Skáphe – Skáphe²

Gli Skáphe tentano di rendersi interessanti rendendosi fastidiosi: se la loro missione era di provocare all’ascoltatore una tremenda emicrania, missione compiuta

Gli Skáphe – progetto recente di quell’Alex Poole, stacanovista dell’extreme metal, che si è imposto al mondo del metal sotto lo pseudonimo Chaos Moon (oltre a Esoterica e Krieg) – prima di Skáphe² erano una delle innumerevoli band statunitensi, di Philadelphia, di discrete prospettive e aspirazioni: l’esordio nel 2014, dal titolo omonimo, difficilmente avrebbe potuto far pensare ad un secondo lavoro di questa portata, nel bene e specialmente nel male.

L’uscita di Skáphe² – una specie di black metal / horror noise dai molteplici riferimenti – è stata accompagnata da un certo hype nel mondo del metal, essendo stato arruolato per l’occasione quel D.G. dei Misþyrming (oltreché Naðra) che piuttosto bene avevano fatto nel 2015, con Söngvar elds og óreiðu.
Vi sarebbe molto di cui discutere sulla legittimità del riferirsi a quest’album di circa 36 minuti – fortunatamente per chi lo deve ascoltare il disco non è eccessivamente lungo – definendolo un album black metal, e non tanto perché i nostri facciano un uso massiccio di harsh noise, suoni dronici che sconfinano in territori pseudo-avanguardisti (ricercati specialmente tramite ritmiche squinternate), quanto perché – almeno per la prima parte del disco – non vi è la possibilità di distinguere precisamente finanche un solo riff o una qualche forma di melodia: quanto invece una pressoché completa atonalità e una mancanza di qualsivoglia senso dell’armonia. L’unica cosa che un ascoltatore percepirà durante la prima metà del disco – rinominato I, II e III – sarà un’atmosfera orrorifica ma monotona, miasmi da incubo che vorrebbero a loro modo suonare dejonghiani. Discernere la fine e l’inizio di un brano dall’altro e provare ad analizzarli singolarmente è virtualmente impossibile (tant’è che le stesse tracce sono semplicemente ordinate tramite numerazione romana, come facessero parte di una suite, da intendersi come un flusso). Un ulteriore guaio per i tre brani iniziali, da ascoltarsi preferibilmente come un unico e lungo intro, risiede nel fatto che il tutto non riesce neppure a suscitare il tanto agognato inferno esistenziale che invece manifestamente ricerca: in termini sonici il wall of sound è certamente monolitico, ma suona un po’ retorico, come se fosse più importante il concetto astratto della concreta esperienza sonora. Al punto che sembra quasi che se si prendesse una qualsiasi frazione di una traccia e la si spostasse altrove non verrebbe tolto e aggiunto pressoché nulla all’esperienza finale di ascolto: il ché non è definibile esattamente come “un risultato apprezzabile”, se parliamo di “cose black metal” e non di cose merzbowiane. Poi succede qualcosa e, superata la metà del disco, a partire da IV, il tutto magicamente si apre a ricametti, cacofonie e circolarità – finanche interessanti e non banali – post-metal, mentre in V si raggiunge il climax ritualistico del lavoro. Ma è troppo poco per impressionare: nel momento in cui comincia ad essere divertente l’album presto finisce.
Riferimenti: gli Skáphe saccheggiano un po’ da tutti e rovinano un po’ tutto, da alcune tra le cose migliori dei Deathspell Omega e dei Blut Aus Nord fino ai Portal e ai Mitochondrion, e soprattutto da un Gnaw Their Tongues appiattito e privato della sua consueta eleganza di stampo mefistofelico (eleganza manifesta anche nell’ultimo Hyms for the Broken, Swollen and Silent, questo invece, sì, un disco notevole). In conclusione: il fatto che Skáphe² risulti ermetico non significa necessariamente che sia un album profondo. L’impossibilità di cogliere – a larghi tratti – non dico significati e sensi (e “la musica” – tra la quale ovviamente anche il BM -, ricordiamolo, è o dovrebbe essere in prima istanza fondazione di significati e sensi) ma anche solamente una qualche sorta di melodia non nobilita necessariamente un disco: a tratti Skáphe² è affascinante, molto più spesso è retorico, ma alla fine resta fondamentalmente un prodotto di mera estetica, troppo superficiale, astratto e tronfio, oltreché terribilmente fastidioso all’orecchio, per poter rappresentare il futuro del black metal.

TRACKLIST:
1. I
2. II
3. III
4. IV
5. V
6. VI

LINE-UP
Alex Poole
D.G.

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