Black Motel Six – Everything On Its Place

I Black Motel Six sono potenti, non abdicano di fronte alla necessità di essere melodici e sono orecchiabili e radiofonici, ovviamente non le radio che si sentono normalmente, pur non rinunciando ad avere una grande carica metal.

Suona tutto molto bene nell’esordio dei Black Motel Six, gruppo romano di groove metal, o meglio, di metal moderno.

Il loro suono arriva da molti generi, da ascolti come gli Stone Sour, o da schegge di metalcore e di death melodico, ma la referenza migliore è il groove metal. Questi ragazzi romani riescono a fondere insieme potenza, melodia e precisione, ed ogni canzone è una bella e piacevole mazzata. I Black Motel Six sono potenti, non abdicano di fronte alla necessità di essere melodici e sono orecchiabili e radiofonici, ovviamente non le radio che si sentono normalmente, pur non rinunciando ad avere una grande carica metal. La produzione supporta al meglio gli sforzi del gruppo, sottolineandone la pressoché perfetta calibrazione. Le canzoni arrivano come un fiume fresco d’estate, passano e lasciano una bella sensazione, e il loro linguaggio musicale è composto da molto più di diecimila parole. Qui non si tratta di novità, ma di una materia modellata bene, con forza di volontà ed anche coraggio, perché non è mai facile fare un’opera metallica ed al contempo melodica, ma questi romani grazie anche alla loro indubbia bravura tecnica ci riescono molto bene. Addirittura in certi passaggi la doppia cassa e la chitarra sono apertamente southern metal, eppure le ottime melodie sono tangibili. Sicuramente si ripropone una vessata quaestio, dicendo che un disco simile certe affermate realtà straniere se lo sognano di notte, eppure è così, però anche grazie a gruppi come i Black Motel Six dovremmo smettere di considerarci i figli minori del dio del metal: dischi così sono ottimi a prescindere, godiamoceli.

TRACKLIST
1.ON MY WOUNDS
2.SCREAM
3.HANDFUL OF DUST
4.F.Y.S.O.B. 03:54
5.LANDSLIDE PT.1
6.LANDSLIDE PT.2
7.THROUGH A NEW PHASE
8.EVERYTHING IN ITS PLACE
9.GN’R
10.SHAME ON YOU

LINE-UP
Steph – Vocals
Marco – Lead Guitars
Emanuele – Bass
Alessio – Drums

BLACK MOTEL SIX – Facebook

Aborym – Shifting.Negative

Shifting.Negative è quello che, senza alcuna remora, si può definire lo stato dell’arte di un certo modo di rimodellare la materia metal, rendendola moderna e sperimentale senza farla apparire nel contempo plastificata o cervellotica.

Accostare oggi gli Aborym ai Nine Inch Nails, per quanto possa essere accettabile, rischia d’essere riduttivo nei confronti della band di Fabban, anche se immagino che per lui l’essere avvicinato ad uno dei personaggi più influenti della musica contemporanea, come è Trent Reznor, non credo sia affatto sminuente.

Del resto gli Aborym non sono giunti alla forma espressa in questo nuovo Shifting.Negative da un giorno all’altro, bensì attraverso un percorso lungo oltre un ventennio ed in costante progressione, raggiungendo infine un risultato che va anche ben oltre quelli ottenuti in tempi recenti da chi, a torto o ragione, viene considerato il loro più naturale punto di riferimento (assieme ai NIN non è peccato aggiungervi anche i Ministry).
Mi azzardo ad affermare ciò, visto che né Reznor né Jourgensen si sono mai spinti così avanti, in un non luogo dove la forma canzone riesce misteriosamente a sopravvivere, nonostante la sua essenza sia costantemente messa a repentaglio da una sorta di “schizofrenia illuminata”, esasperata da un’instabilità che ben rappresenta gli umori cupi e poco rassicuranti dei quali l’album è pervaso ed esaltata, infine, da una produzione capace di rendere essenziale qualsiasi battito o rumore in sottofondo; la scelta di affidare il lavoro alle mani esperte di professionisti del calibro di Guido Elmi e Marc Urselli lucida al meglio l’ineccepibile prestazione d’assieme di tutti musicisti, tra i quali non si può fare a meno di citare il contributo chitarristico di Davide Tiso , senza per questo dimenticare i fondamentali Dan V, RG Narchost e Stefano Angiulli.
In buona sostanza, più ascolto Shifting.Negative e più mi rendo conto d’essere al cospetto di un’opera in grado di lasciare il segno, collocandosi temporalmente molto più avanti di gran parte della musica oggi in circolazione; non è neppure facile descrivere in maniera esauriente un lavoro di questa natura, con il rischio concreto di scrivere delle solenni fesserie o, peggio ancora, delle banalità, cercherò quindi di esprimere alcune delle impressioni derivanti da molteplici ascolti.
Partirei, quindi, da Precarious, singolo/video che ha anticipato l’uscita del disco e che ne ha rappresentato il mio primo approccio: tanto per far capire quanto la nostra mente sia condizionata da schemi precostituiti, ho trascorso circa sei minuti ad attendere quell’esplosione fragorosa che invece non sarebbe mai arrivata, percependo solo dopo diversi passaggi che quei momenti apparentemente interlocutori altro non erano che il naturale sviluppo di un brano intimo, intenso e disturbante allo stesso tempo, e tutto questo senza fare nemmeno ricorso a particolari artifici.
Già questo era il segno premonitore di un album che avrebbe in qualche modo scombinato i piani di chi si sarebbe aspettato, magari, un altro passo in direzione di quella relativa fruibilità che aveva mostrato a tratti il precedente Dirty: Shifting.Negative non stravolge il marchio di fabbrica degli Aborym, bensì lo consolida rendendolo ancor più peculiare ed imprevedibile, facendo apparire anche il passaggio più ostico quale inevitabile approdo di una creatività artistica segnata dall’inquietudine.
Concludo citando altri momenti chiave quali Unpleasantness, traccia che apre magistralmente l’album risultando probabilmente anche quella più orecchiabile (prendendo con tutte le cautele del caso questo aggettivo applicato alla musica degli Aborym) in virtù di un chorus piuttosto arioso, pure se inserito in un contesto aspro e disturbato da incursioni elettroniche, e l’accoppiata centrale formata da Slipping throught the cracks e You can’t handle the truth, in cui le già citate band icona del genere vengono omaggiate e non saccheggiate.
Shifting.Negative è quello che, senza alcuna remora, si può definire lo stato dell’arte di un certo modo di rimodellare la materia metal, rendendola moderna e sperimentale senza farla apparire nel contempo plastificata o cervellotica: un disco fondamentale per chiunque abbia voglia di osare qualcosa in più, spingendosi oltre schemi prestabiliti ed ascolti rassicuranti.

Tracklist:
1. Unpleasantness
2. Precarious
3. Decadence in a nutshell
4. 10050 cielo drive
5. Slipping throught the cracks
6. You can’t handle the truth
7. For a better past
8. Tragedies for sales
9. Going new places
10. Big h

Line-up:
Fabban: programming, modulars, synth and vocals
Dan V: guitars and bass
Davide Tiso: guitars
Stefano Angiulli: synths and keyboard
RG Narchost: additional guitars

ABORYM – Facebook

Heart Avail – Heart Avail

Buon esordio per una band che sa di non poter strafare e si accontenta di dosare in buona misura grinta e melodie gotiche: per gli amanti di Evanescence e Within Temptation un ascolto soddisfacente.

Nuova proposta, in arrivo dagli States, di hard gothic metal sulla scia di Evanescence e Within Temptation, con un tocco moderno nelle ritmiche e nei suoni di chitarra prettamente americani che non guastano affatto.

Partendo da una base gothic metal, gli Heart Avail, band di Spokane capitanata dall’ugola della singer Aleisha Simpson, immettono nel proprio sound pesanti dosi di metal alternativo, a tratti potente, in altri sincopato e melodico stile primi Lacuna Coil, così da variare quel tanto che basta il mood dei brani presenti (cinque) tutti circondati da un’aura di già sentito ma tutto sommato carini.
La band è al debutto, quindi potenzialmente dal sound migliorabile anche se la Simpson è molto brava e le tracce si lasciano ascoltare, tra gothic ed alternative metal che si prendono a spintoni per regnare sul sound delle varie Broken Fairytale, dell’ottima Always e della conclusiva, metallica Pink Lace.
In sintesi, buon esordio per una band che sa di non poter strafare e si accontenta di dosare in buona misura grinta e melodie gotiche: per gli amanti di Evanescence e Within Temptation un ascolto soddisfacente.

TRACKLIST
1.Broken Fairytale
2.Vacillation
3.Always
4.No Remorse
5.Pink Lace

LINE-UP
Aleisha Simpson – Vocals
Greg Hanson – Guitar
Mick Barnes – Bass
Seamus Gleason – Drums

HEART AVAIL – Facebook

The Black Crown – Fragments

Fragments è un album bellissimo, perfetto nei dettagli e composto da dieci piccole gemme musicali.

Che album questo Fragments, opera prima dei The Black Crown, trio capitanato da Paolo Navarretta voce, chitarra e produttore accompagnato in questa ombrosa, drammatica e seducente avventura da Fulvio Di Nocera al basso e Scott Haskitt alle pelli.

Partiamo da questo insindacabile concetto: ogni decennio, in un modo o nell’altro, ha lasciato qualcosa di importante nella storia della musica contemporanea e questi primi anni del nuovo millennio a mio parere, non solo verranno ricordati come il ritorno delle sonorità vintage, ma anche per l’altissima qualità delle proposte del mondo underground.
Se negli anni ottanta ed in parte nel decennio successivo l’underground venne visto quasi come un commovente sottobosco di musicisti poi rivalutati in seguito, oggi proprio da lì arrivano le maggiori soddisfazioni a livello qualitativo e questo Fragments ne è il più fulgido esempio: un metal alternativo che si nutre di dark elettronico, grunge, nu metal e hard rock moderno d’autore, in un stupendo esempio di poesia industriale, un arcobaleno di tonalità che dal grigio portano al nero, come le facciate di palazzi in una città post atomica.
Fragments è la colonna sonora di un film ambientato tra mille anni, dove gli uomini vampiri sono costretti a muoversi di notte per sfuggire ai robot, cloni senz’anima, annientatori di emozioni, tiranni e padroni di ogni forma d’arte in un mondo dove dal nero del cielo una pioggia acida bagna strade ormai non più percorribili.
L’elettronica accompagna l’andamento di brani dal forte sentore alternative metal, il dark moderno ammanta di atmosfere tragicamente oscure brani che mantengono un appeal elevato, la sezione ritmica picchia come e più di una metal band moderna, ed una poetica intimista e drammatica prende direttamente allo stomaco l’ascoltatore, in un delirio di influenze che vedono  God Machine, Nine Inch Nails e i Sundown del capolavoro Design 19, mentre veniamo catapultati nel mondo ombroso e acido di Forge, Ghosts, Rising e delle altre straripanti tracce.
Fragments è un album bellissimo, perfetto nei dettagli e composto da dieci piccole gemme musicali: non resta che farlo proprio.

TRACKLIST
1. Gate
2. Forge
3. Wheel
4. Ghosts
5. Clay
6. Icona
7. Feed
8. Flames
9. Rising
10. Pieces

LINE-UP
Paolo Navarretta – Voce, Chitarra
Fulvio Di Nocera – Basso, Contrabbasso
Scott Haskitt – Batteria

THE BLACK CROWN – Facebook

Voodoo Terror Tribe – The Sun Shining Cold

In generale l’album si fa ascoltare, ma è poco per una band con l’esperienza dei Voodoo Terror Tribe, realtà posizionata nelle seconde linee del metal alternativo made in U.S.A. e destinata a restarci, a giudicare da questo ultimo lavoro.

Tornano con un nuovo lavoro sulla lunga distanza gli statunitensi Voodoo Terror Tribe, da più di dieci anni in pista con il loro industrial metal ruffiano, tra gli ultimi scampoli di un nu metal da classifica e sonorità alternative che negli States continuano a fare il bello e cattivo tempo sul mercato.

Aiutato da Christian Machado degli Ill Nino, con cui hanno condiviso l’ultimo tour e che ha curato loro la produzione ed il mixing, oltre ad apparire come ospite sul brano Cell, il gruppo capitanato dal chitarrista Emir Erkal, originario di Istanbul ma trapiantato in America, dà vita ad un album che non va più in là del compitino, tra rabbiose sfuriate estreme di matrice industrial, melodie rock dai drammatici toni alternative e poche idee.
Insomma, un album di maniera, con qualche brano dall’ottimo appeal e perfetto per provare ad uscire nel circuito mainstream, ed altri che si fanno più rabbiosi e non dispiacciono, ma mancano della scintilla per entrare nei cuori degli ormai pochi appassionati di nu metal sparsi per un’America che guarda, ancora per poco, al metalcore ed un’Europa che fa spallucce, a meno che non ti chiami Korn.
The Sun Shining Cold è un album di genere che potrebbe piacere ai fans dei Disturbed, tornati a fare male con l’ultimo lavoro e scoperti dai giovani kids con la fortunata cover di The Sound Of Silence, e proprio di questo manca a quest’album, di un singolo che spinga con la forza di un wrestler i dieci brani in scaletta che trovano nella mansoniana Pussy, nel devastante singolo in compagnia di Machado e nella seguente e hard rock No Hell Like Home i momenti migliori.
In generale l’album si fa ascoltare, ma è poco per una band con l’esperienza dei Voodoo Terror Tribe, realtà posizionata nelle seconde linee del metal alternativo made in U.S.A. e destinata a restarci, a giudicare da questo ultimo lavoro.

TRACKLIST
1.Lady in The Wall
2.City of Sixes
3.Burn More Bridges
4.Cell
5.No Hell Like Home
6.Edge of Within
7.Night Wolf
8.Pussy
9.Die to The Din of The Drums
10.Under The Knife

LINE-UP
Gil Pan Zastor – Vocals & Sampling
Emir Erkal – Guitars & Synths
Primer – Bass
T-Bone – Drums

VOODOO TERROR TRIBE – Facebook

Damned Pilots – Overgalaxy

Overgalaxy non mancherà di fare proseliti tra gli amanti dei suoni americani di fine millennio, con cui la band gioca immettendo dosi letali di doom e rock che, andando a ritroso, non si ferma agli anni settanta, ma si spinge agli ultimi anni del decennio precedente, con riferimenti geniali a Beatles e Mark Bolan.

Siete pronti per una nuova avventura spaziale insieme ai Damned Pilots?

Allora salite con loro sul furgoncino spaziale direttamente dagli anni settanta e volate su e giù per la galassia, scontrandovi con Gorguss, nemico di una vita.
La band post nuclear metal nostrana ha fatto le cose in grande per questo nuovo lavoro, prodotto da Ron Goudie (Gwar, Death Angel, Poison), mixato e masterizzato dal leggendario Bill Metoyer, (W.A.S.P., Trouble e Slayer) e l’album ne esce come un prodotto dal taglio internazionale, che amalgama con sagacia hard & heavy del decennio novantiano, metal estremo ed hard rock moderno e psichedelico, un caleidoscopio di sonorità tra sfumature vintage e bordate di groove metal dal buon appeal.
Un viaggio nello spazio, dunque, anche se le atmosfere alternano fughe nella galassia psichedelica e lunghe passeggiate in quel deserto americano dove i personaggi dei primi film di Rob Zombie compivano le loro malefatte a colpi di groove metal in La Sexorcisto style, quindi tanto flower power drogato di stoner e hard rock.
Non mancano accenni al doom, sempre con l’anima stonerizzata, ma è indubbio l’amore che il gruppo ha per il metal nato tra le pietre e la calda sabbia del deserto.
Overgalaxy non mancherà di fare proseliti tra gli amanti dei suoni americani di fine millennio, con cui la band gioca immettendo dosi letali di doom e rock che, andando a ritroso, non si ferma agli anni settanta, ma si spinge agli ultimi anni del decennio precedente, con riferimenti geniali a Beatles e Mark Bolan.
Poi quando lo scontro con Gorguss si fa più violento (Gorguss, il brano canzone) il doom metal prende il sopravvento per un risultato davvero riuscito, accompagnato da uno spirito hippy che spoglia il sound dalla durezza scarna del doom classico per donargli un’atmosfera da tragico e melanconico trip.
Un gran bel lavoro, che al sottoscritto ha ricordato a più riprese una via di mezzo tra il già citato La Sexorcisto, capolavoro degli White Zombie, Manic Frustration, l’album più hard rock della discografia dei doomster Trouble, e l’hard rock stonerizzato dei Monster Magnet, il tutto suonato tra gli anni sessanta ed il nuovo millennio.
Non ci sono riempitivi e l’ascolto se ne giova che è un piacere, dunque lasciate a casa lo scooter e guardate verso il cielo, potrebbe fare la sua comparsa il furgoncino spaziale dei Damned Pilots, e salirci, anche se pericoloso, è assolutamente consigliato.

TRACKLIST
01. Intro
02. Damned Pilots
03. Season Of The Ending
04. Desert Europa
05. Just Another Day
06. Gorguss
07. Hell Is Cold
08. People Don’t Die
09. Sylvanic
10. Mos

LINE-UP
Don Nutz
Sgt Ote
Willer Hz
Erik Space

DAMNED PILOTS – Facebook

Under Static Movement – The Mirror

Le influenze sono da attribuire in egual modo ai gruppi storici dei primi anni del nuovo millennio, ed i nuovi eroi del metal core che girano sui canali satellitari e con cui la band nostrana si avvicina senza timori reverenziali, carichi di energia e rabbia metallica.

Nuovo ep per l’ alternative metal band Under Static Movement, quintetto nato dall’unione di musicisti di diverse realtà gravitanti tra Cremona e Piacenza.

The Mirror è il terzo ep in poco meno di dieci anni di attività, una buona presenza live e qualche cambio nella line up.
La proposta degli Under Static Movement è un alternative metal, tra il nu metal ed il metal core, dalle buone intuizioni melodiche, ma comunque energico e aggressivo il giusto per fare sfracelli soprattutto in sede live.
Buona l’alternanza tra scream core e voce pulita, gagliardi i riffoni stoppati e le ritmiche potenti e cadenzate, marchio di fabbrica dei gruppi di metal moderno.
Le influenze sono da attribuire in egual modo ai gruppi storici dei primi anni del nuovo millennio, ed i nuovi eroi del metalcore che girano sui canali satellitari e con cui la band nostrana si avvicina senza timori reverenziali, carichi di energia e rabbia metallica.
Ottimo come scritto il supporto melodico al muro pregno di groove innalzato dalla sezione ritmica, la band si fa apprezzare nel saper mantenere con sagacia una durezza di fondo che permette al sound di non risultare troppo patinato e The Mirror risulta così un ottimo lavoro, specialmente per gli amanti di queste sonorità, con
Death By Lobotomy, il singolo Mezcal e la conclusiva The Solution tra i brani migliori.

TRACKLIST
1. Death By Lobotomy
2. Falls From Grey
3. Mezcal
4. Put Your Finger Inside
5. Seven
6. Still Laying
7. The Solution

LINE-UP
J.P. – vocals
Riku – guitar
Bone – guitar
Fede – bass
Nik – drums

UNDER STATIC MOVEMENT – Facebook

The Sinatra’s – Nerves

I The Sinatra’s sono in giro dal 2005 a macinare chilometri, dischi e canzoni, e ci sono sempre, come quelle macchine che non ti abbandonano mai, e questo disco lo testimonia.

I The Sinatra’s sono un gruppo che fa musica rumorosa ed emozionante, con molte influenze dalla scena dell’alternative modern metal a stelle e strisce.

Come dice già il titolo del disco, il suono che troverete è dominato dai nervi, ma c’è anche tantissima melodia, anzi la melodia qui regna su tutto. Il suono è molto radiofonico e piacevole, i The Sinatra’s ci mettono del loro, creando atmosfere molto interessanti, facendo rumore e pesanti melodie, tenendo in primo piano l’impatto dal vivo che è notevole. I The Sinatras’s sono un gruppo che fa musica per emozionare il loro pubblico, con un’azzeccata formula in bilico fra emo, metal e la melodia italiana; sono in giro dl 2005 e sono un gruppo che macina chilometri, dischi e canzoni, e ci sono sempre, come quelle macchine che non ti abbandonano mai, e questo disco lo testimonia. Note come dolce lava, una voce che ti culla e ti sculaccia quando è il caso, ed un rifacimento in pieno stile Sinatra’s di Helter Skelter dei Beatles, con tante emozioni e divertimento da parte un gruppo che si impegna e porta sempre a casa il risultato.

TRACKLIST
01. Landscapes
02. It Came From The Sand
03. Useless Perspectives
04. Nightdrive
05. Shelter
06. Black Feeder
07. Helter Skelter
08. Mare Magnum
09. Sleeping Giant
10. For The Lost

LINE-UP
Nicola Sant’Agata – Vocals
Nelson Picone – Guitar
Gennaro “Johnny” Caserta – Drums
Orazio Costello – Bass

THE SINATRA’S – Facebook

Klee Project – The Long Way

Un’ opera rock moderna, a tratti sontuosa e dall’affascinante mood teatrale e, soprattutto, originale nel miscelare generi agli antipodi come per esempio il southern e l’elettronica .

Un’altra opera da annoverare tra le migliori uscite dell’anno in campo hard rock, anche questa volta nata nei nostri patri confini.

I Klee Project sono una sorta di super gruppo che vede unire i talenti di Roberto Sterpetti, cantante, ed Enrico “Erk” Scutti (ex Cheope, ex Figure of Six) ai cori e testi, a diversi musicisti di livello internazionale come Marco Sfogli (Pfm, James La Brie) alla chitarra, Lorenzo Poli (Vasco Rossi, Nek) al basso ed Antonio Aronne (Pavic, Figure Of Six) alla batteria, come se non bastasse l’importante contributo dell’orchestra sinfonica condotta da Francesco Santucci e di Tina Guo (Foo Fighters, Cirque Du Soleil, John Legend).
The Long Way è un concept basato su un viaggio, il sogno che si avvera di un musicista che attraversa l’ America sulla leggendaria Route 66 e da Memphis arriva nella città degli Angeli dove troverà l’amore , il successo, gli eccessi e la consapevolezza di dover ricominciare daccapo per ritrovare l’equilibrio perduto.
La musica che accompagna il protagonista attraverso le vicende narrate è un hard rock/alternative che spazia da bellissime ed emozionati note southern rock ad armonie orchestrali, dal metallo moderno ed alternativo all’ elettronica.
Un lavoro importante questo The Long Way, un’ opera rock moderna, a tratti sontuosa e dall’ affascinante mood teatrale, perfetta a mio parere da portare live come fatto per le storiche opere che hanno attraversato indenni più di quarant’anni di musica rock e, soprattutto,originale nel miscelare generi agli antipodi come per esempio il southern e l’elettronica .
Seguendo la trama e le varie vicende, il sound risulta vario, ma allo stesso tempo facile da seguire senza perdersi tra i generi e le moltitudini di sfumature.
Cantato, suonato e prodotto come e meglio di un top album internazionale, The Long Way vive di rock tradizionale e moderno, sudista e pop, metallico e melodico, duro come i riff forgiati nell’acciaio delle sei corde, delicato come il suono degli strumenti classici.
Tutte queste varianti e contraddizioni creano un suono entusiasmante ed è un attimo perdersi nella storia e nei vari capitoli che compongono l’opera.
Non ci sono brani migliori di altri, questo lavoro ha tutti i crismi dell’opera rock e come un’opera va ascoltata, capita e fatta propria. Bellissimo ed emozionante.

TRACKLIST
1.Everybody Knows
2.Southern Boy
3.The Long Way
4.If You Want
5.The Prisoner
6.Hereafter
7.Time Is Over
8.Your Sacrifice
9.Close To Me
10.You Should Be Mine
11.This Game
12.Lucrezia’s Night
13.Lucrezia’s Night (Reprise)

LINE-UP
Roberto Sterpetti – vocals
Enrico “Erk” Scutti – Chorus
Marco Sfogli – Guitars
Lorenzo Poli Bass
Antonio Aronne – Drums

KLEE PROJECT – Facebook

Noise Pollution – Unreal

Tutto è a suo posto e funziona, molto radiofonico e godibile, quasi troppo pulito.

Secondo disco per questo gruppo italiano di metal moderno.

Metal per l’appunto, con l’aggiunta di un piglio punk e reminiscenze di crossover. Tutto è a suo posto e funziona, molto radiofonico e godibile, quasi troppo pulito. La produzione è molto buona e fa risaltare il gruppo, ma su questo disco non c’è molto da dire. Ascoltare Unreal è un qualcosa che potrebbe piacervi, soprattutto se vi piace il metal che non fa male, ma è anche qualcosa che lascia indifferenti. I Noise Pollution sono bravi, suonano bene e hanno genuina passione, ma evidenziano il lato debole del metal cosiddetto moderno, ovvero quello di essere radiofonico ma in fondo vacuo, evanescente.
Questa recensione non è una stroncatura e nemmeno un elogio, ma una semplice constatazione. Se fossero americani venderebbero molto di più, perché questo suono oltre oceano è particolarmente apprezzato. Il consiglio è sempre lo stesso, ed è quello che dovrebbe sottinteso ad ogni recensione: ascoltate con orecchie vostre, fatevi un’idea, date a tutti una possibilità, le recensioni sono indicazioni e nella maggior parte dei casi sono indicazioni sbagliate, l’importante è stare sulla strada.

TRACKLIST
1.Breaking Down
2.MAD
3.Gone Forever
4.Shame
5.Unreal
6.God of Sadness
7.Hole inside me
8.Two Faced
9.We Can’t forget
10.Full of dreams

LINE-UP
Amedeo ‘Ame’ Mongiorgi – vocals
Tony Cristiano – guitar
John ‘Line’ Virzì – guitar, vocals
Lorenzo ‘Wynny’ Magni – bass, vocals
Chris ‘Labo’ Albante – drums

NOISE POLLUTION – Facebook

Projekt Mensch – Herzblut

Chi apprezza il sound dei Rammstein può trovare nei Projekt Mensch un valido surrogato

Il meritato successo planetario conseguito dai Rammstein ha indubbiamente aperto le porte ad una forma di metal imbastardito dall’elettronica e contraddistinto da una discreta base danzereccia che, ovviamente, trova la sua sublimazione in terra tedesca, visto che a mio avviso proprio l’utilizzo della lingua madre ne è un elemento fondante ed essenziale.

Questo ha ovviamente sdoganato diverse realtà che portano a muoversi in questo solco, tra i quali annoveriamo i Projekt Mensch, in circolazione già da diversi anni e con all’attivo un album nel 2011.
Tutto sommato, rifarsi vivi in questo momento di prolungata vacanza discografica di Lindemann e soci si rivela una mossa azzeccata: gli estimatori di quel tipo di sound possono trovare nei Projekt Mensch un valido surrogato, anche se rispetto ai Rammstein manca, e non poco, la potenza del muro sonoro eretto dai riff di Kruspe e Landers.
Herzblut scorre via comunque molto lineare ed orecchiabile, con più di un brano killer che mieterà diverse vittime (Der Schmerz, Dunkelheit, Mach mich fromm e Segne mich), anche se ha il piccolo difetto di vederli racchiusi tutti nella sua prima metà, con una seconda parte che presta il fianco sia ad una certa ripetitività, sia ad una minore incisività a livello prettamente compositivo.
Nulla di trascendentale, ma decisamente appetibile per quelli che, come me, hanno sempre avuto un debole per questa “tamarra” commistione tra metal ed elettronica in salsa teutonica.

Tracklist:
01. Der Schmerz
02. Dunkelheit
03. Mach mich fromm
04. Ich bringe dich Heim
05. Segne mich
06. Spieglein Spieglein
07. Schuld und Sühne
08. Das Kind
09. Vergeltung
10. Mein Herz

Line-up:
Deutscher W
Caligula
Stalin
Dark
Wolfenstein

PROJEKT MENSCH – Facebook

Elemento – Io

Un gran bel disco, fatto di grandi melodie e di un metal davvero progressivo.

Disco giustamente ambizioso che esplora i sentimenti umani, usando come sonda un metal progressivo unito a djent, mathcore e tanto altro.

In questo viaggio siamo guidati da Time, una figura umanoide che mostra al protagonista un’ampia gamma di sentimenti umani. Provenienti da una provincia italiana, e non serve sapere quale, gli Elemento parlano molto bene con la loro musica, che è un gran bel viaggio tra vari generi, rimanendo sempre nell’universo dello strumentale. Come i grandi dischi Io deve essere sentito molte volte, poiché si articola su diversi livelli, riuscendo ad esprimere molte emozioni, ricercando la natura profonda dell’uomo. Come in un processo alchemico la natura umana viene processata attraverso vari stadi, dove cambiando stato raggiunge il suo vero io. Gli Elemento riescono a rendere benissimo un discorso musicale che non è per nulla semplice, poiché oltre a trattare generi difficili, se non viene composto bene risulta confuso, mentre invece le loro melodie escono sgorgando come in una fresca sorgente. Un gran bel disco, fatto di grandi melodie e di un metal davvero progressivo.

TRACKLIST
1.Life – Izanagi
2.Violence – Vehement Mantra
3.Fear – Consuming The Light
4.Hate – Energy Flows
5.Wrath – The Eraser
6.Corruption – Infinite
7.Wrong – Paranoia
8.Death – Foreshadow
9.Nobility – In Reality
10.Courage – Create!
11.Love – Severance
12.Peace – Clear Mind, Clear Thoughts
13.Truth – Upside Now
14.Right – Old
15.Time – Spirit Of Fire

LINE-UP
Rick – Guitar
Nick -Guitar
Thomas -Drums

ELEMENTO – Facebook

In Flames – Battles

Battles è un album apprezzabile se degli In Flames preferite questa versione americanizzata e commerciale, se invece siete amanti del Gothenburg sound rivolgete le vostre orecchie altrove, il gruppo di Colony e Clayman non esiste più.

Gli In Flames sono e resteranno una dei gruppi più importanti in senso assoluto per lo sviluppo delle sonorità estreme: fondatori insieme ad una manciata di band (Dark Tranquillity ed At The Gates su tutte) del death metal melodico, anche conosciuto come Gothenburg sound, nei primissimi anni novanta, e creatori di una serie di album fondamentali con cui attraversarono l’ultimo decennio del secolo scorso entrando nel nuovo millennio con il loro capolavoro, Clayman.

Da molti quello viene considerato l’album perfetto, il primo esempio di metal estremo moderno in equilibrio tra tradizione scandinava e statunitense, il padre di tutto un movimento musicale che si identifica con il metalcore, ma che del death metal melodico è figlio legittimo.
Purtroppo Clayman è stato per il gruppo svedese la fine di un ciclo e gli In Flames dal 2000 sono ripartiti, trasformandosi in un’entità che non ha più niente da spartire con la band di Lunar Strain, Whoracle, The Jester Race e l’altro capolavoro Colony.
Il salto temporale fino al 2016, con album più o meno riusciti, porta fino a Battles, ultimo lavoro che allontana sempre più il gruppo dal sound scandinavo e dal metal, per abbracciare l’alternative rock .
Non fraintendetemi, Battles troverà ancora molti estimatori, ma è indubbio che se il gruppo da qualche anno a questa parte avesse cambiato monicker nessuno si sarebbe scandalizzato, in sostanza con questo lavoro la trasformazione è completa e i vecchi In Flames non esistono più.
Questa band che si fa chiamare così in realtà è una band moderna, molto alternativa ma assolutamente poco originale, il suo nuovo lavoro risulta un poco riuscito sunto di quello che il metal/rock dalle mire mainstream ci riserva in questi primi anni del nuovo millennio.
La carica estrema è definitivamente scomparsa, almeno se pensiamo al death metal degli esordi, sostituita da un più commerciabile metal per adolescenti, con qualche intrusione nel rock patinato dei Muse e richiami al nu metal dei P.O.D. (The Truth), dei Linkin Park, con l’abuso delle parti elettroniche ed una prestazione troppo ruffiana di Fridèn al microfono.
Qualche riff più agguerrito sparso per l’album non basta: The End, Here Until Forever e Underneath My Skin sono brani che, se sull’artwork non ci fosse il logo del gruppo svedese, avrebbero un suo perché, magari suonati da cinque pivelli con il mascara, ma qui ci troviamo al cospetto di un gruppo troppo importante e con ormai troppe primavere sul groppone, e quei coretti alla P.O.D. che fanno capolino tra molti dei brani di Battles non possono che lasciare l’amaro in bocca, almeno ai vecchi fans.
Come già detto, Battles è un album apprezzabile se degli In Flames preferite questa versione americanizzata e commerciale, se invece siete amanti del Gothenburg sound rivolgete le vostre orecchie altrove, il gruppo di Colony e Clayman non esiste più.

TRACKLIST
1. Drained
2. The End
3. Like Sand
4. The Truth
5. In My Room
6. Before I Fall
7. Through My Eyes
8. Battles
9. Here Until Forever
10. Underneath My Skin
11. Wallflower
12. Save Me

LINE-UP
Anders Friden – vocals
Bjorn Gelotte – guitars
Niklas Engelin – guitars
Peter Iwers – bass
Joe Rickard – drums

IN FLAMES – Facebook

Everlasting Blaze – Everlasting Blaze

Un ottimo lavoro, consigliato agli amanti del genere ma anche a chi, senza paraocchi, rivolge il proprio orecchio anche alle produzioni del sottobosco nostrano.

L’underground metal/rock nostrano si arricchisce ogni giorno di nuove ed eccellenti proposte, nate in giro per le città della penisola in ogni genere, formando un universo musicale che non patisce più la sudditanza verso le scene oltreconfine.

Gli Everlasting Blaze, per esempio, sono una giovane band genovese fuori con il primo lavoro, molto ben curato e dai suoni moderni, alternativo nel saper bilanciare rock, metal ed atmosfere dark, grazie soprattutto alla splendida voce della singer Marwa.
E l’ottimo uso di ritmiche e chitarre dai toni aggressivi, ammorbiditi dalla dolce ed espressiva voce di Marwa, è l’arma letale con cui il gruppo genovese ammalia ed ipnotizza l’ascoltatore in questi suggestivi ed intensi minuti di musica, valorizzata da ottimi arrangiamenti e da una produzione sul pezzo, così da consegnare un lavoro professionale e coinvolgente.
La virtù principale che affiora a più riprese dall’ascolto delle tracce è una sfumatura poetica che affiora anche nei brani più grintosi, ed esplode nella bellissima Freedom, l’anima più delicata degli Everlasting Blaze si scontra con quella metallica, mentre If Only, Life of Crime e Zombie Town mostrano gli artigli, acciaio rovente e moderno che si sfida singolar tenzone con l’introspettività dark ed appunto poetica del sound creato dal combo genovese.
Ad un primo ascolto troverete molte similitudini con gli Evanescence e i gruppi alternative dalle tinte dark/gothic di qualche anno fa, ma rimanendo nell’underground ho trovato la musica del gruppo sulla linea degli spagnoli Rainover, anche se la band genovese mantiene un approccio alternativo molto più marcato.
In conclusione, Everlasting Blaze risulta un ottimo lavoro, consigliato agli amanti del genere ma anche a chi, senza paraocchi, rivolge il proprio sguardo anche alle produzioni del sottobosco nostrano.

TRACKLIST
1.Misery
2.If Only
3.Freedom
4.Life of Crime
5.Alone
6.Scream
7.No Mercy
8.Zombie Town
9.Memories
10.Obey
11.Searching
12.The Wasted Soul

LINE-UP
Marwa – vocal,guitar
Sadem – guitar
Youssef – bass
Fabio – drums

EVERLASTING BLAZE – Facebook

Joe Robazza – Stellarly

Joe Robazza dà la sensazione d’essere un musicista giustamente ambizioso e foriero di idee brillanti ma, all’atto pratico, il risultato che scaturisce da questa prima prova solista si rivela appena sufficiente.

Primo passo solista per Joe Robazza, chitarrista degli SpiritRow, alle prese con quello che egli stesso definisce “rock filosofico”.

Appiccicare certe etichette, invero un po’ pretenziose, alle proprie opere può rivelarsi un boomerang, e questo è un rischio che il buon Joe corre seriamente, visto che, al di là del condivisibile intento di affrontare tematiche decisamente impegnative, il risultato finale non è del tutto convincente.
Stellarly è un breve Ep nel quale il musicista veneto prova a riversare tutte le influenze musicali di cui si è abbeverato nel corso della sua carriera e, fondamentalmente, uno dei problemi è proprio questa sua voglia di volerle condensare in poco più di un quarto d’ora.
Se Perfect Evolution si dimostra un brano piuttosto riuscito e sufficientemente lineare, pur nella sua variabilità, nelle tracce successive il sound sembra progressivamente sfilacciarsi, con l’aggravante di una prestazione vocale che lascia diverse perplessità nelle parti che vorrebbero essere più evocative (molto meglio, invece, quando la timbrica di Robazza si fa più aggressiva).
Il rock/metal alternativo contenuto in Stellarly si dirama verso molteplici direzioni ma senza dare mai la sensazione di essere frutto di un “caos organizzato”: il lavoro così vive di buoni spunti, rinvenibili in certi passaggi dal sapore orientaleggiante (che andrebbero maggiormente sfruttati vista l’abilità esecutiva del chitarrista) capaci di rendere efficaci anche alcuni momenti della conclusiva Cold Disaster. Anche la title track si avvale una buona linea melodica nel suo finale ma, come detto, l’ep si muove a strappi, mostrando momenti piuttosto opachi come il nu metal simil-Korn di And Believe, che risulta particolarmente indigesto.
Joe Robazza dà la sensazione d’essere un musicista giustamente ambizioso e foriero di idee brillanti ma, all’atto pratico, il risultato che scaturisce da questa prima prova solista si rivela appena sufficiente: per il futuro sarebbero auspicabili scelte differenti per le parti vocali ed uno sviluppo più organico dal punto di vista compositivo, perché sull’aspetto prettamente strumentale c’è poco o nulla da eccepire.
Il giudizio è pertanto interlocutorio, in attesa di future evoluzioni.

Tracklist:
1.Perfect Evolution
2.Stellarly
3.And Believe
4.Cold Disaster

JOE ROBAZZA – Facebook

Bolgia Di Malacoda – La Forza Vindice Della Ragione

Una band che conferma l’alto valore artistico del rock del bel paese e la sua assoluta maturità nell’affrontare il lato oscuro dell’uomo e della sua spiritualità.

Mefistofelico: non credo ci sia un’altra parola più adatta per descrivere La Forza Vindice Della Ragione, nuovo lavoro di questa band toscana, che della teatralità e della tradizione letterale nazionale ne fa il suo concept lirico per inglobarlo in un alternative rock metal assolutamente fuori dagli schemi.

Il demone metà donna e metà animale demoniaco fa bella mostra di sé nella copertina molto seventies che la Bolgia Di Malacoda ha scelto per quest’opera luciferina, cantata in italiano e suonata con un taglio internazionale, amalgamando in una bolgia infernale, metal , dark wave e progressive.
Il lato teatrale ed interpretativo sta tutto nella voce di Ferus, un Piero Pelù posseduto da un demone che lo allontana dalle ultime schermaglie politiche col portafoglio pieno di euro e lo riavvicina al ribelle proto punk dei primi anni dei Litfiba, mentre il sound passa con disinvoltura tra il metal di chitarre in stato di guerra, ritmiche che a tratti corrono sulle strade horror/punk dei Misfits, per poi illuminarsi di spettacolari cambi di tempo che avvicinano la band al progressive, genere nel quale  noi abitanti dello stivale non siamo secondi a nessuno.
E poi un taglio letterario impreziosisce il tutto, già dal titolo che cita il poeta Carducci e che viene oltremodo tributato con l’opener Inno A Satana.
E’ una sorpresa continua La Forza Vindice Della Ragione, un album da seguire passo per passo, senza perder una nota o una parola, immersi in un’atmosfera stregata, con il sacerdote pazzo al microfono che ci invita al sabba che noi, ormai posseduti dal ritmo ipnotico di Malacoda, Andremoida, la frenetica Attent’al prete e la conclusiva Le Lune Storte, non possiamo esimerci dal rifiutare.
Una band che conferma l’alto valore artistico del rock del bel paese e la sua assoluta maturità nell’affrontare il lato oscuro dell’uomo e della sua spiritualità.

TRACKLIST
1. Inno A Satana
2. Nel Dubbio Vedo Nero
3. Malacoda
4. Bimba Mia
5. Adremoida
6. A Un Metro Dal Decebalo
7. Attent’al Prete
8. Introspettiva D’Ottobre
9. Così Passa La Gloria Del Mondo
10. Le Lune Storte

LINE-UP
Ferus – voce
Diego Di Palma detto il Lotti – basso
Michele Rose detto il Vanni – batteria
Alessandro Rocchi detto il Pacciani – chitarra

BOLGIA DI MALACODA – Facebook

Postcards From Arkham – Aeon5

La fantasia al potere, pura immaginazione che controlla la musica, usando differenti codici per esprimere un disegno ambizioso.

La fantasia al potere, pura immaginazione che controlla la musica, usando differenti codici per esprimere un disegno ambizioso.

Dopo il buon successo di Oceanize, incentrato sui miti lovecraftiani di Cthulu, tornano i cechi Postcards From Arkham con un altro incredibile affresco di fantasia, rabbia e voglia di esprimersi per spezzare le catene che ci avvolgono. Questo disco è un mezzo, un’astronave che ognuno può portare dove vuole, essendo il viaggio lo vero scopo di questa impresa. Il tono è epico, dentro possiamo trovare dall’elettronica al post rock con incredibili aperture melodiche, l’elttro metal e tanto altro ancora, in un viaggio scandito da una voce aggressiva, con un metal altro e sognante. I Postcards From Arkham più che un disco creano un’esperienza sonora e non solo, come se fosse un libro, con una musica incredibile e con una voce che sembra più declamare che cantare. Questo disco ha molto dello spirito fantasy in stile videogiochi giapponesi, fluttuanti mondi lucenti che tentano di rifuggire la morte, nutrendosi di sogni e colori. I colori, ecco i veri protagonisti di questo disco che suscita meraviglia. Sentimento ed un elettro metal totalmente personale. Questi ragazzi penso che vedano e sentano ancora una speranza in questa decadenza che chiamiamo progresso e con Aeon5 hanno fatto un atto di fede molto bello e piacevole. Vien voglia di dargli ragione.

TRACKLIST
1. Imagination Filled Balloon
2. Aeon Echoes
3. Thousand Years For Us
4. Overthrown
5. Elevate
6. Pays des Merveilles
7. Woods of Liberation
8. One World Is Not Enough

POSTCARDS FROM ARKHAM – Facebook

Insil3nzio – Insil3nzio

La marcia in più che si rinviene in questo lavoro, rispetto a molti altri tentativi analoghi, la fa proprio lo spessore stilistico derivante da una maturità che impedisce di scivolare nei luoghi comuni, sia a livello lirico che compositivo.

Si dirà: ma non è il tuo genere, uno impelagato di norma nel doom più oscuro e funereo come può occuparsi di una band che propone un crossover di stili che, spesso, si spingono fin nei territori del famigerato rap ?

Faccio mio il motto di un bel disturbatore musicale dei nostri tempi, il mascherato Red Sky: “la musica è una” e, aggiungo io, la suddivisione per generi è più una necessità di incasellare ed ordinare le cose che è comprensibile nella logica di un un supermercato, un po’ meno se si parla di arte musicale
Così è molto bello scapocciare su brani che non disdegnano riff metallici perfettamente intersecati con pulsioni elettroniche sulle quali, poi, si stagliano le due voci, una rappata dalla timbrica non dissimile a Caparezza ed una più tradizionale. Una formula, questa, che non è in assoluto una novità, ma che di rado viene proposta così ben focalizzata e, sostanzialmente, priva di forzature nella (non facile) convivenza tra le sue varie anime.
Gli autori di tutto ciò sono i fermani Insil3nzio, una band composta da musicisti esperti che stanno cercando di imporsi in maniera graduale, senza fare passi più lunghi della gamba e cercando di ottenere la giusta visibilità tramite la partecipazione a vari contest, il che ha già consentito loro non solo di fregiarsi di diversi premi (sempre e comunque ambiti) ma soprattutto di condividere il palco con band di grande nome come Lacuna Coil e Deep Purple, sfruttando così al meglio l’occasione di mettersi in mostra di fronte a platee vaste.
Una bella differenza, anche a livello strategico, rispetto a gruppi di giovincelli che, presi dall’entusiasmo, sfornano musica magari in maniera compulsiva disperdendo le proprie idee ed ottenendo un’attenzione inversamente proporzionale rispetto alla quantità di materiale immesso sul mercato.
Questo ep autoprodotto comprende cinque brani emblematici del potenziale del gruppo marchigiano, con un picco rappresentato dal singolo Minotauro, brano per il quale è stato girato anche un video al quale partecipa l’attore Giorgio Montanini: qui troviamo ben rappresentate tutte le anime degli Insil3nzio che, partendo da una forma di rap anomala, inseriscono nervosi passaggi che vanno dal nu metal, al noise fino all’elettronica, il tutto senza mai perdere di vista l’idea di forma canzone.
Una formula che viene mantenuta sempre con una certa brillantezza anche nelle restanti tracce, con menzione d’obbligo per la composita e dirompente Ruggine, brano che possiede il miglior testo, peraltro in un contesto complessivo corrosivo e mai banale.
La marcia in più che si rinviene in questo lavoro, rispetto a molti altri tentativi analoghi, la fa proprio lo spessore stilistico derivante da una maturità che impedisce di scivolare nei luoghi comuni, sia a livello lirico che compositivo.
Per gli Insil3nzio, quindi, potrebbe essere molto vicino il momento di compiere il passo dell’album su lunga distanza, per provare a fare il colpo grosso a livello commerciale, visto che il loro sound sembrerebbe capace di accontentare ed attrarre fasce di ascoltatori trasversali ai diversi generi; insomma, non è poca la curiosità nei confronti delle mosse future di questo interessante combo marchigiano.

Tracklist:
1.Ruggine
2.Lou Reed
3.Minotauro
4.Fiore Violanet
5.Imbanditi

Line-up:
Marco Bagalini – batteria
Samuele Spalletti – basso / synth
Luca Detto – chitarra
Mirko Montecchia – voce
Andrea Braconi – voce

INSIL3NZIO – Facebook

C​:​\​>CHKDSK /F

Il disco potrebbe essere la colonna sonora di un videogioco.

Il dibattito sull’intelligenza artificiale non è noto al grande pubblico, e qualcosa che molto probabilmente ci comanderà tra qualche umano, vive tra noi.

La progressiva deumanizzazione che ci avvolge ha partorito un disco che è il sogno ad orecchie aperte di ogni metallaro appassionato di colonne sonore dei videogiochi o dell’ 8 bit. Questo sottogenere di un sottogenere è qualcosa di orgogliosamente nerd, ma questo disco è meraviglioso, suona benissimo, con uno spirito punk synth metal davvero notevole. Il disco potrebbe essere la colonna sonora di un videogioco, e Masterboot Record sarà presto autore della colonna sonora di un videogioco cyberpunk della Theta Division Games, software house che regalerà parecchie gioie. La cura musicale messa in questa opera è notevole, e tocca diversi stili come il cyberpunk, ed il new retrowave, rimanendo sempre nell’ambito delle colonne sonore dei videogiochi. Dentro c’è anche tanto metal, quel metal elettronico che rene certi massacri su schermo così speciali, e rilassanti. Questo suono ci porta contemporaneamente nel passato e nel futuro, con quel retrogusto anni ottanta, che soltanto chi ha giocato con un floppy disk può capire. Questo è il futuro passato, un’ombra sul nostro futuro, ed un microchip emozionale dal passato. Ma soprattutto è un disco forte e potente, importante nella sua chiarezza e nella sua tremenda alterità.

TRACKLIST
1.O.SYS
2.MSDOS.SYS
3.XCOPY.EXE
4.CONFIG.SYS
5.AUTOEXEC.BAT
6.COMMAND.COM
7.FORMAT.EXE
8.NWOSHM.TXT
9.BAYAREA.BMP
10.VIRTUAVERSE.GIF

MASTER BOOT RECORD – Facebook

öOoOoOoOoOo – Samen

Un lavoro al quale l’appellativo di caleidoscopico sta persino stretto, per cui non resta che mettersi in testa le cuffie e provare a seguire, per quanto possibile, un percorso che non conosce un solo metro in rettilineo

L’iniziale colpo di genio da parte di questa band è riservato a solutori più che abili … che diamine di monicker potrà mai essere öOoOoOoOoOo, ci si chiede al primo impatto ?

Vabbé, poi dalle note biografiche scopri che una tale sfilza di O va pronunciata Chenille, che in francese significa bruco, e la lampadina improvvisamente si accende: cos’è infine öOoOoOoOoOo se non una buffa rappresentazione grafica del peloso insetto, realizzata utilizzando i caratteri disponibili sulla tastiera di un PC ?
La sensazione di avere a che fare con un a masnada di pazzoidi, sulla falsariga dei connazionali 6:33, si fa così strada ancor prima di iniziare l’ascolto, cosicché Rules Of The Show non impiega molto a far comprendere che ci si è preso addirittura per difetto: al confronto, la citata (ed immensa) band di Lille appare quasi un consesso di grigi impiegati del catasto, facendone sembrare la geniale follia un qualcosa di pericolosamente vicino alla normalità.
Gli öOoOoOoOoOo sono tra l’altro solo in due, la cantante Asphodel (attiva anche nella gothic band Penumbra e con saltuarie collaborazioni con miriadi di band, tra le quali i Carnival In Coal, il che ci aiuta a capire qualcosa in più) ed il funambolico polistrumentista Baptiste Bertrand, aiutati dal batterista Aymeric Thomas dei non meno schizoidi Pryapisme, ma in realtà sembrano in una quindicina, tra le molteplici voci e vocine proposte dalla cantante, strumenti di ogni genere che si palesano per un attimo per poi svanire nel nulla, growl minacciosi ed una percussività tentacolare.
Insomma, ce n’è abbastanza per prefigurare il classico quadro di amore od odio nei confronti del duo transalpino, per cui si tratta di decidere da quale delle due parti collocarsi: personalmente tendo ad essere, in maniera paradossale, più allergico all’avanguardismo applicato alla materia estrema mentre sono propenso a guardare favorevolmente esibizioni come queste, che sono sempre rischiosamente in bilico tra la genialità ed il ricorso al TSO.
Parlare di brani in un simile contesto è impresa ardua quanto superflua, tanto è sghembo l’andamento di un lavoro al quale l’appellativo di caleidoscopico sta persino stretto, per cui non resta che mettersi in testa le cuffie e provare a seguire, per quanto possibile, un percorso che non conosce un solo metro in rettilineo: Asphodel è una sorta di entità dai mille volti costantemente cangianti, con Diamanda Galas, Amy Lee, Edith Piaf, Bjork, Paperina (!), il Trio Lescano e chissà quante altre voci femminili evocate per un battito di ciglia o poco più.
Il sound segue questa schizofrenia inarrestabile che trova una parvenza di forma canzone nella sola Purple Tastes Like White, mentre nei restanti brani soul, gothic, symphonic metal, jazz, grind e “post tutto” si alternano e si aggrovigliano fino ad incatenare chiunque abbia voglia e pazienza di arrivare alla fine di Samen.
Già, perché a quel punto la giostra riparte, scoprendo ogni volta passaggi ignorati, perduti o che forse esistono solo nella nostra mente, vallo a sapere, fatto sta che questo lavoro degli öOoOoOoOoOo si rivela una piacevole follia che, non troppo casualmente, giunge dalla Francia e da un’etichetta come la Apathia che sembra aborrire tutto ciò che abbia una parvenza di normalità.
Ovviamente non per tutti, nemmeno per molti, sicuramente consigliato solo a chi non si arrende dopo l’ascolto delle prime stramberie …

Tracklist:
1. Rules Of The Show
2. Fucking Freaking Futile Freddy
3. Meow Meow Frrru
4. No Guts = No Masters
5. Bark City (A Glimpse Of Something)
6. Purple Tastes Like White
7. I Hope You Sleep Well
8. Well-oiled Machine
9. Chairleg Thesis
10. Fumigène
11. LVI
12. Hemn Be Rho Die Samen

Line-up:
Asphodel – Vocals, lyrics
Baptiste Bertrand – Guitars, Bass, Vocals,Programming
Aymeric Thomas (session) – Drums

Guests:
Germain Aubert on #11
Raphaël Verguin on #4 #5 #11
Adrien Cailleteau on #7 #8

öOoOoOoOoOo – Facebook