Austerymn – Sepulcrum Viventium

L’album non concede tregua, con atmosfere oscure, velocità e rallentamenti come il genere insegna

L’underground estremo è la culla del death metal old school, relegato purtroppo ai margini della scena attuale e risvegliato solo in parte dalle uscite delle band storiche: recensione, intervista e nello spazio di un mese tutto torna nel dimenticatoio, ignorando quasi completamente le interessanti novità che arrivano da ogni parte del mondo.

Sepulcrum Viventium, esordio sulla lunga distanza dei britannici Austerymn, per esempio, si rivela una gran bella mazzata, roba che negli anni d’oro avrebbe fatto gridare al miracolo più di un addetto ai lavori.
Rik Simpson e Steven Critchley, d’altronde, è dal 1990 che scorribandano per la scena, prima come Perpetual Infestation, poi Godless Truth: diventati Austerymn nel 2007 spostano il tiro dal doom/death a questa massacrante prova di death metal classico, spaventosamente vecchia scuola e per questo, ancora più affascinante.
L’album non concede tregua, con atmosfere oscure, velocità e rallentamenti come il genere insegna, senza compromessi e dall’impatto marcissimo e guerresco, ed offre ai fan un lavoro sopra le righe e con tutti i crismi per ritagliarsi uno spazio nel panorama estremo.
Una sezione ritmica devastante, riffoni da bombardamento a tappeto e un growl rabbioso e profondo sono gli elementi distintivi di una serie di canzoni che prendono per il collo l’ascoltatore, torturandolo e annichilendolo con un assalto sonoro che richiama le scene regine del death metal, quella americana (Death, Massacre) e quella scandinava (Entombed, Dimember, Grave), con l’aggiunta di un’atmosfera oscura e guerrafondaia, dai richiami ai grandi Bolt Thrower.
Written in the Scars, Darkness Burns Forever, la conclusiva e monolitica Riven sono i brani di spicco, ma è tutto l’album che gira a mille, non facendo prigionieri e risultando imperdibile per tutti i fan dei suoni estremi old school.

Tracklist:
1. Intro
2. Feeding the Grotesque
3. Written in the Scars
4. Bleeding Reality
5. Excarnation
6. Darkness Burns Forever
7. The Living Grave
8. In Death… We Speak
9. Necrolation
10. Buried Alive
11. Dead
12. Riven

Line-up:
Rik Simpson – Guitars, Bass, Drums, Keys, Piano, Synth, Vocals
Steven Critchley – Vocals, Bass
Stuart Makin – Guitars (lead)
Nikk Perros – Drums

https://www.facebook.com/pages/Austerymn/447715821937969

www.youtube.com/watch?v=M0Hy8ZQcA0o

Miellnir – Incineration Astern

La bontà del lavoro risiede nella capacità dei Miellnir di far confluire nel lavoro con innata fluidità gli influssi black, viking, folk e gothic.

Buon album d’esordio per gli ucraini Miellnir, combo dedito ad un viking fok metal dalle sembianze smaccatamente scandinave.

Nulla di male in tutto ciò, sia chiaro, dato che il genere lì è nato ed è prosperato: infatti, l’interpretazione fornita dalla band dell’est risulta così credibile e competente che si fatica a credere di non trovarsi al cospetto di musicisti norvegesi o finlandesi.
Ciò che rende Incineration Astern un disco meritevole di ogni attenzione è lo spiccato gusto melodico che lo pervade in ogni sua parte: aperture epiche e ariose vanno a contrapporsi alle vocals efferate, ora in screening, ora in growl, ma senza che vengano disdegnati neppure efficaci passaggi in clean da parte di Frozensoul.
Il disco a tratti appare davvero trascinante nella sua epica solennità e la sola, piccola, caduta di tono di Ugar Buhlo, traccia all’insegna di un folk alcoolico simil-Korpiklaani, non scalfisce quanto di buono messo in mostra nella gran parte degli altri frangenti.
Infatti, canzoni intense come Prey, che si va ad agganciare perfettamente ad un immaginario epico-cinematografico, e il picco assoluto dell’album, Journey Through the Nine Worlds, non è così scontato poterle ascoltare con grande frequenza.
La bontà del lavoro, in fondo, risiede proprio nella capacità dei Miellnir di far confluire nel lavoro con innata fluidità gli influssi black, folk e gothic in un’espressione sempre molto ricca di contenuti, attestando la band su un livello ben superiore a quelli dei semplici epigoni di Turisas, Fintroll e compagnia epico-folkeggiante …
Un album perfetto per chi apprezza queste sonorità, ma anche sufficientemente accattivante e scorrevole per attirare nuovi adepti.

Tracklist:
1. Incineration Overture (Intro)
2. Prey
3. Legends of the Fallen
4. Stand Against
5. Journey Through the Nine Worlds
6. Ugar Buhlo
7. Embraced by Ire
8. Jörð
9. The Gallows Tree
10. Valhalla Awaits

Line-up:
Daimonos – Drums
Yarek Ovich – Guitars, Vocals (backing)
Njörðr – Guitars
Frozensoul – Vocals, Bass

Psychedelic Witchcraft – Black Magic Man

Questo 10″ è una carezza, un profondo atto d’amore verso un certo tipo di musica e di retaggio culturale che va dai Black Sabbath a Lucio Fulci, passando per pupille senza colore e sguardi alla volta celeste.

Un salto indietro nel tempo, un disco di razza per una grande cantante ed un gruppo molto valido.

Le atmosfere sono quelle rarefatte e fumose degli anni settanta, con un doom rock in stile Jex Thoth, ma con un’anima maggiormente aperta allo spettro di quegli anni.
Non è un’operazione vintage, ma l’espressione di una grande cultura musicale unita ad una passione fuori dal comune, che è quella di Virginia Monti, giovane donna che sa molto ciò che vuole, e ci porta per mano in un immaginario pagano che è assai più vero e calzante di quello che ci viene propinato ogni giorno.
Questo 10” è una carezza, un profondo atto d’amore verso un certo tipo di musica e di retaggio culturale che va dai Black Sabbath a Lucio Fulci, passando per pupille senza colore e sguardi alla volta celeste.
La produzione rende pienamente merito a questo disco che è senz’altro l’inizio di una grande carriera. Non si può non rimanere impressionati dalla potenzialità di Virginia e del suo gruppo, che sembrano già consumati veterani.
Black Magic Man non ha bisogno di essere gridato o suonato a mille, ha soltanto un vitale bisogno di girare sul vostro giradischi, mentre interrompete lo stupro perpetrato ai vostri danni dalla vita moderna e vi lasciate guidare da Virginia.
Non ci saranno difficoltà ad immergersi in un piacevole liquido, dove il femmineo la farà da padrone, come è giusto che sia, riportando a casa ciò che è nostro e che ci è stato negato da almeno duemila anni.
Bello, piacevole ed è un ep che uscirà questa estate.

Tracklist:
1 Angela
2 Lying on Iron
3 Black Magic Man
4 Slave of Grief

PSYCHEDELIC WITCHCRAFT – Facebook

Veratrum – Mondi Sospesi

“Mondi Sospesi” conferma le qualità dei Veratrum che, con questo lavoro, dovrebbero guadagnarsi il meritato supporto degli appassionati.

I Veratrum sono una band bergamasca dedita ad un black/death nel quale, nella sua forma alquanto estrema, non viene dimenticata l’importanza delle melodie: cantano in lingua madre e sono al secondo lavoro sulla lunga distanza, dopo un demo d’esordio (“Sangue” del 2010) ed un full-length (“Sentieri Dimenticati” del 2012).

Mondi Sospesi risulta un buon ascolto per chi sbava per le sonorità scandinave, qui amalgamate da parti estreme riconducibili alla scena dell’Est con i Behemoth in testa: i musicisti, tecnicamente sul pezzo con i propri strumenti, ed una produzione all’altezza fanno il resto, così che il sound estremo della band esplode apparendo a tratti devastante.
Non un assalto senza soluzione di continuità, ma l’aggressione a tratti ragionata e i piccoli dettagli melodici rendono l’ascolto vario; l’uso della lingua italiana forse frenerà un po’ la band a sul mercato estero, ma trovo la scelta, se non ancora perfettamente oliata, sicuramente coraggiosa.
La band quando parte a razzo fa davvero male, le chitarre sparano a velocità della luce solos melodici e la sezione ritmica crea un muro sonoro notevole, ma gli inserti sinfonici, presenti in buon numero, ed i continui cambi di atmosfere e velocità riescono a tenere alta la tensione per tutto il lavoro.
Ottime tra le canzoni presenti sull’album, Il Culto Della Pietra, dove la band alterna death/black, ad una parte sinfonica dal piglio epico e declamatorio, con un riff portante in pieno stile scandinavo che ricorda i primi vagiti della scena melodic death, così come l’intro della devastante Il Tempo Del Cerchio, poi violentata da squarciante metallo oscuro e furibondo.
La seguente Quando in Alto vince la palma del brano più estremo del lotto, con il suo death metal al limite del brutal nelle ritmiche e nel growl animalesco e profondo, rivelandosi un pesantissimo macigno estremo e di notevole impatto.
Mondi Sospesi conferma le qualità dei Veratrum che, con questo lavoro, dovrebbero guadagnarsi il meritato supporto degli appassionati.

Tracklist:
1. Intro
2. Un Canto
3. Il Culto Della Pietra
4. Etemenanki
5. Il Tempo Del Cerchio
6. Quando In Alto
7. Davanti Alla Verità
8. H Nea Babylon

Line-up:
Haiwas -Voice Guitar
Rimmon – Guitar Vocals
Marchosias – Bass
Sabnok – Drums

VERATRUM – Facebook

Orakle – Eclats

“Eclats” è un buonissimo disco, probabilmente un po’ elitario nella sua essenza, ma capace di soddisfare chi apprezza questa particolare commistione tra sonorità estreme ed evoluzioni strumentali di matrice progressive.

Terzo album per i francesi Orakle, dediti ad una forma di progressive death/black certamente non inedita ma di indubbia qualità.

I musicisti coinvolti nel progetto (tra i quali troviamo Emmanuel Rousseau degli immensi 6:33 e dei Carnival In Coal) sono di primissimo ordine e lo dimostra ampiamente la padronanza tecnica esibita nel corso di Eclats.
Tutto ciò, alla fine, si rivela nel contempo pregio e limite dell’opera: infatti, chi ricerca passaggi intricati e ammantati da una buona dose di sana follia qui troverà pane per i suoi denti ma, di contro, sfido chiunque a memorizzare agevolmente non dico un brano intero ma una sua specifica porzione.
In effetti, all’ennesimo cambio di tempo eseguito in un amen dagli Orakle, l’ascoltatore meno avvezzo al genere rischia di finire a gambe levate come accaduto di recente al povero Boateng dopo la finta di Messi …
Volendo trovare un termine di paragone con un nome già noto si può dire che gli Orakle siano una sorta di versione meno estrema degli Ephel Duath: stessa perizia esecutiva, uguale ricerca di un suono anticonvenzionale e medesima difficoltà nel decrittarne la proposta.
Pur apprezzando il lavoro, ritengo che un minimo di linearità o in più lo avrebbe reso più appetibile e quindi migliore; per di più il suo svilupparsi nell’arco di quasi un’ora ed il ricorso alla lingua madre non ne agevolano sicuramente la fruizione.
Resta inteso però che Eclats, contraddistinto anche da una prestazione vocale versatile e da un lavoro chitarristico di fattura non comune, è comunque un buonissimo disco, probabilmente un po’ elitario nella sua essenza ma capace di soddisfare chi apprezza questa particolare commistione tra sonorità estreme ed evoluzioni strumentali di matrice progressive.

Tracklist:
1. Solipse
2. Incomplétude(s)
3. Nihil incognitum
4. Apophase
5. Le sens de la terre
6. Aux éclats
7. Bouffon existentiel
8. Humanisme vulgaire

Pierre “Clevdh” Pethe – Drums
Frederic A. Gervais – Vocals, Bass, Keyboards, Guitars
Antoine “OHM” Aubry – Guitars
Etienne Gonin – Guitars
Emmanuel Rousseau – Keyboards

ORAKLE – Facebook

Nightmare World – In The Fullness Of Time

Esordio su lunga distanza per la band britannica capitanata dal chitarrista dei Threshold Pete Morten.

Con l’esordio su lunga distanza dei Nightmare World siamo nella grande famiglia del power/prog britannico, genere che ha nei Threshold la band di punta: il gruppo, infatti, vede come protagonista al microfono Pete Morten, chitarrista dei più famosi conterranei negli ultimi lavori “March of Progress” e “For the Journey” e al lavoro anche su “The Interpreter” dei My Soliloquy, uscito nel 2013.

In The Fullness Of Time segue di ben sei anni l’ep “No Regrets”, e trattasi di un’opera che non si discosta poi molto da quello che i Threshold producono ormai da più di vent’anni, calcando la mano sulle ritmiche, a tratti più power oriented, ma mantenendo l’impronta progressiva cara alla band di quello che, il sottoscritto, considera il capolavoro del metal/prog, “Psychedelicatessen”, uscito all’alba del decennio di massimo splendore per il genere.
Dotato di un’ottima voce, Morten straripa sulle note power/prog del lavoro, accompagnato da cinque musicisti che, chiaramente, non sono da meno così che la musica della band ci delizia sia nella componente tecnica, che non manca mai in album come questo, sia nella sua parte strettamente emozionale; altro punto a favore per i Nightmare World, i quali puntano al sodo, è il fatto di racchiudere il tutto in meno di quaranta minuti di musica, pochi per gli standard a cui ci hanno abituato le band dedite al genere, ma assolutamente perfetti per questo ottimo album che non annoia con inutili prolissità, colpendo subito il bersaglio dell’assimilazione.
I brani sono infatti diretti, perfettamente suddivisi tra quelli più power e dal taglio epico (The New Crusade) ed altri in cui il prog comanda il sound (Defiance, Damage Report), lasciando che le tastiere di Nick Clarke comandino i giochi con melodie che riportano sempre alla scuola del new prog britannico.
Le chitarre (Sam Shuttlewood e Joey Cleary), aggressive e veloci nelle ritmiche a tratti riconducibili al power teutonico (Euphoria), e la sezione ritmica protagonista di un ottimo lavoro (Billy Jeffs alle pelli e David Moorcroft al basso) completano il combo.
L’album è prodotto da Karl Groom (chitarrista di Threshold e Shadowland e produttore di Dragonforce e Edembridge), mentre il master è stato affidato a Peter Van’t Riet (al lavoro con Symphony X, Transatlantic e Epica), entrambi garanzia di qualità per l’ottima riuscita dell’album.
Ascolto più che piacevole per gli amanti del genere, In The Fullness Of Time è consigliato anche a chi ama suoni più metallici, proprio per la sua immediatezza, pur mantenendo le linee guida del prog sound in voga al di là della manica.

Tracklist:
1. The Mara
2. In Memoria Di Me
3. The New Crusade
4. No Regrets
5. Defiance
6. Burden of Proof
7. The Ever Becoming
8. Damage Report
9. Euphoria

Line-up:
Pete Morten – vocals
David Moorcroft – bass
Sam Shuttlewood – guitars
Nick Clarke – keyboards
Billy Jeffs – drums
Joey Cleary – guitar

NIGHTMARE WORLD – Facebook

Mare Infinitum – Alien Monolith God

Alien Monolith God è un lavoro davvero eccellente nel suo districarsi tra i mortiferi e cadenzati riff e le improvvise quanto ariose aperture melodiche.

Secondo album per i russi Mare Infinitum che danno, così, un seguito al riuscito esordio del 2012, “Sea Of Infinity”.

Già dall’opener The Nightmare Corpse-City of R’lyeh si può constatare che qualcosa è cambiato nel sound della band moscovita: infatti l’ortodosso death doom dell’esordi viene qui arricchito da una stentorea voce pulita, ad opera di Ivan Guskov, che fa il paio con il consueto ed ottimo growl di Andrey Karpukhin (A.K. iEzor – Abstract Spirit e Comatose Vigil, uscito dalla band dopo la registrazione dell’album), mentre le atmosfere, proprio in concomitanza con le aperture vocali si fanno anch’esse più terse, assumendo sembianze quasi epiche.
Il progetto è come sempre condotto da Georgiy Bykov (Homer), il quali si occupa di tutta la parte strumentale e, indubbiamente, la maggiore varietà conferita alle sonorità death doom denota una crescita esponenziale delle doti compositive di questo musicista.
I tre anni intercorsi tra un album e l’altro sono stati quindi ben spesi, a giudicare dai risultati ottenuti: Alien Monolith God è, infatti, un lavoro davvero eccellente nel suo districarsi tra i mortiferi e cadenzati riff e le improvvise quanto ariose aperture melodiche.
Il disco risulta così avvincente in ogni suo passaggio senza sacrificare nulla dal punto di vista dell’impatto emotivo e neppure risentendo di una durata che va a sfiorare l’ora.
Nessuno dei cinque brani mostra la corda, andando a comporre un monolite sonoro inattaccabile sotto l’aspetto qualitativo; chiaramente l’impronta tipica della scena doom moscovita è sempre ben presente, come è normale che sia quando ci si muove in un ambito nel quale le band ed i musicisti sono piuttosto coesi e portati quindi alla reciproca collaborazione.
Una menzione particolare la meritano comunque la lunghissima e cangiante title-track e l’evocativa traccia di chiusura The Sun That Harasses My Solitude, conclusione degna di un disco impeccabile che darà sicura soddisfazione agli amanti del genere.

Tracklist:
1. The Nightmare Corpse-City of R’lyeh
2. Prothetic Consciousness
3. Alien Monolith God
4. Beholding the Unseen Chapter 2
5. The Sun That Harasses My Solitude

Line-up:
Homer – Guitars, Bass, Programming
Ivan Guskov – Vocals

MARE INFINITUM – Facebook

Dryom – 2

Un buon disco consigliato agli estimatori della scuola funeral russa.

Secondo album per questo progetto funeral doom russo denominato Dryom (Дрём), piuttosto misterioso come spesso accade per le proposte musicali provenienti da quelle lande.

Questo 2 è, invero, una versione molto ortodossa quanto ben eseguita del genere: un growl gorgogliante sovrasta un tessuto musicale dai tratti piuttosto atmosferici tanto che i territori calcati qui appaiono vicini a quegli degli Ea, pur con una minore varietà per quanto riguarda l’uso della chitarra solista ed una presenza meno massiccia delle tastiere.
Il probabile unico musicista dietro al progetto conosce alla perfezione la materia e regala a chi ama il genere un’ora di funeral che non delude, avvolgendo con i suoi ritmi pachidermici che sorreggono una afflato melodico comunque sempre ben presente.
Le quattro lunghe tracce appaiono piuttosto uniformi, aspetto che va inteso più come una caratteristica peculiare di questo stile musicale piuttosto che un difetto, per cui è difficile scegliere un brano oppure un altro, anche se la conclusiva She (i titoli dei brani e lo stesso nome della band sono stati traslitterati dal cirillico all’inglese per agevolarne la lettura) mostra qualcosa in più quanto a dolente drammaticità.
Un buon disco consigliato agli estimatori della scuola funeral russa.

Tracklist:
1. Dead City
2. Drawing
3. Blizzard
4. She

Dreams Of Victory – Dreams Of Victory

Dreams Of Victory deve avere la più presto un erede sulla lunga distanza, senza che il tempo raffreddi l’attesa di chi ha scoperto questa band dal potenziale ancora tutto da scoprire.

Strana la storia dei Dreams Of Victory: pur essendo stati fondati nel 2002, più di dieci anni fa, e connotati da un sound originale, dopo ben tredici anni sono solo al secondo ep, il primo per Metal Scrap, che segue “9 Stairs”, lavoro passato praticamente innoservato.

La band ucraina merita tutto il supporto possibile ed IYE corre in suo aiuto anche se questo ep omonimo, composto da tre brani di una varietà ed una emozionalità unica, è uscito ad ottobre dello scorso anno, .
Siamo in ambito prog metal ma, attenzione, perché la band il genere lo manipola e lo nobilita facendone l’uso per cui è nato: una musica senza barriere fatta propria da band come Queensryche e Dream Theater che, a cavallo tra il decennio ottantiano e quello successivo, ha di fatto portato all’attenzione degli ascoltatori la pura tecnica strumentale.
I Dreams Of Victory sono innamorati dei suoni del teatro di sogno e ci travolgono con una marea di ispirazioni ed influenze prese da almeno l’80% dei generi di cui il metal si nutre: in questi tre brani troverete, infatti, symphonic metal (la title-track) amalgamato con soluzioni tecniche, metal epico, declamatorio, ottantiano e fiero erede di band come i Manilla Road (The Patriot) e gothic che affiora dalle voci operistiche, come di moda nel metal classico odierno.
Power, heavy e davvero riuscito, Dreams Of Victory deve avere la più presto un erede sulla lunga distanza, senza che il tempo raffreddi l’attesa di chi ha scoperto questa band dal potenziale ancora tutto da scoprire.

Tracklist:
1.Overture
2.The Patriot
3.Dreams Of Victory

Line-up:
Sergey Lyubimov – keyboards;
Aleksandr Kypriyanov – drums;
Sergey Lukasevitch – bass;
Natalia Dzizinska – violin;
Max Nabokov – guitars

DREAMS OF VICTORY – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=hyd3oDY7

Defallen Prophecy – Death, Hate, Love, Life

Per gli amanti del genere, “Death, Hate, Love, Life” può essere un ottimo ascolto e i Defallen Prophecy una nuova scoperta

Dura di questi tempi parlare di metalcore: il genere è inflazionato, inutile girarci attorno, meno male che, nella valanga di band che si affacciano sulla scena più cool del momento, emergono realtà di un certo spessore.
Così vien da sé che buoni brani, groove a manetta e melodie azzeccate possano fare la differenza.

Basta questo per uscire allo scoperto e riuscire a portare il proprio prodotto all’attenzione dei fans?
Direi di si, anche se chiaramente non si può pretendere l’originalità, specialmente da un combo giovane e al debutto come i nostrani Defallen Prophecy, ma il buon songwriting e quattro brani che, pur non uscendo dai canoni del genere, dimostrano buona padronanza dei mezzi ed impatto notevole, sono già una garanzia di successo nei confronti degli amanti del metal più moderno.
In effetti gli standard del genere ci sono tutti e messi ben in evidenza, partendo dall’opener Panta Rei, muro sonoro colmo di groove, vocione estremo che si scontra con le clean, violenza controllata ma potente e melodie che si alternano, come il sound descritto esige dai suoi adepti.
Vero è che almeno due brani sono ottimi, Heartbreak (ripresa in versione remix alla fine del lavoro) e la veloce e devastante Rising Hope, dove le clean vocals si riprendono la rivincita con l’ottima melodia del refrain.
Per gli amanti del genere, Death, Hate, Love, Life può essere un ottimo ascolto e i Defallen Prophecy una nuova scoperta, prima che il music biz decida che non è più tempo per il metalcore e questi suoni vengano chiusi in quello stesso cassetto dove giace già da un po’ il nu metal: chi vivrà vedrà.

Track List:
1. Panta-Rei
2. The Invisible Cage
3. Heartbreak
4. Rising Hope
5. Heartbreak (Remix)

Line-up:
Lorenzo Carnevali – vocal
Alessandro Carati – bass, vocal
Francesco Oliva – guitar
Andrea Carnevali – guitar
Luca Impellizzeri – drum

DEFALLEN PRPHECY – Facebook

Område – Edari

“Edari” è un album difficilmente catalogabile ma sempre contenuto in un alveo di ascoltabilità, laddove la sperimentazione non diviene un artificio fine a sé stesso.

Un album spiazzante, ma nel senso positivo del termine, questo esordio del duo francese Område.

Perfettamente in linea con la tendenza avanguardistica che permea le band transalpine, Jean-Philippe Ouamer e Christophe Denez danno vita ad un lavoro che pare davvero travalicare i vincoli di genere riuscendo nell’impresa,  a differenza di molti altri connazionali.
Come band di riferimento, in sede di presentazione vengono citati Ulver, Manes e God Is An Astronaut, tra gli altri, ma tutto sommato a un disco come questo ciò che di sicuro non fa difetto è l’originalità.
Edari è un album difficilmente catalogabile, quindi, ma sempre contenuto in un alveo di ascoltabilità, laddove la sperimentazione non diviene un artificio fine a sé stesso, volto a coprire lacune compositive, bensì il veicolo ideale per trasportare l’ascoltatore in una realtà straniante e pervasa da un oscurità di fondo che lascia il segno.
Ambient, trip hop, qualche improvvisa accelerazione di matrice metal ed una robusta componente elettronica, fanno di Edari una creatura cangiante in grado di turbare più di un sonno.
Il sax di Mótsögn, i cori che aprono Mann Forelder, le vocals stentoree di Luxurious Agony, il trip hop accompagnato da una magnifica voce femminile di Satellite and Narrow, l’incipit alla Devbil Doll di Åben Dør, l’elettronica trascinante di Friendly Herpes, l’andamento lugubre e dissonante di Skam Parfyme e l’elettrodark della conclusiva Otaa Sen, sono una sequenza di brani che avvincono pur nella difficoltà di recepire una proposta ostica ma capace di avvolgere piuttosto che respingere.
Bella sorpresa e colpo di pregio per la label salernitana My Kingom nell’accaparrarsi i servigi degli Område.

Tracklist:
1. Mótsögn
2. Mann Forelder
3. Luxurious Agony
4. Satellite And Narrow
5. Åben Dør
6. Friendly Herpes
7. Skam Parfyme
8. Ottaa Sen

Line-up:
Jean-Philippe Ouamer – Drums, Electronics
Christophe Denez – Vocals, Guitar

OMRADE – Facebook

Other Eyes Wise – Chapters

Con il nuovo ed intenso “Chapters”, gli Other Eyes Wise si propongono come una delle voci fuori dal coro del panorama alternativo moderno, amalgamando con personalità metal e progressive, alternative e core.

Questa volta i ragazzi della WormHoleDeath mi hanno messo in seria difficoltà: come inquadrare un album come Chapters?

Gli Other Eyes Wise sono una band londinese che con il debutto “Zer(o)” dello scorso anno, uscito per l’etichetta nostrana, avevano messo in mostra buone potenzialità.
Il disco, recensito su queste pagine, era piaciuto per l’ottimo approccio al metal moderno, per niente leccato, spogliato da tentazioni commerciali e colmo di digressioni provenienti da svariati generi musicali, inglobati in un unico caleidoscopio di suoni, drammatici e dalla tensione altissima, sopratutto nelle parti in cui le sfuriate metalliche lasciavano spazio a momenti di musica intimista e dall’animo rabbuiato da una melanconia rabbiosa.
Ecco che, nel nuovo album, si amplificano le qualità del gruppo: il secondo capitolo è un lavoro maturo, intenso, che non lascia spazio a nessuna tentazione commerciale, ma spinge proprio sulle atmosfere.
Le melodie, mai banali, mantengono una drammaticità di fondo che tocca l’anima e solo in pochi frangenti si aprono per far entrare un poco di luce nel sound del gruppo, con arpeggi leggermente più ariosi e la voce che si rilassa (Define The Outside).
Sono attimi di speranza, un po’ di quiete interiore della musica della band che, diciamolo, è supportata da una tecnica che aiuta ad inglobare nel sound di Chapters ritmiche di intricata musica progressiva, presa per il colletto da rabbiose parti che si avvicinano a sonorità core, moderne ma adulte, senza concedere una nota al genere amato dai ragazzini cool, in giro per le rockteche di mezzo mondo.
Chapters è un album difficile e, come tutte le opere di questa levatura, va fatto proprio cercando di carpirne messaggi e segreti, con calma e la dovuta attenzione, lasciandosi rapire da una serie di brani che portano dove l’ascoltatore deciderà di iniziare la sua avventura musicale, tra note e passaggi mai scontati, watts che irrompono violenti su basi ritmiche che definire intricate è un eufemismo.
Lasciando solo a Broken Path, primo brano dell’album che segue l’intro, una più facile assimilazione, gli Other Eyes Wise sfoderano più di un’ora di musica animata da uno spirito di rabbiosa e malinconica musica rock, ben inserita in questi tempi di mordi e fuggi, ma assolutamente incompatibile con ascolti distratti, troppo intricata la ragnatela di generi ed atmosfere cucita dal gruppo londinese: senza inventare nulla, i nostri si propongono come una delle voci fuori dal coro del panorama alternativo moderno, amalgamando con personalità metal e progressive, alternative e core, per un risultato intenso e originale.

Tracklist:
1.Intro
2.Broken Path
3.The Inevitable
4.Walls
5.Hidden Strenght
6.Define The Outside
7.What Is Difference
8.The Obstruction
9.E.C.
10.Again The End
11.Fjords
12.Live

Line-up:
Coop
Jo
Sy
Pinkie

OTHER EYES WISE – Facebook

Salems Lott – Salems Lott

Buon Ep per la band californiana che si rivela una bella sorpresa ed un ottimo ascolto per gli amanti dei gruppi che fecero fuoco e fiamme negli anni ’80

Los Angeles, California: tra le sfuriate estreme, il metalcore imperante e l’alternative rock, che in America è pane per adolescenti, c’è chi continua a portare alta e fiera la bandiera del metal ottantiano, tra glam, street e metal teatrale, infarcito di richiami alle band leggendarie del metal statunitense come Wasp e Lizzy Borden, senza dimenticare chi questo genere lo ha inventato, Alice Cooper, sempre troppo poco osannato per quello che poi, nella sua lunga carriera, ha regalato alla nostra musica preferita.

Questo ottimo Ep omonimo porta la firma dei Salems Lott, band nata nel 2013 ad Hollywood: quattro musicisti dal look variopinto, tra glam e horror/punk, che fregandosene delle mode si gettano nel calderone della scena metal della città degli angeli con il loro Visible Sonic Shock, molto teatrale in sede live ma comunque ottimo anche musicalmente.
Tutto il mondo Salems Lott gira intorno al cantante e chitarrista Monroe Black, dall’approccio aggressivo al microfono (la sua voce a tratti rimanda al thrash) e bravissimo con la sei corde, che spettacolarizza brani, dall’ottimo impatto, aiutato dall’altro bravissimo axeman Jett e aggiungendo alle influenze descritte ritmiche veloci, a tratti furiose, dove la voce al vetriolo avvicina non poco la band allo speed/thrash.
Tra riff esplosivi, solos da guitar hero, melodie ben inserite in un contesto che mantiene sempre altissima la tensione, l’assalto metallico del gruppo rimane per tutta la durata dell’album di ottima fattura; Wings Of Duress e No Choice To Love, danno il benvenuto nel mondo dei Salems Lott, anche se Smoke And Mirrors fa balzare sulla sedia: le velocità aumenta, l’anthem richiama generi più estremi e le due chitarre piazzano assoli taglienti come una lama alla gola.
Si torna a rocckare tra lustrini e pailettes con Black Magic, anche se sempre in un contesto oscuro, per arrivare alla canzone più smaccatamente thrash del lotto, S.S. (Sonic Shock), che aggredisce alla grande, mettendo in luce la sezione ritmica indiavolata composta da Kay al basso e Tony F. Corpse alle pelli.
Buon Ep per la band californiana che si rivela una bella sorpresa ed un ottimo ascolto per gli amanti dei gruppi che fecero fuoco e fiamme negli anni ’80: il sottoscritto consiglia l’ascolto anche ai thrashers di larghe vedute, che troveranno di che crogiolarsi tra le tracce di Salems Lott.

Tracklist:
1. Wings of Duress
2. No Choice to Love
3. Smoke and Mirrors
4. Atlas
5. Black Magic
6. S.S. (Sonic Shock)
7. Twilight Traverse

Line-up:
Monroe Black – Lead Vocals, Lead Guitar
Jett – Lead Guitar, Vocals
Kay – Lead Bass, Vocals
Tony F. Corpse – Drums

SALEMS LOTT – Facebook

Helfir – Still Bleeding

Per chi ama le sonorità oggi simboleggiate dai vari Moss, Patterson e dai fratelli Cavanagh, Still Bleeding è un album assolutamente imperdibile.

Non è così frequente riscontrare una perfetta corrispondenza tra le influenze dichiarate da un musicista e ciò che confluisce poi nei suoi dischi: tutto questo accade, invece, in occasione dell’ esordio un veste solista del salentino Luca Mazzotta con il suo progetto Helfir.

Nella relativa pagina Facebook si fa riferimento ad Antimatter, Anathema, Katatonia, Porcupine Tree e Alternative 4, ed effettivamente in Still Bleeding Mazzotta prima assimila, per poi amalgamare mirabilmente, quanto prodotto da tutte queste magnifiche band.
Indubbiamente, in percentuale è l’impronta fornita da Mick Moss quella che si manifesta in maniera più evidente, ma Luca ha il grande merito di non limitarsi ad una citazione sbiadita o didascalica, mettendoci invece del proprio a livello compositivo e presentando un lotto di brani pressoché inattaccabile.
Certo, del musicista inglese manca l’inconfondibile timbro che da solo rende speciale qualsiasi canzone, ma l’interpretazione di Mazzotta è ugualmente efficace e, soprattutto, capace di toccare le giuste corde disseminando l’album di momenti dal grande spessore emotivo, anche in virtù di un eccellente lavoro chitarristico.
Se vogliamo dirla tutta, due tra le band che Luca colloca tra i propri numi tutelari, sto parlando di Porcupine Tree (e dello stesso Wilson solista) e Katatonia, da diverso tempo non riescono a produrre lavori coinvolgenti come questo magnifico esordio targato Helfir.
Un disco da godersi immergendosi in toto nelle sue note che non tradiscono mai, con l’unica punta di opacità riscontrabile nel sentore folk di Dresses Of Pain; nient’altro che il classico pelo nell’uovo di un disco che meraviglia ed avvince con la bellezza non comune di My Blood, Alone, Black Flame, decisamente all’altezza degli Antimatter e degli Alternative 4 più ispirati, e di Night And Deceit, splendido brano dai suoni più robusti e dal flavour dark, per certi versi accostabile agli ultimi The Foreshadowing, che chiude nel migliore dei modi l’ispirato lavoro di questo bravissimo musicista nostrano.
Per chi ama le sonorità oggi simboleggiate dai vari Moss, Patterson e dai fratelli Cavanagh, Still Bleeding è un album assolutamente imperdibile.

Tracklist:
1.Oracle
2.My Blood
3.In The Circle
4.Alone
5.Dresses Of Pain
6.Black Flame
7.Portrait Of A Sun
8.Where Are You Now?
9.Night And Deceit

Line-up:
Luca Mazzotta – Vocals, Guitars, Bass, Keyboarrds, Drums Programming

HELFIR – Facebook

Endlesshade – Wolf Will Swallow the Sun

L’ennesima nuova stimolante scoperta proveniente dalla scena death-doom ucraina sulla quale focalizzare l’attenzione anche in prospettiva futura.

Album d’esordio per gli Endlesshade i quali contribuiscono ad arricchire, con questo Wolf Will Swallow the Sun, una scena death-doom ucraina già piuttosto vivace.

Il fatto di inserire nel titolo il nome di una delle band guida del genere equivale ad una dichiarazione di intenti ma può apparire anche fuorviante, visto che i riferimenti ai maestri finlandesi ci sono, eccome, ma non nella misura in cui ci si sarebbe potuti attendere. Tutto sommato, infatti, è soprattutto la title track che vede maggiormente omaggiati Kotamäki e soci, mentre nel resto del disco predomina soprattutto un’aura drammatica, nella quale vengono alternati tratti sognanti ad altri piuttosto aspri.
Il gruppo di Kiev non reinventa la ruota ma propone nel migliore dei modi ciò che ogni appassionato del genere vorrebbe ascoltare: partiture dolenti, riff robusti, melodie decadenti disegnate dalla chitarra solista sulle quali si staglia l’impressionante growl di una Natalia Androsova che, almeno da quanto ci è dato ascoltare su disco, appare per distacco il migliore growl femminile mai udito.
Tra le splendide Post Mortem e Truth Untold viene racchiusa quasi un’ora di death-doom, assolutamente in linea stilisticamente con le migliori espressioni dell’area ex- sovietica, che ci consegna gli Endlesshade come l’ennesima nuova stimolante scoperta sulla quale focalizzare l’attenzione anche in prospettiva futura.

Tracklist:
1. Post Mortem
2. 7
3. Wolf Will Swallow the Sun
4. Noctambulism
5. Edge
6. Truth Untold

Line-up:
Artem Ivanov – Drums
Mikhail Chuga – Guitars
Yuriy Politko – Guitars
Olga Bedash – Keyboards
Natalia Androsova – Vocals
Angelus – Bass

ENDLESSHADE – Facebook

Graal – Chapter IV

Chapter Iv è il quarto bellissimo lavoro dei romani Graal, uno splendido viaggio tra hard rock, progressive e metal.

Questo bellissimo album è la risposta perfetta a chiunque mi dovesse chiedere quali siano le origini della mia smisurata passione per la musica rock/metal: più di trentacinque anni di una fiamma che dentro di me continua ad ardere, a dispetto delle primavere che passano inesorabili e dei mille problemi che la vita porta con sé.

Lo dico da sempre, le persone che hanno la fortuna di innamorarsi della sublime arte non saranno mai sole e hanno qualcosa in più, se poi questa meravigliosa dipendenza li porta a confrontarsi con svariati generi ancora meglio, perché riusciranno ad assaporare e fare proprie le virtù insite in ogni stile musicale.
E’ così che, passate più di tre decadi a confrontarmi con tutti i generi che l’hard rock e l’heavy metal hanno regalato, davanti ad un lavoro come Chapter IV dei romani Graal è come tornare tra le braccia di una vecchia amante mai dimenticata, passionale, calda e bellissima musa ispiratrice di sogni ora romantici, ora carnali ma tremendamente autentici.
La band romana, al quarto album, festeggia dieci anni di uscite discografiche avendo licenziato il primo lavoro “Realm Of Fantasy” nel 2005, seguito da “Tales Untold” del 2007 e “Legends Never Die” del 2011.
Maturità compositiva ed assoluta padronanza del genere suonato arrivano, con quest’opera, al massimo del loro splendore e ci offrono uno spaccato di musica che miscela metal, hard rock e progressive a cavallo tra ‘70-‘80, trasportandolo nel nuovo millennio per lasciarlo finalmente libero di regalare emozioni mai sopite , tra fughe tastieristiche, chitarroni heavy, ricami folk ed una vena prog entusiasmante.
Cori perfettamente inseriti in canzoni di estrema eleganza, riff e assoli elettrici di scuola heavy britannica, tasti d’avorio che fanno il bello e cattivo tempo, come negli anni in cui spadroneggiavano signori delle keys come Jon Lord e Rick Wakeman, e gustosi inserti folk, sono il ripieno di questi undici confetti musicali che non tralasciano una vena epica e fiera tipica di cavalieri e custodi del Santo Graal.
Un Graal che forse non è una coppa come tutti credono, ma uno spartito dove racchiuse ci sono le note di brani fuori dal tempo come Pick Up All The Faults, Revenge, l’accoppiata capolavoro The Day That Never Ended / Stronger, riassunto compositivo della band dove troverete tracce di Rainbow, Uriah Heep, Yes, con qualche richiamo al blues del serpente bianco era Lord ed un’attitudine heavy sempre presente e mai doma.
L’album continua il suo viaggio tra emozioni e brividi e si arriva così alla celestiale Goodbye, altra canzone capolavoro, dove a fare capolino sono i Genesis di Peter Gabriel, sempre con un taglio da ballad metal ma marchiata a fuoco dalla discografia settantiana della band inglese.
Viviamo in tempi in cui, purtroppo, anche la musica risente della vita frenetica che la società moderna ci impone, sempre alla ricerca del nostro Graal, che poi altro non è che una pace interiore, un attimo per concederci qualcosa che aiuti a sognare: io l’ho trovato, il suo nome è Chapter IV.

Tracklist:
1.Little Song
2.Pick Up All The Faults
3.Shadowplay
4.Revenge
5.The Day That Never Ended
6.Stronger
7.Guardian Devil
8.Lesser Man
9.Last Hold
10.Goodbye
11.A Poetry For A Silent Man
12.Northern Cliff

Line-up:
Andrea Ciccomartino – Voce, Chitarra Rtimca e Acustica
Francesco Zagarese – Chitarra Solista
Michele Raspanti – Basso
Danilo Petrelli – Tastiere
Alex Giuliani – Batteria

GRAAL – Facebook

VV.AA. – Sed Auis

Stuzzicante split proposto dalla SixSixSix, che propone tre progetti solisti dediti al black metal ma con approcci piuttosto differenti.

Stuzzicante split proposto dalla SixSixSix, che propone tre progetti solisti dediti al black metal ma con approcci piuttosto differenti.

I primi due brani vedono all’opera i Nebel Über Den Urnenfeldern del tedesco C.: con il suo progetto di nascita recentissima il musicista della Bassa Sassonia si cimenta con uno stile non lontano dal depressive che, nonostante qualche imperfezione tecnica, denota una spiccata capacità di tessere melodie di qualità e soprattutto poco scontate.
Nelle sue dichiarazioni di intenti C. intende riprodurre le sonorità dei primi Nocte Obducta: come detto, dal punto di vista melodico/evocativo la strada è sicuramente quella giusta, c’è sicuramente da lavorare ancora un po’ sulla pulizia del suono, ma i due brani, Asche über dem Leidensweg (specialmentee Ein Riss im ewigen Kreis, possono sicuramente soddisfare chi nel genere cerca più i contenuti che non la forma.
La seconda coppia di tracce è appannaggio del cileno Tons con i suoi Eternal Spell: anche qui trattasi di un progetto dalla genesi molto recente, per cui i margini di miglioramento sono ovviamente molti.
In questo caso il black del musicista sudamericano prende le mosse dal black’n’roll in stile ultimi Darkthrone, nel quale affiorano anche diversi elementi punk, inclusi certi passaggi vocali. Come spesso accade per questo particolare sottogenere i brani scorrono via piacevoli ma senza lasciare un segno tangibile, all’insegna del palla lunga e pedalare che lì per lì non annoia ma che, alla lunga, lascia poche tracce nella memoria.
Gli ultimi due brani riportano su un altro livello il lavoro, trattandosi del contributo allo split dei Chiral, progetto dell’omonimo musicista italiano che abbiamo già avuto modo di conoscere in occasione delle sue ottime precedenti uscite.
Il fatto stesso che il nostro, rispetto ai compagni di avventura, abbia già alle spalle una discografia più rilevante, si sente nello sviluppo delle due tracce, Queste Voci Ch’Eclissano La Luce I e II, che mettono in mostra un black metal atmosferico di elevata qualità e maturità.
Il primo brano è pressoché perfetto nel suo bilanciamento tra aggressione e melodia, rivelandosi un ulteriore passo avanti nella progressione artistica di Chiral, mentre il secondo si muove inizialmente in maniera un po’ sghemba, ma il suo affascinante incedere al quale contribuisce una suono di chitarra piuttosto inusuale per il black (a tratti sembra provenire da ipotetiche session di “Pornography”, tanto per capirci …) lo rende alla fine soddisfacente quanto il precedente.
Lo split si rivela quindi ricco di spunti di interesse, con la piacevole conferma sui alti livelli dei Chiral, le notevoli potenzialità ancora da sgrezzare per i Nebel Über Den Urnenfeldern e l’auspicio della ricerca di una strada leggermente più personale per gli Eternal Spell.

Tracklist:
1. Nebel Über Den Urnenfeldern – Asche über dem Leidensweg
2. Nebel Über Den Urnenfeldern – Ein Riss im ewigen Kreis
3. Eternal Spell – Black Mysticism
4. Eternal Spell – Forces of Occult
5. Chiral – Queste Voci Ch’Eclissano La Luce I
6. Chiral – Queste Voci Ch’Eclissano La Luce II

Line-up:
Nebel Über Den Urnenfeldern
C. – All Instruments, Vocals

Eternal Spell
Tons – All Instruments, Vocals

Chiral
Chiral – All Instruments, Vocals

NEBEL UBER DER URNENFELDERN – Facebook

CHIRAL – Facebook

Bastian – Among My Giants

Riedizione a cura della Underground Symphony del bellissimo album per Sebastiano Conti,che, con il monicker Bastian, raccoglie una manciata di stelle del metal mondiale per regalrci un lavoro sulla scia di Black Sabbath,Dio e Rainbow.

Lo scorso anno uscì, autoprodotto, questo bellissimo lavoro di metal classico e hard rock ottantiano ad opera del chitarrista siciliano Sebastiano Conti che, con il monicker Bastian, riunì un manipolo di stelle come vocalist del calibro di Mark Boals e Michael Vescera, entrambi ex Malmsteen, e batteristi di pari fama quali Vinnie Appice (Black Sabbath e Dio), John Macaluso (Riot, James Labrie, Malmsteen, TNT) e Thomas Lang (Paul Gilbert, Glenn Hughes).

Impreziosito dalla chitarra e dal talento compositivo del musicista nostrano, Among My Giants esplodeva in tutto il suo splendore, una splendida opera che riproponeva i fasti dell’hard rock di metà anni ’80: un tributo al metal più nobile, di cui fu il cordone ombelicale e che portò la nostra musica preferita a viaggiare tra i decenni successivi fino ai giorni nostri.
Un sogno per Sebastiano che si realizzò, circondandosi di musicisti leggendari di cui lui è stato ed è un fan, unendoli sotto il programmatico titolo Among My Giants: un lavoro mastodontico, nel quale Conti si prese cura di tutti i dettagli, regalando ai fortunati ascoltatori più di un’ora di musica immortale.
Purtroppo, senza il concreto supporto di una label alle spalle, l’album rischiava di passare inosservato, annegato nel mare di uscite che ogni giorno si affacciano sul mercato discografico, poco incline alla qualità e molto affascinato dai generi più cool.
Finalmente qualcuno che non sia una piccola ‘zine come la nostra si è accorto di quest’opera: la Underground Symphony, storica label nostrana, ha messo nelle mani di Sebastiano una penna per la firma sul contratto ed è così che Among My Giants esce completamente rinnovato nella sua veste grafica, ma soprattutto lo si potrà trovare in qualsiasi negozio di musica, in modo che chiunque possa avere la possibilità di far suo questo splendido lavoro.
Si potranno assaporare quindi le atmosfere dell’opener Odissey, in pieno stile Black Sabbath era Tony Martin, la fantastica performance del chitarrista su brani come Hamunaptra, Magic Rhyme e Mother Earth, il blues rock di Justify Blues, jam strumentale in compagnia di Giuseppe Leggio alle pelli e Corrado Giardina al basso, le atmosfere cangianti che passano dal metallo epico di Rainbow/Dio, ai ritmi più stradaioli di Sexy Fire e che rendono il lavoro molto vario, toccando vette emozionali altissime nelle due ballad The Fisherman e An Angel Named Jason Becker, dedicata al chitarrista americano.
Un lavoro enorme, un sogno che si è realizzato per il musicista nostrano e che vede i propri sforzi ulteriormente premiati da un contratto e dal vedere la propria opera finalmente a disposizione di tutti gli amanti di queste sonorità.
Non avete più scuse, fate vostro questo album ed anche voi vi troverete “tra i giganti”.

Tracklist:
1.Odyssey
2.Mother Earth
3.Hamunaptra
4.Tamburine Song
5.Secret and Desire
6.Sexy Fire
7.Lights and Shadows
8.Justify Blues
9.Magic Rhyme
10.The Beach
11.The Fisherman
12.Song of the Dream
13.Soul Hunters
14.An Angel Named Jason Becker

Line-up:
Sebastiano Conti – Guitars
Guests:
Michael Vescera – Vocals
Mark Boals – Vocals
Vinnie Appice – Drums
Thomas Lang – Drums
John Macaluso – Drums
Giuseppe Leggio – Drums
Corrado Giardina – Bass

BASTIAN – Facebook

TEMPERANCE – Intervista

Ad un anno esatto dal bellissimo esordio,i Temperance sono tornati a deliziare con l’altrettanto stupefacente “Limitless”: ne abbiamo nuovamente parlato con il chitarrista e cantante Marco Pastorino.

Ad un anno esatto dal bellissimo esordio, i Temperance sono tornati a deliziare con l’altrettanto stupefacente Limitless.
Dopo averli visti dal vivo all’Angelo Azzurro di Genova, abbiamo posto qualche domanda a Marco Pastorino, come sempre gentilissimo e disponibile: la parola al talentuoso musicista.

iye Ciao Marco, è passato un anno dall’ultima intervista con cui ci presentavi la tua nuova band, fresca del bellissimo esordio, ed eccoci oggi a parlare del nuovo lavoro; in effetti siete stati velocissimi nel dare un successore al vostro album omonimo: una scelta pianificata oppure la volontà di sfruttare un momento di particolare ispirazione ?

Ciao ! E’ un piacere ritrovarci qui dopo un anno esatto. Nessuna pianificazione, non siamo mai stati bravi ma anche interessati a costruire un prodotto a tavolino. Invece ti dirò che dopo essere rientrati dal minitour in America, siamo tutti tornati in patria con una gran voglia di fare, spronati proprio da quel viaggio; così mi sono trovato con Giulio per vedere qualche idea che avevamo abbozzato proprio in quei giorni. Da lì il discorso secondo album ha preso vita velocissimamente; in pochi giorni avevamo in mano quasi metà lavoro completo e da lì le idee hanno continuato a scorrere. Qui mi fermo per sottolineare che in Limitless sono contenute ben 13 canzoni, un po’ tante a mio parere, ma ci sentivamo in dovere di dare tutto quello che avevamo, personalmente anche una maniera carina per ringraziare chi nel 2014 ci ha seguito e ci ha permesso di suonare molto. Mettendomi nei panni di chi compra un disco, io sarei entusiasta all’idea di avere un nuovo album di Nightwish, Edguy o quant’altri, con un numero alto di ottime composizioni. Naturalmente il fatto che siano buone le nostre, non sta a me giudicarlo, ah ah

iye “Limitless” mi ha sorpreso per la qualità altissima del songwriting e per una maggiore componente elettronica, che gli fa prendere ancor più le distanze dal classico symphonicpower, ancora presente nel primo album specialmente in brani come “The Fourth Seasons” e “Lotus”.

Come il titolo fa intendere, non ci siamo posti limiti, andando anche oltre al concetto di symphonic, electronic, teutonic e cosi via ah ah. Abbiamo cercato di scrivere canzoni che ci coinvolgessero totalmente; che siano più o meno verso un tipo di sound è dovuto solo alla richiesta che la canzone stessa chiedeva. Per esempio Oblivion è un brano che io vedo come un mix tra parti più symphonic, grazie alla voce di Chiara nel chorus, il finale col solo molto melodico, mescolato a parti di voce tipicamente pop ma anche ad una delle parti di chitarra più violente dell’intero disco. Abbiamo davvero voluto dare spazio a tutto quello che ogni singola parte di canzone richiedeva, senza forzarci all’inserimento di una determinata cosa.

iye “Limitless” doma la sua parte estrema lasciandola sfogare piano piano ed uscendo prepotente dalla metà della scaletta in poi, quasi voleste preparare l’ascoltatore alla vostra furia, giocando tra bellissime melodie, un appeal irresistibile e tanto metal elegante: sei d’accordo?

La verità credo stia nel mezzo; abbiamo voluto iniziare l’album con un brano totalmente nuovo per il sound del primo album, ma allo stesso tempo, abbiamo deciso di chiudere Limitless con un brano, la titletrack stessa, che potesse aprirci le porte verso il futuro. In quel brano ci vedo moltissime cose che non abbiamo mai inserito prima; il finale apocalittico , che strizza l’occhio ad alcune cose vicine al power, ma anche quell’orchestrazione iniziale un po’ epica e teatrale alla Savatage e l’utilizzo di 3 voci in una determinata maniera, oltre ad uno dei testi più decisi dell’intero disco; il non amalgamarsi al sistema, essendo se stessi in ogni momento, muovendosi con le proprie forze , vivendo la vita giorno per giorno , con una spiccata personalità.

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iye Squadra che vince non si cambia, con la band confermata in tutti i suoi effettivi, segno di un’amalgama perfetta anche dal punto di vista umano, con Chiara a donare al pubblico performance di assoluto livello; quanto ha influito la vostra singer sul processo compositivo di “Limitless”?

I brani di Limitless, come quelli del primo album, sono firmati in duo da me e Giulio interamente, ma è naturale che il sound Temperance è frutto di un lavoro collettivo; se non ci fosse Chiara, come non ci fossero Luca o Sandro, il risultato finale sarebbe completamente diverso. Non è solo il songwriting a fare una band, ma è lo spirito di unione che si crea quando si vive insieme per giorni, weekend, settimane in un van, aereo, studio . La forza dei Temperance sta proprio in tutti questi particolari. Non intraprenderei questo bellissimo viaggio se ci fossero altri compagni d’avventura.

iye Avete portato il vostro esordio on stage, ed ora siete tornati nuovamente a calcare i palchi promuovendo il nuovo album: che impatto pensi abbia avuto la tua nuova band sui fan del metal?

Di base cerchiamo di offrire un prodotto di alto livello soprattutto dal punto di vista live. Credo che il fatto di stare bene sul palco, dia al pubblico una serenità che propende facilmente al divertimento, che è quello che la musica dovrebbe sempre dare. E’ una gioia infinita sentire la felicità nelle persone , chiaro sintomo di quanto una serata possa essere andata bene.

iye Il primo album è stato una sorpresa, il secondo una gradita conferma, si dice sempre che il terzo sia quello della consacrazione; indubbiamente gli ottimi risultati portano anche molte aspettative nel pubblico: cominci a sentire un po’ di peso in tal senso ?

Sai, non sentiamo nessun peso. Ma tutto molto tranquillamente perché il nostro obiettivo primario non è quello di arrivare lì o la oppure costruire un album che vada in una determinata direzione e così via. In quel caso probabilmente sentiremmo la totale pressione addosso, per fare un lavoro che possa mettere d’accordo tutti, ma non è questo il nostro obiettivo. I primi due lavori sono nati belli decisi come sono venuti fuori, senza pressioni, voglia di arrivare ecc.e nessuno può sapere cosa ci porterà il futuro. E’ un po’ il lato bello della musica e dell’arte stessa; io vedo noi 5 come anime in continua evoluzione alla ricerca di emozioni di un certo tipo , ma nemmeno noi sappiamo con che cosa ci emozioneremo tra 1-2 anni.

iye Ho avuto il piacere di incontrarti in occasione del concerto all’Angelo Azzurro di Genova (show bellissimo, nonostante lo stato di salute di Chiara, debilitata dall’influenza e comunque grande esempio di professionalità) e come sempre mi hai dato l’impressione d’essere un ragazzo umile e disponibile, a dispetto dell’enorme talento che hai a disposizione: come descrive se stesso Marco Pastorino?

Ti ringrazio molto per le belle parole. Personalmente mi reputo la stessa identica persona sopra un palco, sotto di esso, e così via. E’ talmente bello incontrare buoni amici e belle persone in ogni viaggio che intraprendiamo che sarebbe un peccato sprecare l’occasione. La vita stessa è un’esperienza unica che vale la pena vivere appieno. Quest’intervista mi sta facendo diventare più filosofo del solito, ah ah.

iye Parlando dei Temperance è inevitabile che i riflettori ricadano fondamentalmente su te e Chiara, ma non vanno dimenticati gli altri tre talentuosi musicisti che sono parte integrante di questa avventura …

Forse da fuori per chi non ci conosce, può sembrare che i riflettori siano puntati verso una o l’altra persona ma, ricollegandomi al discorso di prima, i Temperance sono quello che sono grazie a tutti i membri del gruppo stesso. Ognuno è il 20% di questo sistema.
Personalmente reputo ad esempio Luca uno dei bassisti più talentuosi della scena, con un accattivante gusto rock mescolato alle sperimentazioni più moderne.

iye La scena metal continua a faticare, le band italiane sono mediamente ottime ma sempre poco considerate dagli addetti ai lavori; gli appassionati riempiono i palazzetti solo per i grandi nomi snobbando e supportando pochissimo le realtà minori. Munisciti di una sfera di cristallo per immaginare come si potrà evolvere nel futuro questa situazione …

E’ naturale che tutto continuerà a cambiare; è sempre stato così e lo sarà sempre, ma la qualità delle band viene sempre fuori e, soprattutto oggi, se una band scrive ottimi album, offre spettacoli di livello , otterrà sicuramente qualcosa di buono dall’industria musicale. Forse da questo punto di vista, la nostra generazione è avvantaggiata rispetto a quelle di 20-30 anni. Ora ognuno ha davvero la possibilità di arrivare ovunque coi propri lavori. Diciamo che sono una persona che vede sempre il bicchiere mezzo pieno e quindi lasciamo perdere i problemi che la tecnologia stessa ha portato alla musica, ah ah

iye Quando sei partito con l’idea di formare i Temperance, avresti mai pensato di riuscire in così poco tempo ad avere due bellissimi album all’attivo ed il consenso unanime di critica e pubblico?

Assolutamente no. Temperance è davvero un’esperienza nata nel giro di pochi giorni, dal nulla, senza pretese e obiettivi di sorta. Il fatto che siamo qui dopo un anno e mezzo a parlare di due album pubblicati e buoni riscontri, stupisce pure me. Se me l’avessero chiesto a settembre 2013 quando abbiamo fatto la prima prova per vedere come si poteva sviluppare un certo tipo di sound con voce femminile, non ci avrei creduto. Ma ripeto, siamo davvero felici di tutto quello che c’è attorno a questa band; si respira un’aria splendida e questo è solo l’inizio del viaggio.

iye Usciamo per un attimo un attimo dai Temperance per chiederti notizie sulla situazione in casa Secret Sphere.

Coi Secret usciremo nei prossimi giorni con la riedizione di “A Time Never Come”, completamente ri-registrato dall’attuale lineup. Ma intanto siamo proprio in questi giorni alle prese con i preparativi per il nuovo album in studio che sta prendendo vita piano piano. Diciamo pure che non ci annoiamo 🙂

iye Una domanda d’obbligo per chiudere: quali sono i progetti per la prossima estate, soprattutto per quanto riguarda la tua attività dal vivo con entrambe la band?

Progetti? Spiaggia, piscina e via ah ah. Con Secret Sphere quest’estate saremo fermi a comporre, anche un po’ per ricaricare le pile dopo aver passato più di due anni a promuovere “Portrait Of A DyingHeart”. Mentre naturalmente continueremo il supporto a Limitless con una buonissima serie di date.

Un saluto e un abbraccio a tutti!!!

Filii Eliae – Cimiterivm

Il metal occulto di scuola italiana e una consistente spruzzata di black in salsa mediterranea sono gli ingredienti di base che rendono “Cimiterivm” un gran bel disco.

La genesi dei Filii Eliae va ricercata molto indietro nel tempo: erano infatti gli anni 80 quando i fratelli Maurizio e Roberto Figliolia muovevano i primi passi nella scena metal campana con le loro band dai monicker come Mayhem ed Enslaved, che vennero poi resi famosi ad altre latitudini, .

Dopo un lunghissimo silenzio la nuova creatura, che prende il nome dalla latinizzazione del cognome dei nostri, si manifesta con l’ottimo “Qvi Nobis Maledictvm Velit”, album capace di riscuotere unanimi consensi a livello di critica.
La ritrovata vena creativa di Martirivm ed Ossibvs Ignotis (nomi d’arte adottati dai due) porta la band salernitana a produrre, a meno di un anno di distanza, un nuovo lavoro, Cimiterivm, che ne sancisce in tutto e per tutto l’innegabile valore.
Il sound dei fratelli campani, che si avvalgono al basso dell’ausilio di Vastvm Silentivm, si può definire a buona ragione come black/doom, poiché del primo assimila le ritmiche nei passaggi più veloci mentre dal secondo attinge soprattutto al suo saper essere solenne, epico e allo stesso tempo, pesante come un macigno.
Allo stesso modo non è azzardato intravvedere negli Abysmal Grief un nobile influsso per quanto riguarda i tratti più funerei dell’album, contrassegnati da un uso piuttosto simile delle tastiere, come pure un minimo debito nei confronti del maestro The Black, non fosse altro che per il ricorso ai testi in latino, anche se, va detto subito, lo stile dei Filii Eliae è molto più composito e ricco di sfumature.
Non a caso, Martirivm si rivela musicista di grande spessore sia quando tesse atmosfere macabre con le tastiere e la chitarra, con la quale si lascia andare con gradita frequenza ad assoli intrisi di melodia, sia con uno screming/growl alla Sakis, mai superfluo e sempre incisivo pur nella difficoltà di interpretare i testi nell’antica lingua.
Per capire quali siano gli intenti dei Filii Eliae basta ascoltare il primo brano, lo strumentale Introitvs, che si rivela tutt’altro che una consueta intro, costituendo invece il primo dei tre splendidi strumentali che esplicitano, senza lasciare alcun dubbio, le doti compositive ed il gusto melodico non comune della band salernitana.
La successiva title-track è la virtuale partenza di un rituale che si snoderà tra una serie di brani avvincenti, vari e perfettamente eseguiti (anche da una sezione ritmica che svolge il suo compito in maniera essenziale ma efficace); il metal occulto di scuola italiana e una consistente spruzzata di black in salsa mediterranea sono gli ingredienti di base che rendono Cimiterivm un gran bel disco.
Tra le tracce (ognuna di eccellente livello, qui di filler non se ne parla neppure) mi sentirei di segnalare ancora la furiosa Tabvula Rasa e la migliore del lotto, Odivm Aeternvm, episodio dai ritmi che avvincono apparendo un’ipotetica e mirabile fusione tra i Rotting Christ ed i Satyricon di “K.I.N.G.” ma risultando, invece, la ciliegina sulla torta messa sull’album da una band dai tratti del tutto personali come i Filii Eliae.

Tracklist:
1. Introitvs
2. Cimiterivm
3. Cinis Cineri
4. Tabvla Rasa
5. Exeqviae
6. Plvrimvm Sangvinis
7. Ivs Vitae Ac Necis
8. Fvneralis
9. Odivm Aeternvm
10. Extrema Pars

Line-up:
Ossibus Ignotis – Drums
Martirium – Vocals, Guitars
Vastum Silentium – Bass

FILII ELIAE – Facebook

childthemewp.com