Owl Company – Iris

Iris è un album che si ascolta piacevolmente, composto da tredici brani potenti ma molto attenti alle melodie, specialmente nei chorus e che, se fosse uscito qualche anno fa, avrebbe sicuramente trovato maggiore attenzione da parte di fans e addetti ai lavori.

Il Brasile metallico ha quasi sempre parlato la lingua del metal classico e di quello estremo, partendo da due punti fermi come Sepultura e Angra, le band che hanno portato alla ribalta più di altre il metal nato nella terra del samba e del calcio.

Gli Owl Company, invece propongono un alternative rock dai molti spunti metallici, ma legato a doppia mandata con il sound americano arrivato dopo l’enorme successo del rock di Seattle negli anni novanta e chiamato appunto post grunge.
Dei Creed più metallici o, se preferite, dei Nickelback meno commerciali e più rispettosi della tradizione settantiana, ipervitaminizzati da anni di alternative metal, gli Owl Company non deluderanno i fans del genere con questo loro secondo album intitolato Iris, licenziato dalla Eclipse Records dopo il debutto autoprodotto intitolato Horizon uscito lo scorso anno.
Niente di originale dunque, solo del buon rock alternativo, orfano di MTV, ma pur sempre nei cuori dei rockers della generazione a cavallo dei due millenni, ora leggermente in ombra rispetto alle desertiche sonorità stoner.
Iris è un album che si ascolta piacevolmente, composto da tredici brani potenti ma molto attenti alle melodie, specialmente nei chorus e che, se fosse uscito qualche anno fa, avrebbe sicuramente trovato maggiore attenzione da parte di fans e addetti ai lavori.
Boogie Man, Antagonist, Broken Paradigm e Shades sono i brani che spingono l’album verso un giudizio più che buono, se il rock alternativo statunitense fa parte dei vostri abituali ascolti Iris potrebbe essere una piacevole sorpresa.

Tracklist
1.One Last Time
2.Boogie Man
3.Rise
4.Antagonist
5.Shattered Dreams
6.Daw of days
7.Broken Paradigm
8.Disconnected
9.Forbidden Ground
10.The Other Side
11.Shades
12.Doors

Line-up
Enrico Minelli – Vocals
Felipe Ruiz – Guitars
Bruno Solera – Guitars
Fabio Yamamoto – Bass
Thiago Biasoli – Drums

OWL COMPANY – Facebook

Asymmetry of Ego – Forsake Beyond the Dusk

Una giovane band nostrana, la dimostrazione che la modernità può guardare (e con frutto) alla tradizione. Senza essere eccessivamente post, per chi ama ad esempio i Coheed and Cambria.

Negli anni Novanta l’alternative rock fu – o comunque divenne presto – una moda, dichiaratamente nemica della tradizione rappresentata dal progressive e dal metal.

Oggi che molta acqua è passata sotto i ponti, tante cose – giudizi, limitazioni, pregiudizi – sono cambiate e per fortuna in meglio, al punto che si possono esprimere diverse e più serene valutazioni. Gli Asymmetry of Ego – bel nome, complimenti! – provengono dal giro del rock alternativo, anzi di fatto lo suonano. Eppure, il gruppo genovese sa altresì incorporare, all’interno della propria gamma sonora, anche elementi progressivi, che rendono più obliqua la scrittura musicale (fra l’altro, amano molto i Genesis), nonché di matrice metal (apprezzano i Circle ed adorano i Pain of Salvation). Tutto ciò concorre a rendere assai varia e diversificata la proposta complessiva di queste dieci interessantissime tracce. Ovviamente, la band può e deve ulteriormente progredire, tuttavia questo Forsake Beyond the Dusk già si segnala per una bella serie di idee ben tradotte in pratica. Avanti così, dunque.

Tracklist
1 Intro
2 Erase Myself
3 The Sound of Brightness
4 The Monster
5 Deep From the Underground
6 I Don’t Know
7 One Word
8 Fake Lies
9 The Antheap Awakers
10 Outro

ASYMMETRY OF EGO – Facebook

kNowhere – Spiral

Un sound intimista, sofferto e dalle atmosfere ombrose, che scivola liquido per poi sbattere contro muri di rock duro e drammatico, è quello che ci propone la band torinese, con sfumature grigie come il cielo autunnale della loro città avvolta in una sottile coltre di foschia dentro la quale è facile perdersi alla ricerca di sé.

Nella scena underground tricolore si stanno muovendo label sempre più professionali e con roster di tutto rispetto che spaziano tra molti dei generi che gravitano nell’universo rock/metal.

Una di quelle più attive attualmente è di sicuro la Volcano Records, rifugio per un numero importante di ottime realtà nazionali ed estere.
L’ultima proposta dell’etichetta napoletana sono I kNowhere, alternative band piemontese in uscita con un nuovo lavoro intitolato Spiral, con nove brani per poco più di trenta minuti in compagnia del loro alternative post rock, dal taglio dark in molti passaggi, ma legato all’alternative anni novanta e a gruppi come Biffy Clyro e God Machine.
Un sound intimista, sofferto e dalle atmosfere ombrose, che scivola liquido per poi sbattere contro muri di rock duro e drammatico, è quello che ci propone la band torinese, con sfumature grigie come il cielo autunnale della loro città avvolta in una sottile coltre di foschia dentro la quale è facile perdersi alla ricerca di sé.
Dall’opener The Fly alla conclusiva The Seed (da cui è stato estratto un video) i kNowhere ci invitano a seguirli tra atmosfere di sofferenza e ricerca interiore attraverso un post rock che non lesina atmosfere drammatiche e forza elettrica, sempre in un crescendo di notevole impatto.
The Sword è l’esempio di come la band, da sfumature post rock, accresca l’intensità fino ad esplosioni di alternative rock che si nutre di una drammatica elettricità che ci accompagna per tutta la durata di Spiral.
I kNowhere risultano quindi un altro centro da parte della Volcano Records e Spiral un lavoro emozionale e personale, assolutamente consigliato.

Tracklist
1. The Fly
2. Imploding
3. The Sword
4. Envy
5. Taking Time
6. Tsunami
7. Ulisse
8. Pride
9. The Seed

Line-up
Federico Cuffaro – Vocals, guitars
Bruno Chiaffredo – Drums, backing vocals

KNOWHERE – Facebook

Warm Sweaters For Susan – Warm Sweaters For Susan

Un suono scarno, essenziale, che unisce alternative rock e post punk, caratterizza il sound di questi cinque brani compresi nell’ep d’esordio degli Warm Sweaters For Susan.

Dopo essere saliti lo scorso giugno sul palco della FIM a Milano, arrivano all’esordio con questo ep di cinque brani i pugliesi Warm Sweaters For Susan, quartetto originario di Taranto formato da Gabriele Caramagno (batteria), Luca D’andria (chitarra), Mimmo Gemmano (canto, chitarra e tastiere) e Gianluca Maggio (basso).

Un suono scarno, essenziale, che unisce alternative rock e post punk, caratterizza il sound di questi cinque brani che partono con l’alternative di That’s The Way My Passion Stirs, brano che accomuna Cure, Smashing Pumpkins ed elettricità punk.
E nel suo insieme quanto proposto avvicina gli Warm Sweaters For Susan più ad una band post punk di fine anni ottanta che ad un gruppo indie rock, ed il basso su cui si appoggia The Quick Brown Fox Jumps Over The Lazy Dog richiama in modo chiaro la band di Robert Smith, mentre il brano è pregno di pulsioni punk/alternative.
Il sound creato dai quattro musicisti pugliesi attinge dagli anni ottanta e dalle prime spinte alternative rock del decennio successivo così che, a mio avviso, mostra poco di indie e molto dei generi citati; forse manca qualcosa a livello di cura nella produzione, ma siamo solo al primo appuntamento con i fans del rock alternativo, quindi aspettiamo il prossimo passo del gruppo per esprimere un giudizio definitivo.

Tracklist
1. That’s The Way My Passion Stirs
2. Gravity
3. Teach Me To Walk
4. The Quick Brown Fox Jumps Over The Lazy Dog
5. Satellites

Line-up
Gabriele Caramagno – Drums
Luca D’Andria – Guitars and backing vocals
Mimmo Gemmano – Lead vocals, Rhythm guitar, Keyboards
Gianluca Maggio – Bass guitar

WARM SWEATERS FOR SUSAN – Facebook

New Mecanica – Vehement

Vehement, terzo album dei portoghesi New Mecanica, si rivela una bella e potente mazzata alternative, di quelle che al rock aggiungono irruenza metal lasciando che si allei con la melodia per quarantacinque minuti di metal statunitense moderno suonato ottimamente.

L’arrabbiatissimo “kong” che campeggia in copertina rende bene l’idea di cosa andrete ad ascoltare quando premerete il tasto play del vostro lettore.

Vehement, terzo album dei portoghesi New Mecanica, risulta infatti una bella e potente mazzata alternative, di quelle che al rock aggiungono irruenza metal lasciando che si allei con la melodia per quarantacinque minuti di metal statunitense moderno suonato ottimamente.
Lo zampino della Wormholedath, con cui la band di Barreiro ha firmato un contratto per la distribuzione dell’album, è la classica ciliegina sulla torta preparata dal quintetto e composta da dieci brani potenzialmente inarrestabili, per potenza ritmica, grande uso delle voci (una più ruvida e metal, l’altra invece dall’appeal alternative rock) ed un songwriting che permette ai New Mecanica di contare su un lotto di canzoni che formano un album da cui difficilmente si riesce a staccarsi.
Dall’opener A Second, infatti, il gruppo sfoga irruenza metal ed attitudine rock, come se il nostro amico in copertina si fosse liberato dalle catene e, salito sul grattacielo più alto della città, sfogasse tutta la sua voglia di libertà al suono delle varie Chronophobia, Lost Paradise e Reflect.
Metal di ispirazione thrash (i Metallica del Black Album) e l’alternative rock (Alter Bridge) si uniscono al sound di Soil e Black Label Society (Written) ed esplodono in tutta la loro potenza in questo ottimo lavoro, da non perdere se siete amanti di queste sonorità.

Tracklist
1. A Second
2. Chronophobia
3. Lost Paradise
4. Two Worlds
5. Reflect
6. Written
7. Clouded
8. Vehement
9. Never Fade
10. Journey

Line-up
Dinho – vocals
André – Guitar
Pepe – Guitar
PH – Bass
Bunny – Drums

NEW MECANICA – Facebook

Larsen – Tiles Ep

Sedersi, mettersi le cuffie ed ascoltare Tiles è un atto molto bello ed insieme positivo per il vostro cervello, che essendo sempre connesso sarà stanchissimo: questi signori torinesi insieme a Miss Bendez hanno una meravigliosa medicina.

Tornano i torinesi Larsen, uno dei pochi gruppi italiani veramente di avanguardia e di rottura.

Parlare di avanguardia è però in questo caso un po’ vuoto, poiché i Larsen fanno da sempre musica alla loro maniera, senza guardare se siano avanti od indietro. In questi venti anni circa di carriera il gruppo ha fatto ascoltare a chi lo ha voluto una visione della musica profondamente diversa rispetto a quella comune e a quella della massa, ovvero un flusso naturale che coglie e narra la realtà ed oltre. I Larsen sono forse l’unico gruppo italiano che ha saputo trarre ispirazione dalle band del post punk inglese e da una certa concezione di musica minimale americana, per arrivare a proporre una sintesi originale e molto personale che in questo ep si avvale della validissima collaborazione di Annie Bendez, che magari non conoscete di nome ma probabilmente di fama, poiché è stata con i Crass nonché musa del dub e molto altro della On-U Sound. La sua voce è quella di una narrazione fuori dal tempo e dal tempio, di un cercare senza sosta, di un parlare sopra una musica ipnotica e molto fisica ma al contempo eterea e leggera. Tiles è un racconto di viaggi in terre lontane, di impercettibili movimenti della nostra tazzina di caffè, di cose che pensiamo e non ci siamo mai detti. La dolcezza mista a verità e crudezza dei rari momenti di illuminazione che seguono a momenti indolenti o dolorosi, un guardare meglio per vedere oltre. Recentemente è uscito un documentario della televisione nazionale italiana sul cosiddetto indie, l’insopportabile necessità di essere alternativi per fare mainstream, e i Larsen sono una delle cose più lontane da questa tragedia musicale ed umana, sono un gruppo che fa cose molto belle e godibili, soprattutto durature, perché questo ep con Little Annie girerà molto nelle orecchie di chi vuole andare oltre. L’uso dell’elettronica nei Larsen raggiunge vette molto alte, dato che si fonde completamente con altre forme musicali e fuoriesce in maniera del tutto naturale. Sedersi, mettersi le cuffie ed ascoltare Tiles è un atto gradevole ed insieme positivo per il vostro cervello, che essendo sempre connesso sarà stanchissimo: questi signori torinesi insieme a Miss Bendez hanno una meravigliosa medicina.

Tracklist
1. First Song
2. Barroom Philosopher Pt. 1
3. She’s So So
4. Barroom Philosopher Pt. 2

Line-up
Fabrizio Modonese Palumbo – Guitar, electric viola
Little Annie – Vocals
Marco Schiavo – Drums, cymbals, percussions, glockenspiel
Paolo Dellapiana – Keyboards, synths, electronics
Roberto Maria Clemente – Guitar

LARSEN – Facebook

D-Sense – #savemehello

La sterminata scena russa sta regalando gruppi molto interessanti, e molti sono particolari come i D-Sense, che si muovono leggeri e aggraziati, senza farci mai mancare qualche bella chitarra distorta.

I russi D-Sense sono un gruppo che propone una miscela dolce di rock alternativo con innesti elettronici molto vicino alle cose degli anni novanta.

Non c’è aggressività in queste tre canzoni che rappresentano il loro debutto discografico, nel quale troviamo una confluenza di vari generi, tutti dominati dalla bella voce femminile di Nana, che ha la capacità di spaziare fra i vari registri sonori senza mai perdere il proprio timbro e la propria impronta. Addentrandosi nell’ascolto del disco si coglie anche l’importanza dell’elettronica nell’economia sonora del gruppo, nel senso che essa è il mezzo per trovare nuove situazioni sonore, ricercando sempre una situazione diversa. Nel complesso il sound è ben bilanciato ed esibisce un aspetto il più possibile variegato, avendo come colonna portante la melodia, vero e proprio spirito guida del gruppo, sempre presente e trattata con cognizione di causa. Alcuni potrebbero affermare che i D-Sense siano un gruppo fuori dal tempo, nel senso che ripropongono un suono che era famoso anni fa, ma alla fine questi ragazzi si rivelano accattivanti facendo ciò che piace loro di più, e l’importante è questo. La sterminata scena russa sta regalando gruppi molto interessanti, e molti sono particolari come i D-Sense, che si muovono leggeri e aggraziati, senza farci mai mancare qualche bella chitarra distorta. Un gruppo interessante, aspettando qualcosa in più di tre soli pezzi.

Tracklist
1. Butterfly
2. Till The End
3. #savemehello

Line-up
Nana – Vocals
Andy Nova – Guitars and Programming
Muxeu4 – Bass
Artem P – Drums
Lercha (SOULSHOP) – guest vocal on TILL THE END & #SAVEMEHELLO

D-SENSE – Facebook

Zayn – Evolution Made Us

Intimista, ma nello stesso tempo pervaso da un’urgenza di comunicare, Evolution Made Us lascia pochi riferimenti ai quali ci si possa aggrappare, con la musica che scorre tra atmosfere che passano dal metal progressivo moderno ad una sorta di rock alternativo.

Zayn in arabo significa bellezza interiore ed è il monicker di questo interessante progetto nato nel 2011 in Croazia, già protagonista di tre album tra il 2014 e l’anno successivo.

Dopo tre anni il quartetto si ripresenta nell’underground metal/rock con questo lavoro composto da cinque brani strumentali, dal sound alternativo e progressivo, fortemente compresso, dai molti cambi di tempo e a suo modo originale.
Intimista, ma nello stesso tempo pervaso da un’urgenza di comunicare, Evolution Made Us lascia pochi riferimenti ai quali ci si possa aggrappare: la musica scorre tra atmosfere che passano dal metal progressivo moderno ad una sorta di rock alternativo che rende brani quali l’opener Tall As Mountain o Metamorphos un incrocio di generi racchiusi nelle più generali etichette descritte.
Evolution Made Us è un lavoro di corta durata e quindi più facilmente assimilabile anche se il sound è tutto fuorché facilmente catalogabile: a tratti gli Zayn possono ricordare i Tool, ma il consiglio è di ascoltare questa raccolta di brani con la massima attenzione perché la band croata potrebbero rivelarsi per molti un gradita sorpresa.

Tracklist
1.Tall as Mountain
2.Barbarogenius
3.Homoerectus
4.Metamorphos
5.Old as Earth

Line-up
Marko Dragičević – guitar
Bojan Gatalica – guitar, synth
Miran Kapelac – bass, synth

ZAYN – Facebook

Perpetual Fate – Cordis

I Perpetual Fate giocano con il rock alternativo e lo sanno fare molto bene, fanno trasparire le loro influenze ma le assecondano con una già spiccata personalità.

Dopo tre anni di attività e qualche aggiustamento nella line up, i Perpetual Fate licenziano il loro primo lavoro sulla lunga distanza, che segue l’ep uscito lo scorso anno intitolato Secret.

E’ la sempre attenta Revalve Records a prendersi cura di questo prodotto, che si può senz’altro inserire nell’universo del rock alternativo, di questi tempi valorizzato dalle molte uscite con passaporto italiano.
E la scena alternative tricolore trova un’altra ottima ragione per essere considerata come una delle più attive della vecchia Europa, con la qualità dei prodotti che si alza piano ma con costanza.
I Perpetual Fate puntano molto sulla voce della cantante Maria Grazia Zancopè, ottima interprete degli undici brani che compongono quasi un’ora di musica rock moderna e melodica, con le chitarre che a tratti graffiano, qualche accenno di groove nelle ritmiche e tastiere presenti con suoni che si ispirano a quelli elettronici della new wave.
Tra l’alternanza di potenza e melodia di brani dall’ottimo appeal come l’opener Rabbit Hole, Smothered, la splendida Cannibal, la metallica The Land (con la partecipazione di Michele Guaitoli e Marco Pastorino) ed il singolo Rainfall, si muove un gruppo dall’approccio personale e convincente, forte di un lotto di belle canzoni, prodotte benissimo ed anche per questo dalle elevate potenzialità.
I Perpetual Fate giocano con il rock alternativo e lo sanno fare molto bene, fanno trasparire le loro influenze ma le assecondano con una già spiccata personalità.

Tracklist
1.Rabbit Hole
2.Enslavement
3.Smothered
4.The Path (I See You)
5.Cannibal
6.Mark Any Youth
7.Rainfall
4:28
8.The Land
3.Eternal Destiny
10.When They Cry
11.A Word Between You and Me

Line-up
Maria Grazia Zancopè – Voice
Gianluca Evangelista – Guitar
Massimiliano Pistore – Guitar
Diego Ponchio – Bass
Marco Andreetto- Drums

PERPETUAL FATE – Facebook

The Black Crown – Entropy

Un suono malinconico e dalle atmosfere dark si muove tra crescendo emotivi di scuola Tool in questo buon lavoro, tra bassi pulsanti come cuori carichi di disagio, sfuriate metalliche di chitarre urlanti ed atmosfere dark rock dal buon groove, impreziosite da armonie pianistiche di delicato rock gotico.

I The Black Crown sono un progetto nato da un’idea del musicista campano Paolo Navarretta.

Il primo album intitolato Fragments fu licenziato dalla label statunitense Zombie Shark Records un paio di anni fa ed ora i The Black Crown tornano con Entropy, una raccolta di brani dal sound che ripercorre certo metal moderno e progressivo in voga in America negli anni novanta e nei primi anni del nuovo millennio.
Un suono malinconico e dalle atmosfere dark si muove tra crescendo emotivi di scuola Tool in questo buon lavoro, tra bassi pulsanti come cuori carichi di disagio, sfuriate metalliche di chitarre urlanti ed atmosfere dark rock dal buon groove, impreziosite da armonie pianistiche di delicato rock gotico.
L’album entra nel vivo dopo l’intro Venus: la tooliana Path che ci porta al centro delle visioni musicali del gruppo, con un Navarretta convincente nella parti vocali ed un sound che, anche nella successiva Furious, risulta un crescendo di emozionante musica alternative dal piglio dark.
Le ispirazioni che hanno aiutato Navarretta alla creazione di questo lotto di brani sono da rinvenire appunto in Tool, A Perfect Circle e Nine Inch Nails, poi sapientemente miscelate con suoni ed arrangiamenti di matrice dark rock per creare una musica malinconica come nella splendida Seeking, canzone che si poggia su un giro di piano di scuola Katatonia, unica concessione alla scena europea.
Entropy scivola via liquido e duro, drammatico e melodico, con ancora la pacata Consequences e la più nervosa Fade che scrivono la parola fine in un lavoro consigliato senza remore ai fans delle band citate e agli amanti del rock alternativo dalle tinte più oscure.

Tracklist
1.Venus
2.Path
3.Furious
4.Cage
5.Habit
6.Seeking
7.Turnaround
8.Consequences
9.Somewhere
10.Fade

Line-up
Alessandro Pascolo – Drums
Enzo Napoli – Bass
Antonio Vittozzi – Guitar
Paolo Navarretta – Vox & Guitar

THE BLACK CROWN – Facebook

Charlie Barnes – Oceanography

Fuori dai soliti contesti metal ai quali siamo abituati, Oceanography risulta un ottimo lavoro per riappacificarsi con un certo tipo di rock che prende ispirazione dai Muse e dai gruppi mainstream, senza però dimenticare la tradizione pop del secolo scorso.

Il nuovo lavoro del musicista e compositore britannico Charlie Barnes è il classico album del quale qualcuno potrebbe obbiettare sulla sua presenza nelle nostre pagine, eppure la bellezza di Oceanography ci impone di presentarlo ai nostri lettori, almeno quelli più orientati al rock e alle sperimentazioni.

Barnes, al terzo album, centra l’obiettivo di creare musica rock dalle atmosfere liquide ed avvolgenti come appunto suggerisce il titolo: un oceano di note alternative nel quale confluiscono ispirazioni anche lontane tra loro ma perfette nell’economia dei brani che formano l’opera.
L’ex chitarrista e tastierista di Amplifier e Bastille parte da molto lontano, addirittura dagli anni sessanta, per attraversare il tempo che resta ed arrivare ai giorni nostri accompagnato da un raffinato pop inglese, alternative ed accenni alla new wave, coprendo così i vari decenni che lo separano dai giorni nostri.
E’ un rock elegante, dalle melodie dilatate e delicate che la voce del nostro, dal retrogusto lirico, accompagna in questa navigazione nelle acque calme e poetiche di questo oceano di emozioni, risvegliate dalla title track, dalla splendida Bruising e dalle aperture pop/rock di Maria.
Fuori dai soliti contesti metal ai quali siamo abituati, Oceanography risulta un ottimo lavoro per riappacificarsi con un certo tipo di rock che prende ispirazione dai Muse e dai gruppi mainstream, senza però dimenticare la tradizione pop del secolo scorso.

Tracklist
01.Intro
02.Oceanography
03.Will & Testament
04.Bruising
05.Ruins
06.One Word Answers
07.The Departure
08.Legacy
09.Former Glories
10.Maria
11.All I Have
12.The Weather

Line-up
Charlie Barnes – vocals, guitar, bass, piano, synthesizers
Steve Durose – guitar, bass, synthesizers, programming
Ste Anderson – drums

CHARLIE BARNES – Facebook

Steelawake – Steelawake

Le chitarre graffiano che è un piacere in questo lavoro firmato Steelawake, con il gruppo lombardo che riesce a non sacrificare la melodia pur lasciando che la tensione dei brani rimanga alta, uscendo a tratti dai confini del rock per spingersi verso territori prettamente metal.

Gli Steelawake, giovane band nata a Milano all’inizio dello scorso anno, debuttano per l’attivissima Sliptrick Records con questo piacevole lavoro autointitolato.

Gli Steelawake sono un quartetto formato da Matteo Piacenti (voce e chitarra), Daline Diwald (voce e chitarra), Stefano Guandalini (basso) e Piero Impalli (batteria): il loro rock alternativo si ispira al sound a stelle e strisce che ha fatto e continua a fare sfracelli sulle radio rock di tutto il mondo, quindi non aspettatevi chissà quali nuove strade bensì una raccolta di brani robusti nei suoni di chitarra, vari nelle ritmiche e ruffiani nei cori, quanto basta sicuramente per non dimenticarli in fretta.
E’ buono l’uso delle voci, con il controcanto di Daline che accompagna l’ottimo piglio con cui Teo affronta le ruvide, melodiche e alternative trame di brani come l’opener Run And Hide, il singolo Dragging You Inside e l’ottima e diretta Empty Eyes.
Troviamo ancora riff moderni e groove possente in Not Alright, altro brano top di questo lavoro, che ha nel suo cuore i momenti migliori, con See The Demons ed Anything ad alzare ulteriormente la temperatura.
Le chitarre graffiano che è un piacere in questo lavoro firmato Steelawake, con il gruppo lombardo che riesce a non sacrificare la melodia pur lasciando che la tensione dei brani rimanga alta, uscendo a tratti dai confini del rock per spingersi verso territori prettamente metal.
Buon debutto, quindi, per un’altra valida realtà italiana che si pone quale alternativa al predominio delle band statunitensi in questo settore.

Tracklist
01. Run And Hide
02. Who You Are
03. Hot Mess
04. Dragging You Inside
05. Empty Eyes
06. Not Alright
07. Had Enough
08. See The Demons
09. Anything
10. Nothing Left To Say
11. Save Me
12. Right Where I Belong
13. Lost Forever

Line-up
Matteo Piacenti – Vocals/Guitar
Daline Diwald – Vocals/Guitar
Stefano Guandalini – Bass/Backing vocals
Piero Impalli – Drums

STEELAWAKE – Facebook

Ian Sweet – Crush Crusher

Non è un disco facile e non vuole esserlo, perché tratta di cose non facili, e ci mostra tutto il talento di una delle migliori menti musicali alternative americane, che darà ancora molto agli ascoltatori che sono in cerca della qualità.

Ian Sweet è una donna che ha una musicalità innata, e riesce a trattare in maniera interessante ed originale generi diversi.

Con la sua voce nervosa e calda Ian Sweet ci guida in un mondo non sempre facile e gioioso, dove la luce gioca con le tenebre e spesso perde, dove la letizia si può presto trasformare in tormento, come e peggio che nel mondo reale. Il vero nome di Ian Sweet è Jilian Medford, compositrice e musicista di raro talento ed efficacia. Ascoltando il disco ci si rende conto della cura e della passione con il quale è stato concepito ed eseguito. Il tema centrale del disco, e forse delle nostre vite, sono le relazioni con i nostri amici ed i problemi che ne derivano. La soluzione di questi problemi è impossibile, e quindi Ian ce li descrive mettendoli molto bene in musica con melodie accattivanti, ma anche dissonanze e momenti che esprimono molto il disagio di fronte a certe situazioni. Il disco è un riuscito campionario di ciò che può essere dell’ottimo indie fatto con un talento superiore alla media, e con un gusto particolare per scelte non facili ma necessarie. Una delle peculiarità di Ian Sweet è quella di riuscire ad usare diversi codici musicali per comporre la propria poetica musicale che è sempre originale e valida. Non è un disco facile e non vuole esserlo, perché tratta di cose non facili, e ci mostra tutto il talento di una delle migliori menti musicali alternative americane, che darà ancora molto agli ascoltatori che sono in cerca della qualità.

Tracklist
1.Hiding
2.Spit
3.Holographic Jesus
4.Bug Museum
5.Question It
6.Crush Crusher
7.Falling Fruit
8.Borrowed Body
9.Ugly/Bored
10.Your Arms Are Water

IAN SWEET – Facebook

Uncovered For Revenge – Daybreak

Gli Uncovered For Revenge, hanno ancora hanno da limare qualche piccolo difetto di forma ma lasciano intravedere buone potenzialità: l’album è sicuramente di piacevole ascolto e troverà estimatori tra i fans del genere.

Alternative hard rock moderno e dalle sfumature dark è quello che ci offrono gli Uncovered For Revenge, giovane quartetto proveniente dalla capitale e fresco di firma per la Sleaszy Rider che licenzia Daybreak, debutto sulla lunga distanza dopo l’ep Life, uscito un paio d’anni fa e di cui tre brani fanno parte anche di questa tracklist.

Si tratta di alternative rock con voce femminile, qualche grintosa accelerata metal ed atmosfere ombrose che vanno a comporre questi dieci brani che guardano all’hard rock moderno di matrice statunitense, valorizzato da un songwriting di buon livello ed una voce decisa e personale.
L’alternanza tra brani più spinti ed altri melodici non fanno che rendere l’ascolto piacevole, sicuramente consigliato ai fans del genere e a chi ama le eroine del metal alternativo mondiale in band come come Halestorm ed Evanescence.
Oltre alle tre tracce già presenti sul precedente lavoro (Can’t Be Saved, Tomboy e If You Want) la cantante Giorgia Albanesi e compagni hanno costruito una raccolta di brani interessanti, anche se ovviamente il genere non offre grosse sorprese, restando confinato in una formula ormai abusata.
Importa poco, se poi brani solidi come Ignorance, e Such A Big Lie riescono catturare l’attenzione grazie a ritmiche sostenute ed una ottima prova vocale, caratteristica che risiede in tutti i brani che compongono Daybreak.
Gli Uncovered For Revenge, hanno ancora hanno da limare qualche piccolo difetto di forma ma lasciano intravedere buone potenzialità: l’album è sicuramente di piacevole ascolto e troverà estimatori tra i fans del genere.

Tracklist
1.Daybreak
2.Can’t Be Saved
3.Ignorance
4.Postcard
5.Tomboy
6.If You Want
7. Such A Big Lie
8.Bright New Sun
9.The Rise
10. Road To Change

Line-up
Giorgia Albanesi– Vocals
Stefano Salvatori – Guitars
Daniele Sforza – Bass
Matteo Salvatori – Drums

UNCOVERED FOR REVENGE – Facebook

Rough Grind – Trouble Or Nothing

Ep di rodaggio, da parte dei Rough Grind, con quattro brani piacevoli e dalle buone melodie: ci aspettiamo un altro passo avanti fin dal prossimo lavoro.

Debutto per i Rough Grind, band finlandese proveniente da Jyvaskla che, con questi quattro brani, entra nel mondo del mercato discografico di buon passo.

Le porte si aprono al cospetto dell’opener Gilded Cage, brano di hard rock melanconico e dalle melodie tastieristiche di scuola aor, ma già dalla successiva e roboante Leap Of Faith i richiami a certo alternative rock moderno e di scuola statunitense si fanno più incisivi.
Diciamolo subito, urge un cantante: il buon Sami è ruvido il giusto nei momenti in cui la band attacca la spina e suona graffiante e massiccia, ma cede il passo e risulta forzato nei chorus melodici (Bulletproof).
Siamo arrivati in un attimo alla conclusiva Hereafter, semi ballad in crescendo che conclude Trouble Or Nothing, ep che porta con sé molti pregi, con un sound composto da un piacevole mix di hard rock americano (Alice In Chains), atmosfere dal piglio dark romantico ed una variante melodica dei Poisonblack, e qualche difetto da correggere in corso d’opera.
Un ep di rodaggio, quindi, da parte dei Rough Grind, con quattro brani piacevoli e dalle buone melodie: ci aspettiamo un altro passo avanti fin dal prossimo lavoro.

Tracklist
1.Gilded Cage
2.Leap Of faith
3.Bulletproof
4.Hereafter

Line-up
Sami – Vocals, And Guitars
Ville – Guitars
Ari – Bass
Killi – Drums

ROUGH GRIND – Facebook

Martyr Lucifer – Gazing at the Flocks

Gazing at the Flocks è un album che merita un’attenzione diversa da quelle che molto spesso viene rivolta nei confronti di estemporanei progetti paralleli; Martyr Lucifer, nonostante il monicker faccia riferimento al singolo musicista, ha tutte le sembianze della band vera e propria e come tale va considerata, con tutte le positività che la cosa implica.

Gazing at the Flocks è il terzo full length marchiato Martyr Lucifer, progetto dell’omonimo leader degli Hortus Animae.

Come avevamo già visto in passato, qui non si rinvengono tracce di black metal bensì un sound maturo e molto curato, a cavallo tra dark wave e gothic con più di una digressione alternative; anche per questo motivo l’album scorre in maniera piuttosto lineare e gradevole, senza necessitare di diversi ascolti per apprezzare i buoni spunti melodici ed i chorus disseminati al suo interno.
Ecco, forse questa ingannevole sensazione di leggerezza può costituire il solo limite di un’opera ben costruita e che vede protagonisti, oltre al musicista romagnolo con il suo timbro profondo e molto adatto al genere, la vocalist ucraina Leìt, l’arcinoto Adrian Erlandsson alla batteria e l’ottimo ungherese Nagaarum alla chitarra, oltra a Simone Mularoni a fornire il proprio contributo in sala d’incisione non solo al di là del vetro ma anche al basso.
Il risultato è quindi oltremodo soddisfacente, tanto più dopo aver constatato che, in effetti, ad ogni successivo passaggio nel lettore molti brani rivelano interessanti sfumature sfuggite al primo approccio; se, da una parte, non ci troviamo di fronte ad un’opera epocale, va dato atto a Martyr Lucifer d’aver assemblato un lavoro privo di particolari punti deboli ma, semmai, con diversi picchi rappresentati dalla suadente Benighted & Begotten (notevole il duetto vocale) e le centrali Feeders, aka Heterotrophy / Saprotrophy e Leda and the Swan Pt. 1; resta, alla fine l’impressione d’aver ascoltato musica di qualità, collocabile senz’altro nella scia delle band guida del genere (Tiamat, The 69 Eyes) ma anche, a tratti, del Peter Murphy solista, il che è indicativo di un’oscurità diffusa che avvolge Gazing at the Flocks conferendogli un’aura a suo modo differente rispetto ai modelli citati.
In buona sostanza Gazing at the Flocks è un album che merita un’attenzione diversa da quelle che molto spesso viene rivolta nei confronti di estemporanei progetti paralleli; Martyr Lucifer, nonostante il monicker faccia riferimento al singolo musicista, ha tutte le sembianze della band vera e propria e come tale va considerata, con tutte le positività che la cosa implica.

Tracklist:
1. Veins of Sand Pt. 1
2. Veins of Sand Pt. 2
3. Bloodwaters
4. Feeders, aka Heterotrophy / Saprotrophy
5. Leda and the Swan Pt. 1
6. Leda and the Swan Pt. 2
7. Wolf of the Gods
8. Somebody Super Like You
9. Benighted & Begotten
10. Spiderqueen
11. Flocks
12. Halkyónē’s Legacy, aka The Song of Empty Heavens

Line-up
Martyr Lucifer – vocals, synth, programming
Leìt – vocals
Adrian Erlandsson – drums
Nagaarum – guitars
Simone Mularoni – bass (session)

MARTYR LUCIFER – Facebook

North Of South – New Latitudes

Trovare paragoni per quanto suonato in questo album è alquanto difficile, sicuramente New Latitudes troverà estimatori negli amanti del metal tecnico, del progressive moderno e di chi apprezza la musica underground di alto livello.

Davvero tanto carne al fuoco in questo esordio discografico targato North Of South, progetto solista del chitarrista e compositore spagnolo Chechu Gomez.

Le nuove latitudini musicale del nostro abbracciano una moltitudine di generi diversi uniti in un unico sound che, a dispetto, dell’enorme quantità di ispirazioni funziona, anche se l’orecchio che serve per apprezzare la musica di Gomez è di quello più aperto ad ogni esperienza uditiva.
New Latitudes risulta così un’esperienza di ascolto totale, passando dal metal al rock latino di Santana, dal jazz al pop, dal punk al progressive senza ovviamente dimenticare la tradizione spagnola nel suono della chitarra acustica, che emerge a tratti unendo le varie atmosfere che cambiano ad ogni nota.
Uno spartito in piena burrasca creativa, un mare in tempesta che porta a riva note stravolte su relitti di generi assolutamente distanti, mentre facilmente vengono in mente i maestri Cynic negli angoli strumentali che guardano al metal estremo.
Sono attimi, perché in brani originali come l’opener The Human Equation o Balance Paradox le intuizioni di Gomez portano a confondere l’ascoltatore travolto dalle onde create sul pentagramma di New Latitudes.
Anche in questo lavoro, la tecnica strumentale di livello assoluto viene messa al servizio delle già intricate canzoni, così che l’ascoltatore è portato a concentrarsi sui vari generi e cambi di atmosfere piuttosto che seguire evoluzioni fine a sé stesse.
Trovare paragoni per quanto suonato in questo album è alquanto difficile, sicuramente New Latitudes troverà estimatori negli amanti del metal tecnico, del progressive moderno e di chi apprezza la musica underground di alto livello.

Tracklist
01. The Human Equation
02. Nobody knows
03. Balanced Paradox
04. Before we die
05. Crystal Waters
06. There’s no Glamour in Death
07. Time will tell
08. Faith is not Hope
09. Montreux

Line-up
Chechu Gòmez – Guitars

NORTH OF SOUTH – Facebook

Beartooth – Disease

Disease conferma i Beartooth quale potenziale new sensation dell’alternative rock/metal a stelle e strisce, grazie ad una raccolta di brani inattaccabili e imperdibili per gli amanti di queste sonorità.

I Beartooth sono una alternative rock/punk metal statunitense nata inizialmente come one man band dell’ex Attack Attack! Caleb Shomo, ad oggi band a tutti gli effetti con Kamron Bradbury e Zach Huston alle chitarre e la sezione ritmica composta da Oshie Bichar al basso e Connor Denis alla batteria.

Per Red Bulls Records esce Disease, il terzo lavoro sulla lunga distanza, dopo gli ottimi riscontri ed il successo diel debutto Disgusting licenziato nel 2014 e soprattutto del secondo album uscito un paio di anni fa ed intitolato Aggressive.
I Beartooth sono la classica band alternative da classifica che amalgama metal moderno, punk, un pizzico di cattiveria hardcore e melodie rock dall’appeal radiofonico, quindi con l’aspettativa di fare un buon bottino di dollari e diventare uno dei gruppi più amati dai kids mondiali dai gusti che guardano ai canali rock satellitari.
Caleb Shomo è il guru del progetto Beartooth, cantante dalla voce che convince, tra rabbiose parti scream e toni melodici che più ruffiani di così non si può, che attira su di sé l’attenzione dei fans e da abile songwriter riesce a creare una raccolta di brani piacevoli e con le potenzialità per fare sfracelli.
Disease non aggiunge e non toglie niente ai lavori di genere: dodici tracce tra grinta rock/metal e melodie pop, rock alternativo dal successo assicurato, a suo modo ben strutturato ed in possesso di un talento per cori e refrain di facile presa che sono la strada per il successo.
L’album scorre che è un piacere, la formula è quella usata a suo tempo da chi di questi suoni è maestro e la lista dei brani da top ten parte dall’opener Greatness Or Death per arrivare alla conclusiva Clever, passando per la title track, You Never Know ed Enemy.
Disease conferma i Beartooth quale potenziale new sensation dell’alternative rock/metal a stelle e strisce, grazie ad una raccolta di brani inattaccabili e imperdibili per gli amanti di queste sonorità.

Tracklist
1.Greatness or Death
2.Disease
3.Fire
4.You Never Know
5.Bad Listener
6.Afterall
7.Manipulation
8.Enemy
9.Believe
10.Infection
11.Used and Abused
12.Clever

Line-up
Caleb Shomo – Vocals
Kamron Bradbury- Guitar
Zach Huston – Guitar
Oshie Bichar – Bass
Connor Denis – Drums

BEARTOOTH – Facebook

Nookie – Exceptions

Tredici brani per cinquanta minuti di musica non sono pochi nel genere, ma i Nookie sanno bene come tenere alta l’attenzione dell’ ascoltatore non abbassando mai la guardia con brani che si alternano tra rock diretto e scariche di intricatissime ritmiche metalliche.

Nookie è lo pseudonimo con cui la cantante Daria Stavrovich degli alternative rockers russi Slot si cimenta con la band che prende il suo nome.

La Sliptrick Records licenzia il loro terzo album, una raccolta di brani alternative rock, con qualche sporadico salto nel new metal, senza però andare oltre ad una grinta controllata e radio friendly.
Exceptions è comunque un buon lavoro, nel quale il gruppo asseconda con bravura il talento vocale di Nookie, bravissima nel saper variare la sua voce a seconda dell’atmosfera di ogni canzone, proponendo sfumature vocali che vanno dalla rabbia, alla disperazione, dalla dolcezza alla mera esecuzione, davvero sorprendente quando gareggia tra intricate ritmiche con gli strumenti.
Exceptions è nel suo complesso un buon lavoro di genere, l’urgenza del metal moderno si alterna con trame rock di chiara matrice statunitense, le influenze si dipanano per i brani senza però dare quel senso fastidioso di deja vu, anche perché rapiti dall’interpretazione della singer a tratti rimembrante la pantera Skin.
Tredici brani per cinquanta minuti di musica non sono pochi nel genere, ma i Nookie sanno bene come tenere alta l’attenzione dell’ ascoltatore non abbassando mai la guardia con brani che si alternano tra rock diretto e scariche di intricatissime ritmiche metalliche.
Magari poco conosciuta nel mercato occidentale, la band russa ha invece le carte in regola per piacere ai fans dell’alternative metal/rock a cui va il consiglio di non perdersi questo lavoro.

Tracklist
01.Au
02.Before I Die
03.Isklyucheniya
04.Vverkh
05.Znaki
06.Myprostoest
07. In-Yan
08.Vremennaya
09.Samim soboy
10.Prodolzhaem dvizhenie
11.Tantsuy, kloun, tantsuy
12.Yadovitaya
13.Kosmos

Line-up
Nookie – Lead Vocals
Sergey Bogolyubskiy – Guitar
Andrey Ostrav – Bass
Alexander Karpukhin – Drums

https://www.facebook.com/nuki.space/

Ink – Whispers Of Calliope

Gli Ink danno alle stampe, tramite la Wormholedeath, questo bellissimo album di cover degli artisti che più hanno ispirato la loro musica, in una versione personalissima e molto sentita.

Poesia in musica, magari già scritta da altri e solo riproposta ma sempre di poesia si tratta.

Gli Ink danno alle stampe, tramite la Wormholedeath, questo bellissimo album di cover degli artisti che più hanno ispirato la loro musica, in una versione personalissima e molto sentita.
Ne escono undici perle trovate nell’universo musicale attraverso due decenni, gli anni ottanta e i novanta, raccolti in questo carillon che all’apertura, come d’incanto, sprigiona introversa e drammatica musica rock.
Gli Ink hanno fatto un gran lavoro, adattando canzoni lontane tra loro e trasformandole a piacimento così da formare una tracklist che rasenta la perfezione, omogenea e ottimamente calata nel sound semi acustico di Whispers Of Calliope.
Come rappresentato in copertina non ci resta che farci chiudere gli occhi da Chris Tsantalis e compagni e lasciarci trasportare tra le note semiacustiche, a tratti supportate da una base elettronica, di Sober, brano d’apertura e capolavoro dei Tool.
Un’interpretazione spettacolare per il singer greco è quella che possiamo ascoltare nella successiva In A Manner Of Speaking, splendida canzone dei Tuxedomoon, così come nella famosa Rebell Yell di Billy Idol, due dei brani più sentiti e riusciti di questa raccolta.
Gli Ink trovano la formula per rendere magica l’atmosfera di Whispers Of Calliope, cercando nel sound dei The Tea Party e del Chris Cornell solista il segreto per un’interpretazione magistrale, con il secondo e mai dimenticato artista americano tributato con la magnifica Hunger Strike, dall’unico capolavoro dei Temple Of The Dog.
Vi sembrerà alquanto strano trovare un voto così alto per un album di cover, ma garantisco che Whispers Of Calliope è quanto di più emozionante abbia ascoltato negli ultimi tempi per quanto riguarda il genere.

Tracklist
1.Sober
2.In a Manner of Speaking
3.First We Take Manhattan
4.Rebel Yell
5.Like The Way I Do
6.Hurt
7.Disarm
8.Knife Party
9.Never Tear Us Apart
10.Come Live With Me
11.Hunger Strike

Line-up
Chris Tsantalis – Vocals
Kostas Apostolopoulos – Guitars
Stavros – Tsantalis – Drums
Kostas Ketseris – Bass

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