino a Vengeance il gruppo non risparmia energie, le canzoni escono potenti e trascinanti (Anathema, Redemption e Nightstalker), facendo divertire l’ascoltatore che, di certo, non si annoia travolto da un sound che dal vivo deve risultare incisivo come pochi.
L’accento su questo lavoro sono i molti richiami allo street, che esce dai brani esplodendo nella conclusiva Vengeance, quello più cattivo e sporco di band come i primi L.A Guns e che aiuta non poco i brani a conquistare l’ascoltatore di turno.
Come al solito, quando di mezzo ci si mette l’Atomic Stuff , la qualità del prodotto è molto alta ed un ascolto è d’obbligo per gli amanti del genere.

Tracklist:
1. Awakening Of The Damned
2. Scratch Me
3. Anathema
4. Redemption
5. Nightstalker
6. Vengeance

Line-up:
Cloud Shade – Lead Vocals/Guitar
Matt Void – Lead Guitar
Tracii Decadence – Drums
Simon Nightmare – Bass

RAGING DEAD – Facebook

Celeb Car Crash – ¡Mucha Lucha!

Singolo apripista del nuovo album per i Celeb Car Crash.

Singolo apripista del futuro secondo album per l’alternative rock band nostrana Celeb Car Crash, segnalatasi nel 2013 con il debutto “Ambush!”, uscito nel 2013 e che molto bene fu accolto dagli addetti ai lavori.

Fresco di firma per la Sliptrick Records e reduce da un tour che li ha visti di spalla ai grandi Lacuna Coil, il quartetto sforna tre brani rock molto belli, che pescano tanto dal post grunge quanto dal rock alternativo di questi ultimi anni, rendendo così l’attesa per il nuovo parto ancora più interessante.
L’America è al centro del songwriting ed uno squisito gusto per ritmiche mai scontate porta il gruppo ad uscire prepotentemente dall’affollato mondo dell’underground rock grazie ad un sound ispirato, impreziosito dalla performance dell’ottimo cantante Nicola Briganti e ad un rock che graffia pur conservando un’eleganza di fondo.
Because I’m Sad è il singolo, una rock song che parte semiacustica per poi esplodere in elettricità , dall’ottimo appeal e costruita per piacere senza scendere nel patetico rock da classifica.
Segue Next Summer, trascinata da un riff hard rock e molto Alter Bridge nel refrain anche se la mia preferita resta ¡Adiós Talossa! (tututu) , ottima canzone aperta dal suono delle trombe, che si trasforma in un brano tra Nirvana e Foo Fighters, con le ritmiche e le atmosfere che cambiano tra elettricità ed una tristezza di fondo, solo stemperata dai cori ariosi e dall’ottimo ritornello.
Band interessante, i Celeb Car Crash mostrano un songwriting davvero ispirato, anche se tre tracce sono ancora poche per trarre conclusioni definitive;, non ci resta che aspettare l’arrivo del nuovo lavoro che, viste le premesse, non dovrebbe deludere gli appassionati dell’alternative rock.

Tracklist:
1.Because I’m sad
2.Next Summer
3.¡Adiós Talossa! (tututu)

Line-up:
Nicola Briganti – Voce, Chitarra
Carlo Alberto Morini – Chitarra
Simone Benati – Basso
Michelangelo Naldini – Batteria

CELEB CAR CRASH – Facebook

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